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L'articolo 1.2 della costituzione Repubblicana afferma che "la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della costituzione". Gli organi dello Stato, chiamati costituzionali, si dicono “sovrani” in quanto rappresentano gli strumenti attraverso i quali il popolo esercita la sovranità che a lui appartiene. La costituzione prevede dunque che l'esercizio delle funzioni dello Stato non possa avvenire se non in seguito alla consultazione del corpo elettorale, costituito appunto dal popolo. Quest’ultimo rappresenta la “parte attiva del popolo”, ossia quell’insieme di soggetti in possesso dei requisiti richiesti direttamente dalla Costituzione per l’esercizio delle funzioni che valgono a mettere in moto l’azione degli organi statali, attraverso i quali si esprime la sovranità popolare. Titolare della sovranità resta il popolo nel suo complesso, l’insieme cioè di tutti i cittadini. Anche coloro che non sono elettori sono tuttavia portatori di interessi che influiscono sull’esercizio della sovranità.
Il concetto di nazione individua quegli elementi etnici, linguistici, culturali e sociali che costituiscono il patrimonio di una determinata collettività. La nozione di popolazione designa l'insieme dei soggetti, cittadini e non, che risiedono in un determinato momento sul territorio dello Stato e sono tenuti a rispettarne le leggi. Elemento fondamentale per l'esercizio dei diritti connessi alla titolarità della sovranità è invece il possesso della cittadinanza, che può essere acquistata in diversi modi: secondo il principio dello "iure sanguinis", acquista la cittadinanza italiana il figlio, anche adottivo, di genitori in possesso della cittadinanza italiana; secondo il principio dello "iure soli", colui che è nato nel territorio nazionale da genitori ignoti o apolidi (privi di cittadinanza); sei mesi di residenza nel territorio della Repubblica, se richiesto dal soggetto interessato; tre anni dalla data di matrimonio; straniero che ha prestato servizio alle dipendenze dello Stato per almeno cinque anni; cittadino di uno degli stati membri della CEE è residente da almeno quattro anni nel territorio della Repubblica. La perdita della cittadinanza può venire o per rinunzia o automaticamente. La cittadinanza perduta può essere riacquistata a richiesta dell'interessato qualora vi siano particolari presupposti.
La cittadinanza europea si acquista in virtù del possesso della cittadinanza di uno degli stati membri e comporta il riconoscimento di una serie di diritti che riguardano il diritto alla tutela da parte dell'autorità diplomatiche di uno qualunque degli stati membri. I cittadini dell'unione devono chiedere l'iscrizione in un'apposita lista elettorale, che consente di acquisire l'elettorato attivo e passivo (eccetto l'eleggibilità a sindaco o a vicesindaco) dello Stato in cui risiede.
Le funzioni che spettano al corpo elettorale consistono nell'elezione dei propri rappresentanti del Parlamento nazionale e in quello europeo, nei consigli regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali. La costituzione prevede inoltre alcune forme di esercizio diretto della sovranità da parte del corpo elettorale, come l'istituto della petizione, dell'iniziativa popolare e del referendum.
L'articolo 48 della costituzione fissa i principi fondamentali in materia di esercizio della funzione elettorale. Le caratteristiche del voto sono la personalità, l'uguaglianza, la libertà e la segretezza. Vengono individuati inoltre i requisiti positivi (cittadinanza e maggiore età) e negativi (incapacità o indegnità morale) della cosiddetta capacità elettorale.
La personalità del voto sta a indicare il divieto di introdurre regole che consentano all'elettore di esercitare la funzione elettorale attraverso un altro soggetto (il cosiddetto voto per delega) salvi i casi in cui l’intervento di un terzo sia indispensabile all’esercizio del voto (es. nel caco dei ciechi).
L'uguaglianza indica il divieto di introdurre regole elettorali che abbiano come conseguenza l'attribuzione ad alcuni soggetti di un peso elettorale maggiore rispetto quello di altri.
Libertà e segretezza stanno indicare l'obbligo di predisporre modalità di esercizio del diritto di voto che garantiscano la possibilità di esprimere, senza alcun condizionamento, la propria volontà elettorale. L'articolo 48 definisce, inoltre, l'esercizio del diritto di voto come dovere civico.
