Corso di Introduzione alla teologia

Corso di Introduzione alla teologia

 

 

 

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Corso di Introduzione alla teologia

1° Corso di
Introduzione alla TEOLOGIA

(“Il mistero di Cristo”)

Prof. Dott. Sac. Antonio Cecchini


PROGRAMMA

 

1. La questione della verità

            1.1: Una questione decisiva
1.2: Le caratteristiche della verità
1.3: La ricerca della verità

 

2. La questione di Dio

            2.1: La questione di Dio, tra scienza, filosofia e religione
2.2: Se l’universo ha un’età, ci deve essere Dio al di là dell’universo
2.3: L’universo è regolato da leggi; dunque dipende da un’Intelligenza superiore
2.4: L’universo è in continua trasformazione (divenire); dunque dipende da un Essere eterno
2.5: Avere il concetto Dio significa sapere che c’è. Contraddittorietà dell’ateismo
2.6: L’ateismo
2.7: Dio e la questione del male

 

3. Dio fatto uomo (il mistero di Cristo)

            3.1: Ragione, religioni e Rivelazione
3.2: Il “caso unico” Gesù di Nazareth
3.3: Il fondamento storico
3.4: Le prove della resurrezione
3.5: Il significato dell’incarnazione, morte e resurrezione di Cristo
            3.6: Dio è Amore

Bibliografia

 

1. La questione della verità

  • Giovanni Paolo II, Lettere Encicliche Fides et ratio (14.09.1998) + Veritatis splendor (6.08.1993)  (Libreria Editrice Vaticana o altre) - www.vatican.va (+lingua+il Santo Padre+Giovanni Paolo II+Encicliche)
  • V. Messori - M. Brambilla, Qualche ragione per credere, Mondadori, 1999
  • Giacomo Biffi, L’enigma dell’esistenza e l’avvenimento cristiano, Elledici, 2004
  • Luigi Giussani, Il senso religioso, Rizzoli, 1997 [BUR, 2003]

2. La questione di Dio

  • René Laurentin, Dio esiste. Ecco le prove, Piemme 2001
  • Antonino Zichichi, Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo, Il Saggiatore 1999
  • Jean Guitton, Dio e la scienza, Bompiani 2002
  • Saverio Gaeta, Miracoli. Quando la scienza si arrende, Piemme 2004
  • Anna Maria Cenci, Dalla scienza alla fede. Evoluzione o creazione?, Gribaudi 2005

Per una ricerca più approfondita:

  • Battista Mondin, Dio: chi è?, Massimo 1990
  • Cornelio Fabro, Le prove dell’esistenza di Dio, La Scuola 1992
  • Jacques Maritain, Ateismo e ricerca di Dio, Massimo 1982
  • Antonio Cecchini, Oltre il Nulla. Nietzsche, nichilismo e cristianesimo, Città Nuova 2004
  • Augusto Del Noce, Il problema dell’ateismo, Il Mulino 2001

3. Dio fatto uomo

  • Joseph Ratzinger (Benedetto XVI), Gesù di Nazaret, Rizzoli 2007
  • Catechismo della Chiesa Cattolica (1992), nn. 422-682 (Libreria Ed. Vaticana) - www.vatican.va (+lingua+Testi fondamentali)
  • Benedetto XVI, Lettere Encicliche Deus caritas est (25.12.2005) + Spe salvi (30.11.2007) (Libreria Editrice Vaticana o altre) - www.vatican.va (+lingua+il Santo Padre+Benedetto XVI+Encicliche)
  • Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica (2005), nn. 1-217 (Edit. Vaticana) - www.vatican.va (+lingua+Testi fondamentali) + Dichiarazione Dominus Jesus (Congregazione per la Dottrina della fede) (6.08.2000), Libr. Ed. Vaticana - www.vatican.va (+Curia Romana+Congregazioni+Cong. Dottrina della fede+in Documenti dottrinali, alla data)
  • Vittorio Messori, Ipotesi su Gesù, SEI 2001
  • Vittorio Messori, Patì sotto Ponzio Pilato?, SEI 2003
  • Vittorio Messori, Dicono che è risorto, SEI 2000
  • Giacomo Biffi, Gesù di Nazareth, centro del cosmo e della storia,  LDC 2000
  • Giacomo Biffi, Io credo, Jaca Book 1982/1993
  • Antonio Socci, Indagine su Gesù, Rizzoli 2008
  • Livio Fanzaga, Credo. Le verità fondamentali della fede, San Paolo 2005

Per una ricerca più approfondita:

  • Joseph Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana 1960/2005
  • Daniel-Rops, Breve storia di Gesù Cristo, San Paolo 2002
  • Giuseppe Ricciotti, Vita di Gesù Cristo, Mondadori (Oscar) 1994
  • Stefano Alberto [a cura di], Vangelo e storicità. Un dibattito, BUR 1995

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1. La questione della verità

1.1: Una questione decisiva
Una vita tutta assorbita dalle cose “da fare” e spesso attirata spasmodicamente dalle cose “da avere”, rischia di diventare molto presto una vita disumana. Il materialismo vorrebbe convincerci che questa è la concretezza della vita, ciò di cui abbiamo bisogno. In effetti abbiamo bisogno di tante cose, senza le quali sarebbe difficile vivere. La logica commerciale sollecita però in noi perfino dei bisogni artificiali, per poterci vendere sempre qualcosa di nuovo che sembra indispensabile. Poi ci accorgiamo che le cose più importanti della vita in realtà non si possono comprare: come l’amore, l’amicizia, la serenità interiore, il senso stesso di quello che facciamo.
Da quando esiste, noi vediamo che l’uomo ha sì bisogno, come gli altri animali, di mangiare, bere, dormire, sente la voglia di accoppiarsi... ma, a differenza di tutti gli altri animali, l’uomo ha dentro di sé un bisogno più grande, una fame di qualcosa che lo attira e nello stesso tempo lo supera sempre. Già l’uomo delle caverne ha sì bisogno di cose immediatamente utili per vivere, come costruire un arnese per cacciare o difendersi dalle belve, ma disegna anche un graffito sulla parete della caverna o prova a fare della musica! Questo non risponde ad un bisogno materiale, cioè alla domanda “a che cosa mi serve”, ma ad una bisogno più profondo: abbiamo infatti fame di bellezza ! L’essere umano non si accontenta di provare piacere nell’accoppiarsi, ma si sente solo e sente di essere fatto per l’altro: abbiamo infatti fame d’amore! Quando poi la morte prende una persona cara, l’uomo prova angoscia, e non solo perché lei o lui non c’è più, ma perché sente che la morte non dovrebbe esserci: abbiamo infatti fame di vita, di vita eterna ! Ogni nostra scelta è in fondo mossa dal desiderio di felicità. Quando un uomo non ha più questa speranza di felicità diciamo infatti che è “di-sperato”. E’ una fame talmente forte che il disperato può arrivare anche al suicidio : meglio non vivere che vivere senza una speranza, senza un fine di felicità, meglio non vivere che vivere senza senso. La gioia vera non può essere costruita artificialmente, non si può comprare: per fare allegria può bastare anche un po’ d’alcool o altro nel sangue (un po’ d’euforia che spesso si paga con la successiva depressione; non si tratta dunque di vera libertà, ma di una schiavitù); per avere la gioia c’è bisogno di ben altro. Può capitare inoltre di confondere la felicità con delle tappe intermedie: “sarò felice quando avrò quella cosa lì”, “quando farò quella cosa là”. Poi ci accorgiamo
che non è così, che anche quando abbiamo raggiunto quella tappa, in realtà poi non basta, ma siamo fatti per qualcosa di più. Qualcuno allora diventa cinico: arriva cioè a convincersi che la felicità non esiste, che al massimo esistono solo felicità passeggere; ma anche se cerchiamo di accontentarci, sentiamo in realtà che siamo fatti per un oltre. Se siamo sinceri con noi stessi, riconosciamo infatti che abbiamo fame di una felicità infinita.
Non abbiamo dunque solo bisogno di cose da fare, ma abbiamo ancora più bisogno di un senso con cui farle, abbiamo cioè bisogno di un significato e di un significato vero. Non abbiamo solo bisogno di vita, ma del senso vero con cui vivere. Vivere senza un senso vero, in realtà non è vivere ma è un sopravvivere. Abbiamo fame di significato, di un senso vero, abbiamo cioè fame di verità di vita ! Quindi, se abbiamo il coraggio di guardarci dentro, dobbiamo prima o poi riconoscere che il nostro bisogno di bellezza, di vita, di amore, di felicità, di verità, è in realtà bisogno della Bellezza, Vita, Felicità, Verità infinite, di un Amore infinito, in altre parole potremmo dire che abbiamo bisogno dell’Essere infinito .
L’uomo è un essere davvero speciale: è un essere finito, ma con dentro una fame di infinito, per cui nelle sue aspirazioni non si accontenta mai e trascende sempre se stesso e l’universo intero; è parte del mondo ma con il suo pensiero è più del mondo , è un animale evoluto ma ha dentro qualcosa di spirituale, di divino, che lo rende signore del pianeta. Quando appare l’uomo, per la prima volta vediamo infatti sulla terra un essere che non è solo un animale biologicamente e cerebralmente evoluto, ma un essere che porta in sé una traccia divina, una caratteristica spirituale che lo rende simile a Dio : è ciò che si manifesta con la sua superiore (spirituale) capacità di pensare e di essere libero. La nostra questione principale, il dramma dell’essere umano ma anche la sua superiore grandezza e dignità, per cui possiamo o soffrire o gioire più di tutti gli altri esseri viventi, è data appunto dal fatto che siamo “finiti”, ma con dentro un’ineliminabile fame di Infinito! L’uomo sembra proprio essere non solo simile a Dio, ma fatto per Dio .
L’intelligenza, che permette all’uomo non solo di fare esperienza della realtà, ma appunto di “intus-legere”, cioè di cogliere sia pur parzialmente l’essere delle cose e di possedere quindi concetti astratti, di conoscere cioè delle verità, gli consente pure di formulare ragionamenti e scoprire così nuove e più profonde verità. Per questo l’uomo evolve non solo biologicamente, cresce non solo fisicamente, ma soprattutto culturalmente, tendendo cioè verso una verità sempre più grande. In questo modo diventa anche sempre più uomo .
L’uomo ha un naturale e insopprimibile bisogno di verità. Fin dagli inizi della sua storia egli si meraviglia, prova stupore per tutte le cose e per il suo stesso esserci (stupore ontologico). Dallo stupore nasce la domanda del perché e di conseguenza ogni ricerca (scientifica, filosofica, artistica, religiosa) della verità . E questa ricerca non finisce mai, non siamo mai sazi: l’uomo tende verso una Verità infinita. Anche quando un bambino comincia a guardarsi attorno, vediamo che chiede continuamente i suoi “perché”. Ovviamente non tutti hanno questo desiderio con lo stesso grado di intensità; ma almeno un poco sicuramente e necessariamente sì, perché non esiste un uomo che non si sia mai domandato un perché, né potrebbe vivere a lungo la vita e le cose della vita senza un significato, così come non potrebbe vivere neppure un istante con il sospetto che ogni conoscenza sia falsa (scetticismo). Qualcuno con particolare passione e genialità, e magari senza alcun interesse immediato, dedica perfino l’intera vita per la scoperta di una verità, di cui poi milioni o miliardi di persone potranno godere.
Nella nostra ricerca della verità, ci sono semplici curiosità, ma anche questioni più urgenti e perfino alcune da risolvere necessariamente. Evidentemente su alcune questioni, come quelle che ineriscono alla nostra professione, dobbiamo essere particolarmente competenti. Non è chiesto a tutti di sapere certe cose. Il campo del sapere è oggi talmente vasto che anche un mente geniale non potrebbe tutto abbracciarlo. Noi siamo più competenti in certi rami del sapere e per altre verità ci fidiamo di chi è in esse più competente. Esistono però delle questioni così decisive per l’esistenza sulle quali, pur essendoci anche lì degli specialisti, non possiamo essere ignoranti o superficiali, pena il fallimento della nostra stessa vita. Ci sono dunque delle verità più importanti e decisive di altre, su cui sarebbe veramente sciocco e perfino tragico andare avanti “per sentito dire”, secondo le mode (“così fan tutti”), le voglie o le sensazioni del momento (“mi va, non mi va”, “se mi va, fino a quando mi va”).
Nel campo intellettuale, cioè della ricerca e degli studi, una verità è tanto più importante quanto più profondo è il suo livello, cioè quante più cose riesce a spiegare ed unire. Per questo la questione del perché di tutte le cose, cioè della causa prima di tutto l’essere, è quella più difficile ma anche la più importante, perché in fondo tutte le altre verità ne dipendono . Ma questo è in fondo il problema di Dio (che per definizione stessa è Colui da cui tutto dipende). Anche esistenzialmente, cioè anche dal punto di vista della nostra vita concreta, la questione del senso ultimo (causa prima e fine ultimo) dell’esistenza risulta quella più decisiva, anche se non sembra. Se non so da dove vengo e dove vado non so in fondo perché vivo, ma se non so perché vivo faccio fatica a capire il senso vero anche delle singole cose della mia vita e della mia giornata. Ma anche questa domanda sul senso ultimo della vita è in fondo ancora il problema di Dio . Esiste infatti nella vita di ognuno, anche se non ce ne accorgessimo, un senso ultimo, un’idea di felicità suprema e di verità fondamentale, da cui tutto dipende. Se non è Dio (trascendente) sarà un “idolo”, cioè qualcosa o qualcuno cui ci aggrappiamo come il nostro tutto. Potremmo dire che non si vive senza un “numero uno” nella classifica dei nostri valori, un assoluto, per il quale, pur di non perderlo, saremmo disposti a lasciare anche tutto il resto . Se però ci facciamo un idolo, un falso dio, se assolutizziamo ciò che in realtà  è relativo (finito), prima o poi rimaniamo vuoti e delusi .
Poiché siamo esseri pensanti e liberi, la questione della verità è di fatto per l’uomo una questione obbligatoria. Infatti non possiamo non pensare e non possiamo non volere, non decidere: anche se ci sforzassimo di non pensare e di non scegliere, sarebbe anche questo un pensiero e una scelta. Fin dall’adolescenza ci piace avere le “nostre” idee e fare le “nostre” scelte, poiché dobbiamo essere noi stessi, e ciascuno di noi è unico e irripetibile. Crescendo però, pensando cioè più in profondità, ma anche attraverso esperienze positive o negative, ci rendiamo conto che per le nostre idee e scelte c’è un aggettivo ancora più importante di quello possessivo (“mie”): è l’aggettivo “giusto”, “vero”. Non basta cioè avere le proprie idee e fare le proprie scelte, ma abbiamo bisogno di avere idee vere (verità) e di fare scelte giuste (il vero bene). Perché un’idea sbagliata può essere rispettabilissima, ma in realtà non corrisponde alla realtà (è fantasia, opinione, non verità). Una scelta sbagliata esprime sì la mia libertà, ma ultimamente non mi edifica (bene), mi rovina (male). Quante volte facciamo infatti l’esperienza che una scelta più facile e immediatamente più allettante in realtà poi ci ha lasciato vuoti e delusi; e invece scelte magari più difficili e immediatamente richiedenti sacrificio ci hanno poi colmato di gioia e realizzati davvero. Per questo la questione di che cosa sia vero e giusto, quale sia la verità e l’autentico bene, è quella apparentemente più astratta, ma in realtà è quella più decisiva dell’esistenza; e tutto ne dipende. Solo la verità ci edifica davvero, ci rende cioè veri uomini .
Su queste questioni di fondo ci giochiamo tutta le vita e perfino il nostro destino eterno. Solo alla verità corrisponde infatti qualcosa di reale: le nostre opinioni (se sbagliate) o le nostre fantasie (quando cioè facciamo dell’“a modo mio” il criterio assoluto della nostra vita) ci lasceranno vuoti e disperati, perché non vi corrisponderà nulla .
Dobbiamo però riconoscere anche che, se è vero che siamo fatti per la verità e il bene, è anche vero che questo cammino non è facile e siamo continuamente tentati anche dalla falsità e dal male. Perché? Perché è più facile lasciarsi andare, vivere senza pensarci, fare le cose come vengono, seguendo quello che fanno altri o le nostre stesse voglie del momento. Scoprire e vivere la verità è bello e ci edifica davvero, ma non è facile. Possiamo avvertire perfino un’interiore resistenza alla verità . Pur essendo fatti per la verità, possiamo paradossalmente averne perfino paura; questo non solo o non tanto perché sia difficile trovarla, ma perché talora riconoscere la verità vuol dire  ammettere che dobbiamo cambiare qualcosa della nostra vita; e questo può essere difficile, può inizialmente scoraggiarci e farci “preferire le tenebre alla luce” . Se però vogliamo davvero bene alla nostra vita, se ci sta davvero a cuore la felicità autentica della nostra esistenza, dobbiamo amare la verità più delle nostre opinioni e volere il bene più del nostro comodo.

