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Le Regioni
1. Il regionalismo italiano: il modello costituzionale
L’esperienza regionalistica ha avuto avvio in Italia solo con la Costituzione nel 1948. già alcuni mesi prima dell’entrata in vigore della Carta costituzionale si era provveduto a concedere alla Sicilia uno Statuto speciale, mentre gli Statuti speciali di Sardegna, Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige vennero approvati dall’Assemblea Costituente nel periodo di proroga dei suoi lavori.
Il modello accolto dai Costituenti fu il risultato della combinazione di istituti provenienti dall’esperienza sia federale che regionale. Le Regioni furono identificate sulla base della meccanica riproduzione delle circoscrizioni statistiche nei quali era stato diviso il territorio della Repubblica. Le Regioni oltre a vedere la propria competenza disciplinata uniformemente a livello nazionale, si trovarono assai limitate anche rispetto agli atti di autonomia: sia gli Statuti delle Regioni speciali che le leggi regionali si trovavano ad essere di fatto subordinate alla volontà politica della maggioranza parlamentare di volte in volta esistente. Il risultato era una eccessiva pervasività del controllo statale relativo agli atti ed agli organi delle Regioni.
2. La crisi del regionalismo
L’assenza di una tradizione di autonomia regionale e l’esistenza di disposizioni assegnanti un ruolo “tutorio” allo Stato rispetto all’universo delle autonomie, aveva presto determinato l’erosione dei pochi argini posti dalla Costituzione a garanzia dell’autonomia territoriale. Innanzitutto le “voci” indicanti le materie di competenza regionale (urbanistica, caccia, polizia locale, ecc.) sono state oggetto di una ridefinizione mediante legge ordinaria (decostituzionalizzazione delle materie). Lo stato ha assunto, inoltre, l’abitudine di indirizzare l’azione regionale non solo mediante "leggi-cornice”, ma anche mediante atti e strumenti non previsti dalla Costituzione, come le norme regolamentari e gli atti di indirizzo e coordinamento. In conclusione il modello regionale (ordinario e speciale) è stato progressivamente decostituzionalizzato nei fatti e gli enti territoriali, piuttosto che essere in una posizione di autonomia, si sono spesso ritrovati in uno stato di subordinazione rispetto al potere centrale.
3. La riforma del titolo V e degli Statuti speciali
Le riforme introdotte alla fine degli anni Novanta del secolo scorso hanno rappresentato un tentativo di rilanciare il regionalismo:
• è stata rafforzata l’autonomia costituzionale o organizzativa delle Regioni ordinarie e speciali mediante la modifica della disciplina e del procedimento di formazione degli Statuti ordinari e l’introduzione delle leggi statutarie nelle Regioni speciali. Tali atti sono adesso subordinati solo alle norme di rango costituzionale.
• è stato notevolmente ridotto il ruolo tutorio dello Stato:
o sono stati aboliti pressoché tutti i tipi di controllo,
o è stata introdotta una tecnica di enumerazione delle competenze ricalcata sul modello federale con contestuale ridimensionamento delle competenze concorrenti,
o è stato riaffermato il principio per il quale gli interventi limitativi e condizionanti la vita delle Regioni sono sottoposti ad una riserva di legge,
o è stato sciolto il nodo dell’autonomia finanziaria di entrata e di spesa.
4. L’organizzazione regionale: i principi
La Costituzione e le leggi costituzionali si occupano dell’organizzazione regionale cercando di trovare un equilibrio tra principi vincolanti e non disponibili da parte delle Regioni e soluzioni che valorizzano l’autonomia degli enti, lasciandoli liberi di assumere gli assetti ad essi più congeniali.
Intanto gli organi necessari delle Regioni sono:
• il Consiglio Regionale (Assemblea in Sicilia e Consigli della Valle in Valle d’Aosta)
• la Giunta e il suo Presidente
• il Consiglio delle autonomie locali
Spettano all’autonomia regionale tutte le scelte organizzative che non siano costituzionalmente condizionate o che non siano rimesse al legislatore nazionale.
Vi sono norme che consentono delle “varianti predefinite”, cioè, la possibilità di scegliere fra diverse soluzioni che il legislatore riconosce come paritetiche (es. le disposizioni che vincolano l’applicazione di un certo regime organizzativo alla scelta statutaria per l’elezione popolare diretta del Presidente della Giunta).
Vi sono, altresì, norme “preferenziali” (soprattutto in tema di governo) con possibilità di deroga da parte delle Regioni nell’esercizio della propria autonomia statutaria o legislativa (es: il Presidente della Giunta viene eletto a suffragio universale diretto salvo che lo Statuto regionale disponga diversamente)
5. La forma di governo regionale
La determinazione della forma di governo delle Regioni è espressamente rimessa all’autonomia degli enti, salvo alcune competenze, sottratte agli Statuti ed attribuite alla competenza regionale concorrente, nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica (es: il sistema di elezione degli organi). A parte la questione del rapporto tra competenze statutarie e legislative, altri limiti alla forma di governo regionale derivano da vincoli e condizionamenti costituzionali, il che significa che le opzioni organizzative regionali devono mantenersi sempre nell’ambito delle varianti della forma di governo parlamentare, restando esclusa sia l’opzione presidenzialista che quella direttoriale.
La concreta attuazione di tali principi spetta alle leggi statutarie regionali e delle Regioni speciali.
6. Le soluzioni adottate dagli Statuti ordinari
È possibile fare un primo bilancio delle soluzioni adottate dalle varie Regioni. Il modello dell’elezione diretta del Presidente della Regione e della Giunta, con la conseguente applicazione del regime del simul stabunt ed simul cadent (se cade un organo, l’altro lo segue), è quello che ha goduto dei maggiori favori: tutte le Regioni ordinarie e speciali hanno scelto tale forma di organizzazione degli organi politici regionali (tranne la Valle d’Aosta). In effetti, l’automatismo dello scioglimento del Consiglio e della decadenza del Presidente della Giunta con la Giunta stessa costituisce infatti un deterrente fortissimo all’instabilità di governo.
7. I singoli organi regionali: il Consiglio
Il Consiglio Regionale costituisce l’assemblea politico-rappresentativa della comunità regionale. Esso esercita, in via esclusiva, le potestà legislative attribuite alla Regione e le altre funzioni conferitegli dalla Costituzione e dalle leggi. La sua rilevanza come organo di rappresentanza generale del gruppo politico territoriale giustifica anche l’attribuzione ad esso del potere di fare proposte di legge (ordinaria e costituzionale) alle Camere.
I Consigli Regionali sono eletti a suffragio universale e diretto (ad eccezione del Trentino). I consiglieri regionali esercitano le funzioni “senza vincoli di mandato” (vedi il divieto di mandato imperativo), e godono altresì di alcune garanzie quali:
• non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle funzioni (c.d. insindacabilità) quando espletano funzioni legislative e statutarie
Spetta alle leggi regionali stabilire l’indennità spettante ai consiglieri regionali per l’esercizio delle relative funzioni.
Il sistema di elezione è rimesso alla disciplina legislativa statale di principio (che richiede che il sistema elettorale regionale agevoli la formazione di stabili maggioranze e assicuri la rappresentanza delle minoranze) e a quella regionale di dettaglio.
La legge stabilisce che il Consiglio sia eletto contestualmente al Presidente nel caso in cui si opti per l’elezione popolare diretta di quest’ultimo e che, invece, negli atri casi, il Consiglio elegga il Presidente o la Giunta entro 90 giorni.
L’indizione delle elezioni spetta al Prefetto nella sua qualità di “rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie”, spetta poi alle Regioni la definizione della propria legislazione elettorale.
Per le Regioni speciali, la riforma del 2001 ha previsto che il sistema di elezione sia determinato con legge regionale, approvata secondo il procedimento ordinario o con quello previsto per le leggi statutarie sulla forma di governo. In tali Regioni l’indizione delle elezioni spetta al Presidente della Giunta.
Le condizioni per l’esercizio dell’elettorato attivo restano uniformemente disciplinate sull’intero territorio nazionale come pure quelle relative alle limitazioni del diritto di voto.
Sulle cause di ineleggibilità ed incompatibilità, la Costituzione vieta che si possa appartenere contemporaneamente a un Consiglio o a una Giunta regionale e ad una delle Camere del Parlamento o ad un altro Consiglio a ad altra Giunta regionale o al Parlamento europeo o al CSM.
La determinazione del numero dei consiglieri è rimessa alla competenza degli Statuti ed è in genere stabilita in un numero fisso.
Quanto alla durata delle Assemblee regionali ordinarie, essa è espressamente riservata dalla Costituzione alla legge statale mentre per le Regioni speciali è fissata dalla Costituzione. In entrambe le categorie di Regioni la durata è stabilita in 5 anni a decorrere dalla data delle elezioni.
7.1 L’organizzazione del Consiglio: i regolamenti interni
Per quanto riguarda i regolamenti interni, non essendoci una riserva di regolamento nella Costituzione, spetta agli Statuti determinare:
• le norme sulla produzione e
• il quorum di approvazione (2/3 nel Lazio, maggioranza assoluta in Emilia, maggioranza semplice in Puglia),
• le forme di governo,
• i principi dell’organizzazione,
• l’ambito ed il regime dei regolamenti consiliari.
Quanto al regime giuridico, sembra da escludere che i regolamenti consiliari producano norme di rango primario.
7.2 L’articolazione interna del Consiglio
Gli Statuti ed i regolamenti consiliari prevedono un’organizzazione interna piuttosto articolata a garanzia della funzionalità ed autonomia. L’organigramma:
• Presidente del Consiglio regionale: eletto in seno all’Assemblea
• Ufficio di Presidenza:
• Gruppi consiliari: costituiti in base all’affinità politico-ideologica tra gli eletti
• Gruppi linguistici: solo (Trentino Alto Adige)
• Conferenza dei Presidenti: attività connesse alla programmazione dei lavori
• Commissioni permanenti: partecipano al procedimento legislativo e svolgono attività di tipo conoscitivo, ispettivo e di controllo.
• Giunte: (per il regolamento e per le elezioni)
I Consigli godono di autonomia contabile e di bilancio.
7.3 Le funzioni del Consiglio ed il rapporto fiduciario
Il Consiglio regionale:
• esercita le potestà legislative (art. 121 Cost)
• approvazione del bilancio regionale,
• approvazione degli Statuti ordinari (o leggi statutarie per le Regioni speciali)
• approvazione dei regolamenti regionali
• partecipazione alla definizione dell’indirizzo politico regionale.
• può esprimere la sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta medianti mozione motivata, sottoscritta da almeno 1/5 dei componenti e approvata a maggioranza assoluta
• alcuni Statuti conferiscono al Consiglio regionale il potere di approvare, all’inizio della legislatura, il programma del Presidente della Regione eletto
• alcuni Statuti prevedono mozioni di sfiducia dei singoli assessori
• ha il potere di fare proposte di legge alle Camere (iniziativa legislativa)
• può promuovere referendum abrogativi (insieme ad altri 4 Consigli regionali)
• esprime parer nel procedimento di fusione o creazione di Regioni, di distacco di un Comune o di una Provincia dalla Regione o di mutamento o istituzione di nuove Province
• elegge i delegati regionali per l’elezione del Presidente della Repubblica
• può rimuovere il Presidente della della Regione e la Giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge
7.4 La durata del Consiglio e le ipotesi di scioglimento anticipato
La durata della legislatura regionale e dei suoi organi è quinquennale.
La cessazione può essere anticipata per:
• scioglimento funzionale:
o cause di natura politico-istituzionale a seguito di una mozione di sfiducia nei confronti del Presidente delle Giunta o nelle ipotesi di sua rimozione, impedimento permanente, morte o dimissioni volontarie,
o dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti dell’organo
In tali eventualità, in forza del principio simul stabunt, simul cadent, si determinano anche le dimissioni della Giunta e lo scioglimento del Consiglio.
• scioglimento sanzionatorio (art.126 Cost): tramite decreto del Presidente della Repubblica può essere disposto lo scioglimento del Consiglio Regionale e la rimozione del Presidente della Giunta:
o che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge.
o per ragioni di sicurezza nazionale
8. Il Presidente regionale
La nomina del Presidente della Regione e della Giunta regionale è rimessa all’autonomia degli enti territoriali i quali possono optare per:
o l’elezione a suffragio universale e diretto: allo scadere del secondo mandato consecutivo, il Presidente della Giunta regionale non può essere rieletto.
o l’elezione consiliare:
Dalla scelta del modello discendono conseguenze diverse anche in ordine al margine di discrezionalità di cui dispongono le Regioni nel regolare i vari aspetti relativi alla permanenza in carica ed alla cessazione dall’ufficio di tale organo.
Il vertice dell’Esecutivo regionale cumula in sé le funzioni di Presidente della Giunta e della Regione, avendo la rappresentanza generale dell’ente. Assume, inoltre, la vesti di ufficiale del Governo, allorché esercita le funzioni delegate dalla Stato.
