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La storia della chimica
La chimica come moderna disciplina scientifica si è sviluppata in tempi relativamente recenti, ma come insieme di tecniche e di attività indirizzate alla estrazione e alla trasformazione delle sostanze ha una storia molto antica che si confonde con le origini stesse dell’uomo. Si ritiene infatti che questa disciplina sia iniziata quando l’uomo ha imparato ad utilizzare il fuoco per estrarre i metalli dai loro minerali, per associarli in leghe, per produrre vetro, per cuocere l’argilla al fine di ottenere mattoni e vasellame e per cuocere il cibo. Successivamente, con lo sviluppo dell’economia agricola ai tempi delle civiltà della Mesopotamia, dell'Egitto e della Cina, comparvero e si affermarono nuove attività artigianali come la preparazione di bevande alcoliche e infusi con proprietà curative o coloranti.
Gli antichi artigiani del settore custodivano gelosamente le loro ricette e le tecniche di lavorazione, che riservavano solo a pochi e fidati adepti, passando in questo modo talvolta per maghi o stregoni in diretto rapporto con le divinità.
Chimica: etimologia.
Gli antichi Egizi chiamavano il loro paese "Khemi", parola che nella loro lingua significava "terra nera" e indicava il benefico limo trasportato dalle piene del Nilo, che dava loro la possibilità di coltivare, sostentarsi ed ottenere vita dal deserto.
Il nome "Egitto" è stato creato dagli Assiri e Persiani che chiamavano questo paese "Tempio del Dio della conoscenza" (Het-Ke-Ptah), nome che poi è mutato, nella fonetica greca e poi romana, nell'attuale "Egitto". Per gli egiziani del tempo però il nome della loro terra rimaneva "Khemi", e gli arabi musulmani che presero possesso del paese dopo il disfacimento dell'Impero Romano assunsero questo nome come simbolo di cultura e conoscenza, che, preceduto dall'articolo arabo "al", divenne "Al-Khemi". “Al-Khemi” dovrebbe quindi significare che le arti di fare leghe metalliche o di trattare i succhi vegetali sono “arti dalla terra d’Egitto”.
Oggi come vedremo si intende per Alchimia una “pseudoscienza” che pretendeva di trasformare in oro i metalli vili, mentre se si esclude l’articolo determinativo si ottiene la parola “chimica” ossia la scienza che con metodo sperimentale studia le proprietà, la composizione, la preparazione e le trasformazioni profonde e permanenti delle sostanze.
Preistoria.
Le prime sostanze utilizzate dall’uomo furono quelle presenti nell’ambiente in cui egli viveva e cioè legno, ossa, pelli e pietre. Fra queste la più durevole è la pietra e infatti non è un caso che proprio gli oggetti di pietra ci rechino testimonianza dell’attività dell’uomo primitivo. Per tale motivo si parla per l’appunto di età della pietra. (compresa tra circa 2,5 milioni di anni fa sino al 4.000 a.C. circa)
Circa 10.000 anni fa l’umanità imparò ad addomesticare gli animali e a coltivare le piante. L’uomo poté così disporre di una fonte di alimenti più sicura ed abbondante che consentì aumento della popolazione e la costruzione di abitazioni permanenti. Ebbe così inizio la “civiltà” un termine che deriva da “città” parola che a sua volta discende dal latino civitas.
In un tempo successivo l’uomo imparò a servirsi di oggetti naturali relativamente rari. Infatti comincio ad utilizzare alcuni metalli (parola che forse deriva da un termine greco che significa “cercare”) che si trovavano allo stato libero. Questi erano l’oro e il rame, elementi facili da individuare per il loro colore luccicante.
Probabilmente per caso, i nostri antenati si accorsero che il rame si poteva ottenere anche riscaldando alcune pietre azzurre o verdastre (l’azzurrite Cu3(CO3)2(OH)2 e la malachite Cu2(CO3)(OH)2) con un fuoco di legna e quindi questo metallo non fu più così raro e poté essere utilizzato per fabbricare utensili di vario genere. Questo periodo storico prende pertanto il nome di età del rame (tra il 4.000 e il 2.000 a.C.). Successivamente l’uomo ottenne il bronzo scaldando insieme minerali di rame e di stagno. Nel 2000 a.C. il bronzo era abbastanza diffuso tanto da venire utilizzato su larga scala per foggiare armi e armature. Quel periodo della storia dell’umanità prende infatti il nome di età del bronzo, a cui segue dal XII secolo a.C. l’età del ferro. Il ferro era un metallo di qualità scadente che tuttavia migliorava se gli veniva addizionata una piccola quantità di carbonio: la lega ferro-carbonio prende il nome di acciaio.
