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facoltà teologica
dell’italia settentrionale
prof. silvano macchi
Metodologia
della ricerca
Appunti
Anno Accademico 2011-2012
Milano
Premessa
Lasciando ovviamente ad altri corsi – penso in particolare al corso di Introduzione alla teologia, ma poi anche a tutte le materie del I anno – lo scopo di iniziare al concetto e alla pratica della teologia nelle sue varie ramificazioni (Filosofia, Bibbia, Lingue bibliche, Patrologia, Liturgia, Storia della chiesa, etc.), il presente corso di “metodologia della ricerca” – o più modestamente, di semplice guida pratica allo studio e alla ricerca, di carattere solo introduttivo, per così dire aperitivo (si tratta di sole otto ore di lezione) – intende predisporre le condizioni ideali per un fruttuoso e non casuale e improvvisato cammino all’interno del curriculum di studi del Ciclo Istituzionale della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale (= FTIS) di Milano .
Vale la pena studiare, ma vale la pena ancora di più studiare bene!
La scelta di proporre questo corso solo dopo qualche settimana dall’inizio delle lezioni (le prime nella FTIS) e prima dell’inizio della prima sessione di esami, intende precisamente aprire uno spazio (anche di confronto) per verificare anzitutto come sta procedendo l’iniziazione alla teologia (fatiche, difficoltà, problemi, suggerimenti, etc.) da parte di chi sta muovendo i primi passi nell’universo teologico, e insieme creare le premesse per una buona preparazione e resa agli esami.
La frequenza al corso per gli iscritti è obbligatoria nella misura del 100%; saranno tollerati – dietro giustificazione –, solo assenze per causa di forza maggiore (malattie e simili).
Il corso non si concluderà con un esame; né avrà un voto espresso in trentesimi. Tutti dovranno consegnare una scheda (un riassunto o una relazione) su un testo loro assegnato . Successivamente si verrà “approvati” o rispettivamente “non approvati” (messo a libretto accademico) a procedere dalla partecipazione personale al corso, dall’attenzione e dalla vivacità con la quale si vorrà interloquire con il docente e con i compagni di corso e dalla valutazione della scheda.
In tal senso il corso ha lo stesso valore di tutti gli altri corsi della FTIS e sarà indispensabile frequentarlo positivamente con lo spirito di chi vuole ascoltare e imparare. La mancata “approvazione” del corso di ‘metodologia’ impedirebbe infatti, da sola – pur in presenza del superamento di tutti gli altri corsi del curriculum di studio –, di non accedere all’esame conclusivo di Baccalaureato.
Il programma del corso
Riporto di seguito quanto appare sull’annuario accademico della FTIS così da cogliere immediatamente, con un solo colpo d’occhio, i contenuti specifici e gli obiettivi del corso. Unitamente ad alcuni strumenti bibliografici (in qualche caso obbligatori) che potranno utilmente integrare, sviluppare e approfondire i diversi capitoli del corso.
METODOLOGIA DELLA RICERCA
Prof. Silvano Macchi
Breve corso introduttorio ECTS 1
Le lezioni sono finalizzate alla preparazione (remota e prossima) degli esami (orali e scritti), della tesi di baccellierato (e virtualmente di licenza e dottorato), ma anche a fornire criteri utili per l’organizzazione e la realizzazione di una qualunque ricerca scientifica (elaborati di seminario, articoli, saggi, etc.).
Sono affrontati e analizzati i seguenti argomenti:
1) lo studio della teologia e le sue articolazioni: note;
2) la lezione: come seguire un corso e prendere appunti;
3) il metodo di studio: studio personale e lavoro di gruppo;
3) la biblioteca: conoscenza e utilizzo;
4) i seminari: scopo e svolgimento;
5) gli esami orali e scritti: come prepararsi; la valutazione;
6) i criteri per la stesura di una ricerca: a) le varie tappe del lavoro; b) la scrittura del testo e le citazione di libri, riviste, miscellanee, etc.; sigle e abbreviazioni; utilizzazione di repertori bibliografici; raccolta e schedatura del materiale.
Il corso si svolge attraverso lezioni frontali, volte ad interloquire con gli alunni sui modi attraverso i quali studiano, ricercano, si preparano agli esami, stendono una ricerca scritta; si effettuano anche esercitazioni orali e scritte circa la metodologia scientifica di un lavoro scritto.
Bibliografia:
R. Lesina (ed.), Il nuovo manuale di stile. edizione 2.0, Zanichelli, Bologna 1994; U. Eco, Come si fa una tesi di laurea, Bompiani, Milano 1998; R. Farina, Metodologia. Avviamento alla tecnica del lavoro scientifico, LAS, Roma 1996; P. Henrici, Guida pratica allo studio, Gregoriana, Roma 1992; G. Lorizio - N. Galantino (ed.), Metodologia teologica. Avviamento allo studio e alla ricerca pluridisciplinari, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1994; J.M. Prellezo - J.M. García, Invito alla ricerca. Metodologia del lavoro scientifico, LAS, Roma 1998; A. Fanton, Metodologia per lo studio della teologia, FTT - Messaggero, Padova 2009; FTIS, Norme grafiche generali per la composizione dei testi, Milano 2007, 20112 (cfr. testo in www.teologiamilano.it).
Qualche considerazione preliminare
Ricordo sempre, all’inizio del corso, un curioso aneddoto di un docente piemontese di ‘metodologia’ che scrive:
Dall’alto del campanile di Coazze, a pochi chilometri da Torino, campeggia ab immemorabili, a caratteri cubitali, la scritta: «Ciascuno a suo modo».
L’estroso pievano (o chi per lui), lungi dal proclamare uno slogan anarcoide, intendeva proporre ai litigiosi parrocchiani uno stile di comportamento che avrebbe loro consentito di veleggiare indenni tra le increspature della vita quotidiana.
Più che l’originale messaggio mi colpì la sua collocazione, accanto cioè a un orologio che è precisa misura del tempo e ne trasmette indistintamente a tutti la severa scansione: tempo eguale e diverso per ciascuno!
Mi pare che l’aneddoto precisi bene l’intendimento di questi appunti di lavoro che vogliono suggerire un approccio metodico allo studio scientifico (universitario, di alto livello ) in generale e a quello teologico in particolare.
