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RIASSUNTI DEL
“MANUALE DI DIRITTO PRIVATO”
Di: A.Torrente P.Schlesinger
I diritti della personalità sono diritti assoluti, inerenti ad attributi essenziali della personalità: essi perciò si dicono essenziali o necessari, perché non possono mai mancare. Essi, inoltre, non si possono perdere: sono indisponibili, intrasmissibili agli eredi, si acquistano con la nascita e si estinguono con la morte. Essi non anno carattere patrimoniale, salvo il diritto al risarcimento dei danni in caso di loro violazione.
Con la legge 31.12.96, n.676 (Delega al Governo in materia di tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali) si è attribuito al singolo un diritto all’autodeterminazione informativa: occorre il consenso dell’interessato per la legittimità del trattamento di qualunque suo dato personale.
Inoltre al relativo potere di controllo individuale è stato affiancato uno strumento istituzionale, nella forma di una Autorità Garante, organo indipendente al quale è stata affidata una sorta di “governo” del settore, nell’ottica di vigilare affinchè il nuovo diritto sia rispettato.
Per l’art.32 Cost. ”La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Conseguentemente spetta al singolo sia il diritto di esercitare ogni legittima difesa contro qualsiasi aggressore, sia il diritto di pretendere il risarcimento di qualsiasi danno subìto per effetto di atti lesivi del bene della vita o della incolumità personale. Lo stesso articolo, afferma, inoltre, che “nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”: ma un trattamento sanitario può diventare obbligatorio solo dove si tratti di neutralizzare una malattia diffusa considerata pericolosa per le sorti della collettività e di ciascun individuo.
La legge 25.02.92 n.210 prevede un indennizzo a carico dello Stato a favore dei soggetti che siano “danneggiati da complicazioni di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni, somministrazioni di emoderivati “. Il singolo può acconsentire a diminuzioni transitorie della propria integrità fisica (es. trasfusione di sangue), ma sono vietati (art.5 c.c.) atti di disposizione del proprio corpo quando cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica (es. un espianto di un organo).
La legge 01.04.99 n.191 (Disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e di tessuti), consente, esclusivamente allo scopo di provvedere a trapianti terapeutici, il prelievo di organi e di tessuti, purchè da un soggetto di cui sia stata accertata la morte e che abbia previamente concesso il suo assenso ( che può anche solo essere presunto, dove il cittadino non abbia espresso volontà contraria). Il prelievo deve essere effettuato in modo da evitare mutilazioni non necessarie e dopo il prelievo il cadavere deve essere ricomposto con la massima cura. Gli espianti devono essere finalizzati a trapianti a favore di soggetti che ne abbiano necessità, assicurando, per la relativa scelta, criteri di trasparenza e di pari opportunità tra i cittadini. Le parti staccate del proprio corpo (unghie, capelli, denti), diventano beni autonomi dal momento del distacco.
L’accertamento della morte richiede la verifica della cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo.
Sotto il punto di vista dell’integrità morale, ha importanza il diritto all’onore, protetto oltre che sul piano penale, anche sul piano civile , specie con l’obbligo di risarcire alla vittima ogni danno arrecato illecitamente, compresi quelli c.d. “non patrimoniali” o morali (art.2059 c.c.).
A ciascuno va anche riconosciuto il diritto di escludere ogni invadenza estranea nella sfera della propria intimità personale e familiare (c.d. diritto alla riservatezza).
Infine è tutelato il diritto alla propria immagine (art.10 c.c.), intendendosi per tale sia le sembianze fisiche del soggetto che possono essere riprese da un ritratto, sia le caratteristiche individuanti di una persona che possono risultare da una rappresentazione cinematografica o televisiva.
Per l’art.10 c.c., qualora l’immagine di una persona sia esposta o pubblicata senza il consenso di questa, l’autorità giudiziaria può disporre che cessi l’abuso (azione inibitoria), oltre al diritto del soggetto leso al risarcimento degli eventuali danni.
Tuttavia non occorre il consenso dell’interessato quando la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici o culturali, ovvero, quando la riproduzione è collegata a fatti di interesse pubblico o svoltisi in pubblico.
Peraltro il ritratto non può essere esposto o messo in commercio in nessun caso qualora ciò rechi pregiudizio all’onore, alla reputazione od anche al decoro della persona ritrattata.
Di regola il diritto reale attribuisce al titolare il potere di utilizzare il bene. Ma ciò non accade nelle servitù negative e nei diritti reali di garanzia (pegno, ipoteca), nei quali il titolare del diritto non ha alcun potere di utilizzare la cosa.
Viceversa, vi sono diritti di utilizzazione della cosa (come ad es. quelli che spettano al locatario) che non costituiscono diritti reali, in quanto non sono opponibili erga omnes.
Conseguenza dell’assolutezza che li caratterizza è pure il c.d. diritto di seguito o di sequela di cui i diritti reali beneficiano.
I diritti reali sono caratterizzati dalla tipicità. Vale a dire che mentre i privati sono liberi di concludere, nella loro autonomia negoziale (art.1322 c.c.), qualsiasi tipo di contratto a contenuto obbligatorio, anche diverso dai tipi legali (contratti atipici), non sono liberi di costituire diritti reali diversi da quelli espressamente disciplinati dal c.c. ciò dipende proprio dalla assolutezza che caratterizza i diritti reali.
Tra i diritti reali bisogna distinguere la proprietà dai diritti reali parziali o frazionari.
Al proprietario competono sia il potere di utilizzazione diretta della cosa (c.d. potere di godimento), sia il potere di appropriarsi del valore di scambio del bene (c.d. potere di disposizione).
I diritti reali parziali si distinguono in diritti reali di godimento (usufrutto, enfiteusi, uso, abitazione, servitù, superficie), se attribuiscono al titolare il diritto di conseguire direttamente dal bene determinati vantaggi; e in diritti di garanzia (pegno, ipoteca), se attribuiscono al titolare il potere di farsi assegnare con prelazione rispetto agli altri creditori il ricavato dell’alienazione forzata del bene, in caso di mancato adempimento dell’obbligo garantito.
Con la Cost. repubblicana del 1948, la proprietà non è più dichiarata “inviolabile” o “intangibile”. L’art.42 Cost. dichiara che la proprietà è pubblica o privata., ed impone al legislatore “di assicurare la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”. Inoltre, dichiara che la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge.