Il Presidente della Giunta (o della Regione):
• rappresenta la Regione:
o partecipando alla Conferenza Stato-Regioni ed alla Conferenza unificata
o partecipando alla riunione del Consiglio dei Ministri nel caso dell’esercizio, da parte del Governo, di poteri sostitutivi nei confronti della Regione
o promuovendo le questioni di legittimità costituzionale ed i conflitti di attribuzione
o quando esterna i più importanti atti della Regine, come la promulgazione delle leggi, l’emanazione dei regolamenti o l’indizione dei referndum
• dirige la politica della Giunta e ne è responsabile
• promulga le leggi ed emana i regolamenti regionali
• dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione, conformandosi alle istruzioni del Governo della Repubblica
• ha il potere di nominare e revocare i singoli assessori
• è il solo destinatario della sfiducia del Consiglio
8.1 Il Presidente negli Statuti speciali
Le funzioni del Presidente regionale negli Statuti speciali sono analoghe a quelle delle Regioni ordinarie. Attualmente solo la Val d’Aosta ha mantenuto l’elezione consiliare del Presidente. Tutti gli Statuti prevedono che il Presidente della Giunta partecipi alle riunioni del Consiglio dei Ministri in presenza di interessi regionali specifici. Lo Statuto siciliano dispone, altresì, che tale partecipazione consista anche nel potere di voto deliberativo.
In Sicilia spetta al Presidente (congiuntamente al Governo) il mantenimento dell’ordine pubblico a mezzo della Polizia di Stato.
In Val d’Aosta e Sardegna tale attribuzione è esercitata su delega e nel rispetto delle direttive del Governo
Ai Presidenti delle Province di Trento e di Bolzano sono attribuiti i poteri dell’autorità di pubblica sicurezza in talune materie.
Al Presidente regionale e provinciale spetta (nelle Regioni speciali) l’indizione delle elezioni del Consiglio regionale o provinciale nonché la competenza ad adottare i provvedimenti con tingibili ed urgenti in materia di sicurezza ed igiene pubblica.
9. Il procedimento di formazione della Giunta regionale
In caso di elezione diretta del Presidente:
• la formazione della Giunta dipende direttamente dal Presidente, il quale nomina e revoca gli assessori (art 122 Cost)
In caso di elezione consiliare del Presidente:
• la Giunta può essere eletta con o senza voto di fiducia alla proposta del Presidente o si può procedere alla votazione dei singoli assessori da parte dello stesso Consiglio
La composizione della Giunta può prevedere assessori esterni al Consiglio.
Per le Regioni a Statuto speciale la disciplina della formazione della Giunta è rimessa alle leggi regionali statutarie.
9.1 Le funzioni della Giunta
La Giunta regionale è l’organo esecutivo della Regione (art 121 Cost). Dal momento che il Consiglio Regionale ha potestà legislative, la Costituzione ribadisce il principio di legalità anche a livello regionale subordinando formalmente l’azione “esecutiva” alla previa determinazione legislativa dell’organo rappresentativo.
Essa, insieme al suo Presidente, svolge un ruolo direttivo dell’indirizzo politico regionale e può introdurre istituti (come la questione di fiducia) per il controllo della maggioranza consiliare o un procedimento “privilegiato” per l’approvazione delle leggi che siano espressione dell’indirizzo politico di Giunta e maggioranza.
Ha la potestà di agire e resistere in giudizio nelle questioni di legittimità costituzionale di una legge dello Stato o di altre Regioni o nei conflitti di attribuzione avverso lo Stato o altre Regioni.
Ha inoltre competenze normative (regolamenti a carattere esecutivo), potere di disposizione del bilancio e del consuntivo e funzioni di natura amministrativa. Ha, inoltre, il potere di adottare, in caso di necessità ed urgenza e sotto la propria responsabilità, provvedimenti a carattere amministrativo di competenza del Consiglio regionale , sottoponendoli, poi, ad esso per la ratifica.
10. Altri organi regionali
Altri organi regionali costituzionalmente previsti o “necessari” sono:
• Consiglio delle autonomie locali: è un organo di consultazione tra la Regione e gli enti locali. Tali organi hanno il potere di emettere pareri nel procedimento di revisione dello Statuto, in quello legislativo e nei procedimenti amministrativi regionali relativi a materie che interessino gli enti locali, nonché di conferimento di funzioni a questi ultimi. Hanno anche potere di iniziativa legislativa regionale o di proporre modifiche statutarie.
Altri organi regionali costituzionalmente non previsti o “non necessari” che trovano la loro fonte istitutiva negli Statuti ordinari sono:
• Consulte o Commissioni di garanzia statutaria: il cui compito è quello di esprimere pareri tecnici sulla conformità dell’azione regionale alle norme statutarie
• Consigli regionali dell’economia e del lavoro:
• Consulte o Commissioni per le pari opportunità:
• Difensori civici regionali:
11. Istituti di partecipazione; referendum; petizioni; consultazioni popolari. Il difensore civico
Istituti di democarazia diretta:
• Referendum: la disciplina dei quali è rimessa agli Statuti ed alle leggi statutarie delle Regioni e Province autonome. Oggetto del referendum può essere una legge o un provvedimento amministrativo della Regione. Sono previsti referendum abrogativi, consultivi, confermativi e propositivi. I singoli Statuti stabiliscono i limiti di ammissibilità e procedurali.
• Difensore civico: si occupa della tutela dei diritti soggettivi, degli interessi legittimi e degli interessi collettivi o diffusi dei cittadini e degli enti , cui sono connesso poteri di intervento in caso di ritardo, irregolarità ed omissione nell’attività e nei comportamenti dei pubblici uffici, al fine di garantire l’effettivo rispetto dei principi di legalità, trasparenza, buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa.
12. Le funzioni amministrative tra Regioni ed altri enti territoriali. La decostituzionalizzazione delle regole sulla relativa allocazione
Nella riforma costituzionale, il legislatore è sembrato ispirarsi al c.d. federalismo d’esecuzione, radicando la competenza legislativa negli enti territoriali maggiori ed affermando, nell’articolazione del potere amministrativo, una preferenza per l’ente minore, ciò per alleviare il cumulo delle funzioni presso lo stesso ente ed avere una maggiore efficacia e dinamicità. È rimessa alla legge la determinazione delle funzioni da “trasferire” ai Comuni e quelle da “conferire” ad altri enti.
Per quanto concerne le funzioni regolamentari e quelle amministrative: allo Stato spettano le funzioni regolamentari nelle materie di propria legislazione esclusiva, mentre alle Regioni sono attribuite le funzioni regolamentari in tutte le altre materie.
12.1 La sopravvivenza delle leggi sulla ripartizione delle competenze amministrative
Nel nuovo art 118 Cost. si prevede che tutte le funzioni amministrative siano attribuite in via di principio ai Comuni, ma per assicurarne l’esercizio unitario, possono essere conferite alle Città metropolitane, alle Province, alle Regioni ed allo Stato sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.
Interpretando tale disposizione in senso letterale sembrerebbe che dall’entrata in vigore della riforma, tutte le funzioni amministrative spettino in via esclusiva ai Comuni, il che comporterebbe l’immediata illegittimità di tutte le norme statali e regionali che attribuiscono funzioni amministrative ad enti diversi dal Comune. Tale obiezione non ha ragione di esistere in quanto l’ente titolare di una funzione amministrativa non può esercitarla se tale funzione non è coperta da un atto che assicuri il previo trasferimento degli uffici, del personale e delle risorse nell’ente trasferente.
12.2 La riserva di legge sul conferimento delle funzioni amministrative
La forma dell’atto di allocazione delle funzioni amministrative è di natura legislativa (e non regolamentare). È riservata alla legge statale stabilire le forme di coordinamento e di intesa nelle funzioni amministrative fra Stato e Regioni.
12.3 Lo Stato e la Regione nell’allocazione delle competenze amministrative
Per quanto attiene al soggetto competente ad allocare le funzioni amministrative, la Costituzione distingue le funzioni amministrative degli enti infra-regionali da quelle conferite allo Stato o alle Regioni.
• Comuni, Province e Città metropolitane: la competenza legislativa in ordine alle funzioni fondamentali di tali enti è attribuita allo Stato. Le Regioni, peraltro, hanno piena facoltà di conferire agli enti territoriali infraregionali ulteriori funzioni amministrative.
• Stato: alla legislazione statale è riservata l’ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali e cioè:
o in materia di tutela dei beni culturali
o in materia di valorizzazione dei beni culturali
• Regioni: il potere di conferimento delle funzioni amministrative spetta alle Regioni:
o in materia di turismo:
o in materia di legislazione esclusiva delle Regioni:
Tale suddivisione non trova d’accordo la Corte Costituzionale per la quale la concreta allocazione delle funzioni amministrative non può prescindere da un intervento legislativo, il che vuol dire che la garanzia per i vari enti interessati, non sarebbe assicurata da una precisa individuazione dei campi materiali di intervento o dall’attribuzione di una competenza normativa riservata a conferire le funzioni, ma dalla necessità di procedere mediante forme collaborative (intese) che coinvolgano tutti i soggetti interessati.
12.4 Il trasferimento delle funzioni tra Stato, Regioni ed enti locali
L’esercizio delle attribuzioni degli enti territoriali di tipo amministrativo è condizionato al compimento di alcuni adempimenti: il passaggio delle funzioni amministrative attribuite alle Regioni ed il trasferimento dei funzionari e dei dipendenti statali alle amministrazioni regionali è disciplinato da una legge statale e principi analoghi si applicano agli enti locali. Il passaggio cruciale nell’implementazione del decentramento è costituito dalle procedure di assegnazione delle funzioni amministrative ai vari enti territoriali. Il processo di assegnazione si distingue in due fasi:
1. il conferimento: consiste nell’individuazione delle singole attribuzioni e nella scelta del livello di governo al quale allocarle (Stato, Regioni, Province, Città metropolitane) sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. I Comuni sono titolari di tutte le funzioni amministrative non diversamente attribuite da atti di natura legislativa dello Stato o delle Regioni. Per ciò che riguarda il conferimento ed il trasferimento delle funzioni alle Regioni speciali, i procedimenti sono regolati dai reltivi Statuti.
2. il trasferimento: è il secondo passo e si sostanzia nella concreta individuazione di beni, risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative da assegnare ai vari enti cui sono state conferite le relative attribuzioni. Il trasferimento delle funzioni statali è avviato con la presentazione del disegno di legge collegato alla manovra finanziaria che recepisce accordi raggiunti con gli enti territoriali in sede di Conferenza unificata. Lo Stato può effettuare i trasferimenti medianto l’adozione di decreti del Presidente del Consiglio e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia.
13. I controlli sulle Regioni
A parte il controllo sugli organi regionali (Consigli regionali e Presidente = scioglimento funzionale e sanzionatorio) e l’esercizio del potere sostitutivo (cap. 12 par. 20), l’unico sindacato sulle Regioni espressamente previsto è esercitato dalla Corte costituzionale, dagli organi giurisdizionali e dalla Corte dei Conti.
14. Il potere estero regionale
Nelle materie di sua competenza la regione può concludere accordi con Stati ed intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da legge dello Stato (gemellaggi).
Gli accordi con gli Stati, possono essere solo “esecutivi ed applicativi di accordi internazionali regolarmente entrai in vigore, o accordi di natura tecnico-amministrativa, o accordi di natura programmatica nel rispetto dei vincoli derivanti (…) dalle linee e dagli indirizzi di politica estera italiana”
15. Il ruolo delle Regioni nella formazione e nell’attuazione del diritto comunitario
• Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti comunitari e all’esecuzione degli atti dell’Unione Europea (art. 117 Cost).
• Le Regioni possono trasmettere osservazioni al Presidente del Consiglio o al Ministro per le politiche comunitarie.
• Qualora il progetto di un atto normativo comunitario riguardi materie di competenza legislativa delle Regioni, il Governo convoca, su richiesta di esse, la Conferenza Stato-Regioni nell’ambito della quale si dovrà, entro 20 gg., raggiungere un’intesa.
• Le Regioni concorrono direttamente, nell’ambito delle delegazioni del Governo, alle attività del Consiglio e della Commissione europea.
• Il Governo può ricorrere alla Corte di Giustizia avverso gli atti comunitari ritenuti illegittimi anche su richiesta di una Regione o di una Provincia autonoma, qualora l’atto comunitario in questione riguardi materie di competenza esclusiva regionale.
• Le Regioni e le Province autonome possono dare attuazione legislativa alle Direttive comunitarie anche in mancanza di una previa legge statale di recepimento.
• L’esercizio del potere sostitutivo del Governo si applica solo per sopperire all’eventuale inerzia regionale e solo fintantoché tale inerzia permanga.
16. L’autonomia finanziaria degli enti territoriali
La Costituzione afferma che gli enti territoriali stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, purché in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, la cui disciplina è assegnata alla legislazione concorrente di Stato e Regioni (art. 117 Cost). accanto a tali strumenti, sono previste ulteriori fonti di entrata consistenti in:
1. compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio
2. un fondo perequativo istituito con legge statale per i territori con minore capacità ficale per abitante
3. risorse aggiuntive ed interventi speciali, stabiliti dallo Stato “per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni”
Tali entrate si distinguono in due categorie:
1. trasferimenti ordinari: (compartecipazione al gettito dei tributi erariali) sono proporzionali alla capacità di produzione del reddito nella singola Regione e dovrebbero, quindi, stimolare la stessa a perseguire politiche economiche virtuose che ne rafforzino l’economia.
2. trasferimenti speciali: (risorse aggiuntive e interventi speciali) sono rivolti a realizzare una politica redistributiva delle risorse di tipo eccezionale. Essi sono strumentali a scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni degli enti. (necessità conseguenti ad una calamità naturale, organizzazione di un’olimpiade)
Nell’ambito della normativa di “coordinamento della finanza pubblica”, un capitolo particolare spetta al perseguimento del coordinamento della finanza degli enti territoriali con la finanza statale, il c.d. patto di stabilità interno, consistente in alcune misure che limitano i poteri di gestione del bilancio e di spesa degli enti territoriali: la legge statale può porre soltanto un “limite complessivo che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa”.