Meto-do-logia significa precisamente questo, già dal suo significato etimologico: è il «discorso circa il cammino/la strada/la via» (metà odòn lógos). È il cammino che si percorre per giungere ad un obiettivo, ad una meta (in ipotesi la verità). Più precisamente si tratta di un insieme di tecniche e di procedure (o di indicazioni metodico-pratiche) che si seguono nella ricerca scientifica di una disciplina, che nel nostro caso è quella teologica.
Detto altrimenti: la “metodologia” vuole costituire una sorta di guida alla ricerca scientifica, di vademecum per la ricerca personale, in modo tale che ciascuno non la conduca ‘ a modo proprio’ (tanto più quando si tratta di scrivere un testo quale può essere una relazione per un Seminario, una tesina di baccalaureato o un altro elaborato scritto), in maniera affrettata, improvvisata, a ruota libera, a caso, come viene viene, appunto «senza metodo», senza «ordine», sia estetico che etico !
Questo obiettivo risulta particolarmente importante anche alla luce di queste ulteriori considerazioni.
Il cammino che si inizia con i corsi del Ciclo istituzionale, sono per definizione appunto costituiti da corsi “istituzionali”, cioè da corsi che si fanno una volta in vita. Per quanto un edificio sia architettonicamente complesso e magari anche variabile col tempo, le prime fondamenta sono le uniche; ed è importante che siano solide, capaci di sostenere e di assestarsi. Da qui la necessità di imparare “bene” come mettere delle fondamenta che durino!
Non solo, ma perché queste fondamenta siano messe bene è importante che siano ben affinate ed eventualmente convertite le motivazioni che hanno spinto allo studio della teologia.
Se si è giunti qui in FTIS, magari perché qualcuno ha intrapreso il cammino del sacerdozio, o perché si vuole diventare insegnante di religione o altro, e dunque per questo “debbo” studiare la teologia, non va bene.
Non posso avere motivazioni solo pratiche, strumentali, d’ambiente, che giustificano la mia presenza in FTIS, se nò lavorerò e studierò sempre al minimo, perché “mi tocca” farlo, senza essere seriamente interessato a quanto mi verrà proposto; “lo faccio solo perché lo devo fare per raggiungere un risultato”; se lo spirito fosse questo mi troverò ben presto a selezionare le cose che più mi interessano e altre meno, tralasciando questo e quest’altro. Compiendo così un cammino non proprio esaltante, solo convenzionale e magari anche un po’ pericoloso, sul filo del rasoio.
Iniziare con lo spirito giusto gli studi presso la FTIS vuol dire coltivare l’atteggiamento di chi si appresta ad incominciare una avventura, una bella avventura, un avventura dello Spirito, nientemeno, da cogliere in tutte le sue sfumature, altezze, profondità, pesi e misure.
Uno sguardo generale alla teologia e al curriculum degli studi
1. Se il credere (la fede) è una forma del sapere/una forma della conoscenza umana, più precisamente è quella forma della conoscenza che consente di sapere la verità, di entrare in rapporto con la verità (ovviamente la verità di cui l’uomo vive, e non solo quella di cui si discetta…), si potrebbe definire la teologia come il «discorso», dunque la critica (e l’autocritica se necessario) intorno alla verità o come il «discorso» che vuole conoscere, riflettere e argomentare la verità di cui l’uomo vive. Verità che originariamente e ultimamente è Gesù Cristo: «Io sono la via e la verità e la vita» (Gv 14,6).
«Chi è un professore di teologia?» –si chiedeva il filosofo S. Kierkegaard –: «È uno che è professore di teologia per il fatto che un altro è stato crocifisso!» (connotazione cristologica e antropologica della teologia).
Una verità (Gesù Cristo) a cui non si accede, per così dire, “proceduralisticamente” o in maniera neutra e positiva (non basta essere informati di tutto su Gesù per ‘credergli’), ma attraverso i legami – nel nostro caso intellettuali, ovvero quelli della ‘scientia’ – che nascono tra coloro che credono. Non a caso nel momento del processo ebraico intentato a Gesù dopo il suo arresto, di fronte al sommo sacerdote che lo interroga, Gesù stesso così risponde: «Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco loro sanno che cosa ho detto» (Gv 18,21). Parole che dicono della necessaria (ed efficace) mediazione testimoniale della chiesa, della tradizione, attraverso la cui lunga, laboriosa e anche complessa vicenda giunge la noi, la notizia, il «discorso» su e di Gesù (connotazione comunitaria ed ecclesiale della teologia).
2. Sotto questo profilo c’è una logica complessiva nell’articolato e vasto curriculum degli studi teologici? Perché studiare filosofia (tanta nei primi due anni), a quale titolo? O liturgia o diritto canonico o le discipline storiche o le cosiddette ‘scienze umane’ (peraltro assenti nell’attuale curriculum della FTIS a differenza che negli ISSR)? Non basterebbe soffermarsi sulla Bibbia (corsi di introduzione ed esegesi), sulla storia del dogma cristiano (la teologia sistematica o dogmatica) e dell’etica (la morale) e della spiritualità cristiana (insomma, per dirla con termini medievali, più affectus fidei che intellectus fidei)?
Qualche annotazione al riguardo così da suggerire, soprattutto al principiante degli studi nella FTIS, l’interesse e l’apprezzamento delle molte discipline che compongono la mappa della teologia.
La filosofia, per es., è un'altra forma di conoscenza della verità (o almeno dovrebbe esserlo), un’altra voce che nel passato, come oggi, ha assiduamente indagato la condizione umana, la storia, Dio; e la teologia, fosse solo per questo motivo , non può non tenere conto delle diverse voci della cultura, così come non può non tenere conto del linguaggio con cui parla la cultura ‘alta’, se vuole farsi comprendere.
Lo stesso ragionamento vale per le ‘scienze umane’, le quali, al di là dei loro limiti, sono di grande interesse, in quanto mettono in luce aspetti della realtà umana (psicologia e sociologia soprattutto) precedentemente ignorati e da cui non si dovrebbe prescindere (al di là del fatto che appunto la collocazione delle ‘scienze umane’ nel curricolo teologico resta problema tutt’ora irrisolto). Spetterebbe in tal senso che almeno i corsi di filosofia sviluppino (penso al corso di introduzione alla filosofia contemporanea e al corso di antropologia filosofica) le potenzialità di tali nuove discipline.