 

1.2: Le caratteristiche della verità.
Anzitutto chiariamo cosa significhi il termine “verità”. In sé indica l’essere stesso delle cose. Più comunemente intendiamo per verità la conoscenza dell’essere, cioè la conoscenza delle cose per quello che sono e per il significato che hanno . Già da questo, cioè da questo suo riferimento all’essere, si capisce che la verità è oggettiva, cioè è data dall’oggetto (dalla cosa) e non dal soggetto . Le cose infatti, così come le loro cause e il loro significato, sono quello che sono e non quello che noi vogliamo che siano. Per questo la verità non è mai “di qualcuno”, ma è indipendente da tutti. La verità non si inventa ma si scopre (le chiamiamo infatti “scoperte”). Se pretendessimo inventarci la verità, farcela a piacimento, sarebbe solo una fantasia, un’immaginazione, un’opinione personale, cui potrebbe non corrisponderebbe nulla di reale (non sarebbe conoscenza, ma illusione). Per questo motivo, specialmente sulle grandi e più decisive questioni della vita, dobbiamo appunto cercare ed amare la verità più dei nostri gusti e opinioni personali; è più importante chiedersi “cos’è vero” (come stanno realmente le cose) che essere attaccati al “cosa penso” o al “cosa mi piace”.
Quando la verità si manifesta alla nostra mente con evidenza, la nostra intelligenza non può infatti più negarla, perché la nostra intelligenza non è libera nei confronti della verità . La libertà di avere le proprie opinioni, al di là dell’aspetto sociale del doveroso rispetto delle opinioni altrui, nasce dal fatto che non si conosce ancora la verità, perché appunto quando una verità si manifesta (o è correttamente dimostrata) la mente non è più libera di negarla . Proprio per questa sua oggettività e indipendenza, la verità per sé non dipende da chi la scopre, da quando è stata scoperta, da quanti la conoscono, dalla maggioranza o minoranza; è cioè indipendente dal consenso e anche dal tempo .
Proprio per questo suo riferimento all’essere (dico il vero se dico quello che è) la verità è una, perché l’essere è uno, cioè si oppone al non-essere (ovviamente se parliamo della stessa cosa, sotto lo stesso aspetto e nello stesso momento) . Questo non significa che non possa scoprire la verità sempre di più, anzi essa è infinitamente profonda e non finisco mai di scoprirla; ma se è verità non potrà mai essere verità anche la sua negazione. Questa legge assoluta dell’essere, che la nostra intelligenza pur piccola può cogliere in quanto è appunto intelligenza (cioè apertura all’essere), vale per ogni essere, quindi per ogni autentica verità. Negarla è l’assurdo .

1.3: La ricerca della verità.
Dopo aver visto cosa sia (non quale sia) la verità e quali caratteristiche assolute abbia, ci chiediamo ora se possiamo conoscere la verità, come la possiamo conoscere e quali tipi di verità possiamo conoscere. La negazione totale della verità (nichilismo) o della nostra possibilità di conoscerla (scetticismo) non è possibile, perché l’affermeremmo proprio negandola . Il relativismo, che è il clima culturale oggi dominante e che spesso ci si presenta in modo ammaliante come condizione di tolleranza e di dialogo, in realtà è impossibile in quanto di fatto autocontraddittorio: infatti proprio mentre afferma che non c’è la verità e che tutto è relativo, presenta se stesso come verità assoluta (infatti tollera tutto ma è intollerante con chi non è d’accordo col relativismo stesso). Senza verità ogni nostra parola sarebbe vuota di senso; e nel relativismo ogni nostro dialogo, ogni possibilità di reale confronto, viene di fatto vanificato in partenza, perché non si compie un vero dialogo tra semplici parole vuote, ma tra ragionamenti che possono mostrare la loro verità o il loro errore. La negazione della verità conduce solo al silenzio, senza poterlo neppure dire .
Il dubbio, come il sospetto di un errore, possono essere utili come stimolo per verificare se una nostra conoscenza è realmente giusta, se è verità o no, o per approfondire meglio quella verità. Se diventano invece fine a se stessi e se si generalizzano, diventano dei veleni che portano al suicidio intellettuale (ma anche esistenziale, poiché non si può vivere solo nel dubbio, senza verità). Anzi se si generalizzano, se si estendono ad ogni conoscenza, diventano contraddittori, perché se mi sbagliassi sempre non potrei neppure più accorgermi di sbagliarmi .
Come possiamo conoscere delle verità? Dobbiamo ammettere che la maggior parte delle verità che conosciamo, perfino la maggior parte di quelle che studiamo, le conosciamo “per fiducia”. Anche nella vita quotidiana le nostre conoscenze e le nostre certezze sono quasi tutte il frutto di atti di fiducia . Non possiamo costatare tutto di persona, ma diamo ragionevole fiducia agli esperti e ci fidiamo delle verità da loro scoperte. In questo modo in poco tempo le nuove generazioni possono trarre esperienza dagli studi di coloro che le hanno precedute, e qualche volta fare nuove scoperte. Risentiamo in questo modo anche della cultura che ci viene trasmessa e delle tradizioni (“tradere” = tramandare) ricevute. Anche le conoscenze dei fatti della storia rientrano in fondo in questo tipo di conoscenze: possiamo avere reperti, monumenti, scritti, ma dobbiamo avere fiducia nel racconto dei testimoni oculari dei fatti, verificandone certo l’attendibilità . Oggi poi, mediante i mass-media (mezzi di comunicazione sociale), siamo in grado di ricevere addirittura in tempo reale una quantità enorme di informazioni, idee, verità reali o presunte. Certo, in questo modo, insieme a tante verità, possono circolare rapidamente anche da tante menzogne . Cosa fare? Credere o non credere? Non possiamo e non dobbiamo certo verificare tutto. Dobbiamo invece farlo per quelle idee che incidono sul senso della nostra vita, su quelle questioni (verità) che abbiamo detto essere decisive per l’esistenza. Ma come verificare se una un’idea è vera? Possiamo provare a farne esperienza; ma non è sempre necessario . Possiamo imparare e capire dall’esperienza altrui. Se ho fede in Dio posso e devo ascoltare cosa Lui mi ha detto al riguardo. Ma possiamo anche capire molto con la nostra ragione, se ragiona correttamente. L’uso corretto della ragione ha le sue leggi rigorose: è da un lato ovvio, posseduto anche dal buonsenso, ma è anche una scienza rigorosissima: è la logica (formulata come tale già da Aristotele) .
Quali tipi di verità possiamo allora conoscere in modo rigoroso? Abbiamo delle evidenze sensibili, empiriche, dirette, immediate . Abbiamo visto però che nella nostra intelligenza c’è l’evidenza assoluta dell’essere, nella sua opposizione al nulla. Questo ci permette anzitutto di cogliere con assoluta sicurezza, come abbiamo visto, che non ci possono essere verità tra loro contraddittorie; ci permette poi di fare ragionamenti rigorosamente corretti (mediante la logica) e quindi convincenti e raggiungere così anche nuove verità (evidenze non im-mediate ma mediate dalla ragione). Così, pur dovendo sempre partire dall’esperienza, possiamo scoprire anche altre realtà, che non vediamo direttamente ma che possiamo ugualmente conoscere (mediante cioè la scienza e la filosofia).
L’assoluta opposizione di essere e nulla, per cui una stessa realtà non può contemporaneamente esserci e non-esserci (da cui l’esistenza di una sola verità), ci fa anche cogliere con assoluta certezza che non si passa dal nulla all’essere (il nulla non fa nulla!). Per cui se una cosa (essere) prima non c’era e dopo invece c’è, esiste necessariamente un’altra cosa che l’ha causata, perché non può venire dal nulla. Anzi, non solo per iniziare ad essere e per essere così com’è, ma anche per trasformarsi, per divenire (poiché anche il trasformarsi è un acquistare o perdere una forma d’essere) è necessario che esista un altro essere che abbia causato quel fenomeno, quell’effetto. Emerge così dalla stessa opposizione assoluta di essere e nulla applicata alle cose che divengono, il fondamentale concetto di causa, che sta alla base non solo del buonsenso, ma anche di ogni scienza e di ogni vera e realista filosofia. Ogni effetto richiede infatti una causa esterna, proprio perché non può essersi prodotto dal nulla o da se stesso (se non c’è ancora non può darsi ciò che non ha) . La causa di un fenomeno deve dunque necessariamente esserci e deve essere adeguata, proporzionata, deve cioè spiegare tutto l’effetto, perché nulla può essere lasciato al nulla. Per questo, pur magari non vedendo la causa, possiamo non solo sapere che ci deve essere, ma anche un po’ come deve essere, almeno cioè tanto quanto è richiesto dai suoi effetti . Che ci sia una causa adeguata è dunque una certezza assoluta (metafisica). Invece la ricerca scientifica, per scoprire quale causa ci sia dietro un determinato fenomeno, può in effetti anche sbagliarsi; mediante la ripetizione degli esperimenti comprovanti un’ipotesi non raggiunge infatti una certezza assoluta, anche se altissimamente probabile .
Così, proprio lo stesso principio metafisico (di causalità) che ci permette di fare scienza, passando cioè dall’esperienza alla scoperta delle leggi che regolano e causano certi fenomeni, ci permette razionalmente di andare anche oltre la scienza, nella filosofia e metafisica, proprio perché anche le leggi dell’universo, richiedono una causa ed un certo tipo di causa.
In altri termini, possiamo (e se vogliamo capire la realtà dobbiamo) passare dall’esperienza alla scienza, cioè alla scoperta di come avvengono i fenomeni e quali sono le leggi (cause) che li regolano; ma possiamo (e se vogliamo capire ancora più in profondità la realtà dobbiamo) anche passare, in base allo stesso principio (causalità), dalla scienza alla metafisica, risalendo così alla causa delle leggi scientifiche (Causa prima). Pur essendo invisibili, possiamo conoscere sia le cause fisiche che la Causa prima, proprio per gli effetti che esse provocano e che vedo. Dobbiamo cioè partire sempre dall’esperienza della realtà, ma possiamo e dobbiamo andare oltre la realtà visibile, e questo proprio per spiegare quello che vediamo .

In questo Corso indaghiamo un poco sulla questione più decisiva della vita, cercando di scoprire la verità, cioè le cose come stanno, mettendo in rapporto sia la ragione che la fede, visto che Dio ci dona entrambe e che la verità non può che essere “una”, sia pur con livelli diversi di profondità .


2. La questione di Dio


  L’arte non è riconducibile al materialismo: la musica non è solo un insieme di onde sonore; quello che può suscitare interiormente la visione di un bel quadro o di uno stupendo panorama non è riducibile ad un insieme di colori.

  Anche i più antichi reperti della paleoantropologia, come anche tutte le civiltà antiche, ci mostrano l’esistenza di un “culto dei morti”, cioè l’intuizione profonda e universale che non siamo fatti solo per questa vita. Anche G. Jung osserva come la questione della morte sia quella che sta più al fondo di noi stessi. Per questo motivo M. Heidegger definisce l’uomo anche Sein-zur-tode (Essere-per-la-morte).

  E’ drammaticamente significativo infatti che ad esempio il numero di suicidi giovanili cresca in modo esponenziale proprio in quelle regioni e nazioni con il maggior benessere, là cioè dove non ci sono seri problemi materiali.

  Già all’inizio della sua missione Gesù risponde a Satana: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4*). Vince e ci mette in guardia da questa perenne tentazione di ridurre il bisogno dell’uomo alle questioni materiali. L’uomo ha soprattutto fame di Verità ed ha fondamentalmente fame di Dio. * = qualora non fossero note, le sigle dei libri biblici si trovano nell’indice stesso della Bibbia; il primo numero indica ovviamente il capitolo, quello dopo la virgola il versetto (ad esempio la citazione sopraindicata, Mt 4,4, indica Vangelo di Matteo al capitolo 4, versetto 4). Tutte le citazioni bibliche qui segnalate vanno specificamente lette sul testo.

  Essere, verità e bene sono in fondo la stessa cosa. Chiamiamo l’essere “vero” in riferimento all’intelligenza che lo coglie e “bene” in riferimento alla volontà che lo vuole. Analogamente, all’opposto lo diciamo di nulla, falso e male (ma non c’è correlatività perché abbiamo questi tre concetti in riferimento ai primi tre e non viceversa).

  B. Pascal disse che l’uomo è una “canna pensante”: così fragile e nello stesso tempo più grande dell’universo stesso, perché “anche se l’universo mi uccidesse esso non sa di farlo, mentre io lo so”. M. Heidegger dice che l’uomo è Dasein (Esserci), cioè l’unico essere che sa di esserci, in cui l’essere prende coscienza di sé.

  Nel primo capitolo del primo libro della Bibbia (Genesi), si dice in modo straordinario (e tanto più inaudito in quanto c’è nell’Antico Testamento la proibizione assoluta di farsi immagini di Dio, in quanto Egli è trascendente e puro Spirito) che l’essere umano è creato da Dio “a sua immagine e somiglianza” (Gen 1,26-27), proprio perché oltre all’elemento materiale c’è in lui e solo in lui quello spirituale (Gen 2,7); per questo è chiamato a “dominare” il mondo (Gen 1,26) ed a diventare l’amico di Dio.

  “Eppure l’uomo, una particella del tuo creato, vuole lodarti. Sei Tu, Signore, che lo stimoli a dilettarsi delle tue lodi, perché ci hai fatti per Te e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in Te” (S. Agostino, Le Confessioni, 1,1,1). Anche un filosofo ateo contemporaneo come J. P. Sartre, ad esempio, riconosce che “l’uomo è fondamentalmente desiderio di essere Dio”; ma se Dio non c’è allora “l’uomo è una passione inutile” [L’être et le néant, Paris 1960, p. 708]. Se così fosse, se a questa fame infinita dell’uomo non corrispondesse niente, non ci fosse risposta, l’uomo sarebbe tra l’altro la prima assurdità cosmica, perché mai nella natura si registra l’esistenza di un bisogno fondamentale “vano”, cioè senza risposta (se c’è la sete è perché da qualche parte c’è l’acqua).

  Giovanni Paolo II, Discorso all’UNESCO (Parigi, 2.06.1980), nn. 6-7: “L’uomo vive di una vita veramente umana grazie alla cultura. La vita umana è cultura nel senso anche che l’uomo si distingue e si differenzia attraverso essa da tutto ciò che esiste per altra parte nel mondo visibile: l’uomo non può essere fuori della cultura. La cultura è un modo specifico dell’«esistere» e dell’«essere» dell’uomo [...] La cultura è ciò per cui l’uomo in quanto uomo diventa più uomo, «è» di più, accede di più all’«essere». E’ qui anche che si fonda la distinzione capitale fra ciò che l’uomo è e ciò che egli ha, fra l’essere e l’avere”.

  “Lo stato d’animo del filosofo è la meraviglia. L’origine della filosofia è la meraviglia” (Platone, Teeteto 155 d). “Il motivo per cui il filosofo è vicino al poeta è questo: ambedue hanno a che fare con ciò che desta lo stupore” (S. Tommaso d’Aquino, Commento alla Metafisica di Aristotele, I, 3). “Chi si impegna seriamente nella ricerca scientifica finisce sempre per convincersi che nelle leggi dell’Universo si manifesta uno Spirito infinitamente superiore allo spirito umano” (dalla lettera A. Einstein del 24.01.1936, in Albert Einstein. Il lato umano, TO 1980, p. 31). “Gli uomini furono mossi a filosofare, allora come ora, dalla meraviglia, rimanendo dapprima stupiti dinanzi ai problemi più semplici, e poi progredendo a poco a poco sino a porsi problemi molto più alti” (Aristotele, Metafisica I 2, 982 b 14). “Lo stupore è il desiderio di sapere qualcosa: esso nasce nell’uomo per il fatto che questi vede l’effetto e ignora la causa; oppure per il fatto che la causa di quell’effetto trascende la conoscenza o la capacità dell’uomo. Perciò lo stupore è causa di piacere, in quanto gli è congiunta la speranza di poter giungere alla conoscenza di ciò che si desidera sapere” (S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q. 32, a. 8, resp.). “La cosa più bella che noi possiamo provare è il senso del mistero. Essa è la sorgente di tutta la vera arte e di tutta la scienza. Sapere che ciò che è per noi impenetrabile esiste realmente, manifestandosi come la più alta saggezza e la più radiosa bellezza che le nostre povere facoltà possono comprendere solo nelle forme più primitive, questa conoscenza, questo sentimento, è il centro della vera religiosità” (Albert Einstein, Come io vedo il mondo, 1929).

  La filosofia nasce infatti nella Grecia classica come ricerca dell’arché, cioè come ricerca del principio unificante e causa prima di tutte le cose. Platone sottolinea appunto che scienza è la conoscenza non solo dei fenomeni, ma delle cause dei fenomeni, e una scienza è tanto più elevata quanto più scopre le cause più a monte. La conoscenza della Causa prima, che già Platone e Aristotele scoprono essere trascendente (al di là dell’universo stesso), è per questo la suprema scienza: se la metafisica, cioè lo studio dell’essere in quanto essere, è già la scienza suprema, in quanto abbraccia tutto, il suo culmine, e quindi il vertice del sapere, è lo studio della Causa prima di tutto l’essere (Dio), la teologia (razionale).

  Occorre prestare molta attenzione a questa questione, perché oggi c’è il tentativo di ridurre il problema di Dio (la questione religiosa) ad un’esigenza solo intima, di culto, privata o che comunque non c’entra con la vita concreta, mentre sia culturalmente (il fondamento del sapere) che esistenzialmente (il perché vivo) la questione di Dio è quella da cui dipendono tutte le altre, e la risposta a questo problema condiziona, nel bene o nel male, non solo tutta la cultura, ma tutta l’esistenza concreta dell’uomo. Ne è riprova l’immensa incidenza che una religione ha sempre esercitato non solo sulla vita dei singoli ma su un’intera civiltà.

