Diritto di asilo

Diritto di asilo

 

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

 

 

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

 

 

 

Diritto di asilo

 

IL DIRITTO DI ASILO
protezione internazionale: status di rifugiato-protezione sussidiaria- protezione umanitaria ; asilo costituzionale

Questo intervento è volto ad analizzare, in forma schematica e riassuntiva, senza alcuna presunzione di esaustività, il sistema di norme che disciplinano la protezione del cittadino straniero che si trovi ad esercitare il diritto di asilo nell’ordinamento italiano. Il diritto di asilo nell’ordinamento italiano si esplica in un sistema multilivello dallo Jus Cogens ripreso poi dal divieto di respingimento dell’art 33 della Convenzione di Ginevra relativa allo status di rifugiato, al diritto internazionale convenzionale, passando per il Trattato di Lisbona, le direttive comunitarie fino all’art 10 comma 3 della Costituzione italiana.
Il diritto di asilo nell’ordinamento italiano ha sofferto di un deficit normativo che è stato solo recentemente colmato  con i decreti legislativi 251 del 2007 e 25 del 2008 modificato dal d.lgs 159/2008 i quali hanno dato attuazione delle direttive comunitarie: la 2004/83/CE ( nota come direttiva qualifiche) e la direttiva 2005/85/CE, (nota come direttiva procedure), le quali costituiscono, con al direttiva 2001/55/CE ( direttiva protezione temporanea) a formare l’impianto del sistema europeo comune di asilo.
L’attuale analisi della prassi come verrà dimostrato di seguito dimostra come l’ampiezza che la giurisprudenza aveva attribuito al diritto di asilo, fino alla attuazione delle direttive europee 2003/84/CE e 2005/85/CE, lasciava senza alcun dubbio maggiori margini di libertà nell’esercizio del diritto di asilo costituzionale, ad esempio ai prefetti o ai giudici aditi di poter decidere per la permanenza del richiedente asilo nel territorio italiano in virtù dell’oggetto stesso del ricorso e cioè la possibilità di permanere nel territorio italiano .
Il comma 3 articolo 10 è una disposizione che necessita di una legge ordinaria per essere disciplinata nello specifico ha da sempre impedito una concreta applicazione del comma 3 art. 10 Costituzione italiana, il Legislatore italiano infatti, non ha mai esplicitamente posto in essere una norma ordinaria e pertanto l’azionabilità di detto comma è stata esercitata sempre per mezzo di un atto di citazione e cioè di una istanza aperta al giudice sulla base di una disposizione costituzionale .
Il legislatore italiano infatti, non aveva mai espressamente distinto fra diritto di asilo e status di rifugiato .
Il concetto di asilo politico costituzionale è stato lasciato inevaso da parte del legislatore italiano, pertanto si è dovuto ricorrere alla legge di attuazione della Convenzione di Ginevra del 1951 come riferimento legislativo ordinario interno. Nel diritto di asilo costituzionale non essendo infatti richiesto l’elemento della persecuzione come invece è richiesto nella Convenzione di Ginevra .
Il diritto di asilo costituzionale nell’ordinamento italiano ha, come detto, una portata più ampia rispetto al riconoscimento dell’articolo 1 della Convenzione di Ginevra
Lo ius comune internazionale in materia di asilo è successivo rispetto al diritto di asilo costituzionale e oltre ad essere tardivo è molto più cauto nella tutela dei diritti, inoltre è bene sottolineare come la Convenzione di Ginevra si limiti a regolare l’istituto dello status di rifugiato e non il diritto di asilo soggettivo così come sancito dal comma 2 dell’articolo 10 della Costituzione italiana e cioè mentre il diritto internazionale si concentra sull’obbligo dello Stato a verificare il fondato timore o la persecuzione per motivi di razza, ecc… il costituente italiano sposta la prospettiva guardando la natura del diritto di asilo come diritto del singolo, dell’individuo e non solo come mero obbligo dello Stato.
In questa diversa natura ontologica fra diritto soggettivo da un lato e dovere dello Stato dall’altro si è giocata fino alla attuazione delle direttive europee nell’ordinamento italiano la continua partita fra da un alto la possibilità di azionare in modo diverso entrambi e dall’altro la coincidenza fra i due diritti nella natura ontologica dello status di rifugiato, cancellando pertanto la natura precettiva del comma 3 articolo 10 della Costituzione italiana.
Nell’ordinamento italiano, indipendentemente dalla presenza della persecuzione o del fondato timore della stessa per i motivi individuati dall’art. 1 della Convenzione di Ginevra ed indipendentemente dall’art 33 della convenzione stessa, il diritto di asilo dovrebbe pertanto essere inteso come diritto a presentare istanza di asilo fintanto ché venga verificato che nel paese di origine non sia possibile esercitare uno di quei diritti tutelati dalla costituzione italiana stessa. Si tratta senza alcun dubbio di una possibilità di vedersi riconosciuto il diritto di asilo molto più ampia di quella che si ha con l’istanza dello status di rifugiato.
L’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam e la comunitarizzazione delle politiche sull’immigrazione e l’asilo ai sensi dell’articolo 63 e ss TUE e della Carta di Nizza agli articoli II-18 e II-19 sembrava aver aperto uno spiraglio per il riconoscimento di una protezione comunitaria del diritto di asilo che andasse oltre la Convenzione di Ginevra e desse ampio respiro e fosse ben solida nella tutela dei principi che si ancorano all’articolo 6 TUE.
Questa aspettativa è stata disattesa come emerge dalla attuazione nell’ordinamento italiano delle  direttiva qualifiche e della direttiva procedure che danno ampia possibilità agli Stati membri di porre in essere delle norme interne e delle prassi che possono essere oggi definite in alcuni ordinamenti quali quello italiano come norme in peius .
Il diritto di asilo nell’ordinamento italiano fino alla attuazione delle direttive qualifiche e procedure non aveva mai avuto una disciplina comune e una procedura completa prevista per legge sul diritto di asilo, che unisse sia il contenuto dell’articolo 10 comma 3 costituzione con la disciplina sullo status di rifugiato e ancora con il divieto di espulsione previsto dall’ articolo 19 del D.lgs 286/98 , voluto dal legislatore per dare piena attuazione nell’ordinamento italiano alla protezione prevista dall’articolo 3 CEDU
I pochi riferimenti nella legge ordinaria che disciplinavano alcuni aspetti della procedura asilo, oltre alla legge di attuazione della Convenzione di Ginevra, la legge 722 del 1954, erano la legge 39 del 1990, il D.pr 303/2004 e la legge Bossi Fini legge 189/2002 che ha mutato l’assetto della normativa italiana in materia di immigrazione ed asilo . La legge Bossi Fini infatti, già nel 2002 aveva introdotto la disposizione secondo la quale l’allontanamento non autorizzato dai centri di identificazione viene sanzionato equiparandolo a rinuncia della domanda di asilo. Oggi ciò è espressamente inserito dal neo decreto legislativo 159/2008 che muta l’assetto di attuazione della direttiva europea 2005/85/CE. Si sottolinea come, la capienza dei centri di identificazione ed espulsione, le cure e l’accoglienza dei detenuti sia spesso carente rispetto ai numeri ed ai bisogni concreti.
Il problema della detenzione dei richiedenti asilo in Italia ed il loro trattenimento nei Centri di identificazione ed espulsione nei reparti CARA ( centri accoglienza per richiedenti asilo e rifugio) è necessariamente  collegato alla scarsità di posti del Servizio Protezione Richiedenti Asilo e Rifugio (lo SPRAR) che registra nel 2009  su 138 progetti territoriali solo 3000 posti di fronte ai soli arrivi via mare nel 2008 che hanno registrato circa 38.000 sbarchi .
La totale inadeguatezza delle risposte del Governo rispetto al reale fenomeno della migrazione forzata viene risolta con il mutamento dell’assetto dell’accesso all’esercizio del diritto di asilo-protezione internazionale con la declamata esternalizzazione della procedura asilo, i respingimenti alla frontiera il possibile allontanamento forzato dei richiedenti asilo nel secondo grado di giudizio  ed ancora il rinvio in Libia in virtù dell’accordo Libia Italia.
***
ALCUNI SPUNTI SUL DIRITTO DI ASILO INTERNAZIONALE
Il diritto di asilo quale diritto umano fondamentale come sancito dall’articolo 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo assurge ad obbligo da parte degli Stati come diritto che nasce dal combinato disposto del divieto di respingimento dei richiedenti asilo, dal divieto di tortura e pena inumana e degradante e del divieto di essere respinti lì dove tale pena inumana e degradante può essere posta in essere.
Il diritto di asilo internazionale infatti è l’insieme di parti di diverse Convenzioni e Trattati vincolati che devono essere letti alla luce della regola generale dell’interpretazione dei trattati sancita dall’articolo 31 della Convenzione di Vienna .
L’articolo 31 della Convenzione di Vienna sui Trattati del 1969 esplicitamente prevede che ogni termine di un Trattato debba essere interpretato tenendo conto del significato e dello scopo del Trattato stesso, in quanto il Trattato è espressione  della volontà delle parti contraenti . La Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati del 1969 è entrata in vigore il 27 gennaio 1980, tecnicamente non dovrebbe trovare applicazione alla Convenzione di Ginevra sullo Status dei rifugiati del 1951 ed entrata in vigore il 21 aprile 1954, così come alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950 che è entrata in vigore  il 3 settembre 1953, comunque è stata più volte ribadita la sua applicazione anche a trattati e convenzioni posti in essere precedentemente se contenenti norme ascrivibili allo Jus cogens, quali, per l’appunto, il divieto di refoulment.
L’interpretazione delle disposizioni della Convenzione di Ginevra discende pertanto dalla volontà delle parti: gli Stati firmatari; tale volontà oggi è conservata indelebilmente nei Traveaux preparatoires e nel Manuale sulle procedure e sui criteri per la determinazione dello status di rifugiato dell’Alto Commissariato dei rifugiati . Questi testi indicano oggi ai legislatori nazionali, agli enti chiamati a decidere sulle domane di asilo e ai giudici nazionali, comunitari e regionali, quale fu la volontà delle parti e cioè degli Stati fondatori delle Nazioni Unite che stipularono la Convenzione di Ginevra stessa, le difficoltà e le discussioni che emersero e i punti sui quali le parti contraenti concordarono fin dall’inizio, come ad esempio il divieto di refoulment.
La stessa Corte di Giustizia Internazionale ( ICJ) ha sottolineato, nel caso Gabcikovo-nagymaros Project ( Hungary/Slovakia) del 25 settembre 1997, come l’interpretazione dei diritti umani fondamentali debba promuovere l’applicazione effettiva dei diritti umani stessi senza limitarli alla mera declamazione e come nessuna corte possa supportare azioni che siano poste in essere contro la tutela dei diritti umani stessi, così come tutelati da un Trattato o da una Convenzione internazionali successive, solo perché poste in essere prima della stipula dei Trattati che considerano violazioni le suddette azioni . Dunque l’interpretazione dei Trattati, così come individuata dalla Convenzione di Vienna del 1969, trova applicazione anche alla Convenzione di Ginevra sullo Status di rifugiato e, così come, come vedremo in seguito alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo .
Ai sensi dell’articolo 42 comma 1 della Convenzione di Ginevra uno Stato parte può, nel momento della firma, ratifica o dell’accesso alla Convenzione stessa, porre in essere delle riserve rispetto alla applicazione al proprio Stato di alcuni articoli della Convenzione stessa; l’Italia, ad esempio, come diremo nei paragrafi successivi, optò per la così detta riserva geografica dell’applicazione dell’articolo 1 della Convenzione stessa.
Per comprendere la portata e la vincolatività del divieto di refoulment è necessario soffermarsi sui lavori preparatori della Convenzione, dai quali emerge decisamente e fermamente che gli Stati contraenti stabilirono il divieto di riserva per qualunque Stato parte della Convenzione di Ginevra, nessuna dichiarazione politica contro tale posizione fu presa in considerazione,  questa scelta unanime si pone oggi quale chiave di lettura della volontà del Legislatore della Convenzione stessa: il dal divieto di respingimento assoluto e vincolante.

 
CONVENZIONE DI GINEVRA RELATIVA ALLO STATUS DI RIFUGIATI DEL 1951 E SUCCESSIVO PROTOCOLLO DI NEW YORK DEL 1967
La Convenzione relativa allo Status dei Rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 (Recueil des traités des Nations Unies, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)), è entrata in vigore il 22 aprile 1954, completata dal Protocollo relativo allo status dei rifugiati del 31 gennaio 1967, entrato in vigore il 4 ottobre 1967 (in prosieguo: la «Convenzione di Ginevra»). Essa rappresenta oggi l’unico strumento internazionale in materia di diritto di asilo, ma, come vedremo lo status di rifugiato è ontologicamente diverso sia per contenuto che per onere probatorio rispetto al diritto di asilo come inteso nell’art  10 comma 3 Cost italiana.
La Convenzione di Ginevra, pensata per tutelare, all’indomani della seconda guerra mondiale quei soggetti che sono oggetto di specifiche persecuzioni per motivi individuati in determinate categorie: razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche.
Per la determinazione dello status di rifugiato è necessario valutare:

  • Ratione personae
  • Ratione materiae
  • Ratione Loci

Art. 1, sezione A, punto 2, primo comma, della Convenzione di Ginevra, il termine «rifugiato» si applica a chiunque, “temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori dal Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure a chiunque, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori dal Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra”.

Art. 1, sezione D, della Convenzione di Ginevra così recita:
“La presente Convenzione non potrà applicarsi a coloro che beneficiano attualmente di protezione o assistenza da parte di organi o agenzie delle Nazioni Unite diversi dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati”.

Qualora questa protezione o questa assistenza, per un qualunque motivo, dovessero venire a cessare senza che la situazione di queste persone sia stata definitivamente regolata in conformità con le risoluzioni adottate dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, costoro avranno pieno diritto di usufruire del regime previsto dalla presente Convenzione».

 

 

ART 31 rifugiati in situazione irregolare nel Paese di accoglimento
I rifugiati in  status di irregolarità: Gli stati contraenti non possono applicare sanzioni penali a coloro che si trovino sul loro territorio, anche se in status di irregolarità per ivi esercitare il diritto di asilo ai sensi della Convenzione di Ginevra ( per tale ragione il Legislatore italiano della legge 94 del 15 luglio 2009 ha dovuto inserire nell’art 10 bis D.lgs 286/98 la disposizione presente al comma 6: “Nel caso di presentazione di una domanda di protezione internazionale di cui al decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, il procedimento è sospeso. Acquisita la comunicazione del riconoscimento della protezione internazionale di cui al decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, ovvero del rilascio del permesso di soggiorno nelle ipotesi di cui all’articolo 5, comma 6, del presente testo unico, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere”).

