Principio di indeterminazione

Principio di indeterminazione

 

 

 

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Principio di indeterminazione

Laddove, storicamente,  la filosofia ha cercato di stabilire una linea di continuità tra percezione psicologica del mondo e formazione delle idee che conoscono il mondo, il lavoro della scienza, o meglio delle scienze, ha trasformato questa prospettiva antropologica in una dimensione profondamente differente, molto più ampia e articolata. Il problema della conoscenza è diventato il problema della produzione della conoscenza, dove con produzione si vuole sottolineare che  l’immenso patrimonio conoscitivo di cui, per continue aperture di nuovi campi di sapere, rettifiche, mutamenti teorici, invenzioni e scoperte, l’umanità nel suo insieme si accresce, è il risultato di un atteggiamento, di una dimensione conoscitiva che si avvale di tecniche, di strumenti, e di linguaggi che producono teorie e informazioni.

La scienza in età moderna diviene forma privilegiata della conoscenza in seguito al deciso valore pubblico che  le viene attribuito come immagine rappresentativa e privilegiata, per la sua capacità, presunta o reale, di poter elaborare una rappresentazione esaustiva dell’universo. In tal modo prende forma l’atteggiamento scientista che, fin dagli inizi accompagna come un alone ideologico i processi di razionalità scientifica,  conducendo alla conseguente convinzione, che non solo questo è il valore della conoscenza scientifica, ma che ogni problema significativo possa essere efficacemente  tradotto in questi termini.  La potenza del metodo sperimentale è così elevata a  modello di pensiero che attraverso l’ausilio dell’esperienza controllata e della generalizzazione legittima si affanna verso l’edificazione di quel formidabile archivio di conoscenza, patrimonio dell’uomo moderno.

In questo senso la scienza estende e, allo stesso tempo, trasforma il senso greco del divenire e, quindi, il significato stesso della ricerca epistemica che secondo Severino, in precedenza “non è mai riuscita a porsi direttamente in contatto con le masse - a differenza della scienza e della tecnica, i cui risultati pratici risultano visibili a tutti.”   Ecco che se la scienza, da una parte va vista come il frutto e, quindi il momento più alto della parabola tracciata dal pensiero occidentale, è chiaro come alla luce delle nuove teorie scientifiche che nascono e si impongono nel panorama scientifico e culturale del XX secolo, tale predomino sembra dissolversi nei sintomi di quella crisi della ragione occidentale che si respira in diversi ambiti del pensiero contemporaneo. Una crisi, quella evocata dalle teorie fisiche più recenti
che risulta tanto più evidente in quanto interna allo stesso dominio razionale rappresentato in maniera inequivocabile del sapere tecnico-scientifico. Una crisi che richiede, oggi più che mai, una profonda riflessione sul valore e sulla funzione stessa della scienza   coinvolgendo la ricerca filosofica in maniera diretta, non tanto perché, come si è visto, il dominio culturale delle scienze esatte è frutto dello stesso modello di ragione filosofico-metafisico caratteristico dell’intera civiltà occidentale, quanto perché è la stessa filosofia che con l’emergere della scienza ha fatto si che quest’ultima divenisse oggetto della propria riflessione. Una riflessione a cui la filosofia non può sottrarsi in quanto, come afferma Gadamer, lo stesso termine filosofia “assume nel nostro uso linguistico anche un senso chiamato il carattere filosofico delle scienze, vale a dire la dimensione di quelle nozioni fondamentali che definiscono il campo d’indagine di ogni scienza.”

 

 

Il rassicurante modello interpretativo elaborato dalla meccanica newtoniana e dai suoi sviluppi era talmente solido alle soglie del XX secolo, da indurre uno scienziato prudente e flemmatico come Lord Kelvin ad aprire il congresso internazionale di fisica del 1900 presentando lo stato attuale della disciplina come un cielo limpido oscurato soltanto da due nuvole nere, che comunque sarebbero state spazzate via in breve tempo. In realtà, le due nuvole nere cui alludeva Kelvin nel suo intervento e cioè il fallito tentativo di Michelson-Morley di evidenziare il vento d’etere e il problema irrisolto legato all’emissione emessa dal corpo nero, invece di essere spazzate via decretarono la fine del modello newtoniano e la nascita della fisica moderna, con la teoria della relatività da un lato e, dall’altro la meccanica quantistica.

E’ importante osservare, da questo punto vista, come da una qualunque teoria di successo nelle scienze fisiche ci si aspetta che fornisca previsioni precise. Dato un certo ben definito esperimento,  la teoria dovrebbe specificare correttamente il risultato o almeno dovrebbe assegnare le corrette probabilità di tutti i possibili risultati. Da questo punto di vista la meccanica quantistica dovrebbe essere giudicata di grande successo. Nella sua qualità di fondamentale teoria moderna degli atomi, delle molecole, delle particelle elementari, della radiazione elettromagnetica e dello stato solido, essa fornisce metodi per calcolare i risultati di esperimenti in tutti questi campi.  Tuttavia, al di là delle conferme sperimentali, a una teoria si chiede in genere qualcosa di più. Ci si aspetta che non solo determini i risultati di un esperimento, ma fornisca anche una qualche comprensione degli eventi fisici che si presume siano alla base dei risultati osservati. In altre parole, la teoria dovrebbe non soltanto dare la posizione di un indice su un quadrante, ma anche spiegare perché l’indice  ha assunto quella posizione. Quando si cercano informazioni di questo genere nella teoria dei quanti, nascono certe difficoltà concettuali.

E’ soprattutto attraverso quest’ultima teoria, infatti,  che oggi vengono messe in discussione certe categorie primarie della fisica classica come la continuità energetica, il determinismo, l’oggettività della realtà scientifica esperita e la sua indipendenza dallo stesso atto conoscitivo e,  proprio sull’interpretazione fisica di questo nucleo teorico,  si è assistito nel corso degli anni ad un dibattito epistemologico che non sembra per nulla sopito. L’interpretazione ortodossa della meccanica quantistica, quella cioè, sostenuta dai fisici vicini alla scuola di Copenaghen, nonostante i lusinghieri risultati sperimentali, continua, infatti, a suscitare sconcerto in una parte della comunità scientifica impegnata nella definizione di una via di ricerca alternativa, capace di riportare la scienza verso quegli standard di oggettività che costituivano lo stesso presupposto della ricerca nella meccanica classica. Da questo punto di vista, nel corso degli anni, si è assistito ad una serie innumerevole di esercizi matematici e filosofici atti a mitigare la portata rivoluzionaria della nuova fisica: dai tentativi di proporre processi di completamento della meccanica quantistica (come nel caso di Bohm) o semplicemente alla definizione di esperimenti ideali capaci di mettere in discussione la validità o la esaustività della stessa (è il caso di Einstein). Ogni sforzo volto in questo senso, tuttavia,  non ha impedito l’istituzionalizzazione della meccanica dei quanti nella sua interpretazione ortodossa e il suo costituirsi come vettore di ricerca privilegiato.