  Cfr. Mt 13,44-46 e Mt 6,21.

  Cfr. Sal 115 (113 B), 4-8.

  Gesù l’ha così sintetizzato: “conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”(Gv 8,32).

  Alla fine della vita e della storia ci sarà infatti quello che chiamiamo il “giudizio universale”: in realtà sarà l’evidenziarsi pieno della verità (giudizio) e la nostra conformità o difformità ad essa. La partecipazione piena alla Verità-Bene (Dio) sarà la nostra felicità infinita ed eterna (paradiso); un significato inventato (questo è in fondo il peccato) svanirà come inesistente e ci lascerà totalmente vuoti e disperati (inferno).

  La “Rivelazione” (Bibbia) ci fa conoscere che questa resistenza, questa fatica, è dovuta anche alla ferita del “peccato originale” (Gen 3), per cui, pur essendo fatti per la verità, per il bene, per il bello, per l’amore, cioè per l’Essere  (Dio), in noi agisce anche una “tentazione” contraria, potremmo dire quasi una “tentazione del nulla”; tentazione che si fa ancora più forte se ci lasciamo andare su questa strada con le nostre scelte personali, cioè con i nostri “peccati” personali. Sappiamo dalla stessa Rivelazione di Dio che esiste pure Satana (diavolo) che opera in noi questa tentazione del Nulla, spingendoci a ribellarci a Dio. Anche gran parte della filosofia contemporanea, avendo abbandonato l’essere (metafisica) e l’Essere stesso (Dio) ci mostra oggi con drammaticità questa tentazione del Nulla (nichilismo).

  Cfr. Gv 3,19-20.

  La definizione classica di verità è “adequatio rei et intellectus”, cioè un rapporto adeguato tra l’essere (la cosa) e l’intelletto. Esempio: se ho davanti a me una penna, dico e penso la verità se penso e dico che è una penna. Potrò approfondire poi sempre più questa verità, conoscendo cioè questa realtà sempre meglio; ma intanto ho colto (“intus-lego”, come abbiamo già osservato) l’essere, l’essenza della cosa che ho davanti. Abbiamo anche osservato che una conoscenza più profonda non si limita a descrivere, ma raggiunge la causa e il fine, cioè il significato, lo scopo, per cui è stata fatta. Anche in questo caso penso e dico il vero se scopro e dico la causa e il fine autentico della cosa (la cosa per quello che è e per il significato che ha). Questo riguarda anche la verità della nostra stessa vita e di tutto ciò di cui è fatta.

  Il pensiero moderno (da Cartesio in poi), nell’analizzare questo rapporto tra il soggetto (intelligenza) e il suo oggetto (essere), ha posto troppo l’accento sul soggetto. La progressiva perdita dell’idea di essere e il sospetto crescente che il soggetto ci metta troppo di sé, ha fatto sì che l’oggetto della conoscenza pian piano svanisse, da cui la progressiva perdita della verità, della sua oggettività (e quindi universalità) e della sua conoscibilità, fino allo scetticismo e al nichilismo contemporaneo.

  La libertà non è infatti una caratteristica dell’intelligenza ma della volontà. Se io vedo che ho davanti una penna, non posso più dire che non è una penna, non posso più negare questa verità quando essa si manifesta. Rimane libera la mia volontà: posso cioè usarla per scrivere (fare il bene vuol dire proprio vivere una cosa per il significato che ha), ma posso anche romperla, bruciarla, usarla per fare del male a qualcuno (fare il male vuol dire infatti vivere quella realtà con un significato errato o ridotto, cioè di fatto non corrispondente alla realtà).

  Esempio: Se mostrando due pugni chiusi chiedo alla classe in quale mano io abbia preso il gesso, ciascuno può avere la propria opinione. Posso allora fare delle interviste, dei sondaggi, vedere cosa pensa la maggioranza o la minoranza, sentire cosa pensa colui che normalmente è particolarmente acuto a risolvere i problemi (per cui gli altri sono influenzati dalla sua opinione). Questo appunto perché ancora non si vede quale sia la verità. Ma se poi apro le mani e tutti possono vedere che ho il gesso nella mano destra, nessuno può più conservare l’opinione che ho il gesso nella mano sinistra, o meglio posso ancora dirlo a parole, ma è un’opinione sbagliata, proprio perché non corrisponde alla realtà (verità).

  Come abbiamo osservato, quando ancora non si conosce la verità o non si può ancora dimostrare, quando cioè siamo ancora nel dubbio e nel campo delle opinioni, allora psicologicamente possiamo essere influenzati a formulare il nostro giudizio dall’opinione della maggioranza, dall’autorevolezza del giudizio di una persona importante o di cui ho stima; ma in realtà tutto ciò non decide cosa sia vero. La verità è poi indipendente anche dal tempo, ovviamente fin quando dura quella realtà. Esempio: la verità che ho il gesso nella mano destra è quella che è, non dipende da cosa pensa la maggioranza della classe (che potrebbe ancora sbagliarsi) o da cosa pensa un importante professore presente; inoltre, se è vero che in questa data e a questa ora ho il gesso nella mano destra, questa verità è indipendente dal tempo, sarà cioè vera per sempre (non ovviamente nel senso che avrò per sempre il gesso nella mano destra, ma nel senso che sarà per sempre vero che in questa data a quest’ora avevo il gesso nella mano destra).

  Questa legge dell’essere, che si oppone al non-essere, è davvero assoluta: riguarda ogni cosa e conseguentemente ogni intelligenza (perfino quella divina!): si chiama “principio di non-contraddizione”. Tale legge assoluta (evidenziata già da Parmenide), si impone necessariamente ad ogni intelligenza. La usa immediatamente anche un bambino piccolo, la coglie il semplice buonsenso, l’utilizza ogni ragionamento, sia logico, scientifico che filosofico. Esempio: Se prima di entrare in classe una persona fuori dalla porta mi dice che in classe ci sono 100 persone ed un altro mi dice invece che ce ne sono 70, io rimango perplesso perché so con assoluta certezza (prima ancora di entrare e vedere!) che non possono dirmi entrambi la verità (o si sbaglia uno e ha ragione l’altro, o viceversa, o si sbagliano entrambi, ma non possono avere entrambi ragione): è una certezza assoluta. Se poi uno mi dicesse che nella stanza c’è qualcuno e l’altro mi dicesse che nella stanza non c’è nessuno, sparisce necessariamente anche la possibilità che abbiano torto entrambi, perché tra essere e non essere non c’è una terza possibilità. Se invece uno mi dice che in classe ci sono 100 persone e un altro mi dice che ci sono 70 studentesse, allora possono essere entrambe verità, perché pur parlando della stessa realtà (la classe) uno si riferisce al totale dei presenti e l’altro al numero delle donne presenti. Così se uno alle 10:30 mi dice che ci sono in classe 100 persone e un altro alle 13:00 mi dice che ci sono in classe 70 persone, possono essere entrambe verità, perché si riferiscono a tempi diversi (possono essere stati prima 100 presenti e poi esserne usciti 30); ma se è vero (corrisponde cioè alla realtà, all’essere) che alle 10:30 c’erano 100 persone, per tutta l’eternità sarà vero che in quella classe, in quella data e a quell’ora, c’erano 100 persone. Ed anche se fra 10 anni qualcuno volesse dire il vero, in realtà dovrebbe dire che c’erano 100 persone.

  Assurdo non è semplicemente impossibile. Impossibile significa che non rientra nelle normali condizioni di esistenza e di possibilità (ad esempio un cavallo alato: non esiste, quasi sicuramente non esisterà mai, ma posso pensarlo, immaginarlo, dipingerlo, perché come idea esiste e rimane in sé un possibile, anche se non si attuerà mai). Assurdo è invece affermare e negare contemporaneamente, cioè essere e nulla insieme (ad esempio un legno-di-ferro; non è solo impossibile, ma non è neanche pensabile, è semplicemente una parola senza senso, vuota).

  La legge dell’essere (e quindi della verità) è talmente assoluta che perfino per negarla dovremmo usarla: infatti anche se dicessimo che la verità non c’è o che non possiamo conoscerla, in realtà affermeremmo ancora una verità, che si oppone alla sua contraria e che di fatto possiamo allora sapere che è vera.

  Lo diceva già Aristotele (Metafisica, IV, 4, 1006 a): il vero scettico, colui cioè che nega ogni verità ed il principio di non-contraddizione, in realtà deve stare zitto, perché se parla o significa che vuol dire una verità o che dice parole senza senso.

  Paradossalmente proprio il fatto che qualche volta ci sbagliamo e ci accorgiamo poi dell’errore vuol dire appunto che non ci sbagliamo sempre: se possiamo infatti individuare l’errore come tale è perché possiamo conoscere la verità.

  Salgo sull’autobus e ho fiducia che l’autista non voglia suicidarsi lanciando l’autobus contro un muro. Vado a mensa e ho fiducia che nella minestra non abbiano messo del veleno. Non faccio una verifica empirica, ma sono sicuro. Appunto: per fiducia. Sarei più irrazionale e perfino folle non mangiare fin quando non ho fatto l’analisi chimica della minestra e sarò scientificamente sicuro che non c’è il veleno, che mangiare invece tranquillamente. Se il sospetto è ragionevole, allora la fiducia potrebbe essere sbagliata (sarei allora un ingenuo e un credulone); se invece il sospetto è irragionevole, allora la fiducia è giusta e più ragionevole del sospetto.

  Come vedremo in seguito, anche l’indagine su Gesù di Nazareth, essendo un fatto storico, rientra in questo tipo di conoscenze.

  Proprio perché in questo modo possono divulgarsi con facilità, insieme a verità, anche pregiudizi e falsità, rimaniamo oggi in genere in un clima di grande confusione; nonostante le molteplici voci che sentiamo, pensando così di essere più obiettivi, normalmente rimaniamo nell’idea che ci siano verità tra loro contrastanti (il che, abbiamo visto, non può essere) o che esistano solo opinioni. E’ però vero che la maggior parte della gente non pensa molto con la propria intelligenza e, pur credendo di avere opinioni personali, è colma invece di idee non verificate ed assunte più o meno acriticamente dalla società e dai mass-media.

  Esempio: Per sapere se drogarmi è male, se danneggia la mia vita, non è necessario provare.

  La logica è una scienza che serve per qualsiasi tipo di ragionamento (d’uso comune, scientifico, filosofico) ed è rigorosissima perché si fonda sulla legge assoluta dell’essere (non-contraddizione). Essa permette un’analisi rigorosa del ragionamento, per verificarne la correttezza: il ragionamento infatti deve partire da premesse vere e deve ben collegarle (con un termine medio comune) e solo così può concludere (quando diciamo quindi) non quello che vuole, a piacimento, ma solo ciò che deve concludere [esempio: se dico che forse piove e quindi se esco senza ombrello mi bagno, io faccio un ragionamento corretto, ma non so se è vero che mi bagno (conclusione) perché non ho ancora verificato se piove (premessa). Oppure se dico che Marco è un uomo e che i cantanti sono uomini, io dico due frasi (premesse) vere, ma non posso concludere (quante volte diciamo dei “quindi” a caso, senza poterli dire) che Marco quindi è un cantante, perché la parola “uomo” l’ho usata in due sensi diversi (generale: Marco è un uomo come tutti gli uomini; particolare: i cantanti sono uomini ma non sono tutti gli uomini) e quindi non posso concludere che Marco, poiché è un uomo, sia anche un cantante. Oppure se dico che Marco è un cane e che i cani sentono gli ultrasuoni, dovrei concludere che Marco sente gli ultrasuoni, ma in realtà la conclusione è falsa perché era falsa la prima premessa (Marco non è un cane, ma un uomo), e basta che una delle due premesse sia falsa per rendere falsa la conclusione]. Se le premesse sono entrambe vere e vengono ben collegate (in base al principio di non-contraddizione, cioè mediante uno stesso termine medio), allora anche la conclusione è necessariamente vera, anche senza doverne fare la verifica empirica. In questo modo la nostra conoscenza cresce non solo per esperienza, ma pur partendo dall’esperienza, può raggiungere e scoprire nuove verità mediante ragionamenti corretti. Anche la matematica applica la logica [pensiamo ad esempio ad un progetto di un ingegnere, i cui “calcoli” (all’inizio della matematica ci sono i sassolini, in latino calculi, per contare), se sono corretti, non attenderanno una verifica empirica (la costruzione fatta) per sapere se il progetto era giusto, cioè se aveva raggiunto conoscenze vere]. Anche la scienza applica la logica e il principio di non contraddizione alle cose divenienti (fenomeni) e può così scoprirne le cause.

  Esempio: quella che ho davanti è una penna, se lo prendo in mano e la lascio, essa cade. E’ però vero che proprio i sensi, più che l’intelligenza, possono sbagliarsi e conseguentemente l’intelligenza può dare un giudizio sbagliato perché riceve dai sensi dei dati sbagliati - “prendere lucciole per lanterne!”; rimane però vero che anche in questo campo non ci sbagliamo sempre, altrimenti non ci accorgeremmo neppure di sbagliare (l’occhio ad es. può non vedere o non vedere bene, ma come organo esiste per vedere - sia pur a modo proprio - e non per non vedere). L’intelligenza umana - pur limitata e obbligata a ricavare i propri contenuti partendo dall’esperienza, ma non rimanendo chiusa in quella - ha in sé, come abbiamo visto, delle certezze assolute, che le permettono di pensare in modo corretto, perché sono le leggi stesse dell’essere, che le si impongono. Le evidenze fisiche non sono allora le sole certezze e neppure le più forti.

  Il prestigiatore fa spettacolo perché apparentemente tira fuori le cose dal nulla (un mazzo di carte dal palmo della mano, un coniglio da un cilindro); in realtà, come diciamo, il trucco (causa) c’è ma non si vede.

  Esempio: una sedia si sposta, ma non vedo chi o cosa la sposta. Occorre una causa: certamente non si sposta da sola, non è cioè il nulla a spostarla. Ma questa causa deve anche essere adeguata, cioè proporzionata all’effetto: magari non la individuo ancora con precisione (è tirata da qualcuno con un filo trasparente, oppure c’è del vento forte che la sta muovendo), ma certamente non può essere spostata da una sola formica (perché rimarrebbe gran parte dell’effetto senza spiegazione, senza causa, cioè provocato dal nulla, il che sarebbe assurdo). Una camera trovata in disordine può in teoria anche essere stata messa in disordine dal vento (ha la forza sufficiente per farlo); se invece la trovo in ordine non posso più pensare che sia stato il vento a metterla in ordine (avrebbe la forza per farlo ma non il pensiero richiesto per fare ordine).

  La scienza sperimentale (scienza cioè in senso moderno) deve muoversi dall’osservazione di un fenomeno, formulare delle ipotesi di spiegazione e mediante ragionamenti corretti giungere a delle conclusioni che devono però essere verificate empiricamente. Questo proprio perché è sperimentale, cioè induce (è induzione e non deduzione) ad una verità partendo dall’osservazione, cioè in fondo generalizzando osservazioni particolari, anche se molteplici. Ciò è lecito, perché se l’esperimento si ripete con lo stesso risultato molteplici volte, posso razionalmente pensare che ci sia una regola generale (cioè la legge scientifica). In realtà però, pensandoci bene, le sue conclusioni sono solo altissimamente probabili e non un’assoluta certezza, perché anche dopo un esperimento ripetuto migliaia di volte nulla ci impedisce di pensare che possa accadere anche qualcosa di diverso (come ad esempio l’intervento di una causa o forza sconosciuta) [come nel caso del “miracolo” (dal latino “mirari”, cioè che desta meraviglia, perché fuori della norma): possiamo dire che è impossibile solo nel senso che non può avvenire nelle normali condizioni finora conosciute, ma non che è impossibile in sé, come se fosse assurdo; proprio il livello si certezza fisica impedisce di negarlo a priori; se invece fosse un fenomeno senza alcuna causa, né naturale né soprannaturale, allora sì che sarebbe assurdo, cioè provocato dal nulla]. Per questo le certezze fisiche (della scienza), contrariamente a quanto spesso si dice, sono assai meno certe di quelle metafisiche, che sono invece assolute. La scoperta scientifica della causa (fisica) può anche essere falsa o incompleta, quindi può essere corretta o completata da scoperte future; mentre l’esistenza comunque di una causa proporzionata all’effetto costatato è invece assoluta, incontestabile, come è assoluto che il nulla non produce nulla: è una certezza metafisica, assolutamente certa e senza possibilità di smentite future. Ogni scienza applica questo principio metafisico (di causalità) e ne è così certa da utilizzarlo senza neppure porlo in discussione. Anche in questo si può vedere come lo scientismo (positivismo), cioè la pretesa di dire che solo la scienza sperimentale moderna può dire qualcosa di sicuro sulla realtà, sia falso, visto che la scienza applica un principio metafisico (quindi non scientifico in senso stretto), così come le sue scoperte sono meno certe di quelle metafisiche.

  Anche le leggi scientifiche sono invisibili: non vedo la forza di gravità ma gli effetti della forza di gravità.