La capacità elettorale riassume i requisiti necessari per l'acquisto del diritto di elettorato attivo e passivo. I requisiti positivi sono alla cittadinanza e la maggiore età. La legge costituzionale 1/2001 ha previsto l'istituzione di una "circoscrizione estero" per l'elezione del Parlamento nazionale, assegnando 12 seggi per la Camera dei deputati e 6 seggi per il Senato. I membri del Senato vengono eletti da coloro i quali abbiano compiuto il venticinquesimo anno di età. L'età richiesta per l'elettorato passivo è 25 anni per la Camera dei deputati, 40 anni per essere eletti Senatori e 50 anni per essere eletti Presidente della Repubblica. La disciplina del voto gli italiani all’estero ha trovato la sua prima applicazione in occasione delle elezioni politiche del 2006. I requisiti negativi della capacità elettorale sono l'esistenza di cause di incapacità civile (infermi di mente o interdetti), provvedimenti definitivi del giudice (dichiarazione di fallimento) o cause di indegnità morale (i membri di casa Savoia). Per quanto riguarda l'elettorato passivo, i requisiti negativi sono rappresentati dalle cause di ineleggibilità (esercizio di carica che pongono il soggetto in una situazione di vantaggio rispetto agli altri candidati) o di incompatibilità (che può essere rimosso rinunciando ad una delle due cariche, come deputato e Senatore, parlamentare e Presidente della Repubblica, parlamentare e membro del consiglio superiore della magistratura, parlamentare e membro della corte costituzionale, parlamentare e membro del consiglio nazionale dell'economia e del lavoro). A differenza delle cause di ineleggibilità, che rendono nulla l’eventuale elezione del candidato, le cause di incompatibilità possono essere rimosse mediante l’esercizio dell’opinione da parte dell’interessato tra le sue cariche, appunto ritenute incompatibili, che egli si accinge a ricoprire.
Per ciò che attiene a livello regionale, l’art. 122.1 Cost., affida alla legge regionale il compito di definire non solo il sistema elettorale, ma anche i casi di ineleggibilità e incompatibilità del Presidente e dei componenti della Giunta, nonché dei consiglieri regionali, “nei limiti dei principi fondamentali legge della Repubblica”, e prevede, al 2° comma, alcune cause di incompatibilità, vietando di ricoprire contemporaneamente la carica di membro del consiglio e della giunta regionale e quella di membro del parlamento nazionale e del parlamento europeo, nonché di ricoprire dette cariche in più di una regione.
Quanto all’ineleggibilità si prevede che essa venga disposta qualora le attività o le funzioni svolte dal candidato possono turbare o condizionare in modo diretto la libertà di voto dell’elettore ovvero violare la parità di accesso alle cariche elettive rispetto agli altri candidati. Ineleggibilità che viene meno quando le attività o le funzioni in questione cessino entro un termine comunque precedente il giorno fissato per la presentazione delle candidature.
Quanto all’incompatibilità si stabilisce che essa venga disposta in caso di conflitto tra le funzioni svolte dai soggetti sunnominati e altre situazioni o cariche, che possa mettere a rischio il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione ovvero l’esplemento della carica elettiva. Una volta accertata una delle cause di incompatibilità, la legge fissa in 30giorni il termine massimo entro il quale va esercitata l’opzione o comunque deve cessare la causa di incompatibilità; piena la decadenza della carica.
Per il livello comunale e provinciale,le cause di ineleggibilità e incompatibilità sono invece stabilite dalla legge dello Stato.
La legge 16/1992 ha introdotto l’istituto della non candidabilità in relazione alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali. Tale istituto si applica a coloro che sano stati condannati con sentenza passata in giudicato per alcuni gravi delitti.
Il modo in cui i voti espressi dal corpo elettorale vengono utilizzati per l'assegnazione dei seggi posti in palio nella consultazione elettorale attiene al sistema elettorale. Si distinguono due grandi famiglie di sistemi elettorali: quelli maggioritari e quelli proporzionali.
Nei sistemi maggioritari il principio base è quello per cui tutti seggi in palio in una determinata circoscrizione vengono assegnati al partito, o alla coalizione, che ottiene la maggioranza semplice dei voti espressi (un numero superiore rispetto a quelli degli altri) o la maggioranza assoluta (la metà più uno dei voti validamente espressi). Un sistema di tale tipo penalizza molto i partiti più deboli i quali, pur ottenendo voti nei singoli collegi, possono non riuscire a conquistare nemmeno un seggio.
Il sistema maggioritario ha una buona resa in presenza di pochi partiti.