A livello propriamente filosofico si aprono in questo senso due possibilità di indagine: da una parte quella di tentare lo sviluppo di una interpretazione della meccanica quantistica capace di sfuggire alle difficoltà riscontrate nel confronto di quest’ultima con gli standard classici cercando di riportare, attraverso apposite restrizioni linguistiche e concettuali, la meccanica dei quanti all’interno di un universo categoriale capace di conservare, almeno in linea di principio, quei caratteri  di oggettività e di determinismo che caratterizzano gli impianti teorici classici. Dall’altra esiste la possibilità, conservando l’interpretazione cara ai fisici di Copenaghen, di ridefinire gli stessi standard di riferimento attraverso i quali l’impresa scientifica si realizza.

La prima possibilità è sicuramente quella più battuta, soprattutto nei circoli culturali in cui è più alta la presenza di fisici sperimentali, ambiente in cui l’istanza del realismo fisico è sicuramente più sentita. E’ innegabile, tuttavia, che l’insistere sulla necessita di rendere la meccanica quantistica compatibile con gli standard classici, porta a difficoltà teoretiche difficilmente sormontabili e a complicazioni tali da rendere preferibile, in definitiva, l’interpretazione ortodossa. Anche la stessa teoria delle variabili nascoste  in cui si è concentrato l’impegno di fisici e filosofi come Bohm e D’Espagnat, sembra, nelle parole di Heisenberg e nei risultati di recenti esperimenti, portare a risultati del tutto simili a quelli previsti  dalla versione ortodossa tanto che in questo caso risulterebbe difficile comprendere anche la reale distanza tra le due formulazioni teoriche.

Ben più interessante a livello filosofico risulta, invece,  lo sviluppo di una critica epistemologica capace di inquadrare la nuova dinamica scientifica nella sua irripetibile dimensione storica. In questo senso è proprio la filosofia che rinunciando ad assolutizzare certe categorie interpretative dovrà rendersi contemporanea alla scienza evitando di definire la presunta irrazionalità di certi esiti raggiunti dalla fisica moderna attraverso un adeguamento dei criteri stessi che definiscono l’ambito razionale, storicizzando, cioè, le stesse categorie attraverso le quali va interpretato l’agire scientifico. Come evidenzia Redondi, “l’aver aperto, da parte della microfisica, una dimensione fenomenica sconosciuta alla scienza del passato esprime così allo stesso tempo uno spazio filosofico in cui  la filosofia che  appare legata alla macrofisica dal punto di vista sperimentale e al realismo del senso comune dal punto di vista teorico, dovrà ora cedere il passo a un’epistemologia meglio corrispondente alle procedure di individuazione dei fenomeni matematicamente organizzati e tecnicamente prodotti” in conformità alle esigenze del nuovo tessuto teorico interpretativo.

 

Nella nostra trattazione cercheremo di sviluppare questa seconda possibilità di ricerca attraverso l’analisi di due personalità di primo piano nel panorama scientifico contemporaneo: Werner Heisenberg e Gaston Bachelard, entrambi legati in maniera diretta all’interpretazione ortodossa del quantismo e convinti assertori della necessità di procedere ad un rinnovamento complessivo del corredo concettuale che guida la ricerca epistemologica contemporanea. Le meditazioni heisenberghiane sulla natura e sugli scopi della scienza, sviluppate nel corso di una vita in cui l’impegno filosofico si è affiancato costantemente alla professione di fisico hanno costituito un patrimonio indispensabile nella ricostruzione  e nel chiarimento del suo pensiero, d’altro canto, il progetto di rinnovamento che si presenta, spesso,  semplicemente abbozzato negli scritti filosofici heisenberghiani trova una giusta collocazione nell’epistemologia storica di Gaston Bachelard  che,  nel pensiero di Sertoli può vedersi a buon ragione  “come l’epistemologia della scuola di Copenaghen.”

Heisenberg, insieme a Bohr può essere considerato il membro più influente della corrente ortodossa. A lui d’altro canto si deve la formulazione della meccanica matriciale che costituisce il nucleo teorico fondamentale della fisica quantistica, oltre naturalmente, alla definizione  delle  relazioni di indeterminazione e quindi della natura complementare delle variabili coniugate. Bachelard, d’altro canto,  è il primo filosofo della scienza a comprendere realmente la portata rivoluzionaria della nuova fisica  convincendosi che una epistemologia legata essenzialmente ad un affinamento logico e metodologico non poteva rendere conto della rivoluzione teorica in atto nelle nuove teorie fisiche. E’  comprensibile, allora, come la polemica bachelardiana diretta contro ogni forma di irrigidimento della funzione razionale, non si indirizzi semplicemente contro l’ontologizzazione metafisica delle categorie scientifiche utilizzate in ambito classico, ma anche contro i tentativi di legare la validità della scienza alla permanenza della sua struttura logica di fondo atta a semplificare la dinamica scientifica, ma incapace di rendere conto degli effettivi mutamenti della rivoluzione teorica in atto.  E’ in questo senso che, come afferma Ancarani, “Bachelard inaugura una epistemologia differenziata, contraria agli schematismi e alle semplificazioni generalizzanti (spesso fatta ad uso e giustificazione della scienza fatta dai manuali) e orientata, invece,  a cogliere l’impatto delle razionalità - nella loro molteplicità - entro situazioni epistemologiche reali” , come lo stesso ambiente culturale in cui si sviluppa la fisica quantistica.