ART 32_espulsione

ART 33 _DIVIETO DI RESPINGIMENTO ( NON REFOULMENT), principio ascritto allo Jus cogens con il divieto di pena inumana e degradante sancito dall’art 3 CEDU

ART 7 _ esenzione della reciprocità

 

-Patto internazionale sui diritti civili e politici, Adottato dall'Assemblea Generale il 16 dicembre 1966. Entrato in vigore il 23 marzo 1976. Articolo 1 6 (ICCPR)
“1. Il diritto alla vita è inerente alla persona umana. Questo diritto deve esser protetto dalla legge. Nessuno può essere arbitrariamente privato della vita
2. Nei paesi in cui la pena di morte non è stata abolita, una sentenza capitale può essere pronunciata soltanto per i delitti più gravi, in conformità alle leggi vigenti al momento in cui il delitto fu commesso e purché ciò non sia in contrasto né con le disposizioni del presente Patto né con la Convenzione per la prevenzione e la punizione del delitto di genocidio. Tale pena può essere eseguita soltanto in virtù di una sentenza definitiva, resa da un tribunale competente.
3. Quando la privazione della vita costituisce delitto di genocidio, resta inteso che nessuna disposizione di questo articolo autorizza uno Stato parte del presente Patto a derogare in alcun modo a qualsiasi obbligo assunto in base alle norme della Convenzione per la prevenzione e la punizione del delitto di genocidio.
4. Ogni condannato a morte ha il diritto di chiedere la grazia o la commutazione della pena. L'amnistia, la grazia o la commutazione della pena di morte possono essere accordate in tutti i casi.
5. Una sentenza capitale non può essere pronunciata per delitti commessi dai minori di 18 anni e non può essere eseguita nei confronti di donne incinte
6. Nessuna disposizione di questo articolo può essere invocata per ritardare o impedire l'abolizione della pena di morte ad opera di uno Stato parte del presente Patto”.

Articolo 7
“Nessuno può essere sottoposto alla tortura né a punizioni o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, in particolare, nessuno può essere sottoposto, senza il suo libero consenso, ad un esperimento medico o scientifico.”

-CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
Non contempla esplicitamente  il diritto di asilo, ma questo nasce dal combinato disposto di diversi articoli.

Art. 2 CEDU

Art. 3 CEDU – Proibizione della tortura
Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”;

Art. 5 CEDU

Art. 8 CEDU

Art. 13 CEDU – Diritto ad un ricorso effettivo
“Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto ad un ricorso effettivo davanti ad un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali”
Il concetto di rimedio effettivo ai sensi dell’art 13 della CEDU è chiaramente  stato analizzato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in diverse decisioni, esso è stato ripreso dall’art 39 della direttiva procedure dove però non emerge una tutela del richiedente asilo rispetto ad un rinvio nel paese di origine o nel paese terzo così detto sicuro come invece emerge nell’interpretazione che la Corte EDU da dell’art 13.

***

IL SISTEMA COMUNE EUROPEO DI ASILO
Il Consiglio europeo, nella riunione straordinaria di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, ha convenuto di lavorare all’istituzione di un regime europeo comune in materia di asilo basato sull’applicazione, in ogni sua componente, della Convenzione di Ginevra (…), e di garantire in tal modo che nessuno sia nuovamente esposto alla persecuzione, in ottemperanza al principio di “non refoulement” (…).
Per la prima volta nel 2004 presso il Consiglio europeo si inizia a parlare esplicitamente di “sistema comune europeo di asilo” , come un sistema di norme comuni, quanto alle linee generali e alla determinazione dello Stato membro competente ed esclude per la prima volta esplicitamente a livello normativo la possibilità per uno cittadino di uno Stato membro di esercitare il diritto di asilo in un altro Stato membro, per tale ragione oggi nessun cittadino comunitario può avvalersi della protezione internazionale, si delinea pertanto la prima clausola di esclusione esplicita rispetto alla possibilità di essere riconosciuti rifugiati ai sensi della Convenzione di Ginevra e del protocollo aggiuntivo del 1967.

 

LA DETERMINAZIONE DELLO STATO COMPETENTE AD ESAMINARE LA DOMANDA DI ASILO
Uno dei primi ambiti disciplinati dal diritto comunitario, per quanto concerne il sistema europeo comune in materia di diritto di asilo, è stato il così detto “sistema Dublino”, un insieme di norme nate per determinare una univoca giurisdizione in materia di asilo, con lo scopo di “ancorare” la domanda di un richiedente asilo ad un solo Stato membro ed evitare il forum shopping, ma al contempo, con la conseguenza di limitare geograficamente la possibilità dei richiedenti asilo di presentare la loro domanda di in qualsiasi Stato membro essi si trovino.
Nell’attuare il sistema Dublino gli Stati membri, e con loro lo stesso ordinamento comunitario, non possono esimersi dal rispetto degli obblighi che discendono in particolare dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, indipendentemente dalla possibilità di dare efficacia vincolante alla definizione di “paese terzo sicuro”.
Il sistema Dublino, pensato per evitare il così detto asylum shopping garantendo nel contempo che il caso di ogni persona richiedente asilo venga trattato da un solo Stato membro evitando che alcuni richiedenti asilo in orbita.
Il Regolamento 343/2003/CE approvato dal Consiglio in data 18 febbraio 2003 e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea il 25 febbraio 2003 mira ad individuare il più rapidamente possibile lo Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo, fissando  termini specifici per ciascuna fase della procedura di determinazione dello Stato competente,  esso impedisce la possibilità di domande d'asilo multiple e impone la linea del one chance nel senso che una volta avviata una procedura asilo in uno stato membro e riconosciuto in quello stato questo Stato diventa tassativamente competente non sarà, salvo alcune clausole di eccezione, consentito al richiedente asilo presentare domande di asilo in altri stati membri.

-Principi generali
Un unico Stato membro è competente per l’esame di una domanda d'asilo; tuttavia, qualsiasi Stato membro può decidere di esaminare una domanda d'asilo anche se tale esame non gli compete in base ai criteri del regolamento. Lo stato competente non è quello scelto dal richiedente (art 3).
Se l'analisi dei criteri del regolamento designa un altro Stato membro come Stato competente, questo viene invitato ad occuparsi del richiedente asilo per quanto riguarda l'esame della sua domanda. Nell'ipotesi nella quale lo Stato membro sollecitato riconosca la sua competenza, il primo Stato membro è tenuto a garantire il trasferimento del richiedente asilo. In questo senso la responsabilità del trasferimento è in capo al primo Stato il quale non dovrebbe notificare al richiedente asilo un provvedimento in lingua a lui comprensibile, rispetto al quale deve essergli garantito il diritto ad un rimedio effettivo ( ricorso effettivo = rimedio effettivo).

-Tutela dei Minori
Nel caso di minori si deve sottolineare che situazione del minore è indissociabile da quella del genitore o del tutore che ha presentato la domanda d'asilo.
Applicazione tutela del richiedente asilo nel procedimento amministrativo, il richiedente asilo deve essere informato in una lingua a lui comprensibile del contenuto dell’applicazione del regolamento

-Avvio del procedimento Dublino II
Art 4: procedimento si avvia alla presentazione della domanda attraverso un verbale redatto dalle autorità ( immediatamente dovrebbe scattare la verifica della competenza, senza alcun indugio) E’ un procedimento amministrativo nell’ordinamento italiano pertanto devono essere applicate tutte le garanzie del procedimento amministrativo, compreso il diritto di accesso agli atti e la visione del proprio fascicolo.

-Gerarchia dei criteri (art 5)
I criteri enunciati nel regolamento devono essere applicati nell'ordine di presentazione. Essi sono applicati sulla base della situazione esistente quando il richiedente asilo ha presentato la sua domanda a uno Stato membro.

a)criteri relativi al principio dell'unità del nucleo familiare ( art 6-7-8)
Se il richiedente asilo è un minore non accompagnato, è competente per l'esame della domanda di asilo lo Stato membro nel quale si trova legalmente un suo familiare, purché ciò sia nel migliore interesse del minore. In mancanza di un familiare, è competente lo Stato membro in cui il minore ha presentato la domanda d'asilo.
Se un familiare del richiedente risiede già in qualità di rifugiato in uno Stato membro, detto Stato membro è competente per l’esame della sua domanda d'asilo, sempre che l'interessato lo desideri. Se un familiare di un richiedente asilo ha presentato in uno Stato membro una domanda sulla quale non è ancora stata presa una prima decisione, l'esame della domanda d'asilo compete a detto Stato membro, sempre che l'interessato lo desideri.

Il regolamento prevede inoltre un criterio per le domande d'asilo presentate simultaneamente o in date ravvicinate da diversi familiari per un esame congiunto.
Tutela della volontà degli interessati nel nucleo familiare in caso di presentazione di domande da parte di familiari non ancora decise ( art 8)

b)criteri relativi al rilascio di permessi di soggiorno o visti ( art 9)
Lo Stato membro che ha rilasciato al richiedente asilo un permesso di soggiorno o un visto valido è competente per l’esame della domanda d'asilo. Se il richiedente è titolare di più permessi o visti, è considerato competente, ai fini dell’esame, lo Stato che:

-ha rilasciato il documento di soggiorno che conferisce il diritto di soggiorno più lungo o, se la validità temporale è identica, lo Stato che ha rilasciato il documento di soggiorno la cui scadenza è più lontana. La stessa regola si applica nel caso di più visti di natura diversa;

-ha rilasciato il visto la cui scadenza è più lontana, quando i visti sono di analoga natura.
La stessa regola vale quando il richiedente asilo è titolare di uno o più titoli di soggiorno scaduti da meno di due anni o di uno o più visti scaduti da meno di sei mesi e non abbia lasciato i territori degli Stati membri. In questi casi, è competente lo Stato membro in cui è stata presentata la domanda.

c)criteri relativi all'ingresso o al soggiorno illegali in uno Stato membro ( art 10)
Se il richiedente asilo ha varcato illegalmente le frontiere di uno Stato membro, quest'ultimo è competente per l’esame della sua domanda di asilo. Questa responsabilità cessa 12 mesi dopo la data di attraversamento irregolare della frontiera.

Dispensa da visto (art 11)
Quando è accertato che il richiedente asilo ha soggiornato per un periodo continuato di almeno 5 mesi in uno Stato membro prima di presentare la domanda d'asilo, detto Stato membro è competente per l'esame della domanda d'asilo. Se il richiedente asilo ha soggiornato per un periodo di almeno 5 mesi in vari Stati membri, lo Stato membro in cui ciò si è verificato per l'ultima volta è competente per l'esame della domanda d'asilo.

d)criteri relativi all'ingresso legale in uno Stato membro
Se un cittadino di un paese terzo richiede asilo in uno Stato membro in cui non è sottoposto all'obbligo di visto, l'esame della domanda d'asilo compete a tale Stato membro.

e)domanda presentata in una zona internazionale di transito di un aeroporto ( art. 12)
Quando la domanda d'asilo è presentata in una zona internazionale di transito di un aeroporto di uno Stato membro da un cittadino di un paese terzo, detto Stato membro è competente per l'esame della domanda.

f)"criterio generale" applicabile quando nessuno Stato membro può essere designato competente per l’esame della domanda d’asilo sulla base dei criteri enumerati. In tali casi, è competente il primo Stato membro nel quale la domanda è stata presentata.

Clausola umanitaria ( art. 15 )
Qualsiasi Stato membro può, pur non essendo competente in applicazione dei criteri vincolanti definiti dal presente regolamento, accettare di esaminare una domanda d’asilo per ragioni umanitarie, fondate in parte su motivi familiari o culturali (a condizione che le persone interessate vi acconsentano).

Obbligo dello Stato prendere o riprendere a carico un richiedente asilo ( onde evitare i così detti rifugiati in orbita) ( art. 16)
Se uno Stato membro ritiene che un altro Stato membro sia competente per l’esame di una domanda d'asilo, esso può interpellare tale Stato membro affinché prenda a carico la domanda. Lo Stato membro competente per la domanda d'asilo è tenuto ad assolvere alcuni obblighi, in particolare l'obbligo di prendere o riprendere a carico il richiedente e di portare a termine l'esame della sua domanda.
La domanda di presa o ripresa a carico dovrà indicare ogni elemento che permette allo Stato richiesto di determinare se è effettivamente competente ( spesso nei provvedimenti italiani ciò non è specificato). Quando lo Stato richiesto accetta di prendere a carico o riprendere a carico il richiedente asilo, lo Stato nel quale la domanda d’asilo è stata presentata notifica al richiedente asilo una decisione motivata relativa all’inammissibilità della sua domanda in tale Stato membro indicando l'obbligo di trasferimento del richiedente asilo verso lo Stato membro competente; contro tale decisione può essere esperito un ricorso che non ha effetto sospensivo, a meno che il giudice o l'organo giurisdizionale competente non decida altrimenti caso per caso, se la legislazione nazionale lo consente.
N.B “Casi Dublino di ritorno”
-A uno Stato membro che abbia già esaminato o iniziato ad esaminare una domanda di asilo può essere richiesto di rioccuparsi del richiedente asilo che si trovi in un altro Stato membro senza averne il permesso. In tal caso, lo Stato membro responsabile in cui è trasferito il richiedente dovrà ultimare l'esame della domanda. Si sottolinea come non ci siano ad oggi dati ufficiali sui così detti casi Dublino e cioè su quei richiedenti asilo che, trasferitisi prima della conclusione della procedura asilo in altro Stato membro siano rinviati nel primo se non hanno titolo per stare nel secondo Stato membro. Il caso più grave noto e riportato dalla giurisprudenza italiana così come dalla Corte di Strasburgo attraverso l’accoglimento di molteplici misure ad interim ( articolo 39 Regolamento CEDU) è quello dei Dublinati afgani che sono stati rinviati verso la Grecia (Tar Puglia 14 Maggio 2008; Mirzai C. Italie 19 novembre 2008;

Il regolamento stabilisce una serie di modalità pratiche relative alla presa o alla ripresa in carico del richiedente (scadenze per la presentazione e l'evasione delle richieste e per l'esecuzione dei trasferimenti, verifiche necessarie, notifiche delle decisioni, ecc.). Qualora uno Stato membro non rispetti i rigidi termini stabiliti dal regolamento, si ritiene che abbia implicitamente accettato la propria competenza nei confronti della persona interessata.

 

Stato membro individuato come competente ( art 18)
Lo Stato membro richiesto procede alle verifiche necessarie, in particolare nei suoi archivi, e deliberà sulla richiesta di presa in carico di un richiedente entro due mesi a decorrere dalla data in cui ha ricevuto la richiesta.
Nella procedura di determinazione dello Stato membro competente per l'esame della domanda d'asilo sono utilizzati elementi di prova e prove indiziarie.
In mancanza di prove formali, lo Stato membro richiesto si dichiara competente se le prove indiziarie sono coerenti, verificabili e sufficientemente particolareggiate per stabilire la competenza.