La teologia ha poi ovviamente il compito di evidenziare i nessi, di intessere le reciproche relazioni, di sottolineare lo sfondo – storicamente situato – di ciò di cui il credente vive (e muore). Ecco la ragione per cui si cerca di prendere visione della concreta visione della vita di fede della chiesa nel corso del tempo (il tempo dei Padri, la storia ‘in generale’ della chiesa/dei credenti, la storia della teologia, la nascita e l’evolversi di una liturgia e preghiera cristiana e anche di un “diritto” a tutela dei fedeli, la pastorale, la vita cristiana dei singoli, ovvero la spiritualità).
Questo ovviamente comporta la conoscenza approfondita dei diversi fermenti culturali, delle tensioni, delle chiarificazioni, del passato come del presente, e quindi anche la conoscenza della fede vissuta e pensata da tutte le generazioni di credenti che hanno dato origine alla traditio ecclesiae: a partire dalle Scritture ispirate e canoniche (l’anima della teologia, DV 24) fino ai più complessi e, per così dire, “centrali”, trattati di sistematica e morale.
Si tratta dunque di un articolato curriculum di studio volto all’obiettivo di far percepire riflessamente e “organicamente” il tutto del cristianesimo e di predisporre le condizioni per operare una sintesi compiuta al termine del Ciclo istituzionale con l’esame di baccellierato.
Delimitazioni di questo corso di metodologia e precisazioni
Indicate le finalità del corso, è bene chiarire e delimitare il profilo formale e contenutistico di questo corso, peraltro già suggerito dal programma di cui sopra.
Ho usato in precedenza sia l’aggettivo ‘scientifico’ che il sostantivo ‘metodo’ (studio scientifico, metodo scientifico, ricerca scientifica, etc.). Si tratta di due parole importanti, che hanno una lunga e complessa storia. Ovviamente questo corso non intenderà occuparsi del profilo per così dire ‘teorico’ (epistemologico) della metodologia teologica o filosofica o biblica o storica. Anche in questo caso il nostro corso ha un ambizione più modesta.
Sia permesso solo qualche accenno.
Dell’aggettivo “scientifico” oggi certamente si abusa. Soprattutto le forme della comunicazione pubblica abusano di questo aggettivo.
Cosa vuol dire “scientifico”? Nella sensibilità comune “scientifico” è un sapere indubitabile, del quale non si può dubitare.
Ma esiste un sapere indubitabile? Nei tempi moderni il termine è usato per dire di ogni sapere che non consente dubbi: è usato anzitutto per le scienze della natura. Il referente, il punto di riferimento privilegiato per sapere cos’è “scientifico” sono le scienze così dette “dure”, le scienze della natura (la fisica, la chimica, la biologia, la biochimica).
Queste scienze hanno il grandissimo vantaggio di avere sospeso ogni interrogativo a proposito del senso di tutte le cose; le scienze della natura non si occupano dei significati; si occupano dei fatti: di spazio e di tempo, di traiettorie e di accelerazioni, senza farsi tante domande. E proprio questa sobrietà dell’interrogazione garantisce alle scienze “dure” (alle scienze della natura) una progressione, un accumulo di risultati che certo non si conosce nell’ambito delle antiche discipline sapienziali (la filosofia, la teologia).
Sono scienze “astratte”; astratte nel senso di privilegiare un’ottica parziale, pregiudizialmente definita, e non considerare tutto il resto.
Dunque nel caso delle scienze della natura, “scientifico” è l’approccio caratterizzato dal fatto di sospendere le domande relative al senso: tale sospensione consente al sapere di progredire in maniera assai più sicura e in maniera cumulativa.
Nel Novecento poi sono nate le altre scienze, quelle che specialmente nei paesi cattolici si chiamano le “scienze umane” (la psicologia, la sociologia, l’antropologia culturale). L’aggettivo è qui usato per il sapere relativo ai fatti umani (prima delle così dette “scienze umane”, l’approccio, il modello del sapere scientifico era polarizzante per la storiografia; il grande secolo della storiografia è stato l’Ottocento; nel Novecento le “scienze umane”).
Anche l’uomo dunque diventa oggetto di inquisizione, di ricerca scientifica; non soltanto i fatti di natura, ma anche i fatti umani, oggetto di una inquisizione scientifica.
Come detto, le scienze della natura progrediscono perché sospendono la domanda a proposito del significato di tutte le cose; se uno non si chiede perché (cosa vuol dire), il sapere descrittivo diventa molto più sicuro e rapido e cumulativo.
Ora lo si fa’ anche con le scienze umane. Ma si può? È possibile un sapere positivo senza interrogazione a proposito dei significati, per riferimento ai fatti umani? Fatti umani vuol dire fatti per loro natura significativi, portatori di significati (fatti intenzionali). È davvero possibile una “scienza” a proposito dei fatti umani? Una “scienza” percepita a monte rispetto a chi sono io e a ciò di cui io vivo?
Questa è la cosa importante e sottile, ma difficile da chiarire: la teologia (e tutte le altre discipline correlate) parla soltanto se tu entri dentro lo studio della teologia; il sapere teologico è un sapere che chiede di essere compreso come la storia che mi interpreta, che mi dice la verità. Questo è il sapere “scientifico” in senso forte; nell’altro senso si tratta solo di un sapere “scientifico” superficiale, parziale e – ripeto – astratto.
Così per il sostantivo ‘metodo; cos’è il metodo? La cultura moderna ha un po’ il mito del metodo. Non a caso la storia del pensiero moderno è inaugurata dal famosissimo Discorso sul metodo di Cartesio del 1637 (e prima ancora da Galileo [1564-1642], attraverso la riduzione della realtà a puro fatto quantitativo e matematico).
Cartesio in quel testo dichiarava di voler proporre in quelle pagine, ai suoi lettori, soltanto il cammino da lui seguito nella ricerca della verità, con la speranza che potesse servire loro nel tentativo di ciascuno di darsi un proprio personale ed esclusivo metodo di conoscenza.
La ricerca del “metodo” da allora è diventato una delle caratteristiche qualificanti di quel progetto ambizioso di un “sapere critico” che caratterizza molte discipline (la filosofia, la storia, la filologia, la Bibbia, etc.).
Ma appunto: cosa vuol dire in tal senso “conoscenza metodica”? Vuol dire applicare nella propria ricerca un “metodo”, ossia un complesso di regole che dovrebbero garantire per così dire l’infallibilità del proprio sapere (del conoscere).
