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Siamo lieti di presentare questa prima stesura delle dispense di speleologia.
Si tratta di un compendio delle tecniche generali necessarie per incominciare a "mettere il naso" in grotta in piena sicurezza e coscienti di quello che si deve fare affinché questa esperienza si riveli solo ed esclusivamente un'immensa soddisfazione e non un'inutile tragedia.
Sicuramente saranno contenuti errori od incompletezze; ce ne scusiamo anticipatamente e saremo ben lieti di poter rimediare anche grazie al Vostro contributo di lettori.
Il nostro gruppo è cresciuto moltissimo dalla sua nascita ed ancora lo sta facendo: i progetti che abbiamo "in cantiere" sono numerosissimi, e speriamo sempre di portarli avanti nel modo migliore possibile.
La speranza più viva è che, anche con queste dispense, sempre più persone si possano avvicinare al magnifico mondo della speleologia per poter ammirare le incredibili meraviglie che la natura ci regala.
Sito del gruppo speleo CAI Siena http://digilander.iol.it/speleologisenese
Concludendo queste note di introduzione vogliamo riportare alcuni passi di un articolo sul mondo della speleologia scritto dallo speleologo Carlo Cavanna. (attuale presidente della Società naturalistica speleologica Grossetana che ringraziamo per averci aiutato molto nella crescita del gruppo e nella nostra formazione di speleologi)
"SPELEOLOGIA: NON PER GIOCO
Un titolo per evidenziare la grande differenza che distingue l’attività speleologica da molti sport che spesso vengono accomunati alla speleologia.
Molti uomini di cultura......, poco documentati per non dire ignoranti in materia, parlano degli speleologi come di "scavezzacolli” con scarso senso di responsabilità e li confondono facilmente con sport come la boxe, il ciclismo, il motociclismo, il paracadutismo, il volo a vela o con sport più estremi come il bungee, il free climbing e lo stesso alpinismo.
Beh, sono tutti veri sport in cui ci si cimenta con il fisico e con la mente per concludere una impresa prestabilita e spesso in competizione con altri.
La Speleologia utilizza invece delle attrezzature sportive solo come mezzo per raggiungere un ambiente sotterraneo dove inizia la vera attività squisitamente scientifica: il rilievo topografico a cui seguono le procedure per l’accatastamento, la raccolta di dati sulle temperature e umidità che richiedono visite cadenzate nel tempo, gli studi nei campi della geologia, della mineralogia, dell’idrologia, della biologia, della paleontologia e dell’archeologia che necessitano di contatti con le Università e con le Soprintendenze. Negli altri sport è veramente raro vedere l’atleta passare ore al computer per elaborare una osservazione effettuata durante una escursione.
Perciò non una attività ludico - sportiva ma una raccolta di dati scientifici che vengono ad arricchire le conoscenze sul territorio portando a volte contributi concreti alle popolazioni, come nei casi di dissesti idrogeologici, di ricerche idriche o di importanti scoperte archeologiche.
Gioca a sfavore della speleologia il fatto che viene svolta quasi esclusivamente da volontari che, non costando nulla, si pensa che non possano produrre nulla. Se ne avverte la presenza solo in caso di denuncie per scempi ambientali, per distruzione di sorgenti carsiche o per lesioni al patrimonio archeologico e paleontologico.
La stampa però parla più volentieri di speleologi quando qualcuno resta isolato per 5 ore in un abisso delle Apuane o qualcuno si ferisce in una grotta dei Pirenei. Immediatamente reti televisive e organi di stampa di tutta Europa, come avvoltoi, sono pronte a documentare l’incidente e involontariamente evidenziano la rarità ditali eventi. Certo che una comunissima frattura nel campo di calcio dietro la chiesa non può fare notizia mentre una squadra di soccorso al lavoro in una grotta fa nascere lo scoop.
Per concludere è utile ribadire che la speleologia è una scienza che studia gli ambienti sotterranei e non va confusa con un volgare sport che scorrazza gli atleti in fondo ad un pozzo di 100 metri solo per fargli provare il brivido del rischio.
............"
La prima e forse la più importante raccomandazione che si deve fare ad una persona che si accinge a scoprire il mondo della speleologia è senz'altro quella sul "COME" andare in grotta. Con la parola "come" si fa riferimento non alla necessità di acquistare tutto il completino da grotta con gli attrezzi più costosi o la tutina più colorata... ma a quella serie di regole e comportamenti che VANNO rispettati fin da alcune ore prima di arrivare all'ingresso stesso. Infatti, anche se a prima vista può sembrare strano, uno speleologo espertissimo di materiali e tecniche ma che non conosce attentamente queste brevi ed importanti regole, è in costante pericolo DI VITA quando va in grotta (E non è uno scherzo!)
Perciò è stato inserito questo capitolo PER PRIMO nelle dispense, con la speranza che sia letto e studiato attentamente da tutti coloro che amano le bellezze della natura e che soprattutto amano la vita propria e dei compagni di escursione!
I motivi principali per cui queste regole (basilari per qualsiasi altro sport) sono fondamentali e obbligatorie per chi va in grotta sono:
1) In grotta il soccorso è un'operazione estremamente difficile e lunga. Possono essere necessarie delle ore per superare pochi metri con un infortunato. Quindi il rischio incidenti va RIDOTTO il più possibile a zero!
2) In caso di errori cosiddetti "di disattenzione" si rischia facilmente LA VITA. Infatti spesso in grotta si lavora appesi come mele alle corde ed il rischio di fare la fine di quella..... di Newton è altissimo se non si rimane attenti, pronti e coscienti.
3) La vita è una sola ragazzi! E ditemi se non è un motivo valido questo.
Passiamo ora ad elencare le NORME (e dunque non consigli) da rispettare!
Imparatele bene e consideratele una specie di "Comandamenti" per lo Speleologo.
1) CONTROLLARE IL RESPIRO. Per muoversi in grotta (e muoversi vuol dire camminare, salire e scendere sulla corda, strisciare in un meandro maledettamente stretto) bisogna SEMPRE rispettare una regolina semplice semplice ma utilissima.... CONTROLLARE COME E' IL NOSTRO RESPIRO. Infatti NON bisogna mai, per nessun motivo, arrivare ad essere affannati perché si perdono forze, attenzione, e concentrazione quando invece sono indispensabili per godersi la grotta in pace e soprattutto per riportare fuori la pelle!
Arrivare all'affanno può causare:
- Sudorazione eccessiva (Che al momento del rilassamento si trasforma in una cappa freddissima a contatto del nostro corpo. (L' ipotermia è una delle cause più frequenti di incidenti in grotta)
- Perdita di attenzione dovuta al fatto che si sta compiendo uno sforzo fisico notevole! Ed in questa situazione si sbagliano facilmente le manovre su corda con la spiacevole conseguenza che... si cade giù!
- L'affanno e la disattenzione spesso portano lo speleologo ad "intrigarsi" in quelle che sono le manovre su corda oppure ad incastrarsi nei meandri... quindi si provocano dei rallentamenti enormi che sono costretti a subire tutti i componenti del gruppo.
Quindi ricapitolando: IN GROTTA EVITARE L'AFFANNO CONTROLLANDO OGNI MOMENTO IL RESPIRO (Fatti un corso di Yoga e poi vieni con noi in grotta) e vedrete che il meandro affrontato con calma stoica diventa più largo ed il pozzo meno profondo quando si risale. Credetemi; ho sperimentato personalmente che è estremamente più rilassante e appagante salire un pozzo o superare una strettoia maledetta se dentro di me sono vigile sul ritmo del respiro e se mi impongo di rimanere calmo.
Andare in grotta significa vivere alcune ore in un ambiente non consono alle nostre caratteristiche di mammiferi, ma se questa permanenza viene vissuta con prudenza, rilassamento e voglia di assaporare le bellezze che ci sono regalate.... diventa davvero un'esperienza appagante e da ripetere al più presto!
2) NON ANDARE IN GROTTA STANCHI. L'appello è rivolto soprattutto ai giovani. (come chi scrive) Infatti notoriamente in grotta si va la domenica (o sabato..) e i giovanotti di oggi la sera prima amano fare le ore minuscole.. Non che la speleologia sia contro le discoteche... ma bisogna pur ricordare che la stanchezza porta a perdere concentrazione e.. tanto per cambiare... i rischi di sbagliare e farsi male sono molti...troppi! Quindi... cerchiamo di andare in grotta con ore di sonno sufficienti alle nostre spalle.
3) SVILUPPARE AL PIU' PRESTO POSSIBILE UN SENSO "CRITICO". Bisogna che il novello speleologo, dopo aver appreso le tecniche da un esperto, cominci a prendere coscienza di quello che fa in ogni situazione. Voglio dire che le manovre insegnate non vanno imparate " a pappagallo" ma bisogna studiarle e riuscire in ogni momento a prevedere cosa succederà dopo aver eseguito un certo movimento o manovra specifica... questo perché capita spesso che una persona già istruita, ma che è sempre andata in grotta accompagnata da esperti, non si impone di sviluppare un senso critico nei confronti delle tecniche apprese e..... puntualmente chiede se la manovra che sta compiendo è corretta.... E' inutile dire che questo atteggiamento è controproducente per tutti... sia per gli istruttori che per gli allievi che rimangono...allievi istruttore-dipendenti e che non andranno mai in grotta da soli senza i "tutors.
Quindi il consiglio (anzi no.. E' un ordine!) è di abituarsi a riflettere quando manovriamo gli attrezzi e riuscire sempre a capire cosa succederà dopo.
4) MANGIARE E BERE IN MODO CORRETTO. L'argomento è sterminato e valgono le norme classiche di qualsiasi disciplina sportiva. Qui riportiamo solo alcune note BASILARI. (Anche queste DA RISPETTARE!!)
- Bere COSTANTEMENTE pochi sorsi. 100 gr d'acqua ogni 15 minuti. Ma farlo veramente e non dire: "Cavolo che sete... però aspetto di passare quella strettoia, poi bevo...."
- Quando si avverte la sete il nostro rendimento fisico e mentale è già calato notevolmente! Ogni perdita del 2 % del peso corporeo causa un calo delle capacità del 20% rispetto al normale!!!!!
- Bere acqua o bevande non gassate e non fredde. Se l'acqua è troppo fredda trattenerla in bocca e poi inghiottire. Questa accortezza evita acidità di stomaco ed altri fastidi.
- Alimentazione leggera e ricca di energia. Qui si fa affidamento al buon senso. Evitiamo di mettere nello zaino metri e metri di.... salsicce. Altrimenti i meandri ce le fanno scontare!
In un ambiente buio per eccellenza com’è la grotta, la luce riveste come appare ovvio un'importanza fondamentale.
L'unica cosa che non ha subito grossi cambiamenti dagli albori della speleologia ad oggi è il modo di fare luce in grotta. Le lampade che usiamo, per quanto costruite con materiali nuovi, concettualmente funzionano come quelle del periodo durante il quale è nata la speleologia.
N.B. Fate però ben attenzione alla fiamma, perché se l'avvicinate troppo alla corda potreste lesionarla, con le ovvie conseguenze (voi vi trovate appesi sotto il punto in questione!!!).
Molto importante risulta la scelta del beccuccio, in commercio se ne trovano ancora di tre misure e cioè: 18/21/28 litri giacché tali misure sono legate alla quantità di gas che esce dall’ugello vi sarà facile intuire che la durata della luce è inversamente proporzionale alla quantità di luce prodotta. Quindi o si opterà per un beccuccio medio (21) o si terrà in considerazione il tipo di grotta (buia o chiara) e la durata della visita. Attualmente stanno sempre più prendendo piede i beccucci completamente realizzati in ceramica (quelli tradizionali hanno il corpo in ottone e solo la parte di uscita del gas in ceramica) più costosi e con un'unica misura ma più duraturi rispetto i precedenti.
In ogni caso non sarà mai male sostituire con una certa frequenza sia il beccuccio sia l’o-ring di tenuta ciò tenendo ovviamente conto della frequenza d'uso.
E' chiaro che in un ambiente come quello ipogeo non potete fidarvi di un solo mezzo di illuminazione per questo sotto l'impianto a gas sul frontale del casco è stata accoppiata una luce elettrica la cui batteria trova alloggiamento in una scatoletta posta sul retro del casco stesso. (Ogni tipo di lampada elettrica per speleologia in commercio va benissimo) Questa seconda fonte di luce, oltre a servire nel caso che la carburo non funzioni, viene usata per illuminare una zona più lontana di quello che si riesce a fare con l'acetilene.
MANUTENZIONE: Usciti dalla grotta sfilate (se la lampada lo permette..) dalla lampada il tubo, soffiatevi dentro e agendo sul piezo riaccendete la fiamma. Continuate a soffiare fino a che la fiamma non si spegnerà da sola: in questo modo svuotate dal gas il tubo prima di riporlo nello zaino così in macchina eviterete odori sgradevoli e pulirete allo stesso tempo l'ugello.
Ricordatevi di pulire attentamente l'ugello perché è soggetto ad intasamento: questa operazione può essere eseguita tramite un comunissimo spillo. (alcuni modelli in commercio sono predisposti di uno spezzone di cavetto d'acciaio sfilacciato che permette di effettuare con facilità questa operazione)
La lampada va invece svuotata dell'acqua e dei residui di carburo in polvere, i quali messi in un sacchetto andranno gettati in luogo adatto perché inquinanti. Le pietre rimaste (quelle che non hanno reagito completamente con l'acqua) verranno messe in un contenitore per il carburo e conservate per le successive uscite. Per quanto riguarda la lampada del tipo FISMA (la sola interamente in metallo) quando la riponete conservate un po' di carburo nel serbatoio e lasciate l'ago di regolazione ben aperto in modo che il carburo presente nella parte inferiore possa assorbire l'umidità, preservando la lampada dalla ruggine e facendola durare più a lungo. Saltuariamente non è male eseguire un'accurata pulizia di tutte le parti costituenti la lampada prestando particolare cura a tutte le parti filettate le quali andranno lavate accuratamente (con prodotti anticalcare diluiti in acqua) e poi lubrificate preferibilmente usando una normale matita da disegno: infatti la grafite lubrifica e non tende ad impastarsi, come succede per il grasso, con la polvere ed il fango, ciò vi eviterà problemi e costi piuttosto elevati per l'acquisto di parti di ricambio.
N.B. Ricordate in ogni caso di conservare le vostre scorte di carburo in posti asciutti e ben aerati dentro contenitori stagni di plastica e di non avvicinarvi mai con fiamme alle pietre perché queste, reagendo con l'acqua, ( o solo con un'abbondante umidità atmosferica ) generano gas che, nella giusta proporzione con l'aria, forma miscele esplosive.
Il metodo tradizionale per portare in grotta le scorte di carburo è quello di sistemarlo in contenitori ricavati da vecchie camere d'aria, tagliate in lunghezza proporzionale alla durata dell'esplorazione ed al numero di partecipanti. I capi di questi economici contenitori vanno ripiegati su se stessi e chiusi con elastici ricavati tagliando trasversalmente le camere d'aria. E' bene portarsi dietro sempre uno di questi, robusti ed economici, contenitori vuoto in modo da riporvi le scorie del carburo usato e poterle riportare in superficie.
Però, a mio avviso, il metodo più sicuro è quello di riporlo in piccoli recipienti stagni (da 1 litro) di plastica robusta con il coperchio piuttosto ampio (ce ne sono in commercio nei negozi specializzati ad un costo irrisorio): questo perché talvolta la classica camera d'aria può non essere completamente stagna e quindi ci può essere il rischio che il carburo venga a contatto con l'acqua....
Ne esistono fin troppi, per la scelta regolatevi secondo questi fattori: comodità, regolabilità, protezione. Non badate al costo, anche se non sempre i modelli più cari sono i più robusti, ricordate sempre che la funzione del casco è quella di preservarvi dai colpi e dalla caduta accidentale di pietre oltre a fungere da supporto per l'impianto luce. Ad ogni modo più o meno tutte le marche di materiali pubblicano cataloghi illustranti la propria produzione ed in molti di questi è possibile trovare i dati dei test effettuati con i relativi risultati. Si consiglia di prestare attenzione ai dati relativi alle omologazioni.