L’art.832 c.c. afferma che il proprietario “ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo”. Secondo questa definizione il diritto del proprietario si caratterizzerebbe per la sua assolutezza e per la sua esclusività, con divieto di ogni ingerenza della collettività in ordine alle scelte che il proprietario si riserva di effettuare con totale arbitrio e discrezionalità; per la sua imprescrittibilità (art.948.3 c.c.); per la sua perpetuità.
Pertanto al proprietario vanno riconosciuti:
Oggi, il fenomeno dell’urbanizzazione ha posto l’esigenza di assicurare un’abitazione dignitosa a tutti i lavoratori. Un primo passo in questa direzione fu compiuto con la legge urbanistica del 1942, che facilitò la formulazione di piani regolatori comunali e la rese obbligatoria per i comuni compresi in appositi elenchi, restando facoltativa per gli altri. Tale legge consentiva ai piani regolatori comunali, attraverso i vincoli di zonizzazione, “dove e cosa” si può fare sul territorio, ma “non in quale ordine e a spese di chi” gli interventi dovevano realizzarsi. La legge consente, infatti, di indicare le zone industriali e la relativa densità, le industrie, gli uffici, i servizi; ma non esprime densità abitative massime e le quantità minime di servizi, né se tali servizi devono far carico alla proprietà dei suoli o ai Comuni.
Dopo numerosi altri interventi legislativi si giunse alla legge 21.01.77 n.10 (c.d. legge Bucalossi), con la quale da un lato si subordinava qualsiasi costruzione ad una previa concessione comunale, che può essere lasciata solo se la costruzione è conforme alle previsioni del piano, e dall’altro si subordina il rilascio della concessione , al pagamento di un contributo, che deve servire ai Comuni per provvedere alle indispensabili opere di urbanizzazione primaria (strade, parcheggi, fognature) e secondaria (asili nido, scuole materne e dell’obbligo, chiese).
Il sistema avrebbe dovuto completarsi obbligando le autorità comunali a programmare lo sviluppo urbanistico del comune in un arco temporale dai 3 anni ai 5 anni (attraverso programmi pluriennali di attuazione), ed obbligando a loro volta i privati a realizzare le previsioni di tali programmi nei tempi fissati, a pena di subire l’espropriazione delle aree interessate. Questa non ha però avuto successo.
Nonostante i vari provvedimenti assunti, è sempre stato vasto il fenomeno dell’abusivismo edilizio. Per porvi termine, la legge 28.02.83 n.47, ha disposto una eccezionale ampia sanatoria delle opere illegittimamente realizzate fino al 1983, purchè i privati interessati facessero domanda di condono, pagando una proporzionale oblazione pecuniaria.
Per l’attuazione di opere pubbliche, di programmi di edilizia economica o di razionale sfruttamento del suolo, lo Stato può ricorrere alla espropriazione, ossia ad un trasferimento coattivo (ablazione) di beni oggetto della proprietà di privati a favore del soggetto che dovrà provvedere alla realizzazione dell’opera o del programma (Regioni, Province, Comuni, o anche privati). L’art.42.3 Cost. dispone che la proprietà privata può essere, nei casi previsti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale. Il concetto di espropriazione è stato esteso anche a provvedimenti non ablatori, ma che pur non determinando per il proprietario la perdita del diritto, non incidono in modo sostanziale sui suoi poteri di godimento e quindi, sul valore economico del bene. Tuttavia la Corte ha costruito la nuova figura delle c.d. “espropriazioni anomale o limitazioni espropriative”, ritenendo illegittime le norme che, non riguardando intere categorie di beni, consentano di porre ai singoli cespiti, limiti tali da incidere sulla sostanza del diritto di proprietà, secondo la valutazione di ciascun determinato momento storico.
Si escluse la sussistenza di una espropriazione tutte le volte in cui la legge prevede l’imposizione di limitazioni o di vincoli ad una intera categoria di beni, definiti a priori, per caratteristiche intrinseche: così è stata considerata legittima l’imposizione di vincoli a tutela di bellezze naturali (c.d. vincoli paesaggistici), di parchi nazionali, di beni avente valore storico, artistico o archeologico, di collezioni, di autostrade…
Per quanto riguarda i criteri da adottare per la determinazione dell’indennizzo da corrispondere al soggetto che subisce l'esproprio, la Corte costituzionale ha escluso che si conceda un integrale risarcimento del pregiudizio economico conseguente all’esproprio. Pertanto è stato ritenuto che legittimamente si possa prevedere un indennizzo non consistente nel valore venale (o di mercato) che il bene aveva prima del provvedimento che lo ha colpito, o che avrebbe avuto se questo provvedimento non fosse intervenuto.
Notevole rilevanza ha acquistato la c.d. occupazione espropriativa, che ricorre quando, a seguito di legittima dichiarazione di pubblica utilità di un’opera, il fondo espropiando viene occupato e vi si realizza l’opera pubblica programmata, senza peraltro che, entro il quinquennio, si provveda ad emanare il necessario decreto di esproprio. In tal caso, l’irreversibile trasformazione del bene comporta la perdita della proprietà per il privato ed un corrispondente acquisto a titolo originario del bene trasformato in favore della Pubblica Amministrazione, la quale, però, deve risarcire il privato per il danno arrecatogli con il suo comportamento illegittimo.
Gli atti di emulazione, sono quegli atti che hanno lo scopo di nuocere o di arrecare molestia ad altri (art.833 c.c.). perché l’atto sia vietato, occorrono due elementi: l’uno oggettivo (assenza di utilità per il proprietario); l’altro soggettivo (l’intenzione di nuocere o arrecare molestia ad altri).
I limiti posti dall’ordinamento giuridico alla proprietà si distinguono in due grandi categorie: a) limiti posti nell’interesse pubblico; b) limiti posti nell’interesse privato. L’art.44 Cost. prevede l’imposizione di obblighi e di vincoli alla proprietà terriera privata e la fissazione di limiti alla sua estensione, al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali. Di recente si è accentuata la preoccupazione di proteggere più efficacemente il territorio, le acque, i boschi…, movimento che sta sfociando in numerosi provvedimenti che si spera possano arrestare il fenomeno di degradazione dell’ambiente. Nel vasto campo dei limiti pubblici alla proprietà ricordiamo: le distanze legali di ogni tipo di costruzione da strade, ferrovie, alberi…(c.d. zone di rispetto); le imposizioni sul fondo per assicurare l’utilità alle pubbliche amministrazioni (ad es. per i segnali stradali…); l’imposizione di servitù pubbliche (ad es. di non edificare nei pressi di aereoporti…); i vincoli forestali, idrogeologici, quelli di bonifica.