Nei sistemi proporzionali il principio base è quello per cui i seggi vengono assegnati tra tutti i partiti che hanno partecipato alla competizione elettorale, in proporzione al numero dei voti che ciascuno di essi ha ottenuto. Operano là dove esiste un alto numero di partiti, cui corrisponde una forte frammentazione del corpo elettorale. Nei sistemi maggioritari è individuato l'istituto del ballottaggio; nell'ipotesi in cui nessun candidato consegue il numero di voti necessari per essere eletto, si svolge un secondo turno elettorale, cui sono ammessi come candidati coloro che, al primo turno, hanno ottenuto più voti. Nei sistemi proporzionali esistono tre metodi matematici utilizzati: il metodo d'Hondt consiste nell'assegnare i seggi sulla base di potenti interi più alti, che si ottengono dividendo alla cifra elettorale in ogni partito per 1, 2, 3, 4,...; il metodo Sainte Lague attribuisce i seggi sempre sulla base dei quozienti più alti, ma dividendo la cifra elettorale di ogni partito per 1, 3, 5, 7, 9, ...; il metodo del quoziente corretto consiste nell'attribuzione dei seggi a quei candidati che abbiano ottenuto un numero di voti pari al quoziente che si ottiene dividendo il numero di voti validi per il numero complessivo dei seggi da assegnare nella circoscrizione, maggiorato di 1 o più unità. Un elemento da tenere presente nella valutazione di diversi sistemi elettorali è le dimensioni delle circoscrizioni elettorali (collegi elettorali) in cui in genere è suddiviso il territorio nazionale. Nei sistemi maggioritari è naturale la suddivisione del corpo elettorale in tanti collegi quanti sono i seggi da assegnare; nei sistemi proporzionali: mentre circoscrizioni ampie accentuano l’effetto proporzionale, ma non garantiscono una rappresentanza di tutte le aree territoriali, circoscrizioni piccole portano ad un’attenuazione dell’effetto proporzionale, essendo in questo caso favoriti i partiti maggiori.
Premi di maggioranza: tendenti ad una parziale sovrarappresentazione del partito o partiti più votati; soglie di sbarrimento: tendenti ad escludere dalla ripartizione dei seggi i partiti di modesta consistenza elettorale. Sistema di voto limitato consente di esprimere un numero di suffragi inferiore a quello dei seggi posti in palio: per quanti voti il partito di maggioranza possa ottenere, un certo numero di seggi, determinato a priori dalla legge elettorale, rimarrà riservato al partito minore. Sistema del voto cumulativo attribuisce agli elettori un numero di suffragi pari a quello dei seggi posti in palio, ma consente al singolo elettore di concentrarli su un numero più ridotto dei candidati.
Fino al referendum del 1993, il sistema elettorale per l'elezione di Camera e Senato è stato sostanzialmente proporzionale: da quel momento in poi il popolo si è espresso a favore di un sistema di tipo maggioritario. Tuttavia, in seguito alla consultazione referendaria, il Parlamento ha varato la nuova legislazione elettorale, valida per il Senato e per la Camera, definibile come sistema misto. Infatti, per una parte sistema può definirsi maggioritario, poiché tre quarti dei deputati e dei Senatori sono eletti in collegi uninominali secondo la regola che assegna il seggio al candidato che ottiene più voti rispetto agli altri, ma per una parte è ancora proporzionale, tant'è che un quarto dei deputati e dei Senatori è eletto mediante il metodo d'Hondt.
Con l’approvazione della legge 270/2005 si è ritornati ad un sistema elettorale di tipo proporzionale: si tratta di un sistema proporzionale (i seggi vengono assegnati in proporzione ai voti validi ottenuti dalle liste singole o collegate tra loro, che abbia no superato le diverse soglie minime per accedere alla ripartizione), a scrutinio di lista (senza possibilità per l’elettore di esprimere preferenze) in collegi plurinominali, con eventuale assegnazione di un premio di maggioranza alla coalizione o alla lista che ha raccolto il maggior numero di voti validi a livello nazionale (per la camere) e a livello regionale (per il senato).
Il Senato, secondo l'articolo 57 della costituzione, deve essere eletto a base regionale: è il Governo che, con un apposito decreto, provvede a ripartire fra le regioni i seggi, in relazione alla popolazione residente. La candidatura è personale e subordinata alla sola firma di sottoscrizione da parte di un numero sufficiente di lettori del collegio. La legge fa divieto di presentarsi in più di un collegio Senatoriale o di candidarsi contestualmente per le elezioni della Camera. L'elettore esprime un unico voto nella scheda e dall'esito che scaturisce dallo spoglio dei voti si deriva l'elezione, in ciascun collegio, del candidato che ha ottenuto il maggior numero di voti validi. Non è prevista alcuna soglia minima per conseguire un seggio.