Notifica provvedimento, trasferimento e istanza di riesame o ricorso (Art. 19)
n.b nell’ordinamento italiano è possibile presentare istanza di riesame presso il Dipartimento libertà civili e immigrazione … sezione Dublino e, entro 60, giorni depositare ricorso al TAR Lazio ( competente foro erariale). L’effetto sospensivo deve essere espressamene richiesto in conformità con l’art 13 CEDU.
In caso di mancanza di tempo per esercitare l’autotutela o depositare il ricorso attivare la corte EDU inviando fax alla Corte di Strasburgo ai sensi dell’art 39 CEDU, misure ad interim con prove contrarie o con documenti rispetto ad una possibile violazione di uno degli art CEDU citati. Indicando data e luogo del trasferimento, meglio far firmare il richiedente asilo e corredare da documenti personali Sul concetto di paese membro sicuro e dunque sul

La sentenza del TAR Puglia n. 1870 del 14/05/08, depositata il 24/06/08, offre un’interessante ed innovativa lettura del Regolamento comunitario n. 343/03 (c.d. Regolamento di Dublino,modificante l’omonima Convenzione), in particolar modo dell’art. 10, comma I. Questa norma prevede che: “quando è accertato, sulla base degli elementi di prova e delle prove indiziarie di cui ai due elenchi menzionati all’articolo 18, paragrafo 3, inclusi i dati di cui al capo III del regolamento (CE) n. 2725/2000, che il richiedente asilo ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione è competente per l’esame della domanda d’asilo”.
1. Quando lo Stato membro richiesto accetta di prendere in carico il richiedente asilo, lo Stato membro nel quale la domanda d'asilo è stata presentata notifica al richiedente asilo la decisione di non esaminare la domanda e l'obbligo del trasferimento del richiedente verso lo Stato membro competente.
La decisione menzionata al paragrafo 1 è motivata. Essa è corredata dei termini relativi all'esecuzione del trasferimento e contiene, se necessario, le informazioni relative al luogo e alla data in cui il richiedente deve presentarsi, nel caso in cui si rechi nello Stato membro competente con i propri mezzi. La decisione può formare oggetto di ricorso o revisione. Il ricorso o la revisione della decisione non ha effetto sospensivo ai fini dell'esecuzione del trasferimento a meno che il giudice o l'organo giurisdizionale competente non decida in tal senso caso per caso se la legislazione nazionale lo consente.

Cooperazione amministrativa
Laddove sia necessario per finalità specifiche, quali la determinazione dello Stato membro competente o l'esame di una domanda d'asilo, gli Stati membri posso scambiarsi i dati di carattere personale riguardanti i richiedenti asilo, nel rispetto di rigorose regole di protezione dei dati.

Le ragioni addotte dal richiedente a giustificazione della domanda d’asilo sono scambiate soltanto se strettamente necessario e solo se l'interessato vi acconsente.

Le richieste di informazione devono essere motivate. Lo Stato membro che trasmette i dati ne deve garantire l’esattezza e l’aggiornamento. Il richiedente ha diritto di conoscere i dati trattati che lo riguardano e di ottenerne la rettifica, la cancellazione o il congelamento in caso di violazione del presente regolamento o della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla protezione delle persone per quanto riguarda il trattamento dei dati personali e la libera circolazione degli stessi.

Tutte le richieste, risposte e comunicazioni scritte in applicazione del regolamento saranno inviate tramite la rete di comunicazione elettronica "DublinNet".

Diritto ad un rimedio effettivo
Applicazione in combinato disposto dell’art 13 Cedu con l’art 39 Direttiva Procedure 2005/85/CE  ( art 47 carta di Nizza oggi partee Trattato di Lisbona)

 

IL SISTEMA EURODAC
Regolamento (CE) n. 2725/2000 del Consiglio, dell'11 dicembre 2000, che istituisce l'«Eurodac» per il confronto delle impronte digitali per l'efficace applicazione della convenzione di Dublino.( GU L 316 del 15.12.2000).

Il sistema Eurodac permette agli Stati membri di identificare i richiedenti asilo e le persone fermate mentre varcano irregolarmente una frontiera esterna rispetto allo Spazio Schengen. Confrontando le impronte digitali dei soggetti fermati, gli Stati membri possono verificare se un richiedente asilo o un cittadino straniero, che si trova illegalmente sul suo territorio, ha già presentato una domanda in un altro Stato membro o se un richiedente asilo è entrato irregolarmente nel territorio dell'Unione. Tale sistema è stato ideato dagli Stati membri per evitare il così detto forum shopping delle richieste di asilo, ha delimitato pertanto la possibilità di presentare molteplici domande di asilo da parte di stessi richiedenti asilo in diversi Stati membri. Esso coincide pienamente con la volontà più volte espressa da parte degli Stati membri stessi di costituire un sistema europeo comune di asilo.

Oltre alle impronte digitali, i dati trasmessi dagli Stati membri indicano lo Stato membro d'origine, il luogo e la data dell'eventuale domanda d'asilo, il sesso, un numero d'identificazione, nonché la data in cui sono state prese le impronte digitali e la data in cui sono stati trasmessi i dati all'unità centrale. Le impronte sono rilevate per ogni persona di più di 14 anni e codificate nella base di dati direttamente dall'unità centrale.

Per i richiedenti asilo, i dati sono conservati per dieci anni, salvo se l'interessato ottiene la cittadinanza di uno degli Stati membri; in tal caso gli elementi che lo riguardano devono essere immediatamente cancellati non appena ottenuta la cittadinanza. Per i cittadini stranieri fermati in occasione dell'attraversamento irregolare di una frontiera esterna, sono conservati per due anni a decorrere dalla data alla quale le impronte digitali sono state rilevate.

Essi vengono invece cancellati immediatamente, prima dello scadere dei due anni, se lo straniero:

  • ottiene un permesso di soggiorno;
  • ha lasciato il territorio degli Stati membri;
  • ha acquisito la cittadinanza di uno Stato membro.

 

Per i cittadini stranieri che si trovano illegalmente sul territorio di uno Stato membro, Eurodac permette soltanto il confronto delle impronte con quelle contenute nella base di dati centrale per verificare se l'interessato non abbia presentato una domanda d'asilo in un altro Stato membro. Queste impronte, una volta trasmesse per il confronto, non vengono più conservate da Eurodac.

Per quanto riguarda la protezione dei dati a carattere personale, gli Stati membri d’origine devono garantire che le impronte siano rilevate nel rispetto della legalità e che, sempre nel rispetto della legalità, avvengano tutte le operazioni relative all’utilizzo, la trasmissione, la conservazione o la cancellazione dei dati stessi. La Commissione verifica la corretta applicazione del presente regolamento all’interno dell’unità centrale e adotta tutte le misure necessarie per garantire la sicurezza dell’unità centrale. Oltre a ciò, essa deve informare il Parlamento europeo e il Consiglio in merito alle misure adottate. Le persone e gli Stati membri che hanno subito danni in conseguenza di un trattamento illecito di dati o di una verifica di un’azione incompatibile con le disposizioni del presente regolamento hanno diritto di ottenere un risarcimento dallo Stato membro responsabile del pregiudizio. In ogni caso, uno Stato membro è esonerato in tutto o in parte da tale responsabilità se prova che l'evento dannoso non gli è imputabile.

Oltre alle autorità nazionali di controllo, era stata istituita dal regolamento un'autorità di controllo comune indipendente. Tuttavia, quest'ultima è stata sostituita dal Controllore europeo per la protezione dei dati (CEPD) che è un'autorità di controllo indipendente tenuta a verificare il rispetto dei diritti delle persone rientranti nel sistema Eurodac, così come previsto dall'articolo 286, paragrafo 2, del trattato CE.

Il regolamento 2725/2000 si applica ai territori ai quali è applicabile il regolamento "Dublino II", vale a dire a tutti gli Stati membri, nonché all'Islanda, alla Norvegia e alla Svizzera ( questa ultima applica Dublino II a far data dal dicembre 2008)

Direttiva 2004/83/CE del Consiglio del 29 aprile 2004 recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta
La direttiva è stata adottata sul fondamento dell’art. 63, primo comma, punto 1), lett. c), CE, il quale incaricava il Consiglio dell’Unione europea di adottare misure relative all’asilo, conformemente alla Convenzione di Ginevra e agli altri trattati pertinenti, nell’ambito delle norme minime relative all’attribuzione dello status di rifugiato a cittadini di paesi terzi.
Dal terzo, dal sedicesimo e dal diciassettesimo ‘considerando’ della direttiva risulta che la Convenzione di Ginevra costituisce la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati e che le disposizioni della direttiva relative alle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato nonché al contenuto del medesimo sono state adottate al fine di aiutare le autorità competenti degli Stati membri ad applicare detta Convenzione basandosi su nozioni e criteri comuni (v., sentenza 2 marzo 2010, , Salahadin Abdulla). La direttiva riporta solo minimi standard per l’individuazione degli status e i criteri, ciò non toglie che uno Stato membro possa prevedere standard più alti. L’effetto dell’entrata in vigore della direttiva in molti stati membri è stato quello di creare, come nel caso dell’ordinamento italiano, un quadro completo sulla determinazione dello status/ degli status, dall’altro in molti Stati membri dati gli standards minimi imposti dalla direttiva, si è creato una sorta di deterioramento dell’accesso all’esercizio del diritto di asilo.

L’interpretazione delle disposizioni della direttiva qualifiche deve pertanto essere effettuata nel pieno rispetto della Convenzione di Ginevra e degli altri trattati pertinenti di cui all’art. 63, primo comma, punto 1), CE ( oggi art 77 e seguenti). Fra questi la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Tale interpretazione deve infatti parimenti essere operata, come deriva dal decimo ‘considerando’ della direttiva, nel rispetto dei diritti fondamentali nonché dei principi riconosciuti segnatamente nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (sentenza Salahadin Abdulla e a., cit., punti 53 e 54).

Lo scopo principale della direttiva qualifiche è quello di assicurare che gli Stati membri applichino criteri comuni per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale e, dall’altra, di assicurare che un livello minimo di prestazioni sia disponibile per tali persone in tutti gli Stati membri, la direttiva ha conosciuto una gestazione difficile e gli standards minimi raggiunti sono stato l’effetto del timore di alcuni stati membri di creare, in uno spazio comune quale lo spazio Schengen differenze di riconoscimento tali da creare facilitazioni eccessive all’accesso e strumentalizzazioni della richiesta di asilo. Gli Stati membri si sono mossi nella difesa della fortezza Europa più che nella tutela dell’effettività dei diritti.

Art 2 definizioni
-“protezione internazionale”: lo status di rifugiato e di protezione sussidiaria quale definito alle lettere d) e f);
rifugiato»: cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza ad un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese, oppure apolide che si trova fuori dal paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, e al quale
non si applica l'articolo 12;
d) «status di rifugiato»: il riconoscimento, da parte di uno Stato membro, di un cittadino di un paese terzo o di un apolide quale rifugiato;
e) «persona ammissibile alla protezione sussidiaria»: cittadino di un paese terzo o apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti
sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale,
correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito all'articolo 15, e al quale non si applica l'articolo 17, paragrafi 1 e 2, e il quale non può o, a causa di tale
rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto paese;

L’art. 12, n. 1, lett. a), della direttiva, intitolato «Esclusione» e figurante nell’ambito del suo capo III, relativo ai requisiti per essere considerato rifugiato, così dispone:  “Un cittadino di un paese terzo o un apolide è escluso dallo status di rifugiato se:
a)      rientra nel campo d’applicazione dell’articolo 1D della Convenzione di Ginevra, relativo alla protezione o assistenza di un organo o di un’agenzia delle Nazioni Unite diversi dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Quando siffatta protezione o assistenza cessi per qualsiasi motivo, senza che la posizione di tali persone sia stata definitivamente stabilita in conformità delle pertinenti risoluzioni adottate dall’assemblea generale delle Nazioni Unite, queste persone sono ipso facto ammesse ai benefici della presente direttiva
Ai sensi dell’art. 13 della direttiva vale quanto segue:
“Gli Stati membri riconoscono lo status di rifugiato al cittadino di un paese terzo o all’apolide ammissibile quale rifugiato in conformità dei capi II e III”
L’art. 21, n. 1, della direttiva, che figura nel suo capo VII, intitolato “Contenuto della protezione internazionale”, prevede quanto segue:
“Gli Stati membri rispettano il principio di “non refoulement” in conformità dei propri obblighi internazionali”
Conformemente ai suoi artt. 38 e 39, la direttiva è entrata in vigore il 20 ottobre 2004 e la sua trasposizione doveva avvenire al più tardi entro il 10 ottobre 2006.

 

Applicazione della direttiva qualifiche nell’ordinamento italiano D.lgs 251/2007
L’ordinamento italiano ha dato attuazione alal direttiva 2004/83/CE con il decreto legislativo 251/2007  entrato in vigore il 19 novembre 2007
Dopo quasi un ventennio da quando la Legge Martelli nel 1990 che  introduceva per la prima volta in Italia una normativa sul diritto d’asilo, pur se fatta di un solo articolo, ma di portata centrale in quando faceva venir meno le limitazioni geografiche e temporali adottate dall’Italia nel 1954, alla ratifica della Convenzione di Ginevra sui rifugiati.

Esame della domanda del richiedente asilo art. 3
-Documentazione e situazione nel paese di origine o possibilità di protezione in altro stato;
-sforzo del richiedente asilo ( ha assolto il proprio onere probatorio? Sul punto si rimanda alla sentenza della Cassazione S.U. sulla ripartizione dell’onere probatorio che non è solo in capo al richiedente ma anche in capo alla commissione e poi al giudice, Corte di Cassazione Sezioni Unite sentenza del 17 novembre 2008 n 27310);
-coerenza e plausibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo;
-attendibilità
-tempestività della domanda o causa di giustificazione del ritardo;

art 4 refugé sur place: domanda di protezione internazionale che nasce  successivamente all’abbandono del paese di origine ( caso dei kenioti)
-possibilità di presentare istanza per nuovi fatti sopravvenuti dopo avere lasciato il paese;
-possibilità di presentare istanza per nuovi fatti personali accorsi successivamente all’arrivo nello stato membro.

 art. 5 Responsabili della persecuzione, agenti della persecuzione:
-Stato;
-parti organizzazioni che controllano lo Stato;
-soggetti non statuali;

art.  6 soggetti che offrono la protezione

art 7 status di rifugiato
persecuzione o il suo fondato timore siano riconducibili a motivi connessi alla razza, religione, nazionalità, appartenenza a un gruppo sociale, opinione politica.
E’ irrilevante essere membro di uno specifico gruppo, ciò che conta è che l’ente persecutore individui il perseguitato come appartenente a quel gruppo.
Art 10 esclusione

Capo IV Protezione sussidiaria
Viene introdotta una nuova forma di protezione complementare a quella riconosciuta dalla Convenzione di Ginevra del 1951 che si sostanzia nella “protezione sussidiaria”.
Un nuovo status giuridico che trova applicazione solo in quei casi nei quali i richiedenti asilo non presentino i requisiti per poter ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, può essere invocato solo quando la persecuzione o il suo fondato timore siano riconducibili a motivi connessi alla razza, religione, nazionalità, appartenenza a un gruppo sociale, opinione politica.
Il decreto fissa in modo tassativo quali siano da considerarsi danni gravi alla persona che determinano il riconoscimento della protezione sussidiaria:
a. la condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte;
b. la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante;
c. la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.