N.B. Riprenderemo l'argomento corde nella sezione dei nodi per un'analisi più specifica per quanto riguarda la meccanica di questi attrezzi.
Fin che si tratta di cavità orizzontali chiunque è in grado di arrangiarsi, ma le grotte presentano quasi sempre degli ostacoli verticali (pozzi) per superare i quali bisogna usare delle tecniche particolari che esamineremo in seguito. In passato la discesa dei pozzi avveniva usando le scale, in canapa con gradini in legno agli albori, soppiantate poi da quelle in cavo d'acciaio e gradini in legno (le cosiddette "superpesanti") e quindi da quelle con le quali finì la mitica era della scala: le " superleggere" in cavetto d'acciaio e gradini di alluminio. Questo tipo di attrezzatura era comunque pesante e voluminosa per cui le uscite richiedevano un alto numero di persone delle quali non tutte erano destinate ad arrivare sul fondo. Tutto ciò tuttavia portava, grazie alle manovre in scala, ad un notevole affiatamento tra le persone e lo spirito che animava tutti era quello del gruppo. Con l'avvento della corda più leggera e pratica si è avuto un aumento dei risultati, esplorativamente parlando, ma si è perso gran parte dello spirito che esisteva una volta. Esplorazioni che in passato avrebbero richiesto numerose persone, oggi possono essere condotte da un ristretto numero di partecipanti in tempi molto più brevi ed in maniera più sicura.
Tornando all'argomento delle corde diremo che le principali caratteristiche di quelle speleo (che devono essere del tutto diverse da quelle per arrampicata ) sono un'elevata staticità la quale è indispensabile visto il loro uso in risalita, altrimenti lo speleologo oscillerebbe come se fosse appeso ad un elastico. Altra caratteristica molto importante è l'elevata resistenza all'abrasione, per quanto la corda non dovrebbe mai toccare la parete. (!!!) In commercio ne esistono di varie marche, e le più usate sono quelle nei diametri 8, 9, 10 mm.
n La 8 mm. è una corda estremamente delicata con carico di rottura sui circa 1600 kg. da usarsi per esplorazioni e da persone PIU' che esperte, deve essere quasi una corda personale ovvero chi la usa deve conoscere esattamente la storia di quello specifico spezzone, unici lati positivi sono il peso ridotto ed il minimo ingombro. (Peso 47 gr./m.)
n La 9 mm. è una corda di poco più pesante 56 gr./m. rispetto ai 47 gr./m. della 8 mm. ma il carico di rottura è più elevato aggirandosi sui circa 2400 kg. Si tratta di una corda da usarsi quando si possiede GIA' una certa padronanza delle tecniche d'armo.
n La 10 mm. (esistono anche corde con diametro di 10,5 mm del tutto analoghe a questa) è da consigliare a chi inizia per via del suo diametro che permette di ottenere discese più lente. Il suo peso si aggira sui 66 gr./m. ma è il carico di rottura ad essere interessante 2700 kg. Si tratta ovviamente di una corda più ingombrante delle precedenti però concede un maggior margine all'imprevisto e si comporta meglio in termini d’usura se percorsa da più persone risultando ottima quindi come corda per armi fissi.
n Esiste pure la 11 mm. ma non la usa quasi nessuno per via dell'elevato costo, ingombro, peso e diametro che non sempre ben si adatta alle varie componenti dell'attrezzatura individuale.
Ogni marca di corde ha un proprio sistema di riconoscimento immediato del diametro: si tratta di alcuni segni di colori e forme differenti posti lungo la corda stessa. Per esempio nelle corde della marca Edelrid i vari diametri si riconoscono tenendo presente che la calza bianca porta dei testimoni neri a forma di quadretti, in tre file separate per la 11 mm. (esiste ma non viene mai usata), due file separate per la 10 mm., due file in scacchiera per la 9 mm., a tre file in scacchiera per la 8 mm. (vedi disegno)
CORDINI e FETTUCCE: trattasi di spezzoni corti impiegati per l'armo. Per i cordini useremo quelli dinamici del diametro di 9 o 10 mm. mentre diametri inferiori non vanno nemmeno presi in considerazione. Le fettucce consigliate sono quelle tubolari dai 30 mm. in su poiché misure inferiori non danno sufficiente sicurezza anche se la tendenza attuale è quella di ricorrere alle fettucce con sempre minor frequenza.
MANUTENZIONE: tutte le corde così come i cordini e le fettucce vanno lavate dopo ogni uscita in quanto l'eventuale presenza di particelle di polvere, fango e cristalli di calcite provocano abrasioni fra le fibre minandone la durata e la resistenza e visto che voi vi appendete su questi elementi sareste anche i primi a pagare per una vostra negligenza. Il lavaggio deve essere effettuato usando abbondante acqua fredda meglio se corrente e spazzole. (Si può' utilizzare anche la lavatrice purché con acqua fredda, senza detersivi e senza centrifuga!) E' sempre da escludere l'uso di detersivi in quanto possono reagire chimicamente con le fibre mettendone in crisi la resistenza. Prima di usarle non sarebbe male bagnare sempre le corde, ciò evita che si rovinino e vi permette di ottenere una discesa più omogenea. E' utile sapere che le corde nuove si ritirano da sole, perciò ad esempio se tagliate uno spezzone da 55 m. siglatelo (vedremo tra breve come) 50 m. e ricordate che le corde anche se ben tenute o addirittura non usate decadono divenendo comunque vecchie dopo alcuni anni. Se pensate che la corda sia lesionata controllatela prendendo 10 - 15 cm. alla volta in prossimità del punto sospetto e piegandola badate che dovrà formare un'asola con una curva senza scalini anche se la girate lungo il suo asse.
E' necessario siglare le corde su entrambe i terminali usando alcuni giri di nastro isolante del colore che vi aiuti ad identificarle come vostre, su questo si mettono delle fascette numeriche adesive che si trovano nei negozi di materiali elettrici. Questo sistema vi permette di identificare facilmente l'età della corda e la sua lunghezza. Sul tutto si infila uno spezzone di tubo termorestringente trasparente: è questo un materiale plastico che, posto in prossimità di una fonte di calore, si restringe proteggendo così le fascette numeriche dalle abrasioni e dalla sporcizia.
Le corde vanno conservate, dopo averle lavate ed asciugate (operazione questa da compiere in un luogo buio, fresco ed asciutto), fatte in matassa in luogo buio in quanto a differenza di quelle da roccia le nostre non sono protette dall'azione dei raggi ultravioletti i quali agiscono polimerizzando le molecole componenti le fibre, ciò determina a lungo andare una perdita di resistenza. Prima dell'uso svolgete sempre le corde in modo che siano ben libere e quindi confezionate sempre un nodo (inglese doppio o asola con frizione) sul terminale che sarà il fondo. Questo nodo serve, se per caso aveste sbagliato la successione delle corde, per fermarvi in ogni caso. Negli ultimi dieci anni vi sono stati nella sola provincia di Trieste ben due episodi d’inosservanza di detta regola: nel primo caso la persona si è vista filare la corda nel discensore ed ha continuato la discesa fermandosi ovviamente sul fondo del pozzo. Questo personaggio recuperato e " ricucito " continua ad andare in grotta ma ora controlla attentamente che ci sia il nodo a fine corda anche se è stato lui stesso a filarla nel sacco il giorno prima. Nel secondo episodio purtroppo l'esito si è rivelato mortale la persona è deceduta ed ha lasciato una moglie e due figli, quindi mi sembra superfluo consigliarvi di controllare le corde anche se non siete voi i primi a calarvi.
In grotta la corda si porta filata nei sacchi di PVC che chi arma porta appesa al baricentro (un sacco per volta, mentre gli altri sono trasportati dai compagni) ciò per evitare che eventuali sassi scaricati inavvertitamente o nella pulizia dell'attacco del pozzo possano lesionare la corda sulla quale vi appenderete.
Filare la corda nei sacchi è una cosa abbastanza semplice, ma da farsi bene onde evitare problemi. Il metodo migliore consiste nel passare la corda con la mano destra su quella sinistra, che rimane aperta, in modo da formare delle anse ora da una parte ora dall'altra della lunghezza totale di 40 -50 cm. Dopo alcuni di questi giri chiudete la mano sinistra ed impugnando la corda infilatela nel sacco, ogni tanto per assestare meglio la corda prendete il sacco per il cordino del baricentro e, dopo averlo alzato, sbattetelo sul pavimento verticalmente per alcune volte quindi continuate a filare la corda fin quando il sacco non è pieno. A questo punto annodate il capo della corda al cordino di chiusura del sacco in modo da averlo subito a portata di mano e poter leggere immediatamente la lunghezza della corda filata.
Tratteremo ora tutte le parti in fibra che costituiscono la dotazione personale dello speleologo.
IMBRAGHI: in commercio ne esistono di tutte le marche, tipi e colori e qui il discorso si farebbe troppo vasto; tutti comunque hanno i loro pregi e difetti, tenete comunque conto che i nostri imbraghi sono diversi da quelli usati nell'arrampicata per cui ad ogni sport il suo imbrago. La caratteristica comune è quella di essere composti da un cosciale che si indossa in vita ed un pettorale il quale è posto all'altezza delle spalle e serve (come vedremo) per tenere in posizione il bloccante ventrale. (Esiste anche un' altro tipo d’imbrago che è quello del multiattacco costituito da un pezzo unico che raggruppa il due pezzi e porta ventralmente due attacchi uno per l'uso dei mezzi di discesa e l'altro per quelli di risalita.) Tutti gli imbraghi vanno chiusi con maglie rapide e MAI con moschettoni (neppure se a ghiera) meglio quelle in acciaio a forma di delta o semitonde di diametro mai inferiore ai 10 mm. E' da escludere l'uso di maglie in lega perché non presentano buone caratteristiche di tenuta. |
BARICENTRICI: si tratta di un cordino (o fettuccia) che si aggancia ai due punti in cui l'imbrago si chiude sulla maglia rapida. Serve per agganciare i sacchi e poterli trasportare efficientemente nei pozzi. Infatti le tecniche di risalita su corda (che analizzeremo) rendono molto più faticosa la progressione quanto più il nostro baricentro è spostato rispetto alla verticale della corda; ed avere uno zaino in spalla modifica sensibilmente la posizione del baricentro. |
LONGES: si tratta d’elementi che permettono di passare in sicurezza alcuni passaggi che vedremo nel capitolo riguardante la progressione. In commercio ne esistono vari tipi in fettuccia cucita lunghe 20 -30 cm. Normalmente se ne usano due: una corta (15 20 cm) ed una più lunga (30 35 cm). |
Longes |
STAFFE: per la progressione in salita su corda si usa un bloccante dal quale pende una staffa all'interno della quale si infilano i piedi per alzarsi nella risalita. Questo elemento si trova già confezionato in commercio ed ha il pregio d’essere regolabile per mezzo di fibbie; è altresì possibile confezionarsi la staffa da soli usando degli spezzoni di corda STATICA (infatti piu' statica risulta e minore sarà il dispendio di energie in salita) o fettuccia più economici in quanto fatti usando materiali vecchi o lunghezze non usabili per altri scopi. Le staffe autocostruite hanno però il difetto di non essere regolabili in quanto vengono chiuse con nodi. |
Staffe |
RIMANDO: è questo quell'elemento di sicura che collega il bloccante mobile all'imbrago per cui in caso d’errata manovra può dover sostenervi, e siccome siete voi ad esserci appesi dovrete averlo sempre in ottimo stato. Il rimando è costituito da un cordino da 10 mm. di corda DINAMICA (e non statica perché deve assorbire il più possibile l'energia di eventuali cadute) e di lunghezza adeguata. La misura giusta è quella che alla massima estensione vi permetterà di afferrare il bloccante con il braccio leggermente piegato.
Sono completamente diversi da quelli usati per roccia. Sul mercato si trovano tre tipi: il normale, l'autobloccante, il rack. |
Discensore speleo
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Si tratta d’attrezzi meccanici che scorrono sulla corda solo in un senso; noi ne usiamo due che funzionano allo stesso modo, ma differiscono solo nella forma e posizione d'uso.
BLOCCANTE VENTRALE: normalmente detto croll è costituito da una struttura fissa con due fori: quello inferiore serve per collegarlo alla maglia che chiude l'imbrago mentre il superiore si collega con il pettorale. (talvolta si frappone anche una cinghietta tra il foro ed il pettorale)
Alla struttura fissa è collegata, tramite un perno che ne permette il movimento, una parte mobile munita di piccoli dentini i quali fanno presa sulla calza della corda e la strozzano contro la parte fissa attuando così il bloccaggio.
BLOCCANTE MOBILE (O MANIGLIA): comunemente detto maniglia è simile al precedente ma la parte fissa è sagomata in modo tale da formare una maniglia alla quale vengono collegate la staffa ed il rimando dove quest'ultimo viene collegato per l'estremità opposta alla maglia che chiude l'imbrago inferiore. Questi due attrezzi vanno sempre puliti dal fango e lubrificati, attenzione che l'olio potrebbe impastarsi con la polvere ed il fango per cui vi consiglio di usare della comune graffite che si trova in vendita nei negozi di serrature, l'operazione non è facile come con l'olio, ma il risultato è senza dubbio migliore. Come per tutte le cose viste anche qui esistono varie marche colori e modelli quindi acquistate i modelli più semplici che trovate e che di solito sono anche i più sicuri.
Vediamo ora questi attrezzi non, come faremo in seguito, considerandoli parte dell'armo di un pozzo, ma come parte dell'imbrago di uno speleologo.
Sono un po' tutti adeguati, ma è bene preferire quelli con grande apertura e con forma che tenda all'ovale per rendere più facile la loro rotazione negli attrezzi.
E' in genere inutile che i moschettoni personali siano a ghiera, ECCETTO quello di chiusura del discensore ed eventualmente quello di chiusura della longe di staffa. Assolutamente non deve essere a ghiera il moschettone che, in cima alla longe, serve ad assicurarsi. La longe DEVE essere attaccata e staccata spessissimo e rapidamente, a volte proprio in fretta, e la ghiera serve solo come ostacolo.
Bisogna ricordare che i moschettoni in lega reggono mediamente (con la leva CHIUSA!) 2000 Kg nel senso della lunghezza e, solo, 700 Kg nel senso della larghezza.
Questo perché nel senso della larghezza tutto il peso grava sul piccolo perno metallico che serve per incernierare la leva al resto del moschettone e quindi i valori sono nettamente inferiori.
ATTENZIONE quindi alla posizione in cui il moschettone (Sia esso un moschettone personale che uno da armo) si trova a lavorare!
VESTIZIONE: ora che sapete come si chiamano le " striganze " che dovete indossare vediamo come disporle addosso. Visto che noi viviamo in superficie e le grotte si aprono sotto i nostri piedi è gioco forza che per visitarle si debba prima scendere, quindi vediamo come si fa. Sequenza degli attrezzi in discesa: vi sarà utile almeno per i primi tempi usare una filastrocca composta con la parole iniziali dei nomi dei vari attrezzi. Probabilmente vi sembrerà senza un significato ben preciso, ma si tratta dello stesso tipo di frase che si usa a scuola per memorizzare con una certa facilità una serie di nomi, la nostra frase è:
CRO RIDILO MA .... ...STA ATTENTO/A
e corrisponde alla disposizione degli attrezzi da destra a sinistra di chi indossa, adesso vediamo le parole componenti la frase:
CRO croll
RI rinvio del discensore
DI discensore
LO longes
MA maniglia tramite il rinvio
STA ATTENTO O ATTENTA frase il cui significato mi sembra superfluo specificare.