  Il materialismo, che riconosce la possibilità di conoscere (e perfino di esistere) solo a quelle realtà empiricamente rilevabili, è dunque una dottrina filosofica falsa (tra l’altro già per il fatto che sia una filosofia si contraddice, perché è appunto una filosofia e non semplicemente una evidenza empirica). Così è falso lo scientismo ed il positivismo (v. A. Comte). In realtà sono filosofie e modi di pensare di fine ‘800, oggi superate nell’alta cultura, ma di fatto ancora dominanti in molti campi di diffusione culturale, come nei mass-media, ma anche nella scuola e talora perfino nelle università. Tali filosofie sono false in quanto non spiegano fino in fondo proprio quella realtà materiale che vorrebbero spiegare, fermandosi ad una spiegazione parziale, cioè a livello di esperienza (materialismo) o di “cause seconde” (scientismo), con l’illusione che progredendo orizzontalmente nella scoperta di esse (il positivismo crede che la scienza spiegherà sempre di più i fenomeni e per questo ci sarà sempre meno bisogno di filosofia, di metafisica e di religione) non sia più necessario risalire verticalmente alla Causa prima; ma proprio per questo la loro spiegazione rimane come sospesa, cioè appunto non fondata, quindi magari sempre più specialistica, ma ultimamente non rende ragione del perché ultimo della realtà.

  Il rapporto tra fede (ciò che Dio rivela) e ragione (ciò che il ragionamento scopre) si colloca più a questo livello filosofico-metafisico che a quello scientifico [cfr. Lettera Enciclica di Giovanni Paolo II Fides et ratio (14.09.1998), che così inizia: “La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità” (n. 1)].

2.1: La questione di Dio, tra scienza, filosofia e religione
Normalmente, a livello popolare, si pensa che affermare “Dio esiste” sia solo una questione di fede, cioè di un convincimento personale o una credenza senza alcuna prova. Poiché Dio non si vede, allora molti pensano che si possa credere o no alla sua esistenza: chi dice di “sentirLo” e chi invece pensa che sia una pura immaginazione o addirittura chi si ribella a Lui a causa del male che incontriamo (ma se non c’è perché mi ribello, contro chi?).
E’ intanto sorprendente notare come in qualsiasi tempo e civiltà, da quando è apparso sulla terra l’uomo creda in Dio: non è mai esistita una civiltà atea. Ci sono mille modi diversi con cui viene inteso Dio, ma che ci sia, che esista cioè Qualcuno da cui tutto dipenda, è un dato universale. E’ sorprendente che ci sia questo consenso universale, dato che Dio nessuno lo ha mai visto. Così come è sorprendente che ci sia un consenso universale sull’esistenza dell’anima e dell’aldilà, visto che anche di questo non abbiamo esperienza diretta.
Più ancora, l’uomo non si è mai accontentato di credere all’esistenza di Dio, ma ha anche sempre cercato un rapporto con Lui, è cioè sempre stato religioso; e la religione di un popolo non è mai stata una fatto marginale della sua civiltà, ma un elemento decisivo e determinante, tanto della vita personale come di quella sociale . Possiamo osservare come il fatto di credere (o no) in Dio e perfino in quale Dio si creda (cioè Chi si crede che Dio sia), anche se solo apparentemente sembri una questione astratta o solo interiore, di fatto indirizza invece tutta la vita di una persona e di un’intera civiltà in una direzione o in un’altra. Possiamo in altri termini riconoscere come la questione di Dio e la questione dell’uomo (cioè la questione del senso della vita) siano allora intimamente legate.
Questo dovrebbe già renderci molto attenti alla questione. Se ad esempio dicessi che “non credo in Dio” (come l’uomo contemporaneo sembra tentato di fare) o ad esempio anche solo che non prego, dovrei comunque osservare che sto andando contro un convincimento ed un’esperienza umana universale, che sto facendo cioè qualcosa di diverso da quello che l’uomo ha sempre fatto; e questo avrà un’incidenza su tutta la mia vita, perfino sulla mia stessa vita eterna. Più che mai quindi in questa questione non posso essere superficiale, decidendo sbrigativamente, per sentito dire o secondo le sensazioni o le voglie del momento. Essendo la questione più decisiva della vita, non posso non affrontarla seriamente, chiedendomi soprattutto cos’è vero. Devo appunto cercare e seguire la verità (solo questo esiste veramente) più che le mie opinioni, sensazioni, voglie o gusti personali.
Non vogliamo fare qui uno studio della religione o delle religioni, ma chiederci se la nostra ragione possa scoprire qualcosa di sicuro al riguardo, cioè se possiamo non solo “credere” che Dio esista, ma “sapere” con verità che Dio esiste, anche se ovviamente i nostri sensi non lo possono cogliere.
Qualcuno potrebbe pensare che se si potesse scoprire Dio con la ragione, allora sarebbe inutile la fede o non saremmo più liberi di non credere. In realtà, come vedremo, la nostra intelligenza può scoprire che Dio esiste; ma sapere che Dio esiste non è però ancora aver fede, perché la fede non è solo un sapere che Dio esiste, ma un adorarlo, amarlo, seguirlo, obbedirgli . La fede è sì un dono di Dio, peraltro concesso a tutti coloro che lo vogliono, ma non è irragionevole, ha cioè le sue ragioni; l’uomo che ha fede sa (se può, deve ragionare e sapere le ragioni della sua fede) e poi non si limita a sapere, ma si impegna a vivere ciò che sa, impiegando così la propria volontà libera.
Dio, essendo (per definizione stessa) non parte dell’universo ma creatore dell’universo, trascende quindi la materia ed è puro spirito, per cui non può essere oggetto di una scoperta scientifica, non può cioè essere visto, neanche in laboratorio; ma sappiamo come la nostra intelligenza non si limiti alla descrizione dei fenomeni, ma in base alla certezza che il nulla non fa nulla (base di ogni ricerca, sia scientifica che filosofica) sa risalire dagli effetti alla causa ed anche un poco a come deve essere la causa (almeno quanto basta per rendere ragione dell’effetto), anche se essa non è visibile.
Allo stesso modo la filosofia (in particolare la metafisica) risale dalle cause scoperte dalla scienza (le leggi scientifiche) alla loro Causa superiore, poiché anch’esse non possono scaturire dal nulla, fino alla Causa prima di tutte le cose. Essa ci deve essere e deve essere in un certo modo, altrimenti non ci sarebbe l’universo che vediamo.

2.2: Se l’universo ha un’età, ci deve essere Dio al di là dell’universo.
La scienza ci dice oggi che quasi sicuramente l’universo ha un’età . Tutte le galassie che compongono l’universo (circa 200 miliardi), composte a loro volta da 100/200 miliardi di stelle ciascuna, sarebbero sorte circa 13,7 miliardi di anni fa da un unico punto (“Big Bang”). Il loro essere in fuga le une dalle altre, come una sfera in espansione, permette questo calcolo. Nell’universo c’è ancora oggi come l’eco di quello scoppio iniziale (la radiazione di fondo). Se questa scoperta fosse confermata, dovremmo riconoscere allora che ci fu un vero e proprio inizio totale: da lì sarebbe scaturita ogni energia, prima ancora della formazione del primo atomo di idrogeno e ovviamente prima ancora della formazione della materia. Si calcola persino la densità d’energia e l’incredibile temperatura di quell’istante iniziale. Inoltre, già da quel momento vediamo all’opera quelle leggi (chimiche, fisiche) che provocheranno l’evoluzione cosmica e che ancora oggi regolano tutto l’universo. Se così fosse davvero, se tutto l’universo ha avuto un inizio, dovremmo necessariamente concludere che prima dell’universo (anche se il termine prima non è più utilizzabile non essendoci neppure il tempo prima dell’universo, perché il tempo è una caratteristica dell’universo) c’era il non-universo, cioè il nulla di universo . Non-universo non significare ovviamente il Nulla assoluto, perché il nulla assoluto non avrebbe prodotto nulla (ricordiamo che questa è la base indiscutibile di ogni ragionamento e di ogni scienza). In altri termini, se l’universo prima non c’era e poi c’è, non può essere scaturito ovviamente dal Nulla, ma da un altro Essere, che sta alla sorgente del suo stesso essere . Questo Essere che trascende l’universo e che è causa dell’universo corrisponde al concetto Dio (che è appunto l’Essere da cui tutto dipende). In altri termini il “Big Bang” sarebbe il frutto dell’atto creativo di Dio . Se cioè Dio non ci fosse non avrebbe mai potuto esserci dell’universo.

2.3: L’universo è regolato da leggi; dunque dipende da un’Intelligenza superiore.
Che l’universo fosse non un Caos ma un Cosmo, cioè un insieme ordinato, lo avevano scoperto già sia la filosofia greca che la maggior parte delle civiltà antiche ; ma proprio il continuo progresso delle scienze, con le loro sempre più precise scoperte, permette oggi di avere una consapevolezza sempre più grande dello stupefacente ordine che troviamo in ogni cosa, sia nel macro-cosmo (astronomia, astrofisica), che nel micro-cosmo (fisica nucleare, ecc.), come nel grande avvenimento della vita (biologia), per non dire dell’uomo (medicina: istologia, anatomia, patologia, ecc.). Tutto è regolato da leggi rigorose: per questo possiamo fare scienza . Sappiamo oggi che l’universo stesso inizia e si trasforma in base a queste leggi: non è cioè l’universo a fare le leggi ma sono le leggi a fare l’universo. Il progresso scientifico quindi non diminuisce ma aumenta sempre più lo stupore per questo sempre più straordinario ordine e pone con ancora più evidenza la questione di come ciò sia stato possibile, di quale ne sia la causa.
Di fronte allo spettacolo cosmico, potremmo fermarci a studiarlo sempre più, cioè a conoscere e spiegare sempre più questo fenomeno e le sue cause (leggi), cercando di esprimerle in termini obiettivi, addirittura matematici. Questo è il compito di tutte le scienze. Ma possiamo e dobbiamo anche chiederci quale sia la Causa prima di questo ordine. Ora, là dove c’è ordine c’è intelligenza ; c’è cioè una logica e quindi un pensiero (Logos) . Sarebbe però un errore grossolano dire che è la Natura ad essere intelligente, cioè a fare le cose con sapienza, perché è proprio la natura ad essere fatta con sapienza . Allo stesso modo sarebbe un errore ormai irrazionale continuare a pensare che tutto questo straordinario ordine possa essere solo il frutto del Caso. Nella natura ci possono essere fenomeni casuali (il che non vuol dire che non abbiano cause precise, ma che si incrociano casualmente effetti per sé tendenti ad altro); ma cercare di spiegare tutto l’ordine del cosmo e di ogni sua parte e di ogni sua legge con la pura casualità è assolutamente irrazionale, anche con un  eventuale calcolo di probabilità .
Qualcuno potrebbe domandarsi se l’idea, o meglio la necessità di pensare a Dio come il creatore dell’universo non sia causata da un’ignoranza scientifica, cioè dal fatto che non sappiamo le cose come stanno, come quando pensavano che fosse Dio a scagliare i fulmini dall’Olimpo (mentre poi la scienza ci ha spiegato che anche il fulmine è una potentissima scarica elettrica dovuta ad una differenza di potenziale). In realtà proprio la scoperta scientifica delle leggi naturali (come quella dell’elettricità) ci obbliga sempre più a pensare non che Dio sia la causa diretta dei fenomeni naturali, ma la Causa Intelligente dell’esistenza delle leggi naturali. Questa certezza cioè non diminuisce quindi ma addirittura aumenta con la progressiva scoperta delle leggi.
L’universo allora, non solo perché c’è ma per come è (anche nell’ipotesi che esista da sempre), non indica solo la necessità che esista come sua Causa prima un Essere trascendente, ma che tale Essere debba essere un’Intelligenza suprema, non una Super-energia creatrice cieca e impersonale. Questo attributo è estremamente importante, perché non potrei entrare in rapporto con una forza cieca, ma con un Essere pensante sì, perché questo indica che non è Qualcosa, ma Qualcuno, un Tu con cui posso appunto entrare in rapporto (come l’uomo di ogni tempo e ogni religione ha intuito e sempre desiderato).

2.4: L’universo è in continua trasformazione (divenire); dunque dipende da un Essere eterno.
Non solo il passaggio dal non-esserci all’esserci richiede necessariamente una causa (cioè un altro essere), ma anche ogni trasformazione, ogni divenire, cioè ogni passaggio dall’essere in un modo all’essere in un altro modo (perché è comunque un passaggio dal non-essere così all’essere così) . Ogni cosa che si trasforma, che diviene, si trasforma a causa di qualche cos’altro, cioè non ha in sé totalmente la causa del suo divenire . E questo anche se si trasformasse da sempre.
Ora, poiché l’universo si trasforma, diviene, si muove, dipende in questo suo trasformarsi da altro. Nessuna trasformazione cioè è davvero spiegata, anche risalendo indietro in una catena infinita, se non si trova una sorgente di tutto il divenire, una sorgente di essere che non derivi da altro il proprio essere e la propria forza. Occorre dunque necessariamente ammettere l’esistenza di un Essere che causa ogni divenire, senza a sua volta divenire, altrimenti sarebbe a sua volta causato ed il problema sarebbe solo spostato, rimanendo lo stesso, senza soluzione; invece una soluzione ci “deve” essere perché di fatto io vedo come “esistente” questo divenire . Poiché facciamo esperienza di esseri divenienti (e tutto l’universo diviene), l’intelligenza è costretta a riconoscere che esiste un Altro Essere, che “trascende” l’universo, che è causa del divenire e che a sua volta non diviene, è l’Essere, indiveniente, fuori dal tempo, eterno; e ciò corrisponde a Dio (comunque lo si chiami).

2.5: Avere il concetto Dio significa sapere che c’è. Contraddittorietà dell’ateismo.
Esiste anche una questione che per sé non dimostra che Dio esiste, ma solo che non possiamo nominarlo senza sapere che esiste. E’ il cosiddetto “argomento ontologico”. Infatti, mentre noi non sappiamo se ad ogni nostra idea o concetto corrisponda una vera realtà, a meno che non lo sappiamo dall’esperienza o dai ragionamenti sull’esperienza [e questo perché in ogni cosa c’è l’essenza (cioè il cosa è, colto dal concetto) e l’esistenza (se c’è, colto dall’esperienza), ma non esiste alcuna essenza che richieda necessariamente l’esistenza], il concetto Dio (Essere perfetto) richiede necessariamente l’esistenza (altrimenti non sarebbe il concetto Dio, non sarebbe perfetto). Dunque, se ho il concetto Dio, Dio esiste .  Se ogni cosa, privata dell’esistenza, rimarrebbe solo un’idea, l’idea Dio, se non esistesse, non sarebbe nemmeno più l’idea Dio.
Dunque se penso Dio, se cioè ho il concetto Dio, necessariamente Dio esiste. Questo non dimostra però che Dio c’è (per arrivare infatti correttamente all’idea di Dio con la sola ragione devo partire, come abbiamo visto, dalla realtà e ragionare fino a scoprire il suo perché ultimo), ma solo che se ho il concetto e lo nomino (se so quello che dico) allora c’è. Di fatto però anche l’ateo (a-theos = non c’è Dio) deve avere il concetto Dio, altrimenti non saprebbe neppure cosa nega; così il bestemmiatore, altrimenti non saprebbe neppure con chi se la prende; ma se ha il concetto Dio, Dio necessariamente esiste, altrimenti sarebbe come affermare e negare la stessa cosa (assurdo).

2.6: L’ateismo
Come abbiamo osservato nel primo capitolo a proposito della verità, due affermazioni opposte non possono essere vere entrambe; anzi, non essendoci una terza possibilità tra essere e non essere (e quindi tra affermare e negare), se è vera una è falsa l’altra, e viceversa. Dunque le due affermazioni “Dio esiste” e “Dio non esiste” non possono essere ovviamente entrambe “vere” . Per cui, poiché c’è come abbiamo visto la dimostrazione dell’esistenza di Dio (altrimenti l’universo non ci sarebbe e non sarebbe così com’è), possiamo già a priori sapere che non può esserci alcuna dimostrazione dell’ateismo. Non esiste infatti alcuna dimostrazione dell’ateismo, perché negare Dio (causa esterna all’universo) significa affermare l’assoluta autosufficienza del cosmo: ma affermare che il cosmo si è fatto da sé, anche con il suo ordine, non è assolutamente possibile e razionale . Constatiamo infatti anche storicamente come l’ateismo, emerso in campo filosofico specialmente nel XIX secolo (anche se divulgato e perfino imposto a livello sociale nel XX secolo, come nel caso del marxismo), sia sempre “postulatorio”, cioè senza dimostrazione ma voluto, dato cioè praticamente per scontato. Abbiamo cioè il tentativo (v. ad esempio Feuerbach, Marx, Nietzsche, Freud) di spiegare l’esigenza  religiosa (bisogno di Dio) riducendola ad un’alienazione o ad una patologia, ma non si affronta mai la questione di Dio in sé . Se si affronta razionalmente la questione di Dio, si tratta invece in primo luogo non di chiedersi come mai l’uomo ne abbia bisogno, ma se tutto l’universo abbia in sé la sua causa o fuori di sé; e di fatto si può dimostrare che non l’ha in sé ma in un Essere trascendente che necessariamente esiste (possiamo sapere che c’è ed anche un po’ Chi è), altrimenti tutta la realtà non ci sarebbe e non sarebbe così com’è.
Possiamo ancora rimanere perplessi nel constatare come anche alcuni grandi genii siano atei. Se infatti esiste una dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio, come è possibile che una persona intelligente non lo riconosca? Potremmo osservare come statisticamente, nella storia e nel presente, i più grandi genii (ad esempio i più grandi filosofi dell’antichità, ma anche la maggior parte degli scienziati del passato e del presente) creda in Dio; ma, come abbiamo osservato a proposito della verità, non è questo il problema, anche se è un dato significativo. Dobbiamo invece osservare come una persona potrebbe essere un grande genio in un settore particolare della scienza, ma non aver mai affrontato  adeguatamente la questione della Causa prima dell’universo (che è questione filosofica, metafisica) e quindi, nonostante la sua genialità, possa essere di fatto superficiale o incompetente su questo problema; per cui la sua posizione atea non è conseguente alla propria competenza scientifica, ma è una propria opinione. Se ci troviamo invece di fronte ad un vero filosofo, cioè ad uno che compie un ragionamento corretto proprio sulla Causa prima dell’universo, non può che concludere all’esistenza di Dio; e così è stato infatti nella storia del pensiero filosofico. Rimangono solo alcuni autori atei marginali, con errori di ragionamento facilmente confutabili, oppure anche qualche genio, ma che imposta in modo scorretto la questione, come abbiamo visto aver fatto l’ateismo postulatorio del XIX secolo (riducendo la questione di Dio a quella del bisogno religioso dell’uomo).