Tale previsione, seppur non derogabile, estende la portata del concetto di “danno grave” fino ad abbracciare tipologie di persecuzioni e di gravi violazioni dei diritti umani non previste espressamente dalla Convenzione di Ginevra del 1951, così come sancite in altre Convenzioni internazionali sui diritti umani, di diritto umanitario e di diritto penale internazionale (le 4 Convenzioni di Ginevra del 1949, la Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’uomo del 1950, la Convenzione Internazionale contro tortura del 1984, la Convenzione Europea per la prevenzione della tortura del 1987, lo Statuto della Corte Penale internazionale del 1998).

Art 15 direttiva ( art 14 d.lgs 251/2007)
-Il decreto “qualifiche” recepisce integralmente il dettato dell’articolo 15(2) ( minaccia grave) della direttiva CE e questo apre a una serie di importanti riflessioni, sollevate anche dall’UNHCR  ( si veda  www.unhcr.org)  . Si rimanda anche alla sentenza della corte di giustizia proprio sull’art 15  della direttiva (CGCE, 17.2.2009, C-465/07, Elgafaji).
- “violenza indiscriminata” “minaccia individuale”: L’UNHCR la interpreta come l’esercizio della forza non mirato ad un oggetto o a un individuo specifico e invita a tenere ben distinte le ipotesi di protezione sussidiaria e temporanea, quest’ultima con un carattere di risposta specifica e provvisoria in situazioni di afflusso massiccio. 
Secondo l’Alto Commissariato tale nozione escluderebbe dall’ambito di applicazione della protezione sussidiaria coloro per i quali il rischio presunto rappresenta una mera possibilità remota, perché ad esempio la violenza è limitata ad una regione specifica o comunque perché il rischio che corrono non può ritenersi “reale”.
L’ espresso riferimento alla persona di un “civile”,costituisce una  limitazione che comunque non dovrebbe escludere dalla protezione sussidiaria anche gli ex combattenti in grado di dimostrare di aver rinunciato alle attività militari.
Anche rispetto alla definizione di “minaccia reale”, la direttiva comunitaria e il decreto “qualifiche” non chiariscono i suoi contenuti e l’UNHCR raccomanda un approccio interpretativo pragmatico, che prenda in considerazione diversi fattori: la situazione generale nel paese, il numero dei morti, l’estensione del conflitto, la storia personale del richiedente ( su questo punto si veda anche la recente sentenza della Cassazione italiana .
Infine la portata della definizione “conflitto armato interno o internazionale”: l’UNHCR sottolinea che le esigenze di protezione non possono essere ristrette ai soli casi di situazioni di guerra dichiarata o di conflitti internazionali riconosciuti e che sebbene non esista una definizione legale o un’interpretazione unanimemente riconosciuta di questo termine, ci si dovrà ispirare al diritto internazionale umanitario.

L’ordinamento italiano, già anteriormente al recepimento della direttiva “qualifiche”, riconosceva alla Commissione territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato, al momento dell’adozione di una decisione di rigetto della domanda di asilo, la concessione della protezione umanitaria, uno strumento di tutela sancito dall’articolo 5 comma 6 del D.lgs 286/98 quando ricorrono seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano.
Tale protezione costituisce l’attuazione concreta nel rilascio di un permesso di soggiorno rispetto alla protezione esplicita prevista dall’art 19 comma 1 D.lgs 286/98 ( art 3 CEDU).

 

La definizione di “persecuzione” e “agenti persecutori”
La razza, la religione, la nazionalità, l’appartenenza ad un particolare gruppo sociale, l’opinione politica, i 5 motivi di persecuzione disposti dalla Convenzione di Ginevra del ’51, vengono integralmente ripresi dal decreto “qualifiche”.

Gli atti di persecuzione possono essere: atti di violenza fisica e psichica, provvedimenti legislativi, amministrativi di polizia o giudiziari, azioni giudiziarie o sanzioni penali discriminatorie, rifiuto di accesso ai mezzi di tutela giuridici e conseguente sanzione sproporzionata o discriminatoria, azione o sanzioni a seguito del rifiuto del servizio militare in un conflitto che potrebbe portare alla commissione di crimini e di reati, atti specifici contro un genere sessuale o contro l’infanzia.
Rispetto alla definizione di “soggetto di persecuzione”, molto dibattuta in quanto non prevista espressamente dalla Convenzione di Ginevra del 1951, il decreto allarga il novero dei soggetti responsabili della persecuzione o del danno grave, includendo affianco degli organi statali anche altri attori il cui ruolo nel corso degli anni è sempre più cresciuto, sovrapponendosi o affiancando in molte realtà nazionali il potere delle autorità statali costituite. Si tratta dei partiti, delle organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio o infine di soggetti non statuali, se i partiti o le organizzazioni appena citate, comprese quelle internazionali, non possono o non vogliono fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi.

Nell’esaminare la richiesta di protezione internazionale, la Commissione territoriale sarà chiamata a valutare anche la sussistenza della possibilità di protezione esercitata da parte dello Stato, dei partiti o delle organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio.
La protezione in linea di principio ricorre in presenza di adeguate misure all’interno del paese volte ad impedire che possano essere inflitti atti persecutori o danni gravi, come tra l'altro un sistema giuridico effettivo che permetta di individuare, di perseguire penalmente e di punire gli atti che costituiscono persecuzione o danno grave e solo se ai richiedenti è di fatto realmente garantito l’accesso a tali misure.
Una particolare attenzione va prestata ad un'Organizzazione internazionale in quanto soggetto “protettore”, ipotesi che ricorre quando l’organismo esercita un controllo effettivo dello Stato o di una parte consistente di esso e fornisce protezione a chi si trova su quel territorio.
Secondo il decreto per stabilire se sussiste o meno tale protezione si deve tener conto degli eventuali orientamenti del Consiglio dell'Unione europea e, ove ritenuto opportuno, delle valutazioni di altre competenti organizzazioni internazionali e in particolare dell'UNHCR.

Titoli  di viaggio ( art 24), rilascio presso le questure per i rifugiati, presso le autorità consolari in Italia del proprio paese di origine per gli status di protezione sussidiaria e/ o motivi umanitari. Problema: fondate ragioni che non consentono al soggetto di rivolgersi alle  proprie ambasciate, la Questura che ha rilasciato il permesso rilascia il titolo di viaggio.

Minori non accompagnati ( art 28): nomina tutore, categorie soggetti vulnerabili Decreto legislativo 140 /2005 in attuazione della direttiva sulla protezione
Permesso di soggiorno: 5 anni status di rifugiato; 3 anni proitezxione sussidiaria; 1 anno protezione umanitaria.
Possibilità di conversione previste dall’art 28 del D.p.r

 

Direttiva 2005/85/CE del Consiglio del 1o dicembre 2005 recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato ( direttiva procedure)

Considerando n 21: “La designazione di un paese terzo quale paese di origine
sicuro ai fini della presente direttiva non può stabilire
una garanzia assoluta di sicurezza per i cittadini di tale
paese. Per la sua stessa natura, la valutazione alla base
della designazione può tener conto soltanto della situazione
civile, giuridica e politica generale in tale paese e se
in tale paese i responsabili di persecuzioni, torture o altre
forme di punizione o trattamento disumano o degradante
siano effettivamente soggetti a sanzioni se riconosciuti
colpevoli. Per questo motivo è importante che,
quando un richiedente dimostra che vi sono fondati motivi
per non ritenere sicuro tale paese per la sua situazione
particolare, la designazione del paese come sicuro
non può più applicarsi al suo caso.

Articolo 39
Diritto a un mezzo di impugnazione efficace
1. Gli Stati membri dispongono che il richiedente asilo abbia
diritto a un mezzo di impugnazione efficace dinanzi a un giudice
avverso i seguenti casi:

  • la decisione sulla sua domanda di asilo, compresa la decisione

e) una decisione di revoca dello status di rifugiato a norma
dell’articolo 38.
2. Gli Stati membri prevedono i termini e le altre norme
necessarie per l’esercizio, da parte del richiedente, del diritto
ad un mezzo di impugnazione efficace di cui al paragrafo 1.
3. Gli Stati membri prevedono, se del caso, norme conformi
ai loro obblighi internazionali intese:
a) a determinare se il rimedio di cui al paragrafo 1 produce
l’effetto di consentire ai richiedenti di rimanere nello Stato
membro interessato in attesa del relativo esito;
b) a prevedere la possibilità di un mezzo di impugnazione
giurisdizionale o di misure cautelari, qualora il mezzo di
impugnazione di cui al paragrafo 1 non produca l’effetto
di consentire ai richiedenti di rimanere nello Stato membro
interessato in attesa del relativo esito. Gli Stati membri possono
anche prevedere un mezzo di impugnazione d’ufficio; e
c) a stabilire i motivi per impugnare una decisione a norma
dell’articolo 25, paragrafo 2, lettera c), conformemente al
metodo applicato a norma dell’articolo 27, paragrafo 2, lettere
b) e c).
4. Gli Stati membri possono stabilire i termini entro i quali il
giudice di cui al paragrafo 1 esamina la decisione dell’autorità
accertante.
5. Qualora ad un richiedente sia stato riconosciuto uno status
che offre gli stessi diritti e vantaggi secondo il diritto nazionale
e comunitario dello status di rifugiato a norma della
direttiva 2004/83/CE, si può considerare che il richiedente disponga
di un mezzo di impugnazione efficace, se un giudice
decide che il mezzo di impugnazione di cui al paragrafo 1 è
inammissibile o ha poche possibilità di successo a motivo di un
insufficiente interesse del richiedente alla continuazione del procedimento.
6. Gli Stati membri possono altresì stabilire nella legislazione
nazionale le condizioni che devono sussistere affinché si possa
presumere che il richiedente abbia implicitamente ritirato o
rinunciato al mezzo di impugnazione di cui al paragrafo 1,
nonché le norme procedurali applicabili.

Articolo 15
Diritto all’assistenza e alla rappresentanza legali
1. Gli Stati membri accordano ai richiedenti asilo la possibilità
di consultare, a loro spese, in maniera effettiva un avvocato
o altro consulente legale, autorizzato o riconosciuto a norma
della legislazione nazionale, sugli aspetti relativi alla domanda di
asilo.
2. Nell’eventualità di una decisione negativa dell’autorità accertante,
gli Stati membri dispongono che, su richiesta, siano
concesse assistenza e/o rappresentanza legali gratuite nel rispetto
delle disposizioni del paragrafo 3.
3. Gli Stati membri possono prevedere nella legislazione nazionale
di accordare assistenza e/o rappresentanza legali gratuite:
a) soltanto nei procedimenti dinanzi a un giudice a norma del
capo V e non per i ricorsi o riesami ulteriori previsti dalla
legislazione nazionale, compreso il riesame della causa in
seguito ad un ricorso o riesame ulteriori; e/o
b) soltanto a chi non disponga delle risorse necessarie; e/o
c) soltanto rispetto agli avvocati o altri consulenti legali che
sono specificamente designati dalla legislazione nazionale
ad assistere e/o rappresentare i richiedenti asilo; e/o
d) soltanto se il ricorso o il riesame hanno buone probabilità di
successo.
Gli Stati membri provvedono affinché l’assistenza e la rappresentanza
legali di cui alla lettera d) non siano oggetto di restrizioni
arbitrarie.
4. Le norme a disciplina delle modalità di presentazione e di
trattamento di richieste di assistenza e/o rappresentanze legali
possono essere previste dagli Stati membri.
5. Gli Stati membri possono altresì:
a) imporre limiti monetari e/o temporali alla prestazione di
assistenza e/o rappresentanza legali gratuite, purché essi
non costituiscano restrizioni arbitrarie all’accesso all’assistenza
e/o rappresentanza legali;
b) prevedere, per quanto riguarda gli onorari e le altre spese,
che il trattamento concesso ai richiedenti non sia più favorevole
di quello di norma concesso ai propri cittadini per
questioni che rientrano nell’assistenza legale.
6. Gli Stati membri possono esigere un rimborso integrale o
parziale delle spese sostenute, allorché vi sia stato un considerevole
miglioramento delle condizioni finanziarie del richiedente
o se la decisione di accordare tali prestazioni è stata presa in
base a informazioni false fornite dal richiedente.

 

Attuazione direttiva procedure 2005/85/CE D.lgs 25/2008, 159/2008 e legge 94/2009
La riforma prevede l’introduzione di una serie di nuove terminologie: “protezione internazionale”, che comunque continuerà a dover essere presentata personalmente dal cittadino di paese terzo presso l’ufficio di polizia di frontiera, che inviterà il richiedente a recarsi presso la Questura competente per territorio o presso l’ufficio della Questura competente in base al luogo di dimora del richiedente. Le questure e gli uffici di frontiera ex lege non devono essere competenti per la decisione sulla domanda di asilo, ma solo epr raccogliere la domanda, segnalare al dipartimento libertà civili ed immigrazione –Unità Dublino i dati per il controllo in Eurodac e predisporre la compilazione del modello C3 con un traduttore.

