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SHODO
L’ uso del termine occidentale “calligrafia” (bella scrittura) non riesce ad esprimere correttamente il significato della pratica legata alla scrittura in Estremo Oriente.
Il termine giapponese SHODO (SHO – scrittura e DO – via, percorso) assume il significato di “ via della scrittura”.
Il secondo carattere “DO” viene usato in numerose occasioni per contraddistinguere la pratica di un’arte, che richiede un impegno costante e che in diversi modi può assumere le caratteristiche di un percorso che conduce, tramite un perfezionamento tecnico trasmesso da un Maestro, ad un affinamento interiore dell’individuo. E’ anche il carattere che indica la Via (il TAO), cioè il processo di mutamento e di divenire di tutte le cose su cui si basa la filosofia taoista.
In Giappone, questo termine, viene applicato, soprattutto dal XIX secolo, a numerose arti tradizionali in conseguenza agli influssi che ebbe in particolare il Buddismo sulla loro pratica, intesa come percorso: KEN-DO, JU-DO, KARATE-DO, CHA-DO, ecc.
La via, o arte della scrittura, costituisce in ogni caso un insieme composto da:
Così si comprende perché sia necessario:
La pratica permette e favorisce:
L’azione del pennello converte in segni i gesti del calligrafo. Questi segni possono essere decisi o incerti, veloci o lenti, sottili o spessi, ma contengono sempre una forza che tradizionalmente viene definita KI ( traducibile approssimativamente in “energia vitale”).Questa forza circola nei segni e nei rapporti che si instaurano tra di loro. Scrivendo un carattere si fornisce la rappresentazione di un’idea, ma tracciando in calligrafia si tende a trasmettere soprattutto la relazione che si instaura tra il KI del calligrafo e la circolazione del KI che il carattere possiede. Volendo esprimere in altri termini questo concetto si può dire che l’istantaneità della calligrafia permette di registrare un ritratto del “cuore” del calligrafo. Sulla carta viene tracciato un percorso che sgorga dalla sua interiorità; la composizione che ne risulta, basata su rapporti proporzionali, ritmi, equilibri, pieni e vuoti, ecc. equivale alla registrazione di un sismografo dell’animo umano.
Gli strumenti:
Secondo la tradizione i principali strumenti usati in calligrafia sono:
- il pennello (fude)
- la barretta d’inchiostro(sumi)
- la pietra per sciogliere e contenere l’inchiostro(suzuri)
- la carta.(kami)
Essi vengono generalmente definiti i “quattro tesori” del calligrafo perché il loro impiego è indispensabile e corrispondono agli strumenti usati nella pittura tradizionale cinese; da ciò deriva una stretta unione tra le due arti che vennero frequentemente praticate in parallelo da molti artisti.
Il pennello:
Esistono numerose varietà di pennelli (fude), che devono rispondere ad esigenze diverse: la forma di scrittura prescelta, le dimensioni dei caratteri da eseguire, lo stile, l’abilità e le preferenze del calligrafo. Le loro caratteristiche variano in base alla forma, ai materiali e alle dimensioni.
Una particolare importanza è attribuita ai tipi di setole di cui sono composti, che si possono grosso modo suddividere in:
La differente proporzione tra la lunghezza e il diametro delle setole può incidere parecchio sui risultati che si desidera ottenere. Ad esempio quelli che si presentano con una punta piuttosto corta sono adatti alla scrittura nella forma REISHO, mentre quelli con la punta allungata e il diametro piuttosto ridotto sono prevalentemente usati per la scrittura nella forma SOSHO.