L’assegnazione dei seggi è affidata all’ufficio elettorale regionale:
Risultano eletti i candidati compresi in ciascuna lista secondo l’ordine in cui vi compongono.
Anche nel sistema elettorale per la Camera dei deputati i tre quarti dei seggi (esclusi quelli assegnati alla circoscrizione estero) sono attribuiti con metodo maggioritario in collegi uninominali, mentre il restante un quarto è assegnato con metodo proporzionale. La legge individua ventisei circoscrizioni elettorali (la Sicilia ne ha due). La lista a livello circoscrizionale deve essere presentata da un numero di elettori che va da 500 a 4500; è una lista breve e rigida, dal momento che non esiste per l'elettore la possibilità di esprimere un voto di preferenza, sì che risulteranno eletti i candidati secondo l'ordine prestabilito dal partito.
L’assegnazione dei seggi
L’ufficio centrale nazionale deve identificare le coalizioni e le liste tra le quali vanno ripartiti i seggi, svolgendo operazioni:
L’ufficio adesso può procedere all’assegnazione dei seggi:
Gli esiti dello spoglio portano all'immediata proclamazione dei candidati che vi hanno conseguito la maggioranza dei voti validamente espressi. Data la possibilità che i candidati a livello circoscrizionale siano eletti in più circoscrizioni, si prevede a carico dell'eletto l'obbligo di optare entro otto giorni dalla data dell'ultima proclamazione; diversamente si procede a sorteggio.
Le regole per l’assegnazione dei seggi della circoscrizione estero
Legge 459/2001. A ciascuna delle 6 ripartizioni viene assegnato un seggio per la camera dei deputati e un seggio per il senato, mentre gli altri 6 seggi per la camera vengono ripartiti in proporzione al numero dei cittadini italiani residenti nelle medesime. La copertura dei seggi avviene secondo il sistema proporzionale: si calcola la cifra elettorale di ciascuna lista e la cifra elettorale di ciascun candidato; si divide la somma dei voti validi espressi nella ripartizione per le cifre elettorali delle diverse liste presenti nella competizione elettorale e alle liste che hanno i quozienti più alti si assegnano i seggi; nell’ambito di ciascuna lista vengono assegnati al candidato che ha ottenuto il più alto numero di preferenze.
Con la legge costituzionale 1/1999 sono state introdotte rilevanti modifiche al titolo V della costituzione, dedicato alla disciplina delle autonomie regionali. Il nuovo testo dell'articolo 122 prevede, infatti, che "il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della giunta regionale, nonché dei consiglieri regionali, sono disciplinati con la legge della regione, nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi" e, all'ultimo comma, che "il Presidente della giunta regionale, salvo che lo statuto disponga diversamente, è eletto suffragio universale diretto". Il numero dei seggi in palio è ripartito fra i vari collegi in proporzione alla popolazione residente. Si tratta di collegi plurinominali, nei quali ogni partito o movimento politico presenta una lista di candidati. Ogni elettore ha la possibilità di esprimere una preferenza a favore di un candidato compreso nella lista stessa.
Il Parlamento ha varato una nuova legge che interessa tanto i comuni, quanto le province (disciplina compresa nel testo unico 267/2000), che rappresenta una combinazione di elementi che si ispirano al principio maggioritario con elementi che, invece, si ispirano al principio proporzionale. Per i comuni fino a 15.000 abitanti, ogni candidato sindaco deve essere collegato a una lista di candidati a consigliere comunale; risulterà eletto sindaco il candidato che avrà ottenuto il maggior numero di voti e in caso di parità si procede al ballottaggio. La lista collegata al candidato Sindaco risultato vincitore ottiene i 2/3 dei seggi posti in palio, mentre i rimanenti vengono distribuiti tra le altre liste, in proporzione al numero di voti ottenuto, applicando il metodo d’Hondt.