Infilata la maglia di chiusura dell'imbrago nell'occhiello destro (da ora in poi destro e sinistro saranno riferiti alla persona che indossa) in modo che la ghiera sia sul lato destro in basso posizioniamo il croll in modo che la parte piatta sia verso di noi e l'asse della parte mobile a destra, quindi proseguiamo con il moschettone di rinvio del discensore ed il discensore tramite il suo moschettone. E' ora il turno della longes e quindi del rinvio della maniglia direttamente o come usa qualcuno tramite un moschettone (in tale caso regolare in modo appropriato la lunghezza del rinvio stesso). E' ora il momento di posizionare il baricentrico (se se ne fa uso).
Detto ciò voi vi chiederete perché uno in fase di discesa debba indossare anche gli attrezzi per la risalita. Ciò ovviamente non rappresenta il massimo della comodità ma serve per:
1) essere sicuri di non lasciare elementi indispensabili per la risalita all'esterno
2) essere pronti in qualsiasi momento ad invertire il senso di marcia in sicurezza.
SACCHI: Ne esistono in commercio svariati modelli, tutti però rispondenti agli stessi criteri di praticità, robustezza e capienza. La forma migliore è senza dubbio quella cilindrica con sezione circolare od ovoidale. Di solito sono fabbricati in robusto PVC ma esistono anche modelli in tessuto resistente. Controllate che sia munito di cordino per l'attacco al baricentro dell'imbrago.
SACCHETTINI: Ce ne sono in commercio di ogni tipo e marca. Vanno tutti più o meno bene a seconda dell'utilizzo cui sono destinati. (Sacchetti da armo, sacchetti per le apparecchiature fotografiche, sacchetti per scarburare ecc..)
Qui non esistono regole da seguire: ci sono grotte in cui sono obbligatori gli stivali, altre dove sono più confortevoli un bel paio di scarponcelli da montagna, altre ancora dove le scarpe da ginnastica sono più che perfette. E' necessario saper scegliere in base al tipo di grotta che stiamo esplorando.
GUANTI: La protezione delle mani è importante soprattutto nelle discese molto lunghe. Si usano guanti di gomma moderatamente pesante.
Usare guanti ha il vantaggio di proteggere le mani dalle centinaia di piccoli colpi che subiscono contro la roccia e dalle abrasioni delle corde. Ma usarli causa piccoli guai, e per evitarli illustri esploratori non li usano affatto: credo che sbaglino.
Un ragionamento che si sente fare è questo: "se tu sei abituato ai guanti e li perdi in profondità uscirai grondando sangue, mentre io, che non li uso mai, ho imparato a non ferirmi." C’è del vero: basta pensare alle salite in artificiale: chi non è abituato a farle ne esce con le mani ferite, chi sa farle no. Eppure penso che i vantaggi che danno i guanti ne compensino i numerosi difetti.
Ecco un po’ di guai: calzandoli le arrampicate delicate diventano più pericolose, le manovre fini (quelle con i conetti degli Spit, ad esempio) sono impossibili e le mani rimangono sempre bagnate perché nella gomma non riescono ad asciugare.
Per tutti questi motivi a volte è meglio che ce li togliamo, ma poi, dove li mettiamo? Nella tuta, ovviamente, che però, come dirò più avanti, è bene tenere aperta: è questo uno dei motivi del grande consumo di guanti che fanno gli speleologi. Un modo più sicuro è quello di infilarceli nell’imbrago ma non è possibile a chi lo tiene sotto la tuta o sta appeso a metà di un pozzo. Allora è bene farci un buco e agganciarli ad un moschettone.
TUTE: Le grotte, salvo casi particolari, hanno umidità di saturazione e temperature da poco sotto zero per grotte d’alta montagna fino ai trenta gradi ed oltre a basse quote in zone calde.
Ed inoltre ci sono quelle in cui si patisce la sete, quelle in cui non ci si bagna, quelle in cui ci si bagna, quelle in cui si nuota, quelle in cui si nuota sott’acqua.
E’ evidente che il vestiario termico, cioè quello incaricato di mantenere temperature confortevoli o almeno tollerabili, cambia profondamente a seconda dei casi.
Non muta invece la necessità di avere al di sopra del vestiario termico un indumento che lo protegga dagli strappi, eventualmente dall’acqua e che faciliti nelle strettoie.
Una tuta, dunque, è praticamente obbligatoria in qualsiasi grotta, sia che la tuta ricopra una magliettina, sia che ricopra una muta per acque polari. A seconda dei casi sarà una tuta in cotonaccio in grotte facili ed asciutte, in tessuto permeabile di nylon in grotte impegnative e non molto bagnate, in PVC (nylon impermeabile) in ambienti estremi.
Sudare: Comunque si tende sempre a sudare. Per limitare questo inconveniente:
1) tieni una velocità di progressione bassa;
2) procedi ogni volta che sia possibile con la tuta aperta (ciao guanti);
3) alle soste fai lo sforzo di toglierti la parte superiore della tuta;
4) in caso di soste lunghe durante punte prolungate, mentre ancora sei caldo, togli la tuta e vai a fare una passeggiata lì attorno, in modo da asciugare completamente il sottotuta (non stare fermo a raffreddarti!).
La mirifica sensazione di asciutto che guadagnerai compenserà lo sforzo che ti è costato
vincere la pigrizia di fare l’operazione.
In ambienti molto difficili le tute in PVC sono utili, ma sono anche un’arma a doppio taglio: dentro di esse si suda parecchio, ci si ritrova umidi ma caldissimi fino a che si è in moto, per morire di freddo quando ci si ferma.
Le tute di nylon antistrappo, semipermeabili, sono perciò consigliabili nella stragrande maggioranza dei casi. Permettono la traspirazione e questo è un tale vantaggio da far tollerare il fatto che, ogni tanto, si va in crisi per gli incontri con stillicidi diffusi. Ma asciugano in fretta, anche se a costo di energia sottratta al corpo.
Sono incomparabilmente più leggere ed “agili” di quelle in PVC e questo è un altro punto decisivo.
Ciò che manda in crisi grave queste tute, e chi le indossa, sono le lunghe strisciate nel fango; se ne impregnano e si finisce per trovarsi dentro una cappa bagnata e pesante di tela intrisa di fango gelido veramente difficile da sopportare. Si può porre rimedio a questa situazione cercando di raschiarsi via di dosso il fango tramite un semplice coltellino che porteremo preventivamente con noi.
Per esperienza si ritiene proprio che, complessivamente, in punte durissime siano meglio le tute semipermeabili anche in ambienti piuttosto bagnati. Ma vale lo stesso discorso fatto per il duo scarponi - stivali: in genere vanno meglio gli uni, ma a volte sono indispensabili gli altri. Dunque è bene avere sia una tuta semipermeabile che una impermeabile.
Le tute impacciano un po’ i movimenti, specie quelli delle gambe. Un modo semplice ed efficace di porvi rimedio è usare con abbondanza elastici fatti con pezzi di camere d'aria posizionati sulle gambe al contatto tra tuta e stivale.
Alcuni gradiscono anche una coppia di elastici al di sopra delle ginocchia: attenzione in ogni caso a non rendere difficile la circolazione sanguigna.
TUTE STAGNE: Per avanzare in ambienti estremamente bagnati o semisommersi sono di uso comune le mute e gli idrocostumi. Le prime sono il vestiario di elezione dei subacquei: in grotta sono adeguate dal punto di vista termico, ma “fanno acqua" se le si considera dal punto di vista della mobilità. Non sono concepite per coprire gente che si muove come usano fare gli speleologi in grotta e così muovercisi dentro è faticoso e può finire per ferire la pelle in corrispondenza delle piegature più sollecitate, come alle ginocchia e ai gomiti. Altri difetti sono l’ingombro eccessivo ed il fatto che per indossarle bisogna spogliarsi completamente: utilizzarle per singoli passaggi allagati è perciò estremamente fastidioso, soprattutto a grandi profondità.
L’idrocostume (o pontonnière) è una sottile tuta di foglia di gomma completamente stagna. La mobilità che permette a chi la indossa è assai maggiore che non con le mute in neoprene, ma l’acquaticità ne è inferiore. L’isolamento termico che esso offre è nullo, tutta la protezione dal freddo dipende da che cosa gli indossiamo al di sotto. Molto meno voluminoso della muta è l’ideale per il superamento di brevi tratti allagati, ma se lo buchiamo (facilissimo) siamo rovinati. Dunque va indossato al di sotto della tuta da grotta che perciò alla fine dell’operazione ci troveremo fradicia d’acqua: per questo è forse (dico: forse) meglio che essa, in questi casi, sia di PVC.
Attenzione che in acqua a 3°C, pur asciutti dentro una sottile tuta stagna, si prende molto, molto, molto più freddo che non in aria alla stessa temperatura. Bisogna vestirsi di più del normale e inoltre nei tratti aerei evitare le correnti d’aria per impedire l’evaporazione violenta dell’acqua che bagna la tuta esterna.
VESTIARIO TERMICO: Passiamo ora alle note sugli indumenti che si occupano di garantirci temperature sopportabili sulla pelle.
Quelli che sono, di gran lunga, i migliori sono i sottotuta interi da grotta, in “pile”. Se siano da preferire quelli più pesanti o quelli più leggeri dipende dal tipo di grotte e soprattutto dal proprio modo di muoversi, se cioè si abbia o no una tendenza a sudare troppo.
Il torso. Pur nella varietà delle grotte il principio base generale della vestizione è che la parte fondamentale da tenere a temperatura confortevole è il torso.
In particolare nelle grotte fredde deve essere particolarmente protetta la zona dei reni sottoposti come sono a stress sia chimico per il surplus di attività, che fisico per gli urti ed il freddo.
Una panciera è molto utile e ad essa si può aggiungere, fra vestiti e tuta, un pezzo di materassino del genere di quelli che si trovano nel dorso di certi zaini, fatti di gommapiuma a celle chiuse.
Di massima il livello dei tessuti sintetici si è alzato tanto che direi ci si debba orientare ormai su di essi. La lana ha una tendenza a produrre allergie (possibili anche coi sintetici, occhio) soprattutto se bagnata e in prolungato contatto con la pelle. L’irritazione che può dare soprattutto nelle zone di forte pressione come
quelle di presa degli imbraghi è assolutamente insopportabile, e ha causato vari episodi di nudi integrali a grandi profondità. Mi sembra tuttavia che essa rimanga il tessuto migliore per i calzettoni.
Le maglie devono essere adeguatamente lunghe e bisogna pure cercare di curare di indossarle ben ordinate, senza arricciature.
La sensazione di svestire e rivestire le maglie è sorprendentemente gratificante, e credo che per questo sia una operazione da consigliare a chi comincia ad andare in crisi. Anche il solo tirarsi i polsini delle maglie al di sotto della tuta distendendole è piacevole in modo curioso. (“sballo delle maniche”: lo speleologo Giovanni Badino lo ha sentito chiamare così da uno speleo infreddolito e dice: "non so bene perché ....evaporazione? nuovi tessuti sulla pelle? micromassaggio di essa?..., ma écosì.")
La termalizzazione degli arti è di gran lunga meno importante di quella del torso. Anzi le gambe e le braccia più che molto coperte devono essere molto libere nei movimenti.
Durante le soste in grotte molto fredde sono di enorme utilità un passamontagna sottile e dei guanti di lana; sono oggetti che occupano poco spazio (si possono tenere caldi e asciutti nel casco) ma che danno un ristoro sorprendente.
TELI TERMICI: Durante le numerose soste cui siamo obbligati in grotta è consigliabile cercare di riposarsi (addirittura in qualche caso ci si può anche concedere delle brevi dormite) e recuperare un po' di energie. Uno dei modi più confortevoli per farlo è utilizzare il cosiddetto telo termico: si tratta di un foglio di polietilene alluminato molto leggero che può essere ripiegato e "nascosto" ovunque. (un posto molto comodo è dentro il casco) Ce lo mettiamo addosso tenendo l'acetilene acceso sotto in modo che la cupola si scaldi e l'umidità relativa diminuisca. Si raggiunge così un livello di confort notevole ma si dovrà affrontare una violentissima crisi di freddo al momento di ripartire: è perciò assolutamente indispensabile fare tutto quello che si doveva fare alla sosta (scarburare ecc..) prima di sparire sotto il telo, in modo da ripartire appena "riemergiamo"
Ma usare i teli termici può essere pericoloso. Permettono un recupero molto migliore e dunque a volte sono indispensabili, ma possono causare un continuo accasciarsi e prolungare le soste oltre i l imiti ragionevoli, trasformando le risalite in calvari di bivacchi che divengono sempre più freddi mentre le nostre condizioni generali vanno peggiorando.
Sembra quindi più ragionevole averli con sé per emergenze e soste prolungate tendendo invece a dimenticarli in salita, limitandosi a stramazzare ogni tanto a dormire, non protetti, per una decina di minuti a monte di difficoltà appena superate.
Può essere veramente utile a tal proposito un rettangolo di gommapiuma a cellule chiuse (quella con cui sono fabbricati i materassini Dormiben) da portare con sé nello zaino e da utilizzare per sedercisi sopra o per appoggiarci la schiena durante i "pisolini". E' un isolante perfetto e ci regalerà un livello di confort molto alto.
CONCLUSIONI: Si è detto e ripetuto che é bene evitare di coprirsi con strati e strati di vestiti; si suda molto quando ci si muove e alla lunga ci si trova coperti di indumenti freddi e bagnati che il nostro calore non arriva ad asciugare.
Ma allora come si fa a stare caldi? Semplice, per stare caldi ci si muove dato che, come sappiamo, i muscoli in moto producono calore.
Per stare caldi si evita di crollare seduti ad ogni sosta sulla roccia fredda, ma invece si continua blandamente a movicchiare braccia e schiena.
Per stare caldi non si corre mai, ma ci si muove con calma, ma continuamente.
Per stare caldi si fa ginnastica.
Per stare caldi non ci si abbatte sotto il telo termico ad ogni sosta che prometta di durare più di un minuto.
Soprattutto, tecnica fondamentale, ci si aiuta a stare caldi, sfruttando il fatto che in genere alle soste non si è da soli. Non parlo delle particolari tecniche a due di sesso opposto nella fredda, ma accogliente casa di montagna ma di massaggiarsi a vicenda la schiena. A turno uno s'appoggia alla parete e l’altro gli frega la schiena finché non è stanco e si sostituisce al primo. E’ un metodo formidabile.
Attrezzatura personale dello speleologo
Passiamo ora ad analizzare quegli attrezzi che trasmettono il nostro peso a chiodi lontani e in quali forme dobbiamo ritorcerli per renderli utili: parliamo cioè di corde e di nodi.
SOLLECITAZIONI: le sollecitazioni a cui è sottoposta una corda in un abisso sono assolutamente diverse da quelle sopportate in alpinismo.
In genere in quest'ultima attività le corde non lavorano affatto salvo il caso eccezionale della caduta, in cui si presenta ad esse il problema di assorbire una grande quantità di energia senza rompersi. Questo è possibile solo se sono sufficientemente elastiche o, con un termine in uso, dinamiche.
Le corde per la speleologia in genere, invece, lavorano con continuità a bassi carichi. Le tecniche con cui si risale lungo queste richiedono che siano, per motivi di comodità, poco elastiche, e sono dette statiche.
Insomma mentre le une devono essere materassi, le altre devono essere scale: dunque sono attrezzi piuttosto differenti benché siano d’aspetto simile.
N.B. Gli studi sulla meccanica delle corde ci dicono che la probabilità di rottura é tanto maggiore quanto più grande é il rapporto (“Fattore di caduta” in figura Fc) fra la lunghezza della caduta e quella del tratto di corda che la arresta.
Questo significa che per valutare il carico che sopporta una corda in caso di strappo NON importa di quanto si cade, ma è determinante, in prima approssimazione, il rapporto fra quanto si cade e quanta corda sopporta il colpo.
Per esempio: volare di dieci metri su cento metri di corda non comporta grandi carichi e si può essere arrestati da corde con diametri anche piccoli, mentre un volo di un metro su cinquanta centimetri di corda comporta carichi altissimi, sopportabili solo da materiale alpinistico - speleologico di almeno 9 mm di diametro.