17. Il pluralismo degli enti locali
L’articolazione organizzativa della Repubblica a livello locale presenta una notevole varietà di enti e organismi, caratterizzati da un legame con il territorio o con le comunità locali (Consorzi, Unioni di Comuni, Comunità Montane, Comunità isolane, ecc.). Si tratta di aggregazioni di secondo grado rispetto a quelle previste dalla Costituzione (Comuni, Province, Regioni) tuttavia rappresentano comunque uno svolgimento coerente dei principi costituzionali di collaborazione (art 5 Costi) e decentramento amministrativo (artt 5 e 118)
18. Le funzioni dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane
La disciplina delle funzioni dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane è contenuta in una pluralità di atti normativi adottati a cavallo della riforma costituzionale del 2001.
T.U.E.L. = Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (D.Lgs. 18-8-2000 n. 267)
Il Comune è l’ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e n promuove lo sviluppo, mentre la Provincia è l’ente locale intermedio tra il Comune e la Regione, rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi, ne promuove e ne coordina lo sviluppo.
Le Aree metropolitane sono identificate nelle zone comprendenti i Comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli e gli altri Comuni i cui insediamenti abbianocon essi rapporti di stretta integrazione territoriale, economica e sociale. L’istituzione di tali enti può essere compiuta su proposta degli enti locali interessati, i cui rappresentanti, riuniti in assemblea, adottano uno Statuto preventivamente sottoposto a referendum presso ciascun Comune interessato ed approvato con legge dello Stato. La Città metropolitana acquisisce le funzioni della Provincia e attua il decentramento previsto dallo Stato, salvaguardando l’identità delle originarie collettività locali.
18.1 L’organizzazione di Comuni, Province e Città metropolitane
Il sistema elettorale, l’organizzazione e la forma di governo di Comuni, Province e Città metropolitane sono disciplinate dal TUEL.
Sono organi de governo del Comune e della Provincia: il Consiglio, la Giunta, il Sindaco ed il Presidente della Provincia.
Il Consiglio costituisce l0assemblea rappresentativa dell’ente, è l’organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo ed è organizzato secondo i principi tipici di tale categoria di organi (previsione di un regolamento interno, istituzione di gruppi consiliari, commissioni, autonomia funzionale e organizzativa, tutela delle minoranze e delle opposizioni, ecc).
Il Sindaco e il Presidente della Provincia sono eletti direttamente dai cittadini, nominano e revocano i membri della Giunta (assessori) e danno comunicazione al Consiglio delle linee programmatiche relative alle azioni ed ai progetti da realizzare neo corso del mandato. Essi, come i Consigli, hanno durata quinquennale e sono rieleggibili una sola volta.
La sfiducia del Consiglio, l’impedimento permanente del Sindaco o del presidente della Provincia, la loro rimozione, decadenza o decesso, nonché le dimissioni della metà più uno dei consiglieri, determinano lo scioglimento del Consiglio ed il ricorso a nuove elezioni. La cessazione degli organi può avvenire anche a seguito di scioglimento e rimozione nell’ambito dell’attività di controllo sugli organi operata dal Governo.
Disciplina delle elezioni
Sono previsti tre dispositivi elettorali a seconda che si tratti di Comuni fino a 15.000 abitanti, oltre tale numero e delle Province:
• Comuni fino a 15.000 abitanti: l’elezione dei consiglieri è contestuale a quella del Sindaco, il quale deve collegarsi con una delle liste per l’assemblea. L’elettore esprime un voto unico e può esprimere un voto di preferenza. Risulta eletto Sindaco colui che ha ottenuto il maggior numero di voti e alla lista ad esso collegata vengono attribuiti 2/3 dei seggi. Un seggio è riservato a ciascun candidato sconfitto alla carica di sindaco a condizione che il raggruppamento abbia ottenuto almeno un seggio.
• Comuni con più di 15.000 abitanti: il Sindaco può collegarsi a più di una lista. L’elettore esprime due voti e può anche scegliere di separare il voto al candidato Sindaco da quello per il Consiglio, attribuendolo ad una lista che non è collegata al primo. È eletto Sindaco colui che raggiunga la maggioranza assoluta dei voti validi. Nel caso ciò non avvenga si ricorre al ballottaggio tra i due candidati più votati, i quali possono, nel frattempo, collegarsi con altre liste che abbiano partecipato al primo turno elettorale. Per l’attribuzione di seggi in Consiglio è prevista una soglia di sbarramento del 3%. L’assegnazione avviene con metodo proporzionale, ma è previsto un premio di maggioranza per le liste collegate al Sindaco vincente, qualora i seggi ottenuti da queste non siano superiori al 60%. Il premio non scatta se l’opposizione ottiene almeno il 50% dei seggi.
• Provincia: il Presidente della Provincia è eletto a suffragio universale e diretto contestualmente al Consiglio provinciale. Ciascun candidato deve collegarsi con almeno una lista per il Consiglio. È eletto il candidato che abbia ottenuto la maggioranza assoluta dei voti validi, salvo un secondo turno di ballottaggio. L’elezione per il Consiglio avviene sulla base di collegi uninominali. L’assegnazione dei seggi è stabilita con metodo proporzionale. Il voto nel collegio uninominale serve per definire il consenso percentuale di ciascun candidato (cifra individuale) rispetto agli altri candidati del proprio raggruppamento. Un premio di maggioranza è attribuito secondo criteri simili a quelli previsti per il comuni con più di 15.000 abitanti.
19. Il principio di leale collaborazione tra Stato, Regioni ed enti locali
L’azione amministrativa degli enti locali territoriali, deve essere animata da un principio di leale collaborazione con lo Stato al fine di evitare conflitti di interessi di varia natura (casi di illegittimità costituzionale della legislazione regionale, conformità dell’azione amministrativa regionale alla normativa statale).
19.1 La collaborazione procedimentale e organizzativa
La collaborazione si realizza attraverso:
• soluzioni procedimentali: partecipazione dell’organo di un Ente a un procedimento amministrativo di competenza di un altro ente. Partecipazione che consiste, solitamente, in una proposta, in un parere o in un’intesa (codecisione). Tali forme di collaborazione procedimentale sono solitamente previste e disciplinate a livello legislativo, ma non mancano ipotesi che trovano un espresso fondamento costituzionale (potere di iniziativa legislativa attribuito ai Consigli regionali, procedimento per aggregazione di una Provincia o di un Comune ad una diversa Regione)
• soluzioni organizzative: realizzata tramite l’introduzione di organi misti, ossia di organi ai quali partecipano rappresentanti di enti territoriali diversi, come il:
o sistema delle Conferenze: es:
la Conferenza Stato-Regioni è composta dal Presidente del Consiglio dei Ministri e altri rappresentanti dell’amministrazione statale e dai Presidenti di ciascuna Regione
la Conferenza Stato-città e autonomie locali
la Conferenza unificata
20. Il potere sostitutivo nei confronti di Regioni ed enti locali
La Costituzione prevede il potere sostitutivo dello Stato nei confronti di Regioni ed enti locali. La ratio dell’istituto è quella di garantire la possibilità di un intervento unitario nel caso in cui l’ente titolare della competenza sia inadempiente ovvero in altre circostanze di carattere eccezionale che rendano la sua azione insufficiente. Il potere sostitutivo si esercita mediante il compimento di atti ovvero la nomina di organi straordinari dell’ente “sostituito” per il compimento degli stessi atti (art 117 e 120 Cost).
Il potere di sostituzione è in capo al Governo, che può esercitarlo nei confronti di organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni. Le condizioni per il suo esercizio sono varie:
• mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria
• pericolo grave per l’incolumità e sicurezza pubblica
• tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica
• tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali
Il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente per materia, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali, assegna all’ente interessato un congruo terminie per adottare i provvedimenti dovuti o necessari; decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei ministri adotta i provvedimenti necessari, anche normativi ovvero nomina un apposito commissario.
21. Le variazioni territoriali degli enti locali
Gli artt 132 e 133 Cost. prevedono una dettagliata disciplina per la modifica delle circoscrizioni territoriali di Regioni e altri enti locali.
È possibile disporre la fusione di Regioni esistenti o crearne di nuove con un minimo di un milione di abitanti, quando ne facciano richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate e la con approvazione per referendum delle stesse. Analogamente è possibile staccare dei Comuni da una Regione per aggregarli ad un’altra come pure istituire nuove Province o nuovi Comuni o modificare circoscrizioni e denominazioni.
Cap. 13-15
I diritti inviolabili dell’uomo e il principio di uguaglianza
I primi dodici articoli della Costituzione Italiana enunciano i principi fondamentali, sui quali si basa l’intera costituzione della nostra Carta Costituzionale. I diritti inviolabili dell’uomo sono diritti fondamentali o essenziali, che spettano a ogni persona in quanto tale. Art. 2 (La repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità).
In primo luogo i diritti dell’ uomo sono naturali, perché spettano a ogni persona per il fatto stesso della sua esistenza in vita: lo Stato non concede questi diritti agli individui, ma si limita a prendere atto del fatto che esistono e a tutelarli. In secondo luogo i diritti dell’uomo sono ineliminabili, in quanto non possono essere aboliti neppure ricorrendo alla procedura di revisione costituzionale. Un altro principio fondamentale che dobbiamo esaminare è il principio di uguaglianza. La Costituzione afferma l’uguaglianza dei cittadini in due significati diversi, ma tra loro complementari:
1. L’uguaglianza in senso formale: riconoscere che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge. Art 3 primo comma (tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche). Dal principio di uguaglianza in senso formale derivano due conseguenze:
• La soggezione alla legge, in quanto di regola la legge si applica a tutti, senza alcuna eccezione o esenzione;
• Il divieto di discriminazione, perché la legge deve riconoscere a tutti i cittadini uguali diritti e uguali doveri.
2. L’uguaglianza in senso sostanziale: consiste nel garantire pari opportunità o uguali condizioni di partenza a tutti i cittadini e, in particolare, a coloro che sono più svantaggiati sotto l’aspetto economico o sociale. Art. 3 secondo comma (è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale…..)
A differenza di quella formale, l’uguaglianze sostanziale è contenuta in una norma costituzionale di carattere programmatico, che non è immediatamente efficace ma impegna lo Stato a svolgere una determinata attività. Per concludere osserviamo che, in base al principio di uguaglianza formale, la legge deve trattare tutti in modo uguale mentre, in base al principio di uguaglianza sostanziale, la legge può, e anzi in alcuni casi deve, trattare in modo diverso alcuni soggetti rispetto ad altri, per favorire dal punto di vista giuridico coloro che sono più svantaggiati dal punto di vista economico e sociale.
La libertà personale
Gli articoli 13 e seguenti della Costituzione riconosco espressamente alcune libertà individuali. Di regola la Costituzione riconosce i diritti di libertà indistintamente a tutti gli individui, ma alcune libertà civili sono garantite soltanto ai cittadini italiani e non estese anche agli stranieri e agli apolidi.
Il primo diritto di libertà disciplinato dalla Costituzione è la libertà personale (art. 13). La libertà personale o individuale consiste nella libertà di un individuo da qualsiasi forma di costrizione o imposizione, fisica o psichica, ed è inviolabile. La libertà personale però non è assoluta perché una persona può essere sottoposta ad alcune misure restrittive per motivi di interesse generale. Per ridurre il rischio di abusi da parte del potere pubblico, le limitazioni della libertà di una persona sono ammesse solamente in seguito a un atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei casi previsti dalla legge.
Soltanto in casi eccezionali di necessità e di urgenza, nei quali bisogna intervenire senza perdere tempo, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvisoriamente delle misure restrittive della libertà personale anche senza un ordine o mandato dell’autorità giudiziaria. In particolare, la legge consente espressamente l’ arresto in fragranza di una persona, che venga sorpresa nell’atto stesso di compiere un reato grave e, quando vi è un pericolo concreto di fuga, il fermo di polizia di una persona che sia indiziata di avere commesso un reato. In questo caso il provvedimento è sottoposto a un controllo successivo del giudice, diretto ad accertare l’esistenza dei presupposti richiesti dalla legge: entro 48 ore dall’arresto o dal fermo, infatti, l’autorità di pubblica sicurezza deve dare comunicazione del provvedimento all’autorità giudiziaria la quale, entro 48 ore dalla comunicazione, deve dichiarare la sua convalida. In definitiva, un provvedimento restrittivo della libertà personale, emanato dall’autorità di pubblica sicurezza può durare al massimo 96 ore perché, se non viene convalidato entro questo termine dall’autorità giudiziaria, decade automaticamente.
Costituisce una limitazione della libertà personale anche la carcerazione preventiva. La carcerazione preventiva, o custodia cautelare, può essere disposta nei confronti di una persona in attesa di giudizio, vale a dire di una persona che non è stata ancora condannata in un processo con una sentenza definitiva. La custodia cautelare è legittima soltanto in esecuzione di un provvedimento motivato dal giudice e nei casi indicati dalla legge, quando vi è il pericolo che l’imputato possa fuggire o “inquinare”, cioè alterare, le prove oppure che possa commettere altri reati.
La Costituzione dispone che i termini massimi della custodia cautelare devono essere stabiliti dalla legge (art. 13 quinto comma). Al riguardo il codice di procedura penale prevede che:
• La carcerazione preventiva è ammessa soltanto per i reati, consumati o anche soltanto tentati, non lievi;
• La custodia cautelare non può durare, a seconda del tipo e della gravità del reato, più di due, quattro o sei anni.
Una volta decorsi i termini massimi di custodia cautelare l’imputato in attesa di giudizio ha il diritto di essere rimesso in libertà e di seguire il processo a piede libero.
