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L’iscrizione dei beni in leasing nel bilancio dell’utilizzatore.
Profili di compatibilità con la legislazione civilistica e tributaria italiana
e rapporti con la teorica economico-aziendale.
di
Stefano Santucci, Ricercatore di Economia Aziendale nell’Università degli Studi di Pavia
Sommario:
La nozione di leasing considerata;
Le modalità di rappresentazione dei leasing nel bilancio dei locatari secondo lo ias 17;
L’applicabilità dello IAS 17 in sede di iscrizione dei leasing finanziari nel bilancio civilistico italiano;
La rilevazione del leasing finanziario secondo la Teoria economico-aziendale;
Le modalità operative di rilevazione in bilancio dei leasing secondo il metodo finanziario;
Le problematiche fiscali connesse all’applicazione del metodo finanziario;
Conclusioni
Da un punto di vista economico-aziendale, il leasing o locazione finanziaria si configura come la possibilità di disporre, a fronte di un corrispettivo periodico, di condizioni produttive da impiegare nelle operazioni e nei processi della gestione aziendale per un determinato lasso di tempo . L’operazione è regolata da un contratto , giuridicamente atipico , nel cui ambito le condizioni produttive acquisite sono generalmente rappresentate dal flusso di servizi ritraibili da fattor i di produzione a fecondità ripetuta (quali impianti, macchinari, fabbricati e così via). Essi sono acquisiti da un soggetto denominato “locatore” e da questo messi a disposizione di un secondo soggetto, detto anche utilizzatore o “locatario”, solitamente un’impresa, che li impiega all’interno dei propri piani e programmi di gestione corrispondendo al locatore di una serie di canoni periodici. L’importo dei pagamenti è correlato alla durata del contratto, all’ammontare dell’importo finanziato, al tasso di interesse negoziato fra le parti e ad eventuali altri elementi. Normalmente le pattuizioni prevedono l’opzione di acquisto della proprietà del fattore produttivo alla data di scadenza del contratto. In tal caso quindi il periodo di utilizzo della condizione produttiva è più esteso rispetto a quello individuato dalla durata dell’impegno finanziario a corrispondere i canoni periodici da parte dell’utilizzatore e può arrivare a coincidere con la durata economicamente utile del bene utilizzato . In caso contrario, invece, il leasing si configura come una semplice prestazione di servizi, rappresentata dal noleggio operativo di beni .
La corretta rilevazione di un contratto di leasing nella contabilità e nel bilancio dell’impresa utilizzatrice presuppone una attenta analisi delle caratteristiche del fatto economico che attraverso il contratto si realizza .
Il principio contabile emanato dall’International Accounting Standards Committee e denominato IAS 17 – Accounting for leases (IAS 17, d’ora in poi) rappresenta un utile strumento interpretativo e dispositivo in tal senso, in quanto esso dapprima descrive le caratteristiche generali dei contratti di leasing e successivamente propone forme di rappresentazione in bilancio diverse a seconda delle tipologie di contratto individuate. Di seguito si analizzano i profili di compatibilità di tali forme di rappresentazione contabile rispetto alla legislazione italiana in tema di bilancio di esercizio e di reddito di impresa con particolare riferimento alla sfera economica del soggetto che nello schema del contratto di leasing coincide con l’utilizzatore del bene.
Il principio contabile di cui si argomenta è stato emanato nel 1982, riveduto nella forma nel 1994 e successivamente sostituito nel 1997 con la versione corrente da applicarsi a partire dai bilanci con inizio dal 1° gennaio 1999 (Cfr. IAS 17, Introduzione) .
Esso definisce il contratto di leasing come il mezzo attraverso il quale il locatore trasferisce al locatario, in cambio di un pagamento o di una serie di pagamenti, il diritto all’utilizzo di un bene per un determinato periodo di tempo (Cfr. IAS 17, § 3).
In base alle caratteristiche del contratto si individuano due forme fondamentali di leasing:
Si fornisce dapprima la definizione del leasing della prima specie e da questa successivamente si ricava per differenza la nozione di leasing operativo. Infatti, si configura un leasing di tipo finanziario ogni qualvolta con il contratto si trasferiscono dal locatore al locatario tutti i rischi ed i benefici derivanti dalla proprietà del bene, a prescindere dall’effettivo passaggio della sua titolarità alla scadenza del contratto (Cfr. IAS 17, § 3, cpv. 2), mentre i contratti che non realizzano tale trasferimento dànno luogo alla classe dei leasing operativi (Cfr. IAS 17, § 3, cpv. 3).
Per agevolare i destinatari a classificare correttamente nell’una o nell’altra categoria i singoli contratti, lo IAS 17 stabilisce una serie di requisiti che gli stessi devono possedere per poter essere considerato finanziari piuttosto che operativi.
Al paragrafo 5, pertanto, il Principio specifica le nozioni di rischi e benefici derivanti dalla proprietà del bene medesimo, che se trasferiti in toto al locatario realizzano la fattispecie del leasing finanziario. I rischi sono essenzialmente riconducibili alla manifestazione di perdite conseguenti all’utilizzo del bene locato in modo non economicamente conveniente (ad esempio per capacità produttiva sovrabbondante rispetto alle vendite realizzate) oppure conseguono alla sua obsolescenza tecnologica e/o economica . D’altro canto i benefici sono individuati come le prospettive di un conveniente utilizzo del bene durante la sua vita economica in termini di flusso di ricavi da esso ottenibili attraverso la vendita degli output realizzati o alla luce delle sinergie ad esso correlate (si pensi al caso dell’acquisto in leasing di una partecipazione di controllo o di collegamento).
Secondo lo IAS 17, la determinazione della esatta natura di un contratto di leasing deve comunque dipendere dal contenuto dell’operazione e non dalla forma del contratto. Nello stesso tempo però, al paragrafo 8 il principio individua una serie di caratteristiche che, se presenti nell’analisi dell’operazione, contribuiscono conclusivamente ad accertare la natura finanziaria e non operativa del contratto di leasing.
Si tratta in particolare dei seguenti elementi:
Al paragrafo 11, infine, il principio specifica che tali criteri di classificazione si estendono ai leasing relativi a terreni e fabbricati.
Dalla distinzione fra leasing finanziari ed operativi conseguono differenti modalità di rappresentazione di tali operazioni all’interno del bilancio del locatario. Secondo lo IAS 17, infatti, in sede di rilevazione di un leasing finanziario, si deve procedere privilegiando la natura sostanziale e finanziaria dell’operazione e non invece la forma giuridica della stessa. Anche se formalmente un contratto di leasing finanziario non prevede l’acquisto della proprietà del bene locato da parte del locatario, la realtà sostanziale e finanziaria dell’operazione è tale da far acquisire al locatario i benefici economici derivanti dall’uso del bene locato per una considerevole parte della sua vita economica utile in cambio dell’impegno a pagare un corrispettivo che approssima il valore corrente del bene e i relativi costi finanziari (Cfr. IAS 17, § 13) .
Pertanto lo IAS 17 prevede che la rilevazione del leasing finanziario all’interno del bilancio del locatario comporti l’iscrizione di voci di eguale ammontare all’attivo ed al passivo per un importo pari al minore fra il valore corrente del bene locato all’inizio del contratto di locazione e il valore attuale dei pagamenti minimi dovuti per il leasing medesimo (Cfr. IAS 17, § 12) .
Il valore da iscrivere all’attivo può anche comprendere una serie di costi accessori se direttamente attribuibili alle attività svolte dal locatario per la stipula di un contratto di leasing finanziario (Cfr. IAS 17, § 16). Esso deve essere sistematicamente ammortizzato utilizzando un criterio di ammortamento coerente con quello adottato dal locatario per i beni posseduti. Ove sia ragionevolmente certo il riscatto del bene al termine del contratto, il periodo di ammortamento coincide con la vita economica utile del bene, mentre in caso contrario, lo stesso viene individuato confrontando la durata del contratto di leasing e la vita economica utile del bene e scegliendo il periodo minore (Cfr. IAS 17, § 20).
All’atto della corresponsione dei canoni, essi non devono essere imputati a conto economico, ma suddivisi tra la quota imputabile ai costi finanziari e la quota che deve essere portata in deduzione dei debiti per leasing iscritti al passivo. La ripartizione deve avvenire così da permettere che gli oneri finanziari siano imputati ai conti economici dei diversi esercizi di durata del contratto in modo da ottenere un tasso di interesse costante sulla passività residua per ciascun esercizio (Cfr. IAS 17, § 17) .
In conto economico saranno quindi imputati solo l’ammortamento del valore iscritto all’attivo e gli oneri finanziari correlati al rimborso del finanziamento ricevuto, anziché l’intero ammontare dei canoni di competenza del periodo. Ciò a causa della diversità fra il periodo di vita economicamente utile del bene e la durata del contratto di leasing, che, solitamente, è minore (Cfr. Ias 17, § 21).
Lo IAS 17 prescrive inoltre che nella parte discorsiva del bilancio siano date una serie di informazioni specifiche sulle operazioni di leasing rilevate, fra le quali, a nostro avviso, sembrano particolarmente rilevanti le seguenti e cioè:
La contabilizzazione dei canoni periodici di leasing è invece ammessa dallo IAS 17 in caso leasing operativo, configurabile in pratica come un noleggio di beni senza acquisizione degli stessi in proprietà né da un punto di vista formale, né, tanto meno, da un punto di vista sostanziale. Il criterio di ripartizione da utilizzare per l’imputazione dei canoni di leasing operativo al conto economico nei diversi esercizi di durata del contratto è quello delle quote costanti salvo che non sia un criterio sistematico diverso a rispecchiare le modalità temporali di godimento dei benefici da parte dell’utilizzatore (Cfr. IAS 17, § 25).
La possibilità di applicare il principio contabile internazionale n.17 in sede di redazione del bilancio di esercizio civilistico italiano, disciplinato dagli artt. 2423 e seguenti del codice civile deve essere verificata con riferimento ai possibili contrasti fra tale modalità di iscrizione e rappresentazione delle operazioni di leasing ed il finalismo conoscitivo attribuito al bilancio di esercizio dal legislatore civile italiano con la clausola generale di redazione del bilancio disciplinata ex art. 2423, c. 2, c.c..
In mancanza di una esplicita indicazione civilistica circa i criteri di rilevazione ed iscrizione in bilancio del leasing, sia esso di tipo finanziario od operativo, si deve innanzitutto procedere all’analisi della Giurisprudenza di merito italiana sul punto e ciò porta a concludere che la stessa non abbia accolto l’impostazione suggerita dallo IAS 17.
Si fa riferimento alla sentenza emessa dalla Corte di Appello del Tribunale di Milano in data 11 febbraio 1997, di cui si riporta la seguente massima :
“….Nel caso in cui una società abbia stipulato un contratto di leasing immobiliare, non è corretto procedere alla capitalizzazione dei canoni di leasing nella misura corrispondente alla quota del canone imputabile al costo reale dell'immobile, e ciò per due ordini di motivi: in primo luogo, perché nell'attuale ordinamento non sono iscrivibili tra i valori attivi del patrimonio i diritti personali di godimento fra i quali sono sicuramente ricompresi i diritti di godimento derivanti dal contratto di locazione finanziaria quale ne sia l'oggetto (bene mobile od immobile), in secondo luogo perché fino all'esercizio del diritto di riscatto, l'utilizzatore resterà solamente un creditore della società di leasing per il riscatto dell'immobile….”.
E’ pur vero che la fattispecie oggetto del contendere è sicuramente diversa da quella di cui qui si argomenta, perché rappresentata dal risconto attivo di parte dei canoni pagati nell’esercizio e dalla conseguente capitalizzazione degli stessi all’attivo di stato patrimoniale al fine di rappresentare nel bilancio dell’utilizzatore il valore reale dell’immobile, ma è altrettanto vero che le motivazioni utilizzate per cassare il comportamento contabile tenuto dalla società convenuta in giudizio, contengono forti critiche all’ammissibilità della contabilizzazione del leasing in base al “metodo finanziario” proposto dallo IAS 17.
Si legge, infatti, nel dispositivo della medesima sentenza:
“…. Il secondo motivo di doglianza riguarda la negata iscrizione all'attivo di bilancio della capitalizzazione dei canoni di leasing nella misura corrispondente alla quota del canone imputabile al costo reale dell'immobile (nel leasing immobiliare il basso livello del prezzo di riscatto e la scarsa usura del bene riflettendo - secondo l'appellante - la inclusione nel canone di una quota del prezzo del bene). La tesi - che risente della teoria tedesca del cosiddetto metodo finanziario privilegiante il principio dell'appartenenza economica del bene rispetto a quello dell'appartenenza giuridica - non può essere nel caso seguita per due ordini di ragioni. Innanzitutto - in linea di principio - nell'attuale ordinamento non sono iscrivibili tra i valori attivi del patrimonio i diritti personali di godimento fra i quali sono sicuramente ricompresi i diritti di godimento derivanti dal contratto di locazione finanziaria quale ne sia l'oggetto (bene mobile od immobile) e la maggiore o minore realità che connoti la posizione dell'utilizzatore per il futuro sbocco del rapporto contrattuale - a seconda della convenienza economica - nell'acquisto della proprietà. Finché questo sbocco non si realizza attraverso l'esercizio del diritto di riscatto l'utilizzatore resterà sempre un creditore del comportamento del concedente circa l'uso del bene esprimente - nel canone di volta in volta corrisposto - un costo detraibile da inserire al passivo e non un valore di acquisizione computabile nell'attivo del patrimonio. Secondariamente la tesi prospettata - che presuppone la certezza del riscatto quale ricavabile dall'entità delle rate in rapporto al minimo prezzo residuato - implicherebbe comunque un'operazione di "bilanciamento" tra il valore iscrivibile all'attivo (differenza totalità canoni più prezzo di riscatto meno interessi) ed il corrispondente debito inizialmente iscritto al passivo nella stessa misura e quindi progressivamente ridotto nei successivi bilanci per la quota capitale dei canoni pagati nell'esercizio. Di tutto ciò non si rinviene però traccia nel bilancio di esercizio al 31 dicembre 1989….”.