I tentativi di interpretare e utilizzare i fenomeni della natura fornirono ai sacerdoti le motivazioni per formulare le prime ipotesi sul comportamento delle sostanze, spesso largamente basate su concezioni e pratiche magiche. Nell’antica Siria si era ad esempio scoperto che le spade di acciaio diventavano particolarmente flessibili se, dopo essere state arroventate, venivano fatte passare attraverso il corpo di uno schiavo. La spiegazione magica del fenomeno era che con questa procedura veniva trasferita l’energia vitale dello schiavo nella spada. In seguito si scoprì che lo stesso effetto si otteneva immergendo la spada rovente in una vasca piena d’acqua e pelli d’animale.
Anche il potere colorante di alcune sostanze era noto fin dall'antichità, così come era pure diffuso l'utilizzo della terracotta, dello smalto e del vetro
La filosofia naturale greca
Fin dai tempi di Talete (600 a.C.), i filosofi greci iniziarono a cercare di interpretare e spiegare la natura della materia senza ricorrere al misticismo. I filosofi naturalisti della scuola di Mileto non si interessavano tanto alla tecnologia o alla possibilità di applicazioni pratiche delle scoperte, quanto alla spiegazione delle stesse ipotizzando un principio fisico come origine e sostanza delle cose.
Talete stesso ipotizzò che tutta la materia traesse origine dall'acqua, che poteva solidificare trasformandosi in terra ed evaporare diventando aria. I suoi successori (ad esempio Empedocle) svilupparono questa teoria, individuando i quattro elementi di cui ritenevano fosse costituita la materia: la terra, l'acqua, il fuoco e l'aria. Aristotele ne aggiunse un quinto, l’etere, l’elemento perfetto, eterno e incorruttibile di cui sono fatti i corpi celesti mentre le cose terrene erano imperfette e deteriorabili.
«Democrito, che 'l mondo a caso pone» Dante (Inferno, Canto IV vv 136)
Frattanto veniva discusso un altro problema altrettanto importante: ossia quello relativo alla divisibilità della materia. Due erano le ipotesi che prevalevano in quel periodo: secondo la prima di esse era possibile dividere la materia all’infinito (Natura non facit saltus, Leibniz) e all’origine dei corpi materiali stava qualche cosa di immateriale, come ad esempio una non meglio specificata “proprietà elementare”; l’altra affermava che era possibile suddividere un corpo materiale solo fino ad un limite finito, cioè fino ad ottenere una particella minuta e non più divisibile ulteriormente. Bisogna notare come alla base di queste due posizioni vi siano aspetti fortemente spiritualistici nella prima di esse e materialistici nell’altra.
Il discepolo di Leucippo, Democrito, chiamò atomo (parola che in greco significa “indivisibile”) la particella minima della materia. Egli riteneva che gli atomi di ciascun elemento fossero diversi per forma e dimensioni e che proprio questa diversità spiegasse le differenti proprietà dei corpi materiali. Democrito pensava inoltre che gli atomi fossero in grado di muoversi nello spazio vuoto e di aggregarsi in vario modo e quindi ogni sostanza potesse trasformarsi in un’altra modificando la natura e il numero degli atomi che la costituivano. Proprio questa visione disordinata delle cose convinse Dante a riservare nell’Inferno un posto a “colui che il mondo a caso pone”.
Al contrario dei filosofi materialisti Platone non condivideva che la materia potesse avere una spiegazione in se stessa. Anche Aristotele, in contrasto con le ipotesi atomiste di Democrito, respinse la concezione che la realtà fosse da ricondurre al sensibile sulla base di spiegazioni materialistiche, negando inoltre l'esistenza del vuoto.
L'alchimia.