L’abolizione delle clausole ostative alla procedura
Importante è inoltre l’abolizione prevista dal decreto “procedure” delle clausole ostative all’ammissione alla procedura, facendo venir meno il potere in capo alla polizia di frontiera e alla Questura di determinare l’ammissibilità della richiesta di asilo nel caso di arrivo del richiedente da un paese terzo, ovvero di uno status di rifugiato già riconosciuto in un paese terzo, nei casi di applicazione delle clausole di esclusione previste dalla Convenzione di Ginevra nonché di precedenti penali di una certa gravità.
Il decreto conferisce in via esclusiva tale potere accertativo alle sole Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e le autorità di polizia sono tenute a ricevere la domanda a procedere alla verbalizzazione e alla trasmissioni degli atti alla Commissione Territoriale competente per territorio.
Espletate le formalità di rito in Questura, al richiedente verrà rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta asilo di tre mesi, rinnovabile in pendenza dell’intera procedura o un attestato nominativo, nei casi in cui sarà ospitato presso un Centro di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) o trattenuto in un CIE
Il richiedente asilo ha diritto di permanere nel territorio italiano durante la procedura ( fase prodromica alla commissione-audizione in commissione-decisione) e ha il diritto di vedersi rilasciare un permesso di sogigonro epr richiesta asilo, decorsi sei mesi dal primo rilascio tale permesso consente l’attività lavorativa.
Il richiedente asilo che si sia visto notificare un provvedimento di espulsione prima della proposizione della domanda di asilo, e che si veda contestato il resto 10 bis ai sensi del comma 6 dell’art. 10 bis stesso si vede, presentando istanza di protezione internazionale, sospendere il suddetto provvedimento di espulsione. Ciò pone dei dubbi interpretativi rispetto al diritto di accesso alla procedura asilo e la prassi delle questure italiane, nonché  le difficoltà del rivivere di una espulsione pregressa in caso di rigetto da parte delle commissioni

L’accoglienza e il trattenimento: dai CID, CARA, CIE
La nuova normativa abolisce i Centri di identificazione (CID) creati dalla legge Bossi-Fini per trattenere i richiedenti asilo in alcune situazioni per le quali si riteneva necessario una verifica della loro identità o nazionalità ovvero della fondatezza della domanda di asilo.
Il richiedente l’asilo, seppure non possa essere accolto al solo fine di esaminare la domanda, può essere ospitato in Centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) appositamente costituiti.
Forti preoccupazioni sono state sollevate da parte delle Associazioni del terzo settore e dallo stesso UNHCR all’interno del “Tavolo asilo” rispetto a questo punto della nuova disciplina, che ha pressoché lasciato invariato, nella sostanza, la situazione precedente.
I casi infatti per il quale si parla oggi di “accoglienza nei CARA” e non più di “trattenimento nei CID” sono i medesimi. Nei CARA, le cui strutture coincideranno in larga parte con i precedenti CID, i richiedenti asilo saranno “ospitati” per un periodo fino a 20 giorni, ai fini dell’identificazione o fino a 35 giorni, nei casi in cui la persona abbia eluso, o tentato di eludere, i controlli di frontiera, o sia stato fermato in condizioni di soggiorno irregolare, o quando la domanda di asilo sia stata presentata dopo l’espulsione o il respingimento.
Si tratterà di strutture aperte, all’interno delle quali verrà garantita la facoltà di uscire durante le ore diurne prassi peraltro già presente in alcuni CID, indipendentemente dal motivo che ha reso necessaria l’accoglienza nonché la facoltà di richiedere al prefetto un permesso per periodi superiori, “per rilevanti motivi personali”.
Allo scadere dei termini previsti per l’accoglienza - 20 o 35 giorni - qualora la richiesta di asilo non sia ancora stata esaminata, il richiedente dovrà lasciare il centro e gli verrà consegnato un permesso di soggiorno di tre mesi rinnovabile fino alla decisione della Commissione in merito al suo status.

Casi di trattenimento nei CIE ( art 21)
-commissione reati contro la pace;
-commissione reati indicati dall’art 380 1 e 2 comma c.p.p.
-destinatari di provvedimenti di espulsione o respingimento

Le Commissioni sul riconoscimento della protezione internazionale (art. 4)
Il decreto “procedure” aumenta il numero delle Commissioni Territoriali preposte all’esame della domanda, che dalle attuali 7 (Crotone, Foggia, Gorizia, Milano, Roma, Siracusa, Trapani) arriveranno fino ad un massimo di 10 con l’inclusione di Bari, Caserta e Torino.
Anche le Commissioni cambiano nome trasformandosi in Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale.
La  Commissione nazionale per il diritto d’asilo amplia le sue funzioni di coordinamento e controllo sulle Commissioni territoriali, in materia di revoca e cessazione della protezione internazionale, acquisendo nuove competenze ai fini della costituzione e aggiornamento di un centro di documentazione sulla situazione socio-politico-economica dei Paesi di origine dei richiedenti e di monitoraggio dei flussi di richiedenti asilo.
La Commissione Nazionale per il Diritto d’Asilo – Sezione Speciale Stralcio, competente ad esaminare in via esclusiva le richieste d’asilo presentate in Italia anteriormente al 21 aprile 2005, data in cui le Commissioni Territoriali si sono sostituite alla precedente Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato, ha terminato la sua attività.
Essa è competente per ogni provvedimento di revoca degli status. Poiché ha sede a Roma, il foro competente in caso di impugnazione della revoca dello status sarà il Foro di Roma.

 

Abolizione delle procedure differenziate
La riforma re-introduce la procedura unica in luogo di quella “ordinaria” e “semplificata” in vigore dal 21 aprile 2005.
Sono tuttavia previste alcune deroghe, tassative, con il ricorso all’“esame prioritario”: in presenza di una richiesta presentata a seguito del raggiungimento di un provvedimento di espulsione o da parte di un cittadino straniero condannato in Italia per un delitto ovvero se sussistono le condizioni che potrebbero dar luogo all’applicazione delle clausole di esclusione della Convenzione di Ginevra. L’esame prioritario è inoltre disposto in presenza di una domanda di protezione palesemente fondata, di persone particolarmente vulnerabili o di minori. In tali casi la Commissione Territoriale procede all’esame fissando l’audizione entro 7 giorni e la decisione nei 2 giorni successivi.
La Commissione territoriale competente per l’esame della richiesta di protezione internazionale è definita sulla base del luogo dove è stata presentata l’istanza e alla Questura che ha provveduto alla verbalizzazione spetterà trasmettere gli atti dovuti.

L'Ammissibilità della richiesta di protezione
La Commissione potrà pronunciarsi sulla eventuale non-ammissibilità della richiesta senza aver tenuto l’audizione solo nei casi in cui il richiedente sia già stato riconosciuto rifugiato da un Paese firmatario della Convenzione del ’51 e possa ancora avvalersi della sua protezione ovvero se abbia reiterato identica domanda di asilo già precedentemente presentata in Italia, senza che vi siano nuovi ulteriori elementi. In tutti gli altri casi, dovrà invece procedere all’esame di merito della domanda attraverso un colloquio personale, in seduta non pubblica e, ove necessario, in presenza di un interprete.

Diritto di informazione art 10; Obblighi del richiedente asilo art 11

Il Colloquio personale (art 12,13, 14, 15)
La Commissione può decidere infatti di omettere l’intervista quando ritiene di avere sufficienti elementi per accogliere la domanda o nei casi in cui sia certificata da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale l'incapacità' o l'impossibilità dell’interessato di sostenere un colloquio personale.
L’audizione può inoltre avvenire ( come accade nella maggior parte dei casi) anche in presenza di uno solo dei membri della Commissione, su istanza motivata del richiedente e, ove possibile, del suo stesso sesso.

Documentazione-memorie- assenza di assistenza legale a spese dello stato solo nella fase amministrativa ( art 16, 17, 18)
Il richiedente può presentare in ogni fase della procedura documenti comprovanti le sue dichiarazioni ma il decreto “qualifiche” pur sottolineando la loro importanza ribadisce che non debbono essere considerati come elemento esclusivo in quanto anche se i fatti riferiti non siano suffragati da prove, essi possono essere considerati veritieri se l’autorità competente all’esame ritiene che il richiedente abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per produrli, fornendo idonea motivazione all’eventuale mancanza di altri elementi significativi, le sue dichiarazioni sono coerenti e plausibili, la presentazione della sua domanda è stata tempestiva (salvo non giustifichi eventuali ritardi) e dai riscontri effettuati la sua storia risulta attendibile.
Viene inoltre fatto esplicito riferimento al diritto ad essere assistiti da un avvocato, a proprie spese,  o da  personale di sostegno per portare assistenza nel caso il richiedente sia un anziano, disabile, minore, donna in stato di gravidanza, genitore singolo con figlio minore o di persona cui sia stato accertato essere stata vittima di gravi forme di violenza fisica o psichica, tortura, stupri.

 

L'Abolizione della rinuncia implicita alla richiesta di asilo
Se il richiedente non si presenta alla data del colloquio senza una valida motivazione o qualora si allontani dal Centro senza autorizzazione, la Commissione decide sulla base della documentazione disponibile. Anche in questa ipotesi la riforma ha introdotto un’importante novità rispetto alla precedente normativa, prevedendo l’abolizione della rinuncia implicita alla richiesta di asilo.

La decisione della Commissione
I tempi per l’esame della richiesta e per l’adozione della relativa decisione sono di 33 giorni, 30 giorni entro i quali tenere l’audizione e, da questa data, 3 entro i quali la Commissione territoriale deve emettere la sua decisione.
La Commissione territoriale può riconoscere lo status di rifugiato qualora ravvisi i presupposti di persecuzione sanciti dall’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1951 o la protezione sussidiaria, in caso di persona comunque bisognosa di protezione  internazionale che non soddisfi i criteri della Convenzione.
Il diniego viene disposto dalla Commissione qualora ritenga che non sussistano i presupposti per la protezione internazionale e/o il richiedente costituisca un pericolo per la sicurezza dello Stato, l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica essendo stato condannato per i reati previsti dall’articolo 407 comma 2 a) c.p.p. o in presenza di una delle cause di cessazione ed esclusione o la persona provenga da un paese di origine sicuro.
Con la definizione di "paese terzo sicuro" si fa riferimento a quei paesi nei quali in via generale vengono garantiti il rispetto dei diritti umani fondamentali e le autorità sono in grado di fornire protezione ai loro cittadini. Il peso politico e diplomatico che tali valutazioni portano con sé non può essere sottaciuto e in molte occasioni ha fatto pendere l'ago della bilancia, guardando con "accondiscendenza" anche a paesi fortemente discussi.
L’applicazione di questo criterio comporta l’esclusione a priori dal diritto di chiedere asilo, di intere categorie di soggetti solo sulla base della loro cittadinanza - in quanto provenienti da un presunto paese sicuro – senza invece basare la decisione sulla loro situazione personale, con il serio rischio di contravvenire al principio di non refoulement divenuto ormai un principio di diritto consuetudinario.
A livello europeo è da anni in corso un dibattito molto serrato sull'adozione da parte degli Stati membri di una lista comune sui paesi di origine sicuri, ma profonde sono ancora le spaccature e le contrapposizioni, situazione che ha comunque permesso che alcuni paesi introducessero la nozione nei propri sistemi legislativi. Tuttavia in più occasioni Corti nazionali e internazionali hanno espresso riserve sull’applicazione indistinta di tale principio, da ultimo, solo a metà febbraio, il Consiglio di Stato francese, che si è pronunciato ritenendo che Stati come la Nigeria o l’Albania non possano essere considerati paesi di origine sicuri a causa "dell’instabilità del contesto politico e sociale proprio di questi due paesi".
Il decreto “procedure” stabilisce tuttavia che in presenza di un richiedente proveniente da un paese di origine sicuro, questo potrà comunque addurre gravi motivi per non ritenere sicuro quel Paese nelle circostanze specifiche in cui egli si trova, in particolare in presenza di gravi discriminazioni e repressioni di comportamenti non costituenti reato per l'ordinamento italiano, riferiti al richiedente e che risultano oggettivamente perseguibili nel suo paese; in tal caso la Commissione territoriale è tenuta a pronunciarsi sulla sua domanda solo dopo aver svolto l’esame attenendosi alle procedure previste dal decreto n. 25/2008.
Nei casi in cui la Commissione non accoglie la richiesta di protezione internazionale ma  ritiene possano sussistere gravi motivi di carattere umanitario ai sensi dell’articolo 5 comma 6 del Testo Unico sull’Immigrazione può comunque chiedere al Questore di valutare il rilascio di un permesso per motivi umanitari. LA DECISIONE DEVE ESSERE MOTIVATA E DOVREBBE ESSERE, PER IL PIENO RISPETTO DEL DIRITTO DI DIFESA, TRADOTTA IN LINGUA COMPRENSIBILE AL RICHEIDENTE ASILO.

Tutela giurisdizionale: mezzi di impugnazione
Il D.lgs 25/2008 prevedeva all’art 35 che la proposizione del ricorso comporti la sospensione automatica dell’esecutività del provvedimento di diniego della protezione internazionale e della connessa espulsione. La modifica del novembre 2008 con il D.lgs 159/2008 sono intervenuta prevendendo la non automaticità ma l’obbligatorietà di inserire nel ricorso l’istanza di sospensiva, questo si pone in contrasto con il citato art 13 CEDU e art 39 direttiva procedure. Il ricorso viene proposto ai sensi degli art 737 c.p.c e seguenti, impugnabile poi con reclamo in corte di appello.

La riforma introduce termini perentori per la proposizione del ricorso: 30 giorni dalla data di notifica del provvedimento. Nei casi di trattenimento nei CIE, però, i termini per la presentazione del ricorso, a pena di inammissibilità, rimangono di 15 giorni.
Viene invece abrogato lo strumento del riesame introdotto dalla legge 189/2002 e che prevedeva la possibilità nei casi di trattenimento facoltativo nei CID di presentare entro 5 giorni dalla data di notifica del diniego, istanza alla Commissione Territoriale competente che avrebbe proceduto a riascoltare l’interessato integrata da un membro della Commissione Nazionale per il Diritto d’Asilo ( SI SOTTOLINEA COME SIANO STATE COMUNQUE ACCOLTE ISTANZE DI RIESAME)

Foro Competente
La riforma dispone che è il tribunale in composizione monocratica con sede nel capoluogo di distretto di corte d’appello in cui si trova la Commissione Territoriale che ha deciso della domanda di protezione internazionale, competente a pronunciarsi nel merito del ricorso, anche quando non coincide con il domicilio eletto dal ricorrente.
L’espressa indicazione legislativa del Tribunale competente colma una grave lacuna che aveva causato non pochi problemi in questi anni; con l’entrata in vigore del Regolamento attuativo della Bossi-Fini, il 21 aprile del 2005, si era andato sviluppando un orientamento giurisdizionale che riconosceva la competenza in merito al ricorso ai Tribunali dove aveva sede la corte di appello in cui si trova la Commissione Territoriale. Una sentenza della Corte di Cassazione, n. 11916/2007, però ha invece attribuito la competenza al Tribunale dove ha sede la Commissione territoriale con la conseguenza che i ricorsi ancora pendenti sono stati dichiarati inammissibili e riassunti innanzi al foro competente, causando gravi  ritardi e disagi ai ricorrenti privi di un documento legale di soggiorno.