La sentenza della Corte di Appello di Milano quindi si disinteressa degli aspetti sostanziali dell’operazione di leasing e subordina l’iscrizione di un qualsivoglia valore espressivo del bene locato all’attivo di stato patrimoniale all’avvenuto riscatto del bene, sostenendo che prima di quel momento l’utilizzatore ha un mero diritto personale di godimento non iscrivibile in nessuna delle voci dell’attivo patrimoniale, a nulla contando la ragionevole certezza del riscatto pur se desumibile dall’irrisorietà del prezzo di riscatto rispetto alle rate pagate.
Le tesi della giurisprudenza di merito si prestano ad una serie di osservazioni critiche. In primo luogo, infatti, se da un punto di vista formale è innegabile il mancato trasferimento della proprietà e le conseguenze che ciò genera a livello giuridico nei rapporti fra il locatore ed il locatario, dal punto di vista sostanziale la considerazione della natura dell’operazione, quanto meno in alcuni dei casi suggeriti dal principio IAS 17 , non comporta tanto l’iscrizione in bilancio di un diritto personale di godimento, vale a dire il diritto ad utilizzare il bene locato, ma piuttosto la necessità di rappresentare l’operazione come se si trattasse dell’acquisto del bene finanziato da un mutuo .
Si deve quindi verificare se è possibile iscrivere il valore del bene nell’attivo del bilancio del locatario in forza del diritto da questi detenuto ove, per le specifiche caratteristiche del contratto di leasing, esso trascenda la natura di mero diritto personale di godimento e giunga a configurarsi piuttosto come un diritto analogo a quello di proprietà, e quindi possa essere assimilato o assimilabile ad un diritto reale.
Maggiori indicazioni in merito alla iscrivibilità dei beni in leasing nello stato patrimoniale secondo il metodo finanziario si possono trarre dall’analisi del contenuto della IV direttiva CEE in tema di redazione dei conti annuali e consolidati delle imprese (78/660/CEE del 27 luglio 1978) nella quale all’articolo 16 si afferma che “….nella voce terreni e fabbricati (degli schemi di bilancio in essa previsti, ndr) si devono indicare i diritti immobiliari e altri diritti assimilati, quali definiti dalla legislazione nazionale….” . La Relazione illustrativa del decreto legislativo n. 127/91 accenna al disposto della direttiva in sede di commento all’articolo 6. Esso introduce nel codice civile italiano l’art. 2424-bis, intitolato “Disposizioni relative a singole voci dello stato patrimoniale” che fornisce indicazioni utili alla precisa individuazione della loro natura e contenuto . Così si esprime la Relazione illustrativa: “…Non si è creduto necessario definire il contenuto della voce ‘terreni e fabbricati’ come previsto dall’art. 16 essendo esso pacifico nella prassi e nella dottrina. L’occasione di una definizione degli ‘altri diritti assimilati’ ai diritti (reali) immobiliari, avrebbe potuto essere colta per disciplinare il trattamento in bilancio dei beni (immobili o mobili) in leasing; ma a tal fine sarebbe stata necessaria un’esplicita delega, posto che la direttiva fa riferimento ai diritti assimilati, quali definiti dalla legislazione nazionale…” . E’ quindi evidente che il legislatore del ’91 in tema di bilancio si è posto il problema della individuazione della natura dei beni in leasing e li ha classificati come “diritti assimilati ai diritti reali”, ma non ha preso posizione sulla questione della loro iscrivibilità in bilancio perché gli stessi, allora (così come oggi, peraltro) non avevano ancora trovato esplicita definizione e disciplina all’interno della legislazione nazionale italiana .
In conclusione, a parere di chi scrive, l’iscrivibilità dei beni in leasing all’attivo in specifiche voci delle classi delle Immobilizzazioni materiali, immateriali o finanziarie , può essere ammessa da un punto di vista giuridico solo ricorrendo ad una deroga obbligatoria ex art. 2423, c. 4, c.c., secondo le modalità ivi segnalate (motivazioni della deroga in nota integrativa, indicazione degli effetti della medesima sulla rappresentazione della situazione patrimoniale, finanziaria e del risultato economico, divieto di distribuzione degli utili derivanti dall’esercizio della deroga se non in misura corrispondente al valore recuperato) e nella misura in cui, in forza delle caratteristiche dello specifico contratto di leasing, la natura dei diritti esercitabili sui beni stessi da parte dell’utilizzatore, renda indispensabile la rappresentazione dei beni in leasing come elementi del patrimonio, la cui titolarità giuridica in capo al locatario deriva da diritti assimilati ai diritti reali non ancora esplicitamente disciplinati all’interno dell’ordinamento giuridico italiano .
L’iscrizione al passivo della quota capitale del debito assunto dal locatario in conseguenza della stipula del contratto di leasing sembra assumere, a nostro avviso, minore criticità rispetto all’iscrizione all’attivo del bene in leasing, attesa l’intrinseca natura di passività che contraddistingue il debito che, come tale, può essere iscritto in bilancio anche se solo presunto (ex art. 2423, c.1, p.ti 2 e 4, c.c.) . Peraltro, essendo tale debito la diretta conseguenza dell’applicazione del metodo finanziario, la sua appostazione al passivo di bilancio è ammissibile se e solo se contemporaneamente si procede all’iscrizione del valore del bene in leasing all’attivo che, come si è appena detto, richiede comunque, a parer nostro, l’esercizio della deroga obbligatoria ex art. 2423 c.c. .
Le problematiche di contabilizzazione poste dal leasing dovrebbero comunque trovare una definitiva sistemazione nell’ambito della riforma della disciplina giuridica del bilancio prossima ventura. Il progetto di legge denominato “Schema di disegno di legge delega per la riforma del diritto societario”, che avrebbe dovuto dettare le linee guida della revisione del libro V del Codice Civile con riferimento alle società di capitali e cooperative non quotate in mercati regolamentati , aveva dedicato un articolo, il sesto, alla definizione dei “principi e criteri direttivi” da considerare in sede di revisione della disciplina del bilancio degli enti di cui si argomenta.
Il comma 1, lett. c) di tale articolo, infatti, specificava chiaramente che fra gli obiettivi indicati dal legislatore delegante al legislatore delegato in sede di formulazione delle specifiche norme di legge a disciplina del bilancio vi era quello di “dettare una specifica disciplina in relazione al trattamento delle operazioni denominate in valuta degli strumenti finanziari derivati, dei pronti contro termine, delle operazioni di locazione finanziaria e delle altre operazioni finanziarie” . E’ lo stesso legislatore delegante, quindi, a riconoscere la necessità di colmare la lacuna legislativa che aveva impedito al legislatore del 1991 di pronunciarsi in merito alla possibilità di iscrivere i beni in leasing all’attivo di stato patrimoniale .
Se si affianca a tale criterio quello sancito dalla precedente lett. a) dello stesso comma, vale a dire l’eliminazione delle “interferenze prodotte nel bilancio dalla normativa fiscale sul reddito di impresa anche attraverso la modifica della relativa disciplina”, sarebbe possibile redigere il bilancio civilistico secondo corretti criteri economico-aziendali, senza dover imputare al conto economico i componenti negativi di reddito di natura fiscale quale presupposto per la loro deducibilità (come invece accade attualmente anche per i canoni di leasing) . Ciò consentirebbe di applicare il metodo di contabilizzazione proposto dal principio contabile internazionale IAS 17 per quei contratti di leasing che sostanzialmente configurano non tanto l’utilizzo del servizio prestato dal fattore produttivo, ma il vero e proprio acquisto del medesimo finanziato da indebitamento, con un significativo miglioramento della rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico nel bilancio della impresa utilizzatrice.
4. La rilevazione del leasing finanziario secondo la Teoria economico-aziendale.
Ponendosi nell’ottica della teoria del reddito di derivazione economico-aziendale, che considera il capitale di bilancio quale «sistema di valori attribuito al patrimonio dell’impresa in funzione della corretta determinazione periodica del reddito di esercizio» , si ritiene che il bene detenuto in forza del contratto di leasing possa rientrare fra le componenti del capitale di bilancio nella misura in cui il valore ad esso relativo, per le specifiche caratteristiche del contratto di leasing, esprima un processo produttivo in corso di svolgimento direttamente riferibile alla sfera economica dell’impresa utilizzatrice e che ciò sia strumentale alla corretta configurazione del reddito di esercizio di quest’ultima .
Ci si deve quindi chiedere quali caratteristiche del contratto di leasing rendano possibile la configurazione del bene locato quale elemento del capitale di bilancio da un punto di vista economico-aziendale. In linea generale il bene acquisito in leasing ha infatti tutte le caratteristiche della immobilizzazione tecnica, poiché esso è utilizzato all’interno dei piani e programmi della gestione in modo durevole, cioè per un periodo almeno pari alla durata del contratto, che è normalmente pluriennale, ma questo elemento non sembra costituire da solo un valido presupposto per procedere all’iscrizione nel bilancio del locatario di un valore espressivo di tale pluriennale utilità fra gli elementi dell’attivo di bilancio in contropartita del debito assunto in virtù della stipula del contratto .
Tale modalità di rilevazione applicata ad un generico contratto di leasing non determinerebbe alcun significativo miglioramento alla rappresentazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell’impresa, perché si risolverebbe nella capitalizzazione dei canoni di leasing a inizio contratto e nel successivo ammortamento degli stessi per quote costanti per gli esercizi della sua durata. Ciò determinerebbe, coeteris paribus, risultati di bilancio esattamente analoghi a quelli che si otterrebbero imputando al conto economico i canoni di leasing all’atto del loro pagamento, eventualmente correggendo con la tecnica dei risconti attivi le distorsioni nella correlazione costi-ricavi originate dalla presenza di maxi-canoni iniziali.
La necessità di iscrivere all’attivo di stato patrimoniale un valore espressivo di una gestione in corso si configura quindi solo nell’eventualità che vi sia una significativa discrepanza fra la durata del contratto di leasing, che scandisce la durata del piano finanziario attraverso cui si acquisisce la disponibilità della fattore produttivo immobilizzato e la effettiva durata del ciclo di impiego del medesimo all’interno dei piani e programmi della gestione aziendale. Solo in presenza di questa diversità di durata dei cicli si ritiene che il calcolo del reddito di esercizio debba tener conto del maggior numero di esercizi entro cui si realizza la correlazione economica fra il valore attribuibile all’immobilizzazione ed i ricavi che esso ha contribuito a realizzare attraverso il suo impiego nei piani e programmi della gestione degli esercizi considerati. La fondamentale funzione strumentale che la teorica reddituale attribuisce al capitale di bilancio per la corretta determinazione del reddito di esercizio comporta in tal caso la necessità di evidenziare fra gli elementi attivi dello stesso il valore del cespite locato quale elemento della gestione in corso destinata a compiersi entro un periodo di durata significativamente maggiore rispetto a quella del contratto di finanziamento del suo utilizzo.
Fra i caratteri individuati dallo IAS 17 per qualificare i leasing cui applicare il metodo finanziario , gli unici che consentono incontrovertibilmente di procedere all’iscrizione all’attivo dei beni in leasing sembrano essere, a nostro avviso, le clausole contrattuali dell’opzione di riscatto della proprietà del bene oggetto di locazione al termine del contratto e della ragionevole certezza del suo esercizio a seguito della convenienza del prezzo di riscatto rispetto al valore del bene stesso nell’ipotesi che vi sia una significativa differenza fra la durata del contratto e la vita economicamente utile del bene oggetto del contratto .
Nei leasing aventi queste caratteristiche, infatti, solo iscrivendo all’attivo il valore del bene locato fin dall’inizio del contratto ed ammortizzandolo sistematicamente lungo il periodo di utilizzo del cespite stabilito nei piani e programmi della gestione aziendale si riescono a correggere gli scompensi nella correlazione economica fra i componenti positivi e negativi di reddito che deriverebbero invece dalla contabilizzazione di questi contratti in base al metodo patrimoniale (imputazione dei canoni a conto economico per il periodo della durata del contratto).
E’ appena il caso di ribadire, infine, che la presenza di contratti di leasing di durata quasi eguale alla vita economicamente utile del bene acquistato in leasing in assenza delle altre clausole contrattuali qui considerate non sembra essere, a parere di chi scrive, condizione sufficiente a giustificare la iscrizione all’attivo di stato patrimoniale di un valore espressivo del bene medesimo, per la accennata mancanza di significativi miglioramenti nella rappresentazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell’impresa .
La richiamata necessità di ricorrere alla deroga ex art. 2423, c. 4, c.c. per procedere all’iscrizione all’attivo del valore del bene locato, l’enfasi che ad essa è connaturata e l’influenza di ciò tanto sull’approvazione del bilancio da parte dell’assemblea quanto sul giudizio dei terzi destinatari del bilancio medesimo ci inducono a specificare meglio le motivazioni che nei casi appena segnalati impongono a nostro parere di utilizzare quale metodo di contabilizzazione del leasing quello segnalato dal principio contabile internazionale IAS17, quale unico metodo che soddisfa il finalismo conoscitivo ultimo individuato dal legislatore civile per il bilancio di esercizio nella clausola generale della chiarezza e della rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico di esercizio.
Per affrontare la presente problematica sembra dapprima opportuno considerare se tali finalità sono rispettate e perseguite rilevando i contratti di leasing finanziari su beni mobili e/o immobili - nell’accezione da noi ristretta rispetto a quella proposta dallo IAS 17 - attraverso l’imputazione a conto economico dei canoni corrisposti durante il contratto, cioè secondo metodo normalmente impiegato nella prassi contabile .