La leggenda attribuisce a Meng Tian, verso il 250 a.C., l’invenzione del pennello in peli di cammello; è probabile che il suo fu piuttosto un adattamento o un affinamento di uno strumento già esistente. L’archeologia infatti ci mostra che già nel secondo millennio a.C. erano presenti strumenti in peli animali montati su bastoncini, sicuramente usati per decorare le ceramiche. Nel corso dei secoli la produzione di pennelli si affinò parecchio raggiungendo una complessità e una cura notevoli negli esemplari di qualità superiore. Per ottenere una corretta elasticità, permettere un forte assorbimento dell’inchiostro ed un suo ben dosato rilascio sulla carta i migliori pennelli sono composti da più strati concentrici di peli di lunghezza differente, disposti attorno ad un nucleo centrale che funge da serbatoio. Questa caratteristica, che li differenzia dai pennelli usati in pittura in Occidente, permette una differenziata modulazione del tratto e la scrittura di più caratteri senza dover ricorrere continuamente all’assorbimento di nuovo inchiostro.
L’inchiostro:
Secondo la tradizione l’inchiostro (sumi) da scrittura è esclusivamente nero e si presenta in forma
solida, pressato in barrette. Già presente in epoca Shang, l’inchiostro nero ha subito una lunga evoluzione tecnica. Testimonianze ricavate da scavi archeologici documentano l’esistenza di barrette d’ inchiostro solido, costituito da nerofumo e colla, all’epoca dei Regni Combattenti. La sua fabbricazione viene perfezionata in epoca Jin, parallelamente alla diffusione dell’uso della carta in calligrafia. Da allora ne vennero prodotte numerose qualità, secondo altrettante materie prime e varianti tecniche. Generalmente è composto da una miscela di fuliggine di legno resinoso o olio vegetale (pino, olio di colza, ecc.), colla animale, sostanze vegetali profumate (muschio, canfora, ecc.) e numerosi additivi finalizzati a fornire sfumature cromatiche particolari.
La sua qualità varia principalmente in base alla purezza e alla raffinazione della materia prima colorante. La colorazione nera dell’inchiostro può variare in numerose tonalità e riflessi tendenti a colorazioni cromatiche più o meno fredde o calde. La sua preparazione per l’applicazione avviene sciogliendolo tramite lo strofinamento nell’acqua che viene versata nella pietra-calamaio.
La pietra per sciogliere e contenere l’inchiostro:
I più antichi “calamai”(suzuri) che conosciamo sono della dinastia Han e consistono in piatti di bronzo, sovente sostenuti da tre piedini e dotati di coperchio. Di epoca Jin se ne conservano varietà di forma analoga, ma in argilla. In seguito, di pari passo con l’evoluzione dell’industria dell’inchiostro, in epoca Tang si giunse all’affermarsi della pietra come materia prima più adatta. Tra le diverse varietà impiegate quelle che si dimostrarono più efficaci furono le due varietà di scisto di She e di Duan, ancor oggi tra le più celebri e ricercate. La pietra per l’inchiostro può attualmente presentarsi in forme piuttosto diversificate ma, generalmente, è caratterizzata da una parte incavata più profondamente che funge da serbatoio e da una un poco più rialzata usata per strofinare la barretta d’inchiostro. Numerose pietre sono sagomate e decorate da raffigurazioni naturalistiche che, secondo la lavorazione ed il progetto possono costituire vere e proprie opere d’arte.
La carta:
L’invenzione della carta (kami) risale a un epoca non precisata. Generalmente la si fa coincidere con la fine della dinastia degli Han occidentali (206 a.C. – 8 d. C.).Secondo la tradizione sarebbe stata inventata da Cai Lun, funzionario alla corte degli Han orientali, nel 107 d. C. Si può presumere che in realtà la sua fu più che altro un’innovazione del prodotto basata sull’impiego di nuove materie prime consistenti in fibre vegetali, in sostituzione delle fibre tessili ricavate dagli scarti tessili precedentemente usate. Solo verso il IV secolo la carta entrò in uso come supporto di scrittura, sostituendo le tavolette di legno, le lamine di bambù e la seta. Ben presto ne vennero prodotte numerose varietà che si differenziarono per colore, qualità, assorbenza, grammatura e texture. Anche se viene comunemente chiamata “carta di riso” in realtà la materia prima usata nella sua produzione consiste in fibre vegetali derivanti dal legno, dalla corteccia o dai fusti di piante erbacee (canapa, gelso, bambù, paglia di riso, ecc.). La scelta della carta è molto importante e contribuisce a determinare l’ottenimento di effetti calligrafici specifici, adattandosi in modo differenziato alla stesura dell’inchiostro.