È possibile un metodo infallibile per la comprensione della verità? È possibile, anche in questo caso, determinare le regole per raggiungere la verità a monte rispetto al cimento personale? Non ha forse la questione del metodo una consistenza puramente mitologica? Non è forse vero che ogni sapere che si occupa del senso di tutte le cose è di necessità “non metodico”; non suscettibile cioè di essere garantito da una procedura formale, che sia definita a monte rispetto al confronto con le cose stesse?
Debbo entrare ‘io’ in quello che andrò via via scoprendo, imparando, analizzando; non esiste un metodo infallibile; così come non esiste un sapere “puro”, “scientifico” di cui posso essere sicuro se io non vi entro.
Anche le indicazioni (di carattere molto pratico e possibilmente agili) che verranno fornite da questo corso non saranno infallibilmente certe e sicure a prescindere dalla passione, dalla tenacia e dal personale coinvolgimento dell’alunno.
Si diranno e si daranno regole per lo studio e la ricerca, ma queste ovviamente non possono sostituire il soggetto!
Lo studio e le sue modalità: la lezione pubblica
Cominciamo da qui. Dalle lezioni e dai requisiti essenziali per “entrare” con profitto nella dinamica del lavoro intellettuale richiesto dalla FTIS.
La FTIS offre anzitutto a tutti gli studenti (del ciclo istituzionale) dei corsi; meglio dei corsi “di base”, “fondamentali” (specie nel primo triennio), necessari per progredire, e corsi di “approfondimento” (nell’ultimo bienno); tutti corsi che vanno frequentati obbligatoriamente (nella misura minima dei 2/3, pena la non possibilità di accedere agli esami; se ci sono problemi di questi tipo, avvertire subito la segreteria dell’impedimento a seguire, e si vedrà se e come provvedere altrimenti; imparare insieme ad usare bene i pc-point con impronta digitale, evitando di fare i furbi…).
Ma perché i corsi sono “obbligatori”? Non basta il libro, la bibliografia per l’esame, le eventuali dispense del docente?
Senza voler fare della retorica, la ragione per la quale la FTIS ha istituito la obbligatorietà della frequenza ai corsi sta nell’accentuato carattere di laboratorio, di artigianato per così dire, che dovrebbe avere l’iniziazione della teologia.
La teologia (la conoscenza) è un vissuto, e non una mera trasmissione di nozioni, informazioni, concetti, etc. Il libro, la dispensa o altro non aiuta a pensare! Il libro non pensa per me e non posso dialogare con un libro. Nel corso invece è presente una persona (il docente) che mi aiuta a capire… Certo alla fine servono e l’uno e l’altro.
Ma poi, come seguire un corso “cattedratico” o “magisteriale”?
La fase iniziale del cammino teologico – presumo – comporta una inevitabile fatica: si tratta di adattarsi ad una situazione nuova e inconsueta che per un verso possiede tutto il fascino della scoperta di mondi nuovi ma che per un altro verso richiede circospezione, determinazione e gradualità.
Dando per scontato che per ogni ricerca intellettuale è indispensabile essere guidati una “passione”, da un desiderio, da una curiosità, da una aspettativa (senza troppo idealizzarla, pena cocenti delusioni), da una domanda (e non da presunzione!), da una simpatia (e questo a maggior ragione per la disciplina teologica); a parte le prescrizioni fisiche (alimentazione, riposo, non arrivare quindi già stanchi o assonnati, respirazione, postura) e ambientali (ordine, silenzio, aerazione, illuminazione, temperatura, un posto in aula che favorisca) – che debbono essere ottimali –, si possono riassumere le caratteristiche per un proficuo lavoro intellettuale nelle seguenti disposizioni:
1) capacità di ascoltare: ossia seguire un corso con attenzione, senza distrarsi (cosa da non confondersi con gli sforzi muscolari); senza perdersi via; ben concentrati e mossi solo dal desiderio di voler ascoltare e capire (e là dove non si capisce, annotare);
2) volontà di dialogare con il docente: ossia entrare in dialogo con quanto viene proposto dal docente (anche quando si è in duecento a seguire un corso); magari anche (se necessario) in garbata e umile ‘contestazione’ o anche solo per chiarire i punti più oscuri dell’esposizione del docente (o dei testi di riferimento); informandosi prima della lezione di quanto verrà poi proposto dal docente durante la lezione; arrivando dunque alla lezione con qualche domanda ‘dentro’, così da fare interventi mirati, ordinati e pertinenti, sia durante la lezione che eventualmente dopo (magari nell’intervallo: senza però assediare e sfinire il docente) oppure nell’orario di ricevimento del docente.
3) capacità di seguire: di seguire, s’intende, il docente là dove egli ti vuole portare con la sua spiegazione; concentrando in particolare l’attenzione verso tutto ciò che è nuovo e magari inaspettato e spiazzante;
4) capacità di scrivere: ossia di prendere appunti personalmente – anche là dove c’è una dispensa o un testo di riferimento – in modo da conservare i frutti della propria attenzione e ritornarci sopra successivamente. Se poi il docente dovesse seguire (o deprecabilmente, leggere) un testo quasi letteralmente, annotando il testo .
In ogni caso prendendo appunti (che è un arte difficile e che non si impara dall’oggi al domani) coerenti con lo svolgersi del discorso: non bisogna scrivere tutto quello che il docente dice (per essere sicuri di non perdere neanche una virgola!) né all’opposto non prendere alcun appunto (fidandosi troppo di sé e della propria memoria), ma imparare a scrivere mano a mano con parole proprie (magari utilizzando anche codici e abbreviazioni ) quello che si capisce (!) dalla lezione che sta svolgendo il docente; in particolare trascrivendo organicamente i passaggi fondamentali, le suddivisioni del discorso e gli eventuali rimandi ai testi, da ritrovare successivamente.
Sotto questo profilo è scarsamente produttivo ricopiare o rifarsi ad appunti altrui, che riflettono sempre un punto di vista diverso dal proprio. Così come improduttivo sarebbe rimandare la rilettura degli appunti immediatamente prima degli esami. L’ideale sarebbe rileggere e riorganizzare (tralasciando il superfluo) gli appunti presi giorno per giorno e il più presto possibile (“a caldo”), nelle ore dedicate allo studio personale.
