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IL CINEMA GIAPPONESE
Il cinema giapponese (日本映画 Nihon eiga?) ha una storia per molti versi analoga a quella di altre cinematografiche mondiali, con alcune proprie specificità.
L'industria cinematografica giapponese, fortemente strutturata in case di produzione maggiori, come a Hollywood, ha avuto una prima età dell'oro negli anni venti e trenta, con una produzione di eccezionale ricchezza che non ha però varcato i confini nazionali,[1] e ha raggiunto il proprio apogeo negli anni cinquanta,[2] quando la produzione ha raggiunto la sua massima prolificità, con oltre cinquecento film all'anno,[3] e le opere di eccezionale qualità artistica di alcuni autori, come Akira Kurosawa e Kenji Mizoguchi, hanno fatto scoprire in Occidente, attraverso i festival, l'esistenza del cinema nipponico, a partire dal film Rashōmon (1950), vincitore del Leone d'oro alla Mostra del cinema di Venezia e dell'Oscar per il miglior film straniero.
Tra la fine degli anni cinquanta e l'inizio dei sessanta anche il cinema giapponese è stato interessato dal fenomeno internazionale dellenouvelles vagues e sono emersi nuovi autori di rilevanza internazionale come Nagisa Oshima e Shohei Imamura. Nel corso degli anni sessanta il sistema produttivo cinematografico ha però subito l'insuperabile concorrenza della televisione ed ha imboccato la via del declino, con la progressiva discesa del numero dei film prodotti, delle sale cinematografiche e degli spettatori.[4]
Andiamo nel dettaglio:
L'invenzione del cinema arriva presto in Giappone. Nel 1896 a Kobe viene presentato con grande successo il Kinetoscopio di Edison, mentre l'anno successivo il Vitascopio Edison e il Cinématographe dei Lumière offrono le prime vere proiezioni su schermo per un pubblico collettivo. Ad introdurre il Cinématographe è l'imprenditore tessile Katsutarō Inabata, di ritorno da un viaggio in Francia durante il quale ha conosciuto Auguste Lumière.
La prima casa di produzione giapponese è la Denkikan del 1903.
I primi film giapponesi, risalenti al 1898-1899, sono principalmente riprese dal vivo di scene di strada e di "danze di geisha" nei quartieri di piacere.
I primi film a soggetto sono fedeli adattamenti di famosi drammi kabuki, come "Passeggiata sotto le foglie d'acero", realizzato nel 1898 o 1899 da Tsukemichi Shibata, : in generale, gli attori kabuki sono reticenti a cimentarsi con il cinema, nel quale vengono invece impiegati i kyūgeki, attori di rango inferiore.
Nel suo periodo iniziale, il cinema è in effetti fortemente debitore del teatro, nelle sue varie forme (ilkabuki tradizionale; lo shimpa, la "nuova scuola" del melodramma contemporaneo; lo shingeki, il "nuovo teatro" spesso adattato dal repertorio occidentale moderno, in particolare russo, ad esempio Tolstoj e Gor'kij), tanto che dall'incrocio dell'arte teatrale e cinematografica nascono i cosiddetti rensa-geki ("drammi a catena"), opere teatrali dal vivo con inserti filmati di riprese in esterni, la cui popolarità rimane costante fino ai primi anni venti, finché la componente cinematografica non ha il sopravvento.
Una figura caratteristica del cinema delle origini è quella dei benshi ("uomini parlanti"), i commentatori pubblici dei film muti, incaricati di leggere le didascalie a beneficio di un pubblico in buona parte analfabeta, ma anche di descrivere le trame prima della proiezione per ricondurle a strutture narrative ben riconoscibili.
Anche il fratello maggiore di Akira Kurosawa, per passione, fu un benshi, cosa che contribuì notevolmente ad avvicinare questo artista al cinema. La categoria raggiunge la massima fortuna all'inizio degli anni venti, riesce a sopravvivere fino alla metà degli anni trenta, riuscendo con la propria opposizione a ritardare l'affermazione del cinema sonoro in Giappone, ma è inevitabilmente destinata a scomparire. Fra i maggiori protagonisti del cinema degli anni dieci spiccano il regista Shōzō Makino e l'attore Matsunosuke Onoe, prima star del cinema giapponese, che girano insieme decine di film all'anno.
Alla fine degli anni dieci il cinema giapponese comincia a raggiungere un'autonomia e addirittura una posizione di privilegio rispetto al teatro.[16] Un film simbolo di questa fase di sperimentazione è Rōjō no reikon ("Anime sulla strada") (1921), diretto da Kaoru Osanai.
