Diritto amministrativo dell' UE appunti

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Diritto amministrativo dell' UE appunti

 

L’atto amministrativo comunitario

    1. PPremessa- Prima di approfondire l'oggetto della presente ricerca, occorre puntualizzare alcuni concetti di base necessari per le successive analisi. Così, preliminarmente, occorre chiedersi se esiste un atto comunitario qualificabile come atto amministrativo, secondo la definizione conosciuta nel nostro ordinamento.

Per dare una qualsiasi risposta a questo interrogativo occorre chiedersi, tuttavia, cosa corrisponda al concetto di atto amministrativo nell’ordinamento giuridico nazionale.

I.II L'atto amministrativo nell'ordinamento italiano

Per la dottrina tradizionale , l'atto amministrativo va individuato applicando un duplice criterio di classificazione, il primo oggettivo ed il secondo soggettivo.
Quanto al primo aspetto, l'atto amministrativo è quello rivolto alla cura di interessi pubblici predeterminati ed individuati dalla legge operando in una sfera subordinata a quella in cui si svolge il potere politico; quanto al secondo, si caratterizza per l'essere adottato da organi del potere esecutivo.
Altra autorevole dottrina, sostanzialmente sulla stessa linea ricostruttiva ,definisce l’atto amministrativo come qualsiasi manifestazione di volontà, desiderio, giudizio o conoscenza compiuta da un soggetto della pubblica amministrazione nell’esercizio di una potestà amministrativa.
Tale definizione è, a ben vedere, molto generale e conseguentemente incapace di distinguere dall’atto amministrativo quella sua species che è il provvedimento amministrativo.
Sono seguite, quindi, una serie di tesi che hanno cercato di ovviare a questo inconveniente: hanno avuto un particolare seguito quella c.d. negoziale e la teoria della c.d. procedimentalizzazione e funzionalizzazione dell’attività amministrativa.
Per la tesi negoziale, atto e provvedimento amministrativo non differirebbero nella loro struttura essenziale da un qualsiasi atto negoziale di diritto privato.
Al pari dei negozi giuridici, essi si comporrebbero di una parte soggettiva, di una oggettiva, della causa, della forma e della volontà.
Proprio l'elemento volontaristico differenzierebbe i provvedimenti dagli atti amministrativi, essendo presente nei primi (sotto forma di discrezionalità) e non nei secondi.
Questa teoria, che ha sicuramente – almeno in parte – condizionato il legislatore della l. n. 15/2005 (modificativa della l. n. 241/1990), è stata sottoposta a numerose osservazioni critiche, tra le quali la più incisiva è quella che sottolinea la profonda differenza che intercorre tra un atto amministrativo ed un atto negoziale.
Il primo, appartenente ad un regime di diritto pubblico, è vincolato al perseguimento degli interessi pubblici indicati nella legge attributiva del potere; il secondo, soggetto al regime privatistico, è espressione di autonomia privata, per definizione libera nei fini e limitata – in negativo – dalla legge .
Volendo sintetizzare in un'unica espressione le critiche che sono state mosse alla tesi negoziale, si è detto che ogni parallelismo tra atto amministrativo e atto negoziale risulta impedito dalla profonda differenza che intercorre tra la discrezionalità , tipica dell’atto amministrativo, e l’autonomia negoziale, tipica degli atti di diritto privato.
La dottrina prevalente ha così sviluppato la tesi che potremmo definire funzionale-procedimentale.
Quest'ultima pone in evidenza una caratteristica essenziale dell’esercizio dell’attività amministrativa: la sua procedimentalizzazione. Ossia, sottolinea che l’attività amministrativa si esplica attraverso una serie di singoli atti concatenati l’uno all’altro e diretti funzionalmente all’emanazione di un atto finale, il provvedimento per l’appunto, l’unico capace di manifestare all’esterno la volontà della Pubblica Amministrazione e idoneo ad incidere unilateralmente nella sfera giuridica dei terzi.
Per questa tesi, dunque, la nozione di atto amministrativo andrebbe ricostruita in via residuale essendo atto tutto ciò che non è provvedimento.
Sono atti amministrativi, in quest’ottica, gli atti che sono manifestazione di scienza, giudizio, conoscenza e che sono – di norma – connotati dalla loro natura servente, strumentale, preparatoria dell’atto finale del procedimento: il provvedimento.
L’atto amministrativo, secondo questa tesi, ha una rilevanza meramente interna, non è idoneo a ledere le posizioni giuridiche dei terzi e non è autonomamente impugnabile .
Principio del diritto amministrativo e tratto caratterizzante dell’ordinamento di tipo strutturale ad atto amministrativo è, peraltro, quello dell’esecutorietà. Il potere di signoria dello Stato, espressione della sovranità, si manifesta con caratteri peculiari specialmente nel momento della coazione, dal momento che esso dispone di quei mezzi di coercizione che integrano il meccanismo di coazione di determinati atti.
Si può già anticipare che, invece, nel sistema comunitario, questo meccanismo, che funge da sostegno all’operatività tipica dell’atto amministrativo, si frattura e si scinde per effetto della struttura stessa degli organismi comunitari e della natura del loro potere . Il “riflesso” di questa peculiarità degli atti comunitari per una possibile, o meno, ricostruzione di una figura comunitaria di atto amministrativo sarà, peraltro, oggetto di approfondimento nel prosieguo del lavoro.
Tenendo in considerazione quanto premesso circa la distinzione nazionale tra atti e provvedimenti, è bene precisare sin da subito che oggetto di questo studio (nel quale si intende analizzare il sindacato giurisdizionale, specie di quello sotto forma di sviamento di potere, della Corte di Giustizia sull’atto amministrativo comunitario) è quel particolare atto amministrativo comunitario che nell’ordinamento interno verrebbe qualificato come provvedimento amministrativo.
Pur con questa doverosa specificazione, per comodità, si farà riferimento nel prosieguo del lavoro più genericamente all’atto amministrativo, da considerare come una terminologia (di genere, per l'appunto) comprensiva anche della species provvedimento. 

I.III Esiste l’atto amministrativo comunitario?

Preliminarmente, occorre domandarsi se esiste nell'ordinamento comunitario la figura dell'atto amministrativo.
La risposta a questa domanda, che oggi potrebbe apparire scontata, ha invece diviso per un certo periodo la dottrina.
Autorevole parte di questa ha ritenuto che l’ordinamento comunitario , così come gli altri ordinamenti internazionali ai quali, pur nella sua originalità, quest’ultimo andrebbe assimilato, non conoscerebbe una figura giuridica qualificabile come atto amministrativo. Anzi, ancor più radicalmente, esso non conoscerebbe un ramo della normazione qualificabile come diritto amministrativo .
Secondo questa tesi, invero espressa quando l’ordinamento comunitario era agli albori, non sarebbe concepibile un diritto amministrativo tecnicamente inteso laddove nell’ordinamento preso in considerazione non si riscontri la presenza di due requisiti strutturali:
1) la generalità dei fini e
2) la plurisoggettività individuale .
L’Illustre sostenitore di questa tesi concludeva la sua analisi sostenendo, quindi, che l’ordinamento comunitario non avesse i due requisiti sopra elencati e che i riferimenti ai vizi degli atti comunitari contenuti nell’art. 230, II comma, del Trattato – ora art. 263 paragrafo II del TFUE - (violazione di legge, sviamento di potere, incompetenza, violazione delle forme) e ad altri istituti tipici del diritto amministrativo non fossero altro che suggestioni dovute al trapianto nell'ordinamento comunitario, meramente terminologico peraltro, di tali figure dagli ordinamenti degli Stati membri, e da quello francese in particolare.
Come detto, tale conclusione risentiva inevitabilmente del periodo, ormai datato, nel quale tale tesi è stata formulata.
Recente dottrina l’ha quindi rivisitata, giungendo a conclusioni opposte, alla luce dell’evoluzione dell’ordinamento comunitario mantenendo fermo, peraltro, l’assunto di teoria generale che regge la lezione gianniniana: l’esistenza dell’atto amministrativo è concepibile solo in ordinamenti a fini generali ed a plurisoggettività individuale .
Occorre osservare, peraltro, che il tema, nei termini appena esposti, ha perso gran parte della sua attualità. Oggi, infatti, non si discute più dell’esistenza o meno di un diritto amministrativo comunitario ; viceversa, dandone per scontata la sua esistenza , si discorre circa i rapporti di questo con i singoli ordinamenti nazionali e ci si interroga su cosa ci sia di nuovo, rispetto ai diritti amministrativi nazionali, nel diritto amministrativo europeo .

    1. L'indistinzione tra funzione normativa e funzione esecutiva come causa della difficile individuazione dell'atto amministrativo

 

    Tanto premesso occorre dire che, anticipando in parte ciò che si cercherà di dimostrare in seguito, è abbastanza problematica un’assimilazione dell’atto amministrativo comunitario con quello nazionale in considerazione del fatto che nell’ordinamento comunitario è difficile la stessa individuazione di un atto amministrativo essendo incompleta, a monte, la stessa distinzione tra normazione e amministrazione .
Tale fenomeno era particolarmente evidente nella prima fase di vita delle Comunità nel quale, a fianco ad un chiaro e riconoscibile potere giurisdizionale attribuito alla Corte di Giustizia, non si riscontrava un titolare unico del potere esecutivo e di quello normativo e, soprattutto, non si riscontrava una linea di demarcazione tra gli atti normativi e quelli esecutivi .
Ciò era addebitato ad una serie di fattori; tra i tanti, particolare “peso” aveva il timore degli Stati nazionali di creare un potere esecutivo “forte” capace di offuscare i singoli poteri esecutivi nazionali; il tutto sul presupposto che il Governo e l’apparato esecutivo fossero il centro del potere da conservare gelosamente.
In quest’ottica va letta l’originaria volontà di costruire una Comunità Europea con fini limitati e apparati amministrativi snellissimi che, per il loro funzionamento, necessitavano dell’apporto delle amministrazioni nazionali .
In questa prima fase di vita dell’ordinamento comunitario ha avuto, infatti, una particolare importanza la procedura di amministrazione cd. indiretta , caratterizzata dall’utilizzo “comunitario” delle amministrazioni nazionali e, viceversa, non è quasi mai risultata adoperata la procedura di amministrazione cd. diretta, caratterizzata dalla cura dell’interesse comunitario a livello sopranazionale, presupponendo quest'ultima un’organizzazione di mezzi e uomini all’epoca assente.
Acuta dottrina , peraltro, osserva che un’altra causa dell’indistinzione comunitaria tra funzione normativa e funzione amministrativa è da rinvenire nell’assenza “a livello comunitario di un potere legislativo che possa, al pari di quello statale, disporre direttamente di un residuo di sovranità, nel senso che sia libero di determinarsi nei soli limiti fissati dalla Costituzione.
In sostanza, non esisterebbe un rapporto “Trattati/normativa derivata” assimilabile al rapporto “Costituzione/leggi ordinarie” tipico dei sistemi nazionali.
A livello comunitario la normativa derivata è legittimata da un esplicito riferimento contenuto nei Trattati; la normativa primaria statale, invece, è libera nei fini ed incontra un limite meramente negativo nella Carta Costituzionale.
In un sistema comunitario così descritto il concetto di funzione esecutiva (dei Trattati) si amplia e diviene capace di inglobare la funzione normativa e quella amministrativa. O, sotto altra visuale, la stessa funzione normativa è parte della più ampia funzione esecutiva attribuita agli Organi comunitari .
Si comprende, dunque, la scelta del legislatore comunitario di elencare all’art. 263 paragrafo II del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea una serie di vizi riferiti a provvedimenti (regolamenti, direttive, decisioni, raccomandazioni e pareri) dei quali non è sempre agevole scorgerne la natura normativa o amministrativa: l’“indistinzione” tra funzioni normative e funzioni esecutive si ripercuote emblematicamente, quindi, sugli atti giuridici.
Non è senz'altro possibile, del resto, distinguere gli atti normativi da quelli amministrativi facendo affidamento sul criterio “soggettivo”, ossia riferendosi all’Istituzione emanante.
In primo luogo non è facile attribuire ad una sola Istituzione comunitaria rispettivamente la qualifica di Organo legislativo e di Organo esecutivo; basti pensare che se è vero che, almeno nella versione originaria dei Trattati comunitari, la funzione normativa primaria era sicuramente attribuita al Consiglio, la funzione esecutiva non era in toto attribuita alla Commissione .
Anzi, a ben vedere, la funzione esecutiva è attribuita al Consiglio (art. 202) ; quest'ultimo, peraltro, può (ed entro certi limiti “deve”) sottoporre tali competenze, determinandone le modalità, alla Commissione (art. 211). La compartecipazione soggettiva delle medesime istituzioni all’interno di funzioni differenti continua, dunque, nonostante i descritti cambiamenti, ad essere un tratto caratterizzante del sistema comunitario che impedisce di qualificare le singole istituzioni solo come legislative o solo come esecutive .
Gli atti esecutivi, infatti, che sono gli atti più facilmente assimilabili agli atti amministrativi di diritto nazionale, sono emanati tanto dal Consiglio quanto dalla Commissione; al fine di enuclearne un criterio discretivo non è, quindi, dirimente un criterio che faccia esclusivo riferimento all’origine soggettiva dell’atto emanato.


E' la tesi dell'atto materialmente amministrativo del potere esecutivo: per tutti, Santi Romano, Prime pagine, 1990, 431. Sul punto si veda, D. Vaiano, Gli atti amministrativi, in Codice della Giustizia amministrativa a cura di G. Morbidelli, Milano, 2008, 147 e ss.

E’ la definizione di Zanobini, Corso di diritto amministrativo, v. I, Milano, 1954, 245.

Per uno sguardo alle nozioni di atto amministrativo presenti negli ordinamenti europei si veda: C.Chapelle, Acte administratif et justice administrative en Europe, in Revue Française de droit administratif, n. 2, 2008, 258 ss.

Sull'impugnabilità dei meri atti amministrativi si rinvia ancora a D. Vaiano, Gli atti amministrativi, in Codice della Giustizia amministrativa a cura di G. Morbidelli, Milano, 2008, 180 e ss.

Per F. Benvenuti, Appunti di diritto amministrativo, parte generale, Padova, 1987, 21 e ss., il provvedimento amministrativo è esercizio di un potere, ossia è una manifestazione concreta di un potere di impero capace di costituire, modificare o estinguere posizioni giuridiche; il mero atto è, invece, esercizio di una semplice facoltà.

F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2006, pag. 899 osserva che: “l'attività amministrativa incontra così limiti ben maggiori di quelli posti all'autonomia privata: mentre i limiti negativi (mantenere l'attività nei confini della liceità) sono propri anche delle attività dei privati, quelli positivi assumono caratteri specifici per la pubblica amministrazione in quanto diretti al mantenimento dell'attività nell'ambito dei fini pubblici che l'amministrazione deve perseguire (limiti dell'attività amministrativa).

Un originale Autore francese, alla ricerca di una nozione di potere discrezionale, precisa che occorrerebbe distinguere tra la discrezionalità giuridica tipica della funzione amministrativa e quella politica tipica di quella funzione autonoma definibile come fonction gouvernementale: M. Dendias, Contribution à la notion du pouvoir discretionnaire et du détournement de pouvoir, in Festschrift di Rudolf Laun, Gottingen, 1962, 79.

   In questo senso: E. Casetta, cit., 489.

Per una ricostruzione più ampia delle varie tesi sulla nozione di atto amministrativo si veda F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2006, 1025 ss.

Ci si è riportati fedelmente al pensiero di G. Sacchi Morsiani, Il potere amministrativo delle Comunità Europee e le posizioni giuridiche dei privati, Milano, 1965, 81 e ss.

G. Sacchi Morsiani,cit., 104, osserva che le difficoltà principali per una teoria giuridica degli atti delle Istituzioni nell’ordinamento comunitario derivano essenzialmente dalla novità delle formule che reggono l’organizzazione dei poteri. Questi ultimi non sono attribuiti seguendo i principi degli ordinamenti degli Stati membri nei quali vige una divisione dei poteri ispirata da principi differenti da quelli che informano l’ordinamento comunitario.

M.S.Giannini, Profili di un diritto amministrativo delle Comunità Europee, in Riv. trim. dir. pubbl., IV, 2003, 979, testo tratto dalla registrazione della Conferenza tenuta il 14 aprile 1967, nell’ambito del seminario su L’ordinamento delle Comunità Europee nei suoi rapporti con il diritto internazionale ed il diritto interno, promosso dalla Facoltà di scienze politiche dell’Università di Roma, d’intesa con le Comunità Europee, Ufficio per l’Italia, e con la Società italiana per l’organizzazione internazionale.

Di sistema profondamente sovrannazionale parla M. Fragola, “Governance” dell’Unione Europea, sovrannazionalità e modelli applicabili: un tentativo di riordino alla luce della Costituzione  dell’Unione Europea, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali n. 3/2006, 427.

Più che ad un ordinamento internazionale l’ordinamento comunitario viene ricondotto dai più ad un ordinamento sopranazionale.

Recentemente si è aperta una diatriba in Francia tra accademici. Una folta schiera di autorevoli Professori di diritto hanno inviato una lettera al Presidente della Repubblica nella quale invitano a non studiare il diritto comunitario che, a loro dire, non costituirebbe un vero e proprio diritto. A questo durissimo attacco rivolto al diritto comunitario ha risposto altra parte del mondo accademico francese sempre con una lettera rivolta al Capo dello Stato. Le lettere sono pubblicate in Il diritto dell’Unione Europea n. 2/2007, 455 e ss.

già nel 1965 G. Sacchi Morsiani, cit., pag. 7 e ss., aveva intuito la genesi di un diritto amministrativo comunitario, tant’è che così si esprimeva: “…ciò tuttavia non significa ancora che ci troviamo in presenza di ordinamenti a diritto amministrativo; ipotesi questa che sembra per ora giustificarsi soltanto sulla constatazione assai evidente, ma di per sé ovviamente non decisiva, che l’ordinamento comunitario ha preso vita e forma per iniziativa di Stati continentali europei caratterizzati da ordinamenti “a regime amministrativo”.

Deve ritenersi che le conclusioni cui pervenne l'Illustre Autore furono influenzate dall'osservazione che le Comunità europee nacquero come insieme di organismi sopranazionali specializzati. Claudio Franchini, Les notions d'administration indirecte et de coadministration in Droit Administratif Européensotto la direzione di Jean Bernard Auby e Jacqueline Dutheil de la Rochère, Bruxelles, 2007, 245 e ss., ha osservato come tra le idee europeiste dei Fondatori, ossia tra quelle di Monnet e quelle di Altiero Spinelli (quest'ultimo immaginava la costruzione di uno Stato federale, ossia l'edificazione di un'Europa politica), prevalsero le idee del Francese.  

S.Sticchi Damiani, L’atto amministrativo nell’ordinamento comunitario. Contributo allo studio della nozione, Torino, 2006, pag. 9.

Nella presentazione al testo di M.S.Giannini, cit., Stefano Battini conclude nel senso che l’evoluzione del diritto comunitario lascia pochi dubbi circa l’esistenza di un diritto amministrativo europeo e che tale convinzione è patrimonio comune della scienza giuridica contemporanea. Anche la dottrina più recente (si veda per tutti Cassese, I lineamenti essenziali del diritto amministrativo comunitario, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 1991, 3)qualifica l’ordinamento comunitario come “sistema a fini tendenzialmente generali”.

R. Manfrellotti, L’Amministrazione europea: l’evolversi di un modello, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario n. 3-4/2005, 1179, sostiene “l’ampliarsi dei compiti attribuiti alla Comunità ha determinato la crescita della struttura amministrativa di quest’ultima ed il sorgere di un diritto amministrativo europeo”.

In termini più generali si è osservato che in ambito europeo si assiste ad un “diritto amministrativo senza lo Stato” (così G. Della Cananea, Diritto amministrativo europeo, Principi ed istituti, Milano, 2006, pag. 8 e ss.; di “Costituzione senza Stato” parla L. Torchia, in Dir. pubb., 2001, 405 e ss. con riferimento al processo costituzionale avviato con le Dichiarazioni di Laeken); ad un diritto amministrativo figlio, a differenza dei diritti amministrativi nazionali, non del dispotismo ma dell’esigenza quanto mai pragmatica di garantire le libertà ed i diritti dei privati. Tali peculiarità, come si vedrà, si riverberano in maniera originale sulla ricostruzione delle figure giuridiche così come conosciute dalle tradizioni giuridiche nazionali.

S. Cassese, La signoria comunitaria sul diritto amministrativo, seconda lettura della Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, tenutasi il 17 maggio 2002, presso l’Università degli Studi di Milano – Bicocca, in Riv. ital. Dir. pubbl. comunitario, 2002, 291 e ss.

S. Cassese, Il diritto amministrativo europeo presenta caratteri originali?, in Rivista di diritto pubblico, 2003, 35 e ss. per il quale “sotto l’apparente somiglianza con i diritti amministrativi statali, vi è un tratto originale del diritto amministrativo europeo. Questo è costituito dall’adozione, nell’area europea, dell’interest representation model e dalla sua utilizzazione anche nei riguardi degli Stati. Questi ultimi, catturati nel dialogo e nel contraddittorio, sono, però, sia pur parzialmente, ridotti al rango di centri di cura di interessi privati”.

G. Della Cananea, cit., Milano, 2006, pag. 46.

G. Della Cananea, cit., pagg. 52 e s. ha osservato, ulteriormente, che a livello di studio del diritto comunitario non esiste neanche quella separazione che la scienza giuridica nazionale ha ormai coltivato da tempo tra il diritto amministrativo ed il diritto costituzionale.