Per i comuni oltre 15.000 abitanti l'elettore vota contemporaneamente per un candidato a sindaco e per una delle liste, che non devono essere per forza uguali; risulterà eletto sindaco il candidato che otterrà la metà più uno dei voti validamente espressi e anche in questo caso si può procedere al ballottaggio. Tra i 2 candidati che hanno ottenuto il maggior numero dei voti. Al secondo turno i 2 candidati ammessi al ballottaggio possono collegarsi ad altre liste.attribuzione dei seggi del consiglio comunale alle varie liste avviene in proporzione al numero di voti ottenuti, con l’applicazione del metodo di Hondt. Alle liste collegate al sindaco vincitore vengono assegnati il 60% dei seggi.
La durata in carica dei sindaci e dei consigli comunali è fissata in cinque anni e si è limitato a due il numero massimo dei mandati a sindaco.
Il procedimento per l'elezione del Presidente della provincia e dei consigli provinciali non differisce da quello disposto per i comuni di maggiore dimensione e anche in questo caso la durata in carica risulta di cinque anni.
Per quanto riguarda l'elezione del Parlamento europeo, in Italia è in vigore la legge 18/1979 che prevede un sistema proporzionale, a scrutinio di lista, il quale opera nelle cinque grandi circoscrizioni elettorali (Italia nord-occidentale, nord-orientale, centrale, meridionale, insulare) in cui la stessa legge ha suddiviso il territorio nazionale. Per l'assegnazione degli 87 seggi si calcola il quoziente elettorale nazionale (numero di voti validamente espressi diviso il numero di seggi da assegnare) e si divide la cifra elettorale nazionale di ciascuna lista per tale quoziente.
Con il termine di contenzioso elettorale si fa riferimento a quel complesso di regole che consentono al singolo candidato, alla lista o ai cittadini, di impugnare i risultati delle consultazioni elettorali, qualora ritengano che, nell'assegnazione dei seggi, siano state commesse delle irregolarità. Per ciò che attiene alle elezioni per le due camere, il controllo è affidato a uno speciale organo interno, la giunta delle elezioni. Questa operazione ha mantenuto il nome di “verifica dei poteri” quando serviva a verificare la consistenza dei poteri che i membri del Parlamento avevano ricevuto in mandato dai gruppi sociali di cui erano rappresentanti.
Per i consigli regionali la convalida degli eletti è riservata al consiglio, ma si riferisce solo ai profili di ineleggibilità e incompatibilità e le relative decisioni sono impugnabili davanti al giudice ordinario, oltre che dagli interessati, da qualunque elettore e dal commissario del Governo.
Per i consigli regionali le decisioni sulle impugnabili davanti al giudice ordinario, oltre che dagli interessati, da qualunque elettore e dal commissario del Governo. Per il Parlamento europeo si prevede un sistema di regole analogo a quello previsto per comuni e province.
Il principio che disciplina le campagne elettorali si ispira alla parità di trattamento e all'imparzialità (par condicio) e ruota intorno alla distinzione fra comunicazione politica e messaggio autogestito. Per comunicazione politica s'intendono quei programmi radiotelevisivi nei quali si mettono a confronto in forma dialettica discorsiva le diverse opinioni che esistono sui temi oggetto di dibattito politico; per messaggi autogestiti s'intendono quelle forme di comunicazione volta illustrare, in modo motivato ma unilaterale, un singolo programma o una singola opinione politica. I programmi di comunicazione politica sono diffusi obbligatoriamente dalle emittenti che operano a livello nazionale (sia pubbliche che private); i messaggi autogestiti sono diffusi dalla concessionaria pubblica (RAI) e devono avere una durata minima (da 1 a 3 minuti quelli televisivi e da 30 a 90 secondi quelli radiofonici). Gli spazi riservati per i messaggi devono essere attribuiti in condizioni di parità e gratuitamente dalle emittenti di livello nazionale; le emittenti locali possono concederli anche a titolo oneroso. Esiste l'obbligo per ciascun partito di non superare un tetto massimo di spese elettorali e l'obbligo di presentare ai presidenti delle camere il consuntivo relativo alle proprie spese elettorali e alle relative fonti di finanziamento. Esiste un contributo alle spese elettorali sia per le elezioni del Parlamento nazionale ed europeo sia dei consigli regionali. Il compito di assicurare il rispetto di tali obblighi è affidato ai collegi regionali di garanzia elettorale, istituti presso le corti d’appello o presso il tribunale del capoluogo di ciascuna regione. A questi organi spetta l’esercizio di poteri sanzionatori che, a seconda dei casi, possono andare dalla irrogazione di sanzioni pecuniarie, alla stessa decadenza dalla carica. Il rispetto degli obblighi gravanti su partiti e movimenti politici, è garantito dai controlli effettuati dalle 2 camere e da un apposito collegio, istituito presso la corte dei conti.