I limiti posti nell’interesse privato riguardano la proprietà immobiliare e regolano i rapporti tra le proprietà vicine (rapporti di vicinato). Le limitazioni legali del diritto di proprietà costituiscono, dal lato passivo, obbligazioni, negative (di non fare) o positive (di fare), di carattere reale, incombenti sul proprietario come tale: egli, cioè, è obbligato perché è proprietario della cosa. Questi limiti riguardano:
vedute o prospetti, sono quelle finestre che permettono di affacciarsi e guardare di fronte (vedute dirette), obliquamente (vedute oblique) o lateralmente (vedute laterali);
La proprietà si estende in linea verticale, teoricamente all’infinito, cioè nel sottosuolo e nello spazio soprastante al suolo. In senso orizzontale, ciascuna proprietà immobiliare si estende nell’ambito dei propri confini. L’accesso di terzi al fondo non può essere impedito (artt.842, 843, 924-926 c.c.) per l’esercizio della caccia, nell’ambito delle leggi speciali che regolano l’attività venatoria, per costruire o riparare un muro o altra opera, per riprendere una cosa o un animale, …
Le immissioni materiali riguardano cose o persone. Quelle immateriali (fumo, calore, rumori…) non sono conseguenza di una intrusione nella sfera altrui, ma di quanto ciascuno fa in casa propria, ma che, peraltro, si propaga inevitabilmente anche sui fondi vicini. L’art.844 c.c. dispone che ciascun proprietario non può opporsi alle immissioni che non superano la normale tollerabilità. In nessun caso, peraltro, sono giustificabili immissioni che non solo superano la normale tollerabilità, ma risultano addirittura intollerabili.
Per l’art.922 c.c. la proprietà si acquista “per occupazione, invenzione, accessione, specificazione, unione, usucapione, successione a causa di morte, per effetto di contratti e negli altri modi stabiliti dalla legge”.
Tra i modi di acquisto della proprietà, distinguiamo quelli a titolo originario (nascita di un diritto nuovo)e quelli a titolo derivativo (cioè la successione dello stesso diritto è già appartenente ad un altro soggetto, per cui gli eventuali vizi che inficiavano il titolo d’acquisto del precedente proprietario si riversano anche sul successore).
Modi di acquisto a titolo originario:
a) l’occupazione; presa di possesso delle cose mobili che non sono in proprietà di alcuno;
b) l’invenzione; riguarda le cose smarrite che devono essere restituite al proprietario o al sindaco (art.927 c.c.), altrimenti si commette il delitto di appropriazione indebita di cose smarrite. Trascorso un anno, se la cosa è stata consegnata al sindaco e non si presenta il proprietario, la proprietà spetta a colui che l’ha trovata. Se, invece, si presenta il proprietario, questi deve al ritrovatore un premio proporzionale al valore della cosa o all’entità della somma smarrita (artt.929-930 c.c.). una particolare forma di invenzione è quella che riguarda il tesoro, cosa mobile di pregio, nascosta e sotterrata, di cui nessuno può provare di essere proprietario. Esso appartiene al proprietario del fondo in cui si trova, ma, se è trovato per caso nel fondo altrui, spetta per metà al proprietario e per metà al ritrovatore (art.932 c.c.);
Azioni a difesa della proprietà sono:
L’attore ha l’onere di dimostrare il suo diritto (art.2697 c.c.); perciò, se l’acquisto non è a titolo originario, ha l’onere di dare la prova del suo titolo di acquisto dei precedenti titolari fino ad arrivare ad un acquisto a titolo originario. A voler andare all’infinito, la prova sarebbe, se non addirittura impossibile, estremamente difficile. Soccorrono, pertanto, due istituti. Rispetto agli immobili è sufficiente che l’attore, unendo al tempo per cui è durato il suo possesso quello dei suoi autori , provi il possesso continuato per 20 anni (art.1158 c.c.), che egli avrebbe in ogni caso fatto acquistare per usucapione la proprietà sulla cosa. Se si tratta di beni mobili è sufficiente che l’attore abbia, a suo tempo, ricevuto in buona fede ed in base ad un titolo idoneo al trasferimento della proprietà (art.1153 c.c.) il possesso del bene;
Tutte queste si chiamano azioni petitorie per distinguerle da quelle a tutela del possesso (possessorie).
Caratteristica comune ai diritti reali di godimento consiste nel fatto che essi comprimono il potere di godimento che spetta al proprietario. Essi sono la superficie, l’enfiteusi, l’usufrutto, l’uso, l’abitazione, la servitù.
La superficie consiste o nel diritto di costruire, al di sopra del suolo altrui, un’opera, di cui il superficiario, quando l’abbia realizzata, acquista la proprietà; o nel diritto di mantenere una costruzione già esistente, di cui il superficiario acquista la proprietà separatamente dalla proprietà del suolo, che resta al concedente. Una separazione analoga si può stabilire per il sottosuolo (art.955 c.c.) ma non per le piantagioni (art.956 c.c.).
Fino a quando la costruzione non sia stata eseguita, il diritto, che il proprietario del suolo ha concesso, limita il potere del proprietario del suolo e l’estensione della sua proprietà in senso verticale: è un diritto reale su cosa altrui, che si estingue se il titolare non costruisce per 20 anni (art.954.4 c.c.).
L’estinzione della superficie o per decorso del termine o per altra ragione, dà luogo all’acquisto della proprietà della costruzione da parte del proprietario del suolo (art.953 c.c.).
Il titolare del diritto di superficie (superficiario) ha la libera disponibilità della costruzione che è una proprietà separata: può alienarla e costituire su di essa diritti reali, ma, se il diritto di superficie fu costituito a tempo determinato, la scadenza del termine, facendo venir meno il diritto del superficiario, segna l’estinzione anche di questi diritti.
L’enfiteusi attribuisce alla persona a cui favore è costituita lo stesso potere di godimento del proprietario, salvo l’obbligo di migliorare il fondo e di pagare al proprietario concedente un canone periodico (art.960 c.c. che può consistere in danaro o in una quantità fissa di prodotti naturali) che non può superare limiti massimi fissati. Questo potere di godimento, che spetta all’enfiteuta, si chiama dominio utile; al proprietario o concedente compete il dominio diretto che si riduce a ben poca cosa (il diritto al canone).