La libertà di domicilio, di comunicazione e di circolazione
L’ordinamento giuridico riconosce agli individui anche altri diritti di libertà, che costituiscono il completamento naturale della libertà personale. In primo luogo la Costituzione garantisce la libertà del domicilio (ART. 14 primo comma)
La libertà del domicilio attribuisce a ogni persona il diritto di escludere indebite intromissioni, da parte di soggetti privati o pubblici, nella propria vita privata. L’inviolabilità del domicilio di una persona è tutelata, a livello costituzionale, con le stesse garanzie e con i medesimi limiti che abbiamo già visto a proposito della libertà personale, in quanto:
1. qualsiasi intromissione della pubblica autorità in un domicilio privato (sotto forma di ispezione, di perquisizione o di sequestro) può essere compiuta soltanto nei casi previsti tassativamente dalla legge e in esecuzione di un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria;
2. l’autorità di pubblica sicurezza può intervenire di propria iniziativa all’interno di un domicilio privato in casi di necessità e urgenza, ma subito dopo deve chiedere la convalida del provvedimento all’autorità giudiziaria;
L’inviolabilità del domicilio rappresenta una manifestazione particolare della tutela della riservatezza o della privacy: ogni persona ha il diritto di avere una propria vita privata, che non può essere violata né da altre persone né, dagli altri organi pubblici.
Un altro aspetto della libertà individuale è costituito dalla libertà e segretezza delle comunicazioni (art. 15 primo comma). Ogni persona ha il diritto di comunicare liberamente e segretamente con chi vuole, senza che altri soggetti possano impedire la comunicazione o prendere conoscenza del suo contenuto. Un individuo, quindi, è libero di trasmettere o di ricevere qualsiasi genere di messaggio e con qualunque mezzo di comunicazione. Analogamente agli altri diritti di libertà, anche il diritto di una persona di comunicare con altre persone è inviolabile ma può subire alcune limitazioni (consistenti principalmente nel sequestro della corrispondenze o nell’intercettazione delle comunicazioni telefoniche), che però devono avvenire con le garanzie stabilite dalla legge e in base a un atto motivato di un giudice. È da notare che, a differenza delle altre libertà che abbiamo studiato, in materia di libertà di comunicazione l’autorità di pubblica sicurezza può agire soltanto in conformità a un mandato dell’autorità giudiziaria e non può mai adottare di sua iniziativa dei provvedimenti di carattere provvisorio.
La Costituzione infine riconosce a tutti i cittadini la libertà di circolazione e di soggiorno (ART. 16 primo comma). La libertà di circolazione e di soggiorno consiste nel diritto di muoversi e di risiedere liberamente, per qualsiasi motivo, in qualunque luogo all’interno del territorio dello Stato italiano. Diritto riconosciuto soltanto ai cittadini italiani, ai cittadini degli altri Paesi dell’Unione europea. La libertà di movimento di un cittadino comprende anche il diritto di espatriare e di rimpatriare, vale a dire di andare all’estero e di rientrare in Italia, con l’osservanza degli eventuali obblighi stabiliti dalla legge.
La libertà di riunione e di associazione
La nostra Costituzione riconosce espressamente alcune libertà collettive e, in particolare, la libertà di riunione e di associazione. Questa libertà è il risultato da un lato di una realizzazione al regime fascista, che aveva soppresso il diritto di riunirsi e di associarsi liberamente, e dall’altro dello sviluppo del socialismo e del movimento operaio, che hanno sempre basato la loro azione politica e sindacale sulla organizzazione e sulla lotta collettiva. La forma più elementare di libertà collettiva è la libertà di riunione (ART. 17), che è l’incontro volontario e temporaneo di più persone per uno scopo comune. La libertà di riunione consiste nel diritto di riunirsi liberamente per qualsiasi motivo (politico, sindacale, religioso), senza necessità di un’autorizzazione preventiva, purchè la riunione avvenga in modo pacifico e senza armi.
La Costituzione riconosce la libertà in esame soltanto ai cittadini italiani e quindi anche ai cittadini degli altri Paesi dell’ Unione europea. La libertà di potersi riunire con altre persone, senza dover subire dei controlli preventivi da parte di organi pubblici, rappresenta una garanzia fondamentale della democrazia perché consente a tutti, e in particolare alle minoranza, di fare politica e di manifestare le proprie idee. Il diritto di riunirsi liberamente con altre persone è sottoposto, a tutela della tranquillità e dell’ordine pubblico, a un unico limite: le manifestazioni devono svolgersi in modo pacifico e senza armi. Se una riunione avviene in un luogo pubblico, inoltre, devono essere osservate alcune formalità:
1. gli organizzatori devono inviare un preavviso al questore almeno tre giorni prima (indicando la data, l’ora, il luogo e i motivi della riunione);
2. l’autorità di pubblica sicurezza può vietare o sciogliere la riunione soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.
Se la riunione si svolge in un luogo privato o aperto al pubblico non è necessario dare il preavviso e l’autorità di PS non può vietare o sciogliere la riunione.
Un fenomeno più complesso di una semplice riunione è una associazione, che ricorre quando più persone si organizzano in modo stabile per realizzare uno scopo comune. La Costituzione riconosce a tutti i cittadini la libertà di associazione (ART 18). La libertà di associazione consiste nel diritto di associarsi liberamente, senza necessità di un’autorizzazione pubblica, per realizzare qualunque fine che non sia vietato ai singoli dalla legge penale. È possibile quindi costituire qualsiasi tipo di associazione e con qualsiasi scopo (politico, sindacale, religioso) senza ingerenze esterne da parte dello Stato, perché le associazioni possono fare tutto quello che è lecito per i singoli individui. Anche la libertà di associazione incontra alcuni limiti. In primo luogo sono proibite le associazioni criminali, costituite al solo scopo di compiere dei reati (furti, rapine) e la costituzione di una associazione diretta a commettere dei reati costituisce anche un reato (associazione per delinquere o di tipo mafioso. In secondo luogo sono vietate le associazioni segrete e quelle che perseguono fini politici. Un altro limite alla libertà di associarsi, giustificato dalle vicende del nostro Paese, è rappresentato dal divieto di ricostruire il partito nazionale fascista sotto qualsiasi forma che è stato sciolto per legge subito dopo la caduta della dittatura fascismo.
La libertà religiosa
L’articolo 19 della Costituzione riconosce a tutti la libertà religiosa, affermata in Europa nei secoli XVI e XVII. La libertà di religione comprende:
• il diritto di avere una fede, di professarla e di farne propaganda pubblicamente, vale a dire di dichiarare il proprio credo religioso e di cercare di convertire altre persone alla propria fede;
• il diritto di praticare il culto, in privato e anche il pubblico, purchè non si tratti di pratiche o di riti contrari al buon costume, cioè che offendano il comune senso del pudore delle persone o la morale sessuale corrente.
Le manifestazioni religiose, pertanto, non possono essere sottoposte ad autorizzazioni o a controlli amministrativi e sono lecite, a meno che non siano contrarie al buon costume. La religione è sia un fenomeno individuale, riguardante la coscienza di ogni singola persona, sia un fenomeno collettivo, perché i fedeli fanno parte di confessioni religiose, che hanno una propria organizzazione e proprie regole distinte da quelle dello Stato.
Il primo comma dell’articolo 8 della Costituzione proclama il principio generale che tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Questa affermazione, che pone sullo stesso piano la confessione cattolica e le altre confessioni per quanto riguarda la libertà dio culto, non esclude che alla religione cattolica possa essere riservato in trattamento diverso, in considerazione della sua importanza e della sia diffusione nella società italiana.
I credenti sono uguali nell’espressione e nella manifestazione della propria fede, mentre le confessioni religiose sono uguali soltanto nella libertà da qualsiasi intervento esterno da parte dello Stato e, quindi, possono essere trattate in modo diverso dalla legge: l legge dello Stato può prevedere l’insegnamento della religione cattolica, e non di altre religioni, nelle scuole pubbliche.
Al riguardo la nostra Costituzione prevede un sistema diverso dei rapporti dello Stato con la Chiesa cattolica e con le altre confessioni religiose.
Nel nostro ordinamento giuridico i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono disciplinati dall’articolo 7 della Costituzione. Il primo comma dell’articolo 7 della Costituzione afferma che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani: costituiscono due ordinamenti giuridici del tutto autonomi. Alla Chiesa cattolica viene riconosciuta una posizione di parità rispetto allo Stato, perché la Chiesa non è soggetta alla sovranità dello Stato e i loro rapporti giuridici sono regolati con accordi bilaterali.
In base al secondo comma dell’articolo 7 della Costituzione i rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica sono disciplinati dai cosiddetti Patti Lateranensi.
La Costituzione disciplina i rapporti dello Stato italiano con le altre confessioni religiose, che come tutti i soggetti pubblici o privati che operano al suo interno sono sottoposte alla sovranità dello Stato, in modo diverso dai rapporti con la Chiesa cattolica. In primo luogo alle confessioni diverse da quella cattolica viene riconosciuto il diritto di autoregolamentarsi, vale a dire di disciplinare autonomamente i loro rapporti interni, a condizione che i loro statuti o regolamenti non siano in contrasto con le leggi statali: lo Stato quindi si mantiene “neutrale” rispetto alle diverse confessioni religiose e non interferisce, se non violano le sue norme giuridiche, con le loro regole interne.
In secondo luogo i rapporti tra lo Stato italiano e le confessioni non cattoliche sono disciplinati con una legge ordinaria dello Stato, in base a una intesa preventiva con i rappresentanti delle comunità interessate.
La libertà di manifestazione del pensiero
Un’altra libertà fondamentale della persona è la libertà di espressione o di opinione che consiste nel diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero. (art. 21 Cost.)
Ogni persona, quindi, è libera di comunicare alle altre persone quello che pensa con qualsiasi mezzo, senza limitazioni o controlli preventivi da parte della pubblica autorità.
Il diritto di manifestare liberamente le proprie opinioni si è affermato nello Stato moderno e rappresenta uno dei caratteri distintivi più importanti dei regimi democratici.
Nei regimi autoritari o totalitari esiste un’unica verità ufficiale dello Stato , che si identifica con l’ideologia del “capo” e viene repressa in modo sistematico qualsiasi manifestazione di dissenso, cioè di opinioni diverse da quelle ammesse dal potere costituito; nei regimi democratici, come il nostro invece, non vi è un’unica verità, ma un’opinione pubblica che si forma e si modifica liberamente attraverso la discussione e il confronto delle diverse idee. La libertà di opinione quindi è una condizione necessaria ed è la principale garanzia del corretto funzionamento di un sistema democratico, perchè senza libertà di pensiero e di critica non esiste una reale democrazia.
Anche la libertà di espressione, però, è soggetta ad alcuni limiti:
• Limite del buon costume: viene previsto esplicitamente dalla Costituzione e riguarda la pubblica decenza. E’ vietata qualsiasi manifestazione del pensiero contraria al buon costume (art. 21 comma 6 Cost.), vale a dire al cosiddetto “comune senso del pudore”. Il concetto di pudore sessuale e di “osceno” deve essere valutato caso per caso dal giudice ed è variabile nel tempo, in relazione alla sensibilità e ai valori (religiosi, morale ecc.) prevalenti all’interno di una società. Le opere cinematografiche sono soggette a una censura preventiva, che invece non è più prevista per le opere teatrali. Un film prima di essere proiettato in pubblico deve ottenere il “visto” dell’autorità amministrativa, che può vietarne la visione ai minori di 14 o 18 anni. L’autorità giudiziaria può disporre anche il sequestro di un film o il divieto di rappresentare un’opera teatrale su tutto il territorio nazionale per violazione del buon costume. Infine, per tutelare i bambini e gli adolescenti, la proiezione televisiva di film contenenti “immagini di sesso o di violenza tali da potere incidere negativamente sulla sensibilità dei minori” deve avvenire nella fascia dalle 23 alle 7.
• La dignità e la riservatezza delle persone: è vietato offendere l’onore o la reputazione di altre persone o diffondere notizie riservate relative alla loro vita privata (a meno che non si tratti di personaggi “pubblici” come uomini politici o attori)
• Il segreto di Stato e il segreto d’ufficio: ai dipendenti pubblici è vietato rivelare delle notizie riservate, relative alla loro attività o che hanno appreso nello svolgimento della loro attività, che devono rimanere segrete per non compromettere la sicurezza dello Stato o l’esercizio delle funzioni pubbliche.
• L’ordine pubblico: è vietato incitare altre persone a commettere un reato (istigazione a delinquere) o elogiare pubblicamente un comportamento illecito (apologia di reato).
La forma più importante di manifestazione del pensiero è costituita dai mezzi di comunicazione di massa (come la stampa, la radio, la televisione ecc). E’ fondamentale quindi assicurare la libertà dell’informazione, che comprende sia il diritto DELLA informazione sia il diritto ALLA informazione.
Se da un lato è vero che i mass media devono essere liberi di informare il pubblico senza controlli da parte del potere politico (diritto di informazione), dall’altro lato è anche vero che il pubblico ha il diritto di essere informato in modo imparziale e obiettivo, senza manipolazioni delle notizie da parte dei mezzi di informazione (diritto all’informazione).
E’ escluso qualsiasi controllo preventivo sulla stampa, che non può essere sottoposta ad autorizzazioni o a censure (art. 21 comma 2 Cost.).
Il sequestro della stampa è consentito soltanto se sono stati commessi alcuni reati di opinione (come la diffamazione, il vilipendio delle istituzioni ecc) oppure se si tratta di una pubblicazione clandestina od oscena. (art. 21 comma 3, 4 Cost.).