Altri strumenti accessori in uso nella calligrafia:
Oltre ai i “quattro tesori” del calligrafo vengono usati diversi altri strumenti, tra i quali i seguenti:
Sigilli:
In ogni opera calligrafica si possono notare uno o più “marchi” rossi: sono i sigilli,componenti fondamentali dello Shodo. Sono firme, emblemi dell’artista, brevi poesie che costituiscono una parte integrante dell’opera. Il calligrafo possiede più sigilli con il proprio nome o pseudonimo e li usa secondo i casi per esprimere particolari atmosfere. Più sigilli possono essere apposti sulla stessa opera dall’artista, raggruppati attorno alla firma o disgiunti ad incidere sugli equilibri complessivi. L’artista studia ed incide i propri sigilli da sé, utilizzando pietre di materiale tipo pietra saponaria che si incide con scalpelli in acciaio, quest’arte si chiama Tenkoku.
Quando (leggendo ad esempio la storia o aneddoti sul nostro caposcuola M° Funakoshi ) troviamo il nome “Shoto” ( che darà poi origine al nome della scola Shotokan, o “casa” di Shoto) come:
…. pseudonimo con il quale il M° Funakoshi firmava le poesie ….. forse comprendiamo meglio come il Maestro praticasse la calligrafia, se inoltre (magari usando una lente! ) osserviamo la famosa foto del Maestro seduto in abiti tradizionali con un libro di sutra tra le mani, guardando nella scansia alle sue spalle, vediamo dei pennelli ed un libro di shodo.
Anche i Bushi (samurai) oltre ad allenarsi con le tecniche di spada ed altre armi, studiavano i classici e la calligrafia. Ci sarà capitato di leggere storie di samurai che nell’atto di compiere seppuku ( il suicidio rituale) componessero una breve poesia (haiku) o un breve scritto .
Possiamo citare il nome del famosissimo spadaccino Yamaoka Tesshu, nato nel 1836, nei suoi 53 anni di vita intensa dedita giorno e notte alla meditazione, alla calligrafia e allo studio della spada, non uccise mai nessuno in duello, fondatore della scuola di spada Mutoryu (o stile della non-spada) studioso di Zen e di Shodo, con uno stile molto personale, produsse instancabilmente migliaia e migliaia di calligrafie che si possono ammirare ancora oggi in vari musei del Giappone, morì il 19 luglio del 1888 per un tumore allo stomaco spegnendosi ritto nella posizione di zazen e scrivendo il suo ultimo breve poema:
La posizione:
Lo Shodo si pratica generalmente seduti in seiza o su di una sedia, l’altezza del piano di lavoro deve essere al di sotto dell’ombelico.
Su fogli di piccolo formato:
In seiza: in ginocchio, seduti sui talloni, con i fianchi ben stabili, la distanza tra le ginocchia è quella di un pugno, la schiena è eretta e la respirazione regolare.
Su una sedia: sedere nella parte anteriore della sedia occupandone solo la metà, i piedi arretrano rispetto alle ginocchia. La distanza tra i calcagni è quella di un pugno, le punte dei piedi sono rivolte leggermente verso l’esterno rispetto ai talloni facendo forza su di esse.
Su fogli di grandi formato:
I fogli si appoggiano generalmente a terra o su un tavolo, il calligrafo lavora in piedi, scalzo, o inginocchiato in modo da potersi muovere liberamente. E’ soprattutto in questi casi che interviene la partecipazione di tutto il corpo nei gesti esecutivi.