La suddetta modalità di rappresentazione dei contratti di leasing, siano essi finanziari od operativi, è stata indubbiamente favorita dal legislatore fiscale italiano, che ha introdotto una notevole agevolazione tributaria per le imprese che stipulano un contratto di leasing per l’utilizzo di beni mobili ed immobili. La materia è disciplinata dall’art. 67 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR d’ora in poi), che al comma 8 stabilisce che “….per i beni concessi in locazione finanziaria (….) la deduzione dei canoni da parte dell'impresa utilizzatrice è ammessa a condizione che la durata del contratto non sia inferiore a otto anni, se questo ha per oggetto beni immobili, e alla metà del periodo di ammortamento corrispondente al coefficiente stabilito a norma del comma 2, in relazione all'attività esercitata dall'impresa stessa, se il contratto ha per oggetto beni mobili….” .
In sostanza l’art. 67, c. 8 TUIR subordina la deducibilità dei canoni di leasing pagati dall’impresa utilizzatrice ad una durata minima del contratto di locazione, stabilita in misura fissa per quanto riguarda i leasing immobiliari (8 anni) ed in misura variabile per i leasing mobiliari, ma comunque non inferiore alla metà del periodo di ammortamento che si ottiene a partire dai coefficienti stabiliti dal Ministero delle Finanze per la categoria omogenea al bene oggetto di locazione .
Ulteriore condizione per la deducibilità dei canoni è quella fissata dall’articolo 75, c. 4 TUIR secondo cui “….le spese e gli altri componenti negativi non sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui non risultano imputati al conto dei profitti e delle perdite relativo all'esercizio di competenza….”.
E’ quindi evidente che per dedurre fiscalmente i canoni di leasing è indispensabile imputarli a conto economico. Nella modalità di rilevazione proposta non è possibile iscrivere fra le attività e le passività rispettivamente il valore del bene locato e la quota capitale del debito acceso con il contratto di leasing. Informazioni simili possono eventualmente figurare solo all’interno del sistema dei conti d’ordine rispettivamente come “beni di terzi presso l’impresa” con riferimento al valore del bene mobile o immobile oggetto di locazione e come “impegni” con riferimento alle passività per i residui canoni di leasing da pagare .
A ben vedere però, in presenza delle clausole del contratto di leasing precedentemente esaminate - e cioè significativa differenza fra vita economicamente utile del bene e durata del contratto di leasing, presenza di un patto di riscatto il cui esercizio sia ragionevolmente certo per la convenienza del riscatto rispetto al valore del bene stesso - tale modalità di rilevazione si pone palesemente in contrasto con la clausola generale della rappresentazione veritiera e corretta.
Si supponga ad esempio il caso più frequente, perché espressamente connesso ad una agevolazione fiscale, della durata del contratto di leasing inferiore alla vita economicamente utile del bene e con un valore di riscatto irrisorio rispetto al valore residuo del bene alla stessa data.
Durante il contratto di leasing l’imputazione al conto economico dei canoni, anche supponendo che la stessa avvenga secondo un criterio di ripartizione costante nel tempo, determina, coeteris paribus, risultati di esercizio inferiori rispetto a quelli che si avrebbero imputando gli ammortamenti calcolati sulla vita economicamente utile dei beni locati, in quanto in tal modo il valore originario del bene locato è ripartito su un periodo più corto rispetto a quello di riferimento per la determinazione delle quote di ammortamento. In modo esattamente contrario, in presenza di valori di riscatto sensibilmente inferiori al valore residuo del bene al termine del contratto di leasing, l’iscrizione in bilancio fra le attività di tale irrisorio valore ed il conseguente ammortamento del medesimo per tutti i successivi esercizi di utilizzo del bene, produrrebbe redditi più elevati rispetto a quelli determinati con un piano di ammortamento dell’originario valore del bene locato, a causa dell’oggettiva inferiorità dell’ammortamento calcolato sul valore di riscatto rispetto a quello determinato in base all’effettivo valore residuo del bene alla data di riscatto
In conclusione quindi la contabilizzazione dei leasing di natura finanziaria nell’accezione qui assunta attraverso l’imputazione al conto economico dei canoni corrisposti durante il contratto, realizza un indebito conguaglio temporale dei redditi, dato che, coeteris paribus, determina redditi inferiori negli esercizi in cui è in essere il contratto di locazione e redditi superiori negli esercizi successivi alla sua conclusione entro cui il bene locato, ormai riscattato, viene utilizzato all’interno dei piani e programmi aziendali. Questa modalità di rappresentazione non favorisce la rappresentazione veritiera e corretta della situazione economica perché vìola palesemente il principio di competenza economica, cioè la corretta correlazione fra i costi ed i ricavi di esercizio. Infatti, tale modalità di rappresentazione anticipa la rilevazione di componenti negativi di reddito, per un ammontare pari alla differenza fra i canoni imputati ad un determinato esercizio e la somma fra gli ammortamenti economico-tecnici di competenza del medesimo e gli oneri finanziari conseguenti all’accensione del contratto di leasing.
Il metodo proposto dallo IAS 17, se riferito alle fattispecie definite nel presente scritto, consente invece di rappresentare l’operazione di leasing finanziario per quella che è la sua effettiva natura economica e cioè come acquisizione di una determinata immobilizzazione attraverso uno specifico finanziamento o mutuo di scopo, la cui garanzia è rappresentata dal mantenimento formale della proprietà in capo al concedente. In tal modo si svincola il processo di ammortamento del bene locato dalla durata del contratto di locazione e lo si riporta nel proprio ambito naturale (cioè la vita economicamente utile del bene), perché è nota fin dal principio del contratto di leasing l’intenzione da parte del locatario di acquisire la proprietà del bene alla sua conclusione e la volontà di utilizzarlo per tutta la vita economicamente utile dello stesso. In queste ipotesi l’unica modalità per procedere alla corretta determinazione dei redditi di periodo secondo competenza economica si attua imputando al conto economico di ciascun esercizio gli ammortamenti espressivi del contributo del bene alla produzione economica in esso realizzata e, per gli esercizi compresi nel periodo di vigenza del contratto di leasing, gli oneri finanziari conseguenti all’accensione del finanziamento necessario all’acquisizione del bene ed iscrivendo all’attivo di stato patrimoniale il valore del bene locato come espressione del processo produttivo in corso destinato a compiersi non entro la fine del contratto di leasing, ma solo successivamente e cioè al termine della vita economicamente utile dello stesso.
Il metodo suggerito dallo IAS 17 o “metodo finanziario”, consente poi un significativo miglioramento della rappresentazione in bilancio della situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa. Infatti, la contabilizzazione secondo il “metodo operativo”, cioè in base ai canoni di competenza lungo il periodo contrattuale del leasing, dal punto di vista patrimoniale occulterebbe, di fatto, una parte delle immobilizzazioni utilizzate all’interno dei processi produttivi e dal punto di vista economico-finanziario parte dell’indebitamento dell’impresa (il complessivo debito contratto a seguito della stipula del leasing) ed i relativi oneri finanziari (interessi passivi a servizio del suddetto debito). Ciò determinerebbe significative ripercussioni sulla correttezza delle eventuali analisi di bilancio effettuate da analisti esterni all’impresa e sulla capacità di comprendere appieno le modalità di attuazione delle combinazioni produttive aziendali .
E’ inoltre evidente che la contabilizzazione dei beni in leasing all’attivo prima del riscatto costituisce una chiara manifestazione di volontà degli amministratori dell’impresa utilizzatrice in merito alla successiva effettuazione del riscatto del bene locato, perché, se così non fosse, essi si renderebbero responsabili di una falsa comunicazione sociale, a meno che la causa del mancato riscatto non sia successiva ed imprevedibile rispetto al momento in cui il valore del bene in leasing è stato iscritto in bilancio. Per motivi di opportunità sarebbe quindi doveroso segnalare il rischio di retrocessione del bene, come mera eventualità, all’interno del sistema dei conti d’ordine, nel sottosistema dei rischi, e giustificare adeguatamente gli elementi alla base della ragionevole certezza del riscatto del bene all’interno della nota integrativa.
5. Le modalità operative di rilevazione in bilancio dei leasing secondo il metodo finanziario.
Da quanto precede si evince che la deroga obbligatoria ex art. 2423 c.c.,conseguente all’iscrizione del bene locato all’attivo e del correlato debito al passivo in base al metodo finanziario di cui allo IAS 17, ha una ben precisa giustificazione in quanto consente una migliore rappresentazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell’impresa utilizzatrice con particolare riferimento ai contratti di leasing aventi durata inferiore all’effettivo ciclo di impiego dei beni locati nei piani e programmi della gestione dell’impresa che li utilizza.
Naturalmente l’esercizio della suddetta deroga implica una serie di formalità da rispettare in sede di redazione del bilancio. In primo luogo si la nota integrativa dovrà procedere alla adeguata motivazione del ricorso alla deroga e ciò inevitabilmente comporterà la descrizione del fatto economico che si è posto in essere, del contenuto del contratto di leasing (con particolare enfasi sulla dimostrazione della ragionevole certezza del riscatto al termine del contratto) , nonché l’indicazione delle differenze nella rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico derivante dall’applicazione del metodo il metodo finanziario in luogo di quello operativo. In altre parole si dovrà fornire il dettaglio delle differenze derivanti dalla adozione del metodo proposto dallo IAS 17, indicando il risultato economico differenziale e il correlato effetto sul patrimonio netto a fine esercizio e sulla situazione finanziaria (ammontare delle attività e delle passività iscritte in bilancio e relativa scadenza) .
Negli esercizi successivi a quello della prima applicazione del metodo, cautele particolari devono essere rivolte alla valutazione del rischio di retrocessione delle immobilizzazioni acquisite in leasing e alla segnalazione di eventuali modifiche delle condizioni alla base della certezza del riscatto. Pertanto, a parere di chi scrive, è indispensabile dare un dettaglio dei canoni pagati nell’esercizio, fornendo da un lato adeguate motivazioni circa il mancato pagamento di canoni già scaduti e dall’altro informazioni circa gli elementi sopravvenuti che possano mettere in discussione il riscatto del bene e le relative conseguenze sulla situazione patrimoniale, finanziaria ed economica dell’impresa. Adeguata informativa circa il rischio di retrocessione del bene locato iscritto all’attivo può poi essere fornita all’interno dei conti d’ordine, tramite l’iscrizione del suo valore all’interno nel sottosistema dei rischi. Parimenti si dovrà fornire il dettaglio circa le eventuali perdite permanenti di valore del bene acquisito in leasing, le conseguenti modalità di svalutazione del medesimo e l’effetto di tali elementi sull’ammontare dei canoni residui da pagare.
Ex art. 2423, c.4, c.c., gli eventuali utili differenziali direttamente derivanti dall’esercizio della deroga dovranno essere accantonati in una riserva non distribuibile del netto patrimoniale. Essa potrà essere affrancata avverrà gradualmente negli esercizi successivi alla conclusione del contratto per una quota annua pari all’ammortamento del valore residuo del bene al termine del contratto imputato a conto economico nell’esercizio. In tal modo si salvaguarda l’integrità della situazione finanziaria dell’impresa durante il contratto di leasing evitando un’ulteriore uscita di risorse finanziarie correlata alla distribuzione di utili conseguenti non tanto ad effettive maggiori entrate monetarie, quanto alla sospensione dal reddito di periodo di costi che hanno già avuto per intero la loro manifestazione numeraria sotto forma di canoni di leasing corrisposti dall’impresa locatrice .
L’iscrizione dei beni in leasing all’attivo e dei correlati debiti al passivo può determinare inoltre una serie di modifiche alla struttura dello stato patrimoniale ex art. 2424 c.c. e la necessità di specifiche informazioni all’interno della nota integrativa del bilancio della impresa utilizzatrice.
Avvalendosi della facoltà concessa dall’art. 2423-ter c.c., c. 3, sarà opportuno aggiungere ad ogni classe delle immobilizzazioni una nuova voce preceduta dai numeri arabi nella quale iscrivere le attività per beni in leasing (ad esempio “BI8 – immobilizzazioni immateriali acquisite in leasing”, “BII6 – immobilizzazioni materiali acquisite in leasing”, “BIII5 – Immobilizzazioni finanziarie acquisite in leasing”), eventualmente fornendo il dettaglio delle sottovoci o direttamente nello schema di stato patrimoniale o nella nota integrativa ove le stesse fossero fra loro fortemente eterogenee. Alternativamente si potrebbero classificare per natura le attività per beni in leasing all’interno della specifica voce delle immobilizzazioni materiali, immateriali o finanziarie cui le stesse afferiscono, come sottovoci (ad esempio, “BII2b – impianti acquisiti in leasing”), in virtù di quanto previsto dall’art. 2423-ter c.c., c.2 .
Analogamente, con riferimento ai debiti conseguenti alla stipulazione del contratto di leasing, è possibile scegliere fra l’iscrizione degli stessi in una nuova voce dell’area dei Debiti di stato patrimoniale (ad esempio “D14 – passività per beni in leasing”) e la creazione di apposite sottovoci all’interno delle voci in cui tali passività possono essere classificate per natura (ad esempio “D3b – Debiti verso banche per beni in leasing”, D4b – Debiti verso altri finanziatori per beni in leasing”, “D10b – Debiti verso controllanti per beni in leasing”, ove l’impresa locatrice sia rappresentata dalla controllante e “D13b – Altri debiti – debiti per beni in leasing”). Si dovrà inoltre procedere alla separata indicazione della quota della passività per il leasing avente scadenza successiva alla fine dell’esercizio successivo .
