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LE CONSEGUENZE DEL REATO
Reato e punibilità.
I problemi. La sequenza normale reato-pena.
Il principio di legalità esige che al commesso reato debbano seguire le conseguenze previste dalla legge.
Il principio di legalità esclude che una pena possa essere applicata indipendentemente da un commesso reato: nulla poena sine crimine (dove sia il crimine che la pena debbono essere definiti da una previa legge).
Il principio di legalità, pur nell’additare come normale la sequenza reato-pena, lascia spazio a possibili alternative.
Lineamenti generali del sistema sanzionatorio.
Il sistema sanzionatorio del codice Rocco è stato costruito secondo il sistema del doppio binario: pene e misure di sicurezza.
La pena è la pena tradizionale: risposta di carattere afflittivo-retributivo nei confronti dell’autore di un fatto illecito colpevolmente commesso, finalizzata alla difesa della società e dello stato in chiave di prevenzione generale intimidatrice.
Misure di sicurezza sono collegate alla pericolosità dell’autore del reato.
Il sistema delle pene si articola in pene principali, inflitte dal giudice con sentenza di condanna e commisurate dal giudice entro l’ambito di discrezionalità normalmente assegnato dalla legge, e in pene accessorie, che conseguono di diritto alla condanna, come effetti penali di essa (art. 20 c.p.).
Nel sistema del codice le pene principali, sia per i delitti che per le contravvenzioni, sono la pena detentiva e la pena pecuniaria. Per i delitti è prevista anche la pena a vita (ergastolo). La pena detentiva temporanea è denominata reclusione per i delitti, arresto per le contravvenzioni. La pena pecuniaria è denominata multa per i delitti, ammenda per le contravvenzioni.
La struttura della disposizione sanzionatoria prevede, salvo eccezioni, una cornice edittale fra un minimo e un massimo, entro cui il giudice commisura la pena per il caso concreto.
La pena della reclusione va da un minimo di quindici giorni ad un massimo di ventiquattro anni (art. 23 c.p.). La pena dell’arresto va da cinque giorni a tre anni (art. 25 c.p.). Multa e ammenda sono disciplinate dagli artt. 24, 26 c.p..
La pena della reclusione può arrivare ad un massimo di trent’anni per effetto di circostanze aggravanti (art. 66 c.p.) o in caso di concorso di reati (art. 78 c.p.). Le medesime disposizioni stabiliscono un massimo di cinque anni o di sei anni per la pena dell’arresto; stabiliscono inoltre i massimi assoluti per le pene della multa e dell’ammenda.
Accanto alle pene principali vi è un sistema di pene accessorie (artt. 28 s. c.p.): si tratta di pene interdittive, cioè divieti di svolgere determinate funzioni o attività, per un certo periodo o anche in perpetuo. Di carattere non interdittivo è la pubblicazione della sentenza di condanna. Anche per le pene accessorie temporanee sono stabiliti limiti minimi e massimi di durata.
Il secondo binario del sistema sanzionatorio è rappresentato dalle misure di sicurezza: istituti pensati in chiave di risposta ad autori di reato pericolosi, per i quali la pena classicamente intesa o non sia applicabile o sia ritenuta insufficiente. Alle misure di sicurezza è assegnata una funzione di prevenzione speciale: di sicurezza nei confronti di soggetti ritenuti pericolosi. Profili retributivi o generalpreventivi sono estranei a tali misure.
L’obbligatorietà dell’azione penale. Le condizioni di procedibilità.
Il principio di legalità dei reati e delle pene ha il suo naturale riflesso processuale nel principio di obbligatorietà dell’azione penale, affidata al pubblico ministero (art. 112 Cost.). Il principio di legalità rende doverosa la repressione delle condotte violatrici della legge penale (corte costituzionale). L’applicazione della legge penale deve essere uguale per tutti.
Il pm e la polizia giudiziaria prendono notizia dei reati di propria iniziativa (art. 330 c.p.p.) e ricevono le notizie di reato. In presenza di una notizia di reato, il pm deve procedere nelle indagini, e, quando siano stati raccolti elementi sufficienti, esercitare l’azione penale nelle forme previste dal codice di procedura penale.
La stessa legge penale può condizionare il procedere del pm ad iniziative di soggetti, la cui presa di posizione in ordine al commesso reato sia ritenuta rilevante dall’ordinamento giuridico ai fini della risposta al reato. Condizioni di procedibilità sono la querela della persona offesa e la richiesta o autorizzazione a procedere da parte di soggetti istituzionali (artt. 120 s. c.p.). L’impossibilità di procedere si risolve nella mancata applicazione della legge penale.
La querela della persona offesa.
La più importante fra le condizioni di punibilità è la querela della persona offesa (artt. 120-126 c.p.).
La querela è condizione di procedibilità per i reati per i quali ciò è specificamente previsto nelle norme di parte speciale. Delitti che offendono interessi privati, collocabili in una fascia di gravità non elevata. Delitti contro il patrimonio meno gravi, come il furto, la truffa, il danneggiamento non aggravati; l’appropriazione indebita, salvo aggravanti; l’insolvenza fraudolenta; il falso in scrittura privata. Delitti contro la persona: ingiuria e diffamazione; percosse, lesioni dolose lievissime; lesioni colpose, salvo lesioni gravi o gravissime causate da violazione della normativa sulla sicurezza e igiene del lavoro. Tra i delitti perseguibili a querela, quelli più gravi sono i delitti contro la libertà sessuale.
Con la presentazione della querela l’avente diritto esprime la sua volontà che l’autore del reato sia perseguito. L’art. 123 c.p. dispone che la querela si estende di diritto a tutti coloro che hanno commesso il reato.
La querela non può essere presentata, dopo decorsi tre mesi dal momento in cui l’avente diritto ha avuto notizia del reato (art. 124 c.p.). Dopo che sia stata presentata, la querela può essere rimessa, e la remissione accettata dal querelato fa venir meno la procedibilità (artt. 152-156 c.p.).
Irrevocabile, una volta che sia stata presentata, è la querela per delitti sessuali.
Altre condizioni di procedibilità.
In alcuni casi la procedibilità presuppone una richiesta di procedere da parte del ministro della giustizia. Ciò vale per: alcune ipotesi di delitto commesso all’estero; delitti perseguibili a querela in danno del presidente delle repubblica; alcuni delitti contro la personalità dello stato.
La non punibilità sopravvenuta.
Il quadro d’insieme.
Anche quando sia accertata, in esito del processo, la responsabilità di taluno per un determinato fatto di reato, ciò non necessariamente comporta una pronuncia di condanna alla pena. In casi eccezionali il reato nasce non punibile, a causa di immunità personali o di cause speciali di non punibilità. Ma anche quando il reato nasce punibile e l’azione penale è validamente instaurata e proseguita, nella fase successiva al commesso reato si aprono spazi significativi per una non punizione dipendente da fatti successivi o comunque da valutazioni successive al reato.
Vi sono cause di non punibilità sopravvenuta e ipotesi di non irrogazione o non esecuzione della pena.
Il tratto comune è che non sono cause di non punibilità originaria; la non punizione o la non punibilità sopravvenuta rappresentano invece delle possibili alternative nella risposta al reato e presuppongono, quindi, la commissione di un reato astrattamente punibile.
La corte costituzionale ha dichiarato, per le cause di non punibilità in generale, che è necessario e sufficiente, che siano il frutto di un ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali in gioco. Vengono in rilievo: la ritenuta inesistenza di bisogni di reazione, in considerazione della insignificanza del fatto per minima offensività in concreto, e/o per ragioni di prevenzione speciale; la considerazione di fatti successivi al reato, ritenuti incidenti sulla meritevolezza o sul bisogno di pena; la considerazione del decorso del tempo dopo il commesso reato; l’intervento di un potere di clemenza, che in modo dichiaratamente eccezionale renda inapplicabili le regole altrimenti da applicare.
La manovra premiale della non punibilità.
Il fattore tempo apre la possibilità di manovrare la minaccia di pena in modo da favorire determinati comportamenti dell’autore del reato, successivi al reato.
La manovra premiale può consistere nella previsione di circostanze attenuanti, ma può anche spingersi fino a prevedere cause di non punibilità sopravvenuta.
Condotte di riparazione dell’offesa, da parte dello stesso offensore, possono essere sollecitate con la previsione di un trattamento più favorevole. È la tecnica del ponte d’oro.
Una valenza premiale può essere chiaramente colta nella attenuante comune di cui all’art. 62 c.p.: il risarcimento del danno e riparazione dell’offesa giovano in ogni caso all’autore del reato, quanto meno come ragioni d’un trattamento sanzionatorio più mite.
L’eliminazione del danno patrimoniale comporta la non punibilità di un reato di modesta gravità, come l’insolvenza fraudolenta (art. 641 c.p.). la non punibilità dovrebbe presupporre una riparazione integrale dell’offesa, mentre per l’attenuazione di pena può bastare una riparazione parziale. Appare accettabile, inoltre, solo se il comportamento riparatore sia tenuto entro soglie temporali non eccessivamente dilatate, così che la reintegrazione dell’interesse offeso dal reato possa essere ragionevolmente valutata come osservanza, sia pur tardiva, del precetto che era stato violato.
La commisurazione della pena.
La discrezionalità del giudice nella risposta al reato.
Il problema. La disciplina generale.
Quando la pena legale è strutturata in forma di cornici edittali, fra un minimo ed un massimo, si pone il problema della commisurazione della pena nel caso concreto.
Si parla di commisurazione in senso stretto, con riferimento alla commisurazione della pena entro la cornice edittale, e di commisurazione in senso lato, con riferimento a tutti gli ulteriori momenti della decisione sulla risposta al reato nel caso concreto.