Da questo punto di vista, il confronto costante che,  nell’opera che ci accingiamo ad introdurre, si è istituito tra il pensiero di Gaston Bachelard e quello Werner Heisenberg   costituisce il veicolo principale attraverso il quale giungiamo alla definizione di un modello di scientificità in cui gli esiti più problematici della fisica quantistica possono essere coerentemente inquadrati in una nuova comprensione razionale della dinamica scientifica compresa nella sua naturale processualità storica, al di là, dunque, da ogni tentativo sistematico di delineare un modello di sviluppo assoluto e nomologicamente organizzato.

 

Nel primo capitolo di questo scritto, dopo una breve introduzione storica in cui si cercherà di ripercorrere rapidamente alcune tappe cruciali del percorso scientifico che porta alla definizione della meccanica matriciale, cercheremo di analizzare in modo più dettagliato le problematiche filosofiche legate all’applicazione del principio di indeterminazione e all’enunciazione  del principio di complementarità.  L’impegno principale sarà quello di dimostrare l’impossibilità di superare le restrizioni imposte dalle relazioni di indeterminazione all’interno della meccanica quantistica evidenziando, d’altro canto, come, proprio nella presenza del principio di indeterminazione,  si consuma la reale distanza che separa la fisica classica da quella quantistica. La speranza di poter descrivere in termini causali  (in senso classico)  lo svolgimento di un sistema è resa vana, infatti, proprio dall’impossibilità di avere una conoscenza massimale del sistema. lo stesso principio di complementarità, da questo punto di vista, non è altro che una conseguenza diretta delle relazioni di indeterminazione.

In proposito al comportamento dualistico delle particelle elementari sarà descritta l’esperienza di Young attraverso la quale mostreremo come ogni aberrazione del senso comune è perfettamente compatibile con le previsioni matematiche della meccanica quantistica puntualizzando come questa situazione circoscriva chiaramente l’origine dei paradossi legati alla fisica dei quanti  nell’istituzione di momenti di confronto tra realtà teoriche tra loro incompatibili. Ciò dimostra che “nel mondo dei quanti” ci troviamo di fronte ad una realtà estranea all’intuitivo universo classico,  non descrivibile nello stesso linguaggio, non analizzabile attraverso la stessa logica.

Nel secondo capitolo, quindi, siamo pronti a delineare una sostanziale rottura epistemologica tra la meccanica newtoniana e quella quantistica, una frattura che si pone come momento problematico in ogni ricerca epistemologica tesa a delineare uno sviluppo razionale della scienza. L’esigenza del continuista, in effetti, è quella di delineare un processo di sviluppo cumulativo e sistematico capace di rispecchiare nei contenuti e nella forma la chiarezza e la razionalità di una legge scientifica. D’altro canto in una epistemologia storica come quella bachelardiana, “capace di mantenersi aderente all’oggettività immanente ad una metodologia del pensiero scientifico e a una storia della scienza” compresa  nella sua reale evoluzione, si richiede una lettura eterogenea del fenomeno scienza, una rottura dell’unità metodica e sistematica così come la si legge chiaramente negli sviluppi della fisica quantistica. Ecco emergere in tal modo uno sviluppo dialettico (in senso bachelardiano) del pensiero scientifico che alla sovrapposizione e, quindi all’omologazione di tessuti concettuali diversi, oppone la giustapposizione,  il confronto critico guidato da quei valori razionali dinamici che rappresentano il sostrato connettivo di ogni attività scientifica. Al dominio di una ragione totalizzante e unificatrice si sostituisce in tal modo la plurale dinamicità del pensiero razionale applicato che  evolve non attraverso la progressiva accumulazione, ma in conseguenza di un costante  movimento di rettifica.

L’aver individuato la presenza di un movimento dialettico nello sviluppo della scienza comporta un generale ripensamento dello stesso concetto di teoria scientifica. L’incommensurabilità che a  diversi livelli caratterizza il confronto tra  tessuti concettuali distinti fa si che la stessa teoria scientifica sia caratterizzabile  come  “una serie chiusa e coerente di concetti.” Nel terzo capitolo verrà affrontato questo problema cercando di evidenziare come, nella fisica contemporanea, il vettore epistemologico risulti chiaramente indirizzato dalla teoria verso l’esperienza e non viceversa. L’incommensurabilità che intercorre tra due universi paradigmatici, infatti è tale anche a livello metodologico e  la determinazione sensibile non può prescindere dal presupposto teoretico. L’annoso problema della theoryladenness diviene così un tema centrale in questa parte dell’opera e sarà affrontato attraverso le categorie bachelardiane di refonte e  problématique constituée. Le teorie scientifiche in questo modo organizzano il loro modo specifico di fare esperienza.

Una volta individuata la natura della teoria scientifica, nel quarto capitolo sarà necessario sviluppare una analisi dettagliata dell’universo referenziale a cui la teoria si riferisce, o meglio, che la teoria stessa determina. Nel pensiero heisenberghiano, così come nell’epistemologia di Bachelard, infatti, la realtà scientifica si costituisce come determinazione tecnica della stessa teoria di riferimento, in conformità a quella superiorità dell’elemento teorico su quello tecnico-sperimentale che è stata individuata in precedenza. La scienza, in questo contesto, non è più presentabile come il “pleonasmo dell’esperienza” in quanto l’oggetto scientifico,  perdendo il contatto con la cosa, diviene suroggetto al di là di ogni contaminazione sostanzialistica.  La teoria scientifica diviene così l’espressione di una surrealtà, di un universo pensato matematicamente e tecnicamente realizzato. Alla luce della fisica quantistica, “l’idea dell’obiettiva realtà delle particelle si è completamente dissolta” insieme all’illusione classica di riconoscere nella natura un sistema razionalmente organizzato.

Nella conoscenza scientifica moderna, si consuma cioè, il dramma “dell’uomo che incontra di fronte a sé, solo se  stesso.” Heisenberg, d’altro canto sembra enfatizzare, nelle sue parole, le accuse di soggettivismo che da più parti vengono mosse alla scuola di Copenaghen. A questo proposito, l’ultima parte di quest’opera sarà dedicata ad analizzare la natura della soggettività epistemica così come si delinea nella fisica quantistica e nell’epistemologia bachelardiana verso la definizione di un nuovo modello di scientificità fondato sulla natura intersoggettiva della comunità scientifica, sulla razionalità propria della cité savante. Una razionalità che certamente apparirà a prima vista più debole rispetto alla sistematica organizzazione di certi modelli evolutivi fondati con criterio scientifico, ma che, tuttavia, risulterà l’unica via capace di rendersi veramente contemporanea alla scienza del nostro tempo secondo un desiderio che fu già di Bachelard.