Il diritto dell’enfiteuta si estingue per non uso (art.970 c.c.) e il diritto di proprietà non si estingue per prescrizione estintiva.
L’enfiteusi può essere perpetua o a tempo (ma non può mai avere durata inferiore a 20 anni). L’enfiteusi può essere costituita mediante titolo (contratto o testamento) o per usucapione.
Tra le norme inderogabili, vi è la facoltà dell’enfiteuta di disporre del proprio diritto, sia per atto tra vivi sia per atto di ultima volontà (art.965 c.c.), ed in caso di alienazione del suo diritto, l’enfiteuta non è tenuto ad alcuna prestazione a favore del concedente. Inoltre, vi è il divieto di subenfiteusi (art.968 c.c.), perché questa potrebbe dar luogo a speculazioni che il legislatore ha voluto evitare proponendosi, invece, di realizzare con l’istituto il fine del miglioramento dei fondi.
Per effetto dell’esercizio del potere di affrancazione, l’enfiteuta diventa proprietario del fondo mediante il pagamento di una somma corrispondente a 15 volte il canone annuo. Se il concedente si rifiuta di aderire alla dichiarazione di affrancazione fatta dall’enfiteuta, costui può rivolgersi al giudice ed ottenere una sentenza costitutiva che pronuncia l’affrancazione.
Un potere inverso spetta al concedente: il diritto alla devoluzione. Per effetto di questa, il diritto di proprietà del concedente, che era ristretto durante l’enfiteusi, riprende la sua primitiva ampiezza. La devoluzione può domandarsi per una delle seguenti ragioni:
L’estinzione dell’enfiteusi si verifica:
La legge, allo scopo di incoraggiare l’enfiteuta a praticare migliorie sul fondo, gli accorda il diritto di ottenere dal concedente il rimborso dell’aumento di valore conseguito dal fondo (art.975 c.c.) nei casi nei quali, come ad es. la devoluzione, il fondo ritorna nella piena proprietà del concedente.
L’art.975 c.c. distingue tra miglioramenti che aumentano il reddito senza assumere carattere di opere aventi una propria individualità, e addizioni che sono opere fatte sul fondo dall’enfiteuta che conservano la propria individualità.
L’usufrutto consiste nel diritto di godere della cosa altrui con l’obbligo di rispettarne la destinazione economica (art.981 c.c.). E, cioè, l’usufruttuario può trarre dalla cosa tutte le utilità che ne può trarre il proprietario, ma se, per es. , l’usufrutto ha per oggetto un’area, non può costruirvi, né può trasformare un giardino in un orto,…
L’usufrutto ha durata temporanea: se non è detto nulla nel titolo costitutivo, s’intende costituito per tutta la durata della vita dell’usufruttuario, ed in ogni caso la morte di quest’ultimo determina l’estinzione del diritto anche qualora non fosse ancora scaduto il termine finale previsto al momento della costituzione del rapporto. La durata dell’usufrutto non può essere superiore a 30 anni, se è costituito a favore di una persona giuridica (art.979 c.c.). quando invece è costituito a favore di una persona, il proprietario è spogliato di ogni utilità economica fino all’estinzione dell’usufrutto (nuda proprietà).
Il quasi usufrutto ha per oggetto beni consumabili, la cui proprietà passa all’usufruttuario, salvo l’obbligo di restituire non gli stessi beni ricevuti, ma altrettanti dello stesso genere (art.995 c.c.). dai beni consumabili, si distinguono i beni deteriorabili, cioè quelli che possono formare oggetto di un uso ripetuto, che ne diminuisce il valore, ma non li distrugge: l’usufruttuario ha diritto di servirsene secondo l’uso al quale sono destinati. Alla fine dell’usufrutto, l’usufruttuario è tenuto a restituirli nello stato in cui si trovano (art.996 c.c.).
Modi di acquisto dell’usufrutto possono essere o la legge (usufrutto legale dei genitori sui beni dei figli minori) o la volontà dell’uomo (contratto, testamento,…) o l’usucapione (art.1158 c.c.).
Quanto alla costituzione dell’usufrutto volontario, gli atti che costituiscono l’usufrutto su beni immobili devono farsi per iscritto (art.1350.2 c.c.) e sono soggetti a trascrizione (art.2643.2 c.c.).
I diritti dell’usufruttuario sono:
L’usufruttuario può anche dare in locazione le cose che formano oggetto del suo diritto (art.999 c.c.). Le locazioni dovrebbero estinguersi quando si estingue l’usufrutto, ma quelle in corso al momento della cessazione dell’usufrutto possono proseguire per la durata stabilita, ma a condizione che la locazione e la sua durata risultino da atto pubblico o da scrittura privata con data certa, ed in ogni caso per non oltre 5 anni dalla cessazione dell’usufrutto. Peraltro, se l’estinzione dell’usufrutto si verifica per effetto della scadenza del termine fissato per la sua durata, la locazione non può durare se non per l’anno in corso (art.999 c.c.).
L’usufruttuario ha il dovere di restituire la cosa al termine del suo diritto (art.1001 c.c.); è inoltre tenuto ad usare la diligenza del buon padre di famiglia nel godimento della cosa (art.1001.2), a fare l’inventario e a prestare garanzia (art.1002, 1003 c.c.). egli è anche tenuto alle spese relative alla custodia, all’amministrazione, alla manutenzione ordinaria della cosa, alle imposte, ai canoni, alle rendite fondiarie e agli altri pesi che gravano sul reddito (art.1008 c.c.). Sono, invece, a carico del proprietario le riparazioni straordinarie, cioè, in genere quelle che superano i limiti della conservazione della cosa e delle sue utilità per la durata della vita umana.
L’estinzione dell’usufrutto si verifica:
L’uso e l’abitazione sono tipi limitati di usufrutto. L’uso consiste nel diritto di servirsi di un bene e, se è fruttifero, di raccogliere i frutti limitatamente ai bisogni propri e della propria famiglia (art.1021 c.c.); l’abitazione nel diritto di abitare una casa limitatamente ai bisogni propri e della propria famiglia (art.1022 c.c.). I due diritti si distinguono dall’usufrutto solo sotto l’aspetto quantitativo: l’usuario ha le stesse facoltà dell’usufruttuario, ma solo entro il limite indicato. I due diritti non si possono cedere o dare in locazione. Essi si estinguono con la morte del titolare: pertanto, non possono formare oggetto di disposizione testamentaria.