Secondo il disposto dell’art.. 2429, c. 2, c.c., l’ammissibilità della deroga obbligatoria ex art. 2423, c. 4 c.c., deve essere verificata dal collegio sindacale della società utilizzatrice. Nella sua relazione all’assemblea, l’organo di controllo è tenuto, infatti, a formulare “le osservazioni e le proposte in merito al bilancio e alla sua approvazione, con particolare riferimento all’esercizio della deroga di cui all’art. 2423, c.4”. Ciò implica che il Collegio sindacale dovrà pronunciarsi sia sulla opportunità del ricorso alla deroga obbligatoria, sia sul rispetto della procedura prevista per l’applicazione della deroga stessa nella nota integrativa . A nostro avviso poi, l’organo di controllo dovrà vigilare negli esercizi successivi sulla permanenza delle condizioni che hanno reso possibile l’applicazione del metodo finanziario di rilevazione del leasing, con particolare riferimento alla verifica della certezza del riscatto del bene e segnalare gli eventuali rischi di retrocessione per cause intervenute successivamente alla prima applicazione del metodo e operare un rigido controllo sulle eventuali perdite di valore del bene locato.
6. Le problematiche fiscali connesse all’applicazione del metodo finanziario.
Resta ora da considerare l’aspetto fiscale della contabilizzazione dei leasing finanziari nell’accezione qui indicata secondo il metodo proposto dallo IAS 17 ed integrato con quanto specificato nelle pagine che precedono per tener conto delle caratteristiche della legislazione civilistica italiana.
In sostanza si tratta di stabilire se è possibile dedurre l’ammortamento del bene in leasing e gli oneri finanziari che sono stati imputati in conto economico in luogo del canone.
E’ ben noto che il reddito di impresa, disciplinato dagli artt. 51 e seguenti del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR d’ora in poi), si pone in un rapporto di “dipendenza rovesciata” rispetto al risultato di bilancio, nel senso che, da un lato, esso è determinato a partire da quest’ultimo, applicando le variazioni in aumento ed in diminuzione conseguenti all’applicazione delle norme fiscali specifiche in tema di redditi di impresa (art. 52 TUIR 917/86) e che, dall’altro lato, per fruire della possibilità di operare le deduzioni di natura fiscale è necessaria l’imputazione dei componenti negativi di natura fiscale all’interno del conto economico (art. 75, c. 4, I° periodo) .
Si deve quindi accertare ai fini delle imposte sui redditi se e come le specifiche norme di natura fiscale incidono sulla possibilità di dedurre i suddetti ammortamenti ed oneri finanziari imputati al conto economico in luogo dei canoni in virtù della contabilizzazione dei leasing secondo il metodo finanziario. La disciplina tributaria dei contratti di locazione finanziaria è specificamente contenuta nell’art. 67 c.8 TUIR, precedentemente analizzato, che per motivi pratici si riporta integralmente:
“….Per i beni concessi in locazione finanziaria le quote di ammortamento sono determinate in ciascun esercizio nella misura risultante dal relativo piano di ammortamento finanziario e non è ammesso l'ammortamento anticipato; la deduzione dei canoni da parte dell'impresa utilizzatrice è ammessa a condizione che la durata del contratto non sia inferiore a otto anni, se questo ha per oggetto beni immobili, e alla metà del periodo di ammortamento corrispondente al coefficiente stabilito a norma del comma 2, in relazione all'attività esercitata dall'impresa stessa, se il contratto ha per oggetto beni mobili….”
Dal tenore letterale della norma specifica si evince in modo inequivocabile che in tema di locazione finanziaria l’impresa utilizzatrice dei beni in leasing può solo operare la deduzione dei canoni di locazione finanziaria derivanti da contratti che soddisfino il requisito della durata minima, pari ad 8 anni in caso di contratti di leasing immobiliare e alla metà del periodo di ammortamento fiscale ordinario nel caso degli altri beni . Infatti, l’ammortamento dei beni medesimi è lasciato all’impresa concedente, cioè alla società di leasing che si intesta formalmente la proprietà dei beni oggetto di locazione .
Pertanto, a parere di chi scrive, l’impresa utilizzatrice che applichi la rilevazione dei beni in leasing secondo il metodo finanziario di cui allo IAS 17, in sede di determinazione del risultato fiscalmente imponibile ai fini IRPEG, dovrà operare una variazione in aumento pari alla somma fra l’ammortamento del bene in leasing e gli oneri finanziari imputabili al servizio del debito assunto in seguito alla stipulazione del contratto di locazione finanziaria, perdendo così la possibilità di dedurre non solo tale importo, ma anche la differenza fra questo ammontare e il canone di leasing di competenza dell’esercizio.
Analoga impostazione deve essere attuata in sede di determinazione dell’imposta IRAP, con l’unica avvertenza che, essendo tale imposta relativa alla differenza A-B del conto economico civilistico disciplinato dall’art. 2425 c.c. - cui si applicano le differenze nei criteri di valutazione fiscali di cui agli articoli 53-77 TUIR e le specifiche norme in tema di IRAP (ad esempio indeducibilità degli oneri relativi al personale) - le variazioni in aumento dovranno riguardare il solo importo relativo all’ammortamento del bene in leasing, essendo gli oneri finanziari oggettivamente esclusi dalla base imponibile dell’imposta, in quanto contenuti nella classe C del conto economico civilistico ex art. 2425 c.c. .
Data la oggettiva situazione di sfavore per l’impresa utilizzatrice derivante dalla suddetta impostazione della legislazione tributaria, e considerando che dalla contabilizzazione del leasing secondo il metodo finanziario nei periodi di imposta compresi nella durata del contratto non deriverebbe comunque un vantaggio fiscale, ma piuttosto un maggior onere tributario legato alla tassazione della differenza fra il canone di leasing di competenza dell’esercizio e la somma fra l’ammortamento del bene in leasing ed i correlati oneri finanziari, l’impresa utilizzatrice che volesse contabilizzare il leasing secondo il metodo finanziario proposto dallo IAS 17 potrebbe, a parere di chi scrive, accedere all’istituto del “diritto di interpello” previsto dall’art. 11 della L.212/2000, meglio nota come “Statuto del contribuente”.
Tale “diritto di interpello” conferisce ad ogni contribuente la possibilità di richiedere ed ottenere un parere in forma scritta da parte dell’Amministrazione finanziaria in merito a casi concreti di applicazione della normativa tributaria . Questa disposizione si aggiunge all’interpello disciplinato dall’art. 21 della L.413/1991 che disciplina il c.d. “interpello preventivo” e all’interpello previsto dall’art. 37-bis, comma 8 del DPR 600/73 .
Il diritto di interpello previsto ex art. 11 L. 212/2000, o interpello ordinario,fissa alcuni importanti principi nel rapporto fra il contribuente e l’amministrazione finanziaria rappresentati in particolare:
Attraverso l’utilizzo del diritto di interpello, a nostro avviso, l’impresa utilizzatrice potrebbe richiedere all’amministrazione finanziaria se, alla luce delle considerazioni in merito alle caratteristiche dello specifico contratto di leasing, è possibile disapplicare la norma tributaria specifica rappresentata dall’art. 67 c.8 TUIR proponendo una modalità alternativa di tassazione in base all’imputazione a conto economico degli ammortamenti per il periodo della vita economicamente utile e degli oneri finanziari per il periodo di durata del contratto di locazione, cioè secondo il metodo di cui al principio contabile internazionale, ottenendo un esplicito parere o un silenzio-assenso sul caso specifico da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Si deve però osservare che la effettiva possibilità di accesso all’interpello ordinario da parte della impresa utilizzatrice che utilizzi il metodo finanziario per la rilevazione del bene in leasing è subordinata alla verifica del contenuto del Decreto Ministeriale che determinerà l’ambito di applicazione della disciplina, con particolare riferimento alla definizione delle “obiettive condizioni di incertezza sulla corretta interpretazione” delle disposizioni tributarie di cui al comma 1 dell’art. 11, L. 212/2000 .
E’ infatti fondamentale al proposito capire se l’obiettiva incertezza si possa riferire al rapporto fra la norma ed il caso specifico o se invece afferisca più in generale all’interpretazione della norma. Mentre nel primo caso, a nostro parere, potrebbero essere validamente sostenute, quale argomento per la disapplicazione dell’art. 67, c.8 TUIR, le ragioni economiche alla base della rilevazione del leasing secondo il metodo finanziario, nel secondo, essendo la norma legislativa in oggetto di chiara interpretazione nel senso indicato all’inizio del presente paragrafo (deducibilità degli ammortamenti per il concedente e dei canoni per l’utilizzatore), si dovrebbe invece concludere per l’improcedibilità dell’istanza.
Si deve comunque osservare che, il problema della deducibilità fiscale del leasing rilevato secondo il metodo finanziario non si pone in presenza di risultati fiscalmente imponibili negativi o di perdite fiscali pregresse da recuperare sufficientemente capienti a consentire le riprese fiscali conseguenti alla impossibilità di dedurre ex art. 67, c.8, l’ammortamento del bene in leasing e gli oneri finanziari in luogo del canone.
7. Conclusioni.
Si ritiene di aver sufficientemente argomentato nelle pagine che precedono le ragioni alla base dell’ammissibilità della contabilizzazione nel bilancio di esercizio delle imprese utilizzatrici dei leasing finanziari nell’accezione considerata dallo IAS 17 secondo il metodo ivi proposto.
A nostro avviso però, tale possibilità resta limitata solo ai contratti di leasing nei quali si possa ipotizzare la ragionevole certezza del riscatto del bene al termine del contratto in virtù della sua convenienza per l’utilizzatore e la conseguente configurazione di un ciclo di impiego del bene medesimo nei programmi gestionali del locatario di durata significativamente diversa rispetto al ciclo finanziario connesso allo svolgimento del contratto di leasing.
Le peculiarità del nostro ordinamento giuridico civilistico, descritte nel paragrafo 3, impongono comunque, in caso di applicazione del metodo finanziario in oggetto, l’obbligatorietà della deroga ex art. 2423 c.c., c. 4 con tutte le conseguenze che da ciò derivano in termini di informativa supplementare in capo ad amministratori e sindaci.
Si ribadisce infine la impossibilità di dedurre fiscalmente tanto a livello di IRPEG quanto a livello di IRAP gli ammortamenti e gli oneri finanziari imputati in virtù dell’applicazione del citato metodo finanziario per il contrasto fra tale modalità di contabilizzazione e la disciplina specifica circa la deducibilità in capo all’utilizzatore del solo canone di leasing (art. 67, c. 8 TUIR), fatto salvo l’eventuale ricorso all’istituto del“Diritto di interpello” previsto dallo “Statuto del Contribuente” (Art. 11, L. 212/2000), ove ciò sia possibile una volta noto l’orientamento del Ministero delle Finanze in merito alle differenti fattispecie specifiche di interpello effettivamente praticabili.
Una inaccettabile interferenza della legislazione tributaria sembra quindi allontanare il bilancio di esercizio dell’impresa utilizzatrice dal finalismo conoscitivo ultimo sancito per questo documento dal legislatore civile con la clausola generale stabilita ex art. 2423 c.c..
A conclusione delle presenti note auspichiamo conseguentemente un rapido adeguamento della specifica norma tributaria sulla deducibilità dei leasing da parte degli utilizzatori alla inderogabile esigenza di intelligibilità propria del bilancio di esercizio destinato a pubblicazione.
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Viganò E., “L’iscrizione del leasing nei conti e nei bilanci di impresa”, Giannini, Napoli, 1969.
Per la definizione della funzione economico-aziendale del Leasing si vedano, fra gli altri, R. Ruozi, "Il Leasing", Giuffrè Editore, Milano, 19712, Capitolo 1, D. Velo, "Gli aspetti economico-finanziari della regolamentazione del leasing", in Rassegna Economica, pubblicazione bimestrale del Banco di Napoli, n. 2, marzo-aprile 1981, pagg. 408-409, G.M. Galimberti, "Il leasing industriale ed il leasing immobiliare", Giuffrè Editore, Milano, 1983, pag. 7 e seguenti, G. De Marchi - G. Cannata, "Leasing e Factoring", Pirola Editore, Milano, 1980, pagg. 21-34, R. Pravisano - F. Schiavon, “Ammortamenti e leasing”, PietreDeLillo Editore, Milano, 19802, pag. 141 e seguenti.
Un contratto si definisce atipico dal punto di vista giuridico, quando esso non rientra fra le forme espressamente disciplinate dal nostro ordinamento giuridico, cioè non esiste una norma o un insieme di norme esplicitamente codificate che ne offrano una disciplina organica, e, di conseguenza, la stessa risulta dalla combinazione analogica norme relative a due o più contratti tipici distinti. Per la nozione di contratto atipico si veda F. Torrente - E. Schlesinger, “Manuale di Diritto Privato”, Giuffrè Editore, Milano, 199916, § 123, pag.198.
La durata effettiva del ciclo di impiego di un cespite nei piani e programmi aziendali può essere diversa dalla sua vita economicamente utile, poichè il ciclo di impiego è influenzato da una serie di variabili endogene ed esogene all’impresa, rappresentate, nello schema proposto da Superti Furga per le immobilizzazioni tecniche da: a) Durata dei processi a cui le immobilizzazioni partecipano; b) Dinamica dei mercati di approvvigionamento dei fattori di produzione; c) Dinamica dei mercati di vendita; d) Convenienza a variare la dimensione della combinazione produttiva; e) progresso tecnologico. Si veda F. Superti Furga “Il bilancio di esercizio italiano secondo la normativa europea”, Giuffrè Editore, Milano, 19973, pag.154-155.
Per un’attenta definizione delle caratteristiche giuridiche del contratto di leasing, si rinvia a quanto indicato da R. Clarizia in AAVV, a cura di D. Velo, “Il leasing: manuale sugli aspetti giuridici, economici e fiscali”, Buffetti, Roma, 19894, pag. 39 e seguenti, G. De Nova, "Il contratto di leasing", Giuffrè Editore, Milano, 19943, parte prima, pagg. 3 e seguenti, C.E. Balossini - C.Coltro Campi, "Gli usi di banca, di borsa e di leasing", Giuffrè Editore, Milano, 1980, cap. IV., A. Frignani, “Factoring, Leasing, Franchising, Venture Capital, Leveraged Buy-out, Countertrade, Cash and Carry, Merchandising, Know-How, securitization”, Giappichelli Editore, TORINO, 1996, §§ 11-17.