Naturalmente questo implica che sono da usare SOLO ED ESCLUSIVAMENTE le corde fabbricate per uso speleologico od alpinistico, non dunque le corde navali o del genere anche se vengono dichiarate a carichi di rottura elevati. E' assurdo, ma opportuno, far notare che, anche se costano meno, la vita vale molto di più dei soldi risparmiati.
PRECAUZIONI: Ultime considerazioni: LE CORDE SONO SACRE; vanno trattate come tali. Sono sacralità delicate: NON LE SI CALPESTI MAI, infatti potrebbero subire danni interni non visibili. Reagiamo contro chiunque ci posi i piedi sopra, e non aspettiamo che si rompano per buttarle: costano, è vero, ma farsi male costa di più e, soprattutto, è più fastidioso.
Le caratteristiche meccaniche delle corde peggiorano gravemente in corrispondenza dei nodi: in genere il carico di rottura scende di circa la metà. Se sottoponete una corda ad un carico essa si rompe in corrispondenza dei nodi di aggancio, all'interno di essi.
Avviene fusione per attrito delle fibre nelle zone in cui esso è massimo, cioè dove la corda è strizzata nel nodo.
Dunque i nodi sono la parte più delicata del sistema "corda" e vanno fatti con gran cura; non impariamone tanti, per ora, studiamo come fare bene quei pochi che sono necessari e sufficienti. Questo perché in speleologia servono pochi tipi di nodi e la prima regola, perentoria, è che questi pochi occorre saperli fare alla perfezione anche in condizioni difficili, anche dentro una cascata e soprattutto al buio.
Nota anche come: nodo Savoia, nodo delle guide con frizione, nodo ad otto.
USO: per ancoraggi su moschettone, come nodo a fine corda (Ricordarsi sempre di fare il nodo a fine corda e chiudere il capo rimasto con un bloccanodi. Vedi oltre). Ha il non trascurabile pregio di una buona resistenza unita ad una discreta scioglibilità anche in condizioni difficili.
E' importante controllare che la corda dentro al nodo "corra" sempre parallelamente senza accavallamenti (cioè abbia l'aspetto come mostrato in figura): questo perché il nodo sarà più facile da sciogliere e meno soggetto ad attriti lesionanti.
E' lo stesso identico nodo doppio otto, l'unica differenza sta nella sua esecuzione. Infatti confezionandolo così possiamo realizzare l'asola direttamente attorno all'oggetto cui vogliamo collegare la corda (albero colonna ecc.)
USO: per ancoraggi dove la corda deve essere infilata (alberi, colonne)
Nota anche come nodo a coniglio o Guide con frizione doppio.
USO: per ancoraggi doppi in modo da ripartire equamente il carico su due ancoraggi, armo principale di un pozzo.
Noto anche come nodo del pescatore.
USO: per giunzione di due corde anche di diametri differenti, per chiudere un cordino in modo da avere un anello per un ancoraggio, se eseguito con una sola corda funge come nodo di fine corda.
Noto pure come nodo guida infilato.
USO: è l'unico nodo sicuro per congiungere o chiudere ad anello fettucce ed usarle per ancoraggi.
SU UN FRAZIONAMENTO: Il disegno è fin troppo esplicito.
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SUL VUOTO: In questi casi bisogna sempre prevedere di avere un'asola con frizione per la sicura (tale asola deve essere fatta sempre con la corda che viene dall'alto). |
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Si esegue il nodo voluto (per esempio il nodo a doppio otto) e poi col capo di corda che avanza si confeziona un nodo inglese direttamente sulla corda che "entra" nel nodo". Serve per assicurarci ulteriormente che il nodo non si sciolga.
Le manovre in seguito elencate sono state scritte con l'intento di fornire un vademecum da avere a portata di mano per ripassare costantemente la sequenza di operazioni da svolgere. La raccomandazione è quella di non eseguire mai le manovre per la prima volta in grotta da soli! E' necessario prima apprenderle attentamente e provarle in un luogo tranquillo (palestra di roccia) seguiti da persone esperte!
Bene ora abbiamo indossato il tutto e sappiamo come confezionare i nodi; quindi vediamo come si scende.
NOZIONI PRELIMINARI DI MONTAGGIO DEL DISCENSORE SULLA CORDA: Aprite il discensore e facendo arrivare la corda da sinistra ponetela sopra la flangia inferiore in modo che passi sotto la puleggia inferiore avvolgendola; passate ora la corda da destra a sinistra fra le due pulegge (fig. 1) avvolgendo la puleggia superiore e ritornate con la corda verso destra in modo da avere alla fine una S; fatto ciò chiudete il discensore. Prendete ora la corda ed inseritela nel moschettone di rinvio (non a ghiera ed in acciaio) che avrete messo in modo da avere l'apertura in alto di fronte a voi (fig. 2). Questo passaggio serve per aumentare l'attrito, e, "variando" l'angolo con il quale la corda entra nel moschettone, a regolare meglio la vostra velocità di discesa. Almeno agli inizi molti tendono a tenere la mano sinistra sulla corda appena sopra il discensore: questo non serve a niente, perché se la corda che tenete con la mano destra vi scivolasse via in nessunissimo caso riuscireste a frenare la vostra caduta. Se non ci credete provate a mettere una corda su di un albero ed alzarvi da terra rimanendo appesi ad una mano sola.... La mano va tenuta dietro al discensore aperta e pronta ad essere chiusa immediatamente in caso di bisogno impugnando tutto il complesso.
Fig. 1 |
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Varianti:
1) Per scendere in pozzi paurosamente stretti può essere utile montare il discensore su di un cordino della longe in modo da avere meno ingombro nella zona ventrale. E' un'operazione un po' rischiosa in quanto bisogna necessariamente effettuare gli eventuali frazionamenti con il cordino rimanente e soprattutto capita spesso che il moschettone della longe col quale chiudiamo il discensore non sia a ghiera (quindi il consiglio è quello di montare il discensore sulla longe tramite il moschettone a ghiera del discensore.)
2) In caso di corde molto lente (ma attenzione... una corda può essere lenta nel primo tratto e non esserlo affatto nel secondo) può essere utile montare la corda a "C" (Vedi fig. 3) ma questa tecnica fa lavorare il discensore in modo non uniforme e soprattutto presenta un numero così grande di rischi e complicazioni che ritengo sia una tecnica da presentare ma da usare molto raramente!
LA CHIAVE DEL DISCENSORE: E' questo uno speciale nodo che si confeziona sul discensore e permette di bloccarlo sulla corda. E' un nodo estremamente sicuro e la sua esecuzione va imparata alla perfezione.
Eseguire la chiave: Tenete saldamente la corda a valle con la mano destra quindi alzatela e portatela, dal davanti, nella gola che si forma tra il discensore e la corda che viene da sopra (vedi figura). Durante questa manovra togliete per un attimo la mano sinistra dalla sua posizione avvolgente sul discensore in modo da non legarvela. Prendete quindi la corda che scende, fate un'ansa, e infilatela nel moschettone (senza aprirlo) del rinvio o meglio del discensore; quindi incappucciate con l'asola il discensore; (vedi figura) fatto ciò avete completato la chiave. La confezione di questa chiave sembra difficile ma una volta fatta vi renderete conto che è di una banalità unica.
E' importante, prima del passaggio in cui si confeziona l'ansa da infilare nel moschettone, stringere con la mano sinistra la corda a monte contro il discensore in modo da bloccare la corda che scende a valle; infatti solo in questo modo possiamo staccare la mano destra (che sta tenendo la corda e quindi ci tiene fermi) senza fischiare giù!
Sciogliere la chiave: Eseguire le manovre dell'esecuzione in senso inverso.
LA DISCESA: Viste queste note preliminari avviciniamoci al pozzo dove troveremo o un'asola o un corrimano al quale ci assicureremo con la longe (è sempre possibile e spiacevole scivolare quindi MAI AVVICINARSI ALLA SOMMITA' DEL POZZO SE NON SI E' ALLONGIATI. E' una regola fondamentale che VA rispettata, infatti in speleologia gli incidenti succedono durante le manovre e questa è una di quelle a rischio!).
- Giunti nel punto dove la corda scende nel pozzo allongiamoci (vuol dire attaccare la longe) ALL'ANSA del nodo (e non al moschettone per evitare di schiacciare la corda col nostro moschettone) che collega la corda all'ancoraggio.
- Per effettuare queste operazioni è necessario non rimanere MAI privi di sicurezza, ossia è bene allongiarsi col secondo cordino di sicura PRIMA di aver staccato l'altro!
- Inseriamo la corda nel discensore (più a monte possibile per evitare che poi, quando andremo in carico, vada in carico prima la longe del discensore..) come abbiamo già visto ed eseguiamo la chiave; a questo punto, con il discensore bloccato dalla chiave e con la longe assicurata all'ansa del nodo, ci appendiamo dolcemente (perché gli strappi vengono trasmessi direttamente al nodo ed all'ancoraggio) sul discensore e liberiamo la longe. Adesso non resta che sciogliere la chiave ed iniziare la discesa.
State ora scendendo ed arrivate ad un punto in cui si trova uno spigolo; lo vedete e pensate: " qui la corda struscia e si rovina...beh poco male sto facendo un corso e la corda non è mia vuol dire che questi hanno soldi da buttare". Poi pensate ancora: " ma la corda potrebbe lesionarsi fino al punto di rompersi..." continuando a scendere vi trovate sotto il punto incriminato... "ma se ciò accade mi ammazzo". Questo pensiero, in effetti, vi comincia a dare un po’ più di fastidio, beh noi non siamo del tutto pazzi anche perché ci appendiamo alla vostra stessa corda, quindi se aveste avuto un po’ più di fiducia vi sareste accorti che scendendo ancora di qualche centimetro troverete un frazionamento (in seguito vedremo dove, perché e come si confeziona). Ora vi siete accorti da soli che la corda in quel punto poteva essere danneggiata perciò onde evitare spese ma soprattutto danni alle persone abbiamo confezionato questo frazionamento
FRAZIONAMENTI: Il frazionamento (vedi figura) altro non è che un ancoraggio naturale od artificiale sul quale si aggancia un moschettone entro il quale si passa, annodandola opportunamente, la corda in modo da evitare punti pericolosi per la salute della stessa.
Tipologie di frazionamento
PASSAGGIO DEI FRAZIONAMENTI IN DISCESA: Siete quindi davanti ad un ostacolo nuovo che dovete superare, ora vediamo come si fa:
- Scendete finché la maglia rapida (dell'imbrago) arriva all'altezza del frazionamento, ora vi serviranno entrambe le mani perciò:
- Confezionate la chiave. Ora dunque avete le mani libere.
- Prendete quindi la longe CORTA ed agganciatela all'ANSA del nodo del frazionamento.
- Sciogliete la chiave e scendete fino a quando il vostro peso non sarà trasferito completamente sulla longe, quindi aprite il discensore, togliete la corda e, facendo ben attenzione a non ingarbugliarvi, recuperate la corda che scende dal frazionamento.
- Montatela come già visto nel discensore. Mentre effettuate quest’operazione lasciate il moschettone di rinvio agganciato all'ansa che fa la corda che sale: avrete così due punti di sicura: la longes in carico ed il moschettone di rinvio come ulteriore sicura.
- Chiuso il discensore sganciate la corda dal rinvio e passatelo sulla corda che scende. Cercate di montare il discensore più vicino possibile al nodo, infatti, più in alto (verso il frazionamento) lo avrete messo, più semplice vi sarà il ripartire.
- A questo punto confezionate la chiave
- Ora, aiutandovi con le gambe (le braccia solo per l'equilibrio) che si appoggiano sulle asperità della parete (quando esistono) o mettendo un ginocchio o un piede (a seconda della misura) nell'ansa della corda che sale, alzatevi quel tanto che basta per sganciare la longe.
- Calatevi ora LENTAMENTE trasferendo il vostro peso al discensore (bloccato con la chiave! E IMPORTANTE FARE LA CHIAVE PERCHE' ALTRIMENTI A QUESTO PUNTO SI RISCHIA LA VITA!).
- Siete appesi fermi e tranquilli quindi sciogliete la chiave e scendete gridando " LIBERA " in modo che chi vi sta’ sopra possa utilizzare il tratto di corda che voi avete appena liberato.
Continuate così ad ogni frazionamento ed arriverete prima o poi in fondo senza grossi problemi.
Per passare i frazionamenti a volte può tornare utile l'uso di una staffa realizzata magari con un vecchio cordino e collegata al frazionamento tramite un moschettone. Avere un simile attrezzo appeso in cintura non dovrà mai essere motivo di vergogna, ma piuttosto un modo di andare in grotta cercando di fare meno fatica possibile. Ricordatevi di non utilizzare detto cordino soprattutto se vecchio per altri scopi che potrebbero risultare pericolosi.
Bene siete così arrivati sul fondo della cavità e siete tutti contenti e ben ignari di ciò che avete combinato... scendere è facile, ma risalire e più faticoso (ora farete i conti con la forza di gravità).
- Mettete in tensione il cinghietto che collega il pettorale al croll fintantoché la vostra posizione vi renda simile ad un gobbo; inizialmente sembra scomoda ma vi aiuterà in salita quando il tutto si assesterà.
- Aprite quindi i due bloccanti ed inserite la corda in modo che il croll risulti in posizione sottostante alla maniglia. (Si monta sempre prima il croll e poi la maniglia stando attenti ad incominciare la salita nel punto esatto della verticale in modo da evitare pericolosi dondolamenti una volta appesi sul vuoto)
- Mettete ora il piede destro dentro la staffa; con la mano sinistra (ma si può anche usare piede sinistro e mano destra, l'importante è non utilizzare mano destra - piede destro o mano sinistra - piede sinistro perché il baricentro si sposta dalla verticale e la salita è più scomoda) alzate la maniglia lungo la corda e contemporaneamente sollevate la gamba in modo da seguire il movimento.
- Ora agite sulla gamba destra "pedalando"; dovrete effettuare questa manovra più volte SENZA mettervi a sedere sull'imbrago fintantoché non avrete recuperato l'elasticità della corda; solo a questo punto vi metterete a sedere e comincerete ad alzarvi dal suolo.
- Nella fase iniziale ed anche appena superati i frazionamenti la corda tende a non scorrere nel croll per cui con la mano libera afferratela sotto il croll e tiratela verso il basso in simultanea con il movimento della gamba; la gamba libera invece vi servirà per tenervi lontani dalla parete. Quindi la gamba libera vi darà l'equilibrio (insieme alla mano libera) e vi allontanerà dalla parete, mentre la gamba sulla staffa "pedala". Un metodo alternativo e molto efficace per far scorrere il croll è quello di far passare la corda a valle tra la staffa e la nostra gamba come mostrato in figura. |
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Il miglior risultato (Pedalata più efficiente e minor sforzo fisico) si ottiene NON pedalando verso il basso ma scalciando leggermente indietro (ciò serve per portare il baricentro più in asse possibile con la verticale ed anche per indirizzare il corpo in direzione della corda perché altrimenti tenderebbe, almeno a livello delle spalle, ad allontanarsi arcuandosi all'indietro).
Nel caso che la corda cada in "libera" (cioè lontana dalle pareti) la gamba libera perde la sua funzione e viene impiegata nella pedalata aiutando così la destra: cioè, saliti i primi metri con il metodo precedente, vi fermate ed infilate anche il secondo piede nella staffa, prendete la corda da sotto il croll e la passate davanti alla staffa fra i due piedi, quindi impugnate la maniglia con entrambe la mani e muovete contemporaneamente in alto mani e gambe. Durante questo movimento divaricate bene i piedi lasciando scorrere in mezzo la corda, quindi raggiunto il punto più alto richiudeteli serrando la corda; distendete le gambe ed utilizzate le braccia per l'equilibrio. Il movimento è del tutto simile a quello che s’impara per salire le pertiche o le funi. Questo tipo di andatura prende il nome di andatura a mo’ di bruco, osservate qualche vostro collega e capirete il perché.