Forti critiche sono state sollevate dalle Associazioni di tutela rispetto ai termini per l’impugnazione e allo stesso foro competente: i termini troppo brevi per la presentazione del ricorso (estesi da 15 giorni a 30 giorni, nella maggior parte dei casi, dopo il lungo lavoro di lobby delle associazioni) ostacolano la proposizione di una difesa articolata e puntuale, i colloqui con il ricorrente, spesso complessificati dalle difficoltà di comprensione linguistica o di produzione/richiesta di ulteriore documentazione da allegare agli atti. 
La previsione poi che la competenza a pronunciarsi sui ricorsi spetti unicamente ad alcuni tribunali, dieci in tutta Italia (dal momento che le Commissioni territoriali verranno portate a dieci con l’inclusione di Bari, Caserta e Torino) ha tra i suoi effetti più preoccupanti lo scarso sviluppo della giurisprudenza in materia di asilo, la difficoltà per i ricorrenti che non hanno la residenza nel luogo della Commissione Territoriale (ipotesi molto frequente stante il vasto e diramato sistema di accoglienza) di individuare/contattare un legale che opera nel foro di competenza, infine la difficoltà anche per le associazioni di tutela di seguire il ricorrente “a distanza” e di fare da “mediatori” con il  legale

Ricorso: decisione della Corte
Art. 35. Impugnazione
1. Avverso la decisione della Commissione territoriale e' ammesso ricorso dinanzi al tribunale che ha sede nel capoluogo di distretto di corte d'appello in cui ha sede la Commissione territoriale che ha pronunciato il provvedimento. Il ricorso e' ammesso anche nel caso in cui l'interessato abbia richiesto il riconoscimento dello status di rifugiato e la Commissione territoriale lo abbia ammesso esclusivamente alla protezione sussidiaria. Il ricorso e' proposto, a pena di inammissibilità, nei trenta giorni successivi alla comunicazione del provvedimento; allo stesso e' allegata copia del provvedimento impugnato. Nei casi di accoglienza o trattenimento disposti ai sensi degli articoli 20 e 21 (1), il ricorso e' proposto, a pena di inammissibilità, nei quindici giorni successivi alla comunicazione del provvedimento dinanzi al tribunale che ha sede nel capoluogo di distretto di corte d'appello in cui ha sede il centro.
2. Avverso la decisione della Commissione nazionale sulla revoca o sulla cessazione dello status di rifugiato o di persona cui e' accordata la protezione sussidiaria, e' ammesso ricorso dinanzi al tribunale competente in relazione alla Commissione territoriale che ha emesso il provvedimento che ha riconosciuto lo status di cui e' stata dichiarata la revoca o la cessazione.
3. Tutte le comunicazioni e notificazioni si eseguono presso l'avvocato del ricorrente mediante avviso di deposto in cancelleria.
4. Il procedimento si svolge dinanzi al tribunale in composizione monocratica con le modalità dei procedimenti in camera di consiglio.
5. [Entro cinque giorni dal deposito del ricorso, il tribunale, con decreto apposto in calce allo stesso, fissa l'udienza in camera di consiglio. Il ricorso e il decreto di fissazione dell'udienza sono notificati all'interessato e comunicati al pubblico ministero e alla Commissione nazionale ovvero alla competente Commissione territoriale.] Entro cinque giorni dal deposito del ricorso, il tribunale, con decreto apposto in calce allo stesso, fissa l'udienza in camera di consiglio. Il ricorso e il decreto di fissazione dell'udienza sono notificati all'interessato e al Ministero dell'interno, presso la Commissione nazionale ovvero presso la competente Commissione territoriale, e sono comunicati al pubblico ministero. (6)
6. La proposizione del ricorso avverso il provvedimento che rigetta la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o di persona cui e' accordata la protezione sussidiaria ai sensi dei commi 1 e 2 sospende l'efficacia del provvedimento impugnato.
7. La proposizione del ricorso avverso il provvedimento che dichiara inammissibile la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o di persona cui e' accordata la protezione sussidiaria ovvero avverso la decisione adottata dalla Commissione territoriale ai sensi dell'articolo 22, comma 2, e dell'articolo 32, comma 1, lettera b-bis) (2), non sospende l'efficacia del provvedimento impugnato. Il ricorrente può tuttavia chiedere al tribunale, contestualmente al deposito del ricorso, la sospensione del provvedimento quando ricorrano gravi e fondati motivi. In tale caso il tribunale, nei cinque giorni successivi al deposito, decide con ordinanza non impugnabile, anche apposta in calce al decreto di fissazione dell'udienza. Nel caso di sospensione del provvedimento impugnato al richiedente e' rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta di asilo ed e' disposta l'accoglienza nei centri di cui all'articolo 20.
8. La procedura di cui al comma 7 si applica, in ogni caso, al ricorso presentato dal richiedente di cui agli articoli 20, comma 2, lettere b) e c), e 21 (3). Il richiedente ospitato nei centri di accoglienza ai sensi dell'articolo 20, comma 2, lettere b) e c) (4), o trattenuto ai sensi dell'articolo 21 permane nel centro in cui si trova fino alla adozione dell'ordinanza di cui al comma 7.
9. [All'udienza può intervenire un rappresentante designato dalla Commissione nazionale o territoriale che ha adottato l'atto impugnato. La Commissione interessata può in ogni caso depositare alla prima udienza utile tutti gli atti e la documentazione che ritiene necessari ai fini dell'istruttoria.] Il Ministero dell'interno, limitatamente al giudizio di primo grado, può stare in giudizio avvalendosi direttamente di un rappresentante designato dalla Commissione nazionale o territoriale che ha adottato l'atto impugnato. La Commissione interessata può in ogni caso depositare alla prima udienza utile tutti gli atti e la documentazione che ritiene necessari ai fini dell'istruttoria. Si applica, in quanto compatibile, l'articolo 417-bis, secondo comma, del codice di procedura civile. (7)
10. [Il tribunale, sentite le parti e assunti tutti i mezzi di prova necessari, decide con sentenza entro tre mesi dalla presentazione del ricorso, con cui rigetta il ricorso ovvero riconosce al ricorrente lo status di rifugiato o di persona cui e' accordata la protezione sussidiaria; la sentenza viene notificata al ricorrente e comunicata al pubblico ministero e alla Commissione interessata.] Il tribunale, sentite le parti e assunti tutti i mezzi di prova necessari, entro tre mesi dalla presentazione del ricorso decide con sentenza con cui rigetta il ricorso ovvero riconosce al ricorrente lo status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria; la sentenza è notificata al ricorrente e al Ministero dell'interno, presso la Commissione nazionale ovvero presso la competente Commissione territoriale, ed è comunicata al pubblico ministero. (7)
11. [Avverso la sentenza pronunciata ai sensi del comma 10 il ricorrente ed il pubblico ministero possono proporre reclamo alla corte d'appello, con ricorso da depositarsi nella cancelleria della corte d'appello, a pena di decadenza, entro dieci giorni dalla notificazione o comunicazione della sentenza.] Avverso la sentenza pronunciata ai sensi del comma 10 il ricorrente, il Ministero dell'interno e il pubblico ministero possono proporre reclamo alla corte d'appello, con ricorso da depositare presso la cancelleria della corte d'appello, a pena di decadenza, entro dieci giorni dalla notificazione o comunicazione della sentenza. (7)
12. Il reclamo non sospende gli effetti della sentenza impugnata; tuttavia la corte d'appello, su istanza del ricorrente, può disporre con ordinanza non impugnabile che l'esecuzione sia sospesa quando ricorrano gravi e fondati motivi.
13. Nel procedimento dinanzi alla corte d'appello, che si svolge in camera di consiglio, si applicano i commi 5, 9 e 10.
14. [Avverso la sentenza pronunciata dalla corte d'appello può essere proposto ricorso per cassazione. Il ricorso deve essere proposto, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza. Esso viene notificato ai soggetti di cui al comma 5 (5), assieme al decreto di fissazione dell'udienza in camera di consiglio, a cura della cancelleria. La Corte di cassazione si pronuncia in camera di consiglio ai sensi dell'articolo 375 c.p.c.] Avverso la sentenza pronunciata dalla corte d'appello può essere proposto ricorso per cassazione. Il ricorso deve essere proposto, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza. Esso è notificato alle parti assieme al decreto di fissazione dell'udienza in camera di consiglio, a cura della cancelleria. La Corte di cassazione si pronuncia in camera di consiglio ai sensi dell'articolo 375 del codice di procedura civile. (8)

(1) Le originarie parole: «Nei soli casi di trattenimento disposto ai sensi dell'articolo 21» sono state così sostituite dalle attuali: «Nei casi di accoglienza o trattenimento disposti ai sensi degli articoli 20 e 21» dall'art. 1, comma 1 lett. h), del decreto legislativo 3 ottobre 2008, n. 159.
(2) Le parole: «e dell'articolo 32, comma 1, lettera b-bis)» sono state inserite dall'art. 1, comma 1, lett. i), del decreto legislativo 3 ottobre 2008, n. 159.
(3) Le originarie parole: «Nei di cui agli articoli 20, comma 2, lettera d), e 21» sono state così sostituite dalle attuali: «di cui agli articoli 20, comma 2, lettere b) e c), e 21» dall'art. 1, comma 1 lett. l), del decreto legislativo 3 ottobre 2008, n. 159.
(4) Le originarie parole: «ai sensi dell'articolo 20, comma 2, lettera d)» sono state così sostituite dalle attuali: «ai sensi dell'articolo 20, comma 2, lettere b) e c)» dall'art. 1, comma 1 lett. l), del decreto legislativo 3 ottobre 2008, n. 159.
(5) Le originarie parole: «comma 6» sono state così sostituite dalle attuali: «comma 5» dall'art. 1, comma 1 lett. m), del decreto legislativo 3 ottobre 2008, n. 159.
(6) Comma così sostituito dall'art. 1, comma 13, lettera a) della legge 15 luglio 2009, n. 94.
(7) Comma così sostituito dall'art. 1, comma 13, lettera b) della legge 15 luglio 2009, n. 94.
(8) Comma così sostituito dall'art. 1, comma 13, lettera c) della legge 15 luglio 2009, n. 94.

Il ricorrente non può mai ad oggi godere dell’effetto sospensivo riconosciuto dal decreto “procedure” ai sensi del neo art 35 modificato dal D.lgs 159/2008, in particolare qualora abbia presentato domanda di asilo in condizioni di trattenimento in un Cie, o si sia allontanato senza giustificato motivo dal CARA, Cie o da un centro dello SPRAR, o quando concerne un provvedimento che aveva dichiarato l’inammissibilità della domanda di protezione.
In questi casi la sospensione deve essere espressamente richiesta al giudice, chiamato a decidere con ordinanza non impugnabile entro 5 giorni, fatto salvo il diritto del ricorrente di chiedere al tribunale la sospensione del provvedimento, qualora ricorrano gravi e fondati motivi.
Fino alla pronuncia dell’ordinanza, il ricorrente ospitato/trattenuto in un centro, continua a rimanere all’interno della struttura e nel caso della sospensione del provvedimento impugnato, gli viene rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta di asilo.
Nei casi ordinari invece, il giudice emette sentenza in merito al ricorso entro 3 mesi dalla proposizione della causa.
Il ricorrente rimane nella condizione di richiedente asilo fino alla pronuncia della sentenza del tribunale civile.
Durante la pendenza del ricorso, il richiedente asilo, già ospite del CARA, di un centro dello SPRAR o di un CIE, al quale il giudice ha concesso la sospensione dell’espulsione, ha diritto a rimanere nella struttura, secondo le modalità stabilite dal decreto legislativo 140/2005 in materia di accoglienza dei richiedenti asilo.
Qualora inoltre abbia già un permesso di soggiorno per richiesta di asilo con diritto al lavoro, il ricorrente potrà continuare a svolgere attività lavorative.
La decisione è appellabile con reclamo - questa volta non immediatamente sospensivo, salvo apposita istanza - da depositarsi entro 10 giorni dalla notificazione o comunicazione della sentenza di primo grado.
Infine è previsto il terzo grado di giudizio, da proporsi in Cassazione, a pena di decadenza, entro 30 giorni dalla notifica della sentenza. 

Introduzione del principio del ricorso a spese dello Stato
Il decreto “procedure” esplicita per la prima volta il diritto per i ricorrenti ad accedere all’istituto del gratuito patrocinio a spese dello Stato, secondo le modalità di autocertificazione della situazione finanziaria personale, senza quindi dover ricorrere alla richiesta di specifica documentazione all’ambasciata del paese di origine ( richiamo art 94 D.p.r 115/2002)
Al richiedente asilo che ha proposto il ricorso ai sensi dell'articolo 35, si applica l'articolo 11 del decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 140, e dunque se la decisione definitiva non interviene nel termine di sei mesi dalla proposizione della domanda matura comunque il diritto a svolgere una attività lavorativa e ad avere prorogato il permesso di soggiorno per richiesta asilo...
Il richiedente di cui al comma 1 ospitato nei centri di cui all'articolo 20 ( centri di accoglienza)  rimane in accoglienza nelle medesime strutture con le modalità stabilite dal decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 140.
Il richiedente trattenuto nei centri di cui all'articolo 21 nei CIE, che ha ottenuto la sospensione del provvedimento impugnato, ai sensi dell'articolo 35, comma 8 ( del decreto legislativo 25 del 2008), ha accoglienza nei centri di cui all'articolo 20 ( dello stesso decreto) con le modalità stabilite dal decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 140.
Secondo l’art. 6, comma sesto, del decreto legislativo 30 maggio 2005 n. 140, relativo alle misure di accoglienza dei richiedenti asilo, “L'indirizzo della struttura di accoglienza, è comunicato, a cura della Prefettura - Ufficio territoriale del Governo, alla Questura, nonché alla Commissione territoriale e costituisce il luogo di residenza del richiedente, valevole agli effetti della notifica e della comunicazione degli atti relativi al procedimento di riconoscimento dello status di rifugiato, nonché alle procedure relative all'accoglienza, disciplinate dal presente decreto. E' nella facoltà del richiedente asilo comunicare tale luogo di residenza al proprio difensore o consulente legale”.
In tutte le fasi della procedura, incluso il ricorso giurisdizionale, e la conseguente richiesta di ammissione al patrocinio gratuito dunque, il richiedente asilo o protezione sussidiaria, che presenta un ricorso contro il diniego, è da considerare come una persona identificata con un “ attestato nominativo” rilasciato dal Questore, legalmente residente e domiciliata in Italia in base ad un riconoscimento e ad una documentazione proveniente dalla Pubblica Amministrazione, che sarebbe anzi tenuta a rilasciare l’attestato nominativo all’interessato, con immediatezza, e non a trattenere tale attestazione presso gli uffici,  per tutta la durata della procedura e nelle fasi del ricorso giurisdizionale. Spesso si verifica invece che tale consegna immediata al richiedente asilo non avviene, con successive difficoltà di accesso ai diritti e di difesa qualora la persona venga trasferita  successivamente da una ad un’ altra delle numerose strutture di accoglienza predisposte sul territorio nazionale.
Una lettura orientata in senso costituzionale della normativa oggi vigente sul patrocinio a spese dello stato, con riguardo ai richiedenti asilo, non può considerarli in una posizione peggiore degli immigrati irregolari, o altre volte ritenerli alla stessa stregua degli immigrati regolari per ragioni economiche, e condurre a soluzioni applicative che risultino in contrasto con il riconoscimento costituzionale del diritto di asilo o con il diritto di difesa garantito dall’art. 24 della Costituzione, oltre che dalle Convenzioni Internazionali sottoscritte dall’Italia e dalle Direttive comunitarie..
Occorre pertanto richiamare quanto affermato dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n.144 del 2004, seppure relativa al diverso caso di immigrati irregolari, e non richiedenti asilo dotati di uno status legale, almeno fino alla definizione dei mezzi di ricorso. In quella sentenza la Corte Costituzionale  stabiliva la irrilevanza del possesso del codice fiscale ai fini dell’accesso all’istituto del gratuito patrocinio. Osservava la Corte come l’obbligo di produrre il codice fiscale si configurerebbe come un «mero adempimento burocratico privo di giustificazione», perché gli immigrati non in regola con la legge non possono avere codice fiscale, quindi il suo mancato possesso non sarebbe “imputabile allo straniero ma ad una impossibilità giuridica di carattere oggettivo”. 
Si deve anche ricordare come l’istituto del patrocinio a spese dello stato ha recentemente ampliato la sua portata applicativa. Con la sentenza n. 254 del 2007 la Corte Costituzionale ha riconosciuto al cittadino straniero, imputato in un procedimento penale e ammesso al patrocinio a spese dello stato, che non conosce la lingua italiana, di nominare un proprio interprete. La Corte rileva che “il riconoscimento in capo all'imputato straniero che non conosce la lingua italiana del diritto di nomina di un proprio interprete non può, in virtù dei principi sopra esposti, soffrire alcuna limitazione. Invero, l'istituto del patrocinio a spese dello Stato, essendo diretto a garantire anche ai non abbienti l'attuazione del precetto costituzionale di cui al terzo comma dell'art. 24 della Costituzione, prescrive che a questi siano assicurati i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione e ciò in esecuzione del principio posto dal primo comma della stessa disposizione, secondo cui tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”.