Si citano al proposito il pensiero di Mella: “….per affrontare e risolvere il problema dell’annotazione dei valori delle operazioni di locazione (finanziaria o leasing, ndr) è necessario: a) specificare la ‘natura’ di tali operazioni; solo dopo aver chiarito quale sia la ‘realtà’ dell’operazione da rilevare sarà possibile discutere circa le forme più appropriate di rappresentazione….”. Si veda P. Mella, “La rilevazione delle operazioni di locazione finanziaria ed operativa”, in AAVV, a cura di D. Velo, “Il leasing…”, op. cit., pag. 114. Sulla stessa linea il pensiero di Velo, secondo cui “….I due diversi metodi di contabilizzazione (del leasing, ndr) pongono il problema delle diverse concezioni possibili, economiche e giuridiche, del leasing (cioè dei vari contratti di leasing). La scelta di uno di essi non può prescindere dalle norme e dagli usi contabili: esiste il vincolo della coerenza dei criteri di contabilità vigenti nel sistema. (….) per valutare la validità dei criteri alternativi di contabilizzazione, primo e fondamentale punto di riferimento deve essere l’analisi della precisa configurazione del fenomeno che viene rilevato. L’approccio può essere sinteticamente riassunto nella forma seguente: al fine di chiarire l’applicabilità del metodo operativo o del metodo finanziario nella rilevazione contabile delle operazioni di leasing, è opportuno chiarire in che misura le operazioni di leasing, nella loro concreta configurazione nell’esperienza italiana, presentino caratteri operativi o finanziari….”. Si veda D. Velo, “Gli aspetti economico-finanziari”, in AAVV, “La contabilizzazione delle operazioni di Leasing – Atti del Convegno A.TE.FI. – Milano, 19 novembre 1981”, Giuffrè Editore, Milano, 1983, pag. 86.
Si fa riferimento al testo del principio contabile internazionale 17 come tradotto nella lingua italiana in
”Principi contabili internazionali: IAS 1998/International accounting standards committee”, a cura di Ambrogio Picolli, Ed. Il sole-24 ore, Milano, 19982, pag. 309-330.
Si deve osservare che i concetti di obsolescenza tecnica ed economica cui lo IAS 17 fa riferimento sono pressoché assimilabili a quelli indicati nella migliore letteratura economico-aziendale. Al proposito si riporta la posizione di Superti Furga, secondo il quale “….la pratica è solita determinare la durata delle partecipazioni di impianti e macchinari alla produzione di impresa prendendo in esame due ordini di circostanze che condizionerebbero tale intervallo temporale: il logorio fisico-tecnico degli impianti e l’obsolescenza intesa come deperimento economico….Si osservi la distinzione esposta per vagliare la sua validità strumentale ai fini di ricerca economico-aziendale. Occorre innanzitutto esaminare quando un impianto sia ‘fisicamente’ esaurito….il progressivo deperimento fisico ha spesso come conseguenza una diminuzione della capacità operativa. Gli impianti logori implicano non di rado notevoli costi di manutenzione e riparazione, per cui gli operatori preferiscono….cambiare l’intera macchina o impianto. Gli operatori di azienda in tali circostanze reputano spesso conveniente sostituire l’unità tecnica tenendo presenti anche le prospettive di svolgimento dei processi produttivi. Ne consegue che è sempre un principio di convenienza, quanto meno supposta, spesso determinata formulando ipotesi alternative, ad indurre gli operatori all’eliminazione di un impianto produttivo. Un impianto può essere considerato obsoleto per l’intera combinazione produttiva, quando l’impianto stesso viene eliminato dal novero delle ‘immobilizzazioni’ d’impresa, oppure per un singolo processo di fabbricazione o per un raggruppamento di processi. Spesso, nelle imprese industriali, alcuni macchinari ed impianti sono distolti dal compito che gli operatori avevano loro assegnato e sono destinati a funzioni tecnicamente inferiori per le quali mezzi più efficienti non sembrano necessari. In questo caso varia la durata attribuibile agli impianti considerati nella loro nuova destinazione. Lo spostamento da un processo produttivo ad un altro può inoltre comportare una svalutazione del valore da ammortizzare….”. Si veda F. Superti Furga “Il bilancio”, op. cit., pag.153 e seguenti.
Tale impostazione sembra determinare l’iscrivibilità del bene locato nel bilancio del Locatario in considerazione della “appartenenza o proprietà economica” del bene a quest’ultimo sul bene stesso in virtù delle specifiche caratteristiche del contratto di leasing finanziario, laddove invece in considerazione di una nozione di proprietà in senso “giuridico-formale” non vi sarebbe dubbio che l’iscrizione del bene spetterebbe al legittimo proprietario, cioè al locatore. Per ulteriori approfondimenti rispetto a queste tematiche si vedano ad esempio su posizioni contrapposte, F.M. Giuliani, “Il leasing nel bilancio”, Quaderni di Giurisprudenza Commerciale, n. 168, Giuffrè Editore, Milano, 1996, pag.67 e seguenti, favorevole alla tesi dell’appartenenza economica, e R. Clarizia, “Collegamento negoziale e vicende della proprietà - due profili della Locazione finanziaria”, Maggioli Editore, Rimini, 1982, pagg. 82-86, contrario alla suddetta tesi.
Secondo lo IAS 17, i “pagamenti minimi” devono intendersi come “….i pagamenti che possono essere richiesti al locatario nel corso della durata del leasing esclusi canoni di locazione sottoposti a condizione, costi per servizi e imposte che devono essere pagati dal locatore ed essere a lui rimborsati assieme:
Tuttavia, se il locatario ha un’opzione di acquisto del bene a un prezzo che si ritiene sarà, alla data in cui l’opzione sarà esercitabile, sufficientemente inferiore al valore corrente, cosicché all’inizio del leasing ragionevolmente certo che la stessa sarà esercitata, i pagamenti minimi dovuti per il leasing comprendono i canoni minimi pagabili nel corso del leasing e il pagamento richiesto per esercitare l’opzione di acquisto”. Si veda IAS 17, Definizioni, § 3.
Ciò significa che, esercizio per esercizio, si imputerebbe una quota decrescente di interessi passivi a conto economico, cioè esattamente quello che avviene nel caso di rimborso di un debito per mutuo a rate costanti. Si vedano P. Mella, “La rilevazione delle operazioni di locazione finanziaria ed operativa”, op. cit., pag. 151, L. Anderloni, “La contabilizzazione delle operazioni di leasing”, in “Manuale del Leasing”, AAVV (a cura di R. Ruozi, A. Caretta), Giuffrè Editore, Milano, 1984, pag. 261.
Si veda Giurisprudenza della Corte di Appello di Milano, sentenza in data 11.02.1997, Presidente Salaria, Est. Scuffi.
Si avrà modo nel seguito di operare dei distinguo su alcune delle caratteristiche del contratto di leasing che, secondo lo IAS 17, dovrebbero determinare comunque l’adozione della rappresentazione contabile dell’operazione secondo il metodo finanziario precedentemente descritto, con particolare riferimento alla mancanza della opzione di riscatto del bene al termine del contratto. Si veda quanto affermato infra, § 4.
Si riporta in proposito il pensiero di Mella: “….occorre supporre che la locazione finanziaria comprenda due operazioni congiunte: la prima è di trasferimento di un fattore pluriennale dal locatore al locatario senza porre in essere un contratto di compravendita; la seconda è di finanziamento dal locatore al locatario con rimborso graduale secondo i ritmi previsti dal contratto, nella forma dei canoni di locazione. Più dettagliatamente: a) il locatore (società di leasing) a.1) acquisisce un fattore pluriennale e ne trasferisce tutti i benefici della proprietà al locatario pur mantenendo formalmente la proprietà fino alla scadenza della locazione; b) il locatario (impresa utilizzatrice): b.1) pur senza formalmente acquistare la proprietà di un bene pluriennale ne acquisisce di fatto tutti i benefici; in particolare, utilizza il fattore per lo svolgimento dei processi produttivi «consumandolo economicamente» secondo ritmi produttivi suoi propri, indipendentemente dalla durata e dall’entità dei canoni; b.2) ottiene dal locatore un finanziamento per l’acquisizione di cui al punto precedente, finanziamento che rimborsa gradualmente tramite i canoni, corrispondendo, con essi, un interesse (passivo)….”. Si veda P. Mella, “La rilevazione delle operazioni di locazione finanziaria ed operativa”, in AAVV a cura di D. Velo, “Il leasing”, op. cit., pag. 120. Si riporta inoltre il pensiero di Enrico Viganò: “….L’azienda locataria non possiede giuridicamente il diritto di proprietà sul bene impegnato nel suo processo produttivo, epperò non rileverà che la variazione negativa di esercizio pari all’importo dei canoni corrisposti. Il conto patrimoniale non darà notizia della presenza di quel bene. Tale semplice soluzione bada evidentemente soltanto all’aspetto delle conseguenze giuridiche di un contratto di leasing finanziario, dal momento che rappresenta una rigida applicazione del principio secondo il quale solamente i beni che appartengono all’impresa a titolo di proprietà giuridica possono costituire elementi attivi del capitale. Anche a tutta prima, peraltro, lascia perplessi il fatto che in quella maniera impostando la rilevazione del fenomeno, i conti e i bilanci finiscano per non dare notizia della presenza nell’ambito produttivo di beni che l’impresa ha il diritto di sfruttare nella sua potenziale totalità di servizi, restando a suo carico tutti i rischi e gli oneri connessi alla disponibilità di quel bene proprio come se ne fosse proprietaria oltrechè di fatto anche giuridicamente. E, ancora, che i conti e i bilanci non rilevino l’impegno assunto definitivamente dall’azienda locataria di pagare per numerosi esercizi avvenire il canone di locazione (….)”. Si vedaE. Viganò, “L’iscrizione del leasing nei conti e nei bilanci di impresa”, Giannini, Napoli, 1969, pag.26 e seguenti.
Si veda Direttiva CEE 78/660/CEE, art. 16.
Si veda ad esempio F. Superti Furga “Il bilancio”, op. cit., pag. 46.
Si veda la Relazione illustrativa del D. Lgs. 127/91, commento all’art. 6.
In proposito si segnala che la Corte di Cassazione a Sezioni Unite con sentenza n.65 del 7 gennaio 1993 ha individuato due distinte figure di leasing, denominate leasing di godimento e leasing traslativo. La prima è sostanzialmente assimilabile ad un noleggio operativo, mentre la seconda si realizza invece quando il bene è destinato a conservare alla scadenza contrattuale un valore residuo particolarmente apprezzabile per l'utilizzatore in quanto superiore al prezzo di opzione. La distinzione operata dalla Cassazione, che modifica le precedenti pronunce della stessa, deriva dalla constatazione che nella pratica commerciale il leasing finanziario ha sostituito contratti tipici con scopi di finanziamento, realizzando un risultato traslativo analogo a quello della vendita rateale con riserva di proprietà. Quanto appena indicato non può essere, a nostro avviso, che una ulteriore conferma della necessità di rappresentare i “leasing traslativi” come se fossero acquisti di beni da parte dell’utilizzatore.
Il presente assunto muove dall’estensione alle diverse classi di Bilancio rappresentate dalle “Immobilizzazioni” delle considerazioni appena sviluppate nel testo per la voce “Terreni e fabbricati” quale posta appartenente alla classe delle “Immobilizzazioni materiali” di allo schema di stato patrimoniale previsto ex art. 2424 c.c..
L’analisi del corpus organico dei principi contabili nazionali, elaborati congiuntamente dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e da quello dei Ragionieri, non contribuisce a chiarire la situazione poiché manca, allo stato attuale, un principio contabile italiano che suggerisca le modalità di rappresentazione dell’operazione di leasing finanziario nel bilancio di esercizio. Infatti, il principio contabile nazionale n. 16, denominato “Le immobilizzazioni materiali” se da un lato conferma l’assunto di fondo dello IAS 17 in tema di passaggio della proprietà del bene – nel paragrafo A.II del P.C. n.16 si afferma, infatti, che “….il passaggio del titolo di proprietà determina l’inclusione dei beni che costituiscono le immobilizzazioni materiali nei relativi conti, in quanto con tale passaggio vengono trasferiti i rischi ed i benefici relativi a tali beni….” - dall’altro, proprio nella nota al medesimo paragrafo, rinvia la trattazione delle problematiche contabili di rappresentazione del leasing ad un documento separato a tutt’oggi non ancora emanato. All’indeterminazione dei principi contabili nazionali sulla contabilizzazione del leasing nel bilancio di esercizio si contrappone il disposto del Principio Contabile Italiano n. 17, denominato “Il bilancio consolidato”, che, al paragrafo 9.8., in tema di rilevazione del leasing nel bilancio consolidato, dopo aver sinteticamente descritto il contenuto dello IAS 17, ammette espressamente l’applicabilità di tale principio con riferimento alla contabilizzazione in bilancio consolidato dei leasing finanziari nell’accezione qui assunta. Si vedano conseguentemente CNDCeR, Principio Contabile Italiano n. 16, “Le immobilizzazioni materiali”, § A.II e Principio Contabile Italiano n. 17, “Il bilancio consolidato”, § 9.8.
A ben vedere la violazione del principio di iscrizione delle attività disposto ex art. 2423-bis c.c., p.ti 2 e 4 derivante dalla applicazione del metodo finanziario di cui allo IAS 17 sembra essere già da sola valido presupposto per l’esercizio della deroga obbligatoria ex art. 2423, c.4, c.c.. Non si può dimenticare, infatti, che da un punto di vista squisitamente formale, l’elemento che legittima definitivamente il Locatario ad iscrivere a pieno titolo il bene all’interno delle attività di stato patrimoniale coincide con l’esercizio dell’opzione di riscatto del bene medesimo al momento pattuito nel contratto.