G. Sacchi Morsiani, cit., 108 e ss,osserva che l’“indifferenziazione” dei poteri e dei relativi atti porta ad affacciarsi alla coscienza dei giuristi un fenomeno che riflette lo sviluppo di figure che mettono in crisi taluni canoni propri del metodo classico degli studi giuridici; canoni derivanti dai concetti di astrattezza e generalità della norma in contrapposto alla concreta operatività che è propria dell’atto amministrativo. Tale “indifferenziazione” è, secondo questa dottrina, evidente anche nella realtà dell’ordinamento nazionale dove l’esercizio di attività a contenuto generale e particolare, astratto e concreto, venga cumulativamente attribuito, in base a criteri di pratica opportunità, indifferentemente ad organi del legislativo o dell’esecutivo e possa esplicarsi attraverso molteplici categorie di atti (legge, legge-provvedimento, regolamento, provvedimento generale a carattere non normativo ecc.) in una situazione nella quale, in larga parte dei casi, l’ordine secondo l’aspetto formale non corrisponde all’ordine secondo l’aspetto contenutistico. L’Illustre Autore nota, inoltre, che lo sviluppo di queste figure è propria in particolare dell’evoluzione del potere amministrativo dello Stato in relazione all’attività economica privata e cita, sul punto, il pensiero espresso da V.Spagnuolo Vigorita in Attività economica privata e potere amministrativo, Napoli, 1962 e Aspetti giuridici della disciplina dell’iniziativa privata, in Il diritto dell’economia, 1955, 986 e ss.

Gli Stati Nazione sono stati costruiti intorno al potere esecutivo. Gli Organi legislativi e giudiziari sono addizioni successive. D’altronde, mentre il potere legislativo e giudiziario statale è normalmente frazionato tra più centri di potere, due camere o più organi giurisdizionali, il potere esecutivo è tradizionalmente riconducibile ad un centro unitario. Così, nella sostanza, S. Cassese  nelle lezioni di “European Adminstrative Law” tenute alla New York University School of law dal 24 agosto al 14 ottobre 2004 e tradotte ed aggiornate da M. Savino, in G. Della Cananea, cit., pagg. 169  e ss.

Si v. E. Chiti e G.Della Cananea, L’attività amministrativa, in G. Della Cananea, cit., 89 e ss., dove si osserva che, ancora oggi, “priva com’è di uffici periferici e di mezzi finanziari paragonabili a quelli di cui di cui dispongono le amministrazioni degli Stati federali, l’amministrazione europea non può fare a meno dell’apporto delle burocrazie nazionali. Inoltre essa è priva di un elemento che contraddistingue le potestà delle pubbliche amministrazioni nei Paesi continentali”, ossia quella che nel nostro ordinamento viene designata come autotutela. Nell’ordinamento comunitario, infatti, per ottenere “che i pubblici poteri nazionali rispettino gli obblighi che discendono dall’appartenenza all’Unione, la Commissione deve rivolgersi al giudice.

questo modulo organizzativo appare la coerente applicazione dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione. In particolare, per il rispetto del principio di sussidiarietà, l’amministrazione comunitaria ha il potere di eseguire il diritto comunitario solo se l’ampiezza o gli effetti dell’azione proposta rendono i poteri statali insufficienti: il potere esecutivo dell’Unione Europea è perciò residuale e non monopolistico. Così S. Cassese, ult. cit., 173.

G. Sacchi Morsiani, cit., 124 e ss.

Nella Dichiarazione di Laeken del 14 e 15 dicembre 2001, con la quale si è convocata la Convenzione per l’Europa, è individuata tra le “sfide le riforme in un’Unione rinnovata” l’esigenza di “una semplificazione degli strumenti dell’Unione” ed è anche segnalata la necessità di verificare se “gli strumenti dell’Unione non possano essere circoscritti meglio e se il loro numero non possa essere ridotto” e, infine, se occorre “introdurre una distinzione tra misure legislative e misure di attuazione”. Così B. De Maria, Legge europea e sistema delle fonti, in Il Trattato costituzionale nel processo di integrazione europea a cura di M. Scudiero, t.I, Napoli, 2005, 572. Si veda, altresì, G.Greco, Profili di diritto amministrativo e ruolo della Commissione nel progetto di Costituzione Europea (note a prima lettura), in Riv. it. dir. pubbl. comunitario n. 3-4/2005, 1113.

E' il portato del principio di attribuzione, sancito nei previgenti Trattati e ribadito, da ultimo, nel Trattato di Lisbona. Il principio di attribuzione, peraltro, fa salvo l’uso dei cd. poteri impliciti di cui al previgente art. 308 del Trattato.

a livello di atti non si è discusso, per lungo tempo, di atto legislativo bensì di atti a contenuto normativo la cui “funzione esecutiva dei Trattati” li avvicina, non solo nel nome, ai regolamenti conosciuti nel diritto nazionale. La questione potrebbe essere rivisitata non solo alla luce della considerazione che il Trattato di Lisbona ha attributo ad alcuni atti comunitari la valenza di atti legislativi ma sulla base di una rivisitazione – accennata da una parte della dottrina – del rapporto, all'interno dei sistemi nazionali, tra Costituzione e leggi. Queste ultime andrebbero considerate come esecuzione della prima.

G.Greco, cit., 1123, nel notare che quest’elencazione dei vizi degli atti comunitari è ripresa in blocco nella Costituzione per l’Europa, osserva “…Si tratta dunque – come per il passato – della patologia tipica degli atti amministrativi (illegittimità-annullabilità) e conferma che nel sistema dell’Unione il regime dell’atto amministrativo non solo è presente, ma è anche esteso agli atti di normazione primaria e cioè alle leggi….Con il che risultano smentiti numerosi preconcetti e prese di posizione, che assumono il sistema ad atto amministrativo come recessivo nel contesto comunitario, che prospettano la necessità di disapplicazione degli atti amministrativi contrastanti col diritto comunitario o addirittura riconnettono ad atti così viziati la patologia più radicale della nullità ritenuta consona al tipo di norma violata. La privatizzazione dell’attività amministrativa, auspicabile o meno che sia, non costituisce una necessità comunitaria. E la miglior conferma è data proprio dal regime degli atti comunitari, ove anzi si registra – come si è visto – un carattere pervasivo di tale regime in quanto applicato anche alle leggi.

Autorità amministrativa, nel disegno della Costituzione per l’Europa, sono Consiglio dei Ministri e Commissione, escluse particolari fattispecie per le quali sono riconducibili a tale categoria anche BCE e Consiglio Europeo: così G. Greco, cit., 1114,

K. Caunes, Et la fonction exécutive europeénne créa l’administration à son image… Retour vers le futur de la comitologie, in Revue trimestrielle de droit europeén, n°2 avril-juin 2007, 297 ss.

R.Baratta, Le principali novità del trattato di Lisbona, in Il Diritto dell’Unione Europea 1/08, pagg. 21 e ss.

di esecutivo europeo “bicefalo” con “due teste”ed al tempo stesso “nomade” potendo i poteri esecutivi essere conferiti dal Consiglio alla Commissione parla S. Cassese  nelle lezioni di “European Adminstrative Law” tenute alla New York University School of law dal 24 agosto al 14 ottobre 2004 e tradotte ed aggiornate da M Savino, in G. Della Cananea, cit., 169 e ss.

testualmente, S.Sticchi Damiani, cit., 151.

Anche se, ed è questa una prima conclusione cui si può giungere, gli atti emanati dalla Commissione sono senz'altro riconducibili a funzioni di carattere essenzialmente esecutivo .
Come si avrà modo di verificare, peraltro, tale conclusione non può indurre a pensare che la Commissione agisca sempre tramite atti che, con una terminologia nazionale, potremmo definire amministrativi. La migliore dottrina ha, infatti, rimarcato come nella funzione esecutiva comunitaria debba ricomprendersi quella funzione normativa terziaria che, sempre utilizzando una terminologia nazionale, si esprime attraverso i regolamenti di esecuzione.
E’ evidente, allora, come tutto il quadro sistematico così delineato sia dotato di un’originale complessità: volendo, in modo improprio ma latamente comparatistico, schematizzare il sistema comunitario potremmo affermare che il Consiglio può emanare atti che nell’ordinamento interno qualificheremmo come “leggi, regolamenti ed atti amministrativi”, mentre la Commissione potrà emanare “regolamenti ed atti amministrativi”.
Tale complessità risulterà ancora più articolata ove si consideri che gli atti comunitari hanno una natura di per sé stessa “ibrida”: il regolamento comunitario, infatti, potrà essere utilizzato tanto per l’esercizio di una funzione normativa (dal carattere secondario-legislativo) quanto per l’esercizio di una funzione esecutiva (dal carattere terziario-regolamentare); la stessa decisione avrà normalmente una natura esecutiva ma, non di rado, assume la veste tipica dell'atto normativo .
Autorevole e recente dottrina evidenzia come, in seguito, tale “indistinzione” di funzioni sia stata, almeno in parte, attenuata dall’accresciuto ruolo del Parlamento europeo che, da Organo avente funzioni meramente consultive e mai vincolanti, è divenuto, a far data dall’introduzione dell’Atto Unico Europeo (1986), protagonista della fase normativa attraverso le procedure della cooperazione, del parere conforme e, soprattutto, della codecisione.
L’accresciuto ruolo del Parlamento ha fatto emergere, a parere della citata dottrina, un potere che si può definire legislativo e che, quindi, risulta più facilmente distinguibile dal potere normativo secondario o esecutivo delle leggi.
Parallelamente, si è osservato , è divenuta più facilmente identificabile la stessa funzione esecutiva e, in particolare, quella parte di essa che si esprime attraverso atti individuali. Infatti, l’accresciuto “peso” delle procedure in amministrazione diretta, di pari passo con l’aumento – non solo in termini di risorse umane e mezzi - della burocrazia comunitaria, ha stimolato in modo sensibile la produzione di tale tipologia di atti .
Più che i soggetti, allora, si suggerisce di utilizzare quale ausilio per una differenziazione tra le funzioni il criterio procedurale : infatti, nella funzione “legislativa” si applicano le procedure del parere conforme, della cooperazione o della codecisione ; nella funzione esecutiva in via normativa si applicano le procedure previste dai regolamenti sulla c.d. comitatologia.
Invece, a nulla servirà il criterio “formale”, ossia del tipo di atto utilizzato. Come anticipato, nell’esercizio delle varie funzioni gli atti tipici vincolanti sono sempre i regolamenti, le direttive e le decisioni .

    1. Le novità derivanti dalla ratifica del Trattato di Lisbona

 

Le considerazioni esposte ai precedenti paragrafi vanno confrontate col mutato quadro normativo disegnato dal Trattato di Lisbona, stipulato nel giugno del 2007.
Per avviare una prima analisi appare opportuno trascrivere le norme che assumono una particolare rilevanza ai fini della presente ricerca.
L'art. 14 paragrafo 1 del TUE ha espressamente previsto che “Il Parlamento europeo esercita, congiuntamente al Consiglio,  la funzione legislativa e la funzione di bilancio...”.
L'art. 17 paragrafo 1 del TUE prevede, tra l'altro, che: “La Commissione promuove l'interesse generale dell'Unione e adotta le iniziative appropriate a tale fine...Dà esecuzione ai bilanci e gestisce i programmi. Esercita funzioni di coordinamento, esecuzione e di gestione, alle condizioni stabilite dai trattati.
L'art. 263 del nuovo TFUE, I e II paragrafo, dispone che: “La Corte di Giustizia dell'Unione Europea esercita un controllo di legittimità sugli atti  legislativi, sugli atti del Consiglio, della Commissione, della Banca Centrale Europea che non siano raccomandazioni o pareri, nonché sugli atti del Parlamento europeo e del Consiglio Europeo destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi. Esercita inoltre un controllo di legittimità sugli atti degli Organi o degli Organismi dell'Unione destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi. A tal fine,  la Corte è competente a pronunciarsi sui ricorsi per incompetenza, violazione delle forme sostanziali, violazione dei Trattati o di qualsiasi altra regola di diritto relativa alla loro applicazione, ovvero per sviamento di potere, proposti da uno Stato membro, dal Parlamento europeo, dal Consiglio o dalla Commissione.
L'art. 288, paragrafo I, TFUE ribadisce che: “Per esercitare le competenze dell'Unione, le Istituzioni adottano regolamenti, direttive, decisioni, raccomandazioni e pareri.
L'art. 289, paragrafo I, TFUE, dispone che: “La procedura legislativa ordinaria consiste nell'adozione congiunta di un regolamento, di una direttiva o di una decisione da parte del Parlamento Europeo e del Consiglio su proposta della Commissione. Tale procedura è definita dall'art. 294.”
Il paragrafo III della medesima norma prevede che: “Gli atti giuridici adottati mediante procedura legislativa sono atti legislativi.”
L'art. 290 TFUE prevede, poi, la possibilità che un atto legislativo deferisca alla Commissione la possibilità di adottare atti non legislativi di portata generale che integrano o modificano determinati elementi non essenziali dell'atto legislativo.
Fondamentale ai fini di questo lavoro è, poi, il nuovo art. 291 TFUE per il quale “Gli Stati membri adottano tutte le misure di diritto interno necessarie per l'attuazione degli atti giuridicamente vincolanti dell'Unione.
Allorché sono necessarie condizioni uniformi di esecuzione degli atti giuridicamente vincolanti dell'Unione, questi conferiscono competenze di esecuzione alla Commissione, o, in casi specifici debitamente motivati e nelle circostanze previste dagli artt. 24 e 26 del TUE, al Consiglio.
Ai fini del paragrafo II, il Parlamento Europeo ed il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscono preventivamente le regole ed i principi generali relativi alle modalità di controllo da parte degli Stati membri dell'esercizio delle competenze di esecuzione attribuite alla Commissione.
I termini “di esecuzione” sono inseriti nel titolo degli atti di esecuzione.
Una prima lettura delle citate norme impone la riflessione per la quale il potere di eseguire le disposizioni dei trattati spetta, in primo luogo, ai singoli Stati membri.
Pertanto, ancora oggi, sembrerebbe confermarsi la centralità del modello di amministrazione indiretta.
Esso, a parere di chi scrive, non può più intendersi tuttavia come necessaria conseguenza della mancanza di un apparato burocratico dell'Unione Europea.
Infatti, come visto, le Istituzioni comunitarie sono ormai dotate di un apparato molto articolato.
Tale modello è, invece, del tutto coerente con il sempre maggior peso giuridico e “politico” assunto nel corso degli anni dai principi di sussidiarietà e proporzionalità .
Proprio la contemporanea valorizzazione di questi due principi consente, del resto, di offrire l'esatta interpretazione del paragrafo II dell'art. 291 che prevede una competenza “residuale” di esecuzione da parte della Commissione o, in ultima analisi, del Consiglio.
In quest'ottica non può che rilevarsi la non rispondenza all'attuale dettato dei trattati dell'affermazione che vorrebbe la Commissione come detentrice del potere esecutivo nell'ordinamento comunitario.
Tale asserzione, che comunque dovrebbe sempre tener conto delle peculiarità del potere esecutivo comunitario rispetto ad un classico potere esecutivo nazionale, si scontrerebbe con l'osservazione che i Trattati hanno previsto una forma di controllo, preventivo da parte del Consiglio e del Parlamento Europeo e successivo da parte degli Stati membri e, se del caso, della Corte di Giustizia, sull'attività esecutiva della Commissione.
Si rinnova pertanto l'attenzione delle Parti contraenti sull'esercizio dei poteri esecutivi che, peraltro, non trova più solo come ragione giustificatrice il timore di delegare troppi poteri ad un'Autorità sovranazionale quale la Commissione ma, altresì, la necessaria valorizzazione del principio di democraticità delle Istituzioni comunitarie la cui importanza è sottolineata dal TUE.
In secondo luogo, stante la sempre maggiore articolazione dei procedimenti nazionali di attuazione delle disposizioni comunitarie, si impone un altrettanto approfondito esame della natura degli atti, comunitari o nazionali, che si inseriscono nelle varie sequenze procedimentali e che sono idonei a produrre effetti giuridici nei confronti dei terzi.
Si vuol rilevare (anticipando, in parte, quanto sarà esposto nel prossimo capitolo), in sintesi, che all'ordinarietà del sistema di amministrazione indiretta non deve seguire necessariamente il sindacato del giudice nazionale sugli atti di rilevanza comunitaria qualora l'atto effettivamente produttivo di effetti per i terzi abbia, sulla base dei principi espressi dalla Corte di Giustizia, natura comunitaria.
Ciò detto, è altrettanto chiaro che il Trattato di Lisbona non ha stravolto l’impianto previgente, specialmente in relazione al sistema delle fonti.
Del resto, le ambizioni del Trattato sono state necessariamente ridimensionate dalla mancata ratifica della Costituzione Europea ed hanno indotto gli Stati firmatari a mantenere inalterata la tradizionale tipologia degli atti, distinti in regolamenti, direttive e decisioni (oltre agli atti non vincolanti).
Si è espunta, quindi, la denominazione degli atti, prevista dalla Costituzione Europea, in legge e legge-quadro.
Nell’accogliere, invece, il principio di gerarchia normativa tra le fonti di diritto derivato, la distinzione tra provvedimenti legislativi e non legislativi è rimasta ferma e trova il suo fondamento nell’art. 288, par. 3 TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea), in base al quale gli atti “adottati mediante procedura legislativa sono atti legislativi”.
La definizione, in sé circolare, intende caratterizzare gli atti legislativi in base al fatto che si siano seguite la procedura legislativa ordinaria e speciale: la prima, così definita perché assurta a meccanismo generale di adozione degli atti, riprende con talune semplificazioni la previgente procedura di codecisione con Parlamento e Consiglio nella congiunta veste di legislatori (art. 294 TFUE); la seconda, applicabile se specificamente contemplata dai trattati, è descritta dall’art. 288, par. 2, e consiste nell’attribuire la funzione decisionale unicamente al Parlamento oppure al Consiglio, con la “partecipazione”, rispettivamente dell’uno o dell’altro.
In questo senso, come già acutamente osservato dalla più volte citata e recente dottrina, emerge in maniera adamantina l'importanza del tipo di procedura seguita al fine di desumere la natura giuridica dell'atto, legislativa o non legislativa; ovvero, utilizzando una terminologia cara alla nostra tradizione nazionale, la natura legislativa, normativa o amministrativa dell'atto stesso.
Novità di rilevo è costituita, poi, dall'affiancamento agli atti legislativi degli atti delegati alla Commissione, aventi la funzione di integrare o modificare determinati elementi non essenziali di un atto legislativo destinato ad una cerchia indeterminata di destinatari.
Si tratterà, quindi, di atti “non legislativi di portata generale” i cui obiettivi, contenuto, portata e durata della delega saranno definiti nell’atto legislativo di base (art. 289 TFUE); peraltro, gli elementi essenziali della disciplina – ossia le sue prescrizioni fondamentali – non possono costituire oggetto di delega onde evitare di alterare la ripartizione funzionale delle competenze.
In sostanza, si è codificata la possibilità di emanazione di atti dal contenuto terzo rispetto alla rigida distinzione tra atto legislativo ed atto amministrativo, valorizzando – anche a livello formale – quella peculiare forma di attività sostanzialmente normativa che nell'ordinamento interno verrebbe ricondotta alla figura del regolamento amministrativo.
Per definire in breve la ratio dell’atto delegato, si deve riconoscere che si è voluto disincentivare l’eccesso di dettagli nella produzione normativa del legislatore e contemplare la possibilità di conferire il compito corrispondente alla Commissione, che, pertanto, tramite tale strumento appare recuperare un peso rilevante nell'ambito dell'esercizio dei poteri esecutivi.
Si dovrebbe trattare, quindi, di un’attività da esercitare nel rispetto dei limiti previsti dall’atto-delega, ma di natura normativa perché avente portata generale (non potrà applicarsi a misure individuali) e perché destinata a modificare/integrare l’atto di base (non potrà applicarsi a misure puramente esecutive).
D'altro canto, l’introduzione del nuovo atto sembra prospettare una revisione della c.d. comitatologia.
Benché la questione meriterebbe un diverso approfondimento, in questa sede è sufficiente osservare che il Trattato di Lisbona distingue concettualmente la “delega alla Commissione” dall’attività esecutiva.
L’introduzione dello strumento della delega si sostituirà, pertanto, allo strumento dell'esercizio del potere esecutivo attualmente rappresentato dalla procedura di comitatologia cd. di “regolamentazione con controllo”, introdotta nel 2006 con la decisione 2006/512/CE.
Il Trattato di Lisbona , poi, non profila un modello di titolarità del potere esecutivo che prima ruotava intorno ai comitati, composti da rappresentanti degli Stati, incaricati di assistere la Commissione nell’esercizio delle competenze di esecuzione conferitele dal legislatore.
La materia è disciplinata dalla “codificazione” di una prassi non prevista dal diritto primario ante Lisbona e racchiusa nella decisione n. 1999/468/CE.
La titolarità ad adottare atti esecutivi resta, come detto, in linea di principio, in capo agli Stati membri: essi “adottano tutte le misure di diritto interno necessarie per l’attuazione degli atti giuridicamente vincolanti dell’Unione” (art. 290, par. 1 TFUE) .
Le modalità di controllo dell’esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione potrebbero essere definite tanto sulle orme della previgente disciplina della comitatologia, quanto in base alla predisposizione di nuovi strumenti.
Pur dovendo evidenziarsi tutti i limiti insiti in una schematizzazione di un sistema giuridico, quello comunitario, che per la sua originalità e complessità, appare refrattario ad una ripartizione in categorie giuridiche di derivazione prettamente nazionale, appare comunque utile rilevare, se non altro in termini di comprensione di una realtà giuridica in continuo movimento, che le Parti firmatarie del Trattato di Lisbona hanno voluto affidare al Parlamento ed al Consiglio la funzione legislativa, alla Commissione una funzione latamente regolamentare ed agli Stati membri, almeno in via generale, la funzione esecutiva .