Nel II secolo dopo Cristo ha inizio quella diffusione delle scienze occulte che preparerà il terreno favorevole al sorgere e al prosperare dell’alchimia. Secondo gli studiosi del tempo, i metalli subivano in natura un graduale processo di perfezionamento, trasformandosi progressivamente in oro. Sulla base di questa ipotesi durante tutto il Medioevo e soprattutto nel Rinascimento gli alchimisti si dedicarono quindi alla ricerca della pietra filosofale, l’ipotetico reagente capace di trasformare artificialmente in oro i metalli comuni. Lo stesso Isaac Newton era dedito all’alchimia e si affannava a cercare in tutta l’Europa ricette che gli permettessero di produrre l’oro per trasmutazione. Oltre alla pietra filosofale la ricerca era indirizzata anche alla preparazione di un liquido, l’elisir di lunga vita, che doveva avere le proprietà di allungare la vita e di guarire le malattie.
Dell’alchimia e degli alchimisti in genere si dà una un’immagine negativa, di disciplina confusa e oscura, congiunta con la magia, la filosofia mistica e l’esoterismo religioso. In realtà essa accumulò, attraverso una lunghissima serie di errori e di tentativi nel buio, un patrimonio inestimabile di osservazioni e scoperte.
Gli alchimisti fecero luce su parecchi elementi e composti: verso il 1300 riuscirono a preparare l’acido solforico, la sostanza più importante impiegata nell’industria chimica moderna (e di importanza superiore a quella dell’oro). Scoprirono anche le proprietà di solventi e ossidanti fra cui l’acqua regia (“acqua reale”) miscela di acido nitrico e di acido cloridrico in grado di intaccare anche il re dei metalli, ossia l’oro. Questi sperimentatori ottennero alcuni elementi e composti prima sconosciuti come l’antimonio, l’arsenico, il fosforo, l’etere. Introdussero inoltre nell’uso pratico molte apparecchiature da laboratorio come gli alambicchi per la distillazione, e anche rudimentali bilance. Queste scoperte e sperimentazioni costituirono l’indispensabile premessa alla creazione della chimica sistematica moderna che in un certo senso sta all’alchimia come l’astronomia sta all’astrologia.
In Egitto le conoscenze chimico-alchemiche erano strettamente connesse con i riti religiosi, ad esempio l’imbalsamazione dei morti. La gente comune aveva un certo timore e rispetto per le persone che le praticavano, considerandole seguaci di arti segrete e depositarie di conoscenze misteriose.
L’alone di mistero che avvolgeva il lavoro degli alchimisti ebbe aspetti negativi. In primo luogo esso ritardò il progresso in quanto ciascun studioso teneva segrete le proprie conoscenze. In secondo luogo dava a molti ciarlatani e imbroglioni la possibilità di spacciarsi per studiosi (o maghi) seri purché parlassero in modo abbastanza incomprensibile.
Lungo i secoli IV e V l’alchimia era fiorente ad Alessandria dove era stato edificato un tempio dedicato alle Muse (il “Museo”) con annessa la più grande biblioteca dei tempi antichi, in cui erano conservati più di 700.000 libri. Nel Settimo secolo dall’Egitto l’arte alchimistica passò agli Arabi i quali la perfezionarono molto e la trasferirono in Occidente. Gli Arabi pertanto scoprirono e utilizzarono molti procedimenti ancora oggi in uso per la distillazione di medicine, colori e profumi. Molte parole usate ed arrivate fino a noi come alambicco, alcol, amalgama, alcalino ed altre ancora derivano dall’arabo.
Passate in Occidente le dottrine alchimistiche si diffusero con grande rapidità e furono coltivate, oltre che dai soliti ciarlatani, anche da uomini di reale valore fra i quali va ricordato il frate francescano inglese Ruggero Bacone (1214-1292). I libri che insegnavano quest’arte erano un intreccio di empirismo e misticismo espresso con un linguaggio enigmatico, pieno di allegorie, metafore, allusioni e analogie che lo rendevano per lo più incomprensibile. Ma le pubbliche dimostrazioni degli alchimisti venivano spesso condotte con tanta consumata maestria da ingannare anche gli osservatori più vigili. Per sospetto di stregoneria le impiccagioni e i roghi di alchimisti furono frequenti particolarmente in Germania. Il filosofo Francesco Bacone (1561-1626), paragonava questa pseudoscienza che condusse alla chimica alla favola dell’uomo che rivelò ai figli di aver nascosto l’oro in un luogo non precisato della vigna. I figli si impegnarono a scavare fra le piante senza tuttavia trovare nulla: lavorarono però così bene il terreno da ottenere un’abbondante vendemmia.