 

 

 

capitolo primo

 

 

LA FISICA DEI PARADOSSI: INDETERMINAZIONE E COMPLEMENTARITÀ

 

 

 

 1.  Cenni storici

 

E’ facile notare come il processo di sviluppo che ha determinato l’affermazione della meccanica quantistica, pur caratterizzandosi come evento di rilievo epocale nel panorama scientifico contemporaneo,  si costituisce, per lo storico della scienza, come momento indubbiamente problematico, capace di mettere in discussione, non solo parametri interpretativi acquisiti, ma, in maniera più consistente,  lo stesso valore intrinseco assunto da ogni processo conoscitivo svolgentesi in ambito scientifico. Questa natura anomala è evidente già nelle premesse: affermare che con la nascita della teoria dei quanti si assiste alla creazione di “una nuova visione scientifica dell’universo” , infatti,  appare evidente, nel contesto preso in esame,  già dalla frattura metodologica che si determina attraverso la sua formulazione, nel momento in cui ogni teoria di grande rilievo proposta in epoca precedente risulta fondamentalmente determinata dall’opera di un solo individuo: basti pensare alla relatività einsteiniana o alla meccanica newtoniana il cui nome, non a caso, risulta essere legato a quello dello scienziato che per primo le ha formulate. “Per la teoria dei quanti il caso è completamente diverso. Questa teoria si è sviluppata attraverso la collaborazione di molti individui, ciascuno dei quali ha portato un contributo essenziale, e ciascuno dei quali si è valso, nel suo lavoro, dei risultati degli altri.”

La natura di questa proficua socializzazione  è sì, da ricercarsi, in primo luogo, nell’estrema difficoltà che si incontra in ambito sperimentale, ma, probabilmente, questa va intesa anche in un senso più profondo, puntando l’attenzione proprio sul carattere anomalo attraverso il quale ha avuto corso il suo sviluppo, sulle difficoltà che emergono ponendo in confronto diretto la nuova realtà teorica che si va affermando, con la struttura paradigmatica classica. In proposito ci sembra d’uopo sottolineare che attraverso l’istituzionalizzazione  della meccanica quantistica,  non è cambiata soltanto la fisica, quanto il modo stesso di fare la fisica. Per dirla con Heisenberg, “La fisica moderna e specialmente la teoria dei quanti [...] hanno sollevato   una serie di problemi molto generali, che non hanno unicamente per oggetto le questioni attinenti alla fisica, ma addirittura il metodo delle scienze naturali esatte e lo studio della costituzione della materia. Questi problemi hanno costretto i fisici a riprendere lo studio di certe questioni filosofiche che in apparenza avevano già trovato una risposta definitiva nel rigoroso edificio scientifico della fisica classica.” Ciò che si richiede, dunque, é, secondo il fisico tedesco, una totale reversione della forma mentis con la quale fisici e filosofi si sono finora accostati ai problemi riguardanti la costituzione e la struttura del reale, nonché l’analisi della stessa disciplina scientifica.

In tal senso, ci troviamo di fronte, non semplicemente ad un momento di passaggio, ma ad una totale messa in discussione dei dogmi scientifici e filosofici su cui la scienza aveva fondato il suo dominio sulla natura nel corso degli ultimi trecento anni. L’inversione di rotta intrapresa attraverso l’affermazione del quantismo, non può, quindi, essere circoscritta nell’opera di un autore, essa va interpretata come un vero e proprio conflitto generazionale che impone l’abbandono di una determinata modalità di intendere la scienza e l’apertura, per contro, di una nuova prospettiva di ricerca secondo cui  “è in contrasto con lo spirito della scienza elevare a dogma un particolare sistema di risposte.”

In ciò, appare chiaro come lo sviluppo della fisica quantistica si configuri, non solo come  nuova prospettiva scientifica, ma, soprattutto come un nuovo modo di pensare la scienza e le sue conquiste. La formulazione della meccanica matriciale, ad esempio, come vedremo, non pone problemi di ordine logico-matematico. La sua eleganza formale racchiude, tuttavia, una serie di preoccupazioni di ordine filosofico relative all’oggettivazione delle relazioni logiche che intercorrono tra gli enti matematici. Il carattere di questa problematica evidenzia un mutamento di prospettiva radicale, in antitesi con il carattere suggestivo di un principio, come, per esempio, quello della relatività, che convince a prima vista e che conferma, pur nel suo carattere innovativo, l’apparato categoriale  metafisico della scienza classica. L’evidenza, posta a garanzia della chiara intuizione razionale, si scopre compromessa attraverso un profondo ribaltamento assiologico, in cui “il valore di un pensiero non dipende dal fatto che sia o no intuitivo, ma da quanto questo possa essere utile.”

 Questa affermazione di Planck non può che assumere  il carattere di una sfida verso il sapere istituzionalizzato ereditato dalla meccanica classica e di questa sfida egli è pienamente cosciente nel momento in cui, attraverso lo studio dei fenomeni legati alla emissione del corpo nero, si accinge a formulare l’ipotesi che lo scambio energetico tra radiazione e materia possa avvenire soltanto in modo discontinuo, attraverso multipli di una certa quantità minima di energia, un’ ipotesi, come egli stesso ricorda, introdotta  attraverso “un atto di disperazione”, dovuto all’impossibilità di codificare un determinato fenomeno attraverso gli schemi classici forniti dalla meccanica newtoniana.

L’introduzione di una costante proporzionale, all’interno di una relazione matematica, non si presenta certo come una novità nel panorama  della fisica teorica, tuttavia,  come afferma Heisenberg, la relazione di Planck si distingueva in un modo assai caratteristico dalle leggi naturali formulate in precedenza. “Se le leggi naturali più antiche, per esempio quella della meccanica di Newton, contenevano delle cosiddette costanti, queste designavano delle proprietà di oggetti [...]; invece, il quanto di azione di Planck, che appare come la costante caratteristica nella sua legge delle radiazioni, non rappresenta una proprietà di oggetti, ma una proprietà della natura. Essa stabilisce una distinzione secondo una scala di grandezze della natura e mostra perciò nello stesso tempo che, in ambienti in cui gli effetti risultano molto grandi rispetto al quanto di azione di Planck, i fenomeni naturali hanno un decorso diverso da quello in cui gli effetti sono dell’ordine di grandezza dell’atomo, dunque del quanto di Planck.”