Si veda ad esempio F.M. Giuliani, “Il Leasing..”, op. cit., pag. 106.
Si è utilizzato il condizionale, perché, come noto, il Progetto di Legge n. 7123 della Camera dei Deputati non è mai giunto all’approvazione finale da parte del Parlamento e quindi, nella prossima legislatura il processo di riforma del diritto societario potrebbe anche ripartire da capo.
Si riporta uno stralcio della “Relazione illustrativa allo schema di disegno di legge per la riforma del diritto societario” sulle presenti disposizioni: “Per quanto attiene al criterio di cui alla lett. c) occorre mettere in evidenza che i limiti della vigente disciplina codicistica sul bilancio riguardano importanti famiglie di prodotti finanziari il cui utilizzo si è andato negli ultimi tempi diffondendo anche nel mondo delle imprese non bancarie. Ci si riferisce in modo particolare agli strumenti valutari, ai contratti derivati, agli strumenti di copertura dei rischi, ai pronti contro termine e alle locazioni finanziarie. Poiché tali fattispecie non sono specificamente regolate dalle disposizioni codicistiche in vigore si sono sviluppate da tempo prassi operative alternativamente ispirate alla disciplina settoriale delle banche (D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 87), alle disposizioni tributarie sul reddito di impresa , ai principi contabili (nazionali ed internazionali)”.
Si veda Supra, pag. 6-7.
Infatti la suddetta Relazione illustrativa, in merito a questo punto specifico, chiarisce che il Legislatore delegante si propone il “superamento del regime delineato dagli artt. 75 TUIR e 2426, secondo comma, c.c., e riconoscimento, in sede di dichiarazione dei redditi, dei componenti negativi di reddito misurati forfettariamente ai fini fiscali , ove essi eccedano in tutto o in parte i costi effettivamente imputabili al conto economico, e, perciò, a prescindere dalla loro imputazione al conto economico stesso”.
Per ulteriori approfondimenti sul tema si vedano F. Dezzani - P. Pisoni – L. Puddu, “Aspetti contabili del progetto di riforma delle società: eliminazione delle interferenze fiscali e fiscalità differita” in "Impresa c.i." n. 7-8/2000, pagg. 1097 e seguenti.
Si veda F. Superti Furga, “Reddito e Capitale nel bilancio di esercizio”, Giuffrè Editore, Milano, 19912, pag. 39-40.
Enrico Viganò, per giustificare la necessità di rappresentare il bene in leasing nel sistema di valori del locatario, si rifà ad una particolare accezione di capitale-disposizione. Si riporta di seguito il pensiero dell’Autore, a sua volta risultato dell’analisi di una serie di contributi di altri studiosi: “(….) Per poter pervenire ad affermare la necessità dell’iscrizione del valore del leasing nell’aspetto dell’operazione che riguarda il bene oggetto del contratto, bisogna dunque ribadire il fatto – che solo apparentemente rappresenta un duplice ordine di considerazione – che «dal punto di vista economico non tanto interessa la proprietà del mezzo di produzione, quanto la disposizione delle utilità che se ne possono trarre. La proprietà rappresenta solo una delle molte vie per cui tale disposizione può essere conseguita dall’impresa (nel testo virgolettato l’A. riporta il pensiero di G. Castellino, “Il Capitale di impresa”, Torino, 1951, pag. 50, ndr)» e che conseguentemente, allontanata ogni componente giuridica, «è elemento attivo del capitale ogni valore di energie passibile di concorrere alla formazione di ricavi futuri (in questo passo invece, l’A. riporta il pensiero di L. De Minico, “Lezioni di ragioneria. I fondamenti economici della rilevazione del reddito”, Napoli, 19462, pag. 231, ndr)», il che è particolarmente vero nel caso del leasing in cui le energie produttive del bene sono già – potenzialmente ma definitivamente – avvinte all’impresa”. Per completezza si riporta anche la nota 57, in cui l’A. riporta il pensiero di Azzini: “Per cui ben vi si applicano le seguenti affermazioni: «I ‘beni’ non hanno significato, non esistono, per la determinazione del capitale di funzionamento, disgiuntamente dalle operazioni, dai processi che segnalano e ai quali partecipano». «Gli elementi dell’attivo non sono ‘beni’ posseduti, non sono gli ‘investimenti’ dei fondi attinti al credito o alle imprese partecipanti, gli elementi del passivo non sono valori ‘dovuti’, per lo meno non lo sono sempre, e il passivo e il capitale netto non sono le ‘fonti’ dei valori investiti nell’impresa: essi tutti sono valori particolari determinati con riferimento ad operazioni, a processi produttivi e combinazioni generali e particolari in corso per addivenire alla determinazione consapevole dei risultati di esercizio (L. Azzini, “Le situazioni di impresa investigate nella dinamica economia delle produzioni. Vol. I: Le situazioni patrimoniali”, Milano, 1957, pagg. 164 e 193-194, ndr)». Si veda E. Viganò, “L’iscrizione del Leasing”, op. cit., pag.196.
E comunque, per quanto affermato al § 3, ciò richiederebbe l’esercizio della deroga obbligatoria ex art. 2423 c.c. per le motivazioni ivi specificate e cui si rinvia.
Si riportano per comodità di lettura tali caratteri, precedentemente indicati nel § 1. Essi sono rappresentata da:
Si veda Supra, § 1.
A ben vedere, infatti, è solo in presenza delle clausole relative al riscatto che si può configurare per l’impiego del fattore produttivo lo status di ciclo di processo in corso a durata pluriennale, cioè di immobilizzazione materiale, poiché solo in tal modo al realizzo indiretto tramite il funzionamento si affianca il realizzo diretto per liquidazione, che si attua al momento della dismissione del bene dal processo produttivo e che presuppone, evidentemente la proprietà del medesimo. Per i concetti di “realizzo di funzionamento” e di “realizzo di liquidazione” si veda G. Ferrero, “La valutazione del capitale di bilancio”, Giuffrè Editore, Milano, 1995, pag. 19. Staffico si riferisce, invece, alla nozione di beni economici come elementi del patrimonio-capitale di impresa e ne individua quale caratteristica la possibilità di formare oggetto di scambio a titolo oneroso. Così si esprime in merito l’Autore: “Nel concetto di patrimonio-capitale d’azienda sono richiamati: i beni economici, la loro pertinenza all’azienda ed il riferimento ad un determinato istante. Beni economici ai fini dei nostri studi sono quelli che possono essere giudicati utili nelle continue e sempre rinnovatesi combinazioni produttive che l’azienda pone in essere per il conseguimento dei suoi scopi. Certo non basta l’utilità al loro impiego nelle combinazioni produttive per giudicare i beni come economici, occorre che si abbiano anche gli altri tipici requisiti dell’economicità, quello della limitatezza e quello della accessibilità, occorre cioè che possano formare oggetto di uno scambio oneroso”. Si veda L. Staffico, “la rilevazione contabile del leasing da parte del locatario”, Giuffrè Editore, Milano, 1982, pag. 97.
Si veda anche quanto affermato da Giuliani con riferimento alla compresenza nel contratto del patto di riscatto e della lunga durata rispetto alla vita economicamente utile del bene locato. Secondo questo Autore, infatti, maggiore è tale durata, minore è la probabilità di esercizio del riscatto da parte del locatario. Si legge infatti: “Ma se è vero che, quando non vi è opzione, una lunga durata del contratto, tendente al limite all’intiera vita utile del bene, accresce l’appartenenza economica del locatario (in ipotesi mancando il diritto di recesso per entrambe le parti), tale assunto non può essere riproposto negli stessi termini in presenza di diritto di opzione di acquisto. Infatti, nella fase conclusiva della vita economica del bene, la possibilità – per il locatario – di acquistare la proprietà con un minimo esborso assume, piuttosto chiaramente, minore significato di un’analoga possibilità in epoca anteriore, quando il bene ha ancora un non-minimale segmento temporale di utilità economica. In altre parole, è assai più probabile che il locatario, potendo esercitare un’opzione conveniente in prossimità della «morte» economica del bene, rinunci all’opportunità dell’acquisto a basso costo, perché il bene più non gli interessa”. Si veda F. Giuliani, “Il leasing nel bilancio”, op. cit., pag. 92-93.
Ci si vuole cioè riferire unicamente a quei contratti nei quali sono presenti il patto di riscatto del bene e la ragionevole certezza che lo stesso sia esercitato alla conclusione del contratto (perché il prezzo di riscatto è significativamente inferiore al valore del bene alla stessa data) nell’ipotesi che vi sia una significativa differenza fra la durata del contratto e la vita economicamente utile del bene in leasing..
Per l’esemplificazione numerica della contabilizzazione del leasing secondo i differenti metodi si veda P. Mella, “La rilevazione delle operazioni di locazione finanziaria ed operativa”, op. cit., pag. 124 e seguenti, G. Fossati, “Il leasing”, Pirola Editore, Milano, 19897, pagg. 99-104, E. Santesso – U. Sòstero, “Principi contabili per il bilancio di esercizio”, Edizioni Il Sole 24 Ore, Milano, 1997, pagg. 293-295.
Si veda F. Superti Furga, “Il Bilancio”, op. cit., pag. 50.
Si veda per tutti, M. Leo - F. Monacchi - M. Schiavo, “Le imposte sui redditi nel testo unico”, Giuffrè Editore, Milano, 19996, Tomo I, pagg. 1015 - 1019.
Mella (Cfr. “La rilevazione delle operazioni di locazione finanziaria ed operativa”, op. cit., pagg. 132-137) propone – peraltro solo quale tappa di un percorso logico che lo porta a sostenere la necessità di rilevare del leasing finanziario fra gli elementi attivi del capitale di bilancio - una impostazione che media fra la contabilizzazione secondo la prassi contabile (c.d. “metodo patrimoniale”) e quella proposta dallo IAS 17 (c.d. “Metodo finanziario”) e che si incentra proprio sulla funzione informativa svolta dal sistema dei conti d’ordine, il cui impiego integrerebbe la rilevazione dei canoni di leasing in presenza di contratti di chiara natura finanziaria. L’informazione complessiva sul fatto economico si avrebbe quindi attraverso l’integrazione fra le rilevazioni del sistema di contabilità generale e le informazioni indicate nei conti d’ordine. Essi, con riferimento al locatario, rileverebbero il debito complessivo per i canoni da pagare, il valore del bene oggetto del contratto e l’ammontare complessivo degli interessi passivi da corrispondere durante il contratto. All’atto del pagamento dei canoni, nel sistema dei conti d’ordine si rileva la corrispondente diminuzione del debito per i canoni residui e lo storno del valore del bene per una quota sostanzialmente assimilabile alla quota capitale del debito, nonché della quota di interessi implicitamente inclusa nel canone. Si ritiene che questa impostazione non porti ad un significativo miglioramento della rappresentazione perché, comunque, non affronta il problema della diversità fra il ciclo di impiego del fattore produttivo e quella dell’impegno finanziario assunto dal locatario. Pertanto mentre l’integrazione fra i sistemi di scritture generale ed improprio darebbe l’informazione corretta in merito all’ammontare del debito residuo, così non avverrebbe per quanto riguarda la determinazione del valore residuo a fine esercizio del bene acquisito in leasing ove lo stesso sia impiegato per un periodo diverso da quello di durata del contratto.
Si riporta in proposito il pensiero del giurista G.E. Colombo, che sviluppa una sensibilità alle problematiche di rappresentazione del leasing finanziario del tutto simile a quella dei migliori aziendalisti. Secondo l’Autore “Un problema assai grave si pone invece in capo alla società utilizzatrice, al termine del rapporto,. Poiché fino a quel momento il bene è stato considerato estraneo al patrimonio di bilancio di tale società, ed i costi per canoni sono stati considerati come corrispettivi del godimento del bene medesimo e non come acconti sul costo di acquisto di quello. , non pare evitabile la conseguenza che il valore di iscrizione in bilancio sarà rappresentato esclusivamente dal prezzo di riscatto. Col risultato che, se il bene è utilizzabile dalla società locataria per 10 anni ma il leasing aveva durata quinquennale e il costo del riscatto è di 20, pari al 2% del totale delle rate di canone, mentre l’acquisto di quel bene «usato» a quella data avrebbe un valore di mercato di 200 o di 300, non si potrà iscrivere più di 20 e nei residui cinque esercizi la società non potrà ammortizzare altro che 20. Ogni soluzione che tenti di eliminare questa vera e propria deformazione dei dati di bilancio degli esercizi successivi al riscatto pare urtare contro ostacoli insormontabili. Aggiungere al costo del riscatto, come oneri accessori, gli interessi impliciti nelle rate di canone pagate durante il contratto di leasing contrasterebbe col metodo di contabilizzazione adottato ed equivarrebbe al riconoscimento della sua improprietà: nel metodo patrimoniale, infatti, quegli interessi sono stati considerati come parte del canone, e come tali spesati negli esercizi di competenza. Alquanto dubbia sarebbe anche la possibilità di fare ricorso alla deroga al criterio del costo ex art. 2423, 4° comma: è vero che l’iscrizione al «costo» rappresentato dal prezzo di riscatto contrasterebbe con l’esigenza della rappresentazione veritiera e corretta non solo della situazione patrimoniale della società ma anche – e soprattutto [si riporta anche il testo della nota 137, ndr: Ammortizzare nei cinque esercizi di vita utile residua del bene il «costo» di 20, anziché quello (che si otterrebbe adottando altra tecnica di contabilizzazione del leasing) di 200, significa non far gravare su ciascun conto economico un costo effettivo (di ammortamento) di 36 (la quota di ammortamento sarebbe di 4 anziché di 40)] – del risultato economico degli esercizi successivi; ma da un lato è discutibile potersi parlare, per ogni ipotesi di acquisto di immobilizzi mediante leasing, di «caso eccezionale»; e dall’altro la ragione della deroga starebbe, allora, non nella sopravvenienza di fatti che impongono di abbandonare il criterio del costo, bensì nell’aver dall’inizio adottato una tecnica di contabilizzazione impropria; sì che dalla constatazione che, a termine del contratto, occorrerà «derogare» al criterio del costo si dovrebbe trarre piuttosto la deduzione che fin dall’inizio occorreva non porsi sulla strada di una impropria rilevazione del costo di riscatto come costo dell’immobilizzazione.”. Si veda G.E. Colombo, “Bilancio di esercizio e Consolidato”, in “Trattato delle Società per Azioni” diretto da G. E. Colombo e G.B. Portale, Tomo VII°, UTET Editore, Torino, 1994, pagg. 269-270.