Rivoluzione scientifica.
Il 1543 rappresentò un momento fondamentale per la scienza perché in quell’anno usci un libro che ebbe un ruolo determinante per il progresso scientifico. Era stato scritto dall’ecclesiastico e astronomo polacco Niccolò Copernico (1473-1543) il quale, nel suo De revolutionibus orbium coelestium sosteneva che al centro del mondo conosciuto vi era il Sole e non più la Terra, come avevano già intuito i grandi astronomi greci.
La rivoluzione scientifica coinvolse anche il mondo dell’alchimia la quale, da questo momento, si avviò a trasformarsi, grazie al metodo scientifico, nella moderna chimica. Tuttavia per tre o quattro secoli ancora le due dottrine, alchimia e chimica, continuarono ad incrociarsi, come nel caso dello svizzero di nome Theopharastus Bombastus von Hohenheim, conosciuto come Paracelso, curiosa sintesi di genio e ciarlataneria, che affermava che gli obiettivi fondamentali dell’alchimia non dovevano essere la scoperta di tecniche della trasmutazione dei metalli ma la preparazione di medicine in grado di curare le malattie. La “iatrochimica” di Paracelso è alla base della moderna farmacologia. Nel XVI secolo, Andreas Libavius pubblicò il trattato Alchemia, considerato il primo effettivo libro di testo di chimica.
La teoria atomica.
Durante gli esperimenti condotti nel XVI secolo si scoprì come ottenere il vuoto, cosa che Aristotele aveva considerato impossibile. Questo risultato richiamò l'attenzione sull'antica teoria di Democrito, secondo la quale la materia era costituita da atomi che si muovevano nel vuoto. Il filosofo e matematico francese René Descartes, conosciuto con il nome di Cartesio, sviluppò una teoria compiuta che spiegava i fenomeni naturali in base alla dimensione, alla forma e al moto degli atomi. Si gettarono inoltre le basi per la teoria cinetica molecolare dei gas: grazie a esperimenti sull'elasticità dell'aria, il chimico e fisico britannico Robert Boyle formulò una delle leggi fondamentali dei gas, oggi nota con il suo nome, nella quale esprimeva la relazione di proporzionalità inversa tra pressione e volume di un gas.
La teoria del flogisto
Nella seconda metà del XVII secolo si sviluppo la teoria del Flogisto. Secondo questa teoria tutte le sostanze contengono un costituente particolare, detto flogisto (dal termine greco che significa "infiammabile"), che viene liberato durante la combustione. Questa teoria, per quanto errata, costituisce il primo tentativo di interpretazione razionale dei processi ossidoriduttivi.
La nascita della chimica moderna
“ La Repubblica non ha bisogno di uomini di scienza” Jean-Baptiste Coffinhal.
Con una serie di esperimenti, Lavoisier (1743-1794) dimostrò che l'aria contiene il 21% di ossigeno e che la combustione è dovuta alla reazione di questo elemento (a cui diede il nome) con la sostanza combustibile, negando perciò l'esistenza del flogisto. Lavoisier diede inoltre la prima definizione di elemento chimico (una sostanza che non può essere ulteriormente decomposta) e diede una prima versione della legge di conservazione della massa. A seguito delle sue scoperte sulla combustione, riformò la nomenclatura chimica, ai tempi ancora basata sugli antichi termini alchimistici, introducendo le denominazioni sistematiche in uso ancora oggi.
Nel 1803, lo scienziato britannico John Dalton propose una teoria atomica secondo la quale ogni elemento era costituito da atomi di massa e dimensioni ben precise.
Era nata la chimica moderna.
Fonte: http://www.luzzago.it/files/2213/4799/0742/La_storia_della_chimica.doc
Sito web da visitare: http://www.luzzago.it
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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