Esiste la possibilità di vedere questi film, anche semplicemente su youtube, e ve li consiglio, perché la poetica cinematografica giapponese è davvero straordinaria. Si tratta di film muti, e purtroppo non vi sono registrazioni musicali dell’epoca. Farvi sentire un commento musicale non originale non mi sembra opportuno.
La transizione dal cinema muto a quello sonoro non è facile né rapida, sia per la forte opposizione dei benshi, le cui performance erano diventate parte integrante dei film, sia per la mediocre qualità tecnica dei primi, imperfetti sistemi di sonorizzazione. Il primo film interamente parlato è la commedia Madamu to nyōbo ("La signora e mia moglie"), diretta da Heinosuyke Gosho nel 1931, ma ancora per diversi anni il sonoro non si afferma in modo generalizzato, anche se la tendenza è inarrestabile.
La musica dei titoli di testa è una produzione bandistica che somiglia a quelle del fascismo italiano.Da notare che la musica non coprirebbe tutta la sequenza dei titoli allora è montata decisamente male..
Come era già stato per il celeberrimo Roma Città aperta, il fischiettare melodie è un signal molto presente in questa produzione. Il cinema giapponese ha una poetica assolutamente antiretorica, asciutta, le scene musicate sono pochissime, per privilegiare il senso di realtà.
Vi sono intere scene dove è rumore di fondo la colonna sonora, non una parola, non una nota, solo sguardi molto eloquenti, azioni lente, montaggio rilassato, qualche suono di natura (insetto, uccellini, rumori di scena, voci di bambini, pianto). Compare una canzone popolare (a 33 minuti circa) e il personaggio principale ne è pure terribilmente infastidito!
A 39.40 compare una musica in, cioè suonata dal vivo dagli ottoni di un ensemble improvvisato che devono provare, in un luogo di ritrovo, con melodia cantata da una cantante.
A 55 minuti, verso la fine del film, i due protagonisti, ritrovata la serenità di coppia, canticchiano la melodia della musica di commento, e la stessa musica li accompagna nelle sequenze finali del film.
Verso la fine degli anni venti, la crisi economica favorisce la diffusione di ideologie di sinistra, che rinnovano la letteratura, il teatro e il cinema. La nuova coscienza sociale prende la forma dei film di tendenza, film realistici, impegnati, di ambientazione contemporanea.
Negli stessi anni gli intellettuali marxisti del Nappu (Federazione artistica dei proletari giapponesi) animano il movimento di cinema amatoriale del Prokino ("cinema proletario"), che propone opere di forte denuncia, soprattutto di carattere documentario, girate con mezzi limitati, sviluppate in laboratori di fortuna, proiettate nell'anonimato Entrambi i fenomeni sono però di breve durata e soccombono di fronte alla censura, sempre più violenta, in particolare dopo l'incidente di Mukden del 1931: i keikō eiga concludono il loro periodo migliore nel 1932, mentre il Prokino è definitivamente sciolto nel 1934.
La decisa tendenza nazionalista e militarista del Giappone, emersa a partire dall'inizio degli anni trenta e culminata nel 1936 con il trattato di alleanza con la Germania nazista e nel1937 con l'invasione della Cina, investe anche il cinema, che non può rimanere estraneo alla realtà politica del paese. Non solo il governo rafforza la censura, arrivando ad arrestare o addirittura uccidere artisti di simpatie marxiste,[24] ma nel 1939 prende sotto il suo diretto controllo l'industria cinematografica, riducendo le compagnie majors alle sole Shochiku e Toho, affiancate nel 1942 da una terza compagnia "nazionale", la Dai Nihon Eiga ("Società cinematografica del Grande Giappone").
IL più importante autore del nazionalismo nipponico e’ Tomotaka Tasaka, autore di Gonin no sekko-hei ("I cinque soldati esploratori") (1937)
Di cui ascoltiamo questo breve estratto.
La musica è sostanzialmente orchestrale e descrittiva, con trombe signal, archi di pedale e archi bassi ritmici, brevi soste liriche condotte dal flauto; i dialoghi e le urla si sovrappongono al commento sonoro: la musica è completamente al servizio delle immagini e difficilmente sta in piedi da sola.