I rapporti sociali ed economici
I rapporti sociali
Nella nostra Costituzione i rapporti sociali (artt. 29 ss.) riguardano:
• La famiglia
• La salute
• L’istruzione
FAMIGLIA:
La costituzione definisce la famiglia come una “società naturale”, vale a dire come una forma spontanea di aggregazione sociale.
La Costituzione riconosce e tutela la famiglia legittima (fondata sul matrimonio), ma non ha ritenuto opportuno riconoscere la cosiddetta famiglia naturale (di fatto).
La famiglia si basa sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, tra loro e nei confronti dei figli. (Art. 29 comma 2 Cost.). La parità dei coniugi è stata realizzata attraverso il riconoscimento al marito e alla moglie degli stessi diritti e doveri attraverso la riforma del diritto di famiglia (19 maggio 1975).
Entrambi i genitori sono tenuti a mantenere, istruire ed educare i figli (art. 30 Cost.) sia legittimi che naturali (cioè nati al di fuori del matrimonio) (art. 30 comma 3 Cost.).
Lo stato potrà intervenire al posto dei genitori soltanto se non sono in grado di assolvere i loro compiti nei confronti dei figli (art. 30 comma 2 Cost.).
SALUTE:
La salute viene tutelata dalla costituzione come “diritto dell’individuo e interesse della collettività”.
Dalla costituzione risulta che la salute non è soltanto un fatto privato di ogni individuo ma anche un fatto sociale, perchè solo chi è sano può concorrere al progresso materiale e spirituale della società (art. 4 Cost.). La legge non consente agli individui di disporre liberamente della propria vita e del proprio corpo, in particolare sono vietati l’omicidio di una persona consenziente e gli atti di disposizione del proprio corpo che causino una diminuzione permanente dell’integrità fisica di una persona.
I principi costituzionali relativi alla salute riguardano:
• La garanzie di cure gratuite per le persone indigenti, cioè per coloro che non hanno mezzi economici per curarsi
• Trattamenti obbligatori solo nei casi previsti dalla legge e nel rispetto della dignità umana
ISTRUZIONE:
La nostra costituzione afferma espressamente il principio della libertà dell’arte, della scienza e del loro insegnamento. La libertà della cultura è collegata alla libertà di manifestazione del pensiero. Per quanto riguarda l’istruzione la Costituzione stabilisce che lo Stato deve istituire scuole statali di ogni ordine e grado e che la scuola è aperta a tutti senza alcuna discriminazione. Il sistema scolastico in Italia è formato da scuole pubbliche e scuole private. L’istruzione scolastica è insieme un diritto e un dovere, in quanto la Costituzione stabilisce l’obbligo per tutti di frequentare un corso minimo di studi di otto anni, durante i quali la scuola è obbligatoria, gratuita e uguale per tutti; è evidente che un corso minimo di studi uguale per tutti è utile sia ai singoli individui, perché consente loro di acquisire delle conoscenze e di sviluppare delle capacità, sia alla collettività, perché l’eliminazione di conseguenze negative, tipo l’analfabetismo, costituiscono un vantaggio per la società.
Poiché il periodo della cosiddetta scuola dell’obbligo è fissato dalla Costituzione in almeno otto anni, la legge ordinaria può prevedere un livello minimo di istruzione più elevato: secondo la riforma Moratti si stabilisce che venga assicurata a tutti il diritto alla istruzione e alla formazione per almeno dodici anni o, sino al raggiungimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età. La Costituzione prevede espressamente il diritto delle persone capaci e meritevoli di continuare gli studi oltre la scuola dell’obbligo, anche se non hanno i mezzi economici sufficienti per proseguire gli studi, allo scopo di rendere effettivo questo diritto lo Stato deve prevedere degli aiuti economici.
I rapporti economici
I rapporti economici sono disciplinari nel titolo III della parte prima della Costituzione e riguardano principalmente
• la disciplina del lavoro: il lavoro è considerato dalla Costituzione come un valore fondamentale dell’intera società (cosiddetto principio lavorista art. 1);
• della proprietà privata: è riconosciuta e garantita dalla Costituzione che, afferma anche che la legge deve stabilire i limiti per assicurarne la funzione sociale e l’accessibilità a tutti e che la proprietà può essere soggetta a espropriazione per motivi di pubblico interesse;
• dell’iniziativa economica privata: la nostra Costituzione traccia le linee di un sistema a economia mista, nel quale la proprietà dei mezzi di produzione può essere pubblica o privata e l’iniziativa economica privata è libera, ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o con altri valori ritenuti fondamentali (sicurezza, libertà).
I Doveri costituzionali
Come risulta chiaramente dalla lettura dell’articolo 2 della Costituzione, essa disciplina i doveri fondamentali dei cittadini. In proposito la Costituzione pone una riserva di legge stabilendo che una prestazione personale o patrimoniale, consistente nel fare o nel dare qualcosa può essere imposta soltanto in base alla legge. Il principio di legalità costituisce una garanzia fondamentale per i cittadini, perché soltanto il Parlamento, che è l’organo che rappresenta il popolo, può imporre dei nuovi doveri. La riserva di legge tuttavia è una riserva soltanto relativa, perché un dovere deve essere previsto in modo generale e astratto da una disposizione legislativa ma può essere specificato in concreto, nei limiti stabiliti dalla legge, con un atto amministrativo.
La carta costituzionale sancisce espressamente i seguenti doveri fondamentali nei confronti dello Stato:
• la difesa della Patria (art. 52 cost);
• il concorso alle spese pubbliche (art. 53 cost);
• la fedeltà alla Repubblica e l’osservanza della Costituzione e delle leggi (art. 54 cost).
Il primo dovere imposto ai cittadini, che è definito <<sacro>> per mettere in evidenza l’importanza, consiste nel dovere di difendere la Patria. La difesa del proprio Paese, che è un dovere per tutti i cittadini, si manifesta nello svolgimento del servizio militare che in passato era un servizio obbligatorio; mentre dal 1 gennaio 2005 è diventato un servizio militare professionale, cioè riservato a volontari.
La Costituzione impone il dovere di concorrenza alle spese pubbliche, cioè di pagare i tributi (imposte, tasse e contributi) per finanziare i servizi pubblici. Questo dovere trova il proprio fondamento nel dovere di solidarietà economica, previsto dall’art. 2 della Costituzione e qualificato espressamente come inderogabile.
Il dovere di contribuire alle spese pubbliche non riguarda soltanto i cittadini, ma tutti coloro che vivono o lavorano in Italia e che producono un reddito. Per quanto riguarda le modalità del concorso alle spese pubbliche, la Costituzione fissa due criteri:
• da un lato dichiara che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in base alla loro capacità contributiva;
• dall’altro afferma che il sistema tributario deve basarsi nel suo complesso su un criterio di progressività, in quanto il carico fiscale complessivo deve crescere in modo più che proporzionale rispetto all’aumento della ricchezza dei contribuenti.
Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. In particolare, i funzionari pubblici e le persone incaricate di svolgere delle funzioni pubbliche hanno il dovere di adempiere le funzioni con disciplina e onere. La violazione di questo dovere può dare luogo all’applicazione di sanzioni amministrative o sanzioni penali.
La Corte Costituzionale
La giustizia costituzionale
L’introduzione di un sistema di giustizia costituzionale, di un sistema cioè diretto ad assicurare il rispetto della Costituzione da parte delle altre fonti normative è strettamente legato alla natura rigida o flessibile della Costituzione. Anzi, la garanzia giuridica della rigidità della Costituzione è rappresentata soprattutto dalla introduzione di un sistema di giustizia costituzionale.
La nostra Costituzione è rigida e perciò si richiede la necessità di introdurre nel sistema istituzionale un meccanismo di verifica della conformità delle leggi della Costituzione. Quest’organo è chiamato Corte Costituzionale.
Si può dire che solo dopo il secondo conflitto mondiale, la giustizia costituzionale è divenuto, in Europa, un principio generalmente accolto: oltre che in Italia, è avvenuto così, ad es. in Germania, con la Costituzione del 1949; in Francia con la Costituzione del 1958; in Portogallo, con la Costituzione del 1976; in Spagna con la Costituzione del 1978.
Il modello di giustizia costituzionale voluto dai Costituenti
Quando in Assemblea costituente matura la scelta a favore di una Costituzione rigida e si affronta il problema di assicurare il rispetto di questo principio attraverso l’introduzione di un sistema di giustizia costituzionale, sono due i modelli a cui si fa riferimento: quello “diffuso”, proprio della tradizione americana; e quello accentrato, proprio dell’esperienza austriaca. Il risultato finale del dibattito che si svolse su questo tema fu l’introduzione di un modello di giustizia costituzionale che, in qualche modo, tenta una fusione tra elementi appartenenti ad entrambi quei modelli di riferimento. Così del modello “accentrato” il Costituente accolse il principio di affidare ad un apposito organo costituzionale il compito di garantire il rispetto della rigidità della Costituzione; del modello “diffuso” esso accolse il principio dell’estensione del sindacato della Corte costituzionale anche ai profili di legittimità sostanziale della legge e del coinvolgimento nel processo di costituzionalità dei giudici comuni, attraverso il cosiddetto procedimento in via incidentale.
Quella che viene designata dal Costituente è un’alta magistratura che riflette nella sua composizione la natura peculiare dell’attività che essa è chiamata a svolgere (giurisdizionale e politica insieme) e alla quale possono rivolgersi tanto organi dello Stato o delle Regioni, in relazione all’insorgere di conflitti la cui soluzione sia legata all’interpretazione di specifiche disposizioni costituzionali, quanto ai singoli cittadini, attraverso l’intermediazione del giudice, sempre nell’ipotesi che specifiche posizioni soggettive, loro riconosciute dalla Costituzione, siano state lese dal legislatore ordinario. Un’alta magistratura cui viene attribuito in esclusiva il potere di pronunciarsi su questo tipo di controversie e con decisioni inappellabili.
Struttura e funzionamento della Corte.
L’art. 135 Cost. fissa a 15 il numero dei membri dell’organo di giustizia costituzionale, attribuendo la nomina di 5 giudici rispettivamente al Parlamento, al Presidente della Repubblica e alle supreme magistrature ordinarie e amministrative (Corte di Cassazione, Consiglio di Stato e Corte dei Conti).
Le nomine parlamentari avvengono a Camere riunite; esiste una regola convenzionale che stabilisce che la designazione di questi cinque giudici venga riservata ai partiti che siedono in Parlamento, secondo i rapporti di forza che le rispettive rappresentanze esprimono.
Una regola in larga misura analoga ha finora guidato anche l’esercizio del potere di nomina assegnato al Capo dello Stato, nel senso che, anche in questo caso, si tratta di nomine che spesso vengono ispirate prevalentemente da criteri di equilibrio della rappresentanza delle diverse aree politiche.
La Costituzione non si occupa direttamente di disciplinare le modalità che devono essere seguite per la nomina dei giudici costituzionali da parte delle supreme magistrature. Tale disciplina prevede che tre dei cinque giudici vengano nominati dalla Corte di Cassazione, e gli altri due dal Consiglio di Stato e dalla Corte dei Conti. Per essere eletti è richiesta, al primo scrutinio la maggioranza assoluta; ove questa non venga raggiunta, si procede al ballottaggio tra i candidati che abbiano riportato il maggior numero dei voti e tra questi viene eletto chi ottiene la maggioranza relativa. In caso di parità, risulta eletto il più anziano.
Il ruolo di Presidente della Corte è svolto da uno dei membri eletto a maggioranza dai componente dell’organo. Il Presidente dura in carica tre anni ed è rieleggibile, sempre ovviamente entro i limiti del suo mandato novennale.
Al Presidente sono conferiti numerosi e rilevanti poteri non solo in ordine allo svolgimento della discussione del collegio ma anche in ordine alla definizione del calendario della cause da decidere. Oltre ai poteri che gli spettano sul piano interno, esiste una funzione di rappresentanza esterna della Corte, che viene svolta dal Presidente e che egli esercita in numerosi modi, tra cui quello di un conferenza stampa annuale, con cui viene fatto il punto sugli sviluppi della giurisprudenza della Corte.
Non appena eletti, i giudici della Corte Costituzionale sono tenuti a prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione davanti al Presidente della Repubblica. Allo scadere del termine dei nove anni, i giudici costituzionali cessano dalla carica e dall’esercizio delle loro funzioni.
La composizione ordinaria della Corte muta nel caso in cui l’organo di giustizia costituzionale sia chiamato ad esercitare la sua competenza penale, in ordine ai reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione del Presidente della Repubblica; la composizione della Corte viene in questo caso integrata da 16 giudici non togati, estratti a sorte dalla lista predisposta dal Parlamento in seduta comune.
Come ogni altro organo costituzionale, la Corte e i suoi membri godono di particolari guarentigie volte a garantirne l’autonomia e l’indipendenza.
Le garanzie disposte a favore dell’organo sono:
- potere di procedere alla verifica dei poteri dei propri membri, ossia alla verifica del possesso dei requisiti richiesti per rivestire la carica di giudice costituzionale;
- potere di decidere ogni questione relativa ad eventuali cause di incompatibilità;
- potere di decidere la rimozione dalla carica dei propri membri, con una maggioranza pari ad almeno i due terzi dei presenti, qualora si determinino situazioni di incapacità fisica o civile o si verifichino gravi mancanze nell’adempimento dello loro funzioni;
- autonomia finanziaria, da esercitarsi nei limiti del fondo stanziato da una legge del Parlamento per il funzionamento dell’organo di giustizia costituzionale;
- autonomia amministrativa, che consente alla Corte, nei limiti delle disponibilità, non solo di determinare il proprio fabbisogno di personale di supporto, ma anche di decidere ogni questione connessa a questi rapporti di impiego;
- autonomia regolamentare, attraverso la quale la Corte può dettare una disciplina integrativa della propria organizzazione, nonché dei procedimenti relativi all’esercizio delle sue funzioni;
- potere di polizia interna assegnato al Presidente della Corte;
- “giustizia domestica”, ossia potere di decidere le controversie in materia di impiego relative ai suoi dipendenti, le quali sono dunque sottratte al giudice amministrativo.