Segnalo inoltre che non pare di grande utilità il registrare le lezioni (al di là del fatto che bisogna sempre chiedere il permesso al docente e a meno che non si voglia ascoltare una lezione che si è persa). In generale, non se ne vede proprio la ragione… l’utilità… si perde solo del tempo (si raddoppiano i tempi)… e non ci si concentra come si deve durante la lezione, incentivando un ascolto passivo (delegando al registratore l’attenzione). Molto meglio utilizzare il tempo per leggere, dopo la lezione, gli appunti o il testo/dispense.
Lo studio e le sue modalità: lo studio privato
Come si assimila, si personalizza, ci si appropria personalmente dell’insegnamento di un corso magisteriale? Lo studio infatti è principalmente il momento dell’assimilazione personale.
Anche in queste caso, diamo poche ma essenziali regole, concentrandoci sullo studio privato (lasceremo quindi sullo sfondo la possibilità di studiare insieme, in gruppi spontanei di lavoro, qualora questo dovesse “facilitare” il processo di apprendimento: comunque, non meno di due e non più di sei).
1) Anzitutto, se vale un esempio alimentare, non basta aver mangiato per nutrirsi (si potrebbe anche star male per il troppo mangiare, fare indigestione), bisogna anche digerire, assimilare, rielaborare creativamente e responsabilmente, appropriandosi in modo personale di tutto quanto si è ascoltato e messo per iscritto.
2) È importante in questa direzione essenzializzare quanto ricevuto: non si deve afferrare tutto, ricordare tutto (ci sono infatti concetti essenziali e importanti e particolari secondari); bisogna imparare una capacità di sintesi…
3) Imparare progressivamente la padronanza dei termini: si tratta di una delle prime difficoltà per chi si avventura per la prima volta nello studio filosofico-teologico. Per questo è utile appuntare sempre la nuova terminologia (magari in un quaderno-rubrica a mo’ di glossario) e a poco a poco elaborare una lingua e un lessico che, senza essere gergale e criptico (barbaro!), possa essere usato correntemente e correttamente.
4) Fare degli esercizi per riesprimere, ripensare e appropriarsi quanto studiato; sia a voce che per iscritto; non basta leggere e rileggere (si dimentica facilmente tutto o quasi); occorre uno sforzo attento di rielaborazione e di confronto critico, magari traducendo il tutto, con parole proprie e col proprio modo di pensare, in uno schema, o in un riassunto della/e lezione/i (ottimo metodo di studio, indubbiamente molto utile per cominciare a formare in sé la capacità di sintesi concettuale) che sia logico, fondato e intelligibile.
Compilare degli schemi è una delle attività più importanti per l’assimilazione dei contenuti di un testo/dispensa. Uno schema ben fatto permette infatti di “fotografare” i concetti principali, di metterli in rapporto e di facilitare così la memoria a immagazzinare il tutto.
5) leggere attivamente e creativamente altre opere (specie le fonti primarie e i classici di cui si occupa il corso, e che sono sorgente di grandi soddisfazioni intellettuali e che in certo senso restano indimenticabili), recensioni, articoli, quotidiani, così da entrare in contatto con le fonti primarie o derivate dello studio e approfondire le proprie conoscenze; in tal senso sarà molto utile sia farsi consigliare dal docente che andare in biblioteca (vedi più avanti), sfogliare le riviste e i libri nuovi che arrivano; come può essere utile cominciare a costituire un proprio archivio personale (cfr. più avanti), così da conservare quanto letto e studiato.
Un discorso a parte meriterebbe lo studio “a gruppi” o “insieme” (in ogni caso non siano più di sei) volto a condividere (specie con chi fa’ più fatica), a suddividere e a controllare la qualità dello studio. Studio che, in ogni caso, non può e deve sostituire quello privato.
Lo studio e le sue modalità: i Seminari
All’interno delle lezioni e dello studio meritano un accenno particolare i seminari, ossia i corsi svolti in forma seminariale su alcune tematiche particolari della filosofia o della teologia.
Si tratta di corsi diretti, guidati e coordinati da un docente, con un programma fisso concentrato su tema o un libro o un autore, composto da più partecipanti (che non debbono meno di 4-5 e non più di 12-15).
A differenza dei corsi magisteriali, i seminari hanno il preciso obiettivo di avviare, iniziare alla ricerca scientifica, mediante un coinvolgimento più diretto e critico (magari anche creativo e propositivo) degli studenti nel lavoro-filosofico e teologico o più semplicemente di affinare la propria metodologia di studio (come nel caso dei seminari del Ciclo istituzionale, che non sono propriamente dei seminari di ricerca) .
Fondamentale nei Seminari è la presenza di tutti a tutte le riunioni.
Essi normalmente si svolgono nella seguente maniera:
a) il docente suggerisce e introduce nelle prime ore del seminario la tematica di cui ci si occuperà, indicando la bibliografia di riferimento e suggerendo le possibili piste entro cui inserire il lavoro degli studenti;
b) nelle ore successive del seminario, sono i partecipanti al seminario che espongono (oralmente), in tempi proporzionalmente brevi, con una relazione (preparata con cura) i risultati della ricerca loro assegnata dal docente; può essere utile che ciascun alunno-relatore fornisca prima dell’esposizione orale ai colleghi almeno lo schema del proprio intervento, così che questi lo possano seguire più facilmente.
c) l’esposizione orale è normalmente seguita dalla discussione fra i partecipanti al seminario, dando dunque tempo all’ascolto di eventuali osservazioni dei colleghi e del docente. Può essere steso, utilmente, volta per volta, anche un verbale delle discussioni.
d) le conclusioni del docente al termine del seminario, volta comporre insieme le tessere del mosaico che è stato via via composto dai partecipanti.
d) i partecipanti al seminario sono tenuti infine a raccogliere in un testo scritto (la lunghezza di tale prova si attesta sulle 6-10 pagine, esclusa la bibliografia: cfr. più avanti le norme per redigere un testo scritto) il frutto della loro ricerca, della loro esposizione orale e della discussione che ne è seguita; il testo verrà consegnato poi al docente il quale valuterà complessivamente l’impegno, la partecipazione e il valore della relazione (orale e scritta) dei partecipanti con un voto espresso in trentesimi.