204 Natura
La servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo (fondo servente) per l’utilità di un altro fondo (fondo dominante), appartenente a diverso proprietario (art.1027 c.c.).
L’utilità può essere anche rivolta ad un edificio da costruire o ad un fondo da acquistare (art.1029 c.c.).
Il c.c. esclude le c.d. servitù irregolari o personali, in cui il servizio è prestato da un fondo a favore di una persona.
Principi fondamentali in materia di servitù sono:
Nei casi in cui il proprietario del fondo servente è tenuto, in forza del titolo, ad una prestazione positiva, non si ha un unico rapporto giuridico, ma si hanno due rapporti distinti: a) il rapporto reale di servitù; b) un rapporto obbligatorio congiunto con quello reale ed accessorio rispetto ad esso.
Le servitù si distinguono in:
La costituzione delle servitù può avvenire in due modi:
la costituzione può avere luogo anche per effetto dell’usucapione e della destinazione del padre di famiglia.
L alcuni casi, la legge, in vista della situazione nella quale si trova un fondo, si preoccupa del pregiudizio che essa arreca alla produttività dell’immobile e attribuisce al proprietario il diritto potestativo di ottenere l’imposizione della servitù sul fondo altrui e così ovviare alla situazione pregiudizievole. In corrispettivo del sacrificio che subisce, il proprietario del fondo, su cui si è imposta la servitù, ha diritto ad una indennità (art.1032 c.c.). Questa servitù, che viene imposta dalla legge al proprietario del fondo servente, si chiama servitù coattiva o legale.
Le figure più importanti di servitù legali sono:
Il sacrificio che con l’imposizione della servitù si impone al fondo servente, dev’essere, in tutti i casi, il minore possibile. La via breve dev’essere preferita in quanto sia anche la meno dannosa: ma, se essa recasse un danno maggiore di una più lunga, al criterio della brevità dovrebbe preferirsi quello del minor danno.
Con la cessazione dell’interclusione cessa anche la servitù (art.1055 c.c.).
La servitù può essere imposta anche per testamento (art.1058 c.c.). Il contratto, riferendosi ad un diritto reale immobiliare, deve farsi per iscritto (art.1350.4 c.c.) ed è soggetto, per l’opponibilità ai terzi, a trascrizione (art.2648 c.c.). Anche l’accettazione di eredità che importi l’acquisto di una servitù è soggetta a trascrizione (art.2648 c.c.). Alcune servitù si possono costituire anche mediante usucapione.
Servitù apparenti sono quelle al cui esercizio sono destinate opere visibili e permanenti, destinate all’esercizio della servitù, costituenti il mezzo necessario affinchè la servitù sia esercitata.
L’esercizio delle servitù è regolato dal titolo; se questo manca, dalla legge (art.1063 c.c.).
Si chiama modo di esercizio della servitù, l’elemento che determina come la servitù deve essere esercitata. Le servitù devono essere esercitate soddisfacendo il bisogno del fondo dominante con il minor aggravio del fondo servente (principio del minimo mezzo, art.1065 c.c.).
Le servitù si estinguono:
Le servitù, sono positive, quando attribuiscono al proprietario del fondo dominante il potere di svolgere un’attività nel fondo servente. Negative, sono le servitù che attribuiscono al proprietario del fondo dominante il potere di vietare qualche cosa al proprietario del fondo servente, il quale, è tenuto ad un non facere. In questo caso, la prescrizione non comincia a decorrere se non quando il proprietario del fondo servente ha violato il divieto. Allora il proprietario del fondo dominante reagisce chiamando in giudizio l’altro. Se questa reazione manca, l’inerzia protratta da quel momento per 20 anni conduce all’estinzione del diritto. Se il divieto è violato solo parzialmente, la servitù non si estingue per intero, ma solo limitatamente alle opere per cui non vi è stata reazione.
Le servitù affermative si distinguono a loro volta, in servitù continue e discontinue: nelle prime l’attività dell’uomo è antecedente all’esercizio della servitù; nelle seconde, invece, il fatto dell’uomo deve essere concomitante con l’esercizio della servitù: in tanto esercito la servitù di passaggio in quanto passo sul fondo altrui.
Se la servitù è continua, si riproduce la stessa situazione della servitù negativa (perciò la prescrizione comincia a decorrere se non quando si è verificato un fatto contrario all’esercizio della servitù). Se, invece, la servitù è discontinua, la prescrizione comincia a decorrere dall’ultimo atto di esercizio.
L’impossibilità di fatto di usare la servitù e la cessazione dell’utilità, non fanno estinguere la servitù, perché lo stato del luoghi nuovamente mutare e la servitù risorgere. Si ha in questo caso sospensione della servitù: l’estinzione non si verifica se non quando è decorso il termine per la prescrizione (art.1074 c.c.).
A tutela della servitù c’è l’azione confessoria, con la quale il titolare della servitù chiede che sia accertata, nei confronti di chi la contesta o ne ostacola l’esercizio, l’esistenza del suo diritto e che pertanto siano fatti cessare gli eventuali impedimenti all’esercizio della servitù.
Questa azione ha carattere petitorio e il suo accoglimento presuppone l’accertamento del diritto alla servitù. A tutela dello stato di fatto corrispondente alla servitù possono esperirsi le azioni possessorie di reintegrazione (art.1168 c.c.) e di manutenzione (art.1170 c.c.).
Un diritto soggettivo può appartenere a più persone le quali sono tutte contitolari del medesimo diritto. Quando la contitolarità cade su un diritto reale prende il nome di comunione. Coloro che partecipano alla comunione si chiamano comunisti, o, se si tratta di comproprietà, condomini. Ma la vera comunione è quella pro indiviso, in cui il diritto di ciascuno dei partecipanti investe l’intera cosa. La quota rappresenta la misura del diritto di ciascuno sulla cosa. La comunione è volontaria, quando si costituisce per volontà delle parti, che, d’accordo, acquistano o mettono in comune la proprietà della cosa; è incidentale, quand’essa sorge per volontà della legge.