2.7: Dio e la questione del male
Una delle difficoltà più grandi per ammettere l’esistenza di Dio, al di là delle “posizioni di comodo” di chi non vuole riconoscere questa verità perché di fatto lo obbligherebbe a cambiare vita, è data dalla presenza nel mondo del male, il che sembra incompatibile con l’esistenza di un Creatore, tanto più quando si scopre (come avviene nel cristianesimo) che Egli è Amore. Viene da domandarsi: Dio ha creato anche il male? Perché non toglie il male? Non ci nascondiamo che proprio questo è il motivo per cui molti sentono una specie di ribellione (per sé irrazionale) nei confronti di Dio.
Cerchiamo anzitutto di chiarire cosa si intenda con il termine male. Dobbiamo intanto osservare come abbiamo l’idea di male solo in riferimento al bene, cioè proprio come mancanza di bene (e non viceversa) . Dovremmo quindi considerare l’esistenza dell’essere-bene e chiederci quale ne sia la la causa (che ultimamente è Dio). Infatti, se Dio non ci fosse non ci sarebbe neanche l’essere delle cose e quindi il bene; e se tutto fosse un nonsenso, una pura casualità, il frutto di una forza cieca, non avremmo nemmeno l’idea di bene e di male . Se non esistesse l’essere-bene o se fosse il frutto del caso, senza alcun Creatore e alcuna finalità di bene, come potrei ancora dire che manca qualcosa che “dovrebbe” esserci? Di fronte a chi mi potrei ribellare?  Quindi il problema di come mai c’è il male si pone eventualmente solo se Dio c’è, cioè solo se so che tutto è creato da Dio, altrimenti sarebbe una domanda vuota. Essendo tutto “gratuito”, cioè non essendoci in Dio alcun dovere di far esistere le cose, in quanto esse sono scaturite dalla Sua libera volontà, per sé non potremmo neppure più parlare di male, in quanto qualsiasi cosa che Dio fa liberamente esistere è bene (l’essere è bene); non esiste nessun superiore “diritto” delle cose ad esistere e nessun superiore “dovere” di Dio a farle esistere . Dobbiamo così affrontare il problema con più attenzione e non tornare sbrigativamente a dire che allora non credo in Dio, oppure ribellarmi a Dio o bestemmiarlo, perché se Dio c’è, è irrazionale pensare di ribellarmi a Lui, appunto perché Dio è Dio e noi semplici creature (che hanno il dovere di conoscerlo e amarlo).
Se intendiamo il male in senso fisico, come ad esempio quando diciamo che un terremoto che fa migliaia di morti è male, in realtà dobbiamo renderci conto che in sé non è un male ma solo una legge naturale (in questo caso geologica), che in sé è bene. Dio ci ha dato l’intelligenza per poterla studiare ed anche per poterci difendere da dolorose conseguenze dei suoi fenomeni. Tutto l’universo, pur nel suo straordinario ordine, non è però ovviamente la perfezione assoluta, perché la perfezione assoluta è solo Dio . L’universo è dunque necessariamente segnato dal “limite”. Inoltre la materia, essendo oltre che limitata anche temporale, è inevitabilmente corrotta dal tempo. Anche il nostro stesso corpo, pur nella sua straordinaria complessità, è segnato da questo limite . Certo, la Rivelazione (Bibbia) ci spiega di più di quello che capisce la ragione: ci dice infatti che non solo la nostra vita ma l’intera creazione è stata ulteriormente rovinata dal peccato dell’uomo, fin dalle origini dell’umanità .
Molte volte la sofferenza che provoca in noi un determinato evento, per sé relativamente “casuale” o addirittura naturale, ci fa parlare immediatamente di “male” e ci spinge per così dire a cercarne un “colpevole”, fino a darne la responsabilità addirittura a Dio stesso; in realtà questo atteggiamento, anche se talora psicologicamente comprensibile, è errato e irrazionale .
In senso proprio il male è però solo quello morale: si tratta di un abuso di libertà, di un uso sbagliato della libertà da parte dell’uomo, quando l’uomo cioè non fa quello che “deve” fare, cioè quando non obbedisce a quelle leggi (morali) che Dio gli ha dato e che altro non sono che le norme per vivere ogni cosa secondo il suo autentico significato. Questa disobbedienza (peccato) è la causa anche della violenza e delle guerre, di tanti dolori e morti innocenti, della fame nel mondo, di certe malattie causate dall’egoismo, dalle passioni o dallo scarso impegno di singoli uomini o di popoli interi. Se l’uomo obbedisse cioè alle leggi di Dio, inscritte nella nostra stessa natura e poi più pienamente rivelate da Lui (basterebbe l’obbedienza ai 10 comandamenti, per non parlare della nuova legge dell’amore indicata da Cristo), la maggior parte del male che c’è sulla terra, anzi il male in senso proprio, sparirebbe. Causa del male non è allora Dio, ma il nostro allontanamento da Dio, cioè il peccato. Certo, se Dio non ci avesse creato liberi (noi e gli angeli) il male non ci sarebbe (e neanche il peccato e l’inferno); ma non ci sarebbe stato neppure la possibilità personale di fare il bene, cioè il merito di seguirlo e di amarlo. Sarebbe tutto un automatismo; non ci sarebbe il male, ma non ci sarebbe nemmeno l’amore .


3. Dio fatto uomo

3.1: Ragione, religioni e Rivelazione
Abbiamo osservato come tutta la realtà, tutto l’universo, porti l’impronta del suo Creatore. Si tratta già di una “rivelazione naturale” di Dio; e l’uomo, dotato di ragione e quindi con la possibilità di risalire dai fenomeni alla loro causa, non scopre solo le cause prossime della realtà, le leggi naturali scoperte progressivamente dalla scienza, ma può anche risalire razionalmente alla Causa prima di tutte le cose (Dio). Sappiamo quindi che Dio esiste ed anche un po’ Chi deve essere vedendo la Sua opera (il creato) . Inoltre quell’essere speciale che è l’uomo, rivela un’impronta particolare di Dio, tanto da essere creato “a sua immagine e somiglianza” (Gen 1), cioè è dotato di spirito, così che può pensare ed essere libero; e abbiamo notato che proprio queste capacità lo rendono non solo un po’ simile a Dio, ma anche tendente verso Dio, come dimostra l’insopprimibile anelito verso l’infinito (Verità, Bene, Vita, Amore) che lo caratterizza, anche quando non se ne rende conto.
Per questo notiamo che non solo i pochi (filosofi) che sanno ragionare in profondità sul cosmo fino a scoprirne la Causa prima, ma ogni uomo di ogni tempo e civiltà porta in sé non solo l’intuizione che Dio esiste, ma è mosso da un’insopprimibile ricerca di Lui, desiderando conoscerlo, adorarlo, entrare in contatto con Lui, ringraziarlo, pregarlo e obbedirgli. Nascono così tutte le religioni. Troviamo infatti fin dall’inizio dell’umanità innumerevoli espressioni religiose, che al di là delle differenze, anche notevoli, sono l’espressione di questo comune bisogno più profondo dell’uomo (senso religioso). A riprova del fatto che la questione di Dio (e il bisogno di Lui) sia la questione più importante e decisiva dell’uomo, avevamo già notato come in ogni civiltà, oltre che nella singola persona, la religione non sia mai stata un elemento secondario, ma quello più determinante.
Non è nostro compito analizzare e confrontare qui le diverse religioni, ma sottolineiamo solo questo dato universale, osservando allora come l’ateismo di fatto risulti essere contrario all’uomo nella sua dimensione più profonda .
C’è però nella storia dell’uomo un’altra e ancor più importante iniziativa di Dio: Egli non si è limitato a parlarci attraverso la creazione ed a chiamarci attraverso la nostra coscienza, ma si è rivelato nella storia dell’umanità (“rivelazione soprannaturale”). Questa rivelazione ci fa scoprire, assai di più di quanto non possa fare la sola nostra ragione ed anche il nostro senso religioso, chi è Dio ed anche chi siamo noi, qual è il senso della nostra vita, cos’è bene e cos’è male. Dio ci chiama in questo modo alla comunione (Alleanza) con Lui. E’ quanto troviamo nella Bibbia, che prima ancora che un libro è infatti una storia (diciamo infatti “storia della salvezza”) .
Questa rivelazione soprannaturale di Dio all’uomo comprende due parti: una (Antico Testamento), che va dal 1800 a.C. (Abramo) all’anno O (Cristo), è una lenta e progressiva rivelazione di Dio (mediante fatti e parole) attraverso il popolo ebraico; l’altra (Nuovo Testamento ) è data dalla venuta di Dio stesso sulla terra (Cristo), che costituisce quindi il culmine insuperabile e definitivo della Rivelazione di Dio agli uomini ed è perciò rivolta a tutti gli uomini di tutti i tempi. La prima parte non è allora che una preparazione alla seconda, che la supera e la completa definitivamente.

3.2: Il “caso unico” Gesù di Nazareth
In un certo senso si potrebbe dire che il “cristianesimo” non è una religione, perché in questo caso non siamo di fronte ad un tentativo umano di raggiungere Dio, come in tutte le religioni, e neppure semplicemente ad una dottrina considerata di origine divina, ma siamo raggiunti dall’annuncio, dalla notizia (Vangelo = la straordinaria notizia) che è accaduto un avvenimento straordinario, anzi unico: il fatto cioè che Dio stesso è talmente entrato nella storia dell’umanità da farsi addirittura uomo come noi. Inizialmente potremmo anche non credere che sia vero, ma l’annuncio cristiano è questo (“kerigma”), questa è la “pretesa” di Gesù di Nazareth, questo è il “caso unico”, senza uguali anche nella storia delle religioni, costituito da Gesù Cristo. Egli infatti non si presenta nella storia come il fondatore di una religione, ma come Dio stesso fatto uomo.
Le sue parole e i suoi miracoli, per chi sa vedere, sono già un segno della sua divinità; ma c’è un fatto (su cui dobbiamo quindi indagare con particolare attenzione) che mostra più di ogni altro la verità di questa sua pretesa, cioè la sua identità divina, e che per questo è il cuore della questione cristiana, senza il quale tutta la fede cristiana sarebbe falsa e che se invece è davvero accaduto tutto è vero. Si tratta di un avvenimento mai accaduto nella storia, né prima né dopo: la sua resurrezione, cioè la sua definitiva vittoria sulla morte; è la notizia che Gesù è entrato con il suo stesso corpo nella dimensione dell’eternità, al di là cioè delle normali leggi fisiche spazio-temporali, per cui vive per sempre.
Non si tratta dunque di una nuova dottrina, su cui potremmo essere più o meno d’accordo, ma di un avvenimento; e di fronte alla notizia di un avvenimento (tanto più un avvenimento come questo, da cui dipende tutta la nostra vita e la nostra eternità) non si tratta di essere d’accordo o meno, di avere una propria opinione o di esprimere un proprio gusto, ma l’unica cosa da fare è indagare per vedere se abbiamo elementi razionalmente sufficienti per affermare che è realmente accaduto.

3.3: Il fondamento storico
Per questo, nel “caso unico” del cristianesimo è decisiva anche la storicità dei fatti, in quanto appunto la fede cristiana non si basa su una teoria (dottrina, filosofia, religione), ma su una fatto (incarnazione di Dio stesso).
Da parte di nessuno studioso, credente o non credente, emergono oggi seri e ragionevoli dubbi sulla esistenza storica di Gesù di Nazareth . Anche le sempre più estese e specialistiche ricerche scientifiche e letterarie sul caso, assai sviluppate in questi ultimi 60 anni, ce lo testimoniano; perfino le recenti e straordinarie scoperte archeologiche (in Palestina) confermano sempre più la storicità degli avvenimenti evangelici. Noi non possiamo qui addentrarci neppure minimamente in questi studi specialistici, dotati di una documentazione davvero immensa. Possiamo solo menzionare qualche dato particolarmente significativo.
E’ vero che la grande storiografia, quella che registra imperatori, guerre e grandi avvenimenti, non si è accorta immediatamente di Gesù , ma già solo qualche anno dopo prende atto, anche con qualche sdegnata preoccupazione, della presenza di un numero straordinario e inesorabilmente crescente, nonostante le immediate e violente persecuzioni,  di “credenti” in Lui in tutto l’Impero ed oltre . Già nel I e II d.C. esistono così anche documenti non cristiani che, pur non comprendendo o negando valore all’esperienza cristiana, non possono negare (e l’avrebbero fatto ben volentieri, negando così il cristianesimo alla radice) l’esistenza storica di Gesù .
Le notizie riguardo a Gesù, a ciò che ha effettivamente detto e fatto e soprattutto l’avvenimento decisivo della Sua risurrezione, le abbiamo però ovviamente da coloro che sono stati i testimoni privilegiati di quegli eventi, soprattutto dagli Apostoli. Tale annuncio (Vangelo = “la Notizia”) è anzitutto orale ; anche se già nella seconda metà del I secolo nascono anche i quattro vangeli scritti (Marco, Matteo, Luca e Giovanni), dagli Apostoli stessi e dalla Chiesa primitiva (e per sempre) considerati come gli unici veritieri ed ispirati da Dio .
Non entriamo qua nel merito dello studio sulla possibilità di conoscere il testo originale autografo degli evangelisti, partendo dalle copie più antiche ancora oggi in nostro possesso; diciamo solo che siamo di fronte al caso letterario più fortunato e chiaro tra le opere dell’antichità, possedendo ancor oggi (oltre alla scoperta anche recente di papiri con piccoli brani dei Vangeli quasi contemporanei ai fatti) circa 5000 manoscritti completi e tra loro identici, risalenti già al IV secolo d.C. ed in aree geografiche più disparate (e questo indica evidentemente una fonte comune) .
I quattro Vangeli scritti ci presentano poi numerosi e ragionevoli motivi di credibilità . Intanto, pur essendo scritti in tempi e luoghi diversi ed avendo anche prospettive diverse, essi ci presentano una straordinaria sostanziale concordanza (la presenza di alcune differenze è invece sintomo di autenticità, dell’assenza di volontà di falsificazione). Stupisce soprattutto il fatto (segno chiaro di sincerità), come in essi vengano riportati fatti apparentemente controproducenti allo scopo per cui erano scritti (che è dimostrare che Gesù è Dio affinché credendo in Lui ogni uomo possa essere salvato, cfr. Gv 20, 31), come ad esempio lo sproporzionato spazio dato alla passione-morte di Gesù, al non sempre edificante comportamento degli stessi Apostoli (compreso Pietro, che quando il vangelo è scritto è già Papa a Roma), a certi appellativi di Gesù poi non più usati in quanto facili all’ambiguità (ad esempio “Figlio dell’uomo”). La figura e le parole di Gesù sono poi totalmente al di fuori di ogni schema ed estremamente controcorrente anche rispetto alla mentalità ebraica del tempo. Chi avrebbe potuto inventare un evento così, un personaggio così, con dei fatti e delle parole così inimmaginabili come quelli riportati? Paradossalmente si potrebbe in fondo dire che dovrebbe essere divino uno che fosse capace di inventare una storia così inimmaginabile, che regge all’urto dei millenni e continua a cambiare la vita di milioni di persone.