I.VI.Riflessioni finali sull'esistenza dell'atto amministrativo nell'ordinamento comunitario

Avviandosi ad una conclusione circa il primo interrogativo che ci siamo posti, ossia quello relativo all’esistenza o meno di un atto amministrativo comunitario, occorre pertanto rilevare che nei trattati comunitari si parla, più che di funzione amministrativa, di funzione esecutiva. Tale diversità non è meramente terminologica ma sostanziale: essa dà atto di un quadro normativo del tutto originale che sarebbe fuorviante osservare con gli occhi rivolti ai concetti e agli schemi tipici dell’ordinamento nazionale.
Ulteriormente, essa impone di effettuare una premessa metodologica che si sceglie di mutuare da quella sviluppata da una recente dottrina .
I concetti giuridici presenti nell’ordinamento comunitario sono, in primo luogo, il frutto delle elaborazioni maturate dall’interpretazione delle disposizioni dei Trattati comunitari, ossia di una fonte convenzionale di diritto internazionale che non può non risentire delle culture giuridiche dei Paesi stipulanti .
Da esse, inevitabilmente, questi concetti traggono origine.
Eppure, una volta inseriti in un contesto ordinamentale “diverso” , quello comunitario per l’appunto, questi concetti vivono ed evolvono in modo autonomo imponendo che la loro interpretazione proceda secondo i canoni propri del nuovo e “diverso” ordinamento in cui sono stati innestati .
Sarebbe, in quest’ottica, un grave errore il cercare di analizzare i concetti comunitari utilizzando parametri meramente nazionali .
Dunque, più che parlare di atto amministrativo sembra corretto poter affermare che nell’ordinamento comunitario esiste un atto esecutivo individuale la cui forma giuridica è normalmente rappresentata dalla decisione , atto tipico, vincolante, esecutivo e, per l’appunto, individuale .
Entro i limiti imposti dalla dovuta attenzione delle peculiarità dell'ordinamento comunitario, la sua assimilazione all’atto amministrativo conosciuto nel diritto nazionale appare trovare elementi di significativo, sia pur non univoco, riscontro.


Anche nel progetto di Costituzione per l’Europa: così, G.Greco, cit., 1113.

A testimonianza di questa natura “ambivalente” delle decisioni, nell’ottica di semplificazione e riordinamento del sistema delle fonti comunitarie, il Presidente del IX Gruppo di lavoro della Convenzione per l’Europa (Giuliano Amato) – nella presentazione della relazione finale di detto gruppo alla sessione plenaria del 2002 – si è soffermato sulle proposte di suddividere gli atti vincolanti in legislativi e in atti non legislativi, rimarcando che ciò avrebbe implicato che la “legge è chiamata a coprire anche situazioni che oggi sono collocate sotto la decisione”

   sticchi damiani, cit., 132.

Tuttavia – in modo emblematico – lo stesso Praesidium della Convenzione per l’Europa – pur proponendo definizioni distinte e discipline separate per gli atti legislativi, per quelli non legislativi e per gli atti esecutivi – non distingue in modo rigoroso la titolarità di funzioni legislative e di quelle esecutive e ciò per la difficoltà dell’attuale geometria del disegno istituzionale europeo. Così B. De Maria, cit., 586.

Sul ruolo del Parlamento Europeo nell’architettura della Costituzione per l’Europa – come noto non ratificata da tutti gli Stati membri e quindi mai entrata in vigore, si veda R. Bieber, Le renforcement du Parlament europeén, in Revue des Affaires européens, 2/2006, 223 e ss.

Il tentativo di rendere evidente, anche per ragioni di “democraticità sostanziale” del sistema, la distinzione tra potere legislativo e potere esecutivo ha avuto la sua massima espressione nella Costituzione per l’Europa. In essa rinveniamo la distinzione tra atti legislativi, atti non legislativi e atti esecutivi. Sia pur in modo non rigoroso – in considerazione delle peculiarità dell’ordinamento comunitario – si è cercato di disegnare un riparto di competenze che vede il potere legislativo attribuito al Consiglio ed al Parlamento (di procedimento “bicamerale” hanno parlato, in proposito, G. Amato, Verso la Costituzione europea, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2003, 294 e F. Sorrentino, Considerazioni introduttive sulle nuovi fonti del diritto europeo, in Dir. pubbl. comp. eur., 2003, 1750); il potere esecutivo tendenzialmente affidato alla Commissione.  Natura legislativa – nel disegno dei costituenti europei – hanno in particolare la legge europea e la legge quadro.
Per B. De Maria, cit., 596, “Benché la disciplina della legge europea e della legge quadro non si discosta in modo marcato da quella che il diritto dei Trattati pone per i regolamenti e le direttive, non può sfuggire il peso politico ed altamente simbolico di questa svolta terminologica che……fornisce una chiara e netta indicazione sull’intento dei protagonisti della costruzione comunitaria di voler procedere in direzione di un rafforzamento anche qualitativo e strutturale del processo di integrazione”. L’Autore rimarca, peraltro, che da almeno un ventennio la giurisprudenza comunitaria (tra le tante si vedano: sentenza 10 luglio 2003, causa C-15/00, Commissione/Bei, Racc. I-7281 ss; sentenza 21 gennaio 2003, causa C-378/00, Commissione/Parlamento e Consiglio Ue, Racc. I-937 ss; sentenza 10 dicembre 2002, causa C-491/01, British American Tabacco, Racc. I-11453) fa riferimento a termini quali “legislatore comunitario”, “legislazione comunitaria”, “legge”, riferendosi specificamente al potere delle Istituzioni di adottare soprattutto regolamenti e direttive o “atti di base” (ossia atti che attribuiscono competenze di attuazione o esecuzione). Osserva, poi, che “in sostanza è nell’esperienza comunitaria, prima ancora che nelle formule prescelte dal Trattato costituzionale, che si sono individuati criteri distintivi tra atti normativi di portata generale, che derivano direttamente dal Trattato e che contengono scelte politiche fondamentali, ed atti che in questi ultimi trovano il loro presupposto legittimante e che, benché contemplati dai Trattati non possono intervenire se non espressamente previsti da un atto di base….Non si vuole in tal modo sostenere che prima dei lavori  della Convenzione si fosse già affermata nella sostanza delle fonti dell’ordinamento comunitario una chiara e netta distinzione tra la sfera legislativa e quella esecutiva, poiché così facendo si negherebbe la complessità del sistema e dell’ordinamento comunitario…..Insomma, alla base delle scelte compiute in ordine alla riorganizzazione degli strumenti di esercizio delle competenze dell’Unione si intravede lo scopo di rendere questo sistema di atti più omogeneo rispetto al nuovo assetto che il principio democratico ed i suoi corollari hanno ormai assunto nell’ordinamento comunitario; ed è soprattutto sotto quest’ultimo profilo che si coglie il significato simbolico della nuova denominazione delle fonti del diritto che derivano dal Trattato.”

Così la Nota del praesidium – Convenzione europea, Strumenti giuridici: sistema attuale, CONV n. 50/2002, del 15 maggio 2002, par. 2, citata in Sticchi Damiani, cit., 133.

Interessantissime appaiono le considerazioni di R. Manfrellotti, cit., 1179 e ss. Si veda, altresì, C. Franchini, L’impatto dell’integrazione comunitaria sulle relazioni al vertice dell’amministrazione. Poteri governativi e poteri amministrativi, in Riv. it. dir. pubbl., 1991, 777 e ss.

S. Sticchi Damiani, cit.

peraltro, B. Di Maria, cit., 719, osserva che non vi è, attualmente, corrispondenza tra atto e procedimento.

I membri della Convenzione Europea, nel preparare il testo della Costituzione per l’Europa, si sono espressi in modo omogeneo rispetto alla possibilità di assumere ad archetipo del procedimento legislativo la procedura di “codecisione”. Così, B.Di Maria, cit., 575. Sull’accostamento del nomen “legge” alla procedura di codecisione si veda anche C. Pinelli, Gerarchia delle fonti comunitarie e principio di sussidiarietà e proporzionalità, in Il Diritto U.E., 1999, 726.

Nella funzione esecutiva in via “amministrativa” la diversità di procedimento utilizzato (esecuzione diretta, procedimenti compositi, procedimenti “in funzione comunitaria”) rileva – come si vedrà nei successivi paragrafi del presente lavoro – rilevare, al più, ai fini dell’individuazione della “comunitarietà” di un atto. Sui procedimenti amministrativi si v. E. Chiti e G.Della Cananea, cit., in G. Della Cananea, cit., 100 e ss.

Sulla natura “anomala” e “asistematica” del sistema degli atti (o delle fonti) comunitarie si veda A. D’Atena, L’anomalo assetto delle fonti comunitarie, in A. D’Atena – P.Grossi (a cura di), Diritto, diritti e autonomie tra Unione Europea e riforme costituzionali, Milano, 2003, 3 ss.

Per parte della dottrina (v. G.L. Tosato, voce Regolamenti comunitari, in Enc. Dir., XXXIX, Milano, 1988, 689), tra questi atti è possibile configurare – sia pur con importanti precisazioni – un rapporto di gerarchia; per la dottrina prevalente (A. Tizzano, La gerarchia delle norme comunitarie in Dir. U.E., 1996, 57 ss.; C. Pinelli, cit., 725 ss ) e per la Corte di Giustizia (v. sentenza 28 giugno 1990, causa C-174/89, Hoche, in Racc. I-2681) tale criterio non è utilizzabile per la comprensione delle dinamiche interne all’ordinamento comunitario. La Corte – in particolare – fa riferimento ai criteri della competenza o della specialità. Di rapporto di subordinazione può, più in generale, parlarsi con riferimento al rapporto tra atti normativi ed atti esecutivi.

Il Trattato di Lisbona non ha riprodotto l’unificazione del diritto primario prevista dalla Costituzione Europea; esso resta suddiviso in due Trattati principali: uno sull’Unione Europea (TUE) e uno sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) rispettivamente di 55 e 358 articoli.

Interessantissimo, sul punto, si è rivelato l'intervento (reperibile sia pur in sintesi sul sito http://www.amministrazioneincammino.luiss.it/site/it-IT/Sezioni/Convegni_e_Resoconti/Resoconti/Documento/istituzioni_europee_e_trattato_lisbona.html) offerto dal Prof. Jacques Ziller, in un convegno organizzato presso la Scuola di dottorato in diritto amministrativo istituita presso l'Università “La Sapienza” di Roma, il quale ha riflettuto sul nuovo assetto istituzionale dopo il Trattato di Lisbona sottolineando la maggiore chiarezza che dal medesimo risulta in ordine alla separazione dei poteri; infatti, il Trattato, delimitando le funzioni attribuite alle sette istituzioni ha contribuito ad offrire un quadro di maggior chiarezza complessiva al quadro istituzionale. Inoltre, l'Illustre relatore ha rilevato l’importanza dell’art. 291, disposizione che individua chiaramente il ruolo delle istituzioni nazionali: parlamenti nazionali, governi e amministrazioni pubbliche, che diventano (anche) istituzioni dell’Unione. Dalla struttura delineatasi, secondo il Professore, deriva una situazione di chiarezza nella definizione dei compiti delle istituzioni, ma che al contempo introduce una certa complessità nel panorama dei meccanismi di raccordo tra istituzioni comunitarie e istituzioni nazionali, che moltiplicano in pratica le sedi decisionali. Infatti, per quanto riguarda le funzioni, viene evidenziata la funzione esecutiva, svolta non più solo dalla Commissione e dal Consiglio, ma ora anche dagli Stati membri, il cui controllo spetta alle Corti e ai Parlamenti; e una funzione giurisdizionale che estende l’ambito di applicazione di tutela della Corte di Giustizia a quasi tutti i settori, ad eccezione della politica estera e sicurezza comune.

Sul principio di proporzionalità si veda il paragrafo V del capitolo IV del presente lavoro e, da ultimo, le applicazioni della giurisprudenza italiana commentate da F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo, in Collana Manuali diretta da F. Caringella, S. Mazzamuto e G. Morbidelli, Roma, 2010, III ed., pag. 942 e ss.

R.Baratta, Le principali novità del trattato di Lisbona, in Il Diritto dell’Unione Europea 1/08, pagg. 21 e ss.

Identicamente dispone l’art.4, par.3, comma 2 TUE secondo cui gli Stati membri adottano tutte le misure di attuazione di carattere generale e particolare imposte dai Trattati e dagli atti di diritto derivato. La nuova normativa sembra quindi riproporre il modello decentralizzato di esercizio del potere esecutivo in capo agli Stati membri. Secondo una delle concezioni più diffuse, sin dalle sue origini, nel sistema comunitario è prevalso tale modello. I suoi sostenitori, in ambito comunitario, ricordano la sentenza 21 settembre 1983, cause riunite da 202 a 215/82, Deutsche Milchkontor GmbH et autres c. Germania, in Racc. p. 2633 ss.

Jacques Ziller,  Les concepts d'administration directe, d'administration indirecte et de co-administation et les fondements du droit administratif européen in Droit Administratif Européensotto la direzione di Jean Bernard Auby e Jacqueline Dutheil de la Rochère, Bruxelles, 2007, 242, il quale, acutamente, ha osservato come nell'ordinamento comunitario non vi è alcuna connessione fra le nozioni di amministrazione diretta ed indiretta da una parte e quelle di competenze esclusive o concorrenti dall'altra. Infatti, la competenza più tipicamente esclusiva dell'Unione Europea è quella doganale e ciononostante sono gli Stati membri che provvedono alla sua esecuzione per mezzo dei propri agenti, in particolare attraverso i doganieri e altri corpi di polizia specializzati.

S. Sticchi Damiani, cit.

si veda V.Skouris, L’influence du droit national et de la jurisprudence des juridictions des Etats membres sur l’interprétation du droit communautaire, in Il Diritto dell’Unione Europea 2/08, pagg. 239 ss.; O.Pollicino, Tanto rumore per (quasi) nulla? Sulla decisione Arcelor del Conseil d’Etat in tema di rapporti tra ordinamento interno e diritto comunitario, in Il Diritto dell’Unione Europea 4/07, pagg. 895 ss.

si pensi che i diritti amministrativi nazionali nascono per regolare il rapporto tra amministrazione e cittadini. Il diritto amministrativo europeo è invece “trinomio”, in quanto si instaurano relazioni tra Organi comunitari, amministrazioni nazionali e cittadini. Di polycentric adjudication parla S. Cassese nelle lezioni di “European Adminstrative Law” tenute alla New York University School of law dal 24 agosto al 14 ottobre 2004 e tradotte ed aggiornate da m. savino, in G. Della Cananea, cit., pagg. 169 e ss. 

P.Cassia, Droit administratif français et droit de l'Union europeénne, in Revue Française de droit administratif, n. 2, 2008, 258 ss.

sul noto effetto “spill over”, per il quale il diritto comunitario inevitabilmente produce evoluzioni nei diritti amministrativi nazionali penetrando in essi, si sofferma D.U. Galetta Il diritto ad una buona amministrazione europea come fonte di essenziali garanzie procedimentali nei confronti della Pubblica Amministrazione, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 3-4/2005, 853. Si veda, altresì, S. Cassese, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, 2004, 7 s.

G. Sacchi morsiani, cit., 21, sostiene: “….assai improbabile appare il successo di uno sforzo scientifico volto alla specificazione di taluni concetti generali sulla natura giuridica delle Comunità e sulla loro posizione nell’ordinamento internazionale, nel quadro delle nozioni note e secondo il metodo tradizionale della scienza internazionalistica. Nel tentativo di inquadrare le istituzioni comunitarie in un genus più o meno prossimo a quelli degli ordinamenti di diritto statale o a quello degli ordinamenti di diritto internazionale non è facile evitare il pericolo d esaurire l’indagine in enunciazioni di formule sulla base di misure quantitative”.

Peraltro, la stessa distinzione comunitaria tra atti generali e atti particolari porta con sé una serie di corollari del tutto diversi da quelli che una tale distinzione comporta a livello nazionale. Si pensi all’obbligo di motivazione. Nell’ordinamento italiano l’obbligo di motivazione, prescritto in termini generali dall’art. 3 della legge n. 241/1990 è, dallo stesso comma II dell’art. 3, escluso con riferimento agli atti normativi e agli atti a contenuto generale (potrebbe ritenersi che nell’attuale assetto normativo – si veda il T.U. sul pubblico impiego: d.lgs. n. 165/2001 - la non necessaria motivazione degli atti normativi e, viceversa, l’obbligatoria motivazione degli atti amministrativi discende, altresì, dal mutato assetto dei rapporti tra politica e dirigenza nelle PP.AA. In considerazione del fatto che la politica -controllata dal corpo elettorale - deve indirizzare e controllare essa può esprimersi con atti di rilievo generale, spesso di valenza normativa, non necessitanti di particolare motivazione. Dovendo, invece, la dirigenza gestire ed eseguire essa agirà, di norma, attraverso atti amministrativi che richiedono una specifica motivazione onde consentire – non solo la difesa dei propri interessi al destinatario dell’atto – quel controllo di competenza dell’Organo Politico cui sopra si è brevemente accennato); nell’ordinamento comunitario, ai sensi dell’art. 253 del Trattato, i regolamenti, le direttive e le decisioni devono essere motivate. Quindi, anche atti a portata necessariamente generale, quali i regolamenti, devono essere puntualmente motivati. Infatti, nell’impostazione comunitaria non è l’individualità dell’atto che ne impone una motivazione, bensì la sua vincolatività; ecco perché si ritiene che non debbano essere motivati i pareri e le raccomandazioni che, ai sensi dell’art. 249, ultimo comma, del Trattato, non sono atti vincolanti.
La rilevanza comunitaria della distinzione atti generali e atti individuali si ravvisa, inoltre, con riferimento all’obbligo di notifica che, ai sensi dell’art. 254, ultimo comma, del Trattato, riguarda i soli atti aventi un destinatario determinato, o determinabile ex ante. A ben vedere, tuttavia, tale regola non sembra discostarsi da quella vigente in ambito nazionale.
Tirando le fila del discorso qui brevemente sviluppato, può dirsi che l’ordinamento comunitario attribuisce un’evidente importanza all’efficacia degli atti tralasciando di attribuire un significativo peso alla loro denominazione. Interessante è, infine, quella recente evoluzione giurisprudenziale (si veda la sentenza 18 maggio 1994, in causa C-69/89, Codorniu S.A. c. Consiglio, Racc., 1994, I-1853, riportata in Falcon, La tutela giurisdizionale in Trattato di diritto amministrativo europeo, diretto da M.P. Chiti e G.Greco, Milano, 2007, pag. 730) volta a porre l’accento non tanto alla qualificazione astratta dell’atto ma al suo concreto raggio di azione. In poche parole ciò che rileva non è tanto che ciò che appare come un regolamento sia, in realtà, un atto individuale; piuttosto, quello che merita considerazione è che ciò che è un regolamento operi, in concreto, come una decisione in relazione alla speciale posizione di un soggetto.

Così G. Tesauro, Diritto comunitario, Padova, 2005, 139, per il quale “la decisione corrisponde, in sostanza, all’atto amministrativo dei sistemi giuridici nazionali, in quanto rappresenta lo strumento utilizzato dalle Istituzioni quando sono chiamate ad applicare il diritto comunitario a singole fattispecie concrete.”

si ribadisce, peraltro, che non sempre la decisione è un atto esecutivo individuale avendo frequentemente altra natura: si veda la famosa decisione sulla comitatologia del 1999.

Questa definizione lascia evidentemente fuori gli atti amministrativi generali che sono definibili quali atti esecutivi di carattere generale non normativo la cui veste giuridica a livello comunitario è tuttavia di non facile individuazione.