La decisione della Corte conferma come il legislatore, anche tenendo conto del principio di uguaglianza affermato dall’art. 3 della Costituzione, può variamente disciplinare le condizioni soggettive di accesso all’istituto del patrocinio a spese dello Stato, ma sempre entro i limiti della ragionevolezza e della non discriminazione, oltre che nel rispetto dei principi fondamentali come gli art. 10 e 24 affermati dalla Carta Costituzionale.. Come si è visto, peraltro, lo stesso legislatore, anche a seguito delle difficoltà interpretative che si segnalavano in passato, con il D.Lgs. n.25 del 28 gennaio 2008 ha espressamente previsto la ammissione al patrocinio a spese dello stato in favore dei richiedenti asilo o altro status di protezione internazionale che intendano proporre ricorso contro la decisione negativa della Commissione territoriale.
Si può osservare in conclusione che se dovessero prevalere ancora considerazioni meramente formali, o peggio, esclusivamente orientate ad esigenze di contenimento della spesa, sulla quale si può invece intervenire nella fase di liquidazione dei compensi agli avvocati, si negherebbe effettività al diritto di difesa tramite  il patrocinio a spese dello stato, violando  i precetti costituzionali, a partire dagli articoli 3,10 e 24, ed i richiami normativi, interni e comunitari, richiamati in precedenza.

 

 Diritti connessi al riconoscimento della protezione internazionale
La nuova disciplina introduce significativi miglioramenti alla condizione dei rifugiati e dei protetti sussidiari. Si allunga il periodo di validità del permesso di soggiorno per rifugiati che passa da 3 a 5 anni, rinnovabile e che al primo rinnovo permetterà al titolare di presentare richiesta di cittadinanza italiana.
I titolari di protezione sussidiaria avranno un permesso triennale, rinnovabile previa la verifica delle condizioni che ne hanno permesso il rilascio e convertibile in un permesso di soggiorno per motivi di lavoro in presenza dei requisiti previsti per legge.
Restano invariate le disposizioni in merito al rilascio del titolo di viaggio per i titolari di protezione sussidiaria, con prassi molto differenti sul tutto il territorio nazionale a causa dell’ampia discrezionalità riconosciuta al Questore nel riservarsi i criteri per definire quando ricorrano fondate ragioni che non consentono al protetto sussidiario di chiedere il passaporto alle autorità del suo paese.
Il decreto “qualifiche” riconosce ai titolari di protezione sussidiaria il diritto al ricongiungimento alle condizioni previste per i cittadini stranieri.
Il decreto “qualifiche” prevede inoltre che ai protetti sussidiari e ai rifugiati vengano riconosciute lo stesso trattamento in materia di assistenza sociale e sanitaria riconosciuto al cittadino italiano, come stabilito dalla Convenzione di Ginevra. Tale chiarificazione dovrebbe superare l’impasse che escludeva i rifugiati da alcune prestazioni socio assistenziali a causa della mancanza della carta di soggiorno ( ora permesso di soggiorno per lungo soggiornanti CE) – come stabilito dalla legge finanziaria 2001. L’equiparazione già stabilita dalla Convenzione di Ginevra ed ora ribadita dalle disposizioni normative dovrebbe definitivamente ammettere rifugiati e protetti sussidiari al beneficio di tutte le prestazioni socio assistenziali previste per i cittadini – invalidità civile, assegno di accompagno, assegno di maternità.

***

 

DIRITTO DI ASILO COSTITUZIONALE
I padri della costituenti, prima ancora del Legislatore internazionale, avevano individuato il diritto di asilo fra il principi fondamentali dell’ordinamento italiano, votando praticamente all’unanimità, nell’aprile del 1947,  il comma 3 dell’articolo 10 della costituzione italiana e costruendo così, in quella sede, il diritto di asilo costituzionale come quel diritto soggettivo esercitato in Italia da chi si veda impedito nel proprio paese di origine nell’esercizio di quei diritti riconosciuti dalla carta costituzionale italiana.
Lo scopo dei costituenti è stato fin da subito quello di assicurare la protezione, all’indomani della seconda guerra mondiale, l’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana a quanti fosse stato negato, indipendentemente dall’appartenenza politica e a prescindere dalla persecuzione o dal timore di persecuzione:
Lo straniero al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge” .
Il legislatore costituente ha pertanto innalzato il diritto di asilo fra i diritti fondamentali della costituzione italiana attribuendo a tale diritto la natura intrinseca di diritto soggettivo e non di mero interesse legittimo.
La natura del diritto all’ asilo costituzionale distanzia immediatamente tale diritto dal mero interesse legittimo proprio di gran parte delle procedure che riguardano la condizione giuridica dello straniero, a parte il diritto alla unità familiare e la libera circolazione dei cittadini comunitari. Pertanto l’istanza del richiedente asilo prevede l’esercizio di un diritto che non si identifica nel mero riconoscimento di una protezione da parte dell’ordinamento italiano, ma nella libertà di vedersi tutelato, lì dove siano stati violati nel paese di origine quegli stessi diritti e quelle libertà tutelati dalla costituzione italiana, il diritto di asilo nell’ordinamento italiano da intendersi come diritto soggettivo del singolo e dunque come obbligo dello stato.
La norma ascritta al comma 3 dell’articolo 10 della Costituzione italiana riconosce un diritto all’ingresso ed al soggiorno per tutti coloro che desiderino presentare domanda di asilo per la violazione di una di quelle libertà tutelate dalla carta costituzionale italiana . Si badi che il diritto all’ingresso, pur non essendo riconosciuto esplicitamente nell’ordinamento internazionale, rappresenta, come sottolineato in dottrina la condicio sine qua non per l’esercizio del diritto di asilo stesso .
La natura del richiedente asilo quale titolare di diritto soggettivo separa nettamente il richiedente asilo stesso dal cittadino straniero, il quale è per lo più titolare di un interesse legittimo a fare ingresso e presentare una istanza allo Stato.
Pertanto il comma 3 dell’articolo 10 della costituzione italiana dovrebbe già servire da monito al legislatore italiano per non confondere il richiedete asilo con il migrante irregolare.
Il diritto di asilo prima ancora della ratifica delle Convenzione di Ginevra con la legge 722 del trovava fondamento in una disposizione costituzionale e pertanto entrava pienamente quale principio fondante il sistema democratico del modello costituzionale italiano .
Se si analizza il diritto di asilo internazionale, si vede come, a differenza di quello italiano non preveda l’esplicito riconoscimento di un diritto soggettivo a chiedere asilo e fare ingresso nel territorio dello stato per ivi esercitarvi un diritto soggettivo.
Il comma 3 dell’articolo 10 della costituzione italiana è stato per anni fonte di dibattito dottrinale poiché ci si è chiesti se avrebbe avuto bisogno di una norma di attuazione o poteva direttamente essere esercitato.
Una soluzione a tale interrogativo a favore del diritto di asilo  riconosciuto nell’ordinamento italiano come diritto soggettivo perfetto si è delineata a partire dalla famosa sentenza Ocalan nella quale il Tribunale ordinario di Roma il 1 ottobre 1999 ha riconosciuto un diritto soggettivo perfetto a chiedere asilo direttamente applicabile, indipendentemente dalla presenza di una legge ordinaria di attuazione .
Una volta respinti i presupposti di inammissibilità avanzati dal Governo italiano infatti, il giudice di Roma adito, ha riconosciuto il diritto di asilo costituzionale a Ocalan ritenendo, in base alla documentazione prodotta ( i dossier sulla situazione dei diritti umani in Turchia redatti tra l'altro dal Dipartimento di Stato USA, dal Parlamento europeo, da Amnesty International, le pronunce di condanna della Turchia da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo, ecc) e alle risultanze di prove testimoniali, l'esistenza del presupposto di base dell'assenza in Turchia delle libertà democratiche riconosciute, invece, dalla Costituzione italiana, con particolare accenno al rispetto dell'integrità della persona, al rispetto delle libertà civili, alla proibizione della discriminazione in relazione alla razza.
Secondo il giudice di Roma, inoltre, la previsione costituzionale dell'asilo politico va integrata e completata alla luce di quella sul divieto di estradizione dello straniero per motivi politici (art. 10.4 Cost. ) successivamente ribadito sul piano internazionale dalla Convenzione Europea di estradizione di Parigi del 1957 che stabilisce, ad ulteriore garanzia dell'estradando, che l'estradizione non verrà concessa nel caso in cui lo Stato richiesto "abbia dei seri motivi di credere che la domanda, pur motivata da un reato di diritto comune, sia stata presentata per perseguire o punire un individuo per considerazioni di razza, religione, nazionalità ed opinioni politiche oppure che la situazione di detto individuo rischi di essere aggravata da una qualsiasi di queste ragioni".
Il giudice in tale sentenza ha respinto la tesi del Governo italiano costituitosi, dell'infondatezza dell'istanza di asilo per la sopravvenuta mancanza nell'attore dell'interesse ad agire, in ragione del suo abbandono del territorio italiano e della sua attuale condizione di detenuto in Turchia .
La Corte di cassazione italiana per un breve periodo in due sentenze  n.8323/2004 e n. 25020/2005, ha inteso il diritto di asilo solo come  “diritto ad accedere nel territorio dello Stato al fine di esperire la procedura per ottenere lo status di rifugiato, e non ha contenuto più ampio del diritto ad ottenere il permesso di soggiorno temporaneo ex art. 1 comma 5 del D.L. n.416/89 convertito nella legge n.39/89”, questo in pieno contrasto con la precdente decisione della stessa Corte di cassazione a Sezioni Unite n. 467/97 avesse ricordato come - asilo e status di rifugiato siano due categoria che restano ontologicameente distinte nella nozione, nel contenuto, nell'onere probatorio in quanto al richiedente  asilo non è chiesta la prova del presupposto della persecuzione , essendo solo unico l'iter procedimentale". Questa posizione della Cassazione è stata definitivamente superata dalla sentenza a S.U. del 2008 n 27310 dove la con la quale la Corte di Cassazione ha espressamente ricordato come l’onere probatorio in caso di impugnazione a seguito di diniego della domanda di protezione internazionale spetti anche al giudice e non solo al richiedente asilo, in questa decisione la Suprema Corte ha anche definitivamente chiarito che: “In tema di riconoscimento dello status di rifugiato, la Suprema Corte ha stabilito che, anche sotto il vigore dell’art. 1 del d.l. n. 416 del 1989, conv. in l. n. 39 del 1990, i principi regolatori dell’onere della prova, incombente sul richiedente, devono essere interpretati prendendo in considerazione i criteri della Direttiva 2004/83/CE (attuata con d.lgs. n. 251 del 2007), nonostante la mancata scadenza del termine di recepimento interno. Alla luce di questi criteri ermeneutici, applicabili anche alle norme non di derivazione comunitaria, la S.C. ha ritenuto che si deve tenere conto della credibilità del richiedente e della concreta possibilità di fornire i riscontri probatori necessari, ravvisando a carico del giudice un dovere di cooperazione e più ampi poteri istruttori officiosi, nell’accertamento dei fatti rilevanti per il riconoscimento dello status di rifugiato, peraltro pienamente compatibili con il rito camerale, ritenuto applicabile anche nel vigore dell’art. 1 d.l. n. 416 del 1989 conv. in l. n. 39 del 1990, prima dell’entrata in vigore dell’art. 35 d.lgs. n. 25 del 2008, attuativo della Direttiva 2005/85/CE.”