3.4: Le prove della resurrezione
La questione centrale per capire Cristo e quindi la verità del cristianesimo è, come abbiamo detto, quella della Sua resurrezione. Se questo fatto è accaduto allora è tutto vero; se invece non fosse accaduto allora tutto crollerebbe . Questo appunto perché la “pretesa” di Gesù di Nazareth non è quella di fondare una nuova filosofia o religione, ma di essere Dio stesso fatto uomo e quindi la Verità assoluta ed il senso vero della vita di ogni uomo di ogni tempo . Ora, se fosse solo morto, questa pretesa sarebbe davvero una pretesa folle, cioè sarebbe falsa. Se invece è risorto allora non è stata una folle presunzione ma è vero che Gesù è Dio, l’unico vero Dio, l’unico salvatore dell’uomo, siamo cioè davvero di fronte all’avvenimento più importante della storia dell’umanità e quello più decisivo per la vita di ogni uomo di ogni tempo. Su questo infatti ci giochiamo il nostro stesso destino eterno. Dunque questa indagine, sincera ed appassionata, deve avere una priorità assoluta per la nostra vita . La domanda “che ragionevoli prove abbiamo della resurrezione di Gesù?” è dunque davvero decisiva ed ineliminabile. Essa percorre e percorrerà tutta la storia; e busserà alla coscienza e all’intelligenza di ogni persona. Potremmo dire che se vogliamo davvero bene alla nostra vita, se ci sta a cuore la nostra felicità, non possiamo non sentire questa urgenza. Tutto il resto è in fondo relativo.
Ora, per verificare se un avvenimento recente o passato, di cui tanto si parla, sia realmente accaduto, occorre raccogliere eventuali seri indizi (realtà che possano essere un segno di ciò che è accaduto) e soprattutto verificare l’attendibilità di eventuali testimoni oculari del fatto. Anche la resurrezione di Cristo, pur essendo un fatto che supera la storia , ha un fondamento storico, e l’indagine sulla sua storicità, se cioè sia realmente accaduto, deve prestare molta attenzione a questi dati.
Il primo indizio materiale è dato dal fatto che il suo sepolcro, nonostante l’enorme pietra che chiudeva il suo ingresso e le guardie messe all’esterno proprio perché nessuno potesse trafugare quel cadavere, dopo 48 ore è stato trovato misteriosamente vuoto, con il lenzuolo che avvolgeva il corpo di Gesù posto al suo interno. Di questo fatto ne danno testimonianza non solo i discepoli, ma anche gli ebrei (cfr. Mt 28,11-15) e in fondo perfino i romani.
Il dato storico su cui però dobbiamo seriamente indagare, senza pregiudizio alcuno, è quello offerto dalla testimonianza di molti (apostoli e discepoli) che dicono di avere visto concretamente il Risorto per almeno 40 giorni . Sulle apparizioni del Risorto e quindi sulla attendibilità e veridicità della testimonianza dei testimoni oculari di quelle apparizioni deve vertere l’indagine per raggiungere la ragionevole certezza che Cristo sia veramente risorto.
Dobbiamo anzitutto ricordare che lo stato d’animo dei discepoli e degli stessi Apostoli al momento della passione e morte in croce di Gesù, non era solo quello della paura, ma quello di una cocente delusione, se non addirittura di essere stati vittima di un ignobile inganno : era morto Colui che diceva di essere il Messia (Cristo), Dio-con-noi, il Signore della vita e della morte, la Via, Verità e Vita, il giudice universale, l’instauratore del regno di Dio sulla terra. Non c’era quindi più alcun motivo di credere in Lui, nonostante che più volte Gesù avesse parlato della Sua morte e resurrezione . Già questa radicale delusione ci fa capire come la notizia della sua resurrezione non possa essere stata inventata, tanto più che si tratta di una notizia totalmente inedita, non essendo ovviamente risorto nessun altro nella storia, e quindi pure difficile da essere annunciata e creduta . Non credono infatti alle prime apparizioni riferite dalle donne o dagli altri .
Se non ci fosse stata una reale esperienza di incontro col Risorto, non si capirebbe come mai si passi repentinamente, dopo 48 ore, da quella delusione e da quella paura ad un entusiasmo incontenibile, così che, dopo l’effusione dello Spirito Santo (50 giorni dopo), troviamo lo stesso Pietro in piazza ad annunciare apertamente e con forza, costi quel che costi, che quel Gesù che avevano fatto crocifiggere era risorto e che dunque è l’unico Dio e l’unico salvatore dell’uomo . Chi gli ha dato tale sapienza, visto che era un’umile pescatore? Cosa gli ha dato tale improvviso coraggio? Da dove viene quell’entusiasmo che nessuno ha mai potuto più contenere?
Fin dal primo momento quell’annuncio è costato l’arresto e il carcere; ed anche di fronte ai suoi accusatori Pietro afferma con forza che non possono tacere ciò che hanno visto e che non si può disobbedire a Dio per obbedire agli uomini . Saranno perseguitati, mandati in esilio e tutti moriranno martiri (tranne Giovanni), cioè furono uccisi pur di non tacere quella straordinaria notizia (Vangelo).
Potrebbe tutto questo non avere nulla o una falsità alla sua origine? Sarebbe ragionevole parlare di menzogna costruita per ingannare il popolo? Perché avrebbero dovuto farlo? Con quale scopo? Perché così improvvisamente? E soprattutto avrebbero potuto dare la vita e morire per qualcosa da loro stessi costruito come menzogna e quindi nella piena consapevolezza della sua falsità , cioè che Gesù non era affatto risorto, che era stato un grande ingannatore, che non avrebbe certo potuto dare la vita eterna non essendo stato capace di salvare nemmeno la propria? In realtà possiamo vedere come sia di fatto più ragionevole ammettere che abbiano davvero visto il Risorto, che siano per questo diventati certi che Lui è davvero Dio, che solo in Lui c’è la vita vera ed eterna, e per questo abbiano speso tutta la loro vita, predicandolo in tutto il mondo, fino a morire per questo.
Ammesso quindi che le apparizioni del Risorto non siano state un’invenzione, una menzogna  costruita dagli Apostoli, potrebbero essere state invece delle allucinazioni collettive ? In diverse occasioni, in più luoghi e soprattutto in persone che non danno affatto segni di squilibrio, ma di concretezza e di fortissima personalità, così da coinvolgere migliaia e migliaia di persone in pochi anni e in tutto il mondo allora conosciuto? Anche questo non è ragionevole ammetterlo.
I racconti evangelici delle apparizioni, pur essendo in sé indescrivibile un avvenimento così unico e irripetibile, sono in realtà assai sobri. Un corpo risorto sarebbe per sé invisibile, in quanto uscito dalle normali condizioni spazio-temporali della materia ; ma nell’eccezionalità delle apparizioni, attraverso le quale Gesù vuole dare un fondamento oggettivo di esperienza (quindi non solo interiore) alla fede degli Apostoli, si vede che è proprio il corpo di Gesù, portando impresse le ferite della passione e morte in croce ; c’è cioè continuità tra Gesù terreno e Gesù risorto, è lo stesso; ma allo stesso tempo non è immediatamente riconoscibile ; non è un fantasma, facendosi toccare e chiedendo e mangiando del pesce arrostito , ma appare e sparisce, entra ed esce in un luogo chiuso a porte chiuse .
La fede cristiana, cioè il riconoscimento che Gesù è risorto (e quindi è Dio e l’unico salvatore dell’uomo), non è quindi una vaga credenza o una semplice sensazione interiore senza fondamento oggettivo, ma è un assenso ragionevole (ha cioè assai più motivi per ammettere quel fatto che per negarlo) anche se ancora libero (in quanto implica anche la volontà e soprattutto l’amore, che non può che essere libero); e proprio perché questa straordinaria notizia (Vangelo) ha un fondamento oggettivo, cioè è vera e non è solo una sensazione soggettiva e temporanea o una comoda illusione, può trasformare la vita e donarci addirittura la vita eterna di Dio .

3.5: Il significato dell’incarnazione, morte e resurrezione di Cristo
Gesù di Nazareth non è dunque solo un profeta di Dio (come crede l’Islam) e neppure solo il Messia (atteso ancora dagli Ebrei), ma è Dio stesso fatto uomo; cioè nella sua persona si uniscono sia la natura divina, che lui il Figlio (“Logos”) ha in comune col Padre e lo Spirito Santo, che la natura umana, che ha in comune con ognuno di noi. Questa unione delle due nature nella sua persona si dice “unione ipostatica”. Comprendiamo così meglio perché fin dall’istante del suo concepimento nel grembo della Vergine Maria, Gesù possiede sia la natura umana (offerta da Maria) che quella divina (è concepito per opera dello Spirito Santo). Che ci sia questa unione ipostatica è decisivo per la nostra salvezza : infatti se fosse solo Dio o solo un uomo non potrebbe essere il vero, unico e definitivo mediatore e riconciliatore dell’uomo con Dio e perciò non saremmo salvi. Solo attraverso di Lui infatti la nostra umanità, che è fatta per l’infinito che è Dio ma che proprio in quanto finita non può darsi l’infinito che desidera, può invece entrare nella comunione piena con Dio, ricevendo in sé la partecipazione alla vita stessa di Dio. Questo era ed è peraltro il motivo per cui l’uomo è stato creato e quindi il significato vero e totale della vita di ogni uomo.
Già quindi nell’Incarnazione (Cristo), mentre si svela il vero volto di Dio ed il vero senso della vita umana, Dio chiama l’uomo alla comunione con Sé e rende possibile questa comunione; ma nella sua croce e resurrezione (“mistero pasquale”) viene espiato tutto il peccato dell’uomo (è Lui il vero Agnello che prende su di Sé il peccato dell’uomo) e l’uomo viene reso partecipe della vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte e della stessa vita divina (Redenzione).
Dio si è fatto uomo per fare l’uomo Dio, cioè per rendere l’uomo partecipe di Sé. Questo è l’eterno progetto d’amore di Dio, che si attua in Cristo per opera dello Spirito Santo. L’uomo di ogni tempo allora può e deve in Cristo essere liberato dal peccato (quello “originale”, che ha corrotto la natura umana fin dall’inizio, e quelli personali) e dalla dannazione eterna ed essere reso partecipe della vita stessa di Dio. E’ dunque Lui la Verità assoluta ed il senso vero ed esauriente della vita.
Nella Sua passione e morte in croce, attraverso cui si attua la nostra riconciliazione con Dio, cioè la nostra “redenzione”, acquista pure una dimensione nuova ed un valore salvifico ogni dolore umano, in quanto, se unito alla Croce di Cristo, ci rende partecipi della redenzione e ci fa misteriosamente ma realmente cooperatori di Dio per la salvezza nostra e del mondo .
In quanto risorto, Gesù è allora perennemente vivo, cioè una presenza continua, specie tra coloro che credono in Lui , nel Suo popolo che è la Chiesa e specialmente nei Sacramenti, attraverso i quali Egli stesso opera in noi e ci rende sempre più partecipi di Sé.
Essendo Dio stesso fatto uomo, Gesù Cristo è la pienezza della Rivelazione, la verità completa su Dio e sull’uomo, l’unico mediatore tra Dio e l’uomo, cioè l’unico salvatore . Dio, cercato da tutti gli uomini e da tutte le religioni, si è dunque pienamente rivelato; per questo immenso dono dell’amore di Dio, che supera ogni aspettativa umana pur essendo il ciò per cui esistiamo, non è più moralmente lecito fermarsi ad una vaga religiosità (credere semplicemente in Dio), alle religioni (aderire ad una religione o setta qualsiasi o farsi una religione “a modo proprio”) e neppure alla rivelazione dell’A.T. (religione ebraica), così come non è da attendersi altra rivelazione pubblica di Dio fino alla fine del mondo .
In quell’ultimo giorno, quando si compirà la storia e tutti risorgeranno, Cristo ritornerà “glorioso”: tutti lo vedranno, vedranno che è davvero Dio e quindi la Verità piena della nostra vita, e per questo Egli sarà il “giudice universale”, misericordioso e giusto, cioè verrà alla luce tutto il nostro essere e  tutta la nostra vita; si evidenzierà così la nostra conformità o difformità a Lui ed alla Sua parola; e ciò avrà conseguenze eterne, nella beatitudine (partecipazione alla vita stessa di Dio) o dannazione (privazione della vita di Dio) eterne.

3.6: Dio è Amore
Se è vero che nessuno ha mai visto Dio, è però vero che ormai Dio si è pienamente rivelato in Cristo, Figlio di Dio (“Logos”) incarnato . Non si tratta dunque di una nuova filosofia o di una nuova religione, ma della “presenza” stessa di Dio-fatto-uomo. Non sono semplicemente nuove idee, ma la Persona di Cristo e della Sua opera nella storia (la Sua venuta e la Sua morte-risurrezione per ogni uomo), che ha un valore universale ed eterno . “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” .
In Cristo si rivela pienamente Chi è Dio: Dio è Amore. E lo sappiamo non solo perché Cristo (Dio stesso fatto uomo) ce lo ha rivelato (vedendo Lui si vede infatti il Padre, cioè Dio stesso ), ma per la Sua stessa venuta per noi (“per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo” ) e soprattutto per la Sua morte in Croce per noi. “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna” (Gv 3,16).
Come abbiamo osservato nella II parte del nostro lavoro, al culmine della ricerca filosofica su Dio della classicità greca (pensiamo a Platone ed Aristotele) c’era sì già la scoperta - quindi razionale -  dell’esistenza di Dio ed anche il riconoscimento di alcuni suoi attributi (Colui da cui tutto dipende, l’Eterno, l’Intelligenza suprema); ma solo in Cristo si manifesta pienamente Chi è Dio e perché noi esistiamo : Dio è amore; e noi siamo creati e salvati dall’Amore e chiamati a partecipare all’Amore, già da ora e per sempre.
Cristiano è allora colui che crede nell’umanità e divinità di Cristo, alla Sua morte e resurrezione, e quindi all’amore che Dio ha per noi .
Ecco perché la logica nuova della vita cristiana, che è poi il senso vero e pieno della vita, è l’amore. Per questo Gesù dice che questo è il Suo comandamento . “Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (1Gv 4,16). Ma è “Dio che ci ha amati per primo e continua ad amarci per primo; per questo anche noi possiamo rispondere con l’amore” . “Siccome Dio ci ha amati per primo, l’amore adesso non è più solo un <comandamento>, ma è la risposta al dono dell’amore, col quale Dio ci viene incontro” . “Il <comandamento> dell’amore diventa possibile solo perché non è soltanto un’esigenza: l’amore può essere comandato perché prima è donato” .
Così la vita eterna cui siamo chiamati non è un perdersi nel Nulla o nell’oceano anonimo dell’Essere (come ad esempio pensa il Buddismo), né semplicemente uno star bene (come ancora immagina il paradiso la religione islamica), ma è una partecipazione d’amore all’Amore infinito che Dio è . Nell’Amore eterno che Dio è, ciascuno di noi invece non si perderà, ma troverà pienamente se stesso (siamo infatti fatti per l’Amore); e nell’Amore troverà pure il pieno e insuperabile rapporto d’amore con tutti coloro che saranno salvati, cioè con coloro che partecipano dell’Amore eterno che Dio è.

 

Nel secondo Corso (“Chiesa e Sacramenti”) si vedrà “come” la salvezza operata da Cristo possa raggiungere ogni uomo della storia fino alla fine del mondo. Questo può attuarsi per opera dello Spirito Santo, che Gesù Cristo ha inviato, attraverso quello strumento che è la Chiesa, in cui troviamo - per la promessa stessa di Cristo - la Sua autentica Parola (Verità che salva) e la possibilità di partecipare alla Sua stessa vita (mediante i Sacramenti, attraverso cui Cristo stesso opera in ciascun uomo, rendendolo partecipe di Sé).

 

  Si osservi l’incidenza della religione nel modo di vita, negli usi, costumi, tradizioni, cultura, arte (basterebbe pensare alla bellezza straordinaria dei luoghi di preghiera, cioè di culto, dagli altari degli Incas alle pagode, moschee, sinagoghe, cattedrali, ecc.), in qualsiasi civiltà. Relegare la religione ad un fatto solo di coscienza e privato, senza alcuna incidenza sociale, come cerca di fare il laicismo contemporaneo, è in realtà già una deformazione e riduzione del fatto religioso.

  Detto per inciso, allora anche il diavolo avrebbe fede, perché sa benissimo che Dio c’è. La sua intelligenza superiore (angelica, sia pur decaduta) gli impedisce di negarlo (l’intelligenza infatti non è libera, come abbiamo osservato); è la sua volontà (questa sì che è libera) che Lo rifiuta, cioè non può dire che Dio non esiste, ma può decidere di non adorarlo, di non seguirlo, di non obbedirgli.

  Filosoficamente potremmo anche ipotizzare un universo che esiste da sempre: non sarebbe cioè contraddittorio (lo sarebbe però se fosse causa di se stesso, come vedremo). La scienza potrebbe ipotizzarlo, ma non lo potrebbe mai provare (proprio perché si può dare esperienza di un inizio ma ovviamente non di un non-inizio). La Bibbia, oltre a dirci che tutto è creato da Dio, ci dice che c’è stato anche un inizio (Gen 1,1: “In principio...”).

  Non-universo significa assenza totale non solo di ogni materia ma di ogni energia che compone l’attuale universo. Se prendessimo invece per buona l’ipotesi (ora poco praticata) di un eventuale collasso di un universo precedente, allora il problema sarebbe semplicemente spostato alla questione della nascita di esso. Se invece ancora prendessimo per buona l’ipotesi di una perenne esplosione-implosione di un universo esistente quindi da sempre (e ricordiamo che questa rimarrebbe per sempre una pura ipotesi, essendo il “da sempre” per definizione stessa non verificabile), dovremmo comunque osservare, come vedremo tra poco, che l’universo, proprio per le caratteristiche che presenta, rivela comunque la propria dipendenza da un altro Essere, anche se cioè per pura ipotesi fosse da sempre.

  L’idea di “inizio assoluto”, cioè senza alcuna forma di essere precedente, è infatti un’idea assurda, come è assurdo che il nulla faccia qualcosa. Lavoisier ha ragione di dire che “nulla si crea”, ma si deve aggiungere “dal nulla”. Infatti nulla si crea dal nulla, ma da Dio. Con più esattezza dovremmo dire però che Dio (Essere perfetto, fonte di ogni essere) non è solo la causa dell’inizio dell’universo, ma del suo stesso essere. Notiamo in proposito che la causa di un inizio può anche terminare ma non termina l’effetto (può morire l’operaio che ha fabbricato una lampadina ma la lampadina rimane lo stesso), mentre la causa dell’essere, se termina, termina anche l’effetto (la lampadina fa luce fin quando la centrale elettrica manda energia attraverso il filo, ma se si spegne la centrale si spegne anche la lampadina). La causa dell’essere è quindi indipendente dal tempo e permane almeno fin quando vediamo l’effetto (anche se la lampadina facesse luce da tutta l’eternità non farebbe luce da se stessa: vuol dire che anche da tutta l’eternità ci sarebbe una centrale elettrica che manda corrente elettrica). Questo è importante perché l’Essere/Dio, essendo causa non solo dell’inizio ma dell’essere dell’universo (che infatti non è un essere indipendente, non è l’essere, ma ha l’essere) ci deve essere anche se l’universo fosse da sempre.