Il dibattito dottrinario sull'argomento è tutt'altro che sopito come dimostrano quegli Autori che hanno osservato come l'Amministrazione comunitaria si esprime attraverso una grande varietà di atti giuridici che va ben oltre l'elencazione in regolamenti, direttive, decisioni, pareri e raccomandazioni.
Infatti la prassi comunitaria conosce una gran varietà di atti atipici quali le risoluzioni, le delibere, le conclusioni, le dichiarazioni e le comunicazioni.
Secondo taluno , in linea generale, questi atti hanno una vocazione ad esprimere una posizione o un impegno politico e non sono suscettibili come tali di produrre effetti giuridici.
In realtà, alcuni di questi atti hanno un'incidenza in termini di esecuzione del diritto comunitario del tutto evidente.
In particolare, grande importanza assumono le comunicazioni della Commissione che realizzano una funzione assimilabile a quella che nel diritto francese è propria delle circolari e delle direttive.
Dinanzi ad una simile realtà, la Corte di Giustizia non è venuta meno al suo tipico approccio sostanzialistico, essendosi impegnata a verificare la produttività o meno di effetti giuridici dell'atto concretamente emesso al di là del nomen iuris utilizzato.
A fronte di tale varietà, si osserva come sia estremamente difficile la ricostruzione complessiva del sistema in presenza di atti che contemporaneamente alimentano tanto la sfera dell'esecuzione quanto la sfera della normazione.
Infatti, si sottolinea come non esista un corpo di regole coerenti che possano essere utilizzate quale regime dell'atto comunitario di esecuzione in via autonoma rispetto all'atto comunitario legislativo.
Ciononostante, nell'ambito degli atti comunitari derivati è possibile individuare alcune peculiarità tipiche dell'atto di esecuzione .
A tal fine, è necessario distinguere, mutuando tali concetti dal diritto francese nel quale assume una rilevanza ben maggiore rispetto al diritto comunitario, tra regolarità interna e regolarità esterna dell'atto sottoposto al controllo di legittimità.
In particolare, la regolarità interna attiene all'oggetto dell'atto, ai suoi motivi e ai suoi scopi.
Ciò premesso si è osservato che nonostante la confusione delle funzioni a livello comunitario non aiuti a ricostruire le caratteristiche dell'atto comunitario di esecuzione alcuni elementi identificativi possono essere rinvenuti:
a) per gli atti normativi di esecuzione, nel fatto che la loro elaborazione è inserita in una procedura molto particolare conosciuta, almeno sino ad ora, come comitatologia ;
b) per gli atti individuali di esecuzione, nel doveroso rispetto delle garanzie procedurali e, in particolare, per il fondamentale rispetto del diritto di difesa .
Quanto al punto b) si è ribadito che nonostante la ormai più volte ricordata “indistinzione” dei poteri a livello comunitario e nonostante la non chiaramente identificata titolarità del potere esecutivo, tuttavia il rispetto delle garanzie procedurali e del diritto di difesa è tipico dei soli atti di esecuzione.
Queste peculiarità sono particolarmente evidenti nella materia dell'impiego comunitario e nella materia della concorrenza.
In quest'ultimo settore, tanto gli atti di diritto derivato quanto i principi espressi dalla Corte di Giustizia, implicano per esempio il rispetto del carattere confidenziale della corrispondenza intercorsa tra imprese e avvocati, il diritto di non testimoniare contro sé stessi, l'inviolabilità del domicilio o l'obbligo per la Commissione di provvedere entro un tempo ragionevole. Tutti questi diritti non sono peraltro riconosciuti senza limiti di sorta, dovendo essere conciliati con le esigenze di un'Amministrazione efficace .
Da ultimo, autorevole dottrina ha rilevato che, malgrado la confusione di funzioni, procedimenti e caratteri degli atti comunitari rispetto a quelli nazionali, può parlarsi anche nel diritto comunitario di atti amministrativi.
Vi si trovano infatti atti a carattere di dichiarazione di scienza o di giudizio, tipici del procedimento e non destinati di regola a produrre effetti per i terzi, nonché atti a carattere provvedimentale, che esprimono il potere di cura di determinati interessi concreti e che sono intesi a produrre diretti effetti sulla situazione considerata ed i soggetti coinvolti.
Riconosciuta l’esistenza nel diritto comunitario di un quid  assimilabile all’atto amministrativo di diritto interno, occorre spostare l’attenzione sul vero problema pratico che può porsi nella realtà quotidiana: quando un atto amministrativo (esecutivo individuale) può dirsi comunitario e, quindi, assoggettabile al sindacato della Corte di Giustizia e quando, invece, potrà definirsi un normalissimo atto amministrativo di diritto interno sindacabile dal giudice nazionale ?
Il problema, che si cercherà di esaminare nel prossimo capitolo, si pone nei casi di cd. coamministrazione, nei quali le Amministrazioni comunitarie e quelle nazionali cooperano ed intervengono in uno stesso procedimento che sfocia nell’emanazione di un provvedimento finale.
Si vedrà, infatti, che non sempre il criterio dell’Organo emanante il provvedimento finale (atto finale emanato da Amministrazione comunitario/atto amministrativo comunitario/Corte di Giustizia – atto emanato da Amministrazione nazionale/atto amministrativo/giudice interno) è risolutivo.
E’ ovvio, invece, che il quesito non ha motivo di porsi nei casi di amministrazione diretta nei quali siamo senz’altro dinanzi ad un atto comunitario e nei casi di amministrazione indiretta nei quali avremo sicuramente un atto amministrativo di diritto interno .
Si è di recente detto che l'insieme di queste procedure, pur nella loro complessità, costituiscono il cd. diritto amministrativo europeo del quale costituisce parte integrante, quindi, l'esecuzione data ai Trattati ed alle norme comunitarie dagli Stati membri .
I. VII La decisione.

L’ordinamento comunitario, come visto, non è fondato sulla distinzione della legge dagli altri atti dei pubblici poteri.
Anzi, non esiste nemmeno la categoria della legge . Vi sono, invece, diverse specie di atti produttivi di effetti vincolanti: regolamenti, decisioni, direttive . Tra di essi non vi è gerarchia ma tendenziale equiparazione .
La gerarchia tra atti, in sintesi, più che riguardare le forme, come negli ordinamenti nazionali (dove la gerarchia riguarda le leggi, i regolamenti, gli usi ecc.), fa riferimento alle procedure ed alla loro sostanza.
Tra gli atti “particolari”, nel senso di dettare una disciplina specifica e concreta per un numero limitato di destinatari, occorre inevitabilmente far riferimento, in specie, alla “decisione” che, ex ai sensi del vecchio art. 249 del Trattato, “è obbligatoria in tutti i suoi elementi per i destinatari da essa designati”. In considerazione del fatto che l’art. 230, IV comma, del previgente Trattato prevedeva che, come sopra detto, “qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre, alle stesse condizioni, un ricorso contro le decisioni prese nei suoi confronti e contro le decisioni che, pur apparendo come un regolamento o una decisione presa nei confronti di altre persone, la riguardano direttamente ed individualmente” l’analogia tra decisione comunitaria e provvedimento amministrativo di diritto interno è evidente.
In entrambi i casi, tra l’altro, rilevante – almeno ai fini impugnatori - è il carattere personale e diretto della lesione della sfera giuridica derivante dall’atto.
D’altronde, il tenore letterale della disposizione citata lascia presagire la delicatezza dell’operazione interpretativa-qualificatoria che accompagna la figura della decisione.
La Corte di Giustizia ha opportunamente precisato, in quest’ottica, che gli atti vanno qualificati per ciò che effettivamente sono e non per le loro denominazioni formali. Dunque, anche atti denominati quali pareri o raccomandazioni potranno, se del caso, essere qualificati come decisioni. Diversamente, per provenienza e forma la riconoscibilità di un provvedimento amministrativo di diritto interno è senz’altro più agevole.
Anche autorevole dottrina ha ribadito che la definizione delle decisioni comunitarie corrisponde a quella degli atti amministrativi diffusa nei diritti amministrativi degli Stati fondatori; ovvero atti di carattere individuale e particolare, con cui si curano interessi concreti così disciplinando una determinata fattispecie. Pur se incidono direttamente nella sfera dei singoli soggetti, e quindi con effetti nei diversi ordinamenti nazionali, le decisioni rimangono ad ogni effetto atti comunitari la cui osservanza è responsabilità delle Istituzioni comunitarie, e possono essere oggetto di ricorso esclusivamente avanti alla Corte di Giustizia.
Per una ricostruzione generale dei caratteri della decisione comunitaria appare molto utile il richiamo ad una celebre, anche se non più recente, sentenza della Corte di Giustizia del 1966 nella quale, testualmente, si precisa che “una decisione deve.…presentarsi come un atto emanato dall’Organo competente, destinato a produrre effetti giuridici, che costituisca lo stadio finale dell’iter interno e che statuisca definitivamente in una forma atta ad identificare la natura”.
Da questa sentenza si può ricavare che una decisione comunitaria (ovviamente la definizione è data dalla Corte di Giustizia ai fini della sua impugnabilità) deve:

  • provenire dall’Organo competente ad emanarla (il che, invero, è un requisito del tutto scontato);
  • produrre effetti giuridici;
  • essere il prodotto di un’attività procedimentalizzata;
  • essere idonea a manifestare definitivamente, nelle debite forme, la volontà dell’Organo comunitario.

Prima di concentrare l’attenzione su alcuni dei sopra elencati requisiti della decisione comunitaria, non può non osservarsi come, in particolare, gli elementi indicati alle lettere c) e d) confermino in pieno l’assunto della tendenziale assimilabilità tra la decisione comunitaria ed il provvedimento amministrativo di diritto interno.
Meritevole di qualche puntualizzazione è l’elemento indicato alla lettera b); esso può essere precisato nei seguenti termini: ogni atto, riferibile ad Organi della Comunità investiti di potere, che produca conseguenze giuridiche sfavorevoli (in sostanza una lesione) in capo a destinatari singoli e determinati, va qualificato come decisione con tutte le conseguenze sul piano sostanziale (in particolare per quanto concerne il sorgere dell’obbligo di motivazione) e processuale (impugnabilità ex art. 230 del Trattato) . La Corte di Giustizia, sul punto, ha più volte ribadito che per stabilire l’impugnabilità di un atto occorre aver riguardo alla sua sostanza e che, più specificamente, per stabilire se gli atti o le decisioni possano essere oggetto di un’azione di annullamento ex art. 230 del Trattato è necessario verificare se tali provvedimenti siano destinati a produrre effetti giuridici obbligatori idonei ad incidere sugli interessi di chi impugna, modificando in misura rilevante la situazione giuridica di questo.
Per quanto concerne la definitività, indicata alla precedente elencazione alla lettera d), la Corte di Giustizia ha precisato che, qualora si tratti di atti inseriti in un procedimento a più fasi, si è in presenza di un atto impugnabile solo per misure che manifestano il punto di vista della Commissione o del Consiglio definitivamente, e non per misure intermedie, che si limitano a preparare la decisione conclusiva.
Sempre dalla lettura dell’indicato punto d) emerge il requisito della “formalità” della decisione da intendersi tanto nel senso di salvaguardia dell’esigenza di una “forma atta a farne identificare la natura” , tanto nel senso di necessaria forma scritta idonea a soddisfare al requisito dell’obbligo di motivazione.
Nell’ordinamento giuridico italiano, come noto, la precisa identificazione dei caratteri dell’atto amministrativo risponde all'esigenza di individuare il giudice competente a sindacarne la legittimità.
In presenza di un atto amministrativo, infatti, si radica – di norma , sia pur con importanti eccezioni – la giurisdizione del giudice amministrativo che potrà accertare se l’atto impugnato sia viziato da incompetenza, violazione di legge o eccesso di potere.
Nell’ordinamento comunitario, invece, ai fini del riparto di giurisdizione non rileva né la natura della situazione giuridica asseritamente lesa (diritto soggettivo/interesse legittimo), né la natura giuridica (atto amministrativo/normativo ) dell’atto impugnato. La giurisdizione comunitaria è, infatti, unitaria ed affidata alla Corte di Giustizia che, in definitiva, funge da giudice costituzionale, da giudice internazionale, da giudice civile e da giudice amministrativo.
I trattati istitutivi della comunità e gli atti normativi emanati dalle sue Istituzioni hanno previsto che l'Amministrazione comunitaria emani una serie di provvedimenti; essi hanno in comune con quelli noti agli ordinamenti nazionali una duplice caratteristica:
1) sono espressione di poteri d’imperio e di coazione;
2) una volta emanato un tale provvedimento, esso produce effetti rilevanti per il diritto ancorché invalido, finché non sia stato modificato dall’Autorità emanante o annullato dal Giudice. Ed il mancato esercizio del diritto di azione nei termini di decadenza rende la decisione definitiva .
Con specifico riferimento al punto 2), può dirsi pacificamente accettato che il regime generale della invalidità degli atti comunitari è il classico regime dell’annullabilità, con la precisazione tuttavia che (come negli ordinamenti nazionali) può aversi il regime della nullità quando i vizi risultino particolarmente gravi, e di conseguenza in casi molto ristretti. D’altronde, benché l’art. 231 del trattato parla di “dichiarazione di nullità” della Corte di Giustizia nel caso di atto viziato, è pacifico che la pronuncia ha carattere costitutivo e non dichiarativo .

Capitolo II

I caratteri dell’atto amministrativo comunitario.

 

    •  I tratti distintivi della comunitarietà di un atto amministrativo secondo la dottrina tradizionale

Parte della dottrina ha ritenuto di cogliere i tratti distintivi dell’atto amministrativo comunitario nei seguenti requisiti:

  • la provenienza da un’Autorità amministrativa;
  • la capacità di differenziarsi dagli atti normativi e giurisdizionali;
  • la natura decisoria dell’atto dotato di forza obbligatoria.

Si è replicato che tale definizione, sia pur apprezzabile per molti aspetti, non tiene conto – a tacer d’altro - della difficoltà di individuare con certezza, in un ordinamento complesso come quello comunitario, l’Autorità amministrativa.
Ulteriormente, le si addebita di non tener in considerazione la peculiarità dell’organizzazione comunitaria, costituita da una pluralità di figure soggettive interagenti, secondo numerose variabili, con le Amministrazioni nazionali.
A livello metodologico, poi, si ammonisce circa la necessità di analizzare il sistema comunitario senza le lenti “colorate” dai concetti giuridici nazionali. L’originalità dell’ordinamento comunitario imporrebbe, secondo questa visione, un approccio scevro da pregiudizi di ordine concettuale. Quindi, per poter effettuare una corretta analisi degli elementi caratteristici dell’atto amministrativo comunitario, occorrerebbe preliminarmente dar conto delle peculiarità dell’apparato amministrativo europeo.
Questa impostazione, che appare del tutto condivisibile, si fonda sull'osservazione preliminare che l'ordinamento comunitario è evoluto da una struttura originaria caratterizzata da un’evidente snellezza organizzativa ad una configurazione ben più articolata. In questo senso, autorevole dottrina individua, più precisamente, tre fasi evolutive dell’ordinamento amministrativo comunitario:

  • una prima fase nella quale, a fianco ad un potere legislativo e ad un potere giudiziario ben sviluppati, emergeva un’evidente carenza del potere esecutivo le cui funzioni venivano rimesse quasi integralmente agli apparati statali;
  • una seconda fase nella quale si privilegiava tanto l’istituzione di organi e procedure deputati a controllare l’esecuzione del diritto comunitario, in modo da evitare le deviazioni nazionali dalle norme comunitarie e di sanzionarle, quanto lo sviluppo di organi misti (nazionali e comunitari), di matrice decisamente amministrativa (in quanto composti da burocrati), impegnati nella preparazione e nella esecuzione delle decisioni;
  • una terza fase nella quale l’Unione non si limita più alla sola vigilanza sull’esecuzione nazionale del diritto comunitario, bensì assume direttamente funzioni esecutive istituendo uffici o agenzie ad hoc oppure asservisce gli apparati nazionali imponendo loro il rispetto di moduli organizzativi e procedurali.

Oggi, in definitiva, nessuno potrebbe seriamente dubitare dell’esistenza di un apparato amministrativo della Comunità: basti solo osservare che la Commissione si compone di diverse Direzioni Generali che, con il passare degli anni, hanno assunto la cura di una molteplicità di interessi al punto da far ritenere che l’ordinamento comunitario abbia acquisito fini generali.

    • I procedimenti di rilevanza comunitaria

 

Le amministrazioni comunitarie non svolgono quasi mai, peraltro, le proprie funzioni in via autonoma; ossia, a parte i casi di amministrazione cd. diretta, le stesse prendono “in prestito” le amministrazioni nazionali che, nella cura di interessi comunitari, sono soggette ai principi ed alle norme (anche procedurali) comunitarie. In quest’ultimo caso, siamo nell’ambito della cd. amministrazione indiretta dalla quale partoriscono i cd. atti “in funzione comunitaria” che, sia chiaro, sono dei normali atti amministrativi nazionali volti al perseguimento di interessi comunitari e soggetti alla disciplina comunitaria.
Peraltro, la particolarità di tali atti è sempre meno evidente laddove si consideri che l’art. 1, comma II, della legge n. 241/1990, riformata nel 2005, ha sottoposto il procedimento amministrativo nazionale (e quindi gli atti che ne scaturiscono), in tutti i casi, ai principi del diritto comunitario.
La più recente dottrina ha, poi, messo in luce che l’ordinamento comunitario sta disegnando con sempre maggior continuità un’amministrazione multi-level caratterizzata dalla presenza di procedimenti compositi.
In questo nuovo modo di amministrare, i contributi delle amministrazioni comunitarie e di quelle nazionali si intersecano e comunicano secondo moduli procedimentali nuovi non riconducibili agli sperimentati stereotipi dell’amministrazione diretta e di quella indiretta.
Autorevole dottrina ha osservato che, pur senza giungere ad un vero e proprio processo di “integrazione” amministrativa, questi processi compositi hanno creato nuove formule di dialogo tra le organizzazioni amministrative nazionali e comunitarie riconducibili a tre modelli: a) la coamministrazione; b) l’integrazione decentrata; c) il concerto regolamentare europeo.
Procedendo ad una sintetica schematizzazione di quanto sin qui detto e seguendo una recentissima ricostruzione occorre, quindi distinguere:

  • procedimenti tipici dell’amministrazione cd. indiretta al termine dei quali sarà identificabile un atto “funzionalmente” europeo, nel senso che la sua emanazione è condizionata dal dialogo intercorrente tra  ordinamenti (comunitario/nazionale e tra ordinamenti nazionali tra loro), e pur sempre, comunque, definibile come atto amministrativo nazionale con le conseguenze in termini di giudice competente e parametri di legittimità;
  • procedimenti interamente comunitari (amministrazione cd. diretta) all'esito dei quali si avrà una comunitarietà tanto funzionale, quanto sostanziale  e processuale dei provvedimenti emanati;
  • procedimenti compositi per i quali la natura comunitaria dell’atto è di difficile individuazione e necessita di criteri certi che, al momento, il legislatore comunitario non ha fornito.

II.III Criteri identificativi, elaborati dalla giurisprudenza, della comunitarietà di un atto amministrativo

   Nei procedimenti compositi, peraltro, la comunitarietà è attributo che può riguardare anche un atto “endoprocedimentale” che, in quanto produttivo di effetti giuridici vincolanti, sarà passibile di immediata impugnazione.
Il problema pratico è, allora, quello di selezionare parametri attendibili per individuare il giudice competente a sindacare la legittimità degli atti emanati nei procedimenti composti il che, inevitabilmente, passa per l’analisi della natura dei relativi atti (comunitari o nazionali).
Il provvedimento impugnabile, come detto, non è, infatti, sempre il provvedimento finale la cui natura giuridica (comunitaria o nazionale) è facilmente identificabile considerando l’appartenenza dell’Organo emanante all’Apparato comunitario o nazionale.
La giurisprudenza , infatti, sembra privilegiare un criterio “sostanzialistico”: ciò che rileva è la decisorietà dell’atto, ossia la sua idoneità a produrre effetti giuridici nei confronti dei destinatari dell’attività amministrativa .
In tale senso si è chiarito che la decisorietà può essere attributo anche di un atto endoprocedimentale: nel famoso caso dell’Oleificio Borelli, ad esempio, si è ritenuto che avesse natura decisoria un parere dell’Organo nazionale aderendo al quale, essendone obbligata trattandosi di parere vincolante, la Commissione aveva emesso una decisione finale con la quale aveva respinto l’istanza di ammissione a contributi comunitari da parte di un imprenditore nazionale. Coerentemente, quindi, la Corte di Giustizia ha negato la propria giurisdizione sul presupposto che l’atto decisorio fosse il parere dell’Autorità nazionale sindacabile, quindi, dal giudice nazionale.
Il problema da risolvere nei procedimenti composti sarà, quindi, quello di individuare l’atto con queste caratteristiche e, in seguito, verificare se esso abbia natura comunitaria o nazionale comportandosi conseguentemente in termini di scelta del giudice competente a sindacarne la legittimità. Nel primo caso l’impugnativa dell’atto andrà rivolta, come detto, alla Corte di Giustizia; nel secondo caso al giudice nazionale.
Necessita, quindi, un approfondimento – compatibile con i fini di questa ricerca - dello studio dei procedimenti composti.

II.III.I In particolare, i procedimenti amministrativi composti

I procedimenti composti sono una categoria eterogenea che abbraccia forme di azione che hanno inizio in sede nazionale e si concludono con atti delle istituzioni comunitarie (procedimenti composti bottom-up) ed altre caratterizzate da sequenze di tipo opposto (procedimenti composti top-down) ed infine azioni di natura mista, che presentano caratteri sia dell’una tipologia sia dell’altra.
Caratteristica comune ai procedimenti composti è la presenza di un atto principale preceduto da altri atti posti in relazione funzionale rispetto ad esso; tale caratteristica li distingue dai procedimenti incidentali, connessi e complessi nei quali più sequenze sono tra loro in qualche modo legate .

 

II.III.II I procedimenti top down e bottom up

Come suggerisce la stessa traduzione dell'espressione inglese, i procedimenti top down e bottom up si caratterizzano per il fatto che, nel primo caso, è l'Autorità nazionale che emana il provvedimento finale, nel secondo, è l'Autorità comunitaria.
Essi costituiscono, come si è visto, un tertium genus rispetto al procedimento comunitario in amministrazione diretta e a quello in amministrazione indiretta e sono espressione del più generale fenomeno di collaborazione tra Amministrazioni appartenenti ad Autorità diverse. Ciò è giustificato dal fatto che attraverso tali procedimenti vengono curati interessi non riconducibili esclusivamente all'Unione ma condivisi con gli Stati membri.
Si è osservato che tali procedimenti provocano la crisi del dogma dell'autonomia procedimentale, inteso come principio regolatore dei rapporti tra Comunità e Stati e l'emersione di un nuovo modo di amministrare, preposto al soddisfacimento di interessi comuni, nazionali e comunitari, che conduce all'”europeizzazione” delle amministrazioni nazionali e di conseguenza all'ampliamento del concetto di “amministrazione europea”, non più identificabile nel solo apparato centrale della Comunità, ma comprensivo anche delle Amministrazioni nazionali impegnate in “segmenti” di procedimenti composti.
Premesso che tali procedimenti non hanno un'autonomia normativa (non vi sono infatti istituti o gruppi di istituti propri ed esclusivi di questa specie di procedimenti) ma meramente descrittiva, il problema pratico, cui si è più volte accennato, che essi pongono è relativo alla natura, comunitaria o nazionale, dei provvedimenti che ne sono il prodotto.
Da questa domanda discenderà l'attribuzione al giudice nazionale o a quello comunitario del sindacato di legittimità che, come visto, non può discendere automaticamente dalla soggettività, comunitaria o nazionale, dell'Autorità emanante l'atto conclusivo. Se così fosse, infatti, sarebbe scontato che per i procedimenti top down la competenza a sindacare la legittimità dell'atto è propria dell'Autorità giudiziaria nazionale e per quelli bottom up di quella comunitaria.
Infatti, come visto, alcuni atti “interni”, cd. “endoprocedimentali”, sono solo apparentemente strumentali rispetto all'adozione del provvedimento finale.
Concludendo sul punto, occorre ribadire che il discrimine va individuato nella capacità del provvedimento di incidere su situazioni giuridiche soggettive; in tale ottica, un atto conclusivo può essere meramente confermativo di un atto interno che abbia già prodotto i suoi effetti.
Del resto, la questione dell'individuazione dell'atto comunitario è ben più  articolata se si considera che, in un'amministrazione multi level quale quella descritta, non ha molto significato ancorare la comunitarietà dell'atto alla qualificazione formale dell'Autorità emanante.