Le fonti: la biblioteca e l’archivio personale
Dopo aver ascoltato il docente, seguito il corso con attenzione, si tratta di accedere e avvicinarsi direttamente ai dati offerti nel corso delle lezioni.
È il tema del ricorso e dell’accesso diretto alle fonti di ciò che si sta via via conoscendo e approfondendo: fonti della Scrittura, del Magistero, della tradizione cristiana (depositum fidei) che sono le tre fonti principali per la teologia; ma anche fonti della Filosofia, etc.
Luogo deputato al reperimento delle fonti è anzitutto la Biblioteca della propria (e/o di altre) università.
a) La Biblioteca
È ovviamente importante conoscere la Biblioteca centrale dell’università, poiché essa rappresenta il sussidio principale da utilizzare nel proprio lavoro di studio e di ricerca. Più la si conosce, prendendo dimestichezza con essa, e meglio la si utilizza.
La biblioteca è composta sostanzialmente da libri e pubblicazioni periodiche (riviste e giornali); può raccogliere anche altri documenti non bibliografici (microfilm, etc.).
L’insieme dei materiali raccolti in una biblioteca a disposizione dei lettori si chiama fondo bibliografico, reperibile attraverso lo “schedario” sia cartaceo che elettronico (on-line).
La raccolta delle pubblicazioni periodiche (riviste e giornali) riceve invece comunemente il nome di emeroteca.
Di solito le Biblioteche, come quella della FTIS, dispongono infine di una sala di lettura o di consultazione, dove gli alunni oltre a poter studiare indisturbati, possono trovare i testi (fondamentali) a cui accedere direttamente.
b) L’archivio personale
Le fonti di studio e di ricerca andrebbero raccolte e schedate, specie in vista della ricerca personale (tesi, saggi, etc.).
Come raccogliere le fonti? È appunto il tema dell’archivio personale di cui ogni studente che inizia il cammino universitario si dovrebbe via via dotare.
L’archivio personale può essere costituito sia:
- in forma cartacea (utilizzando schede in cartoncino, 7,5x10cm, in formato uniforme);
- che in forma elettronica, attraverso appositi programmi di archiviazione elettronica.
Sia nell’uno, come nell’altro caso, è importante distinguere due possibili forme di archiviazione:
- le schede bibliografiche: esse raccolgono il patrimonio bibliografico posseduto personalmente o consultato in biblioteca o in cui si è imbattuti leggendo una recensione, scorrendo l’indice di una rivista, etc. Tali schede normalmente procedono in ordine alfabetico, in base al nome degli autori o dei curatori del libro o della rivista (Angelini G.; Barth K., Balthasar von H.U., etc.).
Esempio (per un libro):
Teo-logia. La parola di Dio nelle parole dell’uomo.
Epistemologia e metodologia teologica
(Sapientia christiana, 2)
Pontificia Università Lateranense - Mursia
Roma 1997, pp. 285
Esempio (per un articolo di rivista o di Dizionario):
Uomo, verità, cultura
«Teologia» 35 (2010) 447-477.
- le schede di contenuto: anch’esse raccolgono il patrimonio bibliografico posseduto o consultato, ma a procedere, in ordine alfabetico, dal titolo della fonte o dell’argomento (Fenomenologia, cristologica, teologia della scrittura, Dio, etc.).
A loro volta le schede di contenuto si suddividono in:
a) schede di citazione.
Es:
«Occorre […] ridisegnare il problema della fede in un ottica cristologica: che non significa soltanto l’ovvia concentrazione della fede cristiana “su” Gesù Cristo […], ma più radicalmente, la considerazione della centralità della fede “di” Gesù, riconoscendo a questa espressione il suo senso anche soggettivo» (p. 95).
b) e schede di riflessione.
In queste schede si possono annotare brevi riassunti di un libro/articolo, avendo cura di indicare sempre il rimando esatto. Ci si può limitare a poche parole (quando si ha a disposizione facilmente il testo) oppure si può fare un riassunto più accurato.
Per la ricerca bibliografica: altri strumenti
Se la Biblioteca della FTIS e il proprio archivio personale rimangono strumenti essenziali per la propria ricerca scientifica di autori, volumi, saggi, etc., nondimeno l’era internet mette a disposizione altri validi aiuti per la ricerca.
Tali aiuti sono assolutamente fondamentali specie nella fase preparatoria alla stesura di un elaborato scritto in teologia, segnatamente per il baccellierato o la licenza o il dottorato. Prima di intraprendere un qualsiasi sforzo di studio è infatti necessario informarsi su quanto è scritto sul tema prescelto, raccogliendo tutte le informazioni del caso (ovviamente sempre sotto la guida esperta del docente che aiuterà a selezionare e a vagliare).
Segnaliamo tra le possibili fonti di informazione e di ricerca i seguenti strumenti:
- Il catalogo della Biblioteca dell’Università Cattolica consultabile attualmente in www.millenium.unicatt.it.
- Il sito della Pontificia Università Gregoriana (www.unigre.it) con preziosi links per l’accesso ad altre importanti biblioteche ecclesiastiche romane.
- Il sito della fantastica Libreria del Congresso di Washington (www.lcweb.loc.gov): la più grande del mondo.
Ci sono poi siti dedicati a singoli argomenti: filosofia, bibbia, etc. che possono essere facilmente reperiti nella rete.
Sotto il profilo cartaceo l’«Ephemerides Theologicae Lovanienses». Elenchus bibliograficus pubblicato dalla Katholieke Universiteit (Leuven), mette a disposizione anno per anno dei volumi utilissimi che raccolgono tutto quanto viene pubblicato nel mondo nell’area della teologia.
Gli esami: come prepararsi?
Gli esami sono (normalmente) fonte di panico, ansia, notti insonne, fobie e patologie varie.
Cominciamo a dire questo. Gli esami sono un bene o un male necessario? Indipendentemente dalla risposta che ciascuno può dare, essi in ogni caso non sono lo scopo dello studio: lo studio non è finalizzato agli esami ma alla conoscenza ! E allora perché farli?
Perché si tratta di verifiche parziali (e anche artificiali) di ciò che è stato assimilato e capito; verifiche che oggettivano lo studio compiuto (correggendo eventuali difetti o lacune) e anche il modo con cui lo si esprime con parole proprie (capacità espressiva sia orale che scritta).
Dal punto di vista della loro preparazione si è soliti distinguere tra una preparazione remota e una preparazione prossima.