Ove tali controlli rivelino delle violazioni degli obblighi di leggi, essi possono portare all’irrogazione di sanzioni pecuniarie che vanno ad incidere sul contributo alle spese elettorali.
Per le consultazioni referendarie è riconosciuto ai comitati promotori un rimborso calcolato in base al numero delle firme valide raccolte, sempre che sia raggiunto il quorum di partecipazione. Quanto alle modalità di corresponsione, si prevede un meccanismo annuale di versamento di quanto spettante a ciascun partito, in proporzione ai voti ricevuti.
In base agli istituti di democrazia diretta, il corpo elettorale, anziché delegare ad altri organi l'esercizio della sovranità, provvede a esercitarla in proprio, saltando le mediazioni degli organi rappresentativi. Gli istituti previsti dalla nostra costituzione che vengono ricondotti sotto quest'etichetta sono tre: la petizione, l'iniziativa popolare e il referendum.
La petizione è definita dall'articolo 50 della costituzione come il diritto di ciascun cittadino di rivolgersi alle camere "per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità".
Del diritto di petizione è titolare la generalità dei cittadini. Le petizioni vengono trasmesse alla commissione parlamentare competente (a seconda della materia cui la petizione si riferisce); la commissione la prende in considerazione e delibera su di essa; la petizione viene trasmessa al Governo (nel caso in cui i provvedimenti presi chiamino in causa quest'ultimo); infine viene comunicato l'esito della petizione al presentatore della stessa. L'istituto della petizione è previsto anche a livello regionale.
L'istituto dell'iniziativa legislativa popolare, a livello nazionale, prevede che i titolari siano almeno 50.000 cittadini, in possesso della capacità elettorale e la sollecitazione è volta l'approvazione di uno specifico provvedimento legislativo. La funzione rimane comunque quella di stimolo, che lascia quindi libero l'organo cui l'iniziativa popolare è rivolta di assumere le decisioni in merito che ritiene più opportune. Anche l'iniziativa popolare ha trovato spazio negli istituti regionali. I regolamenti parlamentari stabiliscono che le proposte di legge di iniziativa popolare non decadono con lo scadere della legislatura, ma sopravvivono anche per la legislatura successiva. Gli unici controlli cui le iniziative popolari sono soggetti sono dunque quelli relativi alla regolarità degli adempimenti formali cui esse sono subordinate i quali sono svolti direttamente dalla camera che riceve la proposta di legge.
L'istituto referendario è previsto come istituto destinato operare sia a livello nazionale che a livello regionale e locale. La tipologia del referendum a livello nazionale prevede innanzitutto il referendum abrogativo di leggi e il referendum che si inserisce nel procedimento di revisione costituzionale. Il referendum abrogativo di leggi è in grado di produrre gli effetti più traumatici sul normale funzionamento degli organi rappresentativi, potendo portare ad una aperta sconfessione dell’operato del parlamento da parte degli elettori.
Il referendum abrogativo di legge statale consiste nella sottoposizione al voto popolare di uno più quesiti relativi all'abrogazione, totale o parziale, di una legge già in vigore. L'articolo 75 della costituzione fissa a 500.000 il numero minimo di elettori necessari per la presentazione della richiesta referendaria. Sono sottratte referendum le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. È stato previsto un doppio "quorum": uno di partecipazione (la consultazione può produrre i suoi effetti abrogativi solo se ha partecipato al voto la metà più uno degli aventi diritto) e uno relativo all'esito della consultazione (la maggioranza dei voti validamente espressi).
L'organo indicato di assicurare i rispetti tali limiti è la corte costituzionale.
Le richieste di referendum abrogativo non possono essere presentate nell'anno anteriore a quello di scadenza di una delle camere o nei sei mesi successivi alla data di convocazione dei comizi elettorali e sono soggette a un primo controllo di conformità alle regole da parte dell'ufficio per il referendum, istituito presso la corte di cassazione. La corte ha escluso l'ammissibilità della richieste referendarie quando vi è una pluralità di domande eterogenee che non permettono di esprimere la propria volontà con un sì o con un no; quando attengono a norme costituzionali; quando attengono a leggi ordinarie a contenuto costituzionalmente vincolato. Se la richiesta supera i controlli, spetta Presidente della Repubblica fissare il referendum in una domenica compresa fra il 15 aprile ed il 15 giugno. Nel caso in cui venga approvata l'abrogazione parziale o totale della legge, è il Presidente della Repubblica che provvede a dichiarare con proprio un decreto l'avvenuta abrogazione. Nel caso in cui l'elettorato si esprima in senso contrario all'abrogazione, la stessa legge non potrà essere sottoposta di nuovo a referendum abrogativo per un periodo di cinque anni.