II.IV Schema riassuntivo per l'identificazione dell'atto comunitario

Schematizzando quanto sin qui detto, deve affermarsi che nei casi di:
- amministrazione diretta avremo sicuramente un atto comunitario il cui sindacato di legittimità spetta al giudice comunitario; in questo procedimento l'atto impugnabile è quasi sempre l'atto conclusivo: anche l'eventuale atto interno lesivo viene così assorbito dall'impugnazione dell'atto finale;

  •  amministrazione indiretta, il carattere europeo del provvedimento avrà una mera rilevanza funzionale ma sarà privo di effetti sul piano sostanziale e processuale; in questo tipo di procedimenti la competenza è del giudice nazionale  che utilizzerà, tuttavia, le norme comunitarie al fine di vagliare la legittimità del provvedimento;
  • procedimenti composti, la qualificazione dell'atto è molto più complessa al pari dell'individuazione del giudice competente a sindacare la legittimità dello stesso; determinante elemento discretivo è dato dall'individuazione dell'atto che effettivamente ha la capacità di incidere su situazioni soggettive di terzi.

       
II.V. L'atto nazionale “anticomunitario”.

In merito ai casi di cd. amministrazione indiretta, (ma non solo come si è visto) nei quali il giudice nazionale è chiamato ad accertare la legittimità di un atto anche alla luce della normativa comunitaria, occorre dar conto – sia pur compatibilmente con i fini del presente lavoro – dei risultati cui è pervenuta la nostra giurisprudenza.
Siamo in sostanza nel campo delle attività amministrative esercitate dalle nostre Pubbliche Amministrazioni in funzione comunitaria.
Il problema interpretativo che si è posto è il seguente: qual è il regime di invalidità di un atto amministrativo emanato da un'Autorità nazionale che contrasta con il regime comunitario?
Unanime l'opinione che ci si trovi dinanzi ad una nuova forma di invalidità, ci si è chiesti e divisi circa i suoi caratteri.
Secondo una prima lettura, siffatta invalidità sarebbe soggetta ai principi generali del diritto interno; secondo altra tesi sarebbe applicabile ad essa un particolare regime da ricondursi alla nullità.
In  dottrina le opinioni sono equamente divise, mentre nella giurisprudenza ha prevalso il primo approccio.
Il problema, come emergerà con grande evidenza, non è meramente teorico investendo rilevantissime questioni pratiche.
E' chiaro, infatti, che l'approccio cd. tradizionale non stravolge il regime dei termini di impugnazione nonché le altre regole del processo amministrativo, specie per quanto concerne la non rilevabilità d'ufficio dell'atto anticomunitario, la necessità di una sentenza costitutiva di annullamento per privare l'atto della sua efficacia e l'inoppugnabilità successiva alla loro mancata tempestiva impugnativa.
La tesi della nullità, invece, conduce a conseguenze opposte in quanto, riverberandosi l'invalidità in termini di carenza di potere, si avrà una nullità assoluta dell'atto. In tal ultimo caso la nullità potrebbe esser fatta valere da chiunque, così come ex officio dal giudice, indipendentemente dai motivi di ricorso; l'atto, infine, non sarebbe soggetto ai termini brevi di impugnazione.
Autorevole dottrina ha osservato che entrambe le tesi non sono convincenti; la prima perché gravemente lesiva dei principi comunitari e, in particolare, dei principi di effettività ed uniformità del diritto comunitario. Infatti, in quest'ottica, vi sarebbero ben maggiori preclusioni per far valere l'anticomunitarietà di un atto amministrativo rispetto all'omologo caso di un atto normativo.
La seconda tesi introdurrebbe, invece, elementi processuali dirompenti per il nostro ordinamento senza che l'applicazione effettiva del diritto comunitario imponga un simile stravolgimento.
La giurisprudenza ed una parte della dottrina hanno proposto così un'opzione intermedia, senz'altro da preferire, che cerca di coniugare i primi due indirizzi.
Nella sostanza, tale indirizzo distingue a seconda che la norma nazionale si limiti solo a disciplinare le modalità di esercizio del potere rispetto ai casi in cui essa attribuisca il potere amministrativo nell'esercizio del quale l'atto è stato adottato.
Nel primo caso avremo un vizio di illegittimità equiparabile all'annullabilità con la disciplina processuale ben nota; nel secondo caso avremo una nullità del provvedimento con tutte le dirompenti conseguenze in termini processuali cui si è fatto cenno poco sopra.
In realtà, è stata prospettata una quarta tesi che appare essere stata avallata dalla Corte di Giustizia europea , ossia la tesi della disapplicabilità dell'atto amministrativo.
Tale tesi, che ha – come evidente – effetti dirompenti su uno dei cardini dogmatici del diritto amministrativo nazionale, si fonda su un argomento fortemente suggestivo.
Si rileva, infatti, che ammessa pacificamente la disapplicabilità di una norma interna contrastante con l'ordinamento comunitario non si comprenderebbe perché un atto amministrativo non potrebbe essere del pari disapplicato.
Seguendo questo indirizzo ermeneutico, si è osservato che, tra l'altro, la disapplicabilità di un atto amministrativo produce minori inconvenienti rispetto alla – pacificamente ammessa – disapplicabilità dell'atto normativo contrastante con la norma comunitaria.
Infatti, la norma eventualmente disapplicata mantiene ciononostante la sua efficacia e, data la sua natura generale e astratta, potrà essere, erroneamente, in seguito applicata.
Di converso, la disapplicazione di un provvedimento amministrativo, ordinariamente funzionale a regolamentare una situazione unica e concreta, una volta disapplicato non è più – concretamente – idoneo ad essere applicato.
Nell'importante precedente citato , la Corte di Giustizia ha affermato l'importante principio secondo cui il provvedimento amministrativo individuale e concreto divenuto definitivo che sia in contrasto con il diritto comunitario va disapplicato perché la tutela giurisprudenziale spettante ai singoli in virtù delle norme comunitarie aventi efficacia diretta non può dipendere dalla natura della disposizione di diritto interno contrastante con il diritto comunitario.
L'adesione a questa tesi comporta notevoli problemi anche in tema di riparto di giurisdizione.
Invero, si porrebbe il problema della capacità degradatoria di un provvedimento amministrativo contrastante con il diritto comunitario; poi, quand'anche si volesse ritenere – ed è questa la tesi più accreditata – che competente a conoscere di quest'atto sia il giudice amministrativo, bisognerebbe riconoscere che nell'ordinamento si è venuta introducendo un'azione di mero accertamento, sinora sconosciuta.
Tale tesi è stata sottoposta a forti critiche da acuta dottrina .
Da un lato si è osservato che, portando alle estreme conseguenze il ragionamento fatto proprio dalla Corte di Giustizia ed avallato da una parte della dottrina, si avrebbe uno sconvolgimento della gerarchia delle fonti, salvo a voler mutare un indirizzo consolidato.
Ed infatti, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, la Costituzione Italiana – nei suoi principi fondamentali – mantiene un ruolo di preminenza rispetto al diritto comunitario tant'è che si è sviluppata la problematica – cui in questo lavoro, per evidenti ragioni, non si può far cenno – dei cd. controlimiti.
Orbene, è acquisito nel nostro ordinamento il principio per il quale l'atto amministrativo contrastante con la Costituzione , laddove non impugnato tempestivamente, mantiene piena forza ed efficacia.
Se si aderisse quindi alla tesi della disapplicabilità del provvedimento amministrativo contrastante con la norma comunitaria si incorrerebbe allora nell'evidente contraddizione di garantire maggior tutela ad una norma, quella comunitaria, subordinata ai principi fondamentali della Costituzione.
Il rimedio a questa incongruenza, allora, potrebbe essere rappresentato solo dal ripensamento circa il regime di invalidità dell'atto amministrativo contrastante con i principi fondamentali della Carta Costituzionale.
Da un'altra prospettiva, si è evidenziato che la tesi della disapplicabilità finisce per toccare il principio generale alla stregua del quale l'ordinamento comunitario lascia ferma la sovranità degli Stati nazionali nel qualificare internamente le posizioni soggettive, affidarle ad un determinato giudice e stabilirne il regime processuale.
Quindi, il legislatore nazionale è libero di qualificare una posizione di derivazione comunitaria alla stregua di un interesse legittimo, attribuirne la cognizione al giudice amministrativo e prevedere un termine di decadenza per l'impugnazione del provvedimento lesivo a patto che venga rispettata la duplice condizione di non discriminare la tutela della posizione comunitaria rispetto a quella nazionale e di non rendere eccessivamente difficile o addirittura impossibile la tutela della posizione comunitaria.

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO III

I vizi di legittimità comunitari

 

III.I Premessa

Come visto, l'art. 263 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea non ha innovato il previgente art. 230 del Trattato Ce il quale prevedeva che la Corte di Giustizia potesse esercitare un controllo di legittimità sugli atti delle Istituzioni comunitarie che non fossero raccomandazioni e pareri.
I motivi di ricorso al Giudice europeo sono, pertanto, sempre a) incompetenza, b) violazione delle forme sostanziali, c) violazione del Trattato o di qualsiasi regola di diritto relativa alla sua applicazione e d) sviamento di potere.
Autorevole dottrina ha evidenziato che i vizi di legittimità sindacabili dalla Corte di Giustizia non differiscono in maniera sostanziale da quelli previsti dall'art. 26 t.u. Cons. Stato anche se essi sono direttamente ispirati al modello francese.
Questa dottrina sottolinea come la censura di incompetenza è sindacata dalla giurisprudenza europea con una certa elasticità; come la violazione delle forme sostanziali significhi mancanza dei requisiti di forma previsti dagli atti comunitari con prescrizioni particolarmente rigorose; come la violazione del trattato o di qualsiasi regola di diritto relativa alla sua applicazione corrisponda grosso modo alla violazione di legge del diritto nazionale; come, infine, lo sviamento di potere non corrisponda all'eccesso di potere della tradizione italiana, bensì al détournement della giurisprudenza francese.

    • Lo sviamento di potere nei più importanti Paesi aderenti all'Unione Europei

Sulla nozione di sviamento di potere in ambito comunitario hanno avuto, ovviamente, notevole influsso le omologhe nozioni nazionali; pertanto, è opportuno premettere allo studio della figura comunitaria un approfondimento dei corrispondenti istituti di diritto francese, tedesco e italiano.
Dato di partenza, dal quale prendere le mosse prima di analizzare le esperienze giuridiche dei Paesi più importanti nello sviluppo della figura comunitaria, è l'affermazione che lo sviamento di potere è un vizio di legittimità e non, pertanto, un vizio di merito .

      • L'esperienza francese

 

Il sindacato giurisdizionale del Consiglio di Stato sull'attività illegale della P.A. coincide con il concetto di ricorso per excès de pouvoir.
Tale forma di sindacato ha visto col passare degli anni un notevole ampliamento dei casi, dei presupposti e dei poteri del giudice amministrativo.
Ad esempio, almeno sino al 1906, il ricorso per excès de pouvoir si fondava sui vizi di incompetenza, vizi di forma e sullo sviamento di potere. Questo ricorso presupponeva semplicemente l'esistenza di un interesse che, invece, doveva accompagnarsi alla titolarità di un diritto acquisito qualora si fosse voluto far accertare una violazione di legge. Tale ultima condizione fu ritenuta non più necessaria a partire dalla sentenza del Conseil d'Etat dell'11 dicembre 1903 nel caso Lot et Molinier e successivamente fu definitivamente acquisita con la sentenza del Conseil d'Etat del 1 giugno 1906 nel caso Alcindor.
Con le riforme del contenzioso amministrativo del 1953 e del 31 dicembre 1987 l'accresciuto ruolo del ricorso per excès de pouvoir ha condotto il giudice amministrativo a rafforzare il controllo di legalità, valorizzando i principi generali del diritto e perfezionando le proprie modalità di controllo sull'azione amministrativa specie discrezionale.
Significativamente si è detto che, nel linguaggio del diritto amministrativo francese l'excès de pouvoir è semplicemente un sinonimo dell'illegalità. In altri termini, il ricorso per  excès de pouvoir tende ad un controllo integrale della legalità, ma al controllo della sola legalità.
L' excès de pouvoir si compone di quattro ouvertures: di queste lo sviamento di potere costituisce uno dei possibili vizi dell'atto amministrativo, al pari del vizio di forma/procedura di carattere sostanziale, ossia di quel vizio formale o procedurale che abbia condotto ad un esercizio del potere scorretto o illegale, del vizio di incompetenza ed al vizio di violazione di legge formale e materiale.
In particolare l'incompetenza è la violazione delle regole legali di competenza; il vizio di forma è il vizio delle regole legali della forma; lo sviamento di potere è la violazione della regola legale che impone un fine determinato a ciascun atto amministrativo .
In questo contesto, viene ribadita la necessità della distinzione tra legalità formale (esterna) dell'atto e legalità sostanziale (interna) dell'atto stesso. Nella prima rientrano le ouvertures dei vizi di forma e di competenza; nella seconda lo sviamento di potere e la violazione di legge.
Quest'ultima ouverture può apparire logicamente incomprensibile: infatti, se l'excès de pouvoir costituisce un controllo integrale di legalità che senso ha parlare di un autonomo vizio di violazione di legge?
Si è replicato che, in effetti, la violazione di legge mantiene una sua autonomia per mere ragioni storiche e che, nei fatti, con essa si intendono quei vizi dell'atto che non costituiscono incompetenza, vizio di forma o sviamento di potere.
Tornando alla dicotomia controllo esterno-controllo interno, si è affermato che il controllo interno potrà a sua volta essere effettuato da un punto di vista oggettivo o da un punto di vista soggettivo; nel primo caso la domanda che si deve porre il giudice è: “le contenu de l'acte, indépendamment des intentions de son auteur, est-il conforme au droit?”; nel secondo caso, invece, il giudice dovrà chiedersi se l'autore dell'atto ha perseguito un fine diverso da quello attribuito dalla legge agli atti di quella categoria.
Di fondamentale importanza per comprendere l'ampiezza del sindacato sul détournement de pouvoir, sia nel diritto amministrativo francese sia nel diritto comunitario che – sul punto – dal primo è stato fortemente condizionato, è la precisazione che la violazione di legge nel diritto francese può distinguersi in 3 casi:

        • la violazione diretta della regola di diritto (che si fonda normalmente sull'ignoranza della norma di riferimento: Costituzione, trattato, legge, principi generali di diritto, regolamenti, decisione di giustizia);
        • l'errore di diritto (che concerne i motivi di diritto dell'atto; sul punto si sottolinea che tale forma di errore si riscontra spesso nella fase interpretativa della legge);
        • l'errore relativo ai fatti.

Molto interessante è l'evoluzione del sindacato giurisdizionale sul caso di cui al numero 3).
Per molto tempo, si è ritenuto che il giudizio sull'excès de pouvoir costituisse una specie di giudizio di cassazione; pertanto, era preclusa al giudice ogni valutazione in ordine ai fatti posti a base della decisione amministrativa.
Questa convinzione si fondava sull'errato presupposto che l'errore sui fatti non determinasse un errore di diritto; convinzione, ovviamente, del tutto errata in quanto l'acquisizione dei fatti non è una valutazione discrezionale dell'Amministrazione.
Sin dagli inizi del XX secolo l'orientamento del Conseil d'Etat è cambiato radicalmente; prima ritenendo senz'altro verificabile la materialità dei fatti e, in seguito, la relazione tra il contenuto della decisione e i fatti che sono stati posti a base della stessa da parte dell'Amministrazione ; infine, la Suprema Corte amministrativa ha ritenuto di poter sindacare l'adeguatezza della decisione presa dall'Amministrazione ai fatti acquisiti (cd. controle du bilan).
Siamo in presenza, pertanto, di un controllo di proporzionalità.
Si è rilevato che, pertanto, si è giunti attraverso questo iter giurisprudenziale da un controllo sui motivi ad un controllo sul contenuto dell'atto.
Ciononostante permane un'area nella quale il giudice amministrativo si rifiuta, salvo l'errore manifesto, di apprezzare i fatti e questa coincide con quella degli apprezzamenti tecnici o scientifici.
Il détournement de pouvoir viene definito come “l'utilisation par une autorité administrative de ses pouvoirs en vue d'un but autre que celui pour lequel ils lui ont été conférés . »
Premesso che il controllo sullo sviamento di potere ha ragioni antichissime, si è osservato che lo sviluppo del controllo giurisdizionale di natura oggettivo, ossia sui motifs dell'atto, ed in particolare l'ampliamento delle ipotesi sindacabili in virtù del vizio di violazione di legge, ha condotto ad un sempre minor ruolo del dètournement de pouvoir in termini di controllo di legalità.
Ad oggi, pertanto, l'utilità dello sviamento di potere nel diritto amministrativo francese viene riconosciuta solo in peculiari ed estreme ipotesi nelle quali l'illegalità non può essere rivelata in virtù del mero controllo oggettivo. Esempio tipico è costituito dalla creazione da parte della P.A. di un posto in pianta organica per il solo fine di consentire l'impiego di una persona “protetta”.
In tal caso il controllo oggettivo è insufficiente essendo l'atto rispettoso delle forme, emanato dall'Autorità competente all'esito di un procedimento ampiamente discrezionale; potrà essere rivelatrice, pertanto, l'intenzione soggettiva dell'autore dell'atto.
Schematizzando, si può dire che nel diritto amministrativo francese si avrà uno sviamento di potere quando:
a) l'autore dell'atto non ha perseguito l'interesse pubblico affidato alla cura della P.A. da parte della legge;
b) l'autore dell'atto ha perseguito un interesse pubblico diverso da quello che è autorizzato a perseguire;
c) si è verificato uno sviamento di procedura.
Pare che si possa affermare che nel diritto francese non vi siano ostacoli alla prova del détournement de pouvoir a mezzo di presunzioni.
Altra parte della dottrina ha osservato che ai tre vizi classici (incompetenza, violazione delle forme/procedure sostanziali e alla violazione di legge) la giurisprudenza del Conseil d'état francese ha aggiunto, quale estensione del concetto di excés de pouvoir (termine onnicomprensivo volto ad individuare tutti i vizi dell'atto amministrativo), le détournement de pouvoir.
Si è detto, in proposito, che, contrariamente a quanto sostenuto da dottrina straniera , l'eccesso di potere non consiste semplicemente in un'incompetenza assoluta e lo sviamento di potere non può essere identificato nell'abuso del diritto, costituendo quest'ultimo un istituto più propriamente tipico del diritto privato e del diritto internazionale.
Secondo questa dottrina, ma, invero, quella di lingua francese appare concorde sul punto, le détournement de pouvoir è termine intrinsecamente connesso all'esercizio di un potere discrezionale.
Infatti, posto che si ha, in generale, sviamento di potere allorquando il fine concreto di un atto amministrativo non è compreso tra i fini imposti o autorizzati dalla regola di diritto, nell'esercizio di un potere vincolato, in cui si ha un solo ed unico obiettivo che l'Autorità amministrativa deve perseguire, in caso di perseguimento di un fine diverso da quello normativamente imposto, l'atto che costituirà sua emanazione sarà viziato sotto forma di violazione di legge.
Tant'è che più che parlare semplicemente di détournement de pouvoir, occorrerebbe far riferimento al  détournement de pouvoir discrétionnaire.

      •  L'esperienza tedesca

 

La tradizione del controllo del potere ha in Germania radici piuttosto antiche, coincidenti con la fine del XVIII secolo e l'inizio del XIX secolo, ove fioriscono studi sulla discrezionalità amministrativa che sviluppano la teoria dei “concetti giuridici indeterminati” (unbestimmte Rechtsbegriffe) in chiara opposizione all'ideologia assolutistica che vedeva un potere sovrano “libero” .

  Olivier Dubos e Marie Gautier, Les actes communautaires d'execution in Droit Administratif Européen sotto la direzione di Jean Bernard Auby e Jacqueline Dutheil de la Rochère, Bruxelles, 2007, 127 e ss.

    D. Simon, Le système juridique communautaire, Paris, XIII ed., 2001.

  Corte di Giustizia 30 aprile 1996, Regno del Belgio c. Consiglio dell'Unione Europea, Causa C-58/94, Raccolta p. I-2186.

  Olivier Dubos e Marie Gautier, cit., p. 128.