Le garanzie assicurate ai giudici costituzionali sono:
- l’inamovibilità;
- l’insindacabilità e non perseguibilità per le opinioni e i voti espressi nell’esercizio delle proprie funzioni;
- la non sottoponibilità a limitazioni della libertà personale, salva l’autorizzazione della stessa Corte;
- una retribuzione.
I principi generali su cui si basa il suo funzionamento sono quello della
- pubblicità: le sedute della Corte sono pubbliche, salvi i casi, per motivi attinenti alla sicurezza dello Stato, all’ordine pubblico o alla orale, o per turbative provenienti dal pubblico all’udienza, il Presiedente non decida che quest’ultima debba avvenire a porte chiuse; sentenze e ordinanze della Corte Costituzionale sono pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale;
- collegialità: stabilisce che la Corte operi alla presenza di almeno undici giudici e che le decisioni siano prese in camera di consiglio, alla presenza di tutti i giudici che hanno partecipato alle varie fasi di trattazione della causa, a maggioranza assoluta dei votanti.
Il controllo di legittimità costituzionale: l’oggetto
La prima e fondamentale funzione della Corte costituzionale è quella di esercitare il controllo sulla legittimità costituzionale delle leggi.
Oggetto di tale controllo non sono solo le leggi approvate dal Parlamento, ma anche gli atti aventi forza di legge dello Stato (decreti legislativi, decreti legge, norme di attuazione degli statuti delle Regioni ad autonomia speciale, gli statuti delle Regioni di diritto comune) e delle Regioni (le leggi regionali e le leggi di Trento e Bolzano).
Non sono stati compresi, invece nella categoria degli atti sottoponibili al giudizio della Corte i regolamenti, nella convinzione che essendo questi, in quanto fonti secondarie, subordinati alla legge, non potessero direttamente apportare alcuna violazione alla Costituzione (ma questo non vale per i regolamenti indipendenti, il cui contenuto è slegato da una normativa precedente). Non rientrano tra gli atti sottoponibili al giudizio della Corte neppure i regolamenti parlamentari e degli altri organi costituzionali.
Vi rientrano, invece, sia le leggi costituzionali e di revisione costituzionale, sia gli atti normativi comunitari per il tramite della legge di attuazione dei Trattati.
Per ciò che attiene al referendum abrogativo esistono dei dubbi che riguardano non tanto la natura dell’atto, quanto i vizi che la Corte sarebbe chiamata a sindacare, posto che la stessa Corte interviene in via preventiva, in sede di giudizio di ammissibilità. Si tratterebbe qui, allora di vizi diversi e connessi o all’eventuale violazione delle regole procedimentali che disciplinano il ricorso al referendum o alla situazione normativa che si determina a seguito dell’effetto abrogante dell’istituto, la quale potrebbe presentare dei profili di illegittimità costituzionale. Nel primo caso, tuttavia, va ricordato che l’Ufficio centrale per il referendum ed il Presidente della Repubblica hanno già il compito di accertare l’avvenuto rispetto delle regole procedimentali, mentre nel secondo caso, risulta assai problematica l’individuazione puntuale dei profili di illegittimità dei quali la Corte si vedrebbe investita e, soprattutto, non è chiaro se, in questa ipotesi, ad essere sottoposto alla Corte dovrebbe essere l’atto conclusivo del procedimento referendario o non piuttosto la disciplina normativa di quella determinata materia, così come risultata amputata dall’effetto abrogante del referendum stesso.
Per ciò che attiene alle leggi di esecuzione dei trattati internazionali , il problema nasce dal fatto che si ritiene che esse dono dotate di una particolare forza di resistenza passiva, nel senso che si ritiene che esse non possano essere abrogate da un’altra legge successiva, proprio per la connessione che le lega al trattato internazionali, i cui effetti nell’ordinamento interno potrebbero esser fatti cessare, in tutto o in parte, solo attraverso un’azione internazionale dello Stato diretta alla denuncia del trattato stesso. Di qui l’interrogativo circa la loro sottoponibilità o meno al controllo di legittimità della Corte, che potrebbe provocarne la caducazione totale o parziale, qualora il contenuto del trattato, cui la legge dà esecuzione, risultasse in contrasto con la Costituzione.
Sempre in ordine all’oggetto del giudizio della Corte, resta da chiarire il problema se esso debba svolgersi solo sulle disposizioni legislative che le vengono sottoposte o anche sulle norme che, in via interpretativa, se ne possono desumere. Oggi nessuno mette in discussione che il controllo di legittimità delle leggi investa tanto le disposizioni, quanto le norme da esse comunque desumibili.
I vizi sindacabili e le norme parametro
Il controllo di legittimità costituzionale delle leggi è innanzitutto un controllo formale: la Corte può cioè sindacare il rispetto o meno delle regole che disciplinano il procedimento che porta all’approvazione e all’entrata in vigore di una legge o di un atto avente forza di legge.
Ma il controllo della Corte può essere anche sostanziale, può cioè investire, oltre ai profili formali della legge impugnata, quelli relativi al suo contenuto, al fine di vagliarne al conformità o meno rispetto alla Costituzione.
Sotto il profilo sostanziale, i vizi della legge sindacabili della Corte sono di tre ordini:
- violazione della Costituzione, individua il contrasto tra una legge ed una specifica norma costituzionale;
- incompetenza, riguarda gli atti legislativi adottati da soggetti diversi da quelli cui, per Costituzione, sarebbe spettato adottarli
- eccesso di potere legislativo: in relazione agli atti amministrativi, indica l’adozione di un atto per conseguire finalità diverse da quelle previste dalla legge; in relazione alla legge, indica l’adozione di una legge che, per il suo contenuto, non risponde a certe finalità, previste dalla Costituzione, al cui raggiungimento essa è vincolata. Qui, si tratta di trovare volta per volta, quale si il limite costituzionale alla discrezionalità del legislatore che la Corte è tenuta a far rispettare in sede di sindacato sull’eccesso di potere legislativo: problema di non facile soluzione e che spesso ha dato adito a decisioni fortemente contestate dell’organo di giustizia costituzionale. La stessa Corte ha messo a punto, in via giurisprudenziale, alcuni criteri guida per orientare il suo sindacato su questo possibile vizio della legge: in concreto, esso potrà investire la palese contraddittorietà del contenuto della legge rispetto ai suoi presupposti, l’incongruità dei mezzi predisposti, rispetto al raggiungimento delle finalità e le ragionevolezza del contenuto della legge, sempre misurata alla luce delle sue finalità.
I parametri di controllo di costituzionalità della legge sono le norme espressamente prevista dalla Costituzione e i principi desumibili anche implicitamente dal dettato costituzionale. Vengono utilizzate come parametro anche le norme “interposte”, cioè quelle norme che si interpongono tra la norma costituzionale, di cui rappresentano una specifica attuazione e la norma di legge impugnata davanti alla Corte:
- leggi di delegazione, le quali devono necessariamente contenere, secondo quanto disposto dall’art. 76 Cost., tutta una serie di limiti cui il Governo deve attenersi nell’adottare i conseguenti decreti delegati: ove quest’ultimi non rispettino le indicazioni contenute nella legge di delegazione, possono essere impugnati davanti alla Corte e dichiarati incostituzionali per violazione della norma interposta, in quanto violazione indiretta dei limiti alla delegazione legislativa;
- norme internazionali generalmente riconosciute: la loro violazione da parte del legislatore nazionale si tradurrebbe in una violazione indiretta del principio affermato dall’art. 10, il quale, come abbiamo visto, consente una diretta operatività di tali norme nell’ambito dell’ordinamento interno, con conseguente obbligo di rispetto del loro contenuto da parte della legge nazionale;
- “legge cornice”, quelle destinate, secondo l’art. 117 Cost. a dettare i principi fondamentali nelle materie affidate alla competenza legislativa concorrente delle Regioni e nel rispetto dei quali tale competenza deve essere esercitata: anche in questa ipotesi, dunque, l’eventuale violazione da parte della legge regionale dei principi fondamentali contenuti nella legge cornice è soggetta al sindacato della Corte, in quanto violazione indiretta dell’art. 117 Cost.
- norme comunitarie, il cui ingresso nell’ordinamento interno come norme direttamente applicabili, e quindi, non modificabili dal legislatore nazionale, è garantita dall’art. 11 Cost., sì che la loro eventuale violazione si tradurrebbe in una violazione indiretta della citata norma costituzionale.
L’accesso alla Corte in via incidentale e principale
Il giudice dal quale deriva la controversia di legittimità costituzionale viene chiamato giudice a quo. Può essere una delle parti del processo a quo a sollevare la questione, sostenendo che una norma che dovrebbe essere applicata in suo sfavore contrasta con la Costituzione; oppure lo stesso giudice chiamato a risolvere la controversia può essere in dubbio sulla legittimità costituzionale delle norme legislative da applicare.
Per conoscere le regole procedimentali che consentono di sottoporre una legge, o un atto avente forza di legge, al sindacato di legittimità dell’organo di giustizia costituzionale bisogna fare riferimento alla legge cost. 1/1948. Tali regole danno vita a distinti procedimenti:
a. un procedimento in via incidentale. Nasce da una iniziativa di un giudice comune, la quale si lega strettamente alla soluzione di un caso concreto che quel giudice si trovi a dover decidere: nel corso del giudizio può avvenire, infatti, che il giudice si convinca che una certa disposizione legislativa, che dovrebbe applicare per decidere quel processo, presenti dubbi di legittimità costituzionale. In questo caso egli sospende il processo e solleva la questione di legittimità costituzionale di quella disposizione legislativa davanti alla Corte costituzionale (ordinanza motivata di rinvio: atto che sospende il processo in corso e apre quello che si svolge davanti alla Corte Costituzionale, che deve contenere: l’indicazione della disposizione in considerazione; l’indicazioni delle disposizioni costituzionali che si ritengono violate; i motivi cha hanno indotto il giudice a ritenere la questioni di legittimità costituzionale sottoposte alla Corte rilevante ai fini della decisione del processo, giudizio di rilevanza; i motivi che hanno indotto il giudice a ritenere che la questione di legittimità non sia manifestamente infondata, ossia ritenere che esistano davvero i dubbi circa la conformità a Costituzione di quella disposizione, giudizio di non manifestata infondatezza). Si tratta, dunque, di un procedimento che coinvolge anche i giudici comuni nel controllo di legittimità costituzionale delle leggi, con un ruolo non decisionale, ma di iniziativa e di filtro delle diverse questioni che possono nascere in sede di applicazione della legge nelle singole specifiche controversie.
b. un procedimento in via principale (o diretta). L’unica ipotesi in cui è consentito un accesso diretto alla Corte, attiene ai rapporti tra legge statale e legge regionale: qualora lo Stato o una Regione ritengano, rispettivamente, o una legge regionale o una legge statale in contrasto con la Costituzione, e, più in particolare, in contrasto con i criteri costituzionalmente fissati per il riparto della competenza legislativa tra Stato e Regioni, essi possono direttamente sollevare la relativa questione davanti alla Corte.
• L’impugnazione da parte dello Stato di una legge regionale è una questione che può essere promossa dal Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio stesso, entro quindici giorni dal ricevimento della comunicazione dell’avvenuta riapprovazione della legge da parte del Consiglio regionale, in sede di riesame del testo già approvato, ma rinviato dal Governo alla Regione, nel corso della prima fase di controllo. I motivi che possono determinare questa situazione sono legati al mancato rispetto da parte del legislatore regionale dei limiti che la Costituzione pone alla potestà legislativa delle Regioni. Questa è una forma di controllo di legittimità di tipo preventivi: esso precede, cioè, la promulgazione e l’entrata in vigore della legge regionale.
Oltre che dallo Stato una legge regionale può essere impugnata da un’altra Regione, la quale ritenga tale legge invasiva della propria competenza costituzionale garantita; l’impugnazione va promossa, previa deliberazione della Giunta, entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge e dà luogo, pertanto ad un controllo successivo.
• Sul versante regionale, legittimato a promuovere l’impugnazione di una legge dello Stato è il Presidente della Regione, sulla base di un’apposita deliberazione adottata dalla Giunta entro trenta giorni dalla pubblicazione della legge. L’impugnazione da parte delle Regioni di una legge statale si basa sull’invasione della propria sfera di competenza costituzionalmente garantita.
L’esame della questione da parte della Corte
Una volta scaduto il termine di venti giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza di rinvio sulla Gazzetta Ufficiale per la Costituzione per la costituzione delle parti e indipendentemente dal fatto che tale costituzione sia o meno avvenuta, ha inizio il processo di costituzionalità davanti alla Corte.
L’esame della questione deve attenersi trattamento ai termini ei quali essa è stata posta dall’ordinanza di rinvio.