In un simile contesto, ostile all'espressione artistica personale, i maggiori autori dell'epoca tentano invece di conservare una relativa indipendenza, ripiegando su temi "innocui", quale le biografie di artisti o il repertorio kabuki. È il caso di Mizoguchi, con ("Storia di crisantemi tardivi") (1939)
La musica di Shiro Kutai, è un misto tra tradizionale giapponese e orchestrazione classica.
I toni sono decisamente drammatici.
Nel pieno della guerra esordisce, con il film Sugata Sanshiro (1943), uno dei cineasti giapponesi più importanti del dopoguerra e il più conosciuto a livello internazionale, Akira Kurosawa.
L'opera narra la vicenda di un mitico campione di Jūdō vissuto alla fine dell'Ottocento: il Sugata Sanshiro che dà il titolo all'opera.
La prima opera di Kurosawa, anche se realizzata in tempo di guerra e quindi soggetta al rigido controllo della censura, è genuinamente autentica e personale. Lo stesso tema delle arti marziali (certo utile in chiave propagandistica per rinvigorire il patriottismo nazionale) è in realtà preso dall'autore da una sua personale passione (era campione e appassionato di kendo); egli inoltre ben conosceva la fatica e l'impegno degli allenamenti che aveva sostenuto quotidianamente nell'infanzia. L'evoluzione personale del protagonista è una tematica che sarà cara a Kurosawa per tutta la sua vita.
Queste qualità non nascondono però la sostanziale ingenuità del film; una critica che sfuma decisamente se si considera che, quando altri autori contemporanei producevano opere di propaganda, un regista alle prime armi riusciva a costruire sulla vita di una gloria nazionale un film quasi intimista (che infatti fu amato dal pubblico ma non dai militari: fu il regista Yasujiro Ozu ad impedire tagli maggiori all'opera).
Tra epopea orchestrale, a tratti quasi bandistica, conduce il tema un sassofono soprano, suonato però alla maniera orientale, con glissandi e molto vibrato. Solista del tema del guerriero è la voce femminile, molto diversa però dalla dolcezza delle voci giapponesi, mentre la nostra cantante è molto vibrante, roca quanto basta, una specie di Mina nipponica.
Ecco il tema principale della colonna sonora: le musiche sono di Seichi Suzuki.
Nei primi anni del dopoguerra l'industria cinematografica è fortemente segnata dall'influenza della politica.
Il cinema subisce il controllo e la censura degli organi preposti dall'esercito di occupazione americano che proibiscono i film storici che diffondono lo «spirito feudale».
Gli americani promuovono i film antimilitaristi, come ("La guerra e la pace") (1947) di Fumio Kamei
anche qui musicalmente parlando, siamo di fronte a sonorizzazione che descrive le immagini.
Non vi è un tema vero e proprio ma la musica descrive alla lettera ogni movimento e connota la situazione attraverso i suoni.
A partire dalla fine degli anni quaranta, tornano alla ribalta i cineasti che avevano esordito negli anni venti, nell'epoca del muto, ed erano stati protagonisti del cinema anteguerra, e si affermano nuovi autori, quali Keisuke Kinoshita, regista del primo film a colori giapponese, ("Carmen ritorna al paese") (1951), Kon Ichikawa e soprattutto Akira Kurosawa.
Da assolutamente farvi sentire è questo breve estratto tratto dal film “La donna che amo” di Kinoshita, dove si sente una nota canzone italiana suonata con l’armonica a bocca mentre la giovane si trucca allo specchio:
Sul mare luccica l’astro d’argento: buon ascolto.
Gli anni cinquanta rappresentano il periodo più glorioso della storia del cinema giapponese, una nuova «età d'oro» dopo quella degli anni del muto, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo.
Grazie alla ricostituzione del sistema delle majors e alla concorrenza ancora debole della televisione, la produzione cresce ininterrottamente per oltre un decennio.
Ad aprire una stagione di grandi capolavori è Rashōmon (1950) di Akira Kurosawa, un'opera atipica molto moderna, poco compresa dalla sua stessa casa di produzione, che riesce a vincere il Leone d'oro alla Mostra del cinema di Venezia e l'Oscar per il miglior film straniero.
Rashomon lett. "La porta nelle mura difensive" è un film del 1950 diretto da Akira Kurosawa.
Il film è una imponente parabola sulla relatività e sulle mille sfaccettature della verità. In una giornata di pioggia incessante, un boscaiolo, un monaco e un passante si fermano a parlare di un fatto increscioso avvenuto qualche tempo prima.