Art. 132 c.p.: limiti al potere discrezionale del giudice nell’applicazione della pena. Nei limiti fissati dalla legge, il giudice applica la pena discrezionalmente; esso deve indicare i motivi che giustificano l’uso di tale potere discrezionale. Nell’aumento o nella diminuzione della pena non si possono oltrepassare i limiti stabiliti per ciascuna specie di pena, salvi i casi espressamente determinati dalla legge.
Art. 133 c.p.: gravità del reato: valutazione agli effetti della pena. Nell’esercizio del potere discrezionale indicato nell’articolo precedente, il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta:
Il giudice deve tener conto, altresì, della capacità a delinquere del colpevole, desunta:
Potere formalmente vincolato a criteri posti dal legislatore, del cui esercizio il giudice è tenuto a rendere conto con adeguata motivazione, e che è sottoposto ad un controllo di legittimità, in relazione al rispetto dei criteri legali. Il potere del giudice non può essere arbitrario, sciolto da vincoli, perché ciò sarebbe in contrasto col principio di legalità.
Questo modello non trova coerente applicazione nella prassi, quanto meno nel senso che la prassi giurisprudenziale riduce al minimo la motivazione sulla pena, ridotta spesso a formule di stile.
Criteri finalistici di commisurazione della pena.
È da escludere che la finalità di prevenzione generale sia un criterio legittimo di commisurazione della pena in concreto, secondo criteri di esemplarità punitiva. A ciò osta il principio di personalità della responsabilità penale: le conseguenze della responsabilità penale nei singoli casi, nei confronti del singolo autore di reato, non possono essere determinate sulla base di elementi esterni alla sfera personale del singolo autore di reato.
Criteri fattuali di commisurazione della pena.
La gravità del reato.
Si tratta di valutare il fatto che costituisce oggetto del giudizio di colpevolezza. Oggetto di valutazione è la realizzazione colpevole del fatto concreto, nei diversi aspetti da cui dipende la misura della colpevolezza per il fatto, la quale dipende sia dalla gravità oggettiva del fatto, sia dalla natura del rapporto soggettivo dell’agente con il fatto commesso. La valutazione di obiettiva gravità dell’offesa va dunque bilanciata e completata con la valutazione dei profili soggettivi: intensità del dolo o grado della colpa.
La capacità a delinquere.
La valutazione sulla capacità a delinquere del condannato, deve essere legata esclusivamente alla finalità di prevenzione speciale, entro il limite segnato dalla proporzione con la colpevolezza per il fatto. Nessuno spazio può essere concesso per una forzatura del limite, né nell’ottica della prevenzione generale, né nell’ottica del contrasto alla pericolosità soggettiva del condannato.
Gli effetti penali della condanna. La riabilitazione.
La sentenza di condanna produce, oltre alla applicazione della pena principale, ulteriori effetti: eventuale applicazione di pene accessorie e altri effetti penali.
Alla sentenza di condanna conseguono anche effetti giuridici non penali, di restrizione di diritti, la cui disciplina sta al di fuori dell’ordinamento penale.
Gli effetti penali della condanna sopravvivono, di regola, alle cause di estinzione della pena, a differenza delle pene accessorie. L’estinzione degli uni e delle altre può invece aversi con la riabilitazione, che il codice colloca fra le cause di estinzione della pena, anche se non estingue la pena principale, e può essere richiesta solo dopo decorsi cinque anni dal giorno in cui la pena principale sia stata eseguita o si sia altrimenti estinta.
Condizione per la riabilitazione è che il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta.
La riabilitazione non ha effetto retroattivo: la sua funzione guarda al futuro, ed è di eliminazione di tutte le limitazioni derivanti dalla condanna, che possano ostacolare il pieno reinserimento del condannato nella vita sociale.
Le circostanze del reato nella commisurazione della pena.
I criteri generali.
Ad ogni circostanza, aggravante o attenuante, corrisponde un aumento o una diminuzione di pena. I criteri di determinazione dell’aumento o diminuzione di pena sono due: variazione percentuale rispetto ad una pena base, o determinazione di una cornice edittale autonoma.
Il criterio di più generale applicazione è l’aumento o la diminuzione fino a un terzo, rispetto alla pena base commisurata fra il massimo e il minimo edittale previsto per il reato commesso.
La misura minima degli aumenti o diminuzioni di pena detentiva è di un giorno; per le pene pecuniarie, un euro.
Art. 63 c.p.: quando la legge dispone che la pena sia aumentata o diminuita entro limiti determinati, l’aumento o la diminuzione si opera sulla quantità di essa, che il giudice applicherebbe al colpevole, qualora non concorresse la circostanza che la fa aumentare o diminuire.
Concorso di circostanze omogenee.
Se concorrono più circostanze aggravanti, ovvero più circostanze attenuanti, si applica ancora la regola dell’aumento fino a un terzo, per ciascuna circostanza.
Art. 63, 2-3 c.p.: se concorrono più circostanze aggravanti, ovvero più circostanze attenuanti, l’aumento o la diminuzione di pena si opera sulla quantità di essa risultante dall’aumento o dalla diminuzione precedente.
Quando per una circostanza la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato, o si tratta di circostanza ad effetto speciale, l’aumento o la diminuzione per le altre circostanze non opera sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza anzidetta.
Se concorrono più circostanze omogenee per cui sia prevista una pena autonoma, ovvero ad effetto speciale, si applica solo la pena stabilita per la circostanza più grave; ma il giudice può aumentarla (art. 63 c.p.).
Gli aumenti o diminuzioni di pena, dipendenti da circostanze aggravanti o attenuanti incontrano dei limiti.
Dispone l’art 66 c.p. che se concorrono più circostanze aggravanti, la pena da applicare per effetto degli aumenti non può superare il triplo del massimo stabilito dalla legge per il reato, salvo che si tratti delle circostanze indicate nel secondo capoverso dell’art. 63 c.p., né comunque eccedere:
Per il caso di concorso di più circostanze attenuanti, limiti minimi sono fissati dall’art. 67 c.p.. La pena non può essere applicata in misura inferiore a un quarto della pena base, salva l’applicazione delle regole relative alle circostanze ad effetto speciale.
Per i delitti puniti con l’ergastolo, non si può scendere al di sotto dei dieci anni di reclusione.
Concorso di circostanze eterogenee. Il bilanciamento fra circostanze.
Dispone l’art. 69 c.p.: quando concorrono insieme circostanze aggravanti e circostanze attenuanti, e le prime sono dal giudice ritenute prevalenti, non si tien conto delle diminuzioni di pena stabilite per le circostanze attenuanti, e si fa luogo soltanto agli aumenti di pena stabiliti per le circostanze aggravanti.
Se le circostanze attenuanti sono ritenute prevalenti sulle circostanze aggravanti, non si tien conto degli aumenti stabiliti per queste ultime, e si fa luogo soltanto alle diminuzioni di pena stabilite per le circostanze attenuanti.
Se fra le circostanze aggravanti e quelle attenuanti il giudice ritiene che vi sia equivalenza, si applica la pena che sarebbe inflitta se non concorresse alcuna di dette circostanze.
Le disposizioni precedenti si applicano anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole ed a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa o determini la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato.
Nel sistema originario del codice, le circostanze indicate dell’ultimo comma erano escluse dal bilanciamento; una novella del 1974 ha generalizzato l’istituto a tutte le circostanze.
Se il bilanciamento porta ad un giudizio di equivalenza, le circostanze vengono praticamente azzerate ai fini della commisurazione della pena. Se invece il bilanciamento porta a un giudizio di prevalenza delle aggravanti sulle attenuanti, o viceversa, allora la circostanza o il gruppo di circostanze prevalenti trova applicazione, a tutti gli effetti, e il gruppo soccombente no.
Restano salvi, per le circostanze soccombenti nel bilanciamento o rese inapplicabili da un giudizio di equivalenza, solo eventuali effetti che non si ricollegano al quantum della pena.
Commisurazione della pena, tecniche premiali, processo premiale.
La manovra sulla pena nel contrasto alla criminalità organizzata. Il premio per la collaborazione processuale.
Modello punitivo a forbice: da un lato, un forte rigore di principio, dall’altro forti mitigazioni per chi collabori con l’autorità di giustizia penale.
Delitti di associazione e delitti in cui si estrinseca l’attività di associazioni criminose: sequestro di persona a scopo di estorsione; traffico di stupefacenti, delitti di mafia o di terrorismo.
Introduzione di aggravanti speciali per i delitti commessi con finalità di terrorismo o connessi all’attività di associazioni di tipo mafioso. Sono eccezionalmente sottratte al bilanciamento ex art. 69 c.p..
Trattamento molto meno severo per chi, pur autore di gravi delitti, abbia prestato una collaborazione utile con le autorità preposte all’accertamento dei reati.
Una sensibile diminuzione di pena è prevista a favore del concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, ovvero aiuta concretamente l’autorità di polizia e l’autorità giudiziaria nella raccolta di prove decisive per l’individuazione o la cattura dei concorrenti. Diminuzione molto forte: alla pena dell’ergastolo è sostituita la reclusione da 12 a 20 anni, e le altre pene sono diminuite da un terzo alla metà.
Obbligo, per il collaboratore, di fornire il quadro complessivo delle informazioni utili in suo possesso in un verbale illustrativo dei contenuti della dichiarazione, entro 180 giorni dalla manifestazione della volontà di collaborare. Le circostanze attenuanti premiali possono essere concesse solo a chi abbia sottoscritto in termini il verbale, salvo che la collaborazione si manifesti nel corso del dibattimento.
