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Spettroscopia
Nel 1897 si ha la prova dell’esistenza di particelle subatomiche: gli elettroni.
La moderna fisica atomica trae origine dalla spettro della luce emessa da varie sorgenti.
DEF Spettro à insieme di radiazioni emesse o assorbite espresse in funzione delle lunghezze d’onda o delle frequenze (scomponibili tramite un prisma).
Classificazione degli Spettri:
Nelle figure seguenti alcuni esempi di spettri di emissione; nel primo caso sono indicati solo i colori corrispondenti alle lunghezze d’onde emesse, mentre nel secondo caso è indicata secondo una curva anche l’intensità di emissione.
Dagli esperimenti di Bunsen e Kirchhoff si è arrivati alla conclusione che la frequenza delle righe spettrali caratterizza la natura chimica degli elementi considerati. Infatti non esistono spettri comuni a due elementi differenti, mentre può accadere che un unico elemento possa emettere spettri diversi a seconda del grado di eccitazione.
Per unificare il concetto di spettro di emissione a quello di assorbimento Kirchhoff formulò il principio di inversione dello spettro che ci dice che …
ogni sostanza è in grado di assorbire quelle radiazioni che è anche in grado di emettere
L’analisi degli spettri delle sostanze ha portato:
Esempi:
In conclusione per mezzo della spettroscopia si può riconoscere la presenza di un elemento in un miscuglio, infatti l’esame sistematico degli spettri di emissione (esteso anche all’infrarosso e all’ultravioletto) permise di costruire mappe accurate degli elementi conosciuti e di identificare nuovi elementi passati fino ad allora inosservati (in quanto il loro spettro non era ancora stato catalogato).
Si osservò inoltre che gli spettri diventavano sempre più complessi man mano che si passava dagli atomi più leggeri a quelli più pesanti e che gli spettri delle sostanze molecolari presentavano un elevatissimo numero di righe. Questi fatti suggerivano che lo spettro di una sostanza dovesse essere in qualche modo legato alla struttura dei suoi atomi e delle sue molecole.
La radiazione emessa dalle sorgenti può essere analizzata mediante uno spettroscopio di Kirchhoff – Bunsen. Nello schema una luce proveniente dalla sorgente S è inviata attraverso una sottile fenditura F regolabile in un collimatore in modo da rendere il fascio parallelo tramite l’utilizzo di una lente convergente. La luce collimata viene fatta incidere su un prisma P collocato su una piattaforma girevole. La luce dispersa nelle sue componenti cromatiche può essere osservata mediante il cannocchiale C. Un collimatore portascala proietta l’immagine di una scala graduata nell’oculare del cannocchiale mediante riflessione su una faccia del prisma. Ruotando il cannocchiale è possibile osservare l’intero spettro di emissione.
Collimatore portascala
2. Lo spettro dell’atomo di idrogeno
Il primo passo per indagare a struttura degli atomi partendo dai relativi spettri di emissione fu compiuto da Balmer studiando l’atomo di idrogeno (il più leggero e il più facile da studiare).
Balmer individuò una formula sperimentale in grado di individuare una serie (serie di Balmer) di righe spettrali dell’atomo:
con e n = 3,4,5,…
Spesso tale formula è indicata per trovare invece della frequenza il numero d’onda , mantenendo una formula analoga a patto di modificare il valore della costante R:
con e n = 3,4,5,…
Successivamente si è arrivati ad una generalizzazione di tale formula in modo da poter individuare tutte le serie di righe spettrali (Formula di Ritz):
con
che ad esempio per l’idrogeno possono essere riassunte dalla seguente tabella
Valore di |
Valori di n |
Nome Serie |
Area di radiazione |
1 |
2,3,4,… |
Serie di Lyman |
Ultravioletto |
2 |
3,4,5,… |
Serie di Balmer |
Visibile |
3 |
4,5,6,… |
Serie di Paschen |
Infrarosso |
4 |
5,6,7,… |
Serie di Brackett |
Infrarosso |
3. Lo spettro del corpo nero
Si è visto con lo studio delle onde elettromagnetiche che la materia riceve continuamente energia dal campo elettromagnetico (tramite un fenomeno denominato assorbimento) restituendo a sua volta energia al campo elettromagnetico (emissione) quando opportunamente stimolata.