Si vedano E. Viganò, “L’iscrizione del leasing”, op. cit., pag.365 e seguenti, P. Mella, “La rilevazione”, op. cit., pag. 132. Molto chiara in proposito la posizione di Staffico, secondo il quale “…in particolare si osserva che la capacità di credito di una azienda è solitamente misurata dal rapporto tra i debiti ed il capitale proprio e da quello tra le attività e passività correnti, rilevabili dalla situazione patrimoniale del bilancio di esercizio, eventualmente riclassificata nei suoi valori. Se valori derivanti dalle operazioni di leasing non comparissero tra le voci dei debiti a breve e a lungo termine e tra le voci del capitale fisso, i risultati di quei rapporti risulterebbero migliori e si avrebbe così di fatto un’immagine distorta della situazione finanziaria. E’ quindi opportuno che l’obbligazione finanziaria derivante dal leasing, quando è prevista come impegno inevocabile e duraturo nel tempo, ed il diritto all’uso dei beni figurino nel bilancio. In questo modo l’informazione che se ne vuole derivare ai fini finanziari è più completa e si evita l’assurdo che se il leasing non fosse rilevato e non fosse compreso nei suoi valori negli indici dedotti dal bilancio, l’azienda possa accrescere la propria capacità di credito. La maggior capacità di credito offerta dal leasing non può essere intesa correttamente che come possibilità di un’altra fonte di finanziamento, alla quale l’azienda può accedere ; tutte le fonti di finanziamento di terzi alle quali l’azienda ricorre devono essere riportate nel bilancio per poter esprimere un giudizio sulla posizione finanziaria, pur nei limiti che questo sia consentito da quel documento…..”. Si veda L. Staffico, “la rilevazione contabile del leasing da parte del locatario”, op. cit., pagg. 117-118. Si noti che secondo il citato Autore il valore iscritto all’attivo non sarebbe espressivo del bene locato, quanto a quello del diritto al suo utilizzo. Sembrerebbe quindi che l’autore propenda per la natura immateriale di tale diritto. Per le argomentazioni da noi esposte nei §§ 3 e 4, si ritiene invece che la migliore modalità di classificazione sia quella di iscrivere il valore relativo al ciclo di impiego del bene in leasing in una voce sì appositamente creata, ma all’interno della classe delle immobilizzazioni cui lo stesso è omogeneo. Si ritiene inoltre che questa nostra posizione rispecchi anche la struttura dell’attivo di Stato patrimoniale nella quale prevale su tutti il principio della classificazione per destinazione, come si può notare ad esempio per la classificazione degli acconti relativi all’acquisto di immobilizzazioni delle diverse specie.
Secondo E. Viganò, “….la rilevazione del leasing nel conto patrimoniale del bilancio, mentre dà al lettore del documento l’informazione quantitativa più significativa del fenomeno nella sede più appropriata, non può ritenersi sufficiente a soddisfare il desiderio di minima conoscenza delle persone estranee all’impresa. A tal fine è necessario che siano fornite notizie di carattere qualitativo sul fenomeno – nelle note al bilancio o nella relazione degli amministratori o in altra acconcia maniera, a seconda della pratica e della legislazione positiva dei vari paesi – almeno fino a quando non sia dato constatare clausole contrattuali uniformi nella generale adozione della pratica e una diffusione tale del leasing da far presupporre una conoscenza delle implicazioni dell’operazione sull’economia delle imprese presso un vasto gruppo di persone anche non esperte, per competenza specifica in questioni economico-aziendali.”. Si veda E. Viganò, “L’iscrizione del leasing”, op.cit., pag. 183-184. Si veda inoltre il contributo di M. Simoncini, “Il contratto di leasing finanziario”, Giappichelli Editore, Torino, 1996, pagg. 55-56 e quanto precedentemente specificato in sede di commento dello IAS 17, § 2 .
Sulle modalità di esercizio operative di esercizio della deroga obbligatoria si vedano, fra gli altri, M. Caratozzolo, “Il bilancio di esercizio”, Giuffrè Editore, Milano, 1998, pagg. 718-719, M. Cattaneo - P. Manzonetto, “Il Bilancio di esercizio. Profili teorici ed istituzionali negli anni novanta”, ETAS Libri, Milano, 1992, pagg. 208-209, E. Colucci – F. Riccomagno, “Il bilancio di esercizio e il Bilancio Consolidato”, CEDAM, Padova, 19994, pagg. 19-26 e pagg. 268-269, S. Cricchio, “Il sistema informativo del bilancio di esercizio”, Giuffrè Editore, Milano, 1997, pagg. 108-110, F. Dezzani - P. Pisoni - L. Puddu, “Il bilancio di esercizio”, Giuffrè Editore, Milano, 19962, pag.1090, P. Golia, “La nota integrativa”, in AAVV, “Il Bilancio di Esercizio e il Bilancio Consolidato” a cura di F. Palma, Giuffrè Editore, Milano 19993, pag. 408, A. Matacena, “Il bilancio di esercizio. Strutture formali, logiche sostanziali, e principi generali”, Editrice CLUEB, Bologna, 1993, pagg. 153 e seguenti, P. Mella – L. Rinaldi, “Le relazioni degli amministratori”, Pirola Editore, Milano, 19923, pagg. 115-116, F. Pezzani, “L’economia d’azienda e le determinazioni quantitative. L’evoluzione dell’informativa di Bilancio”, in AAVV, “Il bilancio di esercizio nell’informativa esterna di impresa” a cura di F. Pezzani, Giuffrè Editore, Milano, 1993, pag. 40, M. Pini, “I principi del nuovo bilancio di esercizio”, ETAS Libri, Milano, 1993, pagg. 78-91, M. Saita – B. Campedelli, “Il bilancio di esercizio e consolidato”, Giuffrè Editore, Milano, 1997, pag. 157, F. Superti Furga, “Il Bilancio”, op. cit., pagg. 244-245, S. Terzani , “Introduzione al bilancio di esercizio”, CEDAM, Padova, 19955, pag. 67, M. Tieghi, “Il Bilancio di esercizio. Teoria e Prassi”, Editrice CLUEB, Bologna, 1992, pagg. 54 e seguenti..
La ratio della cautela che il legislatore civilistico impone limitando la distribuzione degli utili in presenza di determinate capitalizzazioni di costi è ben spiegata da Superti Furga, secondo il quale “….il maggior reddito di esercizio conseguente alla capitalizzazione dei costi menzionati deve essere imputato ad una riserva indisponibile la cui destinazione potrà essere scelta dall’assemblea ordinaria dei soci con il progredire del processo di ammortamento. Anche se il legislatore non prevede la costituzione di una riserva indisponibile a fronte di capitalizzazioni di costi per impianti, ampliamenti, studi, ricerche, ecc. la loro appostazione in bilancio ne è la conseguenza logica; dividendi possono essere distribuiti solo se residuano utili o se vi sono altre riserve disponibili. Il reddito di esercizio è un valore necessariamente congetturato, di specie economica, mentre la distribuzione di dividendi è un’operazione che attiene agli aspetti finanziari della gestione d’impresa. Il legislatore considera la natura di determinati componenti positivi di reddito e, quando reputa che l’eventuale distribuzione di dividendi possa compromettere l’equilibrio finanziario dell’impresa, impone l’accantonamento in riserve indisponibili di un valore pari ai redditi reputati non distribuibili”. Si veda F. Superti Furga, “Reddito e capitale”, op. cit., pag. 112-113.
Si veda Supra, § 1.
Si veda quanto affermato nel nostro precedente scritto dal titolo “La valutazione dei debiti e la loro iscrizione nello stato patrimoniale ex art. 2424 c.c.”, Serie Working Papers, Università degli Studi di Pavia, Facoltà di Economia, Dipartimento di Ricerche Aziendali, Anno 3°, Quaderno n. 3, Pavia, marzo 1995, pag. 18 e pag. 50.
I “Principi di comportamento del Collegio Sindacale” approvati dai Consigli Nazionali dei Dottori Commercialisti e dei Ragionieri ed in vigore dal 1° gennaio 1997, prevedono in proposito la seguente norma di comportamento (norma 3.7.e): “e) Osservazioni in merito alle deroghe ex art. 2423.c.c., 4° comma, ed in merito all’art. 2423-bis c.c., ultimo comma: Nel caso in cui gli amministratori abbiano fato ricorso alle deroghe di cui agli artt. 2423, 4° comma, e 2423-bis, ultimo comma, c.c., il collegio sindacale dovrà riferire se gli obblighi ricorrenti in tali circostanze siano stati o meno osservati dagli amministratori, segnalando le proprie osservazioni in merito. Qualora i sindaci non concordassero con il comportamento degli amministratori, ciò costituirebbe eccezione alla correttezza del bilancio.”. Si veda CNDCeR, “principi di comportamento del Collegio Sindacale”, Giuffrè Editore Milano, 1996, Norma 3.7.e). Sul punto è interessante anche la più approfondita analisi contenuta nei “Quaderni del Sindaco”, iniziativa editoriale promossa dalla Fondazione dei Dottori Commercialisti di Milano a commento applicativo dei citati principi di comportamento del Collegio Sindacale. Si riportano alcuni passi del commento alla norma 3.7.e): “….Si ritiene che in caso di deroga i Sindaci effettuino approfondite valutazioni su tali circostanze che peraltro potrebbero manifestarsi a seguito di mutate condizioni di ambiente o di mercato interne all’azienda stessa. In ogni caso, tale deroga eccezionale non dovrà contrastare con l’esigenza della rappresentazione veritiera e corretta della situazione aziendale. (…..) I Sindaci dovranno verificare se le motivazioni (date dagli amministratori, ndr) sono logiche, se sono state fornite nella Nota Integrativa tutte le informazioni pertinenti, ed in caso affermativo dovranno scrivere nella loro relazione un paragrafo del seguente tenore: (si omette l’esempio relativo alla deroga ai criteri di valutazione, ndr). Questa dizione serve sia quale dichiarazione di consenso dei Sindaci sulla modifica del criterio applicato sia ad evidenziare in un documento molto più sintetico del bilancio gli effetti di carattere straordinario (non di gestione) che hanno influenzato la situazione patrimoniale-finanziaria e il risultato di esercizio espressi nel bilancio”. Si veda “Quaderni del Sindaco. N. 8. Controlli sul bilancio di esercizio e contenuto della relazione all’assemblea dei soci: Verbalizzazione del controllo sul bilancio e contenuto della relazione dei Sindaci (capo III – Sez. D. – Norme 3.4 e 3.7).”, Giuffrè Editore, Milano, 1998, pagg. 31-32 .
Per il concetto di dipendenza rovesciata, si veda Falsitta, secondo il quale essa “….assume in primo luogo sembianze di rapporto di «alterazione» o di «deformazione» del diritto civile sul bilancio ad opera del diritto tributario. (….) Si ricade….in una prima forma della manifestazione della «dipendenza rovesciata» allorchè si riscontrano i seguenti dati distintivi: 1) la norma tributaria adotta, nel regolamentare la valutazione di un elemento dello stato patrimoniale o di un componente reddituale, un criterio diverso da quello imposto dal codice civile e «più favorevole» al contribuente, a scopo di alleggerimento temporaneo del prelievo fiscale; 2) la stessa norma impone che il contribuente, per conseguire il vantaggio derivante dalla applicazione del criterio più favorevole, adotti il criterio stesso in sede di erezione del bilancio civilistico, facoltizzando con ciò stesso, una deroga alla regola valutativa civilistica e in fatto, disapplicando quest’ultima.”. Si veda G. Falsitta, “Il bilancio di esercizio delle imprese. Interrelazioni tra diritto civile e diritto tributario”, Giuffrè Editore, Milano, 1985, pagg. 11-12. Si vedano, fra gli altri, R. Lupi, “La determinazione del reddito e del patrimonio delle società di capitali tra principi civilistici e norme tributarie”, in “Rassegna tributaria”, ETI Editore, Roma,. n. 10/90, parte I, pagg. 699 e seguenti, § 10, A. Monti, “Reddito civile e reddito fiscale. Gli effetti fiscali dell’attuazione della IV Direttiva in materia di attuazione di bilancio di esercizio”, CEDAM, Padova, 1994, pag. 10 e seguenti.