Il problema della legittimità di tecniche premiali per la collaborazione processuale.
Il principio di uguaglianza di per sé non si oppone all’adozione di tecniche premiali di incentivazione alla collaborazione processuale: il fatto della collaborazione introduce fra la posizione del collaborante e quella di chi non collabora una differenza non irragionevolmente valutabile dal punto di vista di interessi e criteri rilevanti per il sistema penale, e che perciò può essere ragionevolmente presa in considerazione dal legislatore fra gli elementi atti a differenziare la risposta penale in concreto.
Le diminuzioni di pena connesse a riti alternativi.
Forme di definizione del giudizio alternative al dibattimento, che comportano una forte semplificazione e accelerazione del processo. Applicazione della pena su richiesta delle parti (patteggiamento); il giudizio abbreviato; il procedimento per decreto.
Il venir meno della garanzia del dibattimento è reso possibile dal consenso dell’imputato. Una previa richiesta è necessaria per accedere al patteggiamento e al giudizio abbreviato; nel caso di decreto penale, l’imputato ha la scelta se proporre o no opposizione.
Scelte di questo tipo sono incentivate e premiate dall’ordinamento con una riduzione della pena.
Nel caso di giudizio abbreviato è prevista una riduzione secca di un terzo; la pena dell’ergastolo è sostituita con 30 anni di reclusione.
Nel caso di patteggiamento è consentita una riduzione fino a un terzo.
Nel decreto penale la pena può essere diminuita sino alla metà del minimo edittale.
La riduzione è calcolata a partire dalla pena che altrimenti sarebbe stata applicata dal giudice.
La diminuzione di pena connessa ai riti alternativi non è inclusa nella disciplina delle circostanze attenuanti. Non rientra nel bilanciamento con eventuali aggravanti; nel patteggiamento e nel rito abbreviato la diminuzione si applica sempre e comunque, sulla pena che sarebbe da applicare secondo le regole generali.
Un forte incentivo all’utilizzazione del rito abbreviato, nel caso di delitti severamente puniti, sta nella possibilità di evitare la pena dell’ergastolo, e nella forte incidenza, in relazione a pene base elevate, della riduzione secca di un terzo.
La manovra sulla pena deve essere valutata anche dal punto di vista dei principi del diritto penale sostanziale.
La commisurazione della pena viene differenziata secondo criteri che non hanno a che fare con la gravità del fatto, né con la colpevolezza dell’autore.
La legittimità costituzionale del premio per la scelta del rito può essere salvata, a fronte del principio d’uguaglianza, in ragione degli effetti del premio sulla funzionalità della macchina giudiziaria complessivamente considerata e quindi sull’efficacia generalpreventiva.
La sospensione condizionale della pena.
La pena non eseguita: il modello della messa alla prova.
La pena inflitta con la sentenza di condanna deve essere eseguita.
Sospensione condizionale dell’esecuzione della pena. Il risultato del processo di cognizione diviene provvisorio: pur essendo stata pronunciata in sentenza una pena coerente con i criteri legali di commisurazione, può essere giusto e preferibile rinunciare ad eseguirla, in presenza di dati presupposti e a date condizioni, fra le quali il comportamento del condannato durante un periodo di prova.
L’esito positivo della prova estingue il reato. In caso di esito negativo, la sospensione è revocata e si dà corso all’esecuzione della pena.
Il giudice dispone la sospensione condizionale della pena quando, in presenza degli altri presupposti di legge e alla luce dei criteri di cui all’art. 133 c.p., presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati (art. 164 c.p.).
Ambito e presupposti della sospensione condizionale.
Lo spazio aperto alla possibile sospensione della pena è delimitato da una soglia massima di pena sospendibile, da un limite alle possibilità di reiterazione, e da condizioni personali del condannato.
La soglia massima di pena sospendibile, nel testo originario del codice, era un anno di pena detentiva; la novella del 1974 ha portato la soglia a due anni.
Una soglia più elevata di pena sospendibile è prevista per i reati commessi da soggetti al di sopra o al di sotto di una data età. Nel testo vigente la soglia è di tre anni per i reati commessi da minori degli anni diciotto; di due anni e sei mesi per i reati commessi da giovani fra i diciotto e i ventun anni, o da ultrasettantenni.
Dentro il limite di pena consentito, la sospensione condizionale può riferirsi a una pena inflitta per una pluralità di reati in concorso fra loro.
Una legge del 2004 ha neutralizzato, ai fini del computo della soglia massima di pena detentiva sospendibile, l’incidenza dell’eventuale pena pecuniaria congiunta a pena detentiva non superiore a due anni. La pena detentiva può, in tal caso, essere sospesa, mentre la pena pecuniaria verrà eseguita.
La sospensione condizionale si applica anche alla pena pecuniaria. Quanto alle pene accessorie, l’esclusione della condizionale è venuta meno con la novella del 1990.
Nel sistema originario del codice la sospensione condizionale poteva essere concessa una sola volta; secondo il testo dell’art. 164 c.p. novellato nel 1974, può essere concessa due volte, sempre che la pena inflitta con la seconda condanna, cumulata con la precedente,non superi le soglie di cui all’art. 163 c.p..
La sospensione condizionale della pena non può essere concessa a chi ha riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto, anche se è intervenuta riabilitazione, né al delinquente o contravventore abituale o professionale, né quando alla pena inflitta deve essere aggiunta una misura di sicurezza personale.
Gli obblighi di risarcimento o di riparazione dell’offesa.
La messa alla prova del condannato può essere arricchita di contenuti positivi.
Nel testo vigente fino al 2004, l’art. 165 c.p. prevedeva la possibilità di subordinare la condizionale all’adempimento di obblighi di risarcimento del danno o di riparazione dell’offesa. In caso di seconda concessione, è prevista come obbligatoria, salvo che ciò sia impossibile.
La novella del 2004 ha introdotto la possibilità di disporre, se il condannato non si oppone, la prestazione di un’attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa.
I possibili esiti della prova.
Il periodo di prova decorre dalla data della sentenza definitiva. Esso dura 5 anni se la condanna è per delitto, 2 anni se per contravvenzione.
La prova ha esito positivo se, nei termini stabiliti, il condannato non commette un delitto, ovvero una contravvenzione della stessa indole, e adempie gli obblighi impostigli (art. 167 c.p.). In tal caso il reato è estinto e non ha luogo l’esecuzione delle pene.
La sospensione è revocata se, nei termini stabiliti, il condannato commetta un nuovo delitto o una contravvenzione della stessa indole, per cui venga inflitta una pena detentiva.
Possibilità di concedere una seconda sospensione condizionale (art. 164 c.p.) quando la nuova condanna, cumulata con la precedente, non superi i limiti di pena entro i quali la sospensione può essere concessa.
Come causa di revoca della sospensione condizionale viene in rilievo anche una nuova condanna per un delitto precedentemente commesso, che cumulato alla pena sospesa superi i limiti di concedibilità del beneficio. Se il limite massimo non è superato, il giudice effettuerà una nuova valutazione, per decidere se revocare la sospensione condizionale già concessa, ovvero concedere una seconda sospensione.
Causa di revoca infine, è l’inadempimento degli obblighi imposti al condannato ex art. 165 c.p..
La non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.
Il casellario giudiziale è il luogo in cui vengono raccolte informazioni sui precedenti penali.
L’art. 175 c.p. prevede che, in caso di prima condanna ad una pena non superiore alle soglie indicate in detta disposizione, della condanna non sia fatta menzione nel certificato del casellario spedito a richiesta di privati, non per ragioni di diritto elettorale.
Il beneficio della non menzione può essere concesso una sola volta.
La non menzione può essere nuovamente concessa nel caso di condanna per reati anteriormente commessi a pene che, cumulate con quelle già irrogate, non superino i limiti di applicabilità del beneficio.
Il beneficio è revocato se il condannato commette successivamente un delitto.
La pena detentiva.
Tipi di pena detentiva.
La pena detentiva è il tipo di pena che più caratterizza il sistema penale italiano.
Essa colpisce un bene, la libertà personale, che appartiene a tutti. Può essere indefinitamente graduata.
L’ergastolo.
La massima pena, nel diritto penale italiano, dopo l’abolizione della pena di morte, è l’ergastolo, cioè la pena detentiva a vita.
Art. 22 c.p.: la pena dell’ergastolo è perpetua, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati, con l’obbligo del lavoro e con l’isolamento notturno. Il condannato all’ergastolo può essere ammesso al lavoro all’aperto.
L’ergastolo è previsto per alcuni delitti particolarmente gravi contro la personalità dello stato, e per fatti offensivi della vita. Può anche essere applicato in forza della disciplina del concorso di reati: art. 73 c.p.: quando concorrono più delitti, per ciascuno dei quali deve infliggersi la pena della reclusione non inferiore a 24 anni, si applica l’ergastolo.
Con una legge del 1962 è stata estesa ai condannati all’ergastolo la possibilità di liberazione condizionale, dopo almeno 28 anni di carcere ed in caso di dimostrato ravvedimento. Successivamente la soglia di pena espiata per l’ammissione dell’ergastolano alla liberazione condizionale è stata abbassata da 28 a 26 anni, ed è stata estesa ai condannati all’ergastolo l’applicabilità della misura alternativa della semilibertà dopo aver espiato almeno 20 anni di pena.
L’ergastolo viene scontato nelle case di reclusione, secondo le regole comuni.
Reclusione e arresto.
Per i delitti la pena della reclusione è la regola; spesso è congiunta o alternativa alla pena pecuniaria.