  L’idea della dipendenza di tutte le cose da Dio è presente in tutte le religioni e nella maggior parte delle filosofie, ma l’idea precisa di “creazione” (Dio che fa esistere dal nulla tutte le cose) è un’originalità biblica, che tanto ha fecondato non solo la riflessione teologica, ma anche quella filosofica. Tale idea, contrariamente a quanto qualcuno potrebbe credere, non è affatto irrazionale o contraddittoria, perché dire che Dio fa esistere tutte le cose dal nulla non è affatto dire che si passa dal nulla all’essere a causa del nulla (questo sì sarebbe assurdo), ma che si passa dal nulla (non assoluto, perché Dio c’è da sempre) all’essere (dell’universo) proprio a causa dell’intervento di quell’Essere supremo che è Dio. Dire che le cose passano dal non esserci all’esserci a causa dell’Essere supremo fonte di ogni essere non è quindi affatto irrazionale, ma è la risposta più razionale e necessaria al problema dato dall’esserci di tutte le cose. Questo universo si manifesta tra l’altro come non-necessario, addirittura come uno dei tanti universi possibili, cioè come l’attuarsi di una delle tante possibilità; e ciò mostra nuovamente la contingenza (dipendenza) dell’universo stesso e la libertà di Dio Creatore.

  Già Platone riconobbe che il mondo fisico riflette quello delle Idee e che esse sono il frutto di un Logos superiore; è in fondo quanto oggi noi diciamo con il termine legge scientifica. Sono proprio queste leggi, questa logica di fondo presente in tutte le cose ad indicarci il Logos. Non a caso il Vangelo di Giovanni (1,1-18) comincia parlandoci di questo Logos, che è al principio e per mezzo del Quale tutto esiste, che si è atto carne in Cristo.

  Non a caso la scienza moderna sperimentale nasce in ambito culturale cristiano, come la storia delle civiltà dimostra: proprio infatti la consapevolezza che la natura è opera della sapienza di Dio mette lo scienziato nella convinzione che essa ha una logica (logos), una sapienza, una precisione, da potersi addirittura trascrivere in termini matematici (che è la genialità che sta alla base appunto della scienza moderna).

  Già il semplice buonsenso ci fa capire che l’ordine richiede un’intelligenza. Se quando torno a casa trovo la mia camera tutta in disordine e sottosopra, con la finestra aperta, potrei anche fare l’ipotesi che sia passata una tromba d’aria, un tornado, e che il vento abbia fatto questo. La forza ce l’ha. Ma se la lascio in disordine e quando torno la ritrovo invece ordinata, non posso più pensare che sia ritornato il tornado a mettere in ordine: la forza ce l’ha, ma per fare ordine non basta la forza, ci vuole un’intelligenza. Quell’ordine non può essere cioè il frutto di una forza casuale come il vento, ma almeno di una forza pensante come quella ad esempio di una cameriera. Ora, se per mettere in ordine una stanza devo pensare già ad un’intelligenza, per l’ordine di tutto l’universo ci vorrà bene un’Intelligenza infinita.

  Cfr. A. Zichichi, Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo, Il Saggiatore 1999. Ricordiamo che Zichichi, noto anche al grande pubblico televisivo, è uno dei più grandi scienziati viventi: Ordinario di Fisica Superiore all’Università di Bologna, membro e talora presidente di importanti istituti o consessi scientifici internazionali, è colui che tra l’altro ha scoperto l’antimateria nucleare.

  Se guardo un maglione, vedo che non è un groviglio di fili di lana, ma c’è dietro un pensiero, un progetto, cioè una logica. Posso studiare sempre più come è fatto; ma rimane la questione di fondo: perché è fatto così? Non posso certo dire che è il maglione ad essersi fatto così, perché non è il maglione ad essere evidentemente intelligente, ma colui che lo ha fatto. Posso però dire la stessa cosa di un albero: posso studiare come è fatto, la logica che presiede alla funzione clorofilliana, alla caduta della foglie in autunno, al modo con cui farà trasportare il suo polline in primavera. Questo è il compito delle scienze. Ma non posso dire che è intelligente l’albero. E’ cioè fatto con intelligenza e agisce con una logica, ma non è intelligente esso stesso. Questo vale per ogni cosa. Se dicessimo che è la Natura stessa ad essere intelligente, non saremmo affatto moderni, ma torneremmo indietro di millenni (sarebbe “animismo”, quando gli uomini credevano che fossero intelligenti le cose, che fossero cioè degli “spiriti”).

  Il caso, quando lo generalizziamo e lo assumiamo come spiegazione di tutto, diventa un “mito” irrazionale, un dogma materialista. Come infatti non posso ragionevolmente pensare che il maglione sia opera di un gatto che gioca coi gomitoli di lana, anche se è vero che la lana c’è; come non posso ragionevolmente pensare che lasciando un neonato davanti ad un pianoforte, schiacciando cioè a caso i tasti, venga fuori una Sonata di Beethoven, anche se le note ci sono tutte; come non posso ragionevolmente pensare che lasciando una scimmia davanti ad una macchina da scrivere venga fuori la prima pagina della Divina Commedia, così non posso pensare che tutto l’ordine cosmico (in ogni suo ambito, macroscopico e microscopico) possa essere il frutto del caso. Posso al massimo pensare al caso per certe piccolissime combinazioni, non per un ordine che trovo ovunque e sempre; tanto più che più studio i fenomeni, più faccio scienza, e più scopro che questo ordine è straordinariamente complesso ed armonico, che basterebbe la variazione piccolissima di un componente per far saltare tutto l’ordine.

  Per questo il “divenire” è un fondamentale problema filosofico [Parmenide, avendo scoperto la legge dell’essere ma volendo trovare l’essere pieno in tutte le cose, negò il divenire; Eraclito, volendo invece affermare che tutto è divenire, negò l’essere; con Aristotele si capisce invece che il divenire è un problema irrisolvibile finché non si va oltre il divenire, fino all’indiveniente (che trascende cioè tutto il divenire cosmico, cioè Dio)].

  Il concetto di “automobile” è infatti per sé contraddittorio; l’automobile (con enfasi detta anche “la macchina”) si è chiamata così perché apparentemente si automuove, non essendoci più bisogno della forza trainante di un animale (ad es. il cavallo); in realtà si è sostituita soltanto la forza muscolare dell’animale con la forza del carburante che brucia e spinge il pistone nel cilindro, facendo muovere la ruota (non a caso ancora oggi esprimiamo questa potenza in “cavalli”). L’“automobile” in realtà, come un gioco di prestigio, nasconde il “trucco”, cioè la forza che muove è semplicemente nascosta; infatti basta lasciarla senza benzina ed anche una “Ferrari”, che pur ha la “potenzialità” di muoversi a più di 300 Km/h, sta ferma. Anche ogni energia deriva sempre da altre fonti (il petrolio ridona una energia accumulata in milioni di anni da altre fonti di energia). Nessuna cosa dunque si “automuove”. Perfino il “vivente”, che pur sembra capace di automuoversi, in realtà per vivere e divenire ha bisogno di energia assunta esternamente, ha bisogno cioè di altri esseri ed energie non solo per nascere, ma per continuare a vivere e trasformarsi; tanto è vero che anche noi, se non respiriamo e non mangiamo, cioè se non prendiamo essere ed energia dall’esterno, non viviamo più.

  Non si risolve cioè il problema del divenire fino a quando si rimane nel divenire stesso. Aristotele ipotizza ancora un universo eterno, ma poiché è in divenire ha la propria Causa prima oltre se stesso (trascendente). Egli definisce questa Causa “Primo Motore Immobile”, cioè causa di ogni divenire senza divenire lui stesso; e ciò corrisponde all’idea di Dio.

  Se ho ad esempio il progetto di un nuovo tipo d’auto, con tutti i suoi particolari, esso poi potrà essere attuato, e quindi l’auto esistere davvero, oppure no, e quindi rimanere solo un progetto, un’idea. Questo perché l’idea di quell’auto, come di ogni cosa dell’universo, non richiede necessariamente che esista. Dire ad esempio che questo tipo d’auto non esiste può essere vero (perché di fatto non c’è ancora) o falso (perché magari già esiste), ma non è contraddittorio. Dire invece che Dio (cioè l’Essere perfetto) non esiste è contraddittorio, perché nell’idea di Dio (e solo nell’idea di Dio) è necessariamente implicita l’esistenza, altrimenti non sarebbe l’Essere perfetto se mancasse dell’esistenza (che anche un sassolino ha). Quindi dire che Dio non esiste è contraddittorio come dire che quell’auto non è un’auto (non c’entra che esista o no, ma mi contraddico, cioè affermo e nego la stessa cosa).

  Non stiamo qui ovviamente parlando della moralità dell’ateo, se cioè possa esserci un ateo anche più buono di un credente; ma che non possa esserci un corretto ragionamento, partendo dallo studio dell’universo, che possa concludere all’inesistenza di Dio, cioè che conduca all’ateismo.

  Perfino F. Nietzsche, forse l’ateo più estremo e rigoroso di tutti i tempi, per negare radicalmente Dio deve poi rifugiarsi nell’antico mito dell’“eterno ritorno dello stesso”, che non ha nessuna dimostrazione.

  Per Feuerbach l’idea di Dio è una proiezione dell’uomo, per Marx è quindi un’alienazione (come sovrastruttura della società capitalista); per Freud praticamente una patologia dell’inconscio; per Nietzsche un bisogno nato dalla debolezza dell’uomo che non sa accettare il totale nonsenso della realtà.

  Ad esempio avvertiamo il dolore come male perché sentiamo che non dovrebbe esserci, perché siamo fatti per la felicità; che la malattia non dovrebbe esserci perché la salute è un bene, che il tradimento di un amore è male perché la sincerità, la fedeltà, l’amicizia, l’amore, sono un bene. Anche in questo caso, come per essere-nulla, abbiamo l’idea di male perché abbiamo quella del bene, ma non viceversa, perché non ho l’idea di bene come mancanza di male, in quanto se ad es. non avessi un corpo (che è un bene) non potrei avere neanche l’idea di malattia (che è una privazione all’interno di un bene). Anche il male (come il nulla e il falso) è cioè una “privazione” di qualcosa, ma in sé non è qualcosa [ricordiamo quanto abbiamo già osservato circa l’idea di nulla, cioè a questi concetti “privativi” (come mancanza di ...). Ci aiuta l’esempio di privazione che è un “buco”:  posso avere la percezione di un “buco” nel foglio che ho davanti perché attorno c’è la carta, ma non ho l’idea di carta perché c’è il non-buco, tanto è vero che una pagina senza buchi può esistere, ma un buco largo esattamente come una pagina non solo sopprime la pagina ma il buco stesso, poiché il buco, cioè il niente, potrebbe essere il non-essere di qualsiasi cosa; per cui il buco (nulla) senza essere è semplicemente un nonsenso, come l’idea di male senza il bene].

  S.Tommaso d’Aquino arriva infatti a dire “c’è il male, dunque Dio esiste”, perché allora vuol dire che c’è un bene, cioè che le cose hanno un senso perché Qualcuno le ha fatte con sapienza e amore. Dante Alighieri dice che perfino l’inferno è il segno dell’amore di Dio. Quando Nietzsche vuole negare radicalmente Dio, deve infatti negare l’esistenza stessa del male, ponendosi cioè “al di là del bene e del male”: deve accettare tutto come bene, come un unico nonsenso.

  Cfr. l’esperienza e le espressioni di Giobbe, nella Bibbia (Gb).

  Quindi o Dio non crea o se crea (liberamente), quello che crea non può essere evidentemente Dio (un “Dio creato” è un’affermazione contraddittoria).

  Un corpo, in quanto materiale, è ad esempio destinato ad invecchiare ed a corrompersi, così come può essere più o meno soggetto ad ammalarsi, pur non dimenticando che i diversi miliardi di cellule di cui è formato ad esempio il nostro corpo sono normalmente ben funzionanti.

  Si tratta del “peccato originale” (Gen 3), attraverso cui il dolore, la fatica e la morte sono entrati nella vita umana, come conseguenza della pretesa autonomia dal Creatore. Anche nel presente vediamo poi che la vita e talora la stessa natura sono ulteriormente rovinati dai peccati degli uomini. Solo in Cristo c’è la piena riconciliazione con Dio e l’inizio della creazione nuova, dove anche il dolore può diventare “salvifico” (come partecipazione alla Croce di Cristo, causa della nostra salvezza) e dove perfino la morte si trasforma da momento finale a passaggio all’eternità. La natura stessa attende con impazienza la nostra conversione a Cristo, per poter essere trasformata nella nuova creazione (cfr. Rm 8,19).

  Se mi chiedo come mai ho fatto un incidente stradale, molto probabilmente devo cercarne la causa nella guida sbagliata (mia o altrui) o nel guasto di qualche parte dell’automobile, non certo nella volontà di Dio (sarebbe una visione ancora magica, superstiziosa e primitiva di comprendere l’intervento di Dio nei fatti naturali); e se in via del tutto straordinaria può anche intervenire un miracolo divino [si chiama “miracolo” proprio in quanto “meraviglia” per la sua straordinarietà, che Dio può liberamente far accadere e che è perfino lecito chiedere], normalmente Dio non si sostituisce alla mia guida o al meccanico a cui avrei dovuto rivolgermi per controllare l’efficienza della mia auto. Non dobbiamo quindi vedere sempre un colpevole (Dio o l’uomo, come quando diciamo “Dio non doveva farmelo” oppure “ma che ho fatto di male per meritare questo” - Gesù stesso insegna a non vedere ovunque questo nesso, cfr. Lc 13,1-5). In Cristo, che ci libera dal male, dalla morte e soprattutto dalla dannazione eterna (inferno), anche il dolore può diventare occasione di “grazia”. Se infatti Dio lo permette (anche se non lo vuole direttamente) è perché può trarre, con la nostra adesione alla Sua volontà, un bene anche da un male (quante volte ad esempio è proprio la sofferenza ad essere occasione di crescita spirituale ed umana).

  L’innocenza a cui siamo chiamati, contrariamente a quella postulata da Nietzsche e che coincide con l’impossibilità di sottrarsi alla necessità e al nonsenso cosmico, è l’innocenza di chi responsabilmente fugge il male e sceglie il bene (mi permetto in proposito di segnalare il mio testo: A.Cecchini, Oltre il Nulla. Nietzsche, nichilismo e cristianesimo, Città Nuova 2004).

  Si veda in proposito la Lettera Enciclica di Giovanni Paolo II Fides et ratio (14.09.1998). Perfino la Bibbia ci dice che possiamo scoprire Dio anche con la sola ragione, sia nell’A.T. (Sap 13,1-9) che nel N.T. (Rm 1,18-32). Lo testimoniano moltissimi filosofi, del passato e del presente. Lo confermò autorevolmente anche la Chiesa, ad esempio nel Concilio Ecum. Vaticano I (Costituzione “Dei Filius”).

  Abbiamo osservato che l’ateismo emerse a livello filosofico specialmente nel XIX secolo (Marx, Nietzsche), ma nel XX secolo si è cercato, spesso con un’inaudita violenza, di costruire l’intera società senza Dio e contro Dio (il nazismo, ma soprattutto il marxismo nell’est-Europa, in Cina, Vietnam, Laos, Cambogia, Cuba e nel Messico), con il risultato di aver costruito una società di fatto contro l’uomo (cfr. ad es. il celebre testo di H. De Lubac Il dramma dell’umanesimo ateo, MI 1992). Oggi, nonostante il permanere di alcune di queste violenze, la religione è tollerata spesso come fatto intimo e privato, ma senza alcuna incidenza sulla vita pubblica, secondo cioè un “ateismo pratico” per cui si vive “come se Dio non esistesse”. In questo modo però anche le moderne democrazie corrono sempre più il rischio di non sapere più dove fondare le proprie convinzioni di bene e di male (relativismo) e quindi di scivolare in posizioni di fatto anarchiche, dove lo Stato (sia pur con governi votati a maggioranza ma spesso condizionato da oligarchie economiche e pressioni culturali sotterranee) tende poi a sostituirsi a Dio, stabilendo di volta in volta il bene e il male, perfino chi sia l’uomo e quando abbia diritto vita (aborto, eutanasia, uso degli embrioni).