Alla luce di ciò possiamo definire due nuove grandezze fisiche:
Potere emissivo à rappresenta l’energia irradiata nell’unità di tempo dall’unità di superficie in funzione della frequenza e della temperatura T del corpo ed è quindi misurata in .
Potere assorbente à rappresenta il rapporto tra l’energia assorbita dal corpo e quella incidente ed è quindi un numero puro .
Dallo studio di tali grandezze Kirchhoff, sulla base su considerazioni sull’equilibrio termodinamico dei corpi, era arrivato a concludere che il rapporto tra potere emissivo e potere assorbente è lo stesso per tutti i corpi:
Ora se definiamo corpo nero il corpo che ha , tale corpo avrà anche il massimo potere emissivo , ossia l’intensità alle varie frequenze (spettro del copro nero) dipende solo dalla temperatura del corpo. In particolare all’aumentare della temperatura il corpo nero inizia ad emettere luce: in un primo momento luce rosso scura, poi arancione, gialla ed infine bianca.
Nel grafico precedente la quantità totale (su tutte le frequenze) di energia emessa per unità di tempo e superficie è regolata dalla legge di Stefan – Boltzmann à in cui .
La legge di Wien regola invece sperimentalmente la frequenza in cui si ottiene il massimo di emissività .
Il problema sorge quando interpretando le leggi dell’elettrodinamica classica si ottiene la funzione di emissività del corpo nero secondo la legge (tratteggiata nella figura) che si trova in aperto contrasto con l’osservazione empirica per le frequenze superiori ad un certo valore (catastrofe ultravioletta).
4. L’ipotesi quantistica di Planck
Per interpretare correttamente i dati sperimentali sull’emissività del corpo nero Planck arrivò a postulare che …
… ogni scambio di energia può avvenire solo per multipli interi di una quantità minima fondamentale legata proporzionale alla frequenza (della carica oscillante) considerata.
Tale quantità di energia minima (denominata quanto di energia) era ricavabile quindi da un equazione del tipo .
Seguendo questa ipotesi si può osservare che :
In particolare la formula precedente era in grado di interpretare correttamente la curva sperimentale di emissione del copro nero se si poneva (denominata costante di Planck).
5. Effetto fotoelettrico
Nel 1887 Hertz aveva casualmente scoperto che illuminando una placca metallica con una radiazione ultravioletta il metallo si caricava elettricamente. Solo dopo che gli elettroni furono ufficialmente riconosciuti da Thomson si capì che il fenomeno (denominato effetto fotoelettrico) era dovuto all’emissione di elettroni provocata nel metallo da radiazioni di opportuna frequenza.
L’effetto fotoelettrico risulta quindi essere l’emissione di elettroni da parte di metalli colpiti da radiazione luminosa o ultravioletta.
Dai risultati dell’esperimento si possono ricavare 3 leggi che regolano tale fenomeno:
6. Equazione di Einstein e fotoni
La teoria classica che sosteneva che l’emissione fosse dovuta solo all’assorbimento di energia da parte degli elettroni non era però in grado di giustificare i punti 1 e 3 in quanto non giustificava perché al di sotto di certe frequenze anche con intensità molto alte l’emissione di elettroni non avvenisse.
La via per superare queste difficoltà di interpretazione fu indicata da Einstein che sviluppò l’ipotesi della quantizzazione della materia introdotta da Planck.
Secondo Einstein l’energia raggiante di frequenza è costituita da uno sciame di quanti (denominati successivamente fotoni) che viaggiano alla velocità della luce ciascuno portatore di una energia indivisibile pari a . In questo modo un elettrone per essere espulso dall’atomo deve ricevere tutta in una volta una energia dove rappresenta il lavoro minimo necessario a tale espulsione (che dipende dalla profondità a cui si trova l’elettrone stesso nell’atomo). A questo punto è facile ricavare il valore della soglia fotoelettrica pari a e giustificare la prima legge dell’effetto fotoelettrico.