Bene ora voi state risalendo tranquilli sbuffando come treni e sudando come foste in Africa ignari di ciò che vi attende. Ad un tratto sentite un botto: siete voi che avete dato una capocciata alla parete; vi guardate in alto e con vostro gran rammarico vedete un frazionamento ed imprecate.... c'era già in discesa per cui dovevate aspettarvela. Spontanea vi assale una domanda: "e adesso?"
PASSAGGIO DEI FRAZIONAMENTI IN SALITA:
- Salite fino a portare la maniglia un paio di centimetri al di sotto del nodo, quindi agendo sulla staffa, (anche con le punte dei piedi se è il caso) alzatevi più che potete ed agganciate la longe CORTA al frazionamento.
- A questo punto dovrete passare i bloccanti uno alla volta nella corda in alto iniziando dal croll.
- Per sbloccare il croll ci si alza leggermente issandosi in piedi sulla staffa; con una mano si tiene tesa la corda sotto il croll mentre con l'altra (la destra) lo si apre, facendo ruotare la leva.
- Ci si riadagia DOLCEMENTE sulla longes e, recuperata la corda che sale, la si mette, stando ben attenti a non ingarbugliarla, nel croll sotto il quale con una mano se ne recupera più che si può.
- A questo punto si sgancia la maniglia e, stando attenti anche qui a non far ingarbugliamenti, la si posiziona sulla corda che viene dall'alto ovviamente sopra il croll. Per passare la maniglia è conveniente togliere i piedi dalla staffa.
- Eseguito con calma il tutto, si controlla che tutte le corde siano LIBERE da passaggi strani (in particolare controlliamo lo stato del frazionamento, la posizione del moschettone d'armo e soprattutto osserviamo se la corda si è impigliata in eventuali lame o sporgenze taglienti; questo punto è fondamentale ma quasi tutti non lo considerano affatto dimenticando che un'eventuale lama tagliente sulla quale si è avvolta la corda in seguito al nostro passaggio PUO' LESIONARE LA CORDA E UCCIDERE CHI CI SEGUE!)
- Non resta che iniziare a risalire per alcuni centimetri sgravando così la longe e recuperandola prima possibile; fatto ciò date il via libera a chi vi segue.
Potrebbe essere che in risalita la vostra longe risulti corta e che quindi non riusciate ad agganciarla al frazionamento potete allora allungarla aggiungendovi i moschettoni prima quello del rinvio del discensore e se proprio non basta anche quello del discensore.
Fino a qui si parla di progressione normale cioè con la corda messa a piombo (verticale) purtroppo ciò non è sempre possibile, vuoi per la morfologia del posto o per motivi di sicurezza per cui nei nostri giri sotterranei incontreremo altri mostri dai fantastici per quanto tenebrosi nomi ovvero: traversi, pendoli, deviatori, tirolesi, corde giuntate. Vediamo ora come superare tutto ciò.
TRAVERSI: prende il nome di traverso un armo particolare che si sviluppa per lo più orizzontalmente e che solitamente si fa quando c'è il rischio che da dove ci si trova possa arrivare dell'acqua la quale scendendo ci prenderebbe in pieno con conseguenze non sempre piacevoli oppure dove la partenza del pozzo si presenta con pietre instabili ed in quantità tali da renderne impossibile la pulizia. Ma i motivi possono essere molteplici!
Il traverso è costituito da brevi tratti orizzontali, al massimo uno o due metri fra ogni chiodo dove vengono messe due corde parallele opportunamente annodate. Se avete due longe (come consigliato) non ci sono problemi: le attaccate ad entrambe le corde, altrimenti userete la longe più una serie di moschettoni agganciati tra loro ed attaccati al delta (ricordatevi che andare in grotta con qualche moschettone in più può aiutarvi in molte situazioni imbarazzanti).
Il passaggio si effettua scorrendo da un chiodo all'altro e quando lo si raggiunge ci si alza usando le asperità presenti e si passa una longes alla volta sul prossimo tratto. Si continua così finché non si trova una corda, che a seconda dei casi sale o scende, dove la progressione torna ad essere la normale in salita o discesa.
Succede talvolta che il traverso venga effettuato su di una parete strapiombante in tal caso il primo che arma provvederà a confezionare ad ogni chiodo delle staffe con la corda in modo da facilitare il passaggio.
PENDOLO: il pendolo altro non è che l'arrivo della corda spostato dalla verticale. (Ad esempio una bella finestra sulla parete di un pozzo però lontana dalla verticale della corda. Oppure, più frequentemente, il frazionamento da superare si trova fuori dalla verticale della corda e per proseguire in basso dobbiamo necessariamente effettuare una manovra diversa dal semplice frazionamento)
In discesa si cercherà di arrivare, se il pendolo é molto ampio, con gli occhi all'altezza del frazionamento, quindi, bloccato con la chiave il discensore, ci si tira verso l'attacco a forza di braccia. (Eventualmente utilizzando maniglia e croll) Una volta giunti all'attacco ci si aggancia con la longe e quindi, sbloccata la chiave, si passa il peso gradatamente al frazionamento. Nel caso arriviate corti calatevi lentamente sulla verticale e scendete ancora un po’ quindi riprovate, state però attenti a non scendere troppo altrimenti dovrete fare un'inversione di marcia per risalire fino al frazionamento. Dopo un paio di volte vi farete l'occhio e non avrete più problemi.
Ora giunti all'eventuale frazionamento lo passate, come un normale frazionamento in discesa.
In salita: compiuta la nostra visita risaliamo e ci troviamo presto o tardi innanzi al pendolo che in questo caso si supera come se fosse un normale frazionamento (cioè si fanno scorrere croll e maniglia fino a che non vanno in tiro), avendo però l'accortezza di non sganciare la longe di colpo perché si rischia di partire e stamparci sulla parete opposta tipo gatto Silvestro. Per ovviare a ciò prendete la corda e passatevela sotto la gamba destra se pendolate a sinistra e viceversa (in questo modo la corda entra nel croll correttamente) quindi impugnate la corda del pendolo poco sotto il nodo ed usando entrambe le mani calatevi pian piano fino ad arrivare sulla verticale, quindi iniziate a risalire nel modo consueto.
Colui che arma il pendolo dovrà sempre ricordarsi di mettere all'attacco dello stesso due moschettoni collegati a catena oppure tramite un cordino: questo perché le oscillazioni tendono a svitare la piastrina dallo spit favorendone l'uscita.
DEVIATORI (o rinvii): a volte invece di usare un frazionamento affinché la corda non tocchi la parete si può usare un deviatore. Questo è costituito da un moschettone collegato ad un cordino (o fettuccia) opportunamente ancorato e di lunghezza tale che la corda di progressione passando per il moschettone sia deviata dalla verticale e quindi dal punto pericoloso. Per oltrepassare tale artificio in discesa, una volta raggiuntolo, lo si sgancia (ovviamente si sgancia il moschettone) e lo si aggancia subito dopo sulla corda sopra, quindi si riprende la discesa normalmente. Se per compiere tale manovra si deve usare entrambe le mani va da sé che prima bisogna bloccare il discensore con la chiave. In salita: raggiunto il deviatore fatelo scorrere verso l'alto salendo per un po’ quindi sganciatelo e passatelo sulla corda sotto di voi, dopo di ché, utilizzando la stessa corda che scende dall'alto, calatevi pian piano fino a raggiungere la verticale. |
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TIROLESE: Si tratta di una corda tesa in orizzontale che permette di superare ostacoli quali laghi o pozzi sostituendo a volte il traverso. Superare una tirolese è semplice: ci si aggancia anche qui con due longe e ci si lascia andare tendendo le mani a monte dei moschettoni; diversamente queste potrebbero finire fra gli stessi e la corda alla quale siete appesi, con conseguente schiacciamento. Finita la parte discendente ci si tira verso l'ancoraggio d'arrivo a forza di braccia o usando il bloccante mobile.
Esistono tecniche più elaborate e complicate che fanno uso di carrucole e bloccanti per superare tirolesi estremamente lunghi.
GIUNZIONE DI DUE CORDE: è un caso raro, ma può capitare di dover congiungere due corde o isolare un tratto di corda lesionata a causa della caduta di pietre.
Scendendo Fermarsi 10 cm sopra al nodo ed autoassicurarsi all'asola della giunzione con la longe LUNGA. Agganciare la longe CORTA alla maniglia ed inserire la maniglia sulla corda più in alto possibile. Ora proseguire la discesa fino a portare tutto il peso sulla maniglia. (Per facilitare la manovra di apertura del discensore è preferibile non farlo arrivare a toccare il nodo)
Smontare il discensore dalla corda superiore e montarlo in quella inferiore avendo l'accortezza di ridurre il più possibile la distanza del discensore dal nodo. (Questo per evitare il problema di cui si parla sotto)
Adesso eseguite la chiave!
Alzandosi in piedi sulla staffa, scaricare il peso dalla longe CORTA collegata alla maniglia quindi staccarla da quest' ultima.
Trasferire LENTAMENTE il peso sul discensore e recuperare la maniglia (Questa è troppo in alto e non ci arrivate?? Capita capita... capita a tutti prima o poi... per porvi rimedio leggete sotto!)
Ora togliere la longe LUNGA dall'asola di sicurezza, sfare la chiave e ripartire.
Potrà capitarvi alle volte di valutare male le misure, perciò il rinvio della maniglia entrerà in trazione: ciò significa che avete posto la maniglia troppo in alto; se così avviene rialzatevi sulla staffa, inserite il croll sulla corda ed iniziate a scendere abbassando alternativamente i bloccanti fino a quando non sarete scesi della distanza giusta.
In risalita il tutto è più semplice: arrivati con la maniglia sotto l'ostacolo agganciate la longe all'asola di giunzione, quindi sganciata la maniglia la passate oltre e risalite per un po’ portando il croll sotto la giunzione poi lo sganciate e lo passate sopra, quindi recuperate la longe che fungeva da sicura e risalite.
Chi pensava fosse finalmente finita si sbagliava. Preso da un attacco di cattiveria vi creo un'altra difficoltà:
INVERSIONE DI MARCIA: a volte può capitare di dover invertire il senso di marcia (per fortuna molto di rado) quindi vediamo ora come ciò avviene:
Inversione da discesa in salita: bloccate il discensore con la solita chiave, agganciate la maniglia, alzatevi usando il pedale ed agganciate il croll sulla corda SOPRA il discensore quindi salite per alcuni centimetri, sbloccatelo e recuperatelo, quindi continuate la risalita.
Inversione da salita in discesa: recuperate la corda che esce DA SOTTO il croll e passatela nel discensore stando attenti a passarla nel verso giusto considerando attentamente quale sarà la corda che verrà dall'alto e quella dal basso. Adesso eseguite la chiave. Ora collegate per sicurezza la vostra longe LUNGA alla maniglia. Abbassate ora la maniglia lasciandola in alto quel tanto che vi permetterà di sbloccare il croll stando in piedi sulla staffa, quindi liberato quest'ultimo portate lentamente il vostro peso sul discensore ed una volta fatto ciò recuperate la maniglia.
Ricontrollate che tutto sia a posto, sbloccate la chiave e scendete.
AVVERTENZE DI CARATTERE GENERALE: può succedere che inavvertitamente facciate cadere un sasso: appena ve ne accorgete gridate più forte che potete " SASSO".
Se invece siete voi ad udire da un compagno questo grido, ripetetelo per chi sta sotto di voi e cercate di appiattirvi alla parete o, se esiste una nicchia, riparatevi sotto.
NON ALZATE MAI PER NESSUN MOTIVO IL VISO PER VEDERE (questo gesto viene spontaneo ed è molto molto pericoloso). Stessa cosa vale se vi sfugge qualcosa di mano, non chiamatela per nome altrimenti chi vi sta’ sotto fraintenderà ed alzerà il viso.
Per concludere non sporgetevi mai sui pozzi se non debitamente legati .... ABUSATE DELLA LONGE (infatti per quanto vi possiate chiamare Angelo o vostra madre o moglie vi chiamino angelo mio..., voi non possedete le ali) e non rimanete mai sotto i pozzi per quanto dura possiate avere la testa, ma mettetevi in parte ben al sicuro.
Bisogna tener presente che le tecniche di armo (che vengono trattate in questo capitolo e nel successivo) vanno conosciute a fondo oppure ignorate completamente in quanto la classica "infarinatura" può essere decisamente pericolosa in svariate situazioni.
li pozzo è un luogo dove viene a mancare il pavimento, che è molto più in basso. Si tratta di raggiungerlo.
Non ci interessiamo sul come i problemi posti da queste strutture venivano risolti in passato.
Per riuscire a scendere naturalmente occorrerà una corda, un modo di usarla, dei nodi ed altri attrezzi meccanici che presenteremo.
Gli ancoraggi possono essere suddivisi in due tipi, quelli naturali e quelli artificiali.
Questi ancoraggi hanno l’immenso vantaggio di essere belli e pronti, basta circondarli di corda o di fettuccia.
Si tratta di tronchi d'albero (all'esterno) oppure di spuntoni di roccia rotondeggianti particolarmente adatti a sorreggere un peso.
Hanno però molti difetti: quello essenziale è che in genere non sono dove li si vorrebbe.
Poi ci sono gli svantaggi tecnici: in genere gli ancoraggi naturali sono fortemente “anisotropi” cioè tengono solo su certe direzioni particolari; inoltre a volte sono infidi. Infine tendono a danneggiare la corda che vi viene legata.
Localizzazione : se un ancoraggio naturale non è dove lo si desidera non bisogna usarlo: se ne deve mettere uno artificiale.
(Se ritieni di poterlo spostare in posizione più consona vuol dire che non è un ancoraggio naturale, e soprattutto che non hai cara la vita!)
Anisotropia: questo primo difetto viene ovviato con un accorto studio di come avverranno le sollecitazioni. E' un punto delicato che richiede occhio espertissimo: non basta valutare la direzione di tenuta "normale" ma anche quelle di trazione eventuale conseguenti ad accidenti come chiodi che saltano o pendoli. Auguri.
Pericolosità: il fatto che spesso siano infidi viene superato con una estrema prudenza, e soprattutto doppiando l'attacco in ogni caso.
Danni alla corda: li terzo difetto, il danneggiamento, si può ovviare in due modi diversi. Prima di tutto usando I' attacco naturale solo per “doppiare” un attacco su chiodi in modo che la corda, su di esso, lavori solo nel caso che questi saltino: a quel punto il fatto che la corda riporti qualche danno è irrilevante.
Se invece è proprio il naturale che verrà caricato è meglio usare spezzoni di corda di servizio che abbraccino l’attacco ed ai quali sia ancorata la corda vera.
Globalmente però, è molto, molto, molto consigliabile che l’uso di attacchi naturali sia riservato solo al doppiaggio di ancoraggi artificiali.
GLI ARTIFICIALI RECUPERABILI: Sono i più classici degli attacchi da roccia, come i chiodi da fessura, i nut e simili. Ma in speleologia sono quasi sempre inutilizzabili e comunque poco affidabili oltre che estremamente ingombranti da trasportare. Quindi non verranno presi nemmeno in esame e si consiglia sempre di fare poco affidamento su di essi nel caso che se ne dovessero trovare in una grotta. (In tal caso è meglio provvedere all'immediata sostituzione con artificiali classici da speleologia.
L’ARMO A SPIT: Il principale fissaggio in grotta sono le boccole ad espansione Spit Roc MF8, che d’ora in poi chiameremo genericamente Spit.
L’Hilti HHS M8 è un’ottima boccola con caratteristiche analoghe. Il suo conetto di espansione è però diverso da quello dello Spit Roc, e dunque utilizzarli entrambi può provocare errori pericolosi al momento del fissaggio definitivo. Per questo credo sia meglio non utilizzarlo affatto, così come è stato raccomandato anche nell’ambito della Sezione Speleologica del CNSAS.