Nell'ipotesi in cui la maggioranza raggiunta in ciascuna Camera, nella seconda votazione sulla legge costituzionale, non raggiunga i due terzi, ma la sola maggioranza assoluta (che è indispensabile), si prevede che alcuni soggetti (anche un quinto dei membri di una Camera) possono chiedere di sottoporre a consultazione popolare il testo votato dal Parlamento( una sorta di “appello al popolo”). Un’iniziativa che può esercitarsi entro 3 mesi dalla apposita pubblicazione sulla gazzetta ufficiale del testo della deliberazione legislativa.
Ha ad oggetto una delibera legislativa del parlamento ancora non produttiva di alcun effetto. È questa la ragione per cui si qualifica questo tipo di referendum come referendum sospensivo, volendo con ciò significare che, una volta avviata la procedura referendaria, quest’ultima sospende il perfezionamento del procedimento di revisione costituzionale fino al momento in cui si sia svolta la consultazione popolare. A questo risultato si perviene nel caso in cui si esprima in senso favorevole alla legge la metà più uno dei voti validamente espressi, mentre la Costituzione non richiede alcun quorum di partecipazione. Le modalità di svolgimento ricalcano quelle previste dalla stessa legge per il referendum abrogativo.
Il referendum per la fusione di Regioni esistenti, per la creazione di nuove regioni o per l’aggregazione di Province e Comuni al territorio di una Regione diversa rispetto a quella di appartenenza
I due referendum previsti per la fusione tra più regioni, la creazione di nuove regioni (con un minimo di un milione di abitanti) o lo spostamento di comuni e province dal territorio di una regione a quello di un'altra, non hanno sin oggi trovato pratica applicazione.
Il procedimento prevede che in entrambi i casi l'iniziativa parta dagli organi elettivi degli enti locali minori (i consigli comunali e provinciali interessati), che su tali proposte esprimano i loro pareri i rispettivi consigli regionali, nonché appunto le popolazioni interessate, tramite referendum.
Il referendum è indetto nel territorio delle regioni interessate e la richiesta è approvata se in senso ad essa favorevole si esprime la maggioranza degli aventi diritto di voto; in quest’ultima ipotesi, la procedura di fusione si conclude con l’approvazione di una legge costituzionale. Nel caso di distacco la richiesta deve essere deliberata anche da tanti consigli provinciali o regionali che rappresentino almeno un terzo della restante popolazione della regione dalla quale è proposto il distacco.
Il relativo referendum è indetto nel territorio della regione dalla quale le province o i comuni intendono staccarsi; in caso di esito positivo, la procedura si conclude con l’approvazione di una legge costituzionale. Se il distacco mira all’aggregazione da un’altra regione esistente, la richiesta dovrà essere deliberata, oltre che dai consigli provinciali o comunali interessati, anche da tanti consigli provinciali o comunali che rappresentino almeno 1/3 della popolazione della regione nei confronti della quale si propone l’aggregazione.
Il relativo referendum è indetto sia nel territorio della regione dalla quale le province o i comuni intendono staccarsi, sia nel territorio della regione alla quale esse intendono aggregarsi; in caso di esito positivo, la procedura si conclude con l’approvazione di una legge ordinaria.
La giurisprudenza ha riconosciuto ai promotori del referendum regionale il diritto di ricorrere al giudice ordinario non solo nell'ipotesi di dichiarata inammissibilità delle iniziative referendarie, ma anche nell'ipotesi di sospensione delle medesime, qualora intervengano parziali abrogazioni o modifiche legislative che interessino la legge regionale, oggetto di referendum. L'istituto referendario ha mantenuto quei caratteri di eccezionalità che già l'assemblea costituente aveva inteso conferirgli. Gli istituti regionali hanno preferito puntare piuttosto che sull'istituto referendario su altri istituti diretti ad accrescere le possibilità di partecipazione della comunità regionale come gli istituti di partecipazione quali le consultazioni.