Tale esame inizia con una valutazione della rilevanza della questione per la decisione del processo “a quo”. Il giudizio di rilevanza, come si è visto, è riservato al giudice comune, sì che l’intervento della Corte deve limitarsi ad accertare l’esistenza di una motivazione. In caso di esito negativo di questo primo tipo di valutazione operato dalla Corte, essa adotterà una pronuncia di inammissibilità della questione per difetto di rilevanza e, senza entrare nel merito della questione di legittimità costituzionale, rinvierà gli atti al giudice “a quo” (ordinanza di inammissibilità). Sempre con ordinanza, la Corte rinvia gli atti al giudice “a quo”, nel caso on cui ritenga la questione di legittimità costituzionale manifestatamene infondata (ordinanza di manifesta infondatezza): siamo anche in questo caso, di fronte ad una valutazione preliminare.
Nell’ipotesi opposta, viceversa, la Corte dovrà valutare se i dubbi di legittimità costituzionale espressi nell’ordinanza di rinvio, e non ritenuti manifestatamene infondati, siano tali da portare o meno ad una dichiarazione di incostituzionalità della norma impugnata.La decisione della questione avviene in Camera di Consiglio, ma può essere preceduta da un’udienza pubblica.
La Corte giudica in via definitiva con sentenza, mentre tutti gli altri provvedimenti di sua competenza sono adottati con ordinanza.
Le modalità di conclusione del processo costituzionale:
a) in via incidentale
Le sentenze della Corte si compongono di tre parti:
1. in fatto, vengono riassunti i termini della questione, ed esposte le posizioni espresse nalla parti che si eventualmente costituite
2. in diritto, la Corte prende posizione sia in ordine alla rilevanza della questione prposta, sia in ordine alla sua fondatezza o meno
3. dispositivo, la Corte sintetizza il contenuto della sua decisione
e possono essere:
- sentenze di accoglimento, che recano nel dispositivo la dichiarazione di incostituzionalità della norme impugnate. Producono l’annullamento delle norme dichiarate incostituzionale. La dichiarazione di incostituzionalità ha effetti “erga omnes”. La portata di tali effetti riguarda i rapporti giuridici successivi alla sentenza di accoglimento che non siano giuridicamente esauriti, (tale retroattività incontra tuttavia un limite, dunque, nei cosiddetti rapporti giuridici esauriti). Un altro limite “mobile” alla retroattività delle sentenze di accoglimento è venuto affermandosi in una recente giurisprudenza della Corte, là dove essa ha deciso di disporre in ordine agli effetti temporali delle sue pronunce, stabilendo direttamente il momento da cui dovessero prodursi (sentenze di incostituzionalità sopravvenuta). Come per gli effetti retroattivi, così anche per quelli futuri la Corte ha messo a punto una serie di meccanismi decisori che consentono di differire nel tempo le conseguenze connesse all’accertamento dell’incostituzionalità della legge impugnata. Si pensi alle sentenze di rigetto precario o di incostituzionalità provvisoria, con le quali la Corte accerta l’incostituzionalità della legge, ma, in virtù della transitorietà della disciplina normativa sottoposta a giudizio, rinvia ad un momento successivo la declaratoria di incostituzionalità della medesima. Si pensi, ancora, alle cosiddette, sentenze di incostituzionalità differita, che sono invece delle sentenze di accoglimento, con le quali la Corte dichiara l’incostituzionalità della legge, me, contestualmente, decide di rinviarne gli effetti ad un “dies a quo”, futuro, che, in certi casi, viene lasciato indeterminato, in latri viene puntualmente determinato dalla stessa Corte.
- sentenze di rigetto, che recano nel dispositivo la dichiarazione dell’infondatezza dei dubbi di costituzionalità espressi nell’ordinanza di rinvio. Gli effetti si riverberano essenzialmente nei confronti del processo “a quo”: il giudice di quel processo dovrà adottare la sua decisione applicando le norme di legge in relazione alle quali la Corte ha dichiarato infondatezza. Ed ovviamente le stesse norme potranno continuare ad essere applicare da latri giudici comuni, nonché dagli organi amministrativi. Il rigetto di una questione di legittimità costituzionale non esclude che la stessa possa essere riproposta alla Corte, accompagnata da diverse motivazioni e, che possa andare incontro ad un esito diverso.
Entrambe vengono depositate presso la cancelleria della stessa Corte, e il dispositivo delle sentenze di accoglimento viene pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.
Sentenze di accoglimento e di rigetto non esauriscono la tipologia delle decisioni della Corte Costituzionale. Quest’ultima ha, infatti, messo a punto una apparato di strumenti decisori assai più articolato e complesso, che le ha permesso di impostare un rapporto con i soggetti istituzionali destinatati delle sue pronunce meno schematico di quello che il solo ricorso ai tipi di sentenze sin qui esaminati le avrebbero consentito:
- introduzione delle sentenze interpretative, con esse la Corte valuta la conformità delle norme desumibili rispetto alla Costituzione, sì che su queste e non sulle disposizioni scritte operano gli effetti della pronuncia adottata. Esistono sentenze interpretative di accoglimento con cui ad essere dichiarata incostituzionale è una certa interpretazione delle disposizione; sentenze interpretative di rigetto, che consente la sopravvivenza della disposizione impugnata, ma anche alla sua apllicazione dell’interpretazione datane dalla Corte;
- sentenze additive, ablative e sostitutive. Le sentenze di accoglimento possono essere:
• additive, con cui la Corte dichiara la incostituzionalità della disposizione impugnata “nella parte in cui non prevede” un qualche cosa che invece dovrebbe prevedere; l’effetto sarà quello di estendere la portata normativa della disposizione impugnata, cioè aggiungono qualcosa a ciò che è scritto,
• ablative, con cui la Corte dichiara l’incostituzionalità della disposizione impugnata nella parte in cui prevede un qualche cosa che non dovrebbe prevedere; l’effetto sarà quello di eliminare dalla disposizione impugnata la parte ritenuta incostituzionale dalla Corte,lasciandone in vita la parte restante, cioè riducono l’ambito di applicazione della disposizione legislativa;
• sostitutive, con cui la Corte dichiara l’incostituzionalità della disposizione impugnata nella parte in cui prevede un qualche cosa anziché un’alta; L’effetto sarà quello di imporre al giudice comune l’applicazione della norma individuata dalla Corte in sostituzione di quella dichiarata illegittima, cioè si giunge a sostituire taluno dei suoi termini normativi.
- sentenze-delega e sentenze di incostituzionalità differita. Con le sentenze-delega, infatti, la Corte nel motivare la propria decisione, si preoccupa di indicare al legislatore quali dovrebbero essere, le linee generali della normativa della materia in oggetto. Con le sentenze di incostituzionalità,la Corte, nel riconoscere l’illegittimità costituzionale delle norme impugnate, ne fa salva tuttavia, la applicazione, in attesa di un intervento riformatore del legislatore, chiamato ad intervenire in attuazione di precise indicazioni, direttamente fornite dall’organo di giustizia costituzionale.
b. la conclusione del processo in via principale
Assai più semplice, sotto il profilo dei possibili strumenti utilizzabili, risulta la conclusione del processo in via principale. Esso può portare o ad una sentenza di rigetto o ad una dichiarazione di incostituzionalità della legge regionale, o della legge statale impugnata.
Nel caso in cui la Corte adotti una sentenza di accoglimento, l’effetto sarà quello di impedire la promulgazione e quindi l’entrata in vigore della legge regionale o provinciale, o quello di determinare l’annullamento della legge statale impugnata.
Nel caso in cui la Corte adotti, invece, una sentenza di rigetto, l’effetto sarà quello di consentire la promulgazione e l’entrata in vigore della legge regionale, o quello di consentire l’ulteriore applicazione della legge statale.
Un altro effetto delle pronunce della Corte, in sede di decisione del processo in via principale, è quello di definire implicitamente l’ambito materiale delle competenze normative tra Stato e Regioni in ordine alle singole questioni chele vengono prospettate, sempre ovviamente alla luce dei criteri generali fissati dalla Costituzione.
Il giudizio sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato
La seconda funzione che l’art. 134 Cost. attribuisce alla Corte Costituzionale, attiene alla risoluzione dei conflitti di attribuzione che possono verificarsi tra i poteri dello Stato, tra Stato e Regioni e tra Regioni e Regioni. Il conflitto di attribuzione è una controversia con la quale si rivendica come proprio un compito che altri rivendicano come proprio.
Con riferimento al conflitto tra i poteri dello Stato, l’art. 137 della legge 87/1953 pone due principi fondamentali: essi possono sorgere solo tra “organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà dei poteri cui appartengono” ed hanno ad oggetto “ la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali”. Da questo derivano alcuni problemi:
- individuazione dei soggetti legittimati a sollevare il conflitto davanti alla Corte. Non vi è mai stato dubbio sul fatto che legittimati ad adire la Corte fossero non solo gli organi che impersonano i tre tradizionali poteri dello Stato (Parlamento, Governo e giudici), ma anche gli organi che abbiamo ricompreso nella categoria degli organi costituzionali (Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale stessa). A questi la Corte ha successivamente assimilato quegli organi che, pur non appartenendo allo Stato-apparato, ma essendo esterni ad esso, sono tuttavia titolari di “funzioni pubbliche costituzionalmente rilevanti e garantite, concorrenti con quelle attribuite a poteri ed organi statali in senso proprio” (in particolare la questione riguardava il comitato promotore del referendum). L’art. 134 Cost. e l’art 137 della legge 87/1953 escludono che il conflitto tra organi appartenenti allo stesso potere non può essere portato davanti alla Corte.
Nella sentenza 7/1996, la Corte ha riconosciuto la legittimazione dei singoli Ministri a sollevare il conflitto di attribuzione nell’ipotesi di contestazione di una mozione di sfiducia individuale. In questa ipotesi, infatti, è l’atto contestato, secondo la Corte, che distingue ed isola la responsabilità individuale del Ministro, sì che non gioca più l’argomento relativo alla collegialità governativa, né l’argomento della necessaria attribuzione di specifiche competenze da parte della Costituzione al soggetto ricorrente (argomento che aveva già consentito alla Corte di riconoscere la legittimazione individuale del Ministro di Grazia e Giustizia)
Con ordinanza 226/1995, la stessa Corte ha. Invece, negato la stessa legittimazione al Garante per la radiodiffusione e l’editoria, sulla base di un duplice ordine di motivazioni (la natura ordinaria e non costituzionale della fonte attributiva dei poteri al Garante e l’impossibilità di poter riferire in via definitiva la volontà di uno dei poteri dello Stato.
- Interpretazione di ciò che dovesse intendersi per organi “competenti a dichiarare definitivamente la volontà dei poteri cui appartengono”. Col tempo ha finito per prevalere un’interpretazione estensiva e non formalistica dell’inciso, sulla base della quale l’individuazione degli organi abilitati a sollevare il conflitto va fatta caso per caso, alla luce delle norme costituzionali che disciplinano le caratteristiche organizzative del potere cui essi appartengono. Così la Corte ha riconosciuto, in alcuni casi, la legittimazione al ricorso per conflitto di attribuzione a ciascuna Camera del Parlamento, alle commissioni d’inchiesta parlamentari; così la stessa legittimazione è stata riconosciuta ad ogni singolo organo giurisdizionale.
- Definizione dei comportamenti suscettibili di dare origine al conflitto. Anche a questo problema si è data una soluzione non restrittiva: si ritengono ammissibili non solo i conflitti determinati da atti invasivi della altrui sfera di attribuzioni, ma anche quelli determinati dall’esercizio o dal mancato esercizio di determinate competenze, da cui derivi un impedimento o un pregiudizio all’esercizio di competenza spettanti a un altro organo.
La Corte prima di esaminare il ricorso con il quale il conflitto è sollevato, decide con ordinanza circa l’ammissibilità del medesimo (decide, cioè, se esso può farsi rientrare nell’ambito dei conflitti presentabili davanti alla Corte). Solo successivamente procede a notificarlo ai soggetti controinteressati. La sentenza che risolve il conflitto ha un duplice effetto: innanzitutto essa determina a quale dei poteri in conflitto spettino le attribuzioni in contestazione e, in secondo luogo, essa può determinare l’annullamento dell’atto adottato in violazione dei criteri costituzionali di riparto delle competenze. Nel caso, invece, di conflitti aventi ad oggetto comportamenti omissivi,la pronuncia della Corte comporterà l’accertamento della illegittimità del comportamento contestato, con la conseguenza di imporre una diversa linea di azione all’organo chiamato a risponderne.
Il giudizio sui conflitti tra Stato e Regioni
I conflitti di cui qui ci occupiamo nascono da interferenze dovute ad atti non legislativi: ad atti amministrativi, normativi o giurisdizionali. Vengono ritenuti ammissibili non solo i conflitti nascenti da un atto specifico di esercizio di un’altrui competenza, ma anche quelli nascenti da un uso (o non uso) illegittimo delle proprie competenze, con conseguenze negative in ordine al corretto esercizio di altre competenze, costituzionalmente assegnate rispettivamente allo Stato o alla Regione.
Il giudizio sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica
Alla Corte spetta anche di giudicare sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica a norma della Costituzione in relazione ai reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione.
In questo caso opera come giudice penale e assume una composizione dei 15 membri più altri 16, tratti a sorte da 45 cittadini aventi i requisiti per l’eleggibilità a senatore, che il Parlamento compila ogni 9 anni.
Quanto al procedimento, una volta esaurita la fase preliminare delle indagini e la fase dibattimentale, diretta alla contestazione delle accuse, esso si conclude con una decisione presa in camera di consiglio. Nella votazione finale, non è ammessa l’astensione e, in caso si parità di voti, prevale la soluzione più favorevole all’imputato.