Cosa si scrive:
Una parola, una frase, un motto, una poesia, una preghiera ecc. Ciò che importa è riuscire a trasmettere lo spirito, il senso, l’emozione o cosa si vuole, sul foglio, di modo che le parole colpiscano gli occhi, lo sguardo di chi osserva. Sembra che il grande maestro di calligrafia Wang Xi Zhi (303-361), riferendosi al metodo con cui impugnare il pennello, abbia detto: “Se intendi scrivere un tratto, una linea, una curva, sia nello stile regolare che nel corsivo, devi scrivere con tutta la tua forza.” In altre parole, ogni carattere è un’espressione della forza dell’artista (della sua interiorità, della sua anima). Una composizione rigida, regolare, non si può chiamare calligrafia. La simmetria è abbandonata per realizzare una composizione formale più articolata. Si ricerca l’equilibrio nell’irregolarità e nell’asimmetria. Anche quando i tratti del pennello e i caratteri sono organizzati in posizioni apparentemente sbilanciate, tuttavia c’è uno scheletro stabile che lega ogni elemento e ne costituisce l’armonia.
I caratteri:
Normalmente chiamiamo tutti i caratteri “ideogrammi”, ma dovremmo più precisamente distinguerli i cinque gruppi:
Pittogrammi: che traducono in segni oggetti veri e propri (animali, elementi della natura ecc.).
Indicativi: che indicano il significato del carattere aggiungendo un tratto (indicano quantità, posizioni, relazioni ecc.).
Ideogrammi: caratteri formati da almeno due pittogrammi combinati per esprimere un concetto e utilizzati per parole nuove e idee astratte.
Fonogrammi: caratteri formati da almeno due pittogrammi di cui uno ha la medesima pronuncia (suono) del concetto che si vuol rappresentare.
Prestiti: caratteri (ideogrammi o pittogrammi) preesistenti presi a prestito e utilizzati per una eventuale parola nuova.
Le origini dello Shodo:
Per comprendere meglio quanto scritto non possiamo non conoscere la storia della nascita della calligrafia. Da ricerche archeologiche svoltesi in Cina all’inizio del ‘900, si sono ritrovati elementi ossei tipo scapole di grossi animali o gusci di tartaruga con incisioni che hanno testimoniato l’esistenza delle origini della scrittura cinese, queste incisioni non erano altro che disegni stilizzati (occhi, finestre, numerali, ecc.), le prime solide testimonianze di protopittogrammi consistono in disegni stilizzati su frammenti di terracotta, che rappresentano esseri umani, animali, oggetti ed elementi naturali, risalenti al periodo neolitico: quelli che possiamo invece considerare i primi veri caratteri arcaici di scrittura, incisi su frammenti di ceramica, datano dal terzo millennio. Queste iscrizioni, che nel loro insieme mostrano già l’esistenza di un sistema di scrittura maturo, hanno un seguito in quelle risalenti al periodo delle dinastie Shang (XVI XI secolo a.C.) e Zhou (XI secolo – 256 a.C.).Nel corso del tempo la scrittura cinese (scrittura Han) ha subito un’evoluzione che l’ha portata a far sì che ogni carattere possa essere scritto in forme diverse. Questi cambiamenti si sono estesi dalla sua origine fino alla fine della dinastia dei Jin occidentali ( 265-316 d.C.), dando vita alle cinque differenti forme di scrittura tuttora praticate. Nelle epoche seguenti i cambiamenti furono sostanzialmente di carattere stilistico, legati alle diverse interpretazioni creative, personali, dei calligrafi.
KOKOTSUBUN (scritte a carattere divinatorio su carapaci e su ossa animali):
Costituita da un gran numero di caratteri incisi su ossa e su bronzi ritrovati in altari, la scrittura delle epoche Shang e Zhou si caratterizza per una moltitudine di varianti locali. Attualmente ne sono stati rinvenuti più di 100.000, da essi sono stati catalogati circa 5000 caratteri diversi, la metà dei quali sono stati decifrati e tradotti in caratteri “moderni”. Si può considerare che le strutture fondamentali della scrittura cinese, siano giunte ad una stabilizzazione formale verso l’epoca dei regni combattenti (Zhan Guo 453-256 a:C.).