In ciò è evidente il carattere problematico della nuova scoperta e la necessità, dunque, di fondare una nuova prospettiva di indagine capace di inquadrare l’introduzione della costante universale di Planck in un ambito teoretico distinto dalla fisica newtoniana. Un processo, questo, che, tuttavia, non appare indolore e risulta strettamente legato ad un generale cambiamento di prospettiva che coinvolgerà un’intera generazione di fisici. Una tale chiave di lettura, nello sviluppo del quantismo, è d’altro canto rintracciabile in un’ampia cornice bibliografica che si sviluppa fin dagli stessi anni in cui si va affermando la nuova teoria quantistica. L’imbarazzo di fronte alle prospettive sconcertanti che si aprono in seguito all’introduzione di un elemento di discontinuità nella fisica, appare evidente ne La conoscenza del mondo fisico, una raccolta di saggi di Max Planck,  ma è rintracciabile nelle  opere dello stesso Heisenberg. In  Discussioni sulla fisica moderna  emerge chiaramente il carattere conflittuale delle relazioni intercorse tra due scuole di ricerca fondate su valori diametralmente opposti. Un ampio confronto su queste tematiche è rappresentato, inoltre, dall’intenso carteggio intercorso tra Einstein e Bohr e raccolto da quest’ultimo in Briefwelcheel 1916-1955,  oltre alla raccolta di saggi in onore di Einstein, curata da Schilpp.

L’analisi di queste opere pone, in un certo qual modo, l’introduzione della costante di Planck come elemento cardine da cui scaturisce la rivoluzione quantistica e da cui prende avvio una discussione talmente ampia da coinvolgere, ben presto, l’intero edificio della scienza. Non è un caso, infatti, che l’articolo pubblicato da Einstein nel 1905, Un punto di vista euristico relativo alla generazione e alla trasformazione della luce, riprende l’intuizione di Planck estendendo il concetto di quantizzazione energetica  a tutti i tipo di radiazioni elettromagnetica, un contributo, come vedremo, di fondamentale importanza per la realizzazione di un tessuto teorico coerente capace di rendere conto dei complessi fenomeni atomici.

Si apre, quindi, attraverso l’introduzione di una semplice ipotesi, una reazione a catena che secondo Erwin Schroedingher porterà a concepire “un’immagine della realtà materiale vacillante e malsicura”, un’immagine del reale che si contrappone all’impianto deterministico contenuto nelle intuitive leggi della meccanica classica.

“Nel secolo decimonono” afferma ancora Heisenberg “ si consideravano gli atomi della chimica e le loro parti [...] come ciò che esiste veramente, come il substrato reale di ogni materia. Sembrava che l’esistenza degli atomi non fosse suscettibile di spiegazione e nemmeno ne esigesse.” La scoperta di Planck, tuttavia, determina il nascere di un nuovo interesse verso lo studio della fisica atomica, un interesse che si impone in maniera del tutto particolare, in modo cioè, che “le leggi naturali formulate in termini matematici non determinino più i fenomeni stessi, ma la loro possibilità, la probabilità che succeda qualche cosa.”

Il carattere statistico della teoria dei quanti, infatti, è naturalmente determinato dall’introduzione di un elemento di discontinuità nei processi di irraggiamento, quale la costante universale di Planck e come ci ricorda Heisenberg “Il primo tentativo di studiare a fondo la natura statistica delle leggi della teoria dei quanti fu intrapreso  nel 1924 da Bohr, Kramers e Slater.” In questo modello, l’introduzione del   cosiddetto “campo di radiazione virtuale”  consentiva la spiegazione di determinati fenomeni di interazione tra radiazione e materia, prescindendo da meccanismi causali e dal concetto di traiettoria, attraverso l’introduzione di appositi strumenti statistici.

  L’opera di sistemazione intrapresa da Heisenberg nel corso del 1925, tuttavia, è frutto di una profonda insoddisfazione nei confronti del modello  proposto da Bohr: “Il mio punto di vista sulla meccanica” scriverà il fisico tedesco in quegli anni “diviene, di giorno in giorno più radicale. [...] Sono realmente convinto che un’interpretazione delle formule di Rydberg nel senso delle orbite circolari ed ellittiche della geometria classica non ha il minimo significato fisico, e tutti i miei poveri sforzi sono diretti a distruggere del tutto e a rimpiazzare appropriatamente il concetto di orbite che tanto non si possono osservare”. Bisogna tener conto, infatti, che il principio di corrispondenza introdotto da Bohr nel primo lustro degli anni venti, forniva un opportuno collegamento tra la fisica classica e la meccanica quantistica, un collegamento che, tuttavia, come ricorda Heisenberg, poneva seri problemi anche al suo ideatore: “il fatto che accettando questa teoria, non si riuscissero ad accordare le frequenze orbitali degli elettroni con le frequenze della radiazione emessa dall’atomo, fu sentito anche dallo stesso Bohr come una contraddizione quasi insostenibile” , scriverà.