La comunione è anzitutto regolata dal titolo (art.1100 c.c.). ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri di servirsene (art.1102 c.c.); può disporre della sua quota alienandola o ipotecandola (art.1103 c.c.). La legge attribuisce rilievo, per ciò che attiene alla conservazione e all’amministrazione della cosa, alla volontà della maggioranza dei condomini (artt.1105, 1106, 1108 c.c.), le cui deliberazioni vincolano anche coloro che sono dissenzienti (principio maggioritario). La maggioranza non è calcolata in base alle persone, ma in base al valore delle quote. Può anche essere formato un regolamento per l’ordinaria amministrazione ed il miglior godimento della cosa comune. L’amministrazione può essere delegata ad uno o più partecipanti o anche ad un estraneo (amministratore della comunione), il quale nei limiti stabiliti rappresenta i comunisti. Contro gli abusi della maggioranza è attribuita a ciascuno dei componenti la minoranza dissenziente la facoltà d’impugnare la deliberazione davanti al giudice (art.1109 c.c.).
Il condominio negli edifici si verifica quando gli appartamenti, di cui l’edificio consta, non appartengono alla stessa persona, ma a persone diverse. Ciascuna di queste persone è proprietaria esclusiva del proprio appartamento, ma alcune parti dell’edificio appartengono in comunione ai vari condomini.
Il diritto di ciascuno dei condomini e l’obbligo di partecipare alle spese per la manutenzione delle parti comuni sono stabiliti nel titolo: in mancanza, essi corrispondono al valore del piano o della porzione di piano (artt.1118, 1123 c.c.). In genere le quote sono indicate in millesimi. Per tutto ciò che riguarda l’uso e l’amministrazione delle cose comuni sono previsti due organi, uno deliberativo (assemblea dei condomini) e uno esecutivo (l’amministratore). All’assemblea è attribuito il compito di decidere le innovazioni e le opere di manifestazione straordinaria, di stabilire il regolamento di condominio, di approvare il preventivo delle spese, nonché il rendiconto della gestione. All’amministrazione è invece attribuito il compito di curare l’osservanza del regolamento. Egli ha l’obbligo di rendere annualmente il conto della sua gestione. Nei condomini più numerosi è obbligatoria la formazione del regolamento di condominio (art.1138 c.c.). Questo regolamento contiene le norme circa l’uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese ed è approvato dall’assemblea con la maggioranza richiesta. Può essere impugnato davanti al giudice dai condomini dissenzienti (art.1138.3 c.c.). All’assemblea, che è l’organo supremo, si applicano le regole generali che disciplinano il funzionamento degli organi collegiali:
Con l’espressione multiproprietà si intende l’attribuzione ad un soggetto, da parte del proprietario di un bene, di un diritto di utilizzazione di una singola unità ricompresa nel complesso, limitatamente ad una o più settimane all’anno, ma in perpetuo o per parecchi anni. Il venditore ha l’obbligo di fornire un’informazione dettagliata nella fase della trattativa; l’oggetto del trasferimento, e cioè un diritto reale o un altro diritto di godimento su uno o più immobili per un periodo determinato dell’anno, non inferiore ad una settimana, per non meno di un triennio; il corrispettivo che deve essere costituito da un prezzo globale. Tale contratto deve essere concluso per iscritto a pena di nullità. E’ vietato pretendere acconti, anticipi o caparre fino alla scadenza dei termini concessi per l’esercizio del recesso. Qualora si tratti di immobile in costruzione, il venditore ha l’obbligo di prestare specifica fideiussione, bancaria o assicurativa, a garanzia dell’ultimazione dei lavori.
Capitolo 30: IL POSSESSO
L’esercizio di fatto dei poteri sulle cose dà luogo alle situazioni possessorie (detenzione, possesso vero e proprio (corpo e anima) e il possesso mediato (solo anima)). La detenzione consiste nell’avere la possibilità di utilizzare la cosa tutte le volte che si voglia, senza bisogno di superare ostacoli, pur riconoscendo che essa è di altri.
Se colui che ha la detenzione sulla cosa, ha anche ricevuto o acquistato la cosa con l’intenzione di esercitare su di essa qualunque potere, ed escludendo ogni volontà di restituirla o di riconoscere diritto alcuno di altri sul bene, si ha il possesso pieno (corpo e anima); possessore mediato è invece colui che non ha la detenzione del bene, ma al quale il detentore riconosce di dover rendere conto dell’utilizzazione della cosa (art.1140c.c. es. il locatore).
Le ragioni per cui la legge tutela il possesso sono varie. Anzitutto essa assicura allo stesso proprietario, che di solito è lui il possessore, la difesa del suo interesse a conservare lo status quo. La legge assicura al possessore e al detentore una protezione provvisoria (in quanto è destinata a cadere allorchè risulti la mancanza del diritto soggettivo nel possessore. Il possesso attribuisce al possessore, il vantaggio di trarre dalla cosa le utilità di cui questa è capace.
Differenza tra ius possessionis e ius possidendi: il primo designa l’insieme dei vantaggi che il possesso di per sé genera a favore del possessore e il diritto alla tutela possessoria; il secondo il diritto di chi abbia effettivamente titolo a possedere la sua cosa: il ladro ha lo ius possessionis, ma non lo ius possidendi che spetta al proprietario.
217 L’acquisto e la perdita del possesso
L’acquisto del possesso avviene in modo originario con l’apprensione della cosa o con l’esercizio su di essa di poteri di fatto corrispondenti a quelli che spettano al titolare di un diritto reale di godimento. Ma questi non fanno acquistare il possesso se si verificano per mera tolleranza altrui (art.1144 c.c.), ossia quando chi potrebbe impedire l’acquisto se ne astiene per amicizia, gentilezza, buon vicinato,… Il possesso si acquista in modo derivativo con la consegna (detta tradizione): questa, per gli immobili può aver luogo con la consegna delle chiavi.
Quando il possesso viene acquistato da più persone insieme si ha il compossesso.
La perdita del possesso si verifica per il venir meno di uno dei due elementi del possesso e, cioè, o della signoria sulla cosa (corpo) o della volontà di tener la cosa per sé (anima). Il possesso delle cose mobili si perde quando esse sono uscite dalla custodia del possessore in modo permanente.; per i beni immobili la conservazione può avvenire anche per solo effetto della persistenza dell’anima, nonostante si sia perduta la disponibilità fisica, limitatamente al periodo di tempo entro cui si può esercitare l’azione di spoglio (un anno; art.1168 c.c.).