Olivier Dubos e Marie Gautier, cit., p. 139 rilevano come la giustificazione della comitologie è riscontrata, dai più, nel fatto che l'esecuzione non è una competenza propria della Commissione ma una semplice competenza delegata per effetto della quale il delegante ha il diritto di conservare un diritto di ispezione (le droit de regard). Il delegante è il Consiglio che, in virtù dell'Atto unico europeo, delega di norma tale facoltà alla Commissione conservando, proprio tramite la comitatologia, un potere di sorveglianza sulla Commissione, Autorità delegataria.
Secondo altra prospettiva, invece, la giustificazione dei comitati che costituiscono la “comitatologia” (non tutti i comitati, infatti, eserciterebbero tali facoltà) è da ricercare nella considerazione che la funzione esecutiva è rimessa agli Stati membri dell'Unione (infatti, l'amministrazione indiretta è la regola – tale osservazione parrebbe confermata dalla lettera del recente Trattato di Lisbona) dei quali i comitati costituirebbero un'emanazione.
Tale impostazione era stata abbracciata altresì dall'art. I-37 del progetto di Costituzione per l'Europa.
Sia pur evidenziandone l'infondatezza, gli Autori riportano altresì la tesi di coloro i quali ritengono che la comitatologia rappresenti l'espressione della sorveglianza del potere legislativo sull'esecutivo. In questa – criticata – visione il Consiglio agirebbe quale sorvegliante nell'esercizio dei suoi poteri legislativi.

Olivier Dubos e Marie Gautier, cit., p. 137.

In questo senso sono le conclusioni dell'avvocato generale Warner nella causa NTN C-133/77, Raccolta 1979, pag. 1262.

M.P.Chiti, Diritto amministrativo europeo, III ed., Milano, 2008, 528.

M. Fromont, La justice administrative en Europe: différences et convergences in Revue Française de droit administratif, n. 2, 2008, 267 ss.

Così S. Sticchi Damiani, cit., 31.

Jacques Ziller, Les concepts d'administration directe, d'administration indirecte et de co-administation et les fondements du droit administratif européen in Droit Administratif Européensotto la direzione di Jean Bernard Auby e Jacqueline Dutheil de la Rochère, Bruxelles, 2007, 235 e ss., il quale osserva, tra l'altro, l'influenza dell'organizzazione delle Agenzie americane sull'edificazione dell'impalcatura istituzionale delle Comunità Europee. L'Autore rileva, infatti, che, a fianco ai conosciuti influssi del diritto italiano, tedesco e, soprattutto, francese, specie in materia di contenzioso amministrativo, Jean Monnet fu fortemente influenzato dai contatti avuti con il mondo politico americano al termine della prima guerra mondiale e, conseguentemente, l'organizzazione comunitaria è risultata evidentemente condizionata dall'esperienza delle Agenzie federali americane.

cambiamenti peraltro sono previsti nel Trattato per la Costituzione per l’Europa, come noto non ratificato – andrebbero viste le novità del recente vertice del giugno 2007

Le loro caratteristiche, descritte dall’art. 249 del Trattato, non consentono, almeno ad un primo approccio, parallelismi con le tradizionali figure nazionali: i regolamenti si connotano per la loro generalità, per l’obbligatorietà in tutti i suoi elementi e per la loro efficacia diretta; le direttive possono riguardare uno o più Stati e vincolano quanto al risultato da raggiungere, fatta salva la competenza degli organi nazionali circa le forme ed i mezzi; le decisioni sono, infine, obbligatorie in tutti i loro elementi per i destinatari dalle stesse individuati.
Emerge che, a differenza di quanto previsto dall’ordinamento italiano, l’ordinamento comunitario trascura ogni distinzione tra atti normativi di contenuto legislativo, di contenuto regolamentare e atti amministrativi; piuttosto distingue tra atti generali ed atti particolari ai fini, ad esempio, di cui all’art. 230, IV comma, laddove si prevede che “qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre, alle stesse condizioni, un ricorso contro le decisioni prese nei suoi confronti e contro le decisioni che, pur apparendo come un regolamento o una decisione presa nei confronti di altre persone, la riguardano direttamente ed individualmente”. Gli atti regolamentari (che, come detto, hanno necessariamente contenuto generale), quindi, non saranno impugnabili dai ricorrenti “non privilegiati” salvo che – nonostante la forma regolamentare – l’atto non sia in sostanza un atto individuale, ossia, in estrema sintesi, non dotato dei requisiti della generalità e dell’astrattezza. In questo contesto, al fine di con sentire ai ricorrenti “non privilegiati” l’impugnativa di atti apparentemente generali, la Corte di Giustizia ha elaborato il concetto di “decisione collettiva” considerata come un complesso di decisioni individuali assunte sotto la veste del regolamento.

p. monjal, La conférence intergouvernémentale de 1996 et la hièrarchie des normes communautaires, in Rev. trem. dr. européen, 1996, 720.

Riscontrano tale accostamento, tra gli altri: falcon, La tutela giurisdizionale in Trattato di diritto amministrativo europeo, diretto da m.p. chiti e g.greco, Milano, 2007, pagg. 715; De Vergottini, Note sugli atti noromativi ed amministrativi dell’ordinamento comunitario europeo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1964; g. della cananea, L’impugnabilità degli atti dell’amministrazione nel diritto comunitario: un nuovo orientamento della Corte di Giustizia – osservazioni a margine a Corte di giustizia, sentenza 9 ottobre 1990, in causa 366/88, Francia c. Commissione, Racc., 1990, I, 3571.

M.P.Chiti, cit., 530. L'illustre autore ritiene che anche i pareri costituiscano degli atti amministrativi comunitari

Ci si riferisce alla sentenza resa in causa C-54/65 Compagnie de Forges de Chatillon c. Alta Autorità, Racc., 1966, 382.

Si riporta fedelmente nel testo la definizione data da falcon, cit., pag. 718.

Per tutte si guardi la sentenza 11 novembre 1981 in causa 60/81, IBM c. Commissione, Racc., 1981, 2639.

Ci si riferisce alla già citata sentenza 11 novembre 1981 in causa 60/81, IBM c. Commissione, Racc., 1981, 2639 la quale ha considerato che non costituisca una decisione in senso proprio la comunicazione degli addebiti. Nello stesso senso, non si sono ritenute decisioni impugnabili ai sensi dell’art. 230 del Trattato quegli atti con i quali un’Istituzione Comunitaria deliberi di intraprendere un’azione giudiziaria verso determinati soggetti: così le decisioni relative alle cause T-377/00, T-379/00, T-380/00, nonché T-260/01 e T-262/01, Philip Morris International e a. c. Commissione. In questi casi il Tribunale ha tra l’altro rilevato che l’atto produttivo di eventuali effetti avversi non è l’introduzione della lite ma la sentenza del giudice.

In questi termini si esprime, testualmente, la sentenza resa in causa C-54/65 Compagnie de Forges de Chatillon c. Alta Autorità, già citata.

La necessarietà della forma scritta è dedotta, altresì, dall’obbligo di allegare al ricorso copia dell’atto impugnato. Così falcon, cit., pag. 722. L’Autore, peraltro, riporta almeno un caso (è la sentenza del 9 febbraio 1984, in cause riunite C-316/82 e Nelly Kohler c. Corte dei Conti delle Comunità Europee, Racc., 1984, 641, in materia di pubblico impiego) in cui la Corte di Giustizia ha ritenuto ammissibile un ricorso proposto contro una decisione orale.

Il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo si fonda, come noto, non sulla natura dell’atto impugnato, bensì sulla natura della situazione giuridica sostanziale asseritamente lesa dal provvedimento stesso. Ciò che rileva è la cd. causa petendi, ossia l’aver l’atto impugnato leso un diritto soggettivo o un interesse legittimo.

È, peraltro, da considerare che un tipico atto normativo, quale il regolamento, è assoggettabile al sindacato giurisdizionale del g.a. Quindi, ciò che tu dici nel testo è tutto da verificare o, comunque, da ben perimetrare.

C.Giust. Ce, sent. National Farmers’Union del 2002, causa C-241/01).

così falcon, La tutela giurisdizionale in Trattato di diritto amministrativo europeo, diretto da m.p. chiti e g.greco, Milano, 2007, pagg. 713 e ss.

A. De Laubadere, Les actes administratifs, in Zehn Jahre Rechsprechung des gerichtshofs der Europaischen Gemenschaften – Dix ans de jurisprudence de la Cour de Justice des Communautés Européennes, citata inS. Sticchi Damiani, L’atto amministrativo nell’ordinamento comunitario. Contributo allo studio della nozione, Torino, 2006, pag 25.

Così S. Sticchi Damiani, cit., 26.

S.Cassese, La signoria comunitaria sul diritto amministrativo, seconda lettura della Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, tenutasi il 17 maggio 2002, presso l’Università degli Studi di Milano – Bicocca, in Riv. ital. Dir. pubbl. comunitario, 2002, 291 e ss.

L’Autore (si veda S.Cassese, La crisi dello Stato, Roma-Bari, 2002, 74) osserva che è in questa fase che prende piede il fenomeno dell’“arena pubblica” con la formazione di rapporti triangolari privati-amministrazioni nazionali-Commissione Europea nella definizione dei quali l’interesse pubblico nazionale viene rappresentato alla stregua di un interesse privato (di parte).

Nella logica originaria dell’ordinamento comunitario lo stesso non necessitava di un apparato esecutivo di vaste dimensioni. Gli artt. 202 e 211 del Trattato, pur attribuendo alla Commissione compiti di esecuzione delle normative poste dal Consiglio, sembrava disegnare in concreto un’attuazione normativa in capo alla Commissione (salvi gli eccezionali e motivati casi nei quali il Consiglio si riservava anche tale prerogativa) ed un’attuazione amministrativa in  capo alle singole amministrazioni nazionali. Tuttavia, l’aumentare dei compiti attribuiti, anche attraverso l’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 308 del trattato relativo ai “poteri impliciti”, e la sempre maggiore analiticità delle normative comunitarie ha stimolato il nascere di un’attività amministrativa comunitaria sempre più corposa e sempre più capace di condizionare gli ordinamenti nazionali.

In realtà l’essere un’amministrazione multi livello non costituisce un elemento distintivo del diritto amministrativo europeo rispetto a quello nazionale. Anche in questi, infatti, si riscontra, in conseguenza della pluralizzazione dei pubblici poteri, una disposizione su più livelli (Stato,Regioni, Province, Comuni). Così S. Cassese, Il diritto amministrativo europeo presenta caratteri originali?, in Rivista di diritto pubblico, 2003, 51.

S.Sticchi Damiani, cit., pag 25.

Sentenza Corte di Giustizia, 3 dicembre 1992, causa C-97/91, Oleificio Borelli/Commissione delle Comunità Europee; sentenza Corte di Giustizia, 25 gennaio 2001, causa C-413/98, DAFSE c. Frota Azul, in Raccolta, 2001, I-673.

Si veda in particolare il punto 13 della sentenza Corte di Giustizia, 3 dicembre 1992, causa C-97/91, Oleificio Borelli/Commissione delle Comunità Europee.

Così F. Astone, Le amministrazioni nazionali nel processo di formazione ed attuazione del diritto comunitario, Torino, 2004, 55 ss.

per un’analisi, arricchita anche da riferimenti giurisprudenziali, degli atti impugnabili nelle varie fasi dei procedimenti comunitari si veda J.Schwarze, Il controllo giurisdizionale, in Il procedimento amministrativo nel diritto europeo a cura di F. Bignami e S. Cassese, Quaderno n.1 della Riv. trim. di dir. pubbl., Milano, 2004, 131 e ss.

G. Della Cananea, I procedimenti amministrativi composti dell’Unione Europea, in Il procedimento amministrativo nel diritto europeo a cura di F. Bignami e S. Cassese, Quaderno n.1 della Riv. trim. di dir. pubbl., Milano, 2004, 307 e ss.

Sacchi Morsiani, cit., pag. 83.

M.P.Chiti, cit., 546.

Consiglio di Stato, sezione V, 10 gennaio 2003 n. 35.

G.Cocco, “Les liasons dangereusestra norme comunitarie, norme interne e atti amministrativi, in Riv. it. Dir. Pubbl. comunitario, 1995, 698 ss.; R. Garofoli, Annullamento di atto amministrativo contrastante con norme CE self executing, in Urb. App., 1997, n. 3, 340.

Un'ampia ricostruzione dell'argomento è offerta da R. Giovagnoli, L'atto amministrativo in contrasto con il diritto comunitario: il regime giuridico i il problema dell'autotutela decisoria, in Giustizia amministrativa, 903 e ss.

M. P. Chiti, Diritto amministrativo europeo, Milano, 1999, 355 e ss.

Corte di Giustizia 29 aprile 1999, causa C-224/1997.

Corte di Giustizia 29 aprile 1999, causa C-224/1997.

già espressa dalla Corte di Giustizia nel precedente del 14 dicembre 1995 in causa C-312/93, in Riv. Dir. Pubbl. com., 1996, 688.

R. Giovagnoli, cit., 907.

Diverso appare il caso in cui il provvedimento amministrativo sia perfettamente legittimo alla stregua della norma legislativa che però si pone in contrasto con la Costituzione. In tal caso andranno indagati gli effetti di un'eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale dalla quale dovrebbe discendere l'invalidità derivata dell'atto amministrativo.

La tesi della disapplicabilità sembrerebbe suggerita alla Corte di Giustizia da Tar Lombardia Milano, sezione III, ordinanza 9 agosto 2000, n. 234, in Urb. e app., 2000, 1243, con nota di A.Crisafulli, Disapplicazione del bando di gara: tra Corte di Giustizia e giurisdizione esclusiva. Un'attenta lettura della sentenza della Corte di Giustizia, sezione VI, 27 febbraio 2003, C-327/2000, Santex s.p.a. è offerta da R. Giovagnoli,, cit., 908 e ss.

F. Caringella, Corso di diritto amministrativo, tomo II, Milano, 2003, pag. 1530.

Per l'inammissibilità di un potere di disapplicazione del giudice amministrativo in merito agli atti anticomunitari sembra N. Pignatelli, L'illegittimità comunitaria dell'atto amministrativo, in Giurisprudenza Costituzionale, n. 4, 2008, 3635 e ss.

Cerulli irelli, Corso di diritto amministrativo, Torino, 2000, pagg. 589-590.

Così, ad esempio, al punto 367 della sentenza del Tribunale di I grado - Seconda Sezione - del 14 dicembre 2006, nelle cause riunite da T-259/02 a T-264/02 e T-271/02, Raiffeisen Zentralbank Österreich AG, Bank Austria Creditanstalt AG, Anteilsverwaltung BAWAG PSK AG, Raiffeisenlandesbank Niederösterreich-Wien AG, BAWAG PSK Bank für Arbeit und Wirtschaft und Österreichische Postsparkasse AG, Erste Bank der oesterreichischen Sparkassen AG, Österreichische Volksbanken AG, Niederösterreichische Landesbank-Hypothekenbank AG contro Commissione delle Comunità europee, si evidenzia chiaramente che lo sviamento di potere è ricondotto tra i vizi di legittimità e contrapposto ai vizi di merito.

G. Vedel – Pierre Devolvé, Droit administratif, t.II, Paris, 1992, pag. 299.

G. Vedel – Pierre Devolvé, cit., pag. 300.

G. Vedel – Pierre Devolvé, cit., pag. 301

Conseil d'Etat, sentenza del 19 maggio 1933, caso Benjamin, riportata inG. Vedel – P. Devolvé, cit., pag. 319.

Conseil d'Etat, sentenza del 28 maggio 1971, caso Ville nouvelle Est, riportata in G. Vedel – P. Devolvé, cit., pag. 324.

Occorre precisare che i concetti di “motif” e di “but” nel diritto amministrativo francese, a differenza che nel diritto privato francese nel quale sono sostanzialmente sinonimi, sono profondamente diversi: il primo indica l'insieme degli elementi obiettivi di fatto e di diritto che sono il fondamento dell'atto e che sono assolutamente indipendenti dalla psicologia del suo autore; il secondo, al contrario, è l'intenzione soggettiva che anima l'autore dell'atto.

G. Vedel – P. Devolvé, cit., pag. 331.

Sullo sviamento di potere nel diritto amministrativo francese: G.Peiser, Droit administratif, XIII ed., Paris, 1987.

M. Dendias, Contribution à la notion du pouvoir discretionnaire et du détournement de pouvoir, in Festschrift di Rudolf Laun, Gottingen, 1962, 96.

Nonostante sia particolarmente datata, resta un punto di riferimento l'opera di R. Alibert, Le controle juridictionnel de l'Administration au moyen du recours pour excés de pouvoir, 1926.

   Georges Vedel – Pierre Devolvé, Droit Administratif, t. II, Paris, 1958, pag. 240, i quali affermano che “le recours pour excès de pouvoir est l'action par la quelle toute personne y avant intéret peut provoquer l'annullation d'un acte administratif unilatéral par le juge administratif en raison de son illegalité.

M. Dendias, cit., 96 cita M. Salandra ed il suo Corso di diritto amministrativo, III ed., Roma, 1921, 149.

      Sul punto si veda G.Stark, Droits fondamentaux, Etat de droit et Principe Démocratique en tant que fondaments de la procédure administrative non contentieuse, in Revue Européenne de droit pubblic, 1993, 39, citato in Lucia Musselli, cit., 128.

Attualmente, che l'indagine sui vizi della discrezionalità possa ed anzi debba essere approfondita quanto è necessario per verificare la correttezza sostanziale della decisione, sembra confermato da una tendenza generale ormai consolidata nella giurisprudenza e nella dottrina.
Esse fanno spesso riferimento all'Ermessensuberschreitung, cioè al superamento dei limiti della discrezionalità.
Attenta dottrina ha osservato, sul punto, che il termine Ermessensuberschreitung  è assai incolore.
D'altra parte, si osserva, il termine missbrauch (contenuto nel termine Ermessenmissbrauch – abuso di potere discrezionale) sembra indicare una violazione cosciente del dovere, allorquando la maggior parte dei casi di violazione dei poteri discrezionali si fondano su errori giuridici perfettamente scusabili; proprio in considerazione di tale significato del termine, si conclude, i tribunali amministrativi riconoscono ben difficilmente l'esistenza di uno sviamento di potere.
Tornando ad occuparci più specificamente dei limiti della discrezionalità nell'ordinamento tedesco, occorre osservare che essi possono essere individuati solo attraverso la comprensione della ratio, cioè di quella ratio che attraverso l'esercizio del potere dovrebbe realizzarsi.
L'ipotesi può quindi essere ricondotta ancora al tipo di irrazionalità 'rispetto allo scopo': non necessariamente come deviazione o come distrazione, ma anche come non proporzionalità .
Oggi vengono ricompresi nella categoria generica dell'Ermessensfehler (vizi relativi all'esercizio del potere discrezionale) tre ipotesi:

Errmessensubenschreitung

Ermessenmissbrauch

Ermessensfehlgebrauch

Superamento dei limiti del potere discrezionale

Abuso dell'apprezzamento dell'Autorità amministrativa

Condotta contraria allo scopo della legge

Nella versione tedesca del Trattato di Parigi, lo sviamento di potere venne tradotto come Ermessenmissbrauch che è, in effetti, l'ipotesi tipica per il diritto tedesco nella quale l'Amministrazione fa uso dei suoi poteri per fini diversi da quelli per i quali tale potere le è stato conferito.
Tuttavia, come rilevò nelle sue conclusioni l'Avvocato Generale Lagrange nella causa Assider, l'assimilazione Ermessenmissbrauch/détournement de pouvoir è solo tendenziale: infatti, l'Ermessenmissbrauch non esaurisce tutte le ipotesi dello sviamento di potere potendo rientrare alcune di esse nell'Ermessensfehlgebrauch ed in particolare nella subcategoria dell'Ermessenwillkur (esercizio arbitrario del potere discrezionale) .

 

      1. Lo sviamento di potere nell'esperienza italiana

Per alcuni nel diritto italiano lo sviamento di potere è una forma d'illegittimità dell'atto discrezionale perché quest'ultimo traduce in attività amministrativa il potere discrezionale senza che concorrano le condizioni richieste dalla legge per l'esercizio del potere stesso .
Per la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, tuttavia, lo sviamento di potere è uno degli indici sintomatici - al pari del travisamento e dell'erronea valutazione di fatti, dell'illogicità o contraddittorietà dell'atto, della contraddittorietà tra più atti, dell'inosservanza di circolari, di norme interne o della prassi amministrativa - della più ampia figura dell'eccesso di potere.
In particolare, lo sviamento di potere si concretizzerebbe allorquando la P.A. curi, esercitando un potere, un interesse diverso da quello tipico, anche se pubblico, anche – al limite – se di pregio intrinseco maggiore di quello in relazione al quale le era stato attribuito il potere esercitato .
Autorevole dottrina puntualizza che lo sviamento costituisce l'eccesso di potere nella sua forma genuina di vizio della discrezionalità. Esso comporta un esercizio in concreto del potere per un fine diverso da quello imposto dalla legge.
Questa dottrina precisa che lo scopo effettivamente perseguito potrà essere anche conforme ad interessi pubblici e, quindi, di per sé stesso lecito: esso, tuttavia, essendo diverso da quello tipico, vizia l'atto che ne è espressione.