  La Bibbia (Biblia = i libri, il libro) è in realtà un insieme di 73 libri (46 dell’Antico Testamento + 27 del Nuovo Testamento). E’ il testo che più ha inciso nella storia della civiltà mondiale (oltre ad essere il primo libro stampato e tuttora sempre il primo best-seller a livello mondiale); l’Antico Testamento è tra l’altro riconosciuto come “Rivelazione di Dio” dagli ebrei, dai cristiani e dai musulmani, il che vuol dire tutt’oggi dalla maggioranza assoluta della popolazione mondiale. Essa sorprende, anche nel confronto con la letteratura antica, soprattutto per l’elevatezza dei suoi contenuti, cioè per l’altezza e la grandezza della concezione di Dio, dell’uomo, del cosmo e della storia; una profondità che rimane totalmente inspiegabile se venisse considerata solo “umana”, tanto più in quanto emerge da un popolo (ebraico) che conosceva allora una livello di civiltà assai arretrato rispetto alle civiltà ad esso contemporanee. La Bibbia, ispirata da Dio attraverso autori umani (spesso anonimi) in un arco di tempo di oltre 2000 anni, non è però soltanto un libro, ma soprattutto una storia, nel senso che Dio si rivela non solo attraverso parole (dei profeti), ma soprattutto attraverso dei fatti. Questo determina anche la nuova idea di storia, lineare, di fatto sconosciuta prima (si credeva circolare, e quindi determinata dal destino).

  L’avvenimento centrale e insuperabile di tutta la rivelazione di Dio è dunque Cristo stesso, che nella Bibbia troviamo all’inizio del Nuovo Testamento, cioè nei quattro Vangeli (Marco, Matteo, Luca e Giovanni). Qui c’è il centro di tutto e la piena e definitiva rivelazione e comunicazione di Dio agli uomini. Nel Nuovo Testamento, oltre ai Vangeli, ci sono altri 23 libri (Atti degli Apostoli, le lettere di Paolo, Pietro, Giacomo, Giovanni e Giuda, e l’Apocalisse), che pur essendo ispirati da Dio, altro non servono che per farci sempre più comprendere il mistero di Cristo. Quindi dopo Cristo non c’è da attendersi altra rivelazione (pubblica, all’umanità) di Dio, fino alla fine del mondo.

  Ricordiamo tra l’altro che contiamo gli anni dalla nascita di Cristo, considerando la storia come divisa in due blocchi, con un conteggio (alla rovescia) prima di Lui (a.C.) e quindi dopo di Lui (d.C.).

  Infatti quel “predicatore”, mentre era in vita, non ha fatto notizia se non in una cerchia relativamente stretta di persone (cfr. At 25, 19, che riporta il capo d’accusa con cui S. Paolo viene inviato a Roma per essere giudicato dall’imperatore: “avevano solo con lui alcune questioni relative la loro particolare religione e riguardanti un certo Gesù, morto, che Paolo sosteneva essere ancora in vita”).

  I credenti in Cristo, cioè nella resurrezione di Gesù e quindi nella sua divinità, sono chiamati “cristiani” già a partire da Antiochia (cfr. At 11, 26).

  V. ad es. il Talmud babilonese (I-II sec.), Plinio il Giovane (Epistola a Traiano, 112 d.C.), Flavio Giuseppe (Antichità giudaiche, 93 d.C.), Tacito (Annales, 115 d.C.), Svetonio (Vita Claudii, 120 d.C.), Celso (178 d.C.).

  Gesù affida infatti sorprendentemente la Sua Parola (che è Via, Verità e Vita per ogni uomo di ogni tempo) non ad un libro, interpretabile a piacimento, ma ad una comunità viva (la Chiesa), in cui alcuni (è il Magistero, cioè l’insegnamento ufficiale del Papa, Vescovo di Roma e successore di S. Pietro, e dei Vescovi, successori degli Apostoli, uniti con lui) hanno il compito e l’assistenza divina per trasmetterla fedelmente ed interpretarla con verità.

  Matteo e Giovanni erano essi stessi Apostoli. Marco raccoglie invece la predicazione di Pietro, come Luca quella di Paolo. Mt, Mc e Lc sono detti “sinottici” per la struttura similare che evidenziano. Nei secoli successivi, ed in ambiti esterni o deviati dall’autentica dottrina e tradizione apostolica, nascono anche altri vangeli, chiamati e ritenuti “apocrifi” in quanto non autentici e non ispirati da Dio.

  Per le altre opere dell’antichità, tra l’originale e la più antica copia completa pervenutaci, ci sono invece ad esempio 400 anni per le opere di Virgilio, 1300 per quelle di Platone, 2300 per quelle di Omero. Alcuni dei più antichi manoscritti del IV-V secolo, redatti su pergamena e cuciti in quaderni (detti Codici), sono molto famosi, come il Codex Vaticanus (conservato nei Musei Vaticani), il Codex Sinaiticus (scoperto nel XIX sec. ai piedi del Sinai, conservato al British Museum di Londra) ed il Codice Alessandrino (del V sec., conservato anch’esso al British Museum).

  Avevamo osservato come la maggior parte delle nostre conoscenze (e particolarmente quelle storiche) le abbiamo “per fiducia” e sono fondate sulla testimonianza di altri; se infatti non dessimo ragionevole fiducia a conoscenze riportateci da altri ci rinchiuderemmo ben presto nel più totale isolamento se non nella follia. Questo non è indice di scarsa ragionevolezza o di credulona ingenuità. Il sospetto di menzogna è infatti doveroso fino a quando è ragionevole, cioè se abbiamo dei motivi veri per dubitare di chi ci riporta una notizia. Premesso questo, dobbiamo allora chiederci se possiamo avere ragionevoli sospetti per non credere alla notizia del “fatto” Gesù riportataci da qualificati testimoni oculari dell’evento. In realtà lo studioso serio può riscontrare, nella testimonianza degli Apostoli riportata dagli scritti evangelici, numerosissimi motivi di credibilità.

  1Cor 15, 1-22: “Se non esiste resurrezione dei morti, neanche Cristo è risuscitato. Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede [...] e voi siete ancora nei vostri peccati [...] Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini”. Ricordiamo che il termine “resurrezione” (di Cristo) non significa “rianimazione” (tornare in vita), reincarnazione (in nuove vite) o semplicemente sopravvivenza dell’anima (spirito), ma la vittoria definitiva sulla morte e l’ingresso del Suo stesso corpo nella dimensione dell’eternità (extra-spazio/temporale).

  Credere, cristianamente parlando, non significa infatti credere genericamente che Dio esiste, ma credere che Gesù sia l’unico vero Dio, Dio fatto uomo, l’assoluta Verità, il Sommo Bene, l’unica salvezza per l’uomo di ogni tempo, che gli deve allora obbedienza (Gv 3,16: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna”; Rm 1,5: “Per mezzo di Gesù Cristo abbiamo ricevuto la grazia dell’apostolato per ottenere l’obbedienza alla fede da parte di tutte le genti”).

  Come sempre, e qui con un’urgenza del tutto particolare, non dobbiamo farci muovere dalle nostre opinioni (“io penso che”) o dai nostri gusti (“mi va”, “non mi va”), ma dalla ricerca sincera della verità (“è vero o no?”); tanto più che, essendo una questione storica, un avvenimento, se è davvero accaduto è totalmente sciocco continuare a dire che io la penso diversamente. Il senso della nostra vita e il nostro destino eterno (di gioia o di disperazione infinite) dipende comunque dalla verità o meno di quel fatto, cioè se è accaduto o no; e se è accaduto ne devo vivere di conseguenza (sarò giudicato in base a questo).

  La resurrezione di Cristo è sia storica, cioè collocata nello spazio (il Santo Sepolcro a Gerusalemme) e nel tempo (il giorno dopo il sabato solenne della Pasqua ebraica di quell’anno, 30 d.C.?), ma anche meta-storica, in quanto il suo corpo risorto esce dallo spazio-tempo per divenire eterno, cioè contemporaneo a tutti (ogni tempo) e presente ovunque (ogni luogo).

  Il testo parla di bende e sudario (Gv 20, 5-8). Secondo la tradizione quel lenzuolo (“sindone”) è quello conservato nel duomo di Torino, così come il sudario sarebbe quello conservato nel duomo di Oviedo (Spagna) (il sangue di cui sono intrisi entrambi è del gruppo Rh AB-, lo stesso di molti dei 132 “miracoli eucaristici” avvenuti nel mondo). Non entriamo qui ovviamente nel merito degli interessantissimi studi scientifici sulla Sindone: ricordiamo solo che dal 1898 la scienza si occupa del mistero di questa reliquia a tal punto da costituire una nuova disciplina scientifica (“sindonologia”) in cui convergono gli studi di 32 rami della scienza. Proprio il progresso scientifico permette infatti di evidenziare con sempre maggior stupore l’eccezionalità di questo lenzuolo, in cui è rimasta non solo l’impronta anatomicamente esattissima della flagellazione e crocifissione, coincidente coi racconti evangelici, ma perfino quella della resurrezione, essendo quel lenzuolo segnato anche da una rapidissima folgorazione (simile a quella che potrebbero produrre dei raggi “gamma”), così che quel cadavere, che non vi è rimasto più di 48 ore (lo si evince dalle sue condizioni), sembra sparire dall’interno (senza alcuno strappo sul tessuto intriso di sangue come sarebbe se qualcuno lo avesse estratto), lasciandone una sorta di impronta ortogonale quasi fotografica (è un perfetto negativo fotografico).

  I racconti evangelici non sono concordi sui particolari, ma sull’essenziale (Cristo è risorto ed è apparso ai suoi per confermarli della sua resurrezione, quindi divinità, e inviarli nel mondo ad annunciarlo e donare la Sua vita): questo non depone appunto contro la loro veridicità, ma perfino a favore; se infatti fossero artefatti e menzogneri avrebbero prestato più attenzione a crearne la concordanza.

  Cfr. ad es. Lc 24,21: “Speravamo fosse lui...”. Tranne Giovanni e alcune donne (con la Madre), perfino nessuno degli Apostoli era sotto la Croce; lo stesso Pietro aveva tradito Cristo, rapidamente e per tre volte, rinnegando di conoscerlo. Ricordiamo ancora che, a differenza di tutte le filosofie e religioni, il cristianesimo non è infatti una dottrina che possa stare in piedi anche dopo la morte del suo fondatore, perché la fede cristiana verte tutta sul riconoscimento della divinità di Gesù. Se Gesù fosse solo morto, il cristianesimo non sarebbe mai nato, perché non avrebbe avuto alcuna ragione di nascere.

  Dobbiamo anche sapere che il popolo ebraico, pur essendo da secoli in attesa del Messia, si trovava in quel periodo di fronte a numerosi presunti Messia, che riuscivano provvisoriamente ad attirare anche considerevoli folle, ma poi tutto ricadeva presto nel nulla e nella dimenticanza (cfr. At 5,34-39).

  La vittoria definitiva sulla morte da parte di Gesù e la trasformazione eterna del suo stesso corpo (uscito dalle normali condizioni fisiche spazio-temporali) è infatti una notizia che per sé sembra incredibile, come dimostra l’atteggiamento degli uditori di S. Paolo all’Areopago di Atene (cfr. At 17,32).

  Cfr. Mt 16, 9-14; Lc 24, 9-11; Gv 20, 24-29.

  Cfr. At 2,1-41; 3,11-26; 4,8-21.

  Cfr. At 4,19.

  Ci può essere qualche uomo (e nella storia ce ne sono stati molti) che dia la vita per un ideale, credendolo vero, anche se poi effettivamente non lo fosse; ma è assolutamente irragionevole pensare che un uomo dia la vita per un fatto falso sapendo che è falso (e chi lo inventa sa che è falso).

  Le apparizioni del Risorto (quelle pubbliche dei primi tempi e che stanno a fondamento della fede), sono numerose e avvenute in luoghi diversi e a diversi gruppi di persone; oltre a quelle presentate dai vangeli, S. Paolo ne elenca anche altre (cfr. 1Cor 15,1-8). [Esistono poi nella storia di questi 2000 anni numerose altre apparizioni, sia di Gesù che della Madonna, e numerose esperienze mistiche di Lui; ma queste non vengono considerate parte della Rivelazione e come tali, anche quando vengono riconosciute dalla Chiesa (dopo rigorosissimi esami, sia scientifici che teologici), non impegnano nella fede, cioè possono lecitamente essere credute come no].

  Cfr. Gv 20,17. Oggi sappiamo anche dalla nuova fisica (v. la “teoria della relatività” di Einstein) che le normali condizioni fisiche (spazio-temporali) non sono in assoluto le uniche condizioni possibili della materia, visto il rapporto che esiste tra materia e luce e la stessa relatività del tempo (che addirittura sparirebbe se andassimo a 300.000 km/sec.).

  Cfr. Lc 24, 36-40; Gv 20,20.

  Cfr. Lc 24, 13-35; Gv 20,14-16; Gv 21,4.12.

  Cfr. Mt 28,9; Gv 20, 27.

  Cfr. Lc 24, 41-43.

  Cfr. Gv 20, 19.26.

  E’ molto importante che la fede, pur essendo un dono di Dio (per tutti coloro che l’accolgono) e debba nascere come assenso d’amore nel più profondo dell’animo umano, abbia una sua base di esperienza oggettiva. Non è quindi fondata su un sentimento o una sensazione, ma sull’esperienza reale di Gesù risorto fatta dagli Apostoli. Il rimprovero fatto da Gesù risorto a Tommaso, e la conseguente benedizione per tutti coloro che come noi possiamo e dobbiamo credere pur senza aver visto il Risorto (Gv 21,29: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”) non indica affatto che dobbiamo essere dei “creduloni” che credono ad ogni cosa anche senza alcun fondamento di autenticità (sappiamo in questo senso quanto sia prudente e severa la Chiesa nel riconoscere apparizioni, miracoli ed eventi spirituali eccezionali), ma perché Tommaso doveva aver fiducia e credere agli altri Apostoli che avevano visto (l’espressione di Gesù potrebbe quindi essere colta così: “beati quelli che pur non avendo visto crederanno agli Apostoli che hanno visto”). La Chiesa, come comunità di coloro che credono in Cristo, è infatti “apostolica”, cioè fondata sull’esperienza degli Apostoli.

  Fin dai primi secoli la Chiesa ha dovuto difendere decisamente la verità della duplice natura (umana e divina) di Cristo, contro le opposte eresie che lo intendevano semplicemente come un grande uomo o riducevano la sua umanità ad una apparenza [cfr. i Concili di Nicea (325 d.C.), Costantinopoli (381 d.C.), Efeso (431 d.C.) e Calcedonia (451 d.C.)].

  L’espressione “Agnello di Dio”, con cui lo stesso Giovanni Battista presenta Gesù (Gv 1,36) e che ancora oggi viene così indicato dal sacerdote quando lo presenta ai fedeli poco prima di riceverLo e donarlo nell’Eucaristia, richiama tra l’altro sia l’offerta a Dio della primizia (primizia del gregge), come ringraziamento e riconoscimento che tutto è dono suo e gli appartiene, che l’agnello sacrificato (o capro espiatorio), che paga per tutti, prendendo su di sé il peccato. Gesù è dunque il vero Agnello che si offre in sacrificio, per liberarci dal peccato e far salire al Padre il vero ringraziamento (in greco: eucaristia).

  Cfr. Col 1,24.

  Mt 28,20 (fine del Vangelo): “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.

  Cfr. At 4,12. Ogni uomo ha dunque il diritto e dovere di conoscere Cristo, di credere in Lui e di essere unito a Lui attraverso il Battesimo, per essere salvo; ciò comporta quindi anche il dovere della missione da parte di ogni cristiano (cfr. Mc 16,14-16 e ancora Mt 28,18-20). Pur essendoci “salvezza” solo in Cristo, chi non per colpa propria non ha potuto conoscerLo e aderire a Lui, Dio potrebbe salvarlo in via straordinaria - ma sempre per i meriti di Cristo - anche in altro modo, se obbedisce almeno a quella primaria voce di Dio che è la coscienza e la propria religione.

  La religione ebraica, non riconoscendo in Cristo il Messia e l’incarnazione stessa di Dio (credendo la pretesa di Gesù una bestemmia), attendono ancora la venuta del Messia promesso da Dio, anche se riconoscono senza poterselo spiegare che misteriosamente Dio da 2000 anni non parla più. La religione musulmana, nata sei secoli dopo Cristo, non riconoscendo la divinità di Cristo (creduto come semplice profeta) anzi ritenendola impossibile e blasfema, ritiene che Maometto sia il nuovo e definitivo profeta di Dio (non certo Dio egli stesso) e quindi il Corano (la sua parola) la rivelazione piena di Dio.

  Cfr. Gv. 1,18. “Nessuno ha mai visto Dio come Egli è in se stesso. E tuttavia non è per noi totalmente invisibile, non è rimasto per noi semplicemente inaccessibile... Dio si è fatto visibile: in Gesù noi possiamo vedere il Padre” (Benedetto XVI, Lettera Enciclica Deus caritas est, 25.12.2005, n. 17).

  “La vera novità del Vangelo non sta in nuove idee, ma nella persona stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti - un realismo inaudito” (Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 12).

  Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 1.

  Cfr. Gv 14,9.

  Cfr. Simbolo niceno-costantinopolitano (detto il “Credo”), del IV sec.

  Cfr. Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 9.

  “Noi abbiamo creduto all’amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto” (1Gv 4,16).

  Cfr. Gv 15,17.

  Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 17.

  Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 1.

  Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 14.

  Proprio per la logica stessa dell’amore, questo destino non può che essere un appello alla nostra libertà (non si può essere obbligati all’amore), e quindi anche con la tremenda possibilità del nostro rifiuto (dannazione).

  Cfr. Mt 16,18.

 

Fonte: http://www.phos-luce.it/Archivio/Dispensa%201%C2%B0%20Corso.doc

Sito web da visitare: http://www.phos-luce.it

Autore del testo: Prof. Dott. Sac. Antonio Cecchini UNIVERSITA’ CATTOLICA del S.CUORE

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