Si ritiene in buona fede in senso soggettivo chi ritiene di comportarsi correttamente, di possedere in conformità a un diritto che gli spetta (art.1147.1 c.c.). Il titolare è sempre un possessore di buona fede; chi invece possiede una cosa senza avere un corrispondente diritto, è possessore di buona fede solo se ignora il difetto del suo titolo di acquisto, purchè la sua ignoranza non dipenda da colpa grave. La buona fede, in materia di possesso, si presume (art.1147.3 c.c.). Si tratta di presunzione iuris tantum: grava su chi contesta la buona fede del possessore l’onere di provare la sua mala fede, adducendo, per es., gli indizi idonei a dedurre che l’uomo medio, in quelle circostanze, non avrebbe potuto non rendersi conto di acquistare il possesso con un titolo difettoso. Non occorre che la buona fede perduri per tutta la durata del possesso, è sufficiente che vi sia al momento dell’acquisto (art.1147.3 c.c.).
Secondo l’art.1146.1 il possesso continua nell’erede con effetto dall’apertura della successione, con gli stessi caratteri che aveva rispetto al defunto (buona o mala fede, viziosità o meno; successione nel possesso). L’art.1146.2, invece, parla di accessione del possesso, applicabile solo a chi acquista il possesso a titolo particolare (compratore), e purchè acquisti egli stesso il possesso. Egli acquista un possesso nuovo, diverso da quello del suo dante causa, e pertanto può essere in buona fede benchè il suo dante causa fosse in mala fede, e viceversa.
Per far riconoscere il suo diritto ed ottenere la restituzione della cosa posseduta da altri, il proprietario può agire con l’azione di revindica. Se questa è accolta, il possessore è tenuto a restituire il bene ma: il possessore in buona fede non è tenuto a restituire i frutti che ha percepito. Per determinare il momento nel quale cessa il diritto del possessore di buona fede ai frutti, occorre tener presente che gli effetti della sentenza retroagiscono al momento della domanda (effetti anticipati del giudicato); invece, il possessore in mala fede, deve restituire la cosa con tutti i frutti, non solo con quelli percepiti successivamente alla domanda giudiziale di restituzione, ma anche con tutti i frutti percepiti anteriormente, a partire dal momento in cui ha avuto inizio il possesso, salvo quelli per i quali sia già maturata la prescrizione. Le spese si distinguono in:
Inoltre vale il principio che non è giusto che il proprietario tragga vantaggio dall’aumento di valore della propria cosa a spese altrui (art.2041 c.c.). Per il possessore in buona fede, l’indennità si deve corrispondere nella misura dell'aumento di valore conseguito dalla cosa per effetto dei miglioramenti; per il possessore in mala fede, nella minor somma tra lo speso ed il migliorato. Al possessore in buona fede è riconosciuto il diritto di ritenzione, ossia la facoltà di non restituire la cosa fino a che non gli siano corrisposte le indennità dovutegli (art.1152 c.c.).
Altro effetto ricollegabile alla tutela del possesso di buona fede, è l’acquisto della proprietà di una cosa mobile, in forza di un titolo d’acquisto proveniente a non domino, vale a dire da chi non sia titolare della proprietà sul bene alienato (art.1153 c.c.), sono ovviamente necessarie alcune condizioni:
Un ulteriore effetto del possesso in buona fede è previsto dall’art.1155 c.c. Nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata, la costituzione o il trasferimento di un diritto reale è sufficiente il consenso, non occorre la consegna della cosa. Ma può darsi che taluno alieni la stessa cosa a più persone o costituisca lo stesso diritto a favore di più persone. In questo caso, l’art.1155 c.c. stabilisce che tra queste persone, quella che ne ha acquistato in buona fede il possesso è preferita alle altre, anche se il suo titolo è di data posteriore.
225 Il regime dei mobili registrati e delle universalità
I principi che abbiamo esaminato, relativi agli effetti del possesso di buona fede, non si applicano alle universalità di mobili e ai beni mobili iscritti in pubblici registri (art.1156 c.c.). Motivazioni: per le universalità di mobili (biblioteche, pinacoteche, greggi…) non sempre si verifica l’ipotesi di un’alienazione a non dominio in favore di un acquirente in buona fede, si preferisce sollecitare l’attenzione di chi vuole acquistare un siffatto complesso di beni, evitando che questi possa accontentarsi dell’apparente titolarità di chi si accinga a compiere atti di disposizione dell’universitas. Per i beni mobili iscritti in pubblici registri (autoveicoli, navi, aerei) trovano applicazione i principi relativi alla trascrizione, in base ai quali viene tutelato non chi acquista il possesso in buona fede, ma chi acquista da chi può vantare un titolo di acquisto trascritto, purchè a sua volta provveda alla trascrizione del suo titolo d’acquisto.
Il possessore spogliato o molestato è tutelato con le c.d. azioni possessorie, a prescindere dal fatto se il suo possesso sia conforme o no ad un diritto e perfino se l’azione sia esperita contro lo stesso proprietario.
Le azioni petitorie, invece, possono essere fatte valere solo da chi sia titolare del diritto di proprietà o di un diritto reale di godimento, indipendentemente dal fatto che l’attore abbia altresì, oppure no, il possesso del bene. Quindi, le azioni possessorie assicurano una tutela di carattere solo provvisorio, nel senso che chi soccombe nel giudizio possessorio può, viceversa, vincere nel giudizio petitorio, dove, peraltro, ha l’onere di dare la prova del diritto di cui si pretende titolare.
L’azione di reintegrazione o di spoglio (art.1168 c.c.) garantisce a chi possiede un bene una sollecita tutela giudiziaria, indipendentemente dalla prova che gli spetti un diritto, qualora venga privato violentemente o occultamente della disponibilità del bene, anche quando l’autore dello spoglio sia titolare di un diritto sul bene.
Per spoglio si intende, appunto, la sottrazione della disponibilità del bene. Chi abbia invece subìto uno spoglio violento o clandestino può reagire con l’azione di reintegrazione che mira a ripristinare il possesso dello spogliato. Lo spoglio si dice violento quando si attua contro la volontà espressa o presunta dell’attuale possessore.
Si dice clandestino quando lo spoliator approfittadi circostanze idonee ad evitare l’opposizione del possessore (ad es. in assenza dell’inquilino, il locatore si introduce nella stanza a lui affittata e ne asporta qualcosa).
La legittimazione attiva ad esercitare l’azione spetta non solo al possessore, ma pure a chi abbia il possesso a titolo di usufruttuario o di una servitù.