La sentenza che conclude il giudizio d’accusa è soggetta alla pubblicazione sulla gazzetta Ufficiale, è irrevocabile ma può essere sottoposta a revisione da parte della stessa Corte, con ordinanza, nell’ipotesi in cui successivamente alla condanna, emergano fatti o elementi nuovi che provino l’estraneità dell’imputato ai fatti a lui addebitati. La revisione può essere chiesta dal comitato parlamentare perle accuse.
Il giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo
La Costituzione ha attribuito alla Corte anche il giudizio sulla ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo.
Il giudizio che porta al giudizio di ammissibilità o inammissibilità del referendum abrogativo è l’unica ipotesi in cui la Corte decide in assenza di parti . La Corte decide in camera di Consiglio e la sua sentenza ha effetti limitati al caso deciso e non pregiudica la riproposizione di una richiesta referendaria avente lo stesso oggetto.
Appendice
Riserva di legge
La riserva di legge, inserita nella Costituzione, prevede che la disciplina di una determinata materia sia regolata soltanto dalla legge primaria e non da fonti di tipo secondario. La riserva di legge ha una funzione di garanzia in quanto vuole assicurare che in materie particolarmente delicate, come nel caso dei diritti fondamentali del cittadino, le decisioni vengano prese dall'organo più rappresentativo del potere sovrano ovvero dal Parlamento come previsto dall'articolo 70.
Si distinguono, comunque, vari tipi di riserva di legge:
• riserva di legge ordinaria: la materia può essere disciplinata dalla legge e da atti aventi forza di legge.
o assoluta: la materia deve essere regolata integralmente dalla legge. Ad esempio l'art. 13.2 ammette restrizioni della libertà personale nei soli casi e modi previsti dalla legge.
o relativa: i regolamenti amministrativi possono contribuire a regolare la materia, ma i principi devono essere stabiliti dalla legge (art. 97.1)
o rinforzata: la materia è disciplinata dalla legge secondo un contenuto o procedimento ben preciso. (art. 16)
• riserva di legge formale: nella materia può intervenire la legge del Parlamento mentre non possono farlo atti aventi forza di legge, come decreti legge o decreti legislativi, del governo (art. 80, art. 81). Di fatto, poi, le materie disciplinate da riserva di legge formale sono quelle coperte da riserva di assemblea (art. 72 comma IV).
Esistono anche riserve non a favore della legge ordinaria:
• riserva di legge costituzionale (artt. 116, 132.1, 137, 138 Cost.), anch'essa tipica dello Stato costituzionale di diritto
• riserva a favore dei regolamenti parlamentari (art. 64)
• riserva di giurisdizione: il già citato art. 13.2 non ammette alcuna "restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria (...)"; similmente l'art. 15 ammette limitazioni alla libertà e alla segretezza della corrispondenza "soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria".
• riserva di regolamento amministrativo: non esiste in Italia, come invece accade in altri paesi
Legge costituzionale
Con il termine di legge costituzionale si indica una particolare fonte del diritto, che si colloca nella stessa posizione gerarchica della costituzione, potendo quindi - entro certi limiti - derogarla o modificarla (si parlerà, allora, più propriamente di legge di revisione della Costituzione). Questo atto-fonte viene assegnato alla competenza del Parlamento e, in virtù della rigidità della costituzione, il legislatore costituzionale opera in forme diverse rispetto a quelle del legislatore ordinario, prevedendosi un procedimento aggravato (art. 138 della costituzione italiana: il disegno di legge costituzionale deve essere approvato da ciascun ramo del Parlamento con due distinte deliberazioni, tra le quali devono intercorrere almeno tre mesi. Nel caso in cui la deliberazione, nella seconda votazione di ciascuna delle Camere, non sia avvenuta a maggioranza di due terzi dei loro componenti ma sia avvenuta a semplice maggioranza assoluta, può essere richiesto, da un quinto dei membri di una Camera, da cinque Consigli regionali o da cinquecentomila elettori, un referendum confermativo).
Tuttavia, é in dottrina che nessuna legge costituzionale né riforma costituzionale possa modificare la costituzione nel suo "spirito", nel nucleo delle libertà fondamentali e della forma di Stato; in tal caso la Corte Costituzionale può intervenire dichiarando incostituzionale l'eventuale riforma, anche se per ora un caso simile appare improbabile.
Differenza tra legge di revisione costituzionale e legge costituzionale
Una delle controversie che più ha coinvolto gli studiosi di diritto è stata la possibilità o meno di poter differenziare, oltre che su un piano sostanziale, anche su un piano formale (soprattutto per competenza) le leggi di revisione costituzionale dalle altre leggi costituzionali, laddove per le prime si intendono le leggi che vanno a modificare il testo preesistente della costituzione, mentre per le seconde quelle che si inseriscono fra gli articoli già presenti senza modificarli. Le prime sono soggette ai limiti espliciti ed impliciti che circoscrivono la capacità innovativa/precettiva della loro funzione di revisione costituzionale, le seconde sono soggette ai limiti aggiuntivi derivanti dal fatto che sono fonti a competenza determinata e speciale, chiamate cioè a disciplinare specifici istituti previsti dalla Costituzione (si veda la sentenza della Corte Costituzionale 134/2002) .
Principio di adeguatezza
Il principio di adeguadetezza, nel campo del diritto amministrativo, stabilisce che l'entità organizzativa che è potenzialemente titolare di una potestà amministrativa, deve avere un'organizzazione adatta a garantire l'effettivo esercizio di tali potestà; l'adeguatezza va considerata sia rispetto al singolo ente, sia rispetto all'ente associato con altri enti, per l'esercizio delle funzioni amministrative.
Il principio di adeguatezza è citato nell'ordinamento italiano all'art. 118 della Costituzione, unitariamente al sussidiarietà e al principio di differenziazione.
Dal combinato di questo principio con il principio di sussidiarietà, si ricava che se l'ente territoriale a cui è affidata una funzione amministrativa, che per il principio della sussidiarietà dovrebbe essere quello più vicino al cittadino amministrato, non ha la struttura organizzativa per rendere il servizio, questa funzione deve essere attribuita all'entità amministrativa territoriale superiore.
Principio di sussidiarietà
Il principio di sussidiarietà è, prima ancora che un principio organizzativo del potere, un principio antropologico che esprime una concezione globale dell'uomo e della società, in virtù del quale fulcro dell'ordinamento giuridico è la persona umana, intesa sia come individuo che come legame relazionale.
In ambito civilistico la sussidiarietà indica l'ordine con il quale, in caso di concorso di soggetti debitori con patrimoni separati, vari soggetti debbano adempiere ad una prestazione.
Se un patrimonio "A" deve essere escusso in via sussidiaria rispetto ad un altro "B", significa che il creditore si dovrà rifare prima sul patrimonio "B" e solo in caso di insolvenza e insufficienza di questo anche sul patrimonio "A".
Si tratta di un concetto affine ma diverso da quello di solidarietà che rappresenta sempre una situazione di garanzia per il creditore, ma in base al quale i debitori vengono considerati sullo stesso piano e sono tutti tenuti ad effettuare la prestazione per l'intero.
In ambito amministrativo viene indicato con principio di sussidiarietà quel principio sociale e giuridico amministrativo che stabilisce che l'intervento degli organi dello Stato (Stato, Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni), sia nei confronti dei cittadini sia degli enti e suddivisioni amministrative ad esso sottostanti (ovvero l'intervento di organismi sovranazionali nei confronti degli stati membri), debba essere attuato esclusivamente come sussidio (ovvero come aiuto, dal latino subsidium) nel caso in cui il cittadino o l'entità sottostante sia impossibilitata ad agire per conto proprio.
Detto in altri termini il principio di sussidiarietà stabilisce che le attività amministrative dovrebbero essere svolte dall'entità territoriale amministrativa più vicina ai cittadini (i comuni), e che può essere delegata ai livelli amministrativi territoriali superiori (province, città metropolitane, regioni, stato) solo se questi possono rendere il servizio in maniera più efficace ed efficiente.
Si parla di sussidiarietà verticale quando i bisogni dei cittadini sono soddisfatti dall'azione degli enti amministrativi pubblici, e di sussidiarietà orizzontale quando tali bisogni sono soddisfatti dai cittadini stessi, magari in forma associata e\o volontaristica.
Il principio di sussidiarietà è stato recepito nell'ordinamento italiano con l'art. 118 della Costituzione.
Tale principio implica che:
• le diverse istituzioni, nazionali come sovranazionali, debbano tendere a creare le condizioni che permettono alla persona e alle aggregazioni sociali (i cosiddetti corpi intermedi: famiglia, associazioni, partiti) di agire liberamente senza sostituirsi ad essi nello svolgimento delle loro attività: un entità di livello superiore non deve agire in situazioni nelle quali l'entità di livello inferiore (e, da ultimo, il cittadino) è in grado di agire per proprio conto;
• l'intervento dell'entità di livello superiore debba essere temporaneo e teso a restituire l'autonomia d'azione all'entità di livello inferiore;
• l'intervento pubblico sia attuato quanto più vicino possibile al cittadino: prossimità del livello decisionale a quello di attuazione.
• esistono tuttavia un nucleo di funzioni inderogabili che i poteri pubblici non possono alienare (coordinamento, controllo, garanzia dei livelli minimi di diritti sociali, equità, ecc.).
Il principio di sussidiarietà può quindi essere visto sotto un duplice aspetto:
• in senso verticale: la ripartizione gerarchica delle competenze deve essere spostata verso gli enti più prossimi al cittadino e, pertanto, più vicini ai bisogni del territorio;
• in senso orizzontale: il cittadino, sia come singolo che attraverso i corpi intermedi, deve avere la possibilità di cooperare con le istituzioni nel definire gli interventi che incidano sulle realtà sociali a lui più prossime.
Precedentemente all'introduzione nella Costituzione (art. 118) di tale principio vigeva il cosiddetto principio del parallelismo, in virtù del quale spettavano allo Stato e alle regioni le potestà amministrative per quelle materie per le quali esercitivano la potestà legislativa; questo principio non è più in vigore, in quanto sostituito dai nuovi principi introdotti nell'art. 118 della Costituzione nel 2001
Principio di differenziazione
Il principio di differenziazione, nel campo del diritto amministrativo, stabilisce che nell'assegnare una potestà amministrativa, si devono considerare le caratteristiche degli enti amministrativi riceventi; queste sono caratteristiche demografiche, territoriali, associative, strutturali che possono variare anche in misura notevole nella realtà del paese.
Il principio di differenziazione è citato nell'ordinamento italiano all'art. 118 della Costituzione, unitariamente al sussidiarietà e al principio di adeguatezza.
Enti locali: Ineleggibilità, Incandidabilità, Incompatibilità
Incandidabilità: per coloro che hanno riportato sentenze di condanna o nei cui confronti sono state applicate misure di prevenzione.
Ineleggibilità: qualora le attività o le funzioni svolte dal candidato, anche in relazione a peculiari situazioni delle regioni, possano turbare o condizionare in modo diretto la libera decisione di voto degli elettori ovvero possano violare la parità di accesso alle cariche elettive rispetto agli altri candidati. Attribuzione ai Consigli regionali della competenza a decidere sulle cause di ineleggibilità dei propri componenti e del Presidente della Giunta eletto a suffragio universale e diretto, fatta salva la competenza dell’autorità giudiziaria a decidere sui relativi ricorsi. L’esercizio delle rispettive funzioni è comunque garantito fino alla pronuncia definitiva sugli stessi ricorsi;
Eventuale differenziazione della disciplina dell’ineleggibilità nei confronti del Presidente della Giunta regionale e dei consiglieri regionali;
Previsione della non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo del Presidente della Giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto, sulla base della normativa regionale adottata in materia
Incompatibilità: in caso di conflitto tra le funzioni svolte dal Presidente o dagli altri componenti della Giunta regionale o dai consiglieri regionali e altre situazioni o cariche, comprese quelle elettive, suscettibile, anche in relazione a peculiari condizioni delle regioni, di compromettere il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione ovvero il libero espletamento della carica elettiva. attribuzione ai Consigli regionali della competenza a decidere sulle cause di incompatibilità dei propri componenti e del Presidente della Giunta eletto a suffragio universale e diretto, fatta salva la competenza dell’autorità giudiziaria a decidere sui relativi ricorsi. L’esercizio delle rispettive funzioni è comunque garantito fino alla pronuncia definitiva sugli stessi ricorsi.
Promulgazione
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La promulgazione è l'atto formale con il quale il Presidente della Repubblica dichiara valido e operante un atto normativo.
La promulgazione viene effettuata con una formula prevista dall'art.1 del T.U. 28 dicembre 1985 suddivisa dalla dottrina in tre parti:
1. riconoscimento dell'approvazione parlamentare,
2. dichiarazione di promulgazione da parte del Presidente e
3. ordine per chiunque di rispettare la legge appena entrata in vigore.
Compito di questa fase dell'iter legis è l'attestazione dell'esistenza di una legge, venuta ad essere con procedimento corretto e necessario, oltre che una funzione intimatoria nei confronti dei soggetti cui la legge stessa è rivolta.
Legge quadro, o legge cornice
La legge quadro, o legge cornice, dello Stato è una legge contenente i principi fondamentali che devono regolare una singola materia e ai quali i soggetti cui è conferito il potere di regolare quella stessa materia devono attenersi.
La legge cornice è molto utilizzata nell’ambito delle competenze legislative concorrenti tra Stato e Regioni a statuto ordinario.
Fonte: http://torarchivio.altervista.org/alterpages/files/Diritto-Pubblico-europeoGuzzetta-Marini_doc-2.doc
Sito web da visitare: http://torarchivio.altervista.org
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