Usata per più di un millennio, questa scrittura si caratterizza come poco uniforme, la struttura dei caratteri e le loro proporzioni non sono strettamente definite, un carattere può presentarsi secondo diverse varianti. In un unico testo si possono trovare caratteri di dimensioni diverse in disposizioni ed allineamenti irregolari. I tratti sono lineari e di spessore uniforme. Molte scritte risultano essere state tracciate a pennello prima di venire incise ed in seguito riempite con colore rosso. Tra le varie tipologie di caratteri, i pittogrammi mantengono una forma che li rende molto evocativi ed allusivi rispetto all’oggetto che rappresentano, in sintesi dall’aspetto particolarmente espressivo. I testi, caratterizzati da una certa ripetitività, sono di diversa lunghezza e concernono prevalentemente pratiche divinatorie, ma anche riti o registrazioni di avvenimenti.
KINBUN (scritte su metallo):
Sempre risalenti alle epoche Shang e Zhou (diffuse tra XIV – VIII secolo a.C.) sono state rinvenute numerose scritte su bronzi usati a scopo rituale, in particolare vasi e campane.
DAITEN ( o Zhuan maggiore):
Documentata da numerose scritte su metallo, ma anche da scritte in lacca su tavolette di giada, iscrizioni su seta, ceramica, tavolette di bambù e sigilli. E’ la più antica incisa su pietra (epoca dei regni combattenti). I caratteri sono scritti in modo piuttosto complesso, mantenendo una serie di varianti stilistiche locali. Nelle sue forme più tarde diventa più uniforme, con caratteri più semplici e di facile lettura. In seguito alla riforma della scrittura, e l’adozione dello Shoten (Zhuan minore), per motivi di classificazione si raggruppano in essa anche tutte le scritture precedenti.
SHOTEN ( o Zhuan minore):
Frutto di un’evoluzione dello Zhuan maggiore, avvenuta nel periodo precedente il regno Qin (221-206 a.C.), lo Zhuan minore assunse una forma definitiva sotto il regno di Wang Zheng dei Qin, il futuro Shihuangdi che si attribuì il titolo di imperatore dopo aver unificato la Cina.Nell’ambito della riforma politica ed amministrativa che impose al paese per favorire lo sviluppo della cultura e facilitare i compiti amministrativi, Shihuangdi ordinò al primo ministro Li Si di standardizzare e unificare la scrittura. Da quest’opera derivarono la nascita ufficiale del Zhuan minore e il decreto d’abbandono delle varietà di scrittura Zhuan maggiore fino ad allora in uso. La nuova scrittura unificata risultò meno complessa e di più agevole esecuzione e per la prima volta nella storia della scrittura cinese i caratteri vennero tracciati in uno spazio regolare (rettangolo verticale) indipendentemente dal numero di tratti da cui erano composti. Questo la caratterizza come la prima forma di scrittura veramente regolare.
LE CINQUE FORME DI SCRITTURA:
Possiamo raggruppare tutte queste appena esposte sotto il nome di Tensho.
TENSHO ( o scrittura sigillare):
E’ il piu’ antico (403-221 a.c.) e viene anche chiamato : Stile del sigillo.
In questo stile si cerca l’ equilibrio tra i tratti verticali ed orizzontali, lo spessore del tratto è costante e uniforme, ancora oggi viene utilizzato per i caratteri da incidere sui sigilli con il nome di famiglia, o per lo pseudonimo di calligrafi o poeti.
REISHO (221 a.c.-210 d.c.) o Stile dei funzionari.
Alla dinastia “Qin” succede la “Han” per un arco di circa 400 anni, questo periodo è caratterizzato dall’ introduzione del Buddhismo e dalla scoperta della carta, la scrittura non è più riservata agli alti funzionari di corte, ma anche a quelli di rango minore. Il reisho è la prima forma di scrittura nata utilizzando il pennello, le forme perdono le caratteristiche di simmetria del precedente ed hanno tratti sempre più diritti e stilizzati.