Lo Spit. Consta di un cilindro cavo, da una estremità filettato internamente, dall’opposta dentato in modo che, avvitato su un apposito perforatore (che ha la forma e viene utilizzato come uno scalpello, con la differenza che invece di avere la punta ha la filettatura dove si avvita lo spit), si possa forare con esso stesso la roccia, ricavandogli una sede cilindrica. Fatto questo si mette dalla parte dentata un cono, che martellando la boccola nel foro, ne provoca l’espansione e dunque il fissaggio.
Perforatore. Ha la forma e viene utilizzato come uno scalpello, con la differenza che invece di avere la punta ha la filettatura dove si avvita lo spit. E’ il tramite dell’urto fra il martello e lo Spit. Ne esistono moltissimi tipi, tutti più o meno validi. Deve essere saldamente impugnabile ed avere la bocca d’attacco allo Spit dello stesso diametro di questo, in modo che sia possibile entrare nella roccia oltre la fine del chiodo.
Inoltre è meglio se ha sistemi che permettano di forzarne la rotazione nel caso il perforatore si “pianti”: fori dove mettere la chiave o analoghi.
E infine è più carino se il cordino è fissato su un anellino che può ruotare, in modo che esso non si arrotoli sul perforatore mentre si fora.
La foratura. Particolare cura va posta nell’eseguire il buco. Occorre che questo sia due o tre millimetri più lungo dello Spit in modo che, una volta aggiunto il cono ed espanso il chiodo, la parte esterna di questo, filettata, rimanga a filo della roccia.
Anche questa superficie che circonda la boccola va lavorata: bisogna che sia ben perpendicolare all’asse principale della boccola e spianata con cura (prima di forare) in modo che la placchetta vada ad appoggiare tutta contro lo Spit. Si otterrà una buona sede per la placchetta usando lo stesso Spit a mò di dolce scalpello.
Il foro va fatto con delicatezza, specie all’inizio, curando di non svasarne l’imbocco (vedi oltre per i dettagli).
Frequentemente ci si deve soffiare dentro per svuotarlo della polvere formatasi, sia per evitare di continuare a tritarla senza scavare la roccia, sia per non intasare la boccola.
Se il foro è di difficile accesso si può usare una pompetta o un tubicino.
L’approfondimento oltre le dimensioni dello Spit dipende dal tipo di roccia; in genere, come abbiamo detto, vanno bene due o tre millimetri, ma in rocce particolarmente dure generalmente deve essere maggiore. Solo l’esperienza porta a risultati positivi.
Si può avere un'idea se lo Spit è messo bene passandoci sopra un dito: occorre che non lo si senta in rilievo né che si senta un buco. Nel primo caso la roccia che lo tiene ancorato è poca e superficiale (la peggiore), nel secondo il bullone di fissaggio verrà a lavorare a flessione, perché la placchetta non riuscirà ad aderire allo Spit, e questo causerà un notevole abbassamento del carico di rottura, come vedremo più oltre.
Bisogna evitare di piantare lo Spit in rocce marce o lesionate, lame, concrezioni e in genere tutto ciò che battuto con il martello dà un suono smorzato; la roccia cattiva sotto l’urto dell’espansione si frattura e lo Spit può divenire mortale.
Più in generale occorre che il chiodo non sia troppo vicino al bordo della placca su cui viene infisso ne’ ad altri Spit: per fissare le idee occorre stame almeno ad una quindicina di centimetri di distanza.
Ma lo vedremo meglio fra poco.
Bulloni. I bulloni che collegano lo Spit alla placchetta devono essere di acciaio ad alta resistenza (marcati 8.8 o 10.0) e si deve fare attenzione che lavorino a taglio e non a flessione.
Devono essere del tipo a testa esagonale.
Martello. E’ un attrezzo fondamentale dagli innumerevoli utilizzi. Per saggiare la roccia occorre che sia un po’ pesante, per mettere gli Spit é utile che abbia circa la stessa massa del perforatore (ottimizza il trasferimento di energia), per essere trasportato occorre che sia cortissimo e lieve come una farfalla, per disostruire che sia piuttosto pesante, per fare sedi placchette e disostruzioni fini (lato sassi, ad esempio) che abbia una breve becca. E’ poi utile se sul fondo ha una chiave tubo.
Insomma, nessun martello è perfetto, molti martelli da roccia vanno bene, tutti quelli da grotta benissimo.
Organizzazione. Un problema grave posto dall’uso degli Spit, è l’organizzazione dell’insieme boccola - cono - bullone - placchetta.
Vi sono vari modi per tenerlo ordinato. Quello che forse è migliore è tenere i coni già sugli Spit, fissati con un nastro adesivo, ed i bulloni già avvitati per due o tre giri su essi.
Quando risulta necessario avere gli Spit a portata di mano, è assai comoda la “cartucciera”, cioè un pezzo di gomma spessa con molti fori ai quali, tramite i bulloni, si fissano gli Spit con i coni ad una estremità e con un foro più grande per un moschettone tramite il quale appendersi il tutto in bandoliera.
Vi sono molte varianti alla tecnica descritta, tutte valide. Una è quella di avere un piccolo tubetto in gomma apribile solo da una parte, in cui tenere i coni. Questa tecnica ha il vantaggio rispetto alla precedente, di non obbligare a cercare di togliere il nastro adesivo dallo Spit, manovra difficile in certe posizioni orribili e con le mani guantate.
Un buon posto dove mettere il conetto mentre si sta piantando lo Spit è la bocca. Un altro discreto è l’interno dei guanti, in cima ad un dito.
L’ARMO A FIX:
Un altro tipo di tasselli il cui uso va crescendo sottoterra sono i cosiddetti Fix 8 ( di varie marche) e i loro equivalenti Hilti HSA M8 che d’ora in poi diremo genericamente Fix.
Sottolineo che fra questi tasselli non ci sono problemi di pericolose incompatibilità e dunque sono utilizzabili indifferentemente.
Si tratta di cilindretti filettati alla cui estremità è ricavata la sede conica di un anellino. Li si infila in un foro praticato in precedenza. L’azione di estrarli fa risalire l’anellino sulla zona conica e così il Fix viene a trovasi fissato saldamente alla roccia.
In realtà sono sistemi di fissaggio molto vecchi, ma le prove che erano state fatte per utilizzarli nel lontano ‘73 con trapani a mano (!) avevano mostrato che ci voleva un tempo assurdo per piantarn uno, ed erano stati richiusi in un angolo della memoria. L’avvento dei rivoluzionari trapani a batteria li ha fatti rimettere in gioco all’istante.
Una delle paure iniziali nell’adozione dei Fix era che non si sapeva nulla del loro invecchiamento in grotta. Ora ne sappiamo poco di più ma, forse a torto, non abbiamo quasi più paura; capita di lasciare armi fissi su Fix curando solo di lasciarci fisse le loro placchette, senza stressarli con l’avvita e svita per recuperarle. Ma non è detto che i Fix continuino ad essere sicuri anche dopo vari anni. Un possibile rimedio c’è, e dovrebbe essere adottato da chi prepara armi fissi: utilizzare i Fix in acciaio inox. Sono più resistenti e sicuramente più stabili; sono anche più cari, ma non in modo insopportabile per speleologi di una delle maggiori potenze industriali del mondo.
Fissaggio. Il fissaggio è banale, ma ha alcuni punti delicati:
1) fai un test della roccia ove vuoi fissare il chiodo con una martellata poi
2) rifai lo stesso test della roccia ove vuoi fissare il chiodo con qualche altra martellata, per esser ben sicuro; eh già, con la storia che “adesso ci abbiamo i trapani” c’è rischio di dimenticare che un chiodo fissato in m..erda non tiene nulla e di accorgersi di questo “dettaglio” solo quando ci si appende. Stiamo all’occhio, ma all’occhio davvero!
3) ora che hai visto che la roccia canta bene dalle un poco la forma atta a ricevere la placchetta con lievi martellate;
4) fora perpendicolarmente alla superficie;
Spit e Fix tengono persino un po’ di più se lavorano un pochetto ad estrazione: dunque è meglio sbagliare fissandoli un poco inclinati verso la direzione da cui proverrà il carico;
5) metti il Fix sulla placchetta, con il dado quasi alla estremità del Fix; è meglio se fra la placchetta e il dado c’è una rondella d’acciaio sottile;
6) infili a dolci martellate il Fix nel foro;
non lo trovi più? Capita, capita...
7) avviti il dado iniziando l’estrazione del Fix;
8) ti ritieni soddisfatto quando la coppia di serraggio che devi fare per stringere ancora è di un paio di chilogrammi per metro: cioè quando carichi con “una decina o quindici chili” la tua chiave lunga una quindicina di centimetri.
Malfunzionamenti. Vediamo quali grane possono capitare.
Una è che il Fix continua ad uscire, uscire e si fissa con parecchio gambo fuori. Per tenere in modo adeguato deve aver come minimo 5 mm di filetto nel foro e questo vuol dire che, se la placchetta è ben a filo della roccia e il Fix del tipo solito 8.25 e spunta per più di due centimetri (un dito), fa schifo.
Un secondo guaio si ha se il Fix si mette a girare nella sede senza riuscire ad essere estratto e bloccato; non rimane altro da fare che recuperare la placchetta (se ci si riesce), distruggere lo schifo di chiodo appena messo e piantarne uno nuovo.
Un terzo è che si è fatto un foro da vomitare: il Fix esce, esce e infine cade in mano a chi avvitava. Non rimane altro che dimenticare il foro appena fatto e fame uno migliore, con più attenzione.
Controlliamo in questo caso che l’accidente non sia capitato perché la punta è torta o ancor peggio perché in realtà la roccia è marcissima!
Ho parlato di Fix “normali”, e difatti ci si va orientando sul tipo 8.25. Non credo che sia opportuno allontanarsene.
Il vantaggio dei Fix sugli Spit è che il foro ha un volume minore. Questo per una foratura a mano importa zero perché la foratura a mano è comunque un processo a bassissima efficienza (solo una minima parte dell’energia spesa dalle braccia va a scavare) e la velocità di foratura viene a dipendere da un sacco di parametri, fra i quali il volume del foro, che però finisce per contare poco. Ma se il sistema di foratura è paurosamente efficiente come quello che si ha con un trapano, il discorso cambia: si ha che se tanta é la carica di batteria, tanto é il volume scavato, o quasi. Dunque bisogna usare chiodi piccoli. Sono stati usati in modo piuttosto esteso i Fix da 6 mm per risalite con risultati buoni. Si mettono molti più chiodi da 6 che da 8, ma al prezzo di raddoppiare i materiali di fissaggio e le punte. E’ soprattutto grave il fatto che si finisce spesso per usarli per piccoli armi: ma il loro carico di rottura, adeguato per salite in artificiale, è troppo basso per questo scopo. Infine anche in artificiale a volte ci si mette in posizioni orripilanti dalle quali, se guardiamo il chiodino da quadri che ci sta reggendo, ci sentiamo male. Insomma i Fix da 6 sembrano avere più difetti che pregi e dunque sembra meglio lasciarli perdere; con un po’ di rimpianto, però.
In questa sezione vengono utilizzati gli interessanti risultati pubblicati su Resistenza dei materiali speleo - alpinistici, della Commissione Tecniche e Materiali del CNSAS (Corpo Nazionale Soccorso Alpino speleologico) , ottenuti nel laboratorio di Costacciaro.
Rimando chi vuole saperne di più a questa pubblicazione.
Un minimo di fisica. Intanto le unità di misura che ci servono. Nel Sistema Internazionale quella della massa é il chilogrammo (kg), quella della forza il newton (N).
Una tradizione ingegneristica usa invece come unità di forza quella esercitata da una massa di 1 kg, in quiete nel nostro campo gravitazionale, sul vincolo che la tiene ferma, che viene definita come “kg peso (Kgp)”. Si ha perciò che 1 kg » 9.8 N; cioè la tensione di una corda alla quale é appesa, ferma, una massa di i kg è, per definizione, circa 10 newton (N).
Per venire incontro a chi é abituato a confondere massa e peso si tende spesso ad usare il decanewton, DaN, numericamente quasi uguale al kg peso. Farò così e dunque se nel seguito scriverò 1500 DaN significherà all’incirca la tensione causata da una massa di 1500 kg in quiete sulla corda che la tiene sospesa.
Uniformità. Mi preme fare un commento sui carichi di rottura dei materiali cui affidiamo la pelle. A noi non interessa tanto che la rottura avvenga con carichi medi elevati, quanto che non capiti mai che essa avvenga con carichi bassi.
Vediamo di chiarire; supponiamo di avere due sistemi a cui appendere dei carichi. Il sistema Uno a volte sopporta appesa una massa di 10 tonnellate (10000 DaN), a volte cede al carico di soli 100 DaN. Supponiamo che le sue rotture avvengano in modo distribuito fra questi due valori estremi. La media é, ovviamente, circa 5000 DaN. Il sistema Due cede invece in modo uniforme fra i 900 e i 1100 DaN, media 1000 DaN. A quale sistema preferiremmo appenderci? Al Due ovviamente, anche se l’Uno in media regge cinque volte tanto.
L’affidabilità dipende sia dal carico di rottura medio, sia dalla dispersione attorno a questo carico, cioè dalla uniformità del suo comportamento.
Questo problema é acuto nelle infissioni in rocce cattive e per le corde molto usurate, casi in cui la resistenza a rottura viene a dipendere da una marea di parametri. E’ un fatto molto meno drammatico per i prodotti controllati individualmente, molto più uniformi; ma esiste anche in quel caso. Proprio per non avere guai indotti da imperfezioni eccezionali ogni moschettone da alpinismo viene individualmente sottoposto ad un carico del 40% di quello nominale.
E, a titolo di cronaca, segnalo che a volte con questa prova emergono irregolarità di produzione delle barre da cui sono stati fabbricati i moschettoni. In pratica, anche se rarissimamente, capitano serie di moschettoni che non superano la prova.
Bordo del foro. Un'osservazione importante sia per i Fix che per gli Spit:
entrambi mostrano un impressionante calo di resistenza se fatti lavorare a flessione, in sostanza se il bordo del foro non é ben vivo, oppure se la placchetta, in quel punto, sta staccata dalla roccia.
In generale, se fra il punto (del bullone nel caso dello Spit o della filettatura del Fix) dove poggerà la placchetta e il punto dove il chiodo poggia sulla roccia ci sono circa 4 mm di spazio (lo spessore di una placchetta) la resistenza cade a metà; nel caso degli Spit questo é seccante, nel caso dei Fix invece diventa grave, perché si entra decisamente in zona pericolosa.
Spit. E’ critica la correttezza dell’infissione: lo Spit regge i valori normali a taglio (intorno ai 2500 DaN) se sporge per una lunghezza massima di circa un millimetro; ricordo che un millimetro è una lunghezza che sta dieci volte nel diametro del filo del nostro maillon rapide, o quattro nello spessore di una placchetta. Basta cioè che il chiodo sporga di poco perché la sua resistenza cali; se il chiodo sporge in modo evidente la resistenza crolla, cadendo quasi a metà a quattro millimetri (spessore di una placchetta), e riducendosi ad un quarto a sei.
La rottura avviene per cedimento della parte di boccola che reggeva la flessione del bullone.
Esagerare nell’infissione é meno critico: il foro può essere profondo in eccesso sino a quattro millimetri senza che il carico di rottura cali in modo critico. In questo caso quello che cede é il bullone.
Questo, insieme al cedimento precedente, è assai consolante. Infatti in genere noi abbiamo a che fare con roccia di vario tipo, in genere con caratteristiche di compattezza inferiori a quelle dei provini: ma se quello che cede per primo in roccia buona é comunque il chiodo, significa che deve essere ben cattiva perché ceda prima di esso. Soprattutto indica che, decisamente, non dobbiamo mai fare fori scarsi: meglio eccedere, l’indipendenza dalla roccia crescerà e lo Spit continuerà a tenere carichi adeguati.