La critica di Heisenberg, dunque, era diretta proprio ad eliminare ogni tentativo di conciliazione tra la fisica classica e la nuova teoria atomica. Gli esperimenti eseguiti da Ruthenford, interpretati secondo le leggi classiche,  facevano pensare ad un atomo la cui carica positiva era fortemente concentrata in un nucleo centrale, mentre quella negativa era diffusa nel volume circostante. Gli elettroni, in questo modello, avrebbero dovuto comportarsi come dei satelliti in rotazione attorno al nucleo, ma in tal modo era difficile spiegare la sorprendente stabilità dell’atomo. Secondo la meccanica classica,  gli elettroni avrebbero dovuto perdere energia con frequenze distribuite in modo continuo  portando  il sistema al collasso in un tempo assai breve. In realtà, gli atomi si presentavano stabili e l’emissione di energia avveniva in modo discontinuo, attraverso frequenze ben definite, rappresentabili in spettri a righe. Questo fenomeno, secondo Heisenberg, poteva essere spiegato agevolmente attraverso l’introduzione dell’ipotesi einsteiniana del quanto di luce, che, però, Bohr non accettava . Egli ipotizzò che durante il processo di irraggiamento, l’elettrone cessi di emettere radiazioni in determinate orbite che chiamò stati stazionari discreti. Secondo questo modello, l’irraggiamento avviene nel momento in cui l’elettrone passa da uno stato stazionario all’altro, e  il tempo in cui l’elettrone si trova nello stato stazionario è molto più lungo di quello necessario al passaggio. Tuttavia, “questo rapporto tra tempi, non poté mai essere chiarito in maniera sufficiente” , inoltre, restava incompreso il motivo per cui un elettrone, in un orbita stazionaria non produce alcuna radiazione. “L’esistenza di atomi stabili con caratteristiche  ben determinate e sempre uguali [...], in una quantità che può essere paragonata con il numero totale di tutti i sistemi atomici è per la meccanica classica del tutto incomprensibile e costituisce la dimostrazione di connessioni di altro tipo” , scriverà Heisenberg in proposito.

In particolare, nel modello atomico di Bohr,  erano presenti alcune grandezze caratteristiche delle orbite, legate alla meccanica ondulatoria classica, che mai comparivano nei dati sperimentali. Questo fatto portò il fisico tedesco  alla ricerca di una teoria che si limitasse a spiegare soltanto ciò che era direttamente osservabile, puntando l’attenzione, non più sulla definizione dei moti orbitali, ma sulle probabilità di transizione energetica, ampiamente documentata dai dati sperimentali.

La formulazione matematica dell’ipotesi di Heisenberg si rivelò, in realtà, più ardua del previsto: in particolare, il giovane fisico notò che la relazione tra le due grandezze fondamentali, la velocità e la posizione, generava una stranezza particolare, il loro prodotto, infatti, doveva essere calcolato, non attraverso i procedimenti tradizionali, ma servendosi di una particolare procedura matematica che non generava le condizioni classiche della commutazione tra i termini di un prodotto. Pur nella perplessità derivata dal raggiungimento di risultati non previsti, Heisenberg mostrò il suo lavoro a Max Born di cui all’epoca era assistente e questi non tardò ad interpretare il simbolismo matematico introdotto dal suo allievo come un calcolo tra matrici, un procedimento da tempo noto ai matematici e caratterizzato dal fatto che il prodotto tra di esse è quasi sempre non commutativo. La geniale intuizione di Heisenberg verrà completata di li a poco dallo stesso Born, che in collaborazione con Pascual Jordan formalizzò un rigoroso strumento matematico, perfettamente aderente alle esigenze della nuova meccanica quantistica. 

L’importanza e l’attenzione con la quale erano seguite le ricerche di Heisenberg è testimoniata da un articolo del 1925 firmato da Niels Bohr. Egli scrive: “Molto recentemente Heisenberg [...] ha probabilmente realizzato un progresso di fondamentale importanza, riformulando i problemi della teoria quantistica in un modo che si spera possa servire ad evitare le difficoltà connesse all’uso di modelli meccanici classici. In questa teoria si tenta di ritrascrivere in forma adeguata alla natura della teoria quantistica ogni concetto meccanico, avendo cura che ad ogni stadio del calcolo intervengano solo quantità direttamente osservabili. In contrasto con la meccanica ordinaria, la nuova meccanica quantistica non si propone di dare una descrizione spazio-temporale del moto delle particelle, essa opera con un insieme di grandezze che simbolizzano la possibilità di transizione tra stati stazionari dell’atomo”. Con un’audace combinazione di dati sperimentali, requisiti di simmetria e intuizioni matematiche, Heisenberg costituì il primo fondamento della moderna fisica teorica, tuttavia, come ricorda Selleri, “Il risultato finale lasciò poco spazio all’intuizione fisica.”

In questo passo, l’autore di Paradossi e Realtà fornisce sicuramente un’osservazione mirata tant’è che in quel periodo l’operazione più complessa sarà quella di fornire un plausibile senso fisico ad una teoria che rinunciava completamente a nozioni come l’orbita dell’elettrone, sostituendo la grandezza posizione con una matrice di numeri complessi di dimensione infinità. Risponde certamente al vero l’affermazione secondo cui “l’impossibilità di oggettivare nel senso consueto le grandezze di stato, deriva nel modo più evidente dal carattere matematico astratto di queste grandezze” ,  tuttavia, proprio sul tema del significato fisico da attribuire al modello matematico di Heisenberg,  si interesseranno i dibattiti scientifici degli anni seguenti, una serie di scontri ideologici che porteranno lo scienziato a formulare, come diretta conseguenza della meccanica delle matrici, il principio di indeterminazione. I fondamenti di tale principio, in realtà, erano già presenti nella stesura definitiva della meccanica matriciale elaborata da Bohr e Jordan, tuttavia furono ancora necessari due anni prima di giungere ad una sua completa definizione, che Heisenberg esporrà nell’articolo Sul contenuto intuitivo della meccanica e della cinematica quanto-teoriche apparso in Zeitschrift fur Physik nel 1927.

Comprendere i motivi di questo ritardo nell’afferrare la reale portata delle proprie intuizioni, ci aiuterà ad interpretare con maggior chiarezza i contenuti rivoluzionari espressi in questo articolo, per cui sarà necessario ripercorrere sinteticamente i principali avvenimenti che intercorsero dalla presentazione della meccanica matriciale alla definizione del principio di indeterminazione. Precedentemente abbiamo mostrato in maniera esauriente le considerazioni che spingevano Heisenberg ad intraprendere la sua ricerca. Fin dall’inizio, il suo scopo era quello di abbandonare ogni tentativo di definire grandezze non osservabili come la traiettoria, l’orbita o la posizione di una particella, tuttavia, gli stessi fisici teorici, nel discutere determinati fenomeni fisici, non potevano evitare il riferimento a tali concetti. Questa situazione ambigua era perfettamente nota anche a Bohr e ad Heisenberg e secondo Selleri viene dimostrata dal fatto che i loro articoli, in questo periodo contengono spesso il termine paradosso.