Per le contravvenzioni, il nostro ordinamento prevede la pena dell’arresto.
L’esecuzione della pena detentiva. L’ordinamento penitenziario.
La riforma penitenziaria. I principi generali.
La disciplina dell’esecuzione non è contenuta nel codice penale, ma nell’ordinamento penitenziario. Disciplinata dalla riforma penitenziaria del 1975.
Riconoscimento del condannato come soggetto di diritti, e non come soggetto passivo in un rapporto di pura soggezione.
L’apertura dell’esecuzione all’ambiente esterno. Le misure alternative alla detenzione.
Il quadro d’insieme.
Apertura della pena detentiva al mondo esterno al carcere. Misure alternative alla detenzione. Modifiche che incidono sulla stessa pena da espiare, riducendone la durata o sostituendo all’esecuzione carceraria una modalità di esecuzione strutturalmente diversa, in tutto o in parte fuori del carcere.
Le misure sostitutive alla detenzione non sono applicate con la sentenza di condanna, ma presuppongono una previa sentenza definitiva di condanna a pena detentiva, e sono di competenza del tribunale di sorveglianza, non del giudice di cognizione.
Istituti legati al comportamento del condannato. Il condannato è messo in condizione di poter influire, con il suo comportamento, sulla durata della pena e/o sulle sue modalità di esecuzione.
Prognosi favorevole su un comportamento futuro; premio per un comportamento positivo già tenuto; un comportamento inadempiente può comportare la cessazione della misura alternativa.
Le singole misure alternative.
Affidamento in prova al servizio sociale.
Art. 47 ord. pen.: se la pena definitiva inflitta non supera tre anni, il condannato può essere affidato al servizio sociale fuori dell’istituto per un periodo uguale a quello della pena da scontare.
Modello della prova: l’esito finale dipenderà dal comportamento del condannato durante l’esecuzione della misura. L’affidamento è revocato qualora il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile con la prosecuzione della prova.
A seguito della revoca viene ripresa l’esecuzione della pena detentiva.
L’affidamento in prova non è una misura alternativa alla pena, ma una modalità di esecuzione della pena, alternativa alla detenzione, caratterizzata da divieti ed obblighi.
Restrizioni di libertà comunque legate a modalità alternative all’esecuzione della pena in carcere debbono essere considerate ai fini del complessivo trattamento sanzionatorio.
L’esito positivo del periodo di prova estingue la pena e ogni altro effetto penale.
Detenzione domiciliare.
Consiste nell’espiazione della pena nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza.
La detenzione domiciliare è revocata se vengono a cessare le condizioni che la legittimano, o quando i comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appare incompatibile con la prosecuzione delle misure.
Semilibertà.
Il regime di semilibertà consiste nella concessione al condannato e all’internato di trascorrere parte del giorno fuori dell’istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale.
Possono essere espiate in regime di semilibertà la pena dell’arresto e della reclusione non superiore a sei mesi, se il condannato non è affidato in prova al servizio sociale.
L’ammissione al regime di semilibertà è disposta in relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento, quando vi sono le condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella società.
Il provvedimento di semilibertà può essere in ogni tempo revocato quando il soggetto non si appalesi idoneo al trattamento.
Liberazione anticipata.
Al condannato a pena detentiva che ha dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione è concessa, quale riconoscimento di tale partecipazione, e ai fini del suo più efficace reinserimento nella società, una detrazione di 45 giorni per ogni singolo semestre di pena scontata. A tal fine è valutato anche il periodo trascorso in stato di custodia cautelare o di detenzione domiciliare.
La condanna per delitto non colposo commesso nel corso dell’esecuzione successivamente alla concessione del beneficio ne comporta la revoca, se il soggetto appare incompatibile con il mantenimento del beneficio.
La revoca travolge l’intera serie delle riduzioni di pena già concesse.
L’evoluzione della politica penitenziaria. Verso un regime differenziato.
A fronte dell’ondata del terrorismo politico, nel 1977 viene introdotto il carcere di massima sicurezza per i delinquenti più pericolosi, cui la legge penitenziaria del 1975 dedicava il solo art. 90 ord. pen., che, in via eccezionale, consentiva l’esclusione del detenuto dai benefici in seguito ad un espresso provvedimento del ministro di grazia e giustizia.
Si è così sviluppato un doppio regime penitenziario: quello normale, riservato al condannato normale, e un regime speciale, più rigoroso, per i condannati appartenenti alle aree di criminalità ritenute più pericolose.
Il polo di rigore consiste nell’esclusione della applicabilità di dati istituti ai condannati per certi delitti, e il polo del premio consiste nel ritorno al regime di normale applicabilità per i condannati che abbiano prestato una collaborazione utile, anche dopo la condanna.
La liberazione condizionale.
Liberazione condizionale, disciplinata nell’art. 176 c.p., che poteva essere concessa dal ministro di grazia e giustizia. La competenza è passata all’autorità giudiziaria.
Può essere ammesso alla liberazione condizionale il condannato a pena detentiva che, durante il tempo di esecuzione della pena, abbia tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento, se ha scontato almeno trenta mesi e comunque almeno metà della pena inflittagli, qualora i rimanente della pena non superi i cinque anni.
Per alcune ipotesi di recidiva qualificata sono previste condizioni più rigorose.
Rinvio e sospensione dell’esecuzione della pena.
Alcune ipotesi di rinvio dell’esecuzione della pena sono previste nel codice penale, in ragione di particolari condizioni soggettive.
Rinvio obbligatorio (art. 146 c.p.) per la donna incinta o madre di prole inferiore ad un anno, o per la persona affetta da aids conclamata o da grave deficienza immunitaria o altra malattia particolarmente grave, incompatibile con lo stato di detenzione.
Rinvio facoltativo (art. 147 c.p.) per chi abbia prestato domanda di grazia, o per chi si trovi in condizioni di grave infermità fisica, o per la madre di prole di età inferiore ai tre anni.
Il rinvio o la sospensione della pena erano previsti dall’art. 148 c.p. per l’ipotesi di infermità psichica sopravvenuta. Se l’infermità è tale da impedire l’esecuzione della pena, la pena viene differita o sospesa, e il condannato infermo di mente viene ricoverato in ospedale psichiatrico giudiziario o in casa di cura e di custodia. Il periodo trascorso in ospedale psichiatrico o in casa di cura e di custodia vale oggi come espiazione di pena. L’ipotesi di cui all’art. 148 c.p. non è più, dunque, un’ipotesi di sospensione dell’esecuzione, ma di mutamento del regime esecutivo.
Le sanzioni sostitutive di pene detentive brevi.
Il quadro d’insieme.
Nuovi istituti, introdotti da una legge del 1981, sono denominati sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi.
Semidetenzione: è prevista per una pena detentiva non superiore a due anni.
Libertà controllata: entro il limite di un anno.
Pena pecuniaria della specie corrispondente: multa per i delitti, ammenda per le contravvenzioni; per una pena detentiva non superiore a sei mesi.
La disciplina delle singole sanzioni sostitutive prevede alcuni contenuti fissi, e alcuni contenuti variabili, lasciati cioè alla discrezionalità del magistrato di sorveglianza, il quali ai sensi dell’art. 64 legge 1981 può variare le prescrizioni per sopravvenuti motivi di assoluta necessità.
I contenuti fissi sono, per la semidetenzione, l’obbligo di trascorrere almeno dieci ore in un apposito istituto penitenziario, nonché le prescrizioni accessorie di cui all’art. 55 legge 1981.
La libertà controllata consiste in limitazioni del diritto alla libera circolazione. Valgono le limitazioni derivanti dalle prescrizioni accessorie previste anche per la semidetenzione, ed inoltre il divieto di allontanarsi senza autorizzazione dal comune di residenza e l’obbligo di presentarsi almeno una volta al giorno presso il locale ufficio di pubblica sicurezza (art. 56).
La pena pecuniaria si considera sempre come tale, anche se sostitutiva della pena detentiva (art. 57).
Disciplina generale delle sanzioni sostitutive.
Le sanzioni sostitutive sono applicate dal giudice con la sentenza di condanna come le tradizionali pene principali. La loro applicazione è in sostituzione della pena detentiva che sarebbe stata teoricamente ritenuta applicabile nel caso concreto.
Evitare o ridurre effetti di de socializzazione carceraria. La decisione sulla sostituzione della pena è lasciata, secondo le regole generali, alla discrezionalità del giudice, guidata dagli indici fattuali espressi nell’art. 133 c.p., secondo quanto dispone l’art. 58.
L’art. 57 fissa i criteri di ragguaglio fra pena detentiva e sanzioni sostitutive. Un giorno di pena detentiva corrisponde a un giorno di semilibertà e a due giorni di libertà controllata. Quanto alla pena pecuniaria, valgono i criteri di ragguaglio fissati dall’art. 135 c.p..
Le pene sostitutive della semidetenzione o della libertà controllata, le cui prescrizioni non siano rispettate, si convertono nella pena detentiva sostituita, per la parte di essa ancora da espiare. Alla pena detentiva di conversione non si applicano le misure alternative dell’affidamento in prova al servizio sociale e della semilibertà; questa esclusione non vale per i minori.
La semidetenzione e la libertà controllata possono essere revocate nel caso in cui il soggetto, in seguito ad una condanna venga a trovarsi in una condizione soggettiva di esclusione del beneficio; ed inoltre nel caso in cui il soggetto venga condannato a pena detentiva per un fatto commesso successivamente alla concessione del beneficio della pena sostitutiva. La revoca comporta la conversione in pena detentiva della restante pena ancora da eseguire.
Pene non detentive.