SOSHO (206 a.c. – 8 d.c.) o Stile a fili d’ erba o corsivo
Questo stile nasce da esigenze commerciali e viene usato dai mercanti e dagli operai in quanto i caratteri hanno forme estremamente semplificate diventando comunque di difficile interpretazione.
Oggi questo stile viene molto usato nella vergatura di poesie o altri testi letterari, dove la necessità di lettura si sostituisce ad esigenze estetiche e di libertà artistica.
GYOSHO (206 a.c. – 220 d.c.) Stile semi corsivo o corrente
Anche questo stile nasce nella stessa epoca, ha caratteri meno abbreviati rispetto al sosho, ma sempre scritti con un veloce movimento del pennello.
KAISHO (300 d.c.) Stile regolare o stampatello
In questo stile i caratteri sono vergati in modo molto chiaro ed è quindi di facile lettura, è il modello esemplare, la struttura formale da assimilare prima di affrontare forme di scrittura artisticamente più creative.
La scrittura cinese di cui sopra fu assimilata sia dal Giappone che dalla Corea quando iniziarono i rapporti commerciali, culturali, religiosi tra questi paesi ( 500 d.C.).
Furono soprattutto studiosi di religione Giapponesi e Coreani che, recandosi in Cina per lo studio della religione, assimilarono anche la scrittura.
All’inizio la si utilizzava leggendola in cinese, poi, dopo diversi tentativi, il Giappone prese i caratteri cinesi leggendoli alla giapponese. Nel periodo Heian, nasce una forma di scrittura fonetica chiamata kana che deriva da una estrema semplificazione e stilizzazione dei kanji (letteralmente caratteri cinesi) che erano già utilizzati foneticamente dal periodo Nara (man’ yogana).I kana sono suddivisi in hiragana (che proviene dallo stile sosho) e katakana (che utilizza parti di ideogrammi). Gli hiragana, inizialmente furono utilizzati largamente dalle dame di corte, per questo motivo, questa scrittura fu chiamata anche onnade (lett. mano di donna). I katakana invece, si svilupparono soprattutto tra i monaci, che studiavano i testi sacri buddhisti (importati dalla Cina) per annotarsi la pronuncia a fianco dei caratteri che dovevano leggere. Si ha quindi che la scrittura giapponese, a partire dall’epoca Meiji, risulta formata dall’insieme di kanji e da kana.
Nelle scuole del Giappone, oltre al kana, vengono studiati gli ultimi due stili, il kaisho all’inizio delle elementari ed il gyosho all’inizio delle superiori.
Nello studio dello shodo, con il tempo, si studiano tutti gli stili, affrontando per primo lo stile regolare dove ogni ideogramma è composto da una serie di tratti (che sono come dei fondamentali) rigorosamente definita, sia come sequenza da rispettare sia nel modo di eseguire ogni tratto, dove iniziare, dove mettere forza, dove lasciare leggero ecc. , non c’è assolutamente spazio per la fantasia o estro personale, quando si è dimostrata una discreta sicurezza e capacità, si passa allo stile gyosho, i tratti, che dapprima erano ben distinti uno dall’altro, ora si collegano tra loro in modo più libero, ma non perdendo, nei principi, quanto acquisito precedentemente.
Successivamente gli stili sosho, reisho e tensho.
Come nelle altre discipline del Budo ci sono i “gradi” che contraddistinguono il percorso tecnico, si parte dal 5° kyu, per scendere sino al 1° kyu, poi si passa ai Dan partendo dal “shodan” a salire, gli esami di dan sono inframmezzati da jun …. (pre-dan).
La scuola italiana segue il metodo della scuola giapponese: Nihon Kyoiku Shodo Ren Mei e quindi i “compiti”, dopo il benestare del Maestro vengono inviati in Giappone e là esaminati.