Si tratta dell'uccisione di un samurai, avvenuta per mano di un brigante che avrebbe anche abusato della moglie di lui. La storia viene raccontata da quattro testimoni ma la verità ha diverse versioni. La storia è raccontata per flashback, a mano a mano che i quattro personaggi — il bandito , la moglie del samurai , la vittima e il boscaiolo senza nome— narrano gli eventi.
Girato nella foresta vergine di Nara nei dintorni di Kyōto con un budget bassissimo, il film venne messo in circolazione inGiappone il 25 agosto 1950, contro il parere dei dirigenti della Daiei Motion Picture Company, la casa produttrice, che non ritennero meritevole il film. Grazie all'interessamento di Giuliana Stramigioli, docente di italiano presso l'Università degli Studi Stranieri di Tokyo e fondatrice della Italifim, Kurosawa riuscì ad inviare il film in Italia, dove venne presentato al Festival di Venezia, vincendo il Leone d'Oro al miglior film.
Pochi mesi dopo il film vinse, ad honorem, anche un Premio Oscar come miglior film straniero. Si aprì così il successo internazionale per un film (e per un regista) che in patria aveva trovato poco apprezzamento.
Ascoltiamo la musica dei titoli di testa, che pervaderà tutto il film.
L'eccezionale successo del film stimola una politica esportatrice fino ad allora del tutto assente.
Le case di produzione scelgono però di inviare ai festival europei quasi esclusivamente film storici in costume, per la convinzione che i film d'ambientazione contemporanea non possano essere né capiti né tantomeno apprezzati dal pubblico occidentale mirato appunto a soddisfare un superficiale gusto occidentale per l'esotismo.
Kurosawa nel giro di pochi anni firma un altro capolavoro: Vivere (Ikiru) (1952), il suo miglior film di ambientazione contemporanea e il mio preferito.
Il film esamina le sofferenze di un burocrate di Tokyo e la sua finale ricerca del senso delle vita E’ la storia di un impiegato che scopre di avere il cancro e decide di dare un senso agli ultimi mesi che gli restano da vivere: realizza il suo sogno, costruire un parco giochi.
All'inaugurazione nessuno lo ricorda: lui che si era spento seduto su un'altalena del nuovo parco, felice di aver dato un senso alla sua vita, di essere riuscito a compiere il "miracolo". I colleghi, ubriachi, giurano di prendere esempio da lui. Le madri dei bambini pensano al loro benefattore. Il giorno dopo è tutto dimenticato. Un altro impiegato ha preso il suo posto in ufficio; non si parlerà mai più di Watanabe.
La musica è inizialmente drammatica e grida giustizia. Ma si arrende subito dopo, attenua i toni e si rifugia nell’intimismo, come a significare che i sogni contano per chi li fa e che il senso della vita appartiene solo a ciascuno di noi.
I sette samurai (1954), un grande successo internazionale, malgrado la lavorazione travagliata e i pesanti tagli della produzione.
La musica è assolutamente descrittiva, epica, come ci si aspetta. Sovrani indiscussi, le percussioni e gli ottoni.
Un altro genere tradizionale è quello del film di fantasmi, l'obake-mono, mentre un'importante novità di questi anni è il film di mostri, ilkaiju eiga, il cui fortunato capostipite è Godzilla (1954), diretto da Ishirō Honda e prodotto dalla Toho, che unisce le paure della guerra fredda all'ispirazione di un classico come King Kong.
A partire dal 1958, la Toei comincia a dedicarsi sistematicamente anche al cinema di animazione, destinato a diventare nel giro di pochi anni, grazie al legame con l'importante mercato dei manga e con la consistente produzione seriale per la televisione, una parte preponderante dell'industria cinematografica nazionale.
Tra gli autori che animano il «nuovo cinema giapponese» vi è Oshima, che raggiunge il successo con il successivo Racconto crudele della giovinezza(Seishun zankoku monogatari) (1960), radicalmente nuovo per scrittura, stile, montaggio. Il regista attacca frontalmente la società giapponese contemporanea nei suoi diversi aspetti, rivelando anche un eccezionale eclettismo formale.
La musica non rinuncia all’orchestra ma vi si stacca progressivamente, mostrando tratti occidentali, brass jazzistici e percussioni
Le majors volgarizzano e sfruttano commercialmente i contenuti provocatori dei film d'autore della nouvelle vague, producendo film a basso costo, pieni di sesso e violenza (che la rivale televisione non può offrire), una politica commerciale che sul breve periodo si dimostra redditizia, ma che non può salvare un sistema in piena decadenza e che sul lungo periodo risulta anzi dannosa, disaffezionando e disabituando il pubblico al cinema di qualità.