La legittimazione passiva riguarda l’autore dello spoglio; ma l’azione può essere esperita anche contro chi abbia sostituito nel possesso lo spoliator, acquistando da questo il bene con la consapevolezza dell’avvenuto spoglio. L’azione non sarà perciò esperibile contro un acquirente in buona fede, al quale non si potrebbe richiedere la restituzione del possesso. Lo spogliato, in questo caso, potrà agire contro lo spogliator con l’azione di risarcimento del danno subito; e contro l’acquirente con l’azione petitoria, con la revindicatio, a condizione che fosse, e sia rimasto, proprietario del bene.
Lo spoglio è soggetto ad un termine di decadenza: un anno dal sofferto spoglio (art.1168 c.c.), o, se questo è clandestino, dal giorno della scoperta dello spoglio.
L’azione di manutenzione è concessa al possessore di un bene immobile, di un diritto reale sopra ad un immobile o di una universalità di mobili per far cessare le molestie arrecate al suo possesso (art.1170 c.c.).
Per molestia s’intende qualunque attività che arrechi al possessore un apprezzabile disturbo, sia che consista in attentati materiali (c.d. molestia di fatto), sia che si estrinsechi in atti giuridici (c.d. molestia di diritto).
La legittimazione attiva, a differenza dell’azione di spoglio, spetta solo al possessore di un immobile, di un’universalità di mobili o di un diritto reale su un immobile. Inoltre occorre che il possessore molestato abbia già il possesso da oltre un anno, in modo continuo, né viziato da violenza o clandestinità.
La molestia può anche essere costituita dallo spoglio non violento e non clandestino (art.1170 c.c.). In questo caso l’azione di manutenzione ha funzione recuperatoria: serve, infatti, come l’azione di spoglio a recuperare il possesso perduto. Poiché all’azione di manutenzione è legittimato solo il possessore e tale non è l’inquilino, costui non è legettimato ad agire nel caso di spoglio non violento o clandestino.
Anche l’azione di manutenzione è soggetta al termine di decadenza di un anno che decorre dalla molestia.
229 Le azioni di nuova opera e di danno temuto
le azioni di nunciazione mirano a prevenire un danno o un pregiudizio che può derivare da una nuova opera o dalla cosa altrui, in attesa che successivamente si accerti il diritto alla proibizione.
La denunzia di nuova opera spetta al proprietario, al titolare di un diritto reale di godimento o al possessore che abbia ragione di temere che da una nuova opera, iniziata da meno di un anno e non terminata, stia per derivare danno alla cosa che forma oggetto del suo diritto o del suo possesso. Il giudice può vietare o permettere la continuazione dell’opera, stabilendo le opportune cautele (art.1171 c.c.).
La denunzia di danno temuto è data al proprietario, al titolare di un diritto reale di godimento o al possessore nel caso in cui vi sia pericolo di un danno grave e prossimo derivante da qualsiasi edificio, albero o altra cosa (non quindi da una persona), senza che ricorri l’ipotesi di nuova opera (art.1172 c.c.). il giudice dispone idonea garanzia per i danni eventuali.
L’usucapione è il mezzo in virtù del quale, per effetto del possesso protratto per un certo tempo, si produce l’acquisto a titolo originario della proprietà e dei diritti reali di godimento (art.1158 c.c.).
Differenza tra l’usucapione e la prescrizione estintiva: in entrambi gli istituti hanno importanza il fattore tempo e l’inerzia del titolare del diritto, ma nella prescrizione questi elementi danno luogo all’estinzione, nell’usucapione all’acquisto di un diritto. Inoltre, la prescrizione si riferisce a tutti i diritti tranne eccezioni (la più importante, la proprietà); l’usucapione riguarda invece solo la proprietà ed i diritti reali di godimento.
Requisiti dell’usucapione sono il possesso e il tempo.
Il possesso non deve essere vizioso, cioè, non deve essere stato acquistato in modo violento o clandestino. L’art.1163 c.c. stabilisce che il possesso, benchè acquistato in modo violento o clandestino, giova per l’usucapione dal momento in cui la violenza o la clandestinità è cessata.
Il possesso, inoltre, non deve subire interruzioni (interruzione naturale dell’usucapione). L’interruzione naturale si verifica quando il possessore è stato privato del possesso per oltre un anno, che è il termine entro il quale il possessore spogliato può agire con l’azione di reintegrazione (art.1168 c.c.).
In relazione al tempo per cui il possesso deve durare, si distingue l’usucapione ordinaria da quella abbreviata.
L’usucapione ordinaria si compie, per i beni immobili, in 20 anni (art.1158 c.c.). nell’usucapione ordinaria (art.1166 c.c.), la legge ha stabilito l’inefficacia delle cause di impedimento e di sospensione rispetto al terzo possessore che spesso non è in grado di conoscerle.
L’usucapione abbreviata richiede per gli immobili 10 anni (art.1159 c.c.) e per i mobili registrati 3 anni (art.1162 c.c.). per l’usucapione abbreviata, oltre il possesso non vizioso e senza interruzione, occorrono:
L’usucapione in materia di beni mobili acquista importanza solo quando manchi il titolo o la buona fede: altrimenti, l’acquisto della proprietà si verifica istantaneamente (art.1153 c.c.). Essa, quando manchi un titolo idoneo, ma non la buona fede, si compie in 10 anni; occorrono, invece, 20 anni, quando il possessore sia in mala fede (art.1161 c.c.).
Alle universalità di mobili, si applica un regime analogo a quello degli immobili (usucapione ordinaria: 20 anni; usucapione abbreviata: acquisto in buona fede da chi non è proprietario, in forza di titolo idoneo, 10 anni) (art.1160 c.c.).
Con l’art.1159-bis, il termine normale di usucapione di beni immobili (20 anni) è stato ridotto a 15 anni per i fondi rustici con annessi fabbricati situati in comuni che per legge siano classificati come “montani”; cioè, anche se non sono situati in comuni montani, purchè abbiano reddito dominicale iscritto in catasto non superiore a complessivi euro 2.5.
La stessa norma stabilisce, inoltre, per gli stessi beni, un termine di soli 5 anni per il caso che ricorrano i presupposti dell’usucapione abbreviata, e cioè acquisto in buona fede in forza di un titolo idoneo al trasferimento della proprietà, che sia stato debitamente trascritto.
Fonte: http://studiando.altervista.org/UNIVERITY/1anno/PRIVATO/riassunto%20del%20torrente.doc
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