Pena pecuniaria.
Disciplina generale.
La pena pecuniaria è, accanto alla pena detentiva, pena principale sia per i delitti (multa) sia per le contravvenzioni (ammenda). È prevista congiuntamente alla pena detentiva per alcuni reati, in via alternativa per altri, in via esclusiva per altri meno gravi, nell’ambito sia dei delitti che delle contravvenzioni. È anche sanzione sostitutiva della pena detentiva.
Le cornici di pena pecuniaria indicate nel codice penale sono per la multa (art. 24 c.p.) da 5 a 5164 euro, e per l’ammenda (artt. 24-26 c.p.) da 2 a 1032 euro. Le soglie massime sono trascurate dal legislatore della parte speciale. Pene pecuniarie per alcuni reati attingono importi ben più elevati.
Quando, per qualsiasi effetto giuridico, si deve eseguire un ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive, il computo ha luogo calcolando 38 euro, o frazione di 38 euro, di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva.
Alcuni ordinamenti hanno costruito la pena pecuniaria secondo il sistema delle quote giornaliere. Mentre nell’ordinamento italiano la pena pecuniaria è determinata in ciascuna norma di parte speciale in valori pecuniari assoluti, fra un minimo e un massimo edittale, nel sistema delle quote giornaliere la pena pecuniaria è strutturata sulla base di due parametri. La norma di parte speciale stabilisce il numero minimo e massimo corrispondente ad un dato tipo di reato; il giudice, nella sentenza, stabilirà il numero delle quote da applicare in concreto, secondo i normali criteri di commisurazione della pena. L’importo delle quote è invece in funzione delle condizioni economiche del condannato; la legge stabilisce in via generale l’importo minimo e massimo della quota giornaliera, ed entro tali limiti il giudice stabilisce l’importo della quota corrispondente alle condizioni economiche del condannato.
Commisurazione della pena pecuniaria.
Per la commisurazione della pena pecuniaria, i criteri di cui all’art. 133 c.p. sono integrati da criteri specifici, inseriti nel codice da una legge del 1981.
Il giudice deve tener conto anche delle condizioni economiche del reo, e può aumentare la multa o l’ammenda stabilita dalla legge sino al triplo o diminuirle sino a un terzo quando, per le condizioni economiche del reo, ritenga che la misura massima sia inefficace ovvero che la misura minima sia eccessivamente gravosa.
Per facilitare l’esecuzione della pena pecuniaria, è previsto il pagamento rateale della multa o dell’ammenda, che il giudice può disporre in relazione alle condizioni economiche del condannato. Possono essere stabilite rate mensili da tre a trenta. Ciascuna rata non può essere inferiore a 15 euro. In ogni momento il condannato può estinguere la pena mediante un unico pagamento.
Conversione della pena pecuniaria non potuta eseguire.
Disciplina dell’insolvenza o dell’insolvibilità del condannato.
La soluzione del codice Rocco era quella della conversione della pena pecuniaria, non potuta eseguire per insolvibilità del condannato, in pena detentiva, calcolata secondo il criterio di ragguaglio di cui all’art. 136 c.p..
La soluzione adottata dalla legge del 1981 è la conversione della pena pecuniaria non potuta eseguire in libertà controllata o in lavoro sostitutivo.
La pena pecuniaria, di fatto, non viene eseguita se non in una percentuale assai ridotta.
Pene accessorie.
Il quadro d’insieme.
Accanto alle pene principali l’ordinamento italiano prevede pene accessorie che conseguono di diritto alla condanna, come effetti penali di essa (art. 20 c.p.): sono pene che accedono, si aggiungono, ad una pena principale. Il codice ne fa un elenco non tassativo (art. 19 c.p.).
La maggioranza delle pene accessorie consiste in interdizioni, cioè divieti di svolgere determinate funzioni o attività.
Le sanzioni interdittive possono essere perpetue o temporanee. Per queste la legge stabilisce limiti minimi e massimi di durata.
La durata delle pene accessorie temporanee, qualora non sia specificamente determinata dalla legge, è pari a quella della pena temporanea inflitta. In nessun caso la durata della pena accessoria può superare i limiti minimo e massimo stabiliti dalla legge per ciascun tipo di pena.
L’inosservanza di pene accessorie, cioè lo svolgimento di attività vietate, è prevista come delitto contro l’amministrazione della giustizia (art. 389 c.p.) punito con la reclusione da due a sei mesi.
Le singole pene accessorie.
Interdizione dai pubblici uffici.
Disciplinata negli artt. 28,29 c.p..È perpetua o temporanea. L’interdizione temporanea non può avere una durata inferiore a un anno, né superiore a cinque.
Interdizione e sospensione da una professione o da un arte.
L’interdizione da una professione o da un arte (art. 30 c.p.) priva il condannato della capacità di esercitare, durante l’interdizione, una professione, arte, industria, o un commercio o un mestiere per cui è richiesto uno speciale permesso o una speciale abilitazione, autorizzazione o licenza dell’autorità, e importa la decadenza dal permesso o dall’abilitazione, autorizzazione o licenza anzidetti. Non può avere una durata inferiore a un mese, né superiore a cinque anni.
Interdizione legale.
L’interdizione legale (art. 32 c.p.) consegue alla condanna all’ergastolo, nonché alla reclusione per delitto non colposo per un tempo non inferiore a cinque anni, durante la pena. A differenza delle altre misure interdittive, l’interdizione legale si esegue contemporaneamente alla pena principale.
Interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese.
L’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese (art. 32-bis c.p.) priva il condannato della capacità di esercitare, durante l’interdizione, l’ufficio di amministratore, sindaco, liquidatore e direttore generale, nonché ogni altro ufficio con potere di rappresentanza della persona giuridica o dell’imprenditore. Consegue alla condanna alla reclusione non inferiore a sei mesi per delitti commessi con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti all’ufficio.
Incapacità di contrarre con la pubblica amministrazione.
L’incapacità di contrarre con la pubblica amministrazione (art. 32-ter c.p.) comporta il divieto di concludere contratti con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio. Non può avere durata inferiore ad un anno, né superiore a tre.
Estinzione del rapporto di lavoro o di impiego.
L’art. 32-quinquies c.p. è collegato alle modifiche della disciplina del rapporto di lavoro nel settore pubblico. L’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego nei confronti del dipendente di amministrazioni od enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica consegue alla condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni per alcuni gravi delitti propri dei pubblici funzionari.
Decadenza e sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori.
Si ha decadenza della potestà dei genitori (art. 34 c.p.) in caso di condanna all’ergastolo o per delitti specificamente indicati dalla legge.
L’esercizio della potestà dei genitori è sospeso per un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta, nel caso di condanna per delitti commessi con abuso della potestà dei genitori. È altresì sospeso durante la pena, salvo che il giudice disponga altrimenti, nel caso di condanna alla reclusione non inferiore a cinque anni.
Pubblicazione della sentenza penale di condanna.
Comune a delitti e contravvenzioni. Consegue (art. 36 c.p.) alla condanna all’ergastolo e in altri casi specificamente indicati, nel codice penale o in leggi speciali. È prevista, in particolare ma non solo, per delitti connotati da frode.
Viene eseguita mediante affissione della sentenza nel comune ove è stata pronunciata, in quello ove il delitto fu commesso, e in quello ove il condannato aveva l’ultima residenza; la sentenza di condanna è inoltre pubblicata, per una sola volta, in uno o più giornali designati dal giudice, per estratto, salvo che il giudice disponga la pubblicazione per intero.
Sistemi sanzionatori speciali.
Il sistema sanzionatorio minorile.
Il quadro d’insieme.
Disciplina fortemente differenziata per il reato commesso da minore di 18 anni. Anche i minori sono tenuti a rispettare i precetti penalmente sanzionati. Le risposte al reato commesso dal minore sono però, sotto molti aspetti, diversamente articolate.
Se il minore è capace di intendere e di volere, è imputabile e può essere sottoposto a pena: le pene sono le medesime previste per gli adulti, con la diminuente dell’età ex art. 98 c.p..
Per i minori, si pone un’esigenza non di rieducazione, ma, più radicalmente, di educazione di persone ancora in formazione.
Perdono giudiziale.
Istituto introdotto fra le cause di estinzione del reato (art. 169 c.p.). Può essere applicato quando il giudice ritenga applicabile in concreto una pena non superiore a due anni di reclusione, e valuti che, avuto riguardo alle circostanze indicate nell’art. 133 c.p., il minore si asterrà dal commettere ulteriori reati.
Presuppone l’imputabilità del minore e l’accertamento della sua responsabilità. Sono previste le medesime esclusioni soggettive che valgono per la sospensione condizionale della pena.
Non luogo a procedere per irrilevanza del fatto.
Può essere dichiarato non luogo a procedere per irrilevanza del fatto quando ricorrono congiuntamente i seguenti presupposti: se risulta la tenuità del fatto e l’occasionalità del comportamento; quando l’ulteriore corso del procedimento pregiudica le esigenze educative del minorenne.
L’irrilevanza del fatto non esclude l’offesa, né la tipicità del fatto, ma la tenuità dell’offesa crea le premesse per un esito di non punibilità in concreto, in presenza di ulteriori condizioni.
La tenuità del fatto è presupposto necessario, ma non sufficiente della non punibilità. La legge richiede anche l’occasionalità del comportamento del minore.
Il fatto non è occasionale se analoghi comportamenti sono reiterati nel tempo.
Messa alla prova.
La messa alla prova del diritto minorile può essere disposta in relazione a qualsivoglia reato, cioè anche a delitti della più elevata fascia di gravità.