1) La preparazione remota coincide sostanzialmente con lo studio privato e regolare (quando i contenuti trasmessi sono ancora “freschi”) lungo tutto il semestre o l’anno del corso, comprensivo dei propri appunti, della composizione di schemi e riassunti via via raccolti, come anche degli approfondimenti personali (senza limitarsi quindi al minimo: a “ciò che va portato all’esame”).
Se c’è stata questa preparazione remota agli esami basterà poco, talvolta pochissimo tempo, per prepararsi all’esame.
Se non c’è una preparazione remota all’esame, se non ci si è applicati con costanza, con calma e con continuità durante lo svolgimento del corso, si rischia di imparare (magari a memoria) tutto d’un fiato i contenuti di un corso, che poi subito verranno dimenticati; si rischia pertanto di studiare inutilmente.
Dunque non aspettare le ultime settimane o gli ultimi giorni prima dell’esame per prepararsi.
2) Quanto alla preparazione prossima all’esame, oltre ad avere la testa libera e riposata – senza passare notti in bianco a studiare forsennatamente; una giornata di relax vale più di tre giornate passate a “ripetere” affannosamente –, bisogna distinguere tra esame ed esame: ci sono esami (corsi) più “impegnativi”, oggettivamente, o in ogni caso più vasti e altri meno: un conto è fare un esame di filosofia o di teologia o di Bibbia, altro conto è l’esame di liturgia o di storia della chiesa, etc.
Ma soprattutto lo sforzo maggiore dovrà essere messo nel ripercorrere tutta la materia del corso in poco tempo, cercando di padroneggiare consapevolmente gli argomenti.
Bisogna poi distinguere le due modalità d’esame: quello orale e quello scritto.
1) L’esame orale: è certo l’esame più competitivo (si è in due); è una sorta di gara o meglio di comunicazione della propria intelligenza e del proprio pensiero (più che della propria memoria, che è importante ma che non va sopravvalutata) e dunque momento nel quale riflettere e pensare/riflettere bene alle domande che vengono fatte e alle risposte che sono date (ancora: primato del pensiero, e non della memoria). È inoltre un esame nel quale intervengono diversi motivi di discrezionalità: la personalità dello studente; che linguaggio usa; quale il modo di esporre ; come si padroneggia una situazione difficile o imprevista (una domanda che non si capisce; un vuoto di memoria; una lacuna nella preparazione…).
Importante per il buon esito di un esame orale è certo un buon inizio del dialogo, superando l’eventuale primo minuto di “panico” o “blocco”. Come è importante essere preparati ad una eventuale domanda libera (“su quale punto vuoi essere esaminato?”)..
Quando però non si sa rispondere ad una domanda del docente è meglio dirlo chiaramente e subito, evitando divagazioni, esposizioni a vuoto o parlando d’altro o altri escamotage un poco infantili. Pregando il docente che passi ad altra domanda.
2) L’esame scritto: può essere in forma di quiz o di domande brevi; in tal caso, dopo aver riletto bene le domande o i quesiti, dare risposte concise, brevi, precise.
Può essere anche in forma di un tema da svolgere, secondo un tempo più lungo e disteso; in questo senso si consiglia di pensare sempre alla domanda con calma, rileggendola bene, compilando poi una possibile schema o piano della risposta (introduzione, svolgimento e conclusione) da articolare per iscritto; per poi passare al componimento dello scritto (utilizzando un’impaginazione gradevole e una calligrafia che sia leggibile!).
Un’ultima cosa: sia nel caso dell’esame orale o dello scritto, mantenere sempre un certo fair-play (bisogna anche saper perdere!), uno spirito sportivo (non passare un esame non è un dramma), una imparzialità di giudizio, oltre ovviamente ad essere leali e corretti (specie nell’esame scritto che è sempre a rischio di copiature!).
Un esame non è un giudizio sulla vita o sulla intelligenza o sulla propria persona! Ma è – lo ripeto – la valutazione di quei soli 15-20 minuti di durate dell’esame (orale). Anche ad un buon studente può capitare di fare un cattivo esame, né basta fare buoni esami per essere un buon studente.
Infine, rifiutare il voto e rifare l’esame? Beh, dipende…
La ricerca scritta (elaborati di seminario, tesi, saggi)
Rimangono, da ultimo, alcuni accenni su come stendere un elaborato scritto (i criteri da seguire, le attenzioni da avere, i passi da compiere) in maniera metodologicamente corretta e su come documentare le proprie fonti all’interno dell’elaborato (citazioni, note, bibliografia, indici, abbreviazioni).
Rimando per questo al fascicolo qui allegato (pubblicato anche on-line sul sito della FTIS) dove si danno le nozioni di base sia di tipo “genetico” che di tipo grafico su come nasce, si sviluppa e si consegna un testo scritto.
A tale allegato rimando per una lettura personale, attenta e puntuale, specie in occasione dell’elaborazione di un testo per un Seminario, o in vista della stesura della tesi di Baccellierato (e in ipotesi anche di Licenza e di Dottorato), pregando gli studenti di seguirla e rispettarla nel corso del loro lavoro di ricerca.
Qui mi limito ad osservare solo questi due aspetti.
Nel caso dell’elaborato scritto, la prima difficoltà che si presenta è precisamente che si tratta di uno scritto. E lo scritto, si sa, a differenza dell’orale (dove si è più abili , disinvolti e dove c’è sempre il docente che guida) ha le sue esigenze di linearità, di logicità, di chiarezza espositiva, e non ultimo di correttezza grammaticale, etc. Non basta il talento personale…
Si tratta poi, ed è una seconda difficoltà, di uno scritto che ha per oggetto non una poesia, o una ricetta, o una preghiera o un pensiero spirituale, ma la teologia nel suo complesso che ha le sue regole, la sua metodologia appunto, il suo linguaggio. Che vanno imparate al meglio!