In modo del tutto analogo siamo ora in grado di giustificare la terza legge che indicava una energia cinetica massima tramite la legge ; infatti variando l’energia incidente varierà il numero di fotoni presenti, ma non l’energia di ciascun fotone e di conseguenza varierà il numero di elettroni emessi ma non la loro velocità.
Misure molto precise mostrarono che il valore della costante h è uguale alla costante di Planck e tale fatto confermò la teoria di Einstein ed il ruolo fondamentale svolto dalla costante di Palnck nei fenomeni che avvengono su scala atomica.
La soluzione data da Einstein al problema dell’effetto fotoelettrico riapriva però la questione sulla natura della luce che sembrava essersi chiusa con la vittoria dei sostenitori della teoria ondulatoria.
Esercizio) Un certo metallo presenta un lavoro di estrazione degli elettroni di 3eV. Determinare la sua frequenza di soglia fotoelettrica.
Esercizio) La lunghezza d’onda di soglia fotoelettrica per un metallo dato è 350nm. Quanto vale il lavoro di estrazione degli elettroni.
Esercizio) Sapendo che l’occhio umano ha la massima sensibilità per e che per tale lunghezza d’onda sono sufficienti 5 fotoni per provocare la sensazione visiva; determinare la minima quantità di energia per eccitare l’occhio
Effetto Compton
Consideriamo una radiazione monocromatica (ad esempio di raggi X) che attraversi una sottile lamina di grafite. Si può osservare sperimentalmente che gran parte della radiazione diffusa dalla lamina presenta una frequenza minore della radiazione incidente. Tale osservazione sperimentale era però in aperto contrasto con la teoria elettromagnetica classica che prevede che la radiazione diffusa sia di pari frequenza rispetto a quella incidente.
Per interpretare questo fenomeno però basta supporre che lo spostamento della lunghezza d’onda sia una conseguenza diretta dell’urto supposto elastico tra i fotoni della radiazione incidente e gli elettroni della grafite più debolmente legati al nucleo. Infatti detta l’energia del fotone incidente se l’elettrone acquista energia in seguito all’urto al fotone rimarrà un’energia minore di quella iniziale . In questo caso il quanto di energia non muore completamente come nell’effetto fotoelettrico, bensì dopo aver espulso l’elettrone viene emesso con minore energia e quindi minor frequenza.
7. Fluorescenza e fosforescenza
Abbiamo visto che in generale quando un corpo aggiunge energia sotto forma di luce incidente, una parte dell’energia assorbita andrà ad aumentare la temperatura del corpo mentre un’altra parte è subito riemessa.
Tale parte di energia riemessa sotto forma di radiazione sarà pertanto minore di quella totale assorbita. Ciò significa che la lunghezza d’onda della luce emessa sarà maggiore di quella incidente in quanto il fotone emesso avrà frequenza minore di quello assorbito.
Legge di Stokes à ossia
Questo processo di emissione è detto fluorescenza ed avviene solitamente nel tempo di qualche millisecondo.
Per renderci conto sperimentalmente di tale fenomeno possiamo illuminare con luce ultravioletta (e quindi non osservabile ad occhio nudo) un corpo che inizierà ad emettere luce che non potrà essere luce riflessa.
Si ha invece il fenomeno della fosforescenza quando la luce assorbita anziché essere immediatamente riemessa è immagazzinata e riemessa in tempi più lunghi.
Un caso tipico di fosforescenza è quello del solfuro di calcio che dopo essere stato esposto alla luce, portato all’oscurità continua ad emettere per molte ore una viva luce bluastra. Il fosforo usato per la fabbricazione degli schermi fosforescenti è costituito da solfuro di zinco contenente piccole quantità di manganese, bismuto o rame.
Queste sostanze sono caratterizzate da una lunga durata dell’emissione e da una forte dipendenza dalla temperatura. L’aumento della temperatura riduce fortemente la durat della luce riemessa ma ne cresce la brillanza. Quando si spegne il televisore in una stanza buia si può osservare per alcuni minuti sullo schermo la luce di fosforescenza a temperatura ordinaria. Se invece si avvicina allo schermo una sorgente di calore, la zona riscaldata brillerà fortemente traducendo nettamente i suoi contorni in un tempo più breve.
Fonte: http://www.visus01.altervista.org/files/11_Spettroscopia_e_quanti.doc
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