Come per la scrittura occidentale, anche in questo caso, dalla calligrafia esce il carattere del calligrafo che comunque è guidato dal Maestro ( che ovviamente ne lascia un’ impronta) e dagli scritti dei grandi maestri del passato, copiandoli e ricopiandoli si entra in risonanza con il loro ritmo, si coglie la loro energia ed è quindi più facile poi comprendere anche la fonte della propria.
Possiamo dire quindi che, senza un lungo percorso di infinita ripetizione dell’ideogramma non sia possibile fare uscire un gesto libero che non sia solo un’esecuzione frettolosa.
Suppongo che il lettore esperto di karate, abbia certamente colto in quanto sopra esposto l’assonanza tra le due metodologie esaminate (karate e shodo in questo caso, ma ciò vale anche per altre discipline del Budo) abbiamo infatti nello studio del karate: una pratica costante di movimenti molto precisi e definiti nel kihon e nei kata ed un uso di movimenti piu’ “liberi” nel kumite. Possiamo dire che c’è una ben chiara analogia ad esempio tra la scrittura regolare KAISHO e lo studio tecnico del kihon e del kata, e tra la scrittura corsiva o semicorsiva e l’uso delle tecniche del kumite. Quando ad esempio iniziamo a studiare una poesia Tang classica ( da 20 o da 28 ideogrammi) possiamo comprendere come le distanze tra gli ideogrammi e quindi gli spazi vuoti, possano assimilarsi ai tempi, alle pause tra le tecniche e quindi, in definitiva, al ritmo di un kata. Si può osservare come ogni ideogramma impiegato (uno diverso dall’altro) abbia un proprio baricentro e come sia importante allineare i baricentri con un sottile ed invisibile “filo” . Prima di iniziare occorre osservare bene lo spazio che si ha a disposizione (cioè le dimensioni del foglio) per poter distribuire correttamente tutti i 20 o 28 kanji bilanciando cioè gli spazi pieni e quelli vuoti , così come dovremmo osservare il punto di partenza del kata rispetto allo spazio che si ha e alle direzioni delle tecniche del kata che si vuole eseguire per eseguire il tutto dall’inizio alla fine senza interrompere o modificare il percorso. Concludo questa dispensa invitando i lettori ad utilizzarla come strumento che può arricchire il bagaglio culturale, ma soprattutto invito fermamente ad assistere e ad osservare ciò che verrà detto e dimostrato praticamente durante gli incontri da me tenuti. Non posso tralasciare di ringraziare il Maestro Nagayama in quanto quel po’ che so e che mi permetto umilmente di trasmettere lo devo a Lui.
Cito per concludere un brano significativo tratto da un’intervista fatta al Maestro:
D: - L’imitazione delle opere del maestro è una tappa importante nello Shodo, come si giunge attraverso questa imitazione ad un proprio stile personale ? –
R: - Attraverso l’imitazione si apprende lo spirito e il ritmo del maestro. Per poter esprimere il proprio spirito e il proprio ritmo, che poi non sono altro che l’espressione del proprio stile personale, si deve passare attraverso l’imitazione fedele delle sue opere. - -
Gran parte di quanto scritto su questa dispensa è tratto dai libri scritti dal mio Maestro di SHODO:
Nagayama Norio e più precisamente da : Shodo, la via della scrittura, Kaisho lo stile fondamentale e Shodo, lo stile libero, tradizione e arte contemporanea, ma soprattutto da quanto ascoltato direttamente e visto da Lui durante i seminari in questi quattordici anni.
Il Maestro Nagayama è nato in Giappone, ad Ibaraki nel 1956, si è laureato alla Daitobunka di Tokyo, è membro esaminatore della Nihon Kyoiku Shodo Ren Mei , ha il grado di 8° dan e nel 2002 è stato insignito del titolo: “Maestro non più giudicabile”. E’ presidente dell’associazione Bokushin in Italia.
Fonte: http://www.fikta.it/phocadownload/DISPENSA_SHODO.doc
Sito web da visitare: http://www.fikta.it
Autore del testo: Riccardo Pesce
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"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco
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