Ad estrazione la rottura avviene con carichi in genere più alti, ma soprattutto abbastanza indipendenti dalla profondità di infissione.
Il fatto però che sia la roccia che salta ci deve far stare in guardia: un fissaggio in roccia non adeguata può reggere pochissimo ad estrazione. Nel caso di rocce non compatte o di scelta poco oculata del punto di foratura cadiamo perciò nel caso di ampia variabilità della resistenza del chiodo.
L’inclinazione della boccola, se mantenuta entro i 10 gradi, non comporta variazioni pericolose nella resistenza; anzi il chiodo regge di più se é inclinato una decina di gradi verso la direzione dalla quale proverrà il carico.
Due Spit infissi vicini non si influenzano gran che per quel che riguarda la loro resistenza a sforzi a taglio.
Questo è coerente col fatto che le rotture, di norma, sono del chiodo e non della roccia.
Ad estrazione invece la loro resistenza tende a cadere se sono a distanze inferiori a circa 13 cm.
I test per ora sono stati fatti solo con rocce fortemente isotrope. Non è detto che in condizioni reali, con rocce fratturate e non omogenee, valgano gli stessi dati, che dunque sono da intendere come limiti inferiori.
Fix. Il carico di rottura a taglio di questi chiodi é intorno ai 1300 DaN su tutti i tipi di rocce provate. Ad estrazione in genere é del 20 o 30 % superiore, ma qui la uniformità di risposta fra i vari tipi di roccia diminuisce: ogni tanto si arriva a 2100 DaN, ogni tanto si cala a 1100.
Come nel caso degli Spit comuni, ad estrazione le caratteristiche meccaniche della roccia si fanno sentire parecchio. E’ per questo che quello ad estrazione mi sembra un tipo di attrezzamento sconsigliabile: in media regge di più ma la dispersione dei carichi di rottura è maggiore, ed il sistema è quindi meno affidabile.
Il Fix raggiunge il suo carico di rottura massimo (sia a taglio che ad estrazione) quando è infisso nella roccia in modo che almeno 5 mm di gambo filettato siano dentro.
Per avere però importanti cali del carico di rottura occorre infiggerlo in modo che la parte non filettata sporga di molti millimetri: insomma, a differenza che con gli Spit, è difficile fare errori davvero gravi nel fissaggio dei Fix.
Anche nel caso dei Fix si ha che due chiodi vicini non hanno cali della loro resistenza a sforzi a taglio; si influenzano invece per la resistenza ad estrazione, ma solo se sono a distanze inferiori ad 11 cm. La caduta di resistenza non é terribile: credo che se ne possa dedurre la regola di non mettere chiodi, siano Spit o Fix, a meno di una spanna l’uno dall’altro. L’inclinazione del Fix, se mantenuta entro 10 o 15 gradi, non ne pregiudica la resistenza. Un difetto dei Fix appare essere che sono soggetti ad importanti cali della resistenza, a seconda del tipo di placchetta usata, quando sopportano carichi con una grossa componente ad estrazione. |
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Sono il tramite fra il bullone ed il moschettone.
Essenzialmente dunque sono lamine di ferro o di leghe leggere dotate di un foro piccolo per il bullone ed un foro grande per il moschettone. Le forme sono molto varie. Vanno bene un po’ tutte, e del resto sono la posizione dello Spit ed il lavoro che dovrà fare che decidono quale placchetta sia la migliore in quel caso.
In linea di massima sono da preferire quelle con le quali il piano principale del moschettone risulta perpendicolare (o almeno non parallelo) alla roccia, dato che, in questo caso, la corda lavora un po’ meglio.
Se il carico sarà sopportato ad estrazione bisogna escludere tutte le placchette ed orientarsi esclusivamente sugli anelli.
Se non li abbiamo con noi bisogna modificare l’armo e far sì che i carichi vengano applicati solo a taglio, anche in casi eccezionali conseguenti, per esempio, a rotture di chiodi a valle.
Alcune note sui moschettoni nell’armamento di un pozzo.
Vale la regola generale che questi sono il punto debole dell’insieme “chiodo - moschettone - corda” perché possono mettersi a lavorare in maniera diversa da quelle per cui sono progettati. Per questo è meglio che questi siano con la chiusura a ghiera.
Bisogna ricordare che il moschettone è fatto per reggere solo in un modo fra due corde ben agganciate alle sue estremità. La situazione per cui più moschettoni sono attaccati a uno stesso è tendenzialmente pericolosa perché tutti questi, meno uno, faranno lavorare a flessione il braccio del moschettone di tenuta con quindi un importante aumento della sollecitazione.
Questo caso e in special modo quello analogo in cui in uno stesso moschettone lavorano una corda ed un moschettone, si presenta inevitabilmente: occorre dunque essere guardinghi e curare che l’elemento che deve sopportare il maggior carico sia quello al fondo dell’ansa
del moschettone di tenuta e che la corda non rimanga schiacciata da un moschettone sotto
carico.
(Sono state fatte delle prove presso il laboratorio della Kong con i moschettoni a D più comuni prodotti da quella ditta, misurando il carico che causava rottura al moschettone su cui ne erano agganciati vari altri. Se il moschettone caricato è il primo il carico è quello nominale, se è il secondo il carico di rottura si riduce di un terzo, se è il terzo esso cade di un altro trenta per cento, ed entra in zona a rischio.)
Assai validi per gli armamenti sono i maillon rapide, moschettoni industriali con chiusura a vite. Hanno carichi di rottura elevatissimi tanto che sono sufficienti quelli con diametro del filo di otto mm.
Se sono ben chiusi, naturalmente, sennò si aprono come fossero ganci di filo di ferro!
Infine un’altra tecnica, che è quella di non usare affatto moschettoni, agganciando direttamente la corda con una bocca di lupo ad anelli tipo Petzl o Camp: e forse è questa la soluzione più furba, almeno per i chiodi di partenza.
Le tecniche di armo non si imparano leggendo queste righe, ma studiando a lungo gli armi di chi le conosce e poi impratichendosi.
Qui mi limiterò a fornire delle basi generali.
Ma prima un’osservazione generale: l’attrezzamento con trapani e Fix é pericoloso se fatto da inesperti perché é molto veloce. Si rischia di cadere nella trappola di precipitarsi giù attrezzando velocissimi, dimentichi del fatto che l’armo di un pozzo in realtà è il suo spietramento sommato alla sua valutazione sommato alla scelta delle traiettorie da seguire sommato finalmente alla posa di buoni chiodi. Calma: e se non sappiamo armare non cerchiamo di imparare con trapani e Fix!
LE REGOLE AUREE: Ecco le due idee - guida:
1) le corde non devono toccare la roccia;
2) non ci si appende mai ad un solo attacco non rinviato a monte,
neanche per un secondo; il minimo è due attacchi indipendenti. Hai letto, lettore? Due.
ELASTICITÀ. Ora discutiamo le impostazioni d’armo, ma per farlo ci serve qualche
profonda considerazione fisica.
Vado a parlare del perché, in genere, si sia disposti a fare un tuffo arrivando su un letto, ma non su una lastra di cemento. O perché con un martellino e poco sforzo si riescano a sbriciolare rocce che mai si riuscirebbero a fare a pezzi con più pesanti e potenti pugni. |
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Non è una gran scoperta, vero? Ma è generalizzabile a casi meno ovvi, come gli attrezzamenti in grotta.
Ad esempio, questo ci fa escludere le sottili corde in Kevlar per l’uso ipogeo: il carico di rottura di queste è molto grande, anche nel caso di cardini molto sottili, ma questa fibra è estremamente poco elastica. In pratica se ci caschiamo sopra, anche di poco, rischiamo di strappare tutto quanto.
LA COSTRUZIONE.
Non bisogna intanto cedere alla tentazione di iniziare l’armo dal bordo del pozzo. Bisogna iniziare ad uno - due metri dal bordo, dove si fissa uno Spit in posizione assolutamente sicura ed alta rispetto al bordo. Se ad esso ci si dovrà appendere diventa indispensabile assicurarlo, almeno temporaneamente, ad un attacco naturale arretrato, che c’è di sicuro. Anche l’uscita verrà così resa più facile e sicura. Si va su questo Spit doppiato a monte e se ne mette un altro in avanti nel pozzo e tendenzialmente in basso rispetto al primo. Da quello: o si scende, se la corda cade in vuoto, o ci si sposta in avanti, verso il basso, e se ne mette ancora un altro. In questo secondo caso si potrà eventualmente staccare l’ancoraggio naturale che ha doppiato il primo chiodo durante la prima fase, se l’armo non è tale da obbligare ad appendersi al chiodo a monte per raggiungere quello a valle. Se lo è, lo si lasci doppiato. Se farlo mangia troppa corda, bisogna aggiungere un chiodo. Ricordiamoci che la parte decisiva dell’armo si fa in partenza e che lì occorre fare estrema attenzione perché è il punto più pericoloso. Infatti in basso la lunghezza della corda, e quindi la sua elasticità, può far perdonare errori, alla partenza no. La valutazione del punto migliore dove mettere un chiodo si fa, oltre che dal tipo di roccia, facendo cadere delle pietruzze dal punto ove sarà il chiodo e valutando dal tempo di caduta libera la lunghezza per la quale la corda cadrà nel vuoto. È importantissimo che l’armo venga fatto verso il basso, non deve mai accadere che uno Spit ne assicuri un altro, a poca distanza, più in alto di esso. Il cedimento del chiodo in alto potrebbe causare una caduta importante su un tratto di corda corto e, dunque, poco elastico, sottoponendo così il chiodo residuo ad uno sforzo molto grande. La comodità di un armo è un parametro importante ma non deve pregiudicare la sua sicurezza. Perciò si attrezzi scegliendo, fra gli armi possibili e ben sicuri, quello più comodo, perché così è più rapido e meno affaticante da superare. Costruzione di un armo. L’attrezzista inizia con un chiodo in posizione sicura, doppiandolo su un attacco naturale, e poi procede. Qui il posto migliore per lo Spit principale é in posizione più alta dei chiodi che lo assicurano a monte: perciò fa una gassa lunga in modo che i nodi dell’armo vadano scendendo e il fattore di caduta in caso di rotture sia comunque basso. |
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FRAZIONAMENTI. Poi si va giù. Eccoci scendere con cautela, controllando la corda prima che entri nel discensore.
Eccoci, soprattutto, chini a far cadere tutti i sassi che potrebbero, anche remotamente e solo per azione di imbecilli, cadere in testa a qualcuno.
Eccoci studiare con l’elettrico come è impostato il pozzo sotto di noi.
Eccoci cercare di disegnare la traiettoria della corda nei punti più esposti, per evitare di infognare lei e poi noi in canalini, diedri, terrazzi.
Eccoci anche aggiungere dei frazionamenti dove non sarebbero indispensabili, per spezzare il pozzo in più tratte, se si ritiene utile e sicuro che lo possano scendere e salire più persone allo stesso tempo.
Bisogna essere aerei.
Infognarsi, soprattutto all’inizio di un pozzo, nei posti dove ci si sente più al sicuro, quali canalini e terrazzini, ci porta in un calvario di frazionamenti, di cambi, di corde che toccano.
Inoltre i canalini sono i posti privilegiati dove scende l’acqua, cosa grave, e scendono i sassi, cosa gravissima.
Aerei, bisogna essere aerei.
Aerei che fanno cadere i sassi in bilico.
COME CALARE LA CORDA. La corda di discesa durante l’armo di un pozzo puoi:
1) buttarla giù;
2) filarla dall’alto sino a che arrivi a metà corda, cioè sino a che su ne hanno solo l’estremità: a quel punto la fai buttare giù;
3) portarla giù dentro il sacco, in modo che ne esca piano piano.
Il primo modo è spiccio, ma va bene solo per pozzi molto brevi e che sicuramente non scaricano sassi. Usarlo in pozzi lunghi significa scoprire che bisogna recuperarla per far cadere sassi, o scoprire che si è incastrata su una lama lontana. Insomma in genere è da evitare. |
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Il secondo modo è più serio e va bene su pozzi brevi e medi. Ha il vantaggio di non impegnare l’attrezzista con un sacco appeso e questo può essere importante in pozzi di armo molto difficile. Lo svantaggio grave è che quando la corda, previo avviso, viene lasciata cadere, può incastrarsi ovunque, e far cadere sassi. Per ovviare a questo ritengo consigliabile farla lanciare giù senza nodo al fondo; sarà |
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Insomma è una tecnica un po’ delicata e bisogna essere ben sicuri di ciò che si fa. C’è un altro piccolo svantaggio: quando lasciamo cadere in vuoto il capo libero di una corda filata sotto di noi, ed essa non arriva al fondo, il fenomeno assume le caratteristiche di un esercizio di fisica. Tutta l’energia potenziale iniziale della corda viene via via trasferita al tratto in caduta che diviene sempre più corto e dunque meno massiccio e dunque sempre più assurdamente veloce. Di fatto negli ultimi istanti raggiunge la velocità del suono e noi ne sentiremo il “bang” sonico (come accade per lo schiocco di una grande frusta).
Lo speleologo Giovanni Badino racconta nel libro da cui sono tratte queste note che nel P134 del Gaché gli hanno fatto cadere giù, in questo modo, una corda da 100: dopo pochi istanti c’è stata una grande esplosione che lo ha lasciato appeso come uno scemo ai cinquanta chiedendosi chi avesse minato la corda. La sua estremità (l’ha conservata) presenta processi di fusione sul nodo che la chiudeva. Il lettore si chiederà: perché ha usato quella tecnica su un P134? Semplice, era un prearmo, non doveva andare al fondo ma doveva invece pendolare (azione lì davvero difficile, tanto che non ci è riuscito) per cercare di frazionare il pozzo in tratte più brevi che non implicassero attese mortali alla base per le squadre in salita. In quel caso, molto speciale, quella era la tecnica migliore.
Pericolo! Il terzo modo è il più furbo: man mano che si scende si estrae la corda dal sacco; furbo, ma ha già ammazzato gente che ha superato il capo della corda senza che il pozzo fosse finito. |
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Perciò per non cadere in trappola:
1) chi scende controlla sempre tutta la corda verificando di persona se c’è il nodo al fondo e quale è la lunghezza reale della corda;
l’affermazione di un nostro compagno che “in quel sacco c’è la corda da cinquanta e c’è il nodo al fondo” va presa nel senso che è probabile che sia quello il sacco nel quale c’è la corda da cinquanta, che forse ha pure il nodo al fondo. I sacchi si confondono, un errore del genere non deve divenire mortale: Giovanni Badino racconta che lui non si è mai fidato ed una, una sola volta, poco oltre la partenza di un cinquanta (Abisso Baader-Meinhof, nel Monte Corchia, primi anni ‘80) ha filato tutta la corda dichiaratagli “da sessanta” fuori del sacco (farlo alla sommità era mancanza di riguardo per chi gli aveva garantito il contenuto...): le corde erano due, quella su cui stava scendendo era una venti, senza nodo! Insomma, chi consegna il sacco eviti di garantire all’attrezzista cose delle quali costui non dovrà, per principio, fidarsi; dica piuttosto: “credo sia quello il sacco giusto, controlla”.
2) la discesa si fa a grandi tratte in fondo ad ognuna delle quali l’attrezzista si ferma, estrae un poco di corda (cinque - dieci metri, a seconda del tipo di terreno su cui è) e riparte.
Nel capitolo precedente ho dato solo delle linee generali; andare troppo in dettaglio è inutile perché quella dell’armamento è un’arte troppo difficile e variabile da pozzo a pozzo per essere appresa leggendo.
Merita però analizzare meglio il punto “armare verso il basso” cioè che la serie dei chiodi deve essere in discesa. Proprio a questo punto è legato il discorso sulla lunghezza delle gasse: qual é quella giusta?