III.III Lo sviamento di potere nell'Organizzazione comunitaria

L'art. 263 paragrafo II TFUE (ex art. 230 del Trattato Ce) dispone che la Corte di Giustizia esercita un controllo di legittimità sugli atti adottati dalle Istituzioni Comunitarie, che non siano raccomandazioni e pareri, ed a tal fine è competente a pronunciarsi sui ricorsi per a) incompetenza, b) violazione delle forme sostanziali, c) violazione del Trattato o di qualsiasi regola di diritto relativa alla sua applicazione, d) sviamento di potere .
Già una prima lettura dell'articolo sopra citato, come anticipato , consente di trarre una prima importante indicazione: il sindacato della Corte di Giustizia Europea sub specie di sviamento di potere è un giudizio di legittimità.
In tal senso, quindi, deve essere fugato qualsiasi dubbio volto a ricondurre detto vizio nell'ambito dei vizi di merito dell'azione amministrativa. Questi ultimi, dunque, restano – di regola – non sindacabili dalla Corte di Giustizia.
Anche sul punto, quindi, viene ripresa l'illuministica concezione secondo la quale il potere giudiziario non può sostituirsi al potere esecutivo dovendosi limitare a censurarne l'operato quando entri in conflitto con norme e principi di diritto.
Del resto, pur essendo del tutto prematura, e comunque non assecondata dal dato positivo, un'assimilazione dell'Unione Europea ad uno Stato federale, essendo essa più correttamente assimilabile ad un'Istituzione sovranazionale, sia pur dotata di evidenti peculiarità, nella sua originale organizzazione dei poteri essa ha senz'altro risentito del modello della tripartizione dei poteri (esecutivo, giudiziario e legislativo) che, peraltro, è caratteristica comune degli Stati membri.
In realtà, però, non vi è chi non veda come le peculiarità dell'Istituzione Unione Europea rendano tale accostamento del tutto approssimativo.
Come già puntualizzato nei primi due capitoli di questo lavoro, infatti, l'impalcatura comunitaria conosce (e ancor di più ha conosciuto in passato) un'“indistinzione” tra le funzioni esecutive e quelle normative.
Detta commistione tra le funzioni rileva tanto da un punto di vista oggettivo, ossia per la natura degli atti adottati, quanto da un punto di vista soggettivo, ossia dal lato dell'Organo emanante.
Quanto al primo aspetto, occorre rimarcare come l'atto più facilmente riconducibile all'azione amministrativa, ossia la decisione, abbia non di rado valenza normativa (si veda la più volte citata decisione sulla comitatologia); quanto al secondo aspetto, si tenga in considerazione che il Consiglio è contitolare della funzione normativa e di quella esecutiva.
Tanto premesso, non può tuttavia ignorarsi che almeno l'apparato giudiziario gode di quell'autonomia necessaria per poter essere considerato un Organo imparziale ed indipendente, di natura prettamente tecnica, che, in questo senso, deve rispettare altresì i margini di autonomia degli altri poteri, di quello esecutivo in particolare.
In poche parole, la complessità dell'organizzazione comunitaria non ha fatto venir meno l'esigenza che il potere giudiziario rispetti quella che, con una terminologia nazionale, potremmo definire “riserva di amministrazione”.
Di questa necessità si è fatta carico la Corte di Giustizia che, proprio con riferimento al sindacato sullo sviamento di potere, ha adottato un atteggiamento di self-restraint che, anzi, per i commentatori più attenti, è stato in alcune occasioni eccessivo sino a lasciare un qualche vuoto di tutela per i ricorrenti .

      1. Parametri per la definizione di sviamento di potere

 

Il Trattato comunitario non definisce lo sviamento di potere. Di esso, dunque, occorre ricercarne una “perimetrazione” utilizzando tutti i dati ermeneutici disponibili. In primis quello letterale, poi quello sistematico; infine, quello storico che, come si vedrà, sarà particolarmente utile.
Nello specifico, la definizione di sviamento di potere comunitario potrà trarsi anche a contrario analizzando gli altri vizi sindacabili dal giudice europeo.
In poche parole, lo sviamento di potere è un vizio che afferisce ad un'area dell'attività amministrativa invalida che non si caratterizza né per l'incompetenza dell'Organo agente, né per la violazione delle forme sostanziali, né per la violazione del Trattato nonché delle regole di diritto relative alla sua applicazione. Del resto, già dalla lettura della norma può desumersi la portata del tutto residuale di questo vizio. Ed in effetti, come si vedrà, del tutto residuale è stata l'applicazione concreta che di questa figura ne ha fatto la giurisprudenza comunitaria che, tuttavia, si è adoperata meritoriamente per una sua perimetrazione.
In questa complessa attività la Corte non ha potuto non muovere le mosse dal dato terminologico che evoca chiaramente il détournement de pouvoir di origine francese.
Si è rilevato che il détournement de pouvoir comunitario ha attinenza principalmente “à les buts”, ossia agli scopi (melius: agli scopi non legittimi) dell'atto.
Questa dottrina ha osservato – in chiave di ricostruzione storica della figura - che la Corte di Giustizia, in un primo momento (nella vigenza del Trattato CECA), aveva sviluppato una concezione oggettiva dell'istituto che, però, finiva con il confondersi con l'errore di diritto.
Secondo questa analisi, occorre osservare che i campi elettivi in cui lo sviamento di potere è stato fatto valere nella vigenza degli originari Trattati Comunitari  atteneva a tre grandi aree tematiche nelle quali ha ricevuto, peraltro, un trattamento ben diverso:
A) l'area attratta nel Trattato CECA;
B) l'area della funzione pubblica comunitaria;
C)l'area attratta nel Trattato CEE/CE.

Orbene, mentre nelle aree tematiche descritte con le lettere A) e B) la figura ha conosciuto una certa applicazione, particolarmente interessante nell'area di cui al punto A), nelle aree disciplinate dal Trattato Cee/CE, ove la discrezionalità dell'Amministrazione si è esplicata principalmente nell'interpretare le numerose nozioni indeterminate presenti nell'ambito del diritto della concorrenza, la casistica giurisprudenziale è molto meno ricca.
Qualcuno ha ritenuto che questa diversità applicativa sia derivata anche dal diverso concetto di sviamento di potere posto quale parametro di riferimento.
In particolare, nelle aree di cui alla lett. C) sarebbe prevalsa un'interpretazione “soggettiva” del détournement de pouvoir (sotto l'influsso francese) con tutte le difficoltà probatorie ivi ricollegate; nelle aree di cui alla lett. A) avrebbe prevalso un'interpretazione “oggettiva” più vicina all'Ermessensmissbrauch tedesco.
In un secondo momento, con l'evoluzione dell'interpretazione del Trattato CE, sarebbe prevalsa una concezione soggettiva dell'istituto, ossia una concezione che prende in considerazione principalmente l'intenzione dell'autore dell'atto.
In quest'ottica l'autore dell'atto non deve perseguire un fine personale né un interesse pubblico diverso rispetto a quello che la norma attributiva del potere gli indica.
Volendo riordinare le argomentazioni delle opposte tesi può dirsi che per i fautori del carattere “soggettivo”, per una corretta verifica giurisdizionale dello sviamento di potere è necessario indagare la sfera volitiva dell'agente; sarebbe necessario, pertanto, accertare se questi intenzionalmente abbia agito per realizzare un fine diverso da quello in vista del quale il potere gli è stato attribuito.
Per altri, lo sviamento di potere deve emergere direttamente dall'atto .
In questo senso, una posizione intermedia è quella espressa dall'Avvocato Generale Lagrange nelle conclusioni della già citata causa n. 8/1955 dove rimarcò che la cd. concezione classica dello sviamento di potere non si può ridurre ad una forma di controllo psicologico sull'intenzione dell'autore dell'atto ma deve abbracciare le risultanze obiettive dell'atto impugnato, dovendo emergere da quest'ultimo una divergenza tra lo scopo che il soggetto doveva perseguire e quanto realmente raggiunto .
La giurisprudenza comunitaria, nella prima sentenza che provvide ad annullare un atto perché viziato da sviamento di potere, non prese posizione sulla diatriba dottrinaria di cui si è dato conto pur facendo sicuramente riferimento alla necessità di indagare le finalità che hanno mosso l'autore dell'atto.
In particolare, la Corte di Giustizia si trovò a dover sindacare la legittimità del trasferimento di Max Gutmann, funzionario dell'Euratom, disposto dalla Commissione da un ufficio all'altro della stessa. 
Detto trasferimento, secondo il ricorrente, “mascherava” un provvedimento disciplinare che l'Istituzione Comunitaria voleva evitare di emanare per non riconoscere i diritti di difesa connaturati alle sanzioni disciplinari.


M.Laun, Annuaire de l'IIDP, 1935, 155, riportata da M. Dendias, Contribution à la notion du pouvoir discretionnaire et du détournement de pouvoir, in Festschrift di Rudolf Laun, Gottingen, 1962, 79.

Così, quasi testualmente, F. Ledda, Variazioni sul tema dell'eccesso di potere, in Riv. di dir. Pubbl., 2000, fasc. 2, 440-441.

Di uso erroneo della discrezionalità parla F. Ledda, cit., 440.

Così, testualmente, Lucia Musselli, cit., 128.

Per A.Travi, Un intervento di Francesco Rovelli sull'eccesso di potere, in Diritto pubblico, 2000, fasc. 2, 455-482, lo sviamento di potere rappresenta ormai un'evenienza quasi eccezionale.

F.Rovelli, Lo sviamento di potere, in Raccolta di scritti di diritto pubblico in onore di Giovanni Vacchelli, Milano, 1938, 461.

Per quanto attiene alla valenza probatoria delle figure sintomatiche, mentre la giurisprudenza (si vedano, tra le tante, Consiglio di Stato, sez. VI, 13 aprile 1992, n. 256, in Cons. Stato, 1992, 606; Consiglio di Stato sez. V, 25 novembre 1999, n. 1983; Consiglio di Stato, sez. V, 9 ottobre 2000, n. 5366) ritiene che le stesse costituiscano prove del vizio di eccesso di potere idonee a giustificare l'illegittimità dell'atto e quindi il suo annullamento, la dottrina, al contrario, esclude tale tipo di automatismo, sostenendo che dinanzi al sintomo di un esercizio non corretto del potere amministrativo, il giudice debba verificare se tale figura abbia inciso in concreto sulla scelta amministrativa allontanando l'atto dal perseguimento del fine pubblico: così F.Caringella, cit., pag. 907. Per F. Modugno e M. Manetti, voce Eccesso di potere amministrativo, in Enciclopedia Giuridica Treccani, 1989, pag. 4, che richiamano F. Benvenuti, Eccesso di potere per vizio della funzione, in Rass. Dir. Pubbl., 1950, 1, l'automatismo sintomo=eccesso di potere è scorretta in quanto muove da una relazione di mera probabilità che non risponde ai requisiti della gravità, precisione e concordanza, richiesti, per le presunzioni non stabilite dalla legge, dall'art. 2729, II comma, c.c.; peraltro, dette presunzioni non sono rilevanti nei casi, come sembra accadere nel processo amministrativo, in cui non sia ammessa la prova testimoniale. La critica andrebbe oggi rivista dopo la sentenza della Corte Costituzionale 23 aprile 1987 n. 146 e, soprattutto, dopo la riforma del processo amministrativo ai sensi della legge n. 205 del 2000. Per E.Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2005, 519, “è da rilevare che la manifestazione sintomatica potrebbe essere contraddetta da altri elementi che dimostrino la correttezza dell'azione: da questo punto di vista è determinante la capacità dell'amministrazione di giustificare, con la propria motivazione, la conclusione raggiunta pur in presenza di una situazione che potrebbe apparire come un sintomo di illegittimità”.
In una posizione intermedia sembra collocarsi il pensiero di F. Ledda, Variazioni sul tema dell'eccesso di potere, in Riv. di dir. Pubbl., 2000, 435, per il quale – almeno per quanto attiene ai vizi della motivazione – l'equivalenza giurisprudenziale sintomo=vizio “non rivela affatto una sorta di pigrizia del giudice amministrativo, ma piuttosto la giustissima intuizione che, almeno per le figure sintomatiche relative alla motivazione, l'atto deve rendere manifesta l'autorità nel momento stesso in cui pretende di affermarsi, che la motivazione è ancora spendita di autorità, determinazione di ciò che deve essere secondo diritto del caso singolo.” Sul punto l'Autore richiama il pensiero di O. Mayer, Deutsches Verwaltungsrecht, Berlino, 1923, 244 ss.

R.Villata, L'atto amministrativo in Diritto amministrativo a cura di L.Mazzarolli, G.Pericu, A. Romano. F.A. Roversi Monaco, F.G.Scoca, Bologna, 2005, 831.

V.Cerulli Irelli, Corso di diritto amministrativo, Torino, 2002, 585 il quale cita quale esempio giurisprudenziale la nota sentenza del Consiglio di Stato sez. V del 29.9.1965 n. 978.

      Per M.P.Chiti, Diritto amministrativo europeo, III ed., Milano, 2008, 542, lo sviamento di potere connota il vizio della funzione come nell'ordinamento amministrativo francese, e solo in parte corrisponde al nostro eccesso di potere.

      Appare significativo sottolineare che, non di rado, le parti rappresentano le censure avverso atti comunitari non rifacendosi allo schema tipico dei vizi previsti dal Trattato. Ad esempio, nelle cause riunite T27/03, T-46/03, T-58/03, T-79/03, T-80/03, T-97/03 e T-98/03, i ricorrenti hanno concluso chiedendo che il Tribunale dichiarasse, in via principale e di merito, inesistente ovvero nulla e comunque annullare la decisione impugnata per incompetenza, abuso e sviamento di potere; in via subordinata e di merito, annullare la decisione impugnata, in particolare la sanzione, per erronea definizione del mercato geografico rilevante, difetto di motivazione, falsa applicazione del diritto, infondatezza, anche probatoria, degli addebiti contestati, violazione del principio dell’imparzialità dell’azione amministrativa e dei diritti della difesa;in via ulteriormente subordinata e di merito, annullare la sanzione per irragionevolezza e per insufficiente istruttoria e motivazione o, comunque, ridurre la sanzione comminata alla ricorrente, defalcandone, anzitutto, la maggiorazione del 225% per l’effetto dissuasivo e la maggiorazione del 105% per la durata e riducendo, proporzionalmente, l’importo di base in ragione della prescrizione, della minor gravità dell’infrazione, della marginale partecipazione della ricorrente all’intesa e degli addebiti espressamente non imputati ad essa; o, ancora (con riferimento ad un'altra delle cause riunite), in via subordinata, annullare la decisione impugnata, in particolare la sanzione, per incompetenza, sviamento e manifesto eccesso di potere da parte della Commissione, nonché per errata applicazione dell’art. 65 CA e per carenza e/o contraddittorietà della motivazione nei confronti della ricorrente; in via ulteriormente subordinata, ridurre l’ammenda comminata alla ricorrente dalla Commissione in funzione del fatturato della stessa per errata applicazione dell’art. 65, n. 5, CA.

 

      Si veda il paragrafo II di questo capitolo.

      Appariva significativo in tal senso il disposto dell'art. 7 del Trattato CE che, nella versione francese, recitava: “Chaque istitution agit dans les limites des attributions qui lui sont conférées par le présent Traité.”

      Si veda Vincenzo Caputo Jambrenghi, Discrezionalità della Commissione, signora della prova, e horror vacui del giudice comunitario, nota a Corte di Giustizia delle Comunità Europee (VI sezione), sentenza 6 luglio 2000, causa C-289/97, Eridania Zuccherifici Nazionali s.p.a. contro Azienda Agricola San Luca di Romagnoli Viannji, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2000, fasc. 4, 1770-1773.

      Come già anticipato, questa situazione è il frutto delle difficoltà probatorie riconnesse alla dimostrazione dell'esistenza di detto vizio. Interessante è, poi, la sentenza del Tribunale di I grado Prima Sezione) del 13 dicembre 2006, causa T-138/03,É.R. e altri/ Consiglio dell’Unione Europea, che – al punto 142 – sembra non disconoscere uno sviamento di potere perpetrato dall’Istituzione Comunitaria pur senza poi condannare la stessa a risarcire i danni lamentati dai ricorrenti sul presupposto dell’assenza di nesso di causalità.

 

Olivier Dubos e Marie Gautier, cit., p. 132.

      Lucia Musselli, cit., 148-149.

      All'approccio “soggettivo” sembra aver aderito la dottrina italiana: C.A.Trojani, Lineamenti di giustizia amministrativa nel sistema comunitario, Pubblicazione dell'Istituto di studi europei A. De Gasperi, Roma, 1990, 45.

      E' inevitabile rimarcare le analogie, in termini di elemento soggettivo, tra una simile ricostruzione e quella attualmente accolta in via normativa dalla disciplina dell'abuso d'ufficio nazionale con rilevanza penale (art. 323 c.p.).

      A spingere per un carattere “oggettivo” dello sviamento di potere è prettamente la dottrina tedesca: si veda B.Van Der Esch, Pouvoir discrétionnaires de l'exécutif européen et controle juridictionnel, Deventer, 1968, 42.

      Lucia Musselli, Evoluzione del détournement de pouvoir in ambito comunitario ed ipotesi di raffronto con l'ordinamento amministrativo interno, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 1996, fasc. 1, 119-162.

      In Raccolta, 1956, 251-252. Ripercorrendo a ritroso gli studi della dottrina italiana, non può non ricordarsi il contributo di F.Rovelli, Lo sviamento di potere, in Raccolta di scritti di diritto pubblico in onore di Giovanni Vacchelli, Milano, 1938, 447 ss.

      A quest'ultima concezione, che tiene in debito conto altresì l'aspetto oggettivo, sembra aver aderito la Corte di Giustizia nelle cause 3 e 4/1964, Chambre syndacale de la sidérurgie française e altri c. Alta Autorità in Grands arrets de la Cour de Justice des Communautés Européennes, a cura di J. Boulouis e R.M. Chevallier, Parigi, 1993, 357-361.

      Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza 5 maggio 1966 nelle cause riunite 18 e 35/1965 in Lucia Musselli, cit., 137.