Heisenberg, in questo periodo, è profondamente convinto che il contenuto teorico della meccanica quantistica sia ormai definitivo, egli, tuttavia, si interroga ancora sulle problematiche legate alla connessione tra la parte teorica e quella sperimentale. In sostanza il nodo cruciale è rappresentato dal significato intuitivo da attribuire alla costruzione teorica della meccanica matriciale e proprio su tale interpretazione si assiste, nel 1926, ad un serrato confronto che coinvolge Bohr, Schroedinger e lo stesso Heisenberg. Nel corso di quell’anno, infatti, il fisico austriaco  sviluppa un modello meccanico conosciuto come meccanica ondulatoria, una teoria attraverso la quale Schroedinger pensò di poter dare una descrizione classica dello stato stazionario discreto, attraverso una funzione d’onda che sarà denominata  in seguito equazione di Schroedinger. Lo scontro tra le due opposte concezioni divenne inevitabile e si risolse, in un breve lasso di tempo, a favore dei fisici di Copenaghen. La teoria ondulatoria, infatti, si dimostrò perfettamente equivalente alla meccanica delle matrici, tuttavia, questo ulteriore sviluppo, non concluse in maniera definitiva la questione inerente l’interpretazione fisica delle teorie matematiche .

 L’interesse di fisici come Schroedinger o Einstein era quello di un ritorno ai canoni classici della fisica, verso la ricerca, cioè, di un modello di realtà intuitivo e rispondente ai canoni deterministici e causali tipici dei modelli matematico-deduttivi elaborati dalla fisica classica. In questo senso, una profonda differenza sull’intendere i caratteri e gli scopi della scienza, porta da più parti, ad identificare i fisici di Copenaghen come esponenti di una vera e propria scuola filosofica le cui convinzioni si inseriscono, come sfondo ideale, a supportare i caratteri rivoluzionari delle loro teorie fisiche. Una tematica, questa, di grande importanza nel tentativo di delineare lo sviluppo della fisica dei quanti come momento di rottura epistemologica intervenuta nel processo evolutivo della scienza moderna.

Nonostante le numerose critiche mosse in tal senso, tuttavia, l’impronta filosofica che guida lo sviluppo di una nuova teoria fisica non può, secondo noi, essere interpretata attraverso la denotazione di caratteri preconcetti, tali da compromettere l’obiettività del risultato, anzi, alla luce della nuova costruzione teoretica, appare evidente che una determinata visione del fenomeno scientifico abbia semmai costituito un indubbio potere esplicativo, teso all’apertura di nuovi sentieri di ricerca. In definitiva, cioè, è innegabile che lo sviluppo della meccanica quantistica sia legato ad un determinato ambiente filosofico, ciò, d’altro canto, è  riscontrabile in alcune ricerche biografiche ed epistemologiche intraprese in tempi recenti. Citerò a tal proposito il saggio di Feuer, Einstein e la sua generazione, oltre alla biografia scientifica di Heisenberg redatta da David C. Cassidy, e pubblicata col titolo di Un’estrema solitudine. Una precisa impronta filosofica, inoltre è riscontrabile in gran parte delle opere di Bohr, basti ricordare Teoria dell’atomo e conoscenza umana o I quanti e la vita. Tutto ciò, comunque, non costituisce certo un freno al potere esplicativo della meccanica quantistica, ma, semmai, il fertile terreno su cui certe idee possono maturare e raggiungere il proprio compimento. La dimostrazione di ciò è riscontrabile proprio nel carattere filosofico che investe la speculazione di Heisenberg. In una puntuale monografia, Gembillo fa notare come “Heisenberg abbia mostrato una sensibilità e un gusto particolari per le speculazione teoretiche, recando un importantissimo contributo alla delineazione di una nuova immagine del mondo emergente dalle rivoluzionarie scoperte del nostro tempo. Non è un caso, infatti, - continua Gembillo - che fin da quando aveva soltanto diciannove anni poteva dichiarare -riferendosi alle teorie di Planck e di Einstein - che di esse lo interessavano maggiormente proprio le idee filosofiche.” Nell’introduzione di Scienza e vita, lo stesso Heisenberg scrive: “Ogni lavoro scientifico si sviluppa, consciamente o inconsciamente, a partire da una impostazione filosofica, da una determinata struttura mentale, che fornisce al pensiero un fondamento stabile. Senza una simile impostazione, difficilmente i concetti e i nessi concettuali potrebbero conseguire quel grado di chiarezza ed univocità che è il presupposto di ogni lavoro scientifico.”

 L’interesse per le tematiche filosofiche legate alla scienza, d’altro canto, rappresentano una costante in tutti gli scritti di Heisenberg e proprio questo interesse speculativo, unito alle accese discussioni intrattenute con Schroedinger portarono il fisico tedesco, nel corso del 1927, ad una nuova riflessione tesa a chiarire quei presupposti metodologici che egli stesso aveva posto a fondamento della meccanica matriciale. Attraverso il ripensamento del postulato di osservabilità che aveva rappresentato lo strumento euristico in grado di guidarlo verso la determinazione di uno schema matematico coerente, Heisenberg, conseguì un risultato imprevisto,  teso a reinterpretare il carattere non commutativo del prodotto tra i valori delle grandezze fondamentali velocità e posizione e dimostrando illusoria la convinzione secondo la quale non esisterebbero limiti di principio alla nostra capacità di osservare i fenomeni.

 

E. Severino, La filosofia contemporanea, Rizzoli, Torino 1986, p. 14.

H. G. Gadamer, La ragione nell’età della scienza, trad. it., Il Melangolo, Genova 1982, p. 17.

Molto recentemente, per esempio, è stata presentata al workshop Conseguenze filosofiche della fisica quantistica tenutoaCesena per la celebrazione del centenario del quanto d’azione, una teoria cosiddetta del realismo semantico in cui Garola, il suo ideatore, cerca di recuperare la località e l’oggettività di un microsistema, quindi la possibilità di avere un’informazione massimale sullo stesso, attraverso una riduzione della validità delle leggi fisiche. Informazioni sul materiale trattato nel corso del convegno sono reperibili al sito http:// www.line.net/icephy.

P. Redondi,  Epistemologia e storia della scienza. Le svolte teoriche da Duhem a Bachelard, Feltrinelli, Milano 1978, p. 63.