A metà degli anni sessanta sono lanciati i "film rosa linea erotica. In un simile contesto, perfino un autore della statura di Akira Kurosawa ha difficoltà a realizzare i propri film e nel 1969 fonda, insieme ad altri tre importanti cineasti, Ichikawa, Kinoshita e Kobayashi, la Yonki no kai ("Società dei quattro cavalieri"), la cui prima produzione è Dodès'ka-dèn (1970), diretto appunto da Kurosawa. Il film è un tale insuccesso da spingere il regista a tentare il suicidio.
Lo sfondo è una baraccopoli della fine degli anni 50' della periferia di una metropoli giapponese, e vede come protagonisti diversi personaggi accomunati dall'essere dei disadattati, o comunque reietti o emarginati, intenti nel loro vivere quotidiano o alle prese con sottilissime, o comunque particolarissime, vicende personali. Volto a delineare dagli elementi più nobili ai più triviali dell'animo umano quando è segregato ai limiti della società, generando i colori del putrido e del sognante, il tutto ci è raccontato in un affresco dallo stile quasi onirico nel perfetto stile del Kurosawa degli anni 70'.
La musica è tipica anni 70, con vibrafono e sonorizzazione sintetica che conferisce al film una visione onirica come era stato per i film felliniani. Ascoltiamone un breve estratto.
Nel corso degli anni settanta prosegue la profonda crisi economica dell'industria cinematografica iniziato nel decennio precedente. A ulteriore dimostrazione della decadenza del sistema delle majors, il cinema giapponese non è più rappresentato nei festival stranieri dalle loro produzioni, realizzate sempre più in economia, ma da film indipendenti.
L'unico nuovo autore di rilievo emerso in questi anni è l'eclettico Shuji Terayama, scrittore, drammaturgo, pugile, regista di Sho o suteyo, machi e deyo ("Gettiamo i libri e scendiamo in strada") (1971)
la musica è rock, violenta e impietosa, tipica di quegli anni, proprio per accentuare il disagio giovanile, la ribellione, lo squallore.
Le opere più notevoli degli anni ottanta sono realizzate da un monumento vivente del glorioso cinema giapponese del passato, Akira Kurosawa, e dal superstiti della nouvelle vague, Nagisa Oshima
Kurosawa, grazie all'interesse di Lucas, Spielberg e Coppola e ai capitali americani della Fox, può girare un film al di sopra dei limiti produttivi del cinema giapponese che rinnovano il suo successo mondiale.
Nel 1983 Oshima realizza con grande successo un nuovo film scandalo, Furyo (Senjo no Merry Christmas), nel quale sesso e guerra sono intrecciati come mai prima.
Magistrale l’interpretazione di David Bowie.
Nasce il nuovo astro della musica , il giapponese Ruiki Sakamoto che lavorerà per molte produzioni cinematografiche a livello mondiale.
I film giungono sempre più spesso nelle sale cinematografiche in lungometraggi e mediometraggi, si affermano alcuni registi capaci di fondare case di produzione autonome e interessate a sviluppare una poetica non commerciale, quando non esplicitamente undergruond. La tendenza delle varie stazioni televisive a non trasmettere programmi, serie, cartoni animati, film-tv di origine straniera. tenne il mercato giapponese in una condizione di autoreferenzialità, dall'altro mantenne maestranze di ogni livello, attori, montatori, tecnici e una palestra per giovani registi.
Akira Kurosawa muore nel 1998. L'ultimo grande veterano del cinema giapponese decade dopo più di cinquant'anni di attività e di trenta pellicole.
Fondamentale nel decennio è il cinema d'animazione, anche detto anime, che dona grande rinomanza e numerosi premi ai suoi autori. Primo tra tutti Hayao Miyazaki. Veterano del cinema d'animazione e co-fondatore del celebre Studio Ghibli, realizza alcuni dei capolavori del cinema d'animazione di tutti i tempi, tra i quali La città incantata (2001), , Il castello errante di Howl (2004) con la sua musica, un walzer travolgente e il più spensierato Ponyo sulla scogliera (2008). Un medley di ascolto:
LA CITTA’ INCANTATA
Musiche |
Joe Hisaishi, Youmi Kimura |
IL CASTELLO ERRANTE DI HOWL
Musiche |
Joe Hisaishi |
PONYO SULLA SCOGLIERA
Musiche |
Joe Hisaishi |
Fonte: http://www.mebook.it/file/download/98168
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Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco
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