La tendenza normale è di farle tutte uguali, lunghe poco meno di una spanna. E’ ragionevole, ma è più corretto porsi il problema caso per caso, considerandola una delle variabili dell’armamento di un pozzo. Variando queste lunghezze si può infatti ottimizzare il percorso della corda dal punto più a monte ove è attaccata fino al fondo del pozzo.
Distinguiamo intanto le gasse dell’armo in cima al pozzo e quelle dei frazionamenti.
IN CIMA. Il criterio guida per le prime, perentorio, è questo: devono essere di lunghezza tale che i nodi di ognuna di esse siano in discesa andando dal chiodo più a monte a quello più a valle.
Questo limita un poco quanto affermato sopra Spit più avanzato uguale Spit più in basso; lo Spit più avanzato può essere più alto ma, in tal caso, la sua gassa sarà ben lunga in modo che il nodo sia più in basso del nodo dello Spit a monte, arretrato.
In questo modo, infatti, se anche salta il chiodo più alto la caduta è limitata, con grande guadagno di sicurezza: si cade di poco e su relativamente molta corda.
Anche le uscite sono rese molto più facili e lineari, tanto da meritare qualche commento.
Se le gasse sono tutte corte, i mancorrenti fra l’una e l’altra sono sempre piuttosto tesi e poco utilizzabili. Appendersi ad essi vuoi dire non solo caricare il chiodo a monte, ma anche quello a valle: e se il tratto è teso vuoi dire pure sollecitarli molto. Se la gassa è lunga, invece, il mancorrente è teso quando la corda nel pozzo lo è, ma si scarica quando, in fase di uscita, questa diviene lasca. Ci si può tranquillamente appendere coi bloccanti al mancorrente caricando così il chiodo a monte e lasciando scarico quello a valle perché il nodo della gassa lunga si sposta verso lo speleologo allentando la tensione sul tratto di corda.
Attrezzamenti: Il primo é il più usuale: un buon attacco naturale che assicura una serie di due chiodi, uno più basso dell’altro. Il secondo utilizza un naturale intermedio sulla partenza: dato che esso sarà sollecitato, la corda non gli viene agganciata direttamente, ma tramite un anello di servizio.
Il terzo è fatto con un Guide con Frizione doppio per caricare due chiodi Insieme, ma soprattutto per far scendere la corda da un punto preciso nell’aria fra le pareti. Un breve mancorrente permette di agganciarsi e sganciarsi in sicurezza.
E passiamo ora a vedere la lunghezza delle gas se sui frazionamenti.
AI CAMBI. L’obiettivo continua ad essere quello di ridurre le sollecitazioni sul sistema in caso di rottura del chiodo, diminuendo la caduta ed aumentando la quantità di corda che la ammortizza.
Se il frazionamento è sufficientemente lontano dal chiodo superiore, diciamo una decina di metri, la gassa può essere lunga quel che si vuole: con tutta quella corda ha poca importanza il metro in più o in meno di caduta. E’ meglio a quel punto farla corta, lasciando un’ansa sulla corda a monte di tre o quattro spanne di lunghezza.
Le lunghezze sono intese a corda scarica, occhio all’elasticità!!!
Il frazionamento così è un po’ più comodo da superare sia in salita che in discesa anche con longe corte, ed egualmente sicuro.
L’ansa a monte del cambio deve comunque essere di lunghezza sufficiente per permettere superamenti senza difficoltà. Soprattutto ricordiamo che le corde si accorciano coll'usura e che dunque un armo costruito piuttosto teso può divenire impercorribile il mese dopo.
Il discorso cambia se c’è poca corda sopra, se cioè parliamo di un frazionamento a due o tre metri dalla partenza. In queste condizioni la rottura del chiodo implica la stessa caduta di prima, ma su poca corda statica: dunque è grave. Si può ovviare o accorciando l’ansa o allungando la gassa. La caduta è infatti pari al doppio della distanza fra il nodo di questa ed il fondo dell’ansa:
o si alza uno o si abbassa l’altro.
Alzare il fondo dell’ansa provoca seccature: in discesa c’è il rischio di finire nella “trappola del frazionamento”; abbassare il nodo ne provoca meno: in discesa non ci sono grossi problemi (però attenzione... bisogna allongiarsi al moschettone del frazionamento - col rischio di schiacciare la corda col moschettone - e non alla gassa del nodo), in salita, invece, si arriva contro il nodo e si scopre che la longe non arriva al moschettone del chiodo. Rimediare è banale: ci si appende alla gassa e si cambia senza salire sino al chiodo.
Aggiungiamo un moschettone nella gassa, ci appendiamo a quello e facciamo tutto il cambio come se il moschettone aggiunto fosse quello dello Spit. Moschettonarsi direttamente con la longe alla gassa è invece scomodo (anche se, in molte situazioni, utilissimo): il moschettone non riesce facilmente ad entrare fra i due tratti di corda tesi ed adiacenti della gassa vicino al nodo. Un moschettone in più è, invece, facilmente aggiungibile in cima alla gassa dove i due tratti sono meno accostati. Non ci sono difficoltà se non quella, psicologica, dell’appenderci ad un moschettone incastrato contro un nodo in fondo ad una gassa. Ma è una difficoltà nostra:
la corda a tenere in quelle condizioni non ha nessuna difficoltà. La tecnica è tanto banale, rilassata ed universale che una volta impratichitisi si finisce per usarla sempre; forse sarebbe da insegnare come tecnica standard.
Doppiaggi e rinvii sono due problemi strettamente collegati; infatti in genere lo scopo di un doppiaggio, più che quello di ridurre il carico sugli attacchi, è quello di spostare il punto di sospensione del carico, e questo è proprio il mestiere dei rinvii.
DOPPIARE IN PARALLELO. Sinora ho implicitamente parlato di attacchi che ne assicuravano altri; era una situazione di serie: se salta uno dei due l’altro, sino a quel momento scarico, passa a sostenere il peso (e lo strappo conseguente alla sua applicazione improvvisa).
E’ la situazione normale negli armi di progressione perché è più semplice da costruire e ha il grosso vantaggio che il punto d’attacco è ben fisso perché è direttamente piantato nella roccia: non si sposta neanche nel caso di cambiamenti della direzione di trazione.
Nei casi in cui si sia insoddisfatti degli attacchi così come sono, vuoi per una loro supposta fragilità, vuoi soprattutto per la loro posizione, ci si può orientare a collegarli tutti insieme in modo che il carico venga distribuito fra essi e appeso in un punto diverso.
I modi interessanti per gli armi da progressione sono due, ad anello e con il Guide doppio (Coniglio).
Tecniche ce ne sono in realtà molte altre, ma in genere sono significative solo per armi di soccorso, dei quali non parliamo.
ANELLO. Si fa uso di un anello o di fettuccia (chiuso con nodo da fettuccia) o di corda (chiuso con Inglese doppio) che passa in tutti i moschettoni cui collegarsi.
I singoli doppini che arrivano dai tratti fra un chiodo e l’altro vengono semplicemente messi nel moschettone; il doppino più largo, esterno, vi entra con una torsione che fa sì che il moschettone stesso sia intrecciato all’anello e che quindi anche in caso di cedimento di un chiodo il carico passi sugli altri senza sfilarsi.
Il moschettone dovrebbe essere di tipo grande e a ghiera per poter ruotare e resistere a sollecitazioni laterali importanti. Non ce l’hai? Ci avrei scommesso. Beh, usane un altro, ma che sia a ghiera.
L’angolo fra le varie anse deve essere piccolo, diciamo che indicativamente non si deve mai superare l’angolo retto, perché altrimenti la forza che devono sopportare i chiodi’ diventa troppo grande.
Ogni tratto di corda deve avere una tensione tale che la sua componente verticale sia, nel complesso, uguale al carico applicato: questo significa che quanto più l’angolo fra le tratte è grande tanto più deve essere alta la tensione sulla corda. Possiamo verificano appendendo un martello al centro di un tratto di cordino ed afferrandone i capi con le mani. Con le mani una accanto all’altra sentiamo un piccolo peso, perché ognuna regge metà del peso del martello. Se ora le allontaniamo sentiamo uno sforzo progressivamente crescente diretto sempre in direzione del martello. Quando l’angolo fra le due tratte è 90 gradi lo sforzo che dobbiamo fare su ogni mano è circa il 70% del peso del martello, a 120gradi ogni mano sforza come se reggesse l’intero martello, a 150 gradii circa il doppio, a 179 gradi circa 60 volte, cioè non ce la facciamo proprio più.
La tensione della fune è anche il carico sugli attacchi e dunque in pratica se si fanno angoli aperti si amplifica lo sforzo che essi sopportano. Dunque non si confidi negli attacchi in parallelo per rimediare a chiodi brutti; gli attacchi in parallelo servono soprattutto a spostare il punto di sospensione del carico.
RINVII. Si tratta di un sistema d’armo analogo ai frazionamenti, salvo che la corda invece di esservi legata passa dentro un moschettone, collegato al rinvio con una corda di lunghezza variabile, che si limita a farle cambiare asse(Vedi disegno nelle sezioni precedenti). Di fatto sostituiscono i frazionamenti, ma hanno una tendenza a generare problemi.
In genere non gravi; ma ci può capitare di usurare la corda a contatto col moschettone, soprattutto se il rinvio è poco lontano dalla partenza: e questo non è un inconveniente da poco.
In pratica si fanno:
1) per sfruttare attacchi naturali che sono li che non fanno niente;
2) in pozzi disgraziati per fungere da frazionamenti in aria;
3) per agire da frazionamenti poco sollecitati in pozzi dalla roccia infida.
Nel primo caso non è da scemi usarli solo se migliorano un armo già dignitoso e non sono invece un sistema per evitare la tremenda perdita di tempo di mettere un chiodo.
Il tempo lo finiremo per perdere comunque in salita perché dovremo salire uno alla volta anche su pozzi che avrebbero permesso salite contemporanee di più persone, e l’armo del pozzo continuerà a fare schifo.
Il secondo caso, frazionamenti in aria, capita in pozzi accidentatissimi o meandrosi.
Opteremo senz’altro per rinvii su chiodi, ci limiteremo a deviare tratte piccole per evitare che la corda, quando noi siamo lontani, vada a toccare altrove; e soprattutto ci chiederemo se non stiamo sbagliando qualcosa nell’impostazione d’armo del pozzo.
Il terzo caso, tutta la roccia del pozzo è infida, che io sappia capita solo nelle grotte glaciali le cui ardue tecniche non intendo discutere.
Se ti trovi a dubitare di tutta la roccia di tutto un pozzo credo tu sia troppo apprensivo, lettore: rilassati e scava, sotto il marcio c’è sempre la roccia buona che sostiene la montagna già da ben prima che nascesse tuo nonno.
I rinvii non sollecitano molto l’attacco cui sono legati, tanto meno quanto più l’asse della corda entrante è parallelo a quella uscente. E’ meglio se il moschettone non è a ghiera.
Ricordiamoci che se salta il rinvio ci troviamo a risalire su una corda che tocca. L’attaccarsi a pietroni schifosi può generare anche altri guai: se si staccano cadono in testa a chi è a valle, guidati, come se fossero una bomba intelligente, dalla corda sulla quale lo sventurato è appeso. E’ un incidente da WilIy il Coyote, ma certo il lettore non si stupirà nell‘apprendere che è successo effettivamente.
Infine creano il rischio che la corda, tesa fra attacco principale e rinvio, vada a toccare la roccia a monte di questo quando siamo appesi a valle di esso!
GUIDE DOPPIO. Il Guide doppio permette di risolvere alcuni gravi problemi di armo di pozzo con partenza in meandro. Si chioda su ognuna delle due pareti, si fa un Guide doppio, una gassa su un chiodo e l’altra sull’opposto. A questo punto, con un minimo di pazienza, ci si mette a trafficare col nodo facendo scorrere corda al suo interno sia per posizionare il punto di sospensione bene sul centro della partenza sia per regolare l’angolo fra le due. |
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La gran parte delle grotte esistenti si sviluppa in aree “carsiche’, cioè in rocce calcaree. Queste rocce sono composte essenzialmente di carbonato di calcio (CaCO3) e si sono formate durante le ere geologiche, o dalla precipitazione del carbonato di calcio presente nelle acque del mare (trasportatovi dai fiumi), oppure per accumulo di scheletri e gusci di organismi marini sul fondo del mare che con il tempo giunsero a formare imponenti strati calcarei. Qui il contatto con acqua proveniente da piogge o torrenti produsse, e produce ancor oggi, un fenomeno chimico - fisico che sta alla base del CARSISMO. |
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Questo è essenzialmente il processo che porta alla formazione delle grotte: si tratta quindi di un'evoluzione sia chimica che fisica
Durante il percorso all’interno delle montagne, altri fenomeni dovuti alla variazione di pressione, alla temperatura, alla evaporazione, portano alla separazione dell’anidride carbonica dall’acqua, ritrasformando perciò il Bicarbonato di Calcio (solubile) in Carbonato di Calcio (insolubile). Quest’ultimo è costretto, ora, a depositarsi lungo il percorso dell’acqua, nei punti dove la circolazione rallenta o è addirittura impercettibile.
Lo stillicidio (le gocce d’acqua che si staccano lentamente dalla volta delle grotte) è l’origine delle più belle concrezioni calcaree. La goccia, prima di cadere, si sofferma in attesa di raggiungere una determinata dimensione e, grazie alla tensione superficiale, deposita intorno a sé, a forma circolare, le particelle di carbonato di calcio, che, sovrapponendosi alle precedenti, creano una concrezione a forma di tubicino che crescerà gradualmente verso il basso.
Le concrezioni originate dalla volta vengono denominate STALATTITI, mentre quelle che si innalzano dal pavimento, grazie all’apporto di particelle di carbonato ancora presenti nella goccia d’acqua, vengono chiamate STALAMMITI. La presenza di altri minerali sciolti nelle acque può far assumere alle concrezioni colorazioni diverse.
TIPI Dl CONCREZIONI
- Le concrezioni a spaghetti o capelli d’angelo, esilissime, cave all’interno, spesso trasparenti.
- Le colate stalammitiche, formate sulle pareti e talora incastonate di cristalli di calcite.
- tendaggi a forma appunto di pieghe di tessuto, di dimensioni anche notevoli. Spesso toccandole
provocano effetti sonori e vengono chiamate “organi".
- Le concrezioni mammellonari, di forma pseudosferica agglomerate in gruppi, originate probabilmente
da accrescimento anche subacqueo.
- Concrezioni a grappolo, a cavolfiore, eccentriche, forme molto bizzarre e di origini complesse.
- Le pisoliti, o perle di grotta, si presentano come sferule di varie dimensioni, originate all’interno di
bacini in cui l’acqua scorre in modo incostante.
Limitiamo l'attenzione ad alcuni cenni grafici relativi a quelle che sono le morfologie carsiche interne principali
MORFOLOGIA FREATICA: L'acqua scorre in condotte completamente allagate e forma gallerie dalla sezione rotondeggiante.
A sinistra: sezione trasversale di un condotto ellittico impostato lungo una frattura. Si noti in basso la successiva evoluzione vadosa (meandro) provocata dal ruscello.
A destra: sezione trasversale di un condotto circolare parzialmente invaso da sabbia e ghiaia.
Sotto: Invecchiamento della morfologia freatica. Una serie di crolli e l'abbondante concrezionamento mascherano in parte l'originaria morfologia freatica.
MORFOLOGIA VADOSA: L'acqua scorre ad un determinato livello e crea una specie di "forra" sotterranea dalle pareti verticali e spigolose.
A sinistra: sezione trasversale di un meandro (canyon) il cui pavimento è stato progressivamente abbassato dall’azione erosiva di un torrente sotterraneo.
A destra: profilo longitudinale di una galleria vadosa e di un pozzo “a campana" scavato da una cascata.
Fonte: http://www.cavernicoli.it/new/wp-content/uploads/2014/02/Dispense.doc
Sito web da visitare: http://www.cavernicoli.it e http://digilander.iol.it/speleologisenese
Autore del testo: gruppo speleo CAI Siena http://digilander.iol.it/speleologisenese
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