Las messa alla prova dovrebbe consentire di verificare se l’alternativa alla punizione si riveli in concreto soddisfacente.
Istituti generali applicabili ai minori.
Le sanzioni sono le medesime e si applicano anche ai minori gli istituti della non punibilità, in particolare la sospensione condizionale della pena.
Per i reati di competenze del giudice di pace, commessi da minori, è applicabile il più favorevole sistema sanzionatorio introdotto da un d.lgs. del 2000.
Il criterio di scelta, quando più istituti siano teoricamente applicabili, è quello della maggiore idoneità educativa.
Sanzioni per i reati di competenza del giudice di pace.
Tipi di sanzione.
I reati di competenza del giudice di pace sono stati nominativamente selezionati dal legislatore. L’elenco comprende alcuni delitti della fascia di minor gravità ed alcune categorie di contravvenzioni.
Per i reati di competenza del giudice di pace non è più prevista la pena della reclusione. Accanto alla pena pecuniaria sono state introdotte nuove forme di pena principale: la permanenza domiciliare e il lavoro di pubblica utilità.
La permanenza domiciliare comporta l’obbligo di rimanere nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in un luogo di cura, assistenza o accoglienza nei giorni di sabato e domenica. Pena del tempo libero, diversa e più favorevole di quella della detenzione domiciliare dell’ordinamento penitenziario.
La durata della permanenza domiciliare va da sei a 45 giorni. Il condannato non è considerato in stato di detenzione.
Possono essere previsti dal giudice, per i giorni in cui non vi sia l’obbligo di permanenza domiciliare, divieti di accedere a determinati luoghi, che cessano quando la pena sia stata interamente scontata.
Il lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione di attività non retribuita a favore della collettività da svolgere presso lo stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato. Può essere applicato solo su richiesta dell’imputato, onde evitare l’imposizione di un lavoro coatto.
Definizioni alternative del procedimento.
Il d.lgs. del 2000 ha introdotto istituti che conducono al’improcedibilità e comunque alla non punibilità dell’autore del reato.
Esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto. Dà rilievo, come limite all’applicabilità, anche all’interesse della persona offesa ed alla sua eventuale opposizione.
Estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie. Consente al giudice di dichiarare l’estinzione del reato quando l’imputato dimostra di aver proceduto, prima dell’udienza di comparizione, alla riparazione del danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e di aver eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato.
Misure di sicurezza e misure di prevenzione.
Il sistema del codice e il suo superamento.
Il secondo binario del sistema sanzionatorio del codice Rocco è rappresentato dalle misure di sicurezza: istituti imperniati sull’idea della pericolosità, e in particolare della pericolosità di persone autori di reato.
Presupposto necessario, ancorchè non sufficiente, dell’applicazione delle misure di sicurezza personali, è la commissione di un reato.
Ulteriore presupposto rappresentato dalla pericolosità sociale del soggetto, come definita dall’art. 203 c.p.: è socialmente pericolosa la persona, anche se non imputabile o non punibile,…quando è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati.
Il principio di legalità in materia di misure di sicurezza è formulato nell’art. 199 c.p.: nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza che non siano espressamente stabilite dalla legge e fuori dei casi dalla legge stessa preveduti.
Art. 200 c.p.: le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al momento della loro applicazione. Se la legge del tempo in cui deve eseguirsi la misura di sicurezza è diversa, si applica la legge in vigore al tempo dell’esecuzione.
L’esistenza di una previa legge è presupposto necessario della misura. Una misura di sicurezza non può essere applicata se non in relazione ad un fatto che, nel momento in cui è stato commesso, sia previsto come reato.
Le misure di sicurezza personali. Il quadro d’insieme.
Le misure di sicurezza personali si distinguono in detentive e non detentive. L’elenco delle misure di sicurezza è fatto nell’art. 215 c.p..
Nei confronti di soggetti che siano imputabili e pericolosi, si applicano sia la pena che la misura di sicurezza. Se la condanna è a pena detentiva, si applica prima la pena, e poi la misura (art. 212 c.p.).
La durata delle misure di sicurezza è determinata nel minimo, ma non nel massimo. Decorso il periodo minimo di durata, stabilito per ciascuna misura dalla legge o dal giudice, il giudice procede al riesame della pericolosità ai sensi dell’art. 208 c.p.: riprende cioè in esame le condizioni della persona sottoposta a misura di sicurezza, per stabilire se essa è ancora socialmente pericolosa. Qualora la persona risulti ancora pericolosa, il giudice fissa un nuovo termine per un esame ulteriore. Nondimeno, quando vi sia ragione di ritenere che il pericolo sia cessato, il giudice può, in ogni tempo, procedere a nuovi accertamenti.
La revoca della misura di sicurezza può essere disposta in qualsiasi tempo, senza bisogno di aspettare il decorso del periodo minimo stabilito, che vale come indicazione non inderogabile. La revoca anche anticipata delle misure di sicurezza è fra le competenze del magistrato di sorveglianza.
In forza dell’art. 210 c.p., l’estinzione del reato impedisce l’applicazione delle misure di sicurezza e ne fa cessare l’esecuzione.
Il giudizio di pericolosità sociale.
Per il giudizio di pericolosità sociale, l’art. 203 c.p. rinvia alle circostanze indicate dell’art. 133 c.p., cioè agli indici fattuali rilevanti per la commisurazione della pena: gravità del fatto e capacità a delinquere del soggetto.
Misure di sicurezza per soggetti non imputabili.
L’ospedale psichiatrico giudiziario.
Nell’ambito delle misure di sicurezza detentive, le più significative sono quelle previste per autori di reato non imputabili per infermità di mente, o che hanno commesso il reato in condizioni di capacità ridotta (vizio parziale di mente).
La misura di sicurezza prevista dal codice (art. 222 c.p.) per gli autori di reato non imputabili è l’ospedale psichiatrico giudiziario. È prevista per gli autori di delitto non colposo per i quali la legge stabilisca la pena della reclusione superiore nel massimo a due anni. La durata minima è di due anni, o di cinque, secondo la gravità del delitto commesso.
Bisogni di sicurezza e bisogni dell’infermo di mente autore di reato.
Illegittimità costituzionale dell’art. 222 c.p. nella parte in cui non consente al giudice, nei casi ivi previsti, di adottare, in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, una diversa misura di sicurezza, prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure all’infermo di mente e a far fronte alla sua pericolosità sociale.
Come alternativa alla misura detentiva dell’ospedale psichiatrico giudiziario, si apre uno spazio per misure non detentive, e in particolare per la libertà vigilata.
Le misure di sicurezza non possono essere costruite solo nell’ottica della sicurezza ma debbono essere coerenti con bisogni di trattamento dell’autore di reato, nel precipuo interesse di costui. Non sono accettabili soluzioni rigide che, in un’ottica unicamente di sicurezza, precludono soluzioni meno gravose, idonee a contemperare il profilo della sicurezza con quello terapeutico o riabilitativo.
Preferenza per misure non restrittive della libertà. Misure detentive sono legittime solo per i casi e nel tempo strettamente necessario a fronteggiare situazioni di serio pericolo per l’incolumità di persone, non altrimenti fronteggiabile.
Trattamento di soggetti in stato di capacità ridotta.
Per i seminfermi di mente, o condannati a pena diminuita per intossicazione cronica da alcool o da stupefacenti, il trattamento è più complesso: sono condannati e sottoposti a pena ma anche a misura di sicurezza: di regola la casa di cura e di custodia, con possibilità di sostituzione con la libertà vigilata. Tale misura si applica anche ai condannati alla reclusione per delitti commessi in stato di ubriachezza abituale o sotto l’azione di stupefacenti (art. 221 c.p.).
Il ricovero in casa di cura e di custodia si aggiunge alla pena. La misura di sicurezza viene eseguita dopo l’espiazione della pena restrittiva della libertà personale.
Misure di sicurezza detentive per soggetti pienamente imputabili e pericolosi.
Misure di sicurezza detentive non di carattere terapeutico, destinate a soggetti pienamente imputabili e ritenuti spiccatamente pericolosi, sono la colonia agricola e la casa di lavoro (artt. 216-218 c.p.).
L’assegnazione all’una o all’altra dovrebbe essere fatta dal giudice tenuto conto delle condizioni e attitudini della persona a cui il provvedimento si riferisce.
Soggetti ritenuti particolarmente pericolosi: delinquenti e contravventori abituali e professionali.
Misure di sicurezza per minori.
Misura di sicurezza specificamente prevista per i minori, sia non imputabili (art. 224 c.p.) che imputabili (art. 225 c.p.), è il riformatorio giudiziario.
È stato fortemente ristretto l’ambito di applicazione. La misura si applica solo nel caso in cui sia stato commesso un delitto non colposo per il quale la legge prevede la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a nove anni. La misura si esegue nella forma del collocamento in comunità.
Anche la libertà vigilata è applicabile, nei confronti dei minori, solo se è stato commesso uno dei delitti di cui sopra. La misura è eseguita nelle forme delle prescrizioni e della permanenza in casa.
Le misure di sicurezza possono essere applicate ai minori quando, per le specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità dell’imputato, sussiste il concreto pericolo che questi commetta delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro la sicurezza collettiva o l’ordine costituzionale ovvero gravi delitti di criminalità organizzata.
Misure di sicurezza non detentive.
Libertà vigilata.
La libertà vigilata è applicabile sul presupposto dell’accertata pericolosità sociale, in una variegata serie di ipotesi: nel caso di condanna alla reclusione superiore a un anno; nei casi in cui è prevista una misura in relazione a un fatto non costituente reato; in caso di reati che siano nuova manifestazione di abitualità o professionalità nel reato, o al termine dell’assegnazione a colonia agricola o casa di lavoro; negli altri casi previsti dalla legge.