L’art 123 Cost. prevede che gli statuti regionali disciplinino l’esercizio del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della regione. L’esame di nuovi statuti regionali, legge Cost. 1/1999, consente di registrare alcune novità: tipologie referendarie e disciplina del giudizio di ammissibilità.
Quanto al primo profilo, al referendum abrogativo si accompagna ora la previsione generalizzata di referendum consuntivi. Questi ultimi possono avere ad oggetto proposte di atti normative o altre questioni di interesse regionale e, in genere, sono uno strumento attivabile solo dal consiglio regionale. In un caso (statuto del Lazio) è prevista anche una forma di referendum propositivo che funziona come istituto volto a rafforzare l’iniziativa legislativa popolare.
Quanto al secondo profilo, gli istituti affidano il giudizio di ammissibilità agli organi di garanzia statuaria che hanno come denominatore comune quello di essere organi indipendenti dal consiglio regionale e dunque organi-terzi ed imparziali.
Il nuovo testo dell’art.123 Cost. prevede per l’approvazione dello statuto una procedura aggravata: si tratta di un referendum che ripete le caratteristiche di un referendum facoltativo, sospensivo (nel senso che una volta iniziata la procedura referendaria essa sospende il perfezionamento del procedimento di approvazione dello statuto), deliberativo (non si avrà approvazione dello statuto se non si sarà espressa a favore la maggioranza dei voti validamente espressi nella consultazione referendaria). L’intervento integrativo del legislatore regionale chiamato a sciogliere alcuni nodi, tra questi quello del rapporto tra l’eventuale richiesta di referendum da parte del corpo elettorale regionale e l’eventuale impugnazione della legge statuaria da parte del Governo davanti la Corte Costituzionale.
Il referendum per l’istituzione di nuovi Comuni o la modifica delle circoscrizioni o delle denominazioni comunali
L'articolo 133.2 della costituzione prevede un'ulteriore forma di referendum a livello regionale, ovvero quello relativo all'istituzione di nuovi comuni o alla modifica delle loro circoscrizioni o denominazioni. Tali provvedimenti possono essere adottati con legge regionale, ma, appunto, previa consultazione delle popolazioni interessate.
La Corte Costituzionale ha affermato che, nell’ipotesi di distacco di alcune frazioni del comune di appartenenza, il voto spetta non solo alle popolazioni delle frazioni richiedenti l’erezione in comune autonomo, ma anche a quelle delle frazioni che rimarrebbero nel comune d’origine. Si tratta di referendum consultivi obbligatori, il cui esito difficilmente potrebbe essere disatteso dagli organi regionali. È contenuta negli statuti regionali e nelle relative leggi di attuazione.
Il referendum a livello comunale e provinciale
I consigli comunali hanno provveduto ad adottare, accanto a consultazioni referendarie in senso proprio, in genere di tipo consultivo, promosse tanto ad iniziativa degli organi comunali, quanto degli elettori, anche consultazioni informali, quali i semplici sondaggi di opinione. L’art.8 n°3 del T.U, prevede che “nello statuto devono essere previste forme di consultazione della popolazione” e che “possono esservi previsti referendum anche su richiesta di un adeguato numero di cittadini”.
Tale disposizione consente non solo l’istituzionalizzazione della prassi relativa alla promozione da parte dell’ente locale di consultazioni c.d. informali, ma anche l’introduzione di referendum, sia ad iniziativa dell’ente locale, sia ad iniziativa popolare. Quanto alla tipologia di referendum comunali provinciali è da ritenere che essa possa essere estesa anche ad altri tipi (propositivo, confermativo), purché venga rispettato il limite esplicitato dalla stessa disposizione, rappresentato dalle materie di "esclusiva competenza locale".
Il referendum “di indirizzo” in materia di unione politica europea
Attraverso il cosiddetto referendum "di indirizzo" si chiama il corpo elettorale ad esprimersi non su un atto legislativo amministrativo, bensì su un progetto politico da realizzare (come nel caso della trasformazione della comunità europea da comunità essenzialmente economica in comunità politica). Questo tipo di referendum non è stato tuttavia introdotto in linea generale, ma solo limitatamente al problema specifico indicato.
Fonte: http://economiaunipa.altervista.org/wp-content/uploads/2013/05/Riassunto-Istituzioni-di-Diritto-Pubblico-Caretti-De-Siervo-11.doc
Sito web da visitare: http://economiaunipa.altervista.org
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