Appendice
(Baccellierato, Licenza, Dottorato, Diploma in Spiritualità
e saggi in generale)
Per lo studente che si appresta a frequentare la «teologia» suggeriamo tre brevi sussidi di facile reperibilità e di grande utilità. A cominciare da G. Colombo, Professione «teologo», Glossa, Milano 1996; si tratta di un volumetto espressamente scritto e dedicato agli alunni della FTSI per introdurli al compito della teologia tra fede, chiesa e storia; di più impegnativa ma stupefacente bellezza il testo di K. Barth, Introduzione alla teologia evangelica, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1990 (or. 1962), sul compito e sull’impegno che il teologo (non necessariamente di professione) è chiamato a dare. Ancora valido infine il breve saggio (circa 20pp) di taglio “spirituale” su: «Teologia, vita intellettuale e perfezione evangelica» presente nel volume di R. Voillaume, Come loro nel cuore delle masse, San Paolo, Cinisello Balsamo 1999 (or. 1955). Tre ottime guide tanto per cominciare…
Si tratta del testo di J. Ratzinger - Benedetto XVI, Che cosa è teologia?, in Scuola di Teologia del Seminario di Bergamo (ed.), Teologia e filosofia. Modelli Figure Questioni. Fs. A. Bertuletti, Glossa, Milano 2008, 3-10.
V. Ferrua, Manuale di metodologia. Guida pratica allo studio, alla ricerca, alla tesi di laurea, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1991, 9.
Uno studio che ovviamente differisce notevolmente da quello di una scuola media superiore che è caratterizzato da continui compiti e interrogazioni e da uno stretto dialogo tra docenti e alunni; nell’Università si procede invece con corsi cosiddetti “cattedratici”, con seminari, etc., che sotto l’apparenza di lasciare l’alunno più libero e recettivo, in effetti richiedono un maggiore e più personale e responsabile sforzo di assimilazione che ha come sbocco ultimo la verifica d’esame (orale o scritto).
Scrive S. Cucchetti, docente di metodologia della Sezione Parallela del Seminario Arcivescovile di Milano, nel suo Appunti di metodologia (di prossima pubblicazione): «[…] la precisione e la fatica dello studio personale [deve] trovare manifestazione anche nella precisione formale di un testo scritto, dagli aspetti più sintattico-grammaticale a quelli più estetici. La cura di questi particolari è forma mentis che dice un pensiero rispettoso degli interlocutori, il desiderio di un dialogo sincero e la disponibilità al confronto e alla critica».
K. Barth, Introduzione alla teologia evangelica, 190.
Lasciamo qui impreterito il complesso problema epistemologico del rapporto filosofia-teologia, di cui si dà conto oltreché nei corsi di filosofia, anche in quello, o forse soprattutto in quello, di “teologia fondamentale” e nei corsi di “teologia sistematica”. Come anche il tema dell’ispirazione che la filosofia ha esercitato nella formulazione del dato o del dogma cristiano, ispirandone appunto le categorie riflessive (platonismo, aristotelismo, tomismo, etc.).
È importante imparare anche qualche tecnica di lettura/studio «attiva».
Bisogna anzitutto leggere bene il testo e comprenderlo. Poi, per riferimento a cosa sottolineare: non si deve sottolineare troppo o tutto un testo/una dispensa/i propri appunti (e nemmeno sottolineare nulla): la sottolineatura deve essere intelligente; si devono perciò evidenziare i contenuti essenziali, le espressioni più importanti del testo, le parole-chiave, così da facilitare la percezione visiva di quanto deve emergere in primo piano, oltreché facilitare la memorizzazione.
Quanto al come sottolineare: la sottolineatura deve essere ovviamente chiara (tracciare una linea con matita o evidenziare a colori). Si consiglia poi di sfruttare anche i margini esterni delle pagine per indicare parole di sintesi sull’argomento letto (premessa, affermazione, tesi, etc.). Ci sono poi segni convenzionali che si possono utilmente mettere ai margini delle pagine, quali:
ǁ affermazione molto importante;
| affermazione significativa;
→ affermazione veramente centrale;
! affermazione decisiva o di effetto,
? affermazione discutibile oppure oscura;
↔ p. 28 sembra in contraddizione con quanto si asserisce a p. 28.
Per es.: T= teologia; F= filosofia; Xto= Cristo; Xa= chiesa; xni= cristiani; etc.
Per imparare a fare bene i riassunti con parole proprie sono essenziali questi passaggi: 1) chiedersi di cosa sta parlando un testo (qual è l’idea generale); 2) tracciare le parti (due-tre, etc.) da cui è composto un testo, evidenziandole con tre idee essenziali per ciascuna parte.
Tra gli strumenti cui può essere utile abbonarsi fin dall’inizio del cammino teologico, consiglio, tra le riviste, le seguenti: 1) «Teologia» (anche se è un po’ troppo specialistica per il principiante); 2) «Il Regno - Documenti» e «Il Regno - Attualità» (molto utile per l’aggiornamento); 3) «Rassegna di Teologia»; 4) «La Scuola Cattolica»; 5) «La Civiltà Cattolica»; 6) «Concilium».
I seminari – scrive Henrici – nascono dai dipartimenti di Storia e Filologia delle Università tedesche dell’800, precisamente per iniziare gli alunni ai metodi della ricerca e della critica filologico-storica; si trasferirono poi anche nei campi della filosofia e della teologia (P. Henrici, Guida pratica allo studio, 19).
Le fonti (o documenti) si distinguono in fonti primarie o originarie (fonti “di….”) e fonti secondarie o derivate (fonti “su”…); per es. in campo biblico fonte primaria può essere il libro dell’Esodo (magari in lingua originale); fonte secondaria è un commentario al libro dell’Esodo; ancora, nel campo della tradizione, fonte primarie sono le Confessioni di Agostino, mentre fonti secondarie sono i commenti o gli studi a margine delle Confessioni. Nel campo del magistero, fonte primarie sono, per es., i testi del concilio Vaticano II o un enciclica di un papa, mentre fonti secondarie sono i commenti e gli studi relativi. E così via.
Seneca, Vitae, non examini discimus («Non per la scuola, ma per la vita si impara»). È la pratica della vita la verifica della teoria degli studi.
Evitare il più possibile inutili interiezioni e appendici impertinenti (tipo: ‘cioè’.., ‘niente…’, ‘sì, allora si potrebbe dire che’, ‘su questo aspetto la mia opinione è che…’) o un intercalare improprio (tipo: ‘dunque’, ‘vero’, ‘vede’, ‘no’, ‘mi consenta di aggiungere’).
Fonte: http://teologiamilano.it/ppd_teologiamilano/18/materiale/corsodimetodologia.docx
Sito web da visitare: http://teologiamilano.it/
Autore del testo: indicato nel documento di origine
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