La libertà vigilata comporta la sottoposizione a sorveglianza dell’autorità di pubblica sicurezza, e a prescrizioni imposte dal giudice, idonee ad evitare le occasioni di nuovi reati. La sorveglianza deve essere esercitata in modo da agevolare, mediante il lavoro, il riadattamento della persona nella vita sociale.
L’ordinamento penitenziario stabilisce che nei confronti dei sottoposti a libertà vigilata il servizio sociale svolge interventi di sostegno e di assistenza ai fini del loro reinserimento sociale.
Altre misure di sicurezza personali.
Altre misure di sicurezza personali non detentive sono:
Misure di sicurezza patrimoniali. La confisca.
Sono misure di sicurezza patrimoniali la cauzione di buona condotta e la confisca. A queste misure si applica la disciplina generale delle misure di sicurezza, limitatamente alle disposizioni richiamate nell’art. 236 c.p.: principio di legalità, applicabilità con la sentenza di condanna o proscioglimento o anche successivamente, ed anche fatti commessi all’estero.
Solo per la cauzione di buona condotta restano fermi i presupposti della commissione di un fatto preveduto dalla legge come reato e della pericolosità sociale dell’autore.
La confisca condiste nell’espropriazione a favore dello stato di date cose, sottratte al soggetto che ne ha la disponibilità (art. 240 c.p.). Essa non è collegata ad una valutazione di pericolosità della persona cui il bene venga confiscato.
È facoltativa, e può essere ordinata nel caso di condanna, la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto.
Prodotto del reato sono le cose materiali prodotte mediante l’attività illecita.
Profitto del reato sono le cose che incorporano l’utilità economica ottenuta con la commissione del reato.
È sempre ordinata (quindi obbligatoria) la confisca delle cose che costituiscono il prezzo del reato, nonché delle cose, la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna.
Prezzo del reato sono le cose o denaro dati all’autore del reato come corrispettivo della realizzazione di questo.
La confisca non si applica se la cosa appartiene a persona estranea al reato, salvo che si tratti di cose intrinsecamente criminose. Persona non estranea al reato è l’autore o concorrente nel reato.
Introduzione della confisca per equivalente, su cose o denaro di valore equivalente al prezzo o profitto del reato. Questa possibilità è stata introdotta per il delitto di usura nel 1996, è stata estesa ad alcuni delitti contro la pubblica amministrazione e per i reati transnazionali.
La confisca allargata è stata introdotta nel 1992. Nel caso di condanna per alcuni delitti è sempre disposta la confisca del denaro, di beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica a giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito…o alla propria attività economica.
Misure di prevenzione.
L’evoluzione legislativa.
Misure finalizzate alla prevenzione della criminalità, ma che prescindono dalla commissione di reati.
Misure ante delictum o praeter delictum. Applicabilità indipendentemente dall’accertamento di un previo reato; funzione di prevenzione di reati futuri.
Formali diffide o ammonizioni; forma speciali di sorveglianza; divieti di soggiorno in dati luoghi; obblighi di soggiorno in un luogo determinato.
I presupposti per l’applicazione di misure di prevenzione.
L’applicazione di misure di prevenzione, ancorchè collegata a un giudizio prognostico di pericolosità, deve avere come presupposto necessario una fattispecie di pericolosità descritta dalla legge, che possa costituire punto di riferimento dell’accertamento del giudice.
Coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto che sono dediti abitualmente a traffici illeciti; che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose; che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la società, la sicurezza o la tranquillità pubblica.
Sono configurate fattispecie di sospetto (“debba ritenersi”).
Contenuti delle misure di prevenzione.
Le misure tradizionali sono misure personali. La misura di base è la sorveglianza speciale della pubblica sicurezza, applicabile a persone rientranti in una delle categorie soggettive indicate dalla legge, che non abbiano cambiato condotta nonostante l’avviso orale che ha sostituito la vecchia diffida.
Alla sorveglianza speciale può essere aggiunto il divieto di soggiorno in uno o più comuni, diversi da quelli di residenza o di dimora abituale, o in una o più province; oppure l’obbligo di soggiorno in un determinato comune.
Cause di estinzione del reato e della procedibilità.
Le cause di estinzione del reato possono essere applicate indipendentemente da un compiuto accertamento del reato e della responsabilità conseguente. Intervenuta la causa di estinzione del reato, questa deve essere dichiarata dal giudice, con sentenza di non doversi procedere, a meno che non risulti già evidente che il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso o non è previsto dalla legge come reato.
Prescrizione del reato.
La rilevanza del tempo per la risposta al reato.
Istituto della prescrizione del reato per effetto del decorso del tempo.
Affievolirsi, nel corso del tempo, delle ragioni giustificative della risposta penale. Col tempo possono andare dispersi mezzi di prova, così da impedire un serio accertamento. Col tempo può mutare la personalità dell’autore del reato, al punto di far apparire irragionevole, dal punto di vista della prevenzione speciale, una eventuale punizione tardiva.
Lineamenti generali della disciplina.
La disciplina della prescrizione è stata profondamente modificata da una legge del 2005.
Continuità nella struttura di fondo: i tempi di prescrizione sono legati alla misura delle pene, sono previsti atti interruttivi e cause di sospensione del corso della prescrizione; è previsto un tetto massimo del prolungamento conseguente ad atti interruttivi; sono imprescrittibili i delitti per cui sia previsto l’ergastolo. Il termine di prescrizione comincia a decorrere dal momento in cui il reato è stato portato a compimento.
La novella del 2005 ha importato molte innovazioni.
Nel sistema originario del codice i tempi di prescrizione erano collegati a fasce di reati di diversa gravità, individuate con riferimento alla pena massima edittale stabilita dalla legge per ciascun tipo di reato consumato o tentato, tenuto conto dell’aumento massimo di pena stabilito per le circostanze aggravanti e della diminuzione minima stabilita per le circostanze attenuanti, nonché del bilanciamento di circostanze ex art. 69 c.p.. In relazione alle diverse fasce di reati, il vecchio art. 157 c.p. prevedeva termini di prescrizione di 20, 15, 10, 5 anni per i delitti, e di 3 o 2 anni per le contravvenzioni.
La riforma del 2005 ha sostituito il sistema delle fasce di gravità con il riferimento alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato. Il tempo di prescrizione coincide ora, per ciascun reato, con il massimo della pena edittale; non può essere comunque inferiore a sei anni per i delitti, e a quattro anni per le contravvenzioni.
Non si tiene più conto delle circostanze, salvo che delle aggravanti ad effetto speciale. Non hanno più rilevo, ai fini della prescrizione, né le aggravanti non ad effetto speciale, né le circostanze attenuanti, né il loro bilanciamento.
Casi di sospensione della prescrizione (art. 159 c.p.) e atti interruttivi (art. 160 c.p.), con effetti che valgono per tutti coloro che sono concorsi nel reato ( art. 161 c.p.).
Il periodo di sospensione non viene computato ai fini della prescrizione; il periodo anteriore alla sospensione viene computato congiuntamente al periodo successivo alla cessazione della causa di sospensione.
Il corso della prescrizione è sospeso nei casi di autorizzazione a procedere o di questione deferita ad altro giudizio, e in ogni caso in cui la sospensione del procedimento o dei termini di custodia è imposta da una particolare disposizione di legge. A questi casi, già previsti dall’art. 159 c.p., è stata aggiunta l’ipotesi di differimento del procedimento o del processo penale per impedimento dell’imputato o del difensore ovvero su loro richiesta.
Si ha interruzione della prescrizione al compimento di determinati atti processuali, indicati nell’art. 160 c.p.. L’elenco degli atti interruttivi è tassativo. Al compimento di un atto interruttivo il corso della prescrizione ricomincia dall’inizio, ma il prolungamento dei termini di prescrizione, che da ciò consegue, incontra un limite massimo.
La novella del 2005 a neutralizzato le circostanze (salvo le aggravanti speciali) ai fini del computo dei tempi di prescrizione. È stato in tal modo eliminato il legame fra la prescrizione e l’esercizio dei poteri discrezionali del giudice.
Prescrizione della pena.
Anche dopo che sia intervenuta sentenza definitiva di condanna, la pena non eseguita si estingue, cioè non deve più essere eseguita, per effetto del decorso del tempo a far data dal passaggio in giudicato (artt. 172, 173 c.p.). Per la reclusione, il tempo occorrente è pari al doppio della pena inflitta, e, in ogni caso, non superiore a trenta e non inferiore a dieci anni. Per la multa, 10 anni; 5 anni per l’arresto e l’ammenda.
Non si estingue per decorso del tempo la pena dell’ergastolo.
L’oblazione.
Oblazione significa offerta. L’istituto dell’oblazione riconnette l’estinzione del reato al pagamento, prima dell’apertura del dibattimento, di una somma di denaro determinata in relazione alla pena pecuniaria prevista per il reato contestato: con il pagamento dell’oblazione l’imputato evita l’accertamento processuale sul fatto contestato, e ottiene una sentenza dichiarativa di non doversi procedere per estinzione del reato a seguito dell’avvenuta oblazione.
L’oblazione automatica.
Il codice Rocco aveva originariamente previsto una forma di oblazione automatica, applicabile alle contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda (art. 162 c.p.). A richiesta dell’imputato e in presenza delle condizioni stabilite dalla legge, il giudice è tenuto ad ammettere l’oblazione. Per le contravvenzioni punite con la sola ammenda, l’imputato ha diritto ad ottenere la dichiarazione di non doversi procedere per estinzione del reato versando prima dell’apertura del dibattimento una somma pari al terzo della pena massima prevista.