Si veda ad esempio R. Lupi, “La determinazione del reddito”, op. cit. § 15; contra Alfonso Ghini, secondo cui, a seguito della emissione da parte della Suprema Corte di Cassazione di sei sentenze della Suprema Corte emesse nel 1989, contraddistinte dai numeri da 5569 e 5574 in data del 13 dicembre 1989 è stato definitivamente ammesso nel nostro ordinamento giuridico l’istituto del “leasing traslativo”, nel quale “….le parti al momento della formazione del consenso prevedono che il bene, avuto riguardo alla sua natura, all'uso programmato ed alla durata del rapporto, è destinato a conservare, alla scadenza contrattuale, un valore residuo particolarmente apprezzabile per l'utilizzatore, in quanto notevolmente superiore al prezzo di opzione, sicché il trasferimento del bene all'utilizzatore non costituisce, come nel leasing tradizionale, un'eventualità del tutto marginale ed accessoria, ma rientra nella funzione assegnata dalle parti al contratto. In quest'ultima ipotesi, in mancanza di un'apposita disciplina normativa, il rapporto contrattuale inter partes è regolato dall'art. 1526 del codice civile, il quale è applicabile in via analogica, stante l'omogeneità degli interessi tutelati….”. Questa tipologia di leasing, che coincide con il leasing finanziario di cui allo IAS 17, deve essere considerata secondo l’autore come una vendita con patto di riservato dominio, cui applicare il disposto dell’art. 75, c. 2, TUIR con il conseguente passaggio del bene al patrimonio dell’utilizzatore. Si veda A. Ghini, “L'individuazione di due figure di "leasing": di godimento e traslativo”, ne "Il fisco", n. 39/1994, pagg. 9398 e seguenti.
E’ però la stessa Commissione Parlamentare dei Trenta, nel parere dato al Governo in sede di formulazione del Testo Unico delle Imposte sui Redditi nella sua prima formulazione a sottolineare, nell’ormai lontano 1988, l’inadeguatezza delle norme tributarie sul leasing e la loro non giustificabilità sia sotto il profilo civilistico che sotto quello economico. Si riportano i passi più significativi in proposito della “Relazione Usellini” - dal nome dell’estensore della Relazione allo schema di Testo Unico sulle Imposte sui Redditi avanti la citata Commissione - cioè i commenti agli artt. 40 (nozione di immobili strumentali) e 67 (regime degli ammortamenti delle immobilizzazioni materiali): “….All’art. 40, concernente la disciplina dei beni immobili strumentali, per la definizione di tale categoria di beni si è fatto riferimento alla formula già usata per dal Testo Unico delle Imposte dirette del 1958 in vigore fino alla riforma tributaria del 1973, cioè di «beni non suscettibili di diversa utilizzazione senza radicale trasformazione». Nonostante l’ampliamento della categoria ai beni che strutturalmente sono destinati all’esercizio di un’attività commerciale o professionale, prescindendo dalla loro diretta utilizzazione da parte del possessore, resta un notevole ambito di incertezza per l’individuazione in concreto dei beni strumentali, cui è connesso un regime di determinazione del reddito diverso da quello degli altri cespiti fondiari. Per superare tale incertezza potrebbero essere qualificati come strumentali tutti i beni immobili appartenenti alle società commerciali. Nelle note illustrative si afferma che non si è ritenuto stabilire espressamente la strumentalità degli immobili posseduti da società di leasing, e ciò perché andrebbe rimesso all’interprete se e a quali condizioni tali immobili debbano essere considerati strumentali. In effetti, non si vede quale sia il problema da rimettere all’interprete, dal momento che l’attività di leasing è certamente esercizio di una impresa di finanziamento, ma il problema è un altro: se cioè d’ora in poi l’inquadramento ai fini civilistici e tributari del leasing debba avvenire non più secondo gli schemi della locazione, ma secondo quelli della vendita con patto di riservato dominio (la sottolineatura è nostra, ndr). Da tale punto di vista i beni sono strumentali solo per il conduttore, mentre per il locatore non concorrono in alcun modo alla determinazione del reddito che, invece, influenzato dal costo del denaro. L’attuale trattamento delle operazioni di leasing non appare giustificabile né sotto il profilo civilistico né sotto il profilo economico (la sottolineatura è nostra, ndr). (….) In coerenza con tale principio, e anche in vista della prossima attuazione in Italia della quarta direttiva CEE sui bilanci, sembra necessario estendere al leasing la soluzione già accolta per le vendite con patto di riservato dominio (art. 75), in modo che gli ammortamenti siano riservati al solo locatario come se il bene avesse formato oggetto di compravendita fin dall’origine (la sottolineatura è nostra, ndr). In questo caso però devono essere stralciati dal costo dei beni gli interessi destinati a compensare il concedente per la sua prestazione di finanziamento. In tal modo nel conto economico dell’impresa concedente vi saranno solo costi e ricavi di natura finanziaria, mentre nel conto economico dell’impresa concessionaria figureranno separatamente i costi finanziari dell’operazione e l’ammortamento che rappresenta la quota di competenza del costo patrimoniale sostenuto per produrre i correlativi ricavi di esercizio. Il sistema attuale confermato nell’art. 75 dello schema di Testo Unico non consente invece la determinazione del reddito i secondo principi di competenza economica indicati dalla legge delega (la sottolineatura è nostra, ndr). E’ infatti contabilizzato come spesa di esercizio l’intero importo dei canoni pagati senza la giusta correlazione con i ricavi prodotti nei singoli esercizi e attribuibili all’utilizzo del cespite. Ciò consente, variando a piacimento la durata del contratto, di imputare al conto economico dell’utilizzatore del bene il costo dello stesso senza alcun riferimento alla effettiva utilizzazione (….. ).All’art. 67 il regime degli ammortamenti è stato profondamente modificato (la sottolineatura è nostra, ndr) (….) L’ottavo comma fissa espressamente la disciplina di ammortamento dei beni concessi in locazione finanziaria limitando la deducibilità di ammortamento soltanto ai beni che hanno carattere oggettivo di strumentalità. Tale scelta nell’attuale impostazione comporta una grossa penalizzazione per importanti settori produttivi senza che tale esclusione possa avere una adeguata giustificazione nei motivi di cautela fiscale indicati nella relazione. Mentre nel nuovo inquadramento proposto nel commento all’rt. 40 (e riportato in precedenza nella presente nota, ndr) l’ammortamento deve essere sempre e comunque escluso per il concedente giacchè ad esso è abilitato il concessionario. Se si intende restare nell’attuale ottica occorre almeno precisare il regime dell’eventuale plusvalenza in caso di cessione del contratto, nel senso che si fa riferimento al valore normale.”. Si veda Usellini M., “Testo della relazione sullo schema di Testo Unico per le Imposte sui Redditi alla Commissione parlamentare per il parere al Governo sulle norme delegate relative alla riforma tributaria”, ne “Il Fisco”, 1986, pagg. 95 e seguenti, commento agli artt. 40 e 67, ottavo comma). Come si diceva nel principio della nota, le proposte di modifica formulate dall’On. Usellini con riferimento alle modalità di deduzione dei leasing furono fatte proprie dalla Commissione dei Trenta (si veda in proposito il “Parere al Governo sulle norme delegate relative alla riforma tributaria”, ne “Il Fisco”, 1988, pagg. 1650 e seguenti, sub artt.. 40 e 67, ottavo comma). Tali osservazioni non sono state però recepite nella disciplina del TUIR né in sede di prima formazione (si veda in proposito Ministero delle Finanze, “Note illustrative ministeriali al progetto di testo unico”, ne “Il Fisco, 1988, pagg. 1583 e seguenti relativamente al commento degli artt. 40 e 68, ottavo comma) né successivamente, dato che non si sono stati registrati nel tempo significativi cambiamenti del regime di deducibilità dei canoni di leasing in capo al locatario. Anche la Dottrina Tributaria critica la presente formulazione della norma proprio in merito alla impossibilità di applicare operativamente il più efficace metodo di rappresentazione del leasing finanziario di cui al principio IAS 17. Si riporta sul punto la posizione di Gerla, il quale afferma che “….in tema di proposte, sarebbe ora di porci il problema della deduzione dei canoni di leasing secondo le ben diverse regole praticate all’estero.; la deduzione integrale della quota capitale quale componente del canone periodico è certamente elemento di distorsione del bilancio; inoltre la sola deduzione degli oneri finanziari e dell’ammortamento del bene acquisito in leasing consentirebbe di eliminare le limitazioni alla deducibilità in relazione alla durata minima del contratto….”. Si veda C. Gerla, “Proposte in tema di ammortamenti e accantonamenti”, in “Il Fisco”, ETI Editore, Roma, n. 36/1994, pagg. 8659 e seguenti.
Nell’attuale formulazione prevista ex art. 11 D.Lgs. 446/97 la base imponibile IRAP coincide con la differenza A – B dello schema di conto economico previsto ex art. 2425 c.c.. Pertanto gli oneri finanziari relativi al leasing sono esclusi dalla base imponibile dell’imposta, poiché nel metodo finanziario essi vengono scissi dal rimborso della quota capitale del finanziamento e iscritti separatamente nell’area C del conto economico civilistico disciplinato ex art. 2425 c.c.. Per ulteriori informazioni in merito al rapporto fra le modalità di determinazione dell’imposta IRAP e le caratteristiche del conto economico civilistico, si rimanda al nostro precedente scritto “Le implicazioni di Bilancio indotte dalla determinazione dell’IRAP (Imposta Regionale sulle attività produttive)”, Università degli Studi di Pavia, Facoltà di Economia, Dipartimento di Ricerche Aziendali, Serie Working Paper, Anno 6°, quaderno n. 3, Pavia, settembre 1998.
Si riporta di seguito il testo dell’articolo 11, L. 212/2000:
“ Art. 11.
(Interpello del contribuente)
1. Ciascun contribuente può inoltrare per iscritto all’amministrazione finanziaria, che risponde entro centoventi giorni, circostanziate e specifiche istanze di interpello concernenti l’applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti e personali, qualora vi siano obiettive condizioni di incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni stesse. La presentazione dell’istanza non ha effetto sulle scadenze previste dalla disciplina tributaria.
2. La risposta dell’amministrazione finanziaria, scritta e motivata, vincola con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza di interpello, e limitatamente al richiedente. Qualora essa non pervenga al contribuente entro il termine di cui al comma 1, si intende che l’amministrazione concordi con l’interpretazione o il comportamento prospettato dal richiedente. Qualsiasi atto, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio, emanato in difformità dalla risposta, anche se desunta ai sensi del periodo precedente, è nullo.
3. Limitatamente alla questione oggetto dell’istanza di interpello, non possono essere irrogate sanzioni nei confronti del contribuente che non abbia ricevuto risposta dall’amministrazione finanziaria entro il termine di cui al comma 1.
4. Nel caso in cui l’istanza di interpello formulata da un numero elevato di contribuenti concerna la stessa questione o questioni analoghe fra loro, l’amministrazione finanziaria può rispondere collettivamente, attraverso una circolare o una risoluzione tempestivamente pubblicata ai sensi dell’articolo 5, comma 2.
5. Con decreto del Ministro delle finanze, adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, relativo ai poteri regolamentari dei Ministri nelle materie di loro competenza, sono determinati gli organi, le procedure e le modalità di esercizio dell’interpello e dell’obbligo di risposta da parte dell’amministrazione finanziaria.
6. Resta fermo quanto previsto dall’articolo 21 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, relativo all’interpello della amministrazione finanziaria da parte dei contribuenti.”
L’interpello preventivo attribuisce al contribuente la facoltà di interpellare l’Amministrazione finanziaria al fine di ottenere un parere sulla corretta configurazione fiscale di determinate operazioni, per loro natura potenzialmente elusive, che siano già state poste in essere o che debbano ancora essere compiute. Le fattispecie per cui si può procedere a tale forma di interpello sono espressamente previste dall’art. 21 della legge 413/91. Esse riguardano: a) l’interposizione fittizia di persone (art. 37, c.3, DPR n. 600/73); b) le operazioni potenzialmente elusive (art. 37-bis, DPR n. 660/73); c) la qualificazione delle spese sostenute per pubblicità, propaganda e rappresentanza (art. 74, c.2. DPR 917/86); d) la natura ed il trattamento tributario delle operazioni intercorse fra imprese residenti e società domiciliate fiscalmente in stati o territori non appartenenti alla Unione Europea ed aventi un regime fiscale privilegiato, (Art. 76, c. 7-bis, DPR 917/86, art. 11, c. 13, L. 413/91); e) i conferimenti in denaro provenienti da soggetti residenti relativamente all’individuazione delle variazioni in aumento del capitale investito rilevanti ai fini della Dual Income Tax (art. 3, c.3, lett. a, D.Lgs. n. 466/97); f)l’inapplicabilità delle disposizioni agevolative in materia di tassazione dei dividendi distribuiti da società direttamente o indirettamente controllate da uno o più soggetti non residenti nei territori della Comunità Europea (art. 96-bis, c. 7, DPR 917/86).
Questa seconda forma di interpello consente la disapplicazione di talune norme specifiche che, per finalità antielusive, “limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammesse dall’ordinamento tributario”. Con questa seconda forma di interpello quindi il legislatore permette al contribuente di disapplicare norme antielusive specifiche ove il contribuente possa dimostrare che nella particolare fattispecie concreta non potevano verificarsi gli effetti elusivi che la norma intendeva evitare. Si cita come esempio la disapplicazione della norma relativa alla presunzione di utilizzo promiscuo dei telefoni cellulari, che limitano quindi al 50% la deducibilità delle spese per tali apparati telefoni ai fini della determinazione del reddito di impresa, se, come è effettivamente successo nel caso di una impresa di trasporti, il contribuente è riuscito a dimostrare l’inerenza per intero di tali costi all’attività dell’impresa. Per ulteriori approfondimenti sui due istituti di interpello qui brevemente illustrati si veda L. Spagna, “L’interpello e le sue diverse fattispecie: possibilità e limiti di uno strumento utile per migliorare il rapporto fra il Fisco ed i contribuenti”, ne “Il Fisco”, n. 44/2000, ETI Editore, Roma, pag. 13001 e seguenti, G. Valente, “La disapplicazione di norme di natura antielusiva (art. 37-bis, c. 8, D.P.R. 600/1973)”, ne “Il Fisco”, n. 44/2000, ETI Editore, Roma, pag. 12960 e seguenti.
.A tutt’oggi (marzo 2001) tale regolamento ministeriale non è ancora stato emanato.
Fonte: http://ea2000.unipv.it/paper/santucci/articolo%20santucci.doc
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