Il ricorrente, in poche parole, si lamentava dell'uso “non funzionale” dell'atto di trasferimento, disposto non per reali esigenze di servizio ma per eludere le garanzie connesse all'applicazione di un provvedimento disciplinare.       
In questo caso la Corte di Giustizia sostenne che “le variazioni e le contraddizioni sopra rilevate, unitamente ai fatti quali la simultaneità tra la pubblicazione dell'avviso di posto vacante e il trasferimento del ricorrente allo stesso posto...costituiscono una serie di indizi obbiettivi da cui si può dedurre che l'Amministrazione, nel procedere al trasferimento del Gutmann, non si è avvalsa dei suoi poteri per uno degli scopi previsti dallo Statuto per detto provvedimento. La decisione di reiezione (della domanda di riesame del trasferimento al fine di una sua revoca) del 5 febbraio del 1965 va dunque annullata per sviamento di potere nella parte in cui conferma la decisione di trasferimento del 9 dicembre 1964”.
Simile impianto motivazionale la Corte di Giustizia ricalcherà nelle successive sentenze di annullamento per sviamento di potere, a dire il vero poco frequenti.
Secondo una parte della dottrina , peraltro, la giurisprudenza comunitaria avrebbe adottato  una definizione di sviamento di potere “mista” e le applicazioni pratiche indurrebbero a distinguere tre forme di sviamento di potere a secondo che lo stesso coinvolga 1) gli obiettivi, 2) i motivi o 3) le procedure.
Si è sostenuto che il caso di cui al numero 1 sarebbe di facile individuazione se, in materia di obiettivi, i trattati non operassero, a monte, una distinzione tra obiettivi generali e obiettivi specifici e se, in secondo luogo, non mettessero sullo stesso piano gli obiettivi generali insuscettibili di un raggiungimento simultaneo.
Quanto al primo aspetto, si è osservato che la giurisprudenza comunitaria pare aver ammesso che le Istituzioni comunitarie possano oltrepassare i fini specifici purché rispettino i fini generali; quanto al secondo aspetto, si è sottolineato che le Corti comunitarie hanno ritenuto che non costituisca uno sviamento di potere il non aver particolarmente conciliato gli obiettivi generali che, del resto, non potevano essere simultaneamente raggiunti: in sostanza, in caso di impossibilità di sintesi, le Istituzioni comunitarie conserverebbero il potere di accordare ad alcuni obiettivi generali quella preferenza indotta dai fatti e dalle circostanze economiche in vista delle quali doveva essere emesso.
Il caso di cui al numero 2 sembrerebbe contrastare con il carattere oggettivo del détournement de pouvoir ma tuttavia, non di rado, è stato preso in considerazione dalla giurisprudenza comunitaria la quale, peraltro, ha escluso che i motivi possano essere indici sintomatici di uno sviamento di potere quando questi sono del tutto secondari e accessori nella valutazione complessiva dell'atto che, sotto altro aspetto, è rispondente al fine assegnatogli dalla legge.
Nel caso di cui al punto 3, la Corte di Giustizia sarebbe apparsa più rigorosa nel suo sindacato avendo ritenuto integrato il vizio qualora i poteri accordati alle Istituzioni comunitarie siano stati utilizzati per un fine esclusivo, o anche solo determinante, elusivo della procedura imposta dal Trattato.
Si è in particolare affermato che sussiste sviamento di potere quando un'Istituzione esercita i suoi poteri allo scopo esclusivo, o quanto meno determinante, di raggiungere fini diversi da quelli dichiarati o di eludere una procedura appositamente prevista dal Trattato per far fronte alle circostanze del caso di specie.
La Corte di Giustizia trattò approfonditamente la questione in un caso che traeva origine da una grave crisi siderurgica alla quale la Commissione tentò di porre freno attraverso la fissazione di quote per determinati metalli. Venuta meno la situazione di crisi, la stessa Commissione, con il regolamento n. 3746/86/CECA, liberalizzò una sola categoria di metalli, ossia gli zincati.
La particolarità di quest'intervento di liberalizzazione consistette nella procedura seguita che ricalcò quella di cui all'art. 58 n. 1 del Trattato CECA prevista, tuttavia, per l'introduzione delle quote e non per la loro eliminazione. Infatti, detta procedura si caratterizzava per la sua complessità dettata dall'esigenza di garantire al massimo, anche in termini procedurali, le istanze della libera concorrenza inevitabilmente compresse dall'introduzione di quote.
Per porre fine al sistema della limitazione era, invece, prevista una procedura ben più agile prevista dal n. 3 dello stesso art. 58 del Trattato CECA, ma nell'occasione detta più snella procedura, come anticipato, non venne seguita.
Sennonché l' Associazione delle Imprese Siderurgiche (ISA) impugnò il provvedimento della Commissione che liberalizzava solo la categoria degli zincati, deducendo che la particolare procedura seguita era funzionale alla volontà di non eliminare le quote per le altre categorie di metalli, con ciò provocando un danno per i produttori di altri tipi di materiali metallici.
In quella circostanza, la Corte riconobbe che la Commissione aveva erroneamente utilizzato una procedura anziché un'altra e riconobbe expressis verbis, per tale motivo, che si era verificato uno sviamento di potere da sanzionare con l'annullamento della decisione.
Del resto, anche in seguito, sono state emanate diverse sentenze che hanno accolto censure volte a denunciare sviamenti di procedura .
Significativa è la sentenza 22 settembre 1988 emessa nel caso Th. Frydendahl A/S c. Commissione, causa n. 148/87.
Nell'occasione, la Commissione, essendosi accorta di non aver rispettato il termine di quattro mesi dalla ricezione di una domanda delle Autorità danesi di applicazione dell'art. 13 del regolamento n. 1430/79, relativo al rimborso o allo sgravio dei diritti all'importazione o all'esportazione, per offrire una risposta, aveva chiesto alle Autorità stesse di ritirare la domanda per poi ripresentarla consentendo, così, alla Commissione di svolgere un supplemento di istruttoria.
La ricorrente, pertanto, impugnava la decisione della Commissione deducendo che essa fosse stata determinata solo dalla volontà di evitare gli effetti, derivanti dall'intempestiva risposta, di cui al regolamento n. 1575/80.
Accertato che tale fosse l'intendimento della Commissione, la Corte di Giustizia annullò la decisione osservando che essa fosse stata il frutto di uno sviamento di procedura.
Emerge chiaramente da quanto esposto che, in un caso siffatto, i confini tra lo sviamento di procedura e lo sviamento di potere in senso stretto diventino particolarmente labili.
In questo caso, in fondo, i timori della Corte di Giustizia di invadere la cd. “riserva di amministrazione” hanno avuto minor ragion di esistere dinanzi all'evidenza della prova dell'illegittimità.
D'altro canto, l'esame di dette sentenze fa emergere che lo sviamento di potere per sviamento di procedura, laddove riconosciuto, non sia inteso alla stregua di un vizio meramente formale. Ovvero, affinché la Corte di giustizia annulli il provvedimento emanato in seguito a procedura diversa da quella prevista normativamente, non è sufficiente la mera allegazione di uno sviamento di procedura: sembra, infatti, che la Corte Comunitaria richieda che tale sviamento abbia determinato l'emanazione di un provvedimento che persegua fini diversi da quelli legalmente previsti.
Sul punto, tuttavia, lo sviamento di procedura costituisce un dato presuntivo di questo sviamento che conduce più facilmente all'accoglimento del ricorso presentato. Anzi, a volte , lo sviamento di procedura è talmente evidente e ingiustificato da costituire ex se uno sviamento di potere.
Tali argomentazioni danno credito a quella tesi dottrinaria secondo la quale anche nella giurisprudenza comunitaria si sta formando una casistica di figure sintomatiche di sviamento di potere, come negli ordinamenti nazionali. Si ricordano in particolare l'inosservanza di codici di condotta e il richiamo di elementi limitati e superati nella motivazione dell'atto. L'autore osserva come il settore in cui si è più di frequente fatto applicazione del predetto vizio è quello del pubblico impiego.
Senz'altro, comunque, deve dirsi che la Corte di Giustizia è parsa particolarmente (e, forse, eccessivamente) attenta a salvaguardare la sfera di discrezionalità dell'Autorità Amministrativa comunitaria che è quella sulla quale, di regola, interferisce il sindacato sullo sviamento di potere.
Non di rado, così, si legge - nella motivazione delle sentenze - che la Corte, nell'effettuare il controllo di legittimità sull'esercizio dell'ampia libertà di valutazione di cui gode l'Istituzione comunitaria, non può sostituire la propria valutazione in materia a quella dell'Autorità competente ma deve limitarsi a stabilire se quest'ultima non sia viziata da errore manifesto o da sviamento di potere. La giurisprudenza comunitaria ha, anche in seguito, nelle occasioni in si è espressa sullo sviamento di potere, precisato che “la nozione di sviamento di potere ha una portata ben definita che si riferisce al fatto che un'Autorità amministrativa abbia utilizzato i propri poteri per uno scopo diverso da quello per il quale le sono stati conferiti. Un atto è viziato da sviamento di potere solo se, in base ad indizi oggettivi, pertinenti e concordanti, risulta adottato allo scopo esclusivo, o quanto meno determinante, di raggiungere fini diversi da quelli dichiarati o di eludere una procedura appositamente prevista per far fronte alle circostanze del caso di specie”.
Sul punto, è opportuno rimarcare che per la  giurisprudenza comunitaria lo sviamento di potere è integrato anche qualora l'atto impugnato persegua un interesse pubblico diverso da quello legalmente fissato ; a meno che, con il fine ulteriore e diverso, non sia perseguito anche il fine previsto dalla legge: in questo caso il perseguimento del fine indicato dalla norma attributiva del potere, per quanto non oggetto esclusivo della volontà amministrativa esplicitata nell'atto impugnato, determina la “sanatoria” dell'altro fine non previsto dalla legge.
Sul punto la giurisprudenza si è espressa più volte ed in termini univoci: si è detto che non comporta invalidità il perseguimento, in uno con il fine previsto dalla norma, dell'interesse alla “non complicazione amministrativa” o quello volto ad assecondare la politica economica di un Governo Nazionale .
In sostanza, l'esistenza del fine legittimo (inteso quale quello fissato dalla norma attributiva del potere) è sufficiente per far respingere la censura di illegittimità del provvedimento che eventualmente persegua altresì altri e diversi fini.
Anche recentemente, nella sentenza della Corte di Giustizia n. 400 del 10 maggio 2005, nella causa C-400/99 – Repubblica Italiana c. Commissione delle Comunità Europee - ai punti 36-41, la Suprema Corte Comunitaria ha avuto modo di confermare che ”la nozione di sviamento di potere implica che l'autorità amministrativa abbia esercitato i suoi poteri per uno scopo diverso da quello per cui le sono stati conferiti . Una decisione è viziata da sviamento di potere solo se, in base ad indizi oggettivi, pertinenti e concordanti, risulta adottata per scopi diversi da quelli dichiarati
...Ne discende che uno sviamento di potere avrebbe potuto essere accertato solamente se fosse stato dimostrato che la Commissione aveva deliberatamente qualificato nuovi aiuti misure di cui non poteva dubitare che fossero aiuti esistenti, soggetti al regime di controllo previsto dall'art. 88, n. 1, CE, o misure non rientranti neppure nell'ambito di applicazione degli artt. 87 CE e 88 CE. Altrimenti detto: solamente se fosse stato dimostrato che la Commissione aveva voluto perseguire a breve termine la sospensione di misure di cui non poteva dubitare che fossero ancora legittimamente attuabili, almeno fino alla conclusione del procedimento.”

Da ultimo, nella sentenza del 23 ottobre 2008 emessa dal Tribunale di I grado nella causa T-256/07, tra People’s Mojahedin Organization of Iran e Consiglio  dell’Unione europea, al punto 151, si è aggiunto che “la Corte e il Tribunale hanno ripetutamente stabilito che un atto è viziato da sviamento di potere solo se, in base ad indizi oggettivi, pertinenti e concordanti, risulta adottato allo scopo esclusivo, o quanto meno determinante, di raggiungere fini diversi da quelli dichiarati o di eludere una procedura appositamente prevista dal Trattato CE per far fronte alle circostanze del caso di specie .
Si afferma, in sostanza, una nozione piuttosto stabile di sviamento di potere che ingloba in sé lo stesso regime di accertamento derivante dalla presenza di indizi obbiettivi, pertinenti e concordanti tali da dimostrare l'estraneità all'interesse del servizio della scelta compiuta dall'Amministrazione comunitaria .
Si evidenzia, quindi, l'aspetto della “prova” dello sviamento che, alla luce dell'indirizzo particolarmente rigoroso sul punto assunto dalla Corte di Giustizia, risulta  spesso uno scoglio insormontabile per i ricorrenti.
Del resto, si è evidenziato come l'ostacolo probatorio sia particolarmente ingombrante se solo si consideri che la giurisprudenza comunitaria ha ritenuto che non siano in alcun modo sufficienti le presunzioni quali prove dello sviamento di potere.
Infatti, tale difficile prova unitamente all'insindacabilità “intrinseca” della scelta discrezionale dell'Amministrazione comunitaria hanno condannato lo sviamento di potere ad un'applicazione pratica del tutto residuale.
Dunque, un po' per il fatto che “la Corte non ha facoltà di sostituire la propria valutazione a quella dell'Amministrazione interessata ”, un po' per il timore della Corte di sostituirsi all'operato dell'Autorità comunitaria strettamente connesso al timore di menomare l'indipendenza di tali organi, i ricorsi per sviamento di potere sono accolti molto di rado .
Come detto, lo sviamento di potere è una classica censura all'operato delle Istituzioni Comunitarie che esercitano poteri discrezionali.
Recentemente, peraltro, tale censura è stata sollevata con riferimento a quella particolare sfera dell'attività amministrativa delle Istituzioni Comunitarie che, con linguaggio nazionale, definiremmo esercizio di discrezionalità tecnica.
Al proposito, la Corte di Giustizia ha più volte precisato che un’autorità comunitaria, allorché è chiamata, nell’esercizio delle sue attribuzioni, a compiere valutazioni complesse, dispone per tale motivo di un ampio potere discrezionale il cui esercizio è assoggettato ad un controllo giurisdizionale limitato, il quale implica che il giudice comunitario non può sostituire la sua valutazione degli elementi di fatto a quella della detta autorità.
Pertanto, il giudice comunitario si limita, in casi del genere, ad esaminare l’esattezza sostanziale dei fatti e le qualificazioni giuridiche che l'Autorità ne ha desunto e, in particolare, se l’operato di quest’ultima non sia inficiato da errore manifesto (di diritto o di fatto: così, ad esempio, in causa T-375/02 Cavallaro c. Commissione) o sviamento di potere, o se tale Autorità non abbia manifestamente oltrepassato i limiti del proprio potere discrezionale .
Nelle sentenze della Corte di Giustizia si legge, così, che “laddove la Commissione fruisca di tale ampia discrezionalità, la Corte, nell'effettuare il controllo di legittimità sull'esercizio di questa libertà, non può sostituire la propria valutazione in materia a quella dell'autorità competente, ma deve limitarsi a stabilire se quest'ultima non sia viziata da errore manifesto o da sviamento di potere ovvero se l'autorità di cui trattasi non abbia manifestamente ecceduto i limiti del suo potere discrezionale ”.
Nei procedimenti riuniti C-211/03, C-299/03, C-316/03, C-318/03 la Corte ha affermato che un'Autorità comunitaria, allorché è chiamata, nell'esercizio delle sue attribuzioni, a compiere valutazioni complesse, dispone per tale motivo di un ampio potere discrezionale il cui esercizio è assoggettato ad un controllo giurisdizionale limitato, il quale non implica che il giudice comunitario sostituisca la sua valutazione degli elementi di fatto a quella della detta autorità.
Talché il giudice comunitario si limita, in casi del genere, ad esaminare l'esattezza sostanziale dei fatti e le qualificazioni giuridiche che questa autorità ne ha desunto e, in particolare, se l'operato di quest'ultima non sia inficiato da errore manifesto o sviamento di potere, o se tale autorità non abbia manifestamente oltrepassato i limiti del proprio potere discrezionale.
Nella sentenza n. 145 del 24 febbraio 2000, ancora, il Tribunale di I grado ha ricordato che la Commissione dispone di un ampio potere discrezionale in merito agli elementi da prendere in considerazione per adottare una decisione di aggiudicazione di un appalto a seguito di gara . In questo caso, si è detto che il controllo del giudice comunitario deve limitarsi a verificare il rispetto delle regole di procedura e di motivazione, l'esattezza materiale dei fatti, l'assenza di un manifesto errore di valutazione e di sviamento di potere.
In sintesi, il sindacato del Giudice comunitario sull'atto censurato per il vizio di sviamento di potere è particolarmente limitato in considerazione:
1) della discrezionalità tecnica o amministrativa caratteristica del potere esercitato dalle Istituzioni comunitarie laddove il loro agire sia censurato sub specie di sviamento di potere;
2) della riconducibilità del vizio della motivazione degli atti comunitari in una violazione di una norma ad hoc del Trattato (art. 253); quindi, queste violazioni non hanno avuto necessità di scomodare il vizio di sviamento di potere (come nel ns. ordinamento è avvenuto per l'eccesso di potere) andando a confluire nel vizio di violazione di legge;

già dal prospettare il cd. perseguimento di fini diversi da quelli per il quale il potere è conferito a limitati casi, in ipotesi coincidenti con ipotesi di pressioni esercitate da privati sulle Istituzioni comunitarie, al limite sfocianti in casi di vera e propria corruzione .

Si fa riferimento alla sentenza del 29 settembre 1976, resa nella causa n. 105/75 e alla più recente nelle cause riunite nn. 33, 40, 110, 226 e 285/1986, Peine Salzgitter c. Commissione.

Jean Boulouis, Marco Darmon, Jean Guy Huglo, Contentieux communautaire, II ed., Paris, 2001, pag. 213.

Corte di Giustizia 29 novembre 1956 Féderation Charb. de Belgique, causa C-8/55; 11 luglio 1990, Sermés, causa C-323/88.

Ad avviso della dottrina citata riscontrabile nella sentenza 29 settembre 1987, Fabrique de fer de Charleroi causa C-351/85.

Si indica quale esempio emblematico la sentenza 21 dicembre 1954, France c. Haute Autorité C.E.C.A., C-1/54.

Sentenza 8 febbraio 1968, Pays-Bas c. Csion, causa C-28/66.

Sentenza 21 dicembre 1954, causa C-1/54 cit.

Sentenza 20 giugno 1991, Cargill, causa C-248/89.

Sentenza 7 marzo 2002 Italia c. Commissione, causa C-310/99 in Racc. I-2289.

      Sentenza 21 giugno 1988, cause riunite 32, 52 e 57/1987 Industrie Siderurgiche associate (ISA) ed altri c. Commissione, in Racc., IV, 1988, 3305 ss.

      Corte di Giustizia 22 settembre 1988, in causa 148/1987, Th. Friedendahl Pedersen A/S c. Commissione, in Racc., IV, 1988, 4993. Si vedano, altresì, le sentenze emanate nelle cause riunite 140, 146, 221 e 226/1982 Walrstahl Vereinigung e Thyssen c. Commissione e nelle cause riunite 33, 44, 110, 226 e 258/1986 Stahlwerke-Peine Salzgitter ed altri c. Commissione.

      Si analizzi ad esempio il caso trattato da Corte di Giustizia 22 settembre 1988, in causa 148/1987, Th. Friedendahl Pedersen A/S c. Commissione, cit.

      M.P.Chiti, cit., 542.

      vedi di recente Tribunale di I grado sentenza 22.10.2002 causa T-310/01.

      così, testualmente, Corte di Giustizia, causa C-121/01 P, O'Hannrachain/Parlamento. Nello stesso senso si vedano anche: sentenza 22 novembre 2001, causa C-110/97, Paesi Bassi/Consiglio, Racc. pag. I-8763, punto 137; sentenze 14 maggio 1998, causa C-48/96 P Windpark Groothusen/Commissione, Racc. pag.I-2873, punto 52, e 10 marzo 2005, causa C-342/03, Spagna/Consiglio, Racc. pag. I-1975, punto 64; sentenza del Tribunale (Quarta Sezione ampliata) di I grado del 27 settembre 2006, causa T-168/01, GlaxoSmithKline Services Unlimit/Commissione; sentenze del Tribunale 11 giugno 1996, causa T-118/95, Anacoreta Correia/Commissione, Racc. PI pagg.I-A-283 e II-835, punto 25, e 14 ottobre 2004, causa T-389/02, Sandini/Corte di giustizia, Racc. PI pagg. I-A-295 e II-1339, punto 123);
Nei procedimenti riuniti C-186/02 P e C-188/02 P, Ramondín SA e Ramondín Cápsulas SA/Commissione e Territorio Histórico de Álava – Diputación Foral de Álava/Commissione, la sentenza della Corte di Giustizia dell’ 11 novembre 2004, nel ribadire che lo sviamento di potere va desunto da elementi obiettivi, pertinenti e concordanti, “bolla” come frutto di valutazioni meramente soggettive dei ricorrenti la censura di sviamento di potere all’attività della Commissione. In particolare, il dedotto sviamento non sarebbe ricavabile dal fatto che la Commissione avesse agito senza la previa denuncia di alcun concorrente dei ricorrenti. Questi ultimi, viceversa, traevano dall’assenza di denunce da parte di altri concorrenti la conclusione che la Commissione si fosse attivata, non per i fini dichiarati, ma per scopi di armonizzazione fiscale raggiungibili  più correttamente, sempre secondo la tesi dei ricorrenti, con altri mezzi di competenza, tra l’altro, del Consiglio.

      Così, in dottrina, J.Rivero, Le problème de l'influence des droits internes sur la Cour de Justice de la CECA, in Annuaire francais de droit international, 4/1958, 304.

      Si guardi la sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 12 giugno 1958, in causa 2/1957 Compagnie des Hautes Forneaux de Chasse c. Alta Autorità della CECA, in Raccolta, vol. IV, 1958, 135-136 e 142.

                 Si guardi la sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 16 luglio 1956 in causa 8/1955 Fédération charbonnière de Belgique c. Alta Autorità della CECA, in Raccolta, 1956, vol. IV, 280 e 301.

               Così Lucia Musselli, cit., 131.

      Di identico tenore v., in particolare, sentenza 4 febbraio 1982, causa 817/79, Buyl/Commissione, Racc. pag. 245, punto 28.

      (v. sentenza della Corte 14 dicembre 2004, causa C-210/03, Swedish Match, Racc. pag.I-11893, punto 75, e sentenza del Tribunale 13 gennaio 2004, causa T-158/99, Thermenhotel Stoiser Franz e a./Commissione, Racc.pag.II-1, punto 164, e giurisprudenza ivi citata).

      In termini identici la Corte si era già espressa in causa n. 23/76, Luigi Pellegrini e C. s.a.s. c. Commissione, in Raccolta, vol. III, 1976, 1807-1829.

      M.Condinanzi-R. Mastroianni, Il contenzioso dell'Unione Europea, Torino, 2009, pag. 126.

               Corte di Giustizia 7 dicembre 1976, causa 23/76, Luigi Pellegrini & c. s.a.s. c. Commissione e altri; Tribunale di I grado 26 novembre 1991, causa T-146/89, Williams c. Corte dei Conti, in Racc., p.II-1293.

      E' uno dei passaggi delle motivazioni della sentenza nella causa 23/1976, cit., 1829.

      Lucia Musselli, cit., 142.

      Si legga l'ordinanza del presidente della Corte 11 aprile 2001, causa C-471/00P(R) Commissione/Cambridge Healthcare Supplies, Racc. pag. I-2865, punto 96

      Si legga il punto 68 della sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, n. 110 del 14/04/2005

      Si vedano, altresì, le sentenze 5 ottobre 2000, Germania/Commissione, cit., punto 26, e 12 marzo 2002, cause riunite C-27/00 e C-122/00, Omega Air e a., Racc. pag. I-2569, punto 64).

      Sono le domande di pronunce pregiudiziali relative alle cause Hlh Werenvetriebs GmbH e Orthica BV contro Repubblica Federale di Germania.

      Più recentemente nella causa T-340/03 (sentenza del Tribunale I grado - V sezione ampliata - del 30 gennaio 2007 - France Télécom SA/Commissione delle Comunità europee – il Tribunale ha affermato che: “...a titolo preliminare occorre ricordare che, quando la scelta del metodo di calcolo del tasso di copertura dei costi implica da parte della Commissione una valutazione economica complessa, occorre riconoscere ad essa un ampio potere discrezionale (v., in tal senso, sentenza della Corte 28 maggio 1998, causa C-7/95 P, Deere/Commissione, Racc. pag. I-3111, punto34 e giurisprudenza ivi citata). Il controllo del giudice deve limitarsi pertanto alla verifica dell’osservanza delle norme di procedura e di motivazione, nonché dell’esattezza materiale dei fatti, dell’insussistenza di errore manifesto di valutazione e di sviamento di potere...”

      Così anche nelle sentenze della Corte 23 novembre 1978, causa 56/77, Agence européenne d'intérims/Commissione, Racc. pag. 2215, punto 20, e del Tribunale 8 maggio 1996, causa T-19/95, Adia interim/Commissione, Racc. pag. II-321, punto 49.

      Si veda sul punto l'interessante caso deciso dalla sentenza del Tribunale di I grado n. 158 del 28 giugno 2005 tra le Industrias Químicas del Vallés, SA contro la Commissione delle Comunità europee.

Fonte: http://padis.uniroma1.it/bitstream/10805/1150/1/L'ATTO%20AMMINISTRATIVO%20COMUNITARIO%20E%20IL%20SINDACATO%20GIURISDIZIONALE.doc

Sito web da visitare: http://padis.uniroma1.it/

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