L’oblazione discrezionale.
Oblazione speciale applicabile alle contravvenzioni punite con pena alternativa (arresto o ammenda), cioè ad una fascia di reati più grave di quelli cui si applica l’oblazione ex art. 162 c.p..
La domanda di oblazione, che deve essere domandata prima dell’apertura del dibattimento, con il deposito della somma da pagare, può essere respinta dal giudice, avuto riguardo alla gravità del fatto, e non è accoglibile quando permangono conseguenze dannose o pericolose del reato eliminabili da parte del contravventore.
L’importo dell’oblazione è della metà, invece che del terzo, del massimo della pena edittale. Sono previste talune cause soggettive di esclusione.
Le prescrizioni degli organi di vigilanza nel diritto penale del lavoro.
La normativa in materia di sicurezza e igiene del lavoro prevede una causa speciale di estinzione delle contravvenzioni, legata all’istituto delle prescrizioni degli organi di vigilanza. L’osservanza delle prescrizioni, accompagnate dal pagamento di una somma pari al quarto del massimo dell’ammenda, estingue le contravvenzioni contestate.
Entro 60 giorni dalla scadenza del termine, l’organo di vigilanza verifica se la violazione è stata eliminata. Se l’adempimento vi è stato, il contravventore è ammesso a pagare entro 30 giorni una somma pari ad un quarto del massimo del’ammenda prevista per la contravvenzione commessa.
A seguito dell’adempimento della prescrizione e del pagamento della somma nei termini stabiliti, il reato è estinto.
La remissione della querela.
La remissione della querela fa venir meno la procedibilità, là dove questa derivi dalla presentazione della querela.
La remissione della querela può intervenire in qualsiasi momento, prima della sentenza definitiva. Non richiede forme particolari; può essere espressa, o anche tacita, desumibile da fatti incompatibili con la volontà di persistere nella querela. Non può essere sottoposta a termini o a condizioni. Non ha effetto se il querelato non l’ha accettata.
Per i minori di 14 anni e gli interdetti per infermità di mente la remissione della querela può essere fatta dal legale rappresentante. I minori che abbiano compiuto i 14 anni e gli inabilitati possono esercitare il diritto di remissione,a anche quando la querela sia stata presentata dal legale rappresentante.
Il diritto di rimettere la querela si estingue con la morte della persona offesa dal reato; in nessun caso si trasmette agli eredi.
Gli istituti della clemenza.
La clemenza come deroga all’uguale applicazione della legge penale.
Definiamo come istituti della clemenza gli istituti che comportano il venir meno, in tutto o in parte, delle conseguenze penali di un reato, previste dalla legge: la clemenza è atto d’esercizio d’un potere sovrano, di portata generale o a destinatario individuale, che pone una deroga, in via eccezionale, alla regola della uguale applicazione della legge penale.
È una causa d’impunità extra ordinem, fuori e contro le normali regole di giustizia e di uguaglianza davanti alla legge. L’autore di un reato viene salvato, in tutto o in parte, dalla pena ad esso corrispondente, in forza di un atto sovrano di grazia, che esonera una persona specificamente individuata dalla pena cui è stata condannata, o in forza di un atto di clemenza di portata generale (amnistia, indulto) che discrimina il se o il quanto del punire in ragione della commissione del reato prima o dopo una certa data.
I principi costituzionali.
Nel testo originario della costituzione, amnistia, indulto e grazia erano compresi fra gli atti di competenza del pdr; ed è tuttora il presidente che (art. 87 Cost.) può concedere grazia e commutare le pene, con provvedimenti individuali di clemenza. La novella del 1992 ha affidato direttamente al parlamento l’emanazione del provvedimento di clemenza, mediante legge formale.
Previsione di u quorum elevato: l’amnistia e l’indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza di due terzi nei componenti di ciascuna camera in ogni suo articolo e nella votazione finale.
L’art. 79 Cost. stabilisce che la legge di amnistia e/o indulto stabilisce il termine per la loro applicazione. In ogni caso l’amnistia e l’indulto non possono applicarsi ai reati commessi successivamente alla presentazione del disegno di legge.
La disciplina del codice penale.
L’amnistia è inserita (art. 152 c.p.) fra le cause di estinzione del reato: estingue il reato, e, se vi è stata condanna, fa cessare l’esecuzione della condanna e le pene accessorie.
L’amnistia propria, intervenuta prima della condanna, è effettivamente disciplinata come causa di estinzione del reato. L’amnistia impropria, intervenuta dopo la condanna, produce invece effetti più limitati, funzionando come una causa di estinzione della pena.
L’indulto è causa di estinzione della pena, al pari della grazia: condona, in tutto o in parte, la pena inflitta, o la commuta in un’altra specie di pena stabilita dalla legge (art. 174 c.p.). Mentre la grazia è un procedimento individuale, l’indulto è un provvedimento di portata generale. Si distingue dall’amnistia. L’amnistia, estinguendo il reato, esclude la condanna. L’indulto presuppone, invece, una sentenza di condanna, e incide esclusivamente sulla pena, riducendola nella misura prevista nel provvedimento. L’indulto incide sulla pena principale inflitta; non estingue le pene accessorie, salvo diversa disposizione della legge che lo conceda, né gli altri effetti penali della condanna. Amnistia e indulto non si applicano ai recidivi qualificati, salvo che il decreto disponga diversamente.
Amnistia e indulto possono essere condizionati, sottoposti, cioè, a condizioni o a obblighi, o soggetti a revoca. L’indulto del 2006 prevede la revoca nel caso di condanna per delitto non colposo a pena detentiva non inferiore a due anni.
Causa di estinzione della pena è anche la grazia, che è un provvedimento di clemenza individuale; gli effetti sono identici a quelli dell’indulto (art. 174 c.p.). La concessione di grazia è uno fra i poteri attribuiti al pdr dall’art. 87 Cost..
La procedura conseguente alla domanda di grazia è disciplinata dall’art. 681 c.p.p.. La grazia può essere concessa anche in assenza di domanda o proposta.
L’amnistia è rinunciabile, a differenza di indulto e grazia.
I condoni atipici.
Forme atipiche di condono amministrativo e penale: con la regolarizzazione formale di certe situazioni, unitamente al pagamento di somme di denaro, si acquista anche l’impunità per illeciti penali compresi nel condono.
La non punibilità è collegata, da un lato, a prestazioni dell’interessato, e dall’altro lato al rispetto di soglie temporali di adempimento, che discriminano la punibilità o non punibilità di fatti ugualmente contrari a legge penale, secondo il meccanismo tipico dei provvedimenti di clemenza.
Responsabilità civile da reato.
Il reato come illecito civile.
Il reato può essere un fatto produttivo di danno. Ne deriva un obbligo di risarcimento, secondo le regole generali del diritto civile.
Art. 185 c.p.: ogni reato obbliga alle restituzioni a norma delle leggi civili. Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono risponder per il fatto di lui.
I presupposti dell’obbligazione risarcitoria sono determinati dalla legge civile. La responsabilità è in solido fra tutti gli obbligati, secondo il principio generale di cui all’art. 2055 c.c..
Anche l’identificazione degli aventi diritto al risarcimento va fatta alla stregua della legge civile. Il diritto compete ai danneggiati dal reato, non solo alla persona direttamente offesa dal reato, come portatore dell’interesse protetto.
Il danno risarcibile è il danno civilistico, di contenuto patrimoniale o matrimonialmente valutabile. È risarcibile anche il danno non patrimoniale. Fra i casi determinati dalla legge, cui l’art. 2059 c.c. rinvia, la responsabilità da reato ex art. 185 c.p. è di gran lunga la più importante.
Il danno non patrimoniale copre tipologie di danno ulteriori a quelle la cui risarcibilità deriva da principi generali in materia di responsabilità civile o da norme ad hoc. Viene specificamente in rilievo il danno morale, la sofferenza derivante dal reato.
Il risarcimento può essere effettuato per equivalente pecuniario, ovvero in forma specifica, alle condizioni di cui all’art. 2058 c.c..
Un’ipotesi particolare, prevista all’art. 186 c.p., è la riparazione del danno mediante pubblicazione della sentenza di condanna: ogni reato obbliga il colpevole alla pubblicazione, a sue spese, della sentenza di condanna, qualora la pubblicazione costituisca un mezzo per riparare il danno non patrimoniale cagionato dal reato.
Il risarcimento del danno è circostanza attenuante ex art. 62 c.p.. Solo in casi eccezionali, tassativamente previsti da norme di parte speciale, è causa di non punibilità.
La riparazione delle conseguenze del reato è presupposto per l’ammissione all’oblazione discrezionale e per l’estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie, di cui alla normativa sui reati di competenza del giudice di pace. È anche il presupposto di cause estintive previste nella legislazione speciale, con riferimento a specifiche ipotesi di reato. È la premessa che può portare alla remissione della querela.
Obbligazione civile per le multe e le ammende.
Il codice penale prevede delle ipotesi di obbligazione civile per il pagamento di pene pecuniarie, in capo a persone che, non essendo fra gli autori del reato, non possono rispondere penalmente, ma che, per un particolare collegamento con il reo e il reato, sono rese destinatarie di un’obbligazione civile sussidiaria, per il caso di insolvibilità del condannato, al pagamento di una somma pari all’ammontare della pena pecuniaria inflitta.
Il pagamento della pena pecuniaria da parte di un civilmente coobbligato evita la conversione della pena ex artt. 196, 197 c.p..
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