 

G. Sertoli, Le immagini e la realtà, cit., p. 40. In merito Sertoli scrive ancora nello stesso saggio: “ Lo sforzo di Einstein è stato quello di fornire pur sempre, una volta teorizzata la relatività di ogni enunciato, un modello complessivo dell’universo che non fosse, esso, relativo, bensì entro il quale si collocasse ogni enunciato relativo. Da questo punto di vista, allora, Einstein appare a Bachelard - e tale era già apparso prima a Planck, a Bohr e a De Broglie - come il culmine della fisica classica.”  G. Sertoli, Le immagini e la realtà,  cit., p. 40.

V. Ancarani, Struttura e mutamenti nelle scienze, L’epistemologia storiografica di Gaston Bachelard, Franco Angeli, Milano 1981.

 

P. Redondi,  Epistemologia e storia della scienza. Le svolte teoriche da Duhem a Bachelard, cit., p. 64.

E’ un affermazione usata da Heisenberg  proprio per descrivere l’intraducibilità di un determinato complesso teorico. Cfr. W. Heisenberg, Fisica e Filosofia, trad. it., Il Saggiatore, Milano 1961, p. 101.

G. Bachelard, Il razionalismo applicato, trad. it., Dedalo, Bari 1975, p. 52.

W. Heisenberg, Natura e Fisica moderna, trad. it., Garzanti, Milano 1985, p. 42.

 

W. Heisenberg, Natura e Fisica moderna, trad. it., Garzanti, Milano 1985, p. 49.

W. Pauli, Fisica e conoscenza, trad. it., Boringhieri, Torino 1964, p. 23.

H. Reichenbach, I principi filosofici della meccanica quantistica, trad. it., Boringhieri, Milano 1954, p.7.

W. Heisenberg, Discussioni sulla fisica moderna, trad. it., Boringhieri, Torino 1980, pp. 4-5.

W. Heisenberg, Oltre le frontiere della scienza, trad. it., Editori Riuniti, Roma 1984, p. 25.

M. Planck, La conoscenza del mondo fisico, trad. it., Boringhieri, Torino 1964, p. 203.

L’assorbimento o l’emissione di energia da parte di un atomo è espressa dalla relazione e = hn in cui h rappresenta la costante universale di Planck e n il valore della frequenza della radiazione. Per un ulteriore approfondimento sul senso fisico della relazione cfr. B. Ferretti  Fisica atomica, Editrice Studium, Roma 1953, pp. 60-62; Wichmann  E. V. H., La fisica di Berkeley 4. La fisica Quantistica, trad. it., Zanichelli, Bologna 1973, pp. 27-40.

W Heisenberg, Discussioni sulla fisica moderna, cit., p. 7.

E. Schroedinger, L’immagine attuale della materia, saggio contenuto in W. Heisenberg, Discussioni sulla fisica moderna,  cit.,  p. 35.

  W. Heisenberg, Discussioni sulla fisica moderna,  cit., p. 6.

W. Heisenberg, Discussioni sulla fisica moderna,  cit.,  p. 10.

 

W. Heisenberg, Discussioni sulla fisica moderna,  cit.,  p. 9.

Cfr. W. Heisenberg, Indeterminazione e realtà, trad. it.,  Guida editori, Napoli 1991, p. 11.

Cit. da G. Tagliaferri, Storia della fisica quantistica. Dalle origini alla meccanica ondulatoria, Angeli, Milano 1985, pp. 354-355.

W. Heisenberg, indeterminazione e realtà,  cit., p. 53.

W. Heisenberg, indeterminazione e realtà,  cit., p. 35.

W. Heisenberg, indeterminazione e realtà,  cit., p. 35.

W. Heisenberg, indeterminazione e realtà,  cit., p. 125.

N. Bohr, Teoria dell’atomo e conoscenza umana, trad. it., Boringhieri, Torino 1961, pp. 319-320.

F. Selleri, Paradossi e realtà. Saggi sui fondamenti della microfisica. Laterza, Bari 1987,  p. 123.

W Heisenberg, Indeterminazione e realtà,  cit.,  pp. 119-120.

W Heisenberg, Indeterminazione e realtà,  cit.,   p.123

Un ulteriore chiarimento sullo sviluppo della meccanica delle matrici e sulla sua integrazione col modello ondulatorio di Schroedinger, cfr. W. Heisenberg, Mutamenti nelle basi della scienza, Boringhieri, Torino 1960, pp. 20-37.

L’interpretazione fisica dell’equazione di Schroedinger è dovuta all’opera di Born, secondo cui, essa non denota la vibrazione di un qualunque mezzo fisico, ma soltanto la probabilità di trovare una particella in un intorno di misura unitaria del punto dove la funzione viene calcolata. Tale probabilità risulta essere uguale al quadrato del modulo di y. Per un ulteriore chiarimento su questo argomento cfr. E. V. H. Wichman, La fisica di Berkeley 4. La fisica quantistica,  cit., pp. 285-328. Una chiara interpretazione dell’ipotesi statistica di y, è rintracciabile nel saggio di W. Heitler, Distacco dal pensiero classico nella fisica moderna, contenuto in P.A. Schilpp, Einstein scienziato e filosofo, trad. it., Boringhieri, Torino 1958, pp. 127-147.

G. Gembillo, Werner Heisenberg. La filosofia di un fisico, Giannini editore, Napoli 1987, pp. 6-7. E’ da notare in proposito quanto affermato da Khun, secondo cui l’insorgere del dibattito filosofico si determini come sintomo di passaggio dalla ricerca normale a quella straordinaria. Cfr. T.S. Khun, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, trad. it., Einaudi, Torino, 1978, p. 118.

W. Heisenberg, introduzione a A. Einstein - M. Born, Scienza e vita, trad. it., Einaudi, Torino 1973, p. XII.

Cfr. a tal proposito il saggio su Heisenberg di G. Gembillo contenuto nell’opera curata da A. Nigri, Novecento Filosofico e scientifico. Protagonisti, Marzurati Editore, Milano 1991, vol. IV, pp. 781-816.

 

Fonte: http://www.ousia.it/content/Sezioni/Temi/Tesi/UnNuovoModello.doc

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Autore del testo: D. Bartolini

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