 

 

 

 

 

GIURISPRUENZA:

- Corte di cassazione - Sezione VI civile - Ordinanza 27 luglio 2010 n. 17576: Allo straniero, condannato nel suo Paese per le opinioni politiche difformi da quelle del Governo, può essere concessa la protezione internazionale in Italia. La Cassazione ha accolto il ricorso di un cittadino turco appartenente a un movimento politico di etnia curda, il quale ha chiesto asilo politico in Italia per paura di essere sottoposto a persecuzioni nel proprio Stato di origine. La Cassazione, in particolare, ha affermato che la persecuzione politica sussiste anche quando vengano legalmente adottate sanzioni penali all'esito di un regolare processo a carico di chi ha espresso mere opinioni politiche. Al contrario, ha concluso il collegio, non può essere considerata persecuzione la repressione adottata con sanzione penale dell'attività di di incitamento alla violenza;

-Corte di Cassazione Sez. Prima - Ord. del 03.05.2010, n. 10636: il decreto del Giudice di Pace di Caserta in questa sede impugnato - nell’affermare che
il ricorrente aveva inoltrato istanza di riconoscimento dello status rifugiato, ottenendo
permesso di soggiorno per richiesto asilo politico, e che tuttavia la Commissione centrale
per il riconoscimento dello status di rifugiato con provvedimento del 23 settembre 2004
non aveva riconosciuto al richiedente tale stato, traendone la conseguenza che il decreto
di espulsione era stato regolarmente emesso, in quanto lo straniero non era risultato
essere in possesso di alcun permesso di soggiorno, e nell’omettere di pronunciarsi sul
concreto pericolo, prospettato dall’opponente, di essere sottoposto a persecuzione o a
trattamenti inumani e/o degradanti in caso di espulsione nel paese di origine, pericolo
concreto che, se accertato, avrebbe comportato una situazione ostativa all’espulsione
dello straniero - non si è uniformato al disposto del citato art. 19, comma 1, del d. lgs.
1998/286 e ai principi di diritto in precedenza enunciati, atteso che l’istituto del divieto di
espulsione o di respingimento previsto dalla richiamata disposizione costituisce una
misura di protezione umanitaria ed a carattere negativo, che non conferisce, di per sé, al
beneficiario alcun titolo di soggiorno in Italia, ma solo il diritto di non vedersi nuovamente
immesso in un contesto di elevato rischio personale, spettando al giudice di valutare in
concreto la sussistenza delle allegate condizioni ostative all’espulsione o al respingimento
(Cass. 2004/8423; 2006/3845);

-CGCE SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione) 17 giugno 2010, Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato – Apolide di origine palestinese che non ha chiesto la protezione o l’assistenza dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nei paesi del Vicino Oriente (UNRWA) – Domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato – Rigetto dovuto alla non sussistenza dei presupposti previsti dall’art. 1, sezione A, della Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 – Diritto di detto apolide al riconoscimento dello status di rifugiato in forza dell’art. 12, n. 1, lett. a), secondo periodo, della direttiva 2004/83;

-CGCE, SENTENZA DELLA CORTE (GRANDE SEZIONE) 2 MARZO 2010 ( cessazione status di rifugiato) 

«Direttiva 2004/83/CE – Norme minime sulle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Qualità di “rifugiato” – Art. 2, lett. c) – Cessazione dello status di rifugiato – Art. 11 – Cambiamento delle circostanze – Art. 11, n. 1, lett. e) – Rifugiato – Timore infondato di persecuzioni – Valutazione – Art. 11, n. 2 – Revoca dello status di rifugiato – Prova – Art. 14, n. 2»
Nei procedimenti riuniti C 175/08, C 176/08, C 178/08 e C 179/08, aventi ad oggetto domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi degli artt. 68 CE e 234 CE, dal Bundesverwaltungsgericht (Germania), con decisioni 7 febbraio e 31 marzo 2008, pervenute in cancelleria il 29 aprile 2008, nelle cause Aydin Salahadin Abdulla (C 175/08), Kamil Hasan (C 176/08), Ahmed Adem, Hamrin Mosa Rashi (C 178/08), Dler Jamal (C 179/08) contro Bundesrepublik Deutschland   
LA CORTE dichiara:
1) L’art. 11, n. 1, lett. e), della direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/83/CE, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere interpretato nel senso che: – una persona perde lo status di rifugiato quando, considerato un cambiamento delle circostanze avente un carattere significativo e una natura non temporanea, occorso nel paese terzo interessato, vengano meno le circostanze alla base del fondato timore della persona stessa di essere perseguitata a causa di uno dei motivi di cui all’art. 2, lett. c), della direttiva 2004/83, motivi per i quali essa è stata riconosciuta come rifugiata, e non sussistano altri motivi di timore di «essere perseguitat[a]» ai sensi dell’art. 2, lett. c), della direttiva 2004/83;
– ai fini della valutazione di un cambiamento delle circostanze, le autorità competenti dello Stato membro devono verificare, tenuto conto della situazione individuale del rifugiato, che il soggetto o i soggetti che offrono protezione di cui all’art. 7, n. 1, della direttiva 2004/83 abbiano adottato adeguate misure per impedire che possano essere inflitti atti persecutori, che quindi dispongano, in particolare, di un sistema giuridico effettivo che permetta di individuare, di perseguire penalmente e di punire gli atti che costituiscono persecuzione e che il cittadino interessato, in caso di cessazione dello status di rifugiato, abbia accesso a detta protezione;
– i soggetti che offrono protezione ex art. 7, n. 1, lett. b), della direttiva 2004/83 possono comprendere organizzazioni internazionali che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, anche per mezzo della presenza di una forza multinazionale su tale territorio.
2) Quando le circostanze in base alle quali lo status di rifugiato è stato riconosciuto abbiano cessato di sussistere e le autorità competenti dello Stato membro verifichino che non ricorrono altre circostanze che giustifichino il fondato timore della persona interessata di essere perseguitata, per il medesimo motivo di quello inizialmente rilevante o per uno degli altri motivi elencati all’art. 2, lett. c), della direttiva 2004/83, il criterio di probabilità per l’esame del rischio derivante da dette altre circostanze è lo stesso criterio applicato ai fini della concessione dello status di rifugiato.
3) L’art. 4, n. 4, della direttiva, nella misura in cui fornisce indicazioni quanto alla portata, in termini di forza probatoria, di atti o minacce precedenti di persecuzione, può applicarsi quando le autorità competenti considerino di revocare lo status di rifugiato ai sensi dell’art. 11, n. 1, lett. e), della direttiva 2004/83 e l’interessato, per giustificare il permanere di un fondato timore di persecuzione, faccia valere circostanze diverse da quelle sulla cui base era stato riconosciuto come rifugiato. Tuttavia, ciò potrà di regola verificarsi solamente quando il motivo di persecuzione sia diverso da quello considerato al momento del riconoscimento dello status di rifugiato e vi siano atti o minacce precedenti di persecuzione i quali sono collegati al motivo di persecuzione esaminato in tale fase.

  • ECJ JUDGMENT OF THE COURT (Grand Chamber) 17 February 2009,

In Case C-465/07,
REFERENCE for a preliminary ruling under Articles 68 EC and 234 EC from the Raad van State (Netherlands), made by decision of 12 October 2007, received at the Court on 17 October 2007, in the proceedings
 Meki Elgafaji,
 Noor Elgafaji
(Directive 2004/83/EC – Minimum standards for determining who qualifies for refugee status or for subsidiary protection status – Person eligible for subsidiary protection – Article 2(e) – Real risk of suffering serious harm – Article 15(c) – Serious and individual threat to a civilian’s life or person by reason of indiscriminate violence in situations of armed conflict – Proof )

-Tribunale di Palermo, Decreto dell'11 Dicembre 2009: é illegittimo il diniego al rinnovo di un permesso di soggiorno per protezione umanitaria senza il pronunciamento della Commissione nazionale asilo
-Corte di Cassazione Sentenza del 27 ottobre 2009, depositata il 15 dicembre 2009, n. 26253: la domanda di asilo presentata alla polizia di frontiera durante i controlli identificativi dallo straniero in condizione irregolare deve essere sempre raccolta e comporta il divieto di respingimento;
-Consiglio di Stato ordinanza n 669/2009, divieto di respingimento verso la Grecia di richiedenti asilo afgani, pericolo per impossibilità di accedere ad una procedura asilo, stato di detenzione;
-Tribunale di Trieste Sentenza del 17 agosto 2009 n. 304/2009: ha diritto allo status di rifugiato il richiedente che subisce atti persecutori nel Paese di origine in ragione del suo orientamento sessuale e non può invocare la protezione delle autorità poiché lì l’omosessualità costituisce un reato
-Corte di Cassazione Sentenza del 19 maggio 2009 n°11535: la Commissione Territoriale è competente a valutare la posizione del richiedente asilo.
-Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, sentenza del 21 aprile 2009, depositata il 19 maggio 2009, n. 11535: le Commissioni territoriali competenti a decidere delle domande di asilo devono, nei casi in cui non accolgano la domanda di protezione umanitaria, trasmettere gli atti al Questore per l'eventuale rilascio del permesso di soggiorno, quando ricorrano gravi motivi di carattere umanitario, e sussiste la giurisdizione del giudice ordinario su un provvedimento del Questore di diniego di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, richiesto ai sensi dell'art. 5, sesto comma del d.lgs n. 286 del 1998.
-Corte di Cassazione Sezioni Unite sentenza del 17 novembre 2008 n 27310: In tema di riconoscimento dello status di rifugiato, la Suprema Corte ha stabilito che, anche sotto il vigore dell’art. 1 del d.l. n. 416 del 1989, conv. in l. n. 39 del 1990, i principi regolatori dell’onere della prova, incombente sul richiedente, devono essere interpretati prendendo in considerazione i criteri della Direttiva 2004/83/CE (attuata con d.lgs. n. 251 del 2007), nonostante la mancata scadenza del termine di recepimento interno. Alla luce di questi criteri ermeneutici, applicabili anche alle norme non di derivazione comunitaria, la S.C. ha ritenuto che si deve tenere conto della credibilità del richiedente e della concreta possibilità di fornire i riscontri probatori necessari, ravvisando a carico del giudice un dovere di cooperazione e più ampi poteri istruttori officiosi, nell’accertamento dei fatti rilevanti per il riconoscimento dello status di rifugiato, peraltro pienamente compatibili con il rito camerale, ritenuto applicabile anche nel vigore dell’art. 1 d.l. n. 416 del 1989 conv. in l. n. 39 del 1990, prima dell’entrata in vigore dell’art. 35 d.lgs. n. 25 del 2008, attuativo della Direttiva 2005/85/CE. (Nel caso di specie la S.C. ha cassato la pronuncia di merito perché non aveva ritenuto ammissibile la prova testimoniale richiesta in secondo grado, sul rilievo che essa non fosse stata articolata per capitoli separati, e, reputando insufficienti le dichiarazioni del richiedente in ordine alla professione religiosa sciita e all’appartenenza alla minoranza curda nonostante l’attestata conoscenza di tale idioma, aveva rigettato la domanda) La Suprema corte ha fatto esplicito riferimento al paragrafo 196 del Manuale UNHCR;
-Corte di Cassazione Ordinanza del 19 giugno 2008 n. 16730: se avverso l’espulsione si invocano motivi religiosi va presentata istanza di riconoscimento dello status di rifugiato;
-Tribunale del Lavoro di Milano - sentenza n. 373/08 depositata il 31 Gennaio 2008: i cittadini stranieri con status di rifugiato sono equiparati ai cittadini italiani in materia di assistenza sociale, ad esempio la corresponsione dell’indennità di accompagnamento ex L.18/80;
-Corte di Cassazione ordinanza del 28 aprile 2006: individuazione del Tribunale civile competente a ricevere i ricorsi avverso le pronunce negative emesse dalle Commissioni Territoriali;
-Corte di Cassazione - Sentenza del 25 novembre 2005 n. 25028: distinzione fra asilato e rifugiato;
-Corte di Cassazione - Sentenza del 21 marzo 2005 n. 6077: una mera enunciazione di condizioni personali e familiari appare inidonea a rappresentare le condizioni legali per l'ottenimento dello status di rifugiato e quindi ad attivare la relativa procedura di riconoscimento
-Corte di Cassazione - Sentenza del  2 febbraio 2005 n. 2091: non spetta il riconoscimento dello status di rifugiato a qualunque soggetto che si allontani da un paese nel quale, notoriamente, sussista grave e diffusa compressione dei diritti civili, spettando lo status solo a colui che versi nel fondato timore di essere personalmente perseguitato inragione delle proprie idee o della propria condizione.
-Tribunale di Catania - Sentenza del 15 dicembre 2004 n. 4010: l'Asilo costituzionale è un diritto che si può esercitare anche in mancanza di una legge specifica
-Tribunale di Catania - Decreto cautelare del 5 agosto 2004: non è espellibile chi è in attesa della risposta relativa alla richiesta di asilo ai sensi art. 10 Cost

Diritto dei Trattati, Convenzione adottata a Vienna il 23 maggio 1969
Sezione 3 - INTERPRETAZIONE DEI TRATTATI
Articolo 31 - Regola generale di interpretazione
Un trattato deve essere interpretato in buona fede seguendo il senso ordinario da attribuire ai termini del trattato nel loro contesto e alla luce del suo oggetto e del suo scopo.
Ai fini dell'interpretazione di un trattato, il contesto comprende, oltre al testo, il preambolo e gli allegati ivi compresi:
ogni accordo in rapporto col trattato e che è stato concluso fra tutte le parti in occasione della conclusione del trattato;
ogni strumento posto in essere da una o più parti in occasione della conclusione del trattato e accettato dalle parti come strumento in connessione col trattato.
Si terrà conto, oltre che del contesto:
di ogni accordo ulteriore intervenuto fra le parti in materia di interpretazione del trattato o della applicazione delle sue disposizioni;
di qualsiasi prassi successivamente seguita nell'applicazione del trattato attraverso la quale si sia formato un accordo delle parti in materia di interpretazione del medesimo;
di qualsiasi regola pertinente di diritto internazionale applicabile nei rapporti fra le parti.
Un termine verrà inteso in un senso particolare se risulta che tale era l'intenzione delle parti.

The Refugee Convention, 1951, The Traveaux preparatoires anlysed, with a commentary by the late Dr Paul Weis, Cambridge University, 1980. Si veda Manuale sulle procedure e sui criteri per la determinazione dello status di rifugiato reperibile dal sito www.unhcr.org

Fra tutte in questa sede per una approfondita analisi sull’art 13 CEDU e sua applicazione alla procedura asilo si rimanda a:Corte europea dei diritti dell’uomo,Terza Sezione, CHAHAL v. the U.K. 15 November 1996, Reports 1996-V; ČO KA v. BELGIUM, Application no. 51564/99, decisione finale del 5 maggio 2002. Con questa decisione la corte da piena interpretazione all’articolo 13 della Convenzione stabilendo infatti che  il diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo è violato quando la normativa statale non prevede l’effetto sospensivo dei  ricorsi avverso i provvedimenti di espulsione ed estradizione. Per quanto concerne la definizione di rimedio effettivo (effective remedy), fra tutte si rimanda a Corte europea dei diritti dell’uomo, 40035/98; Jabary v. Turkey dell’ 11 Luglio 2000; Corte europea dei diritti dell’uomo, No. 25389/05 paragrafo 67, Gebremedhin v. France del 26 Aprile 2007. Per quanto concerne la violazione dell’art 3 Cedu da parte dell’Italia fra tutti si ricorda : Corte europea dei diritti dell’uomo Grande Camera,. 37201/06, Saady v. Italy del 28 Febbraio 2008.
Come ricordato in dottrina in riferimento a Corte europea dei diritti dell’uomo, 43844/98, T.I. v. The United Kingdom, del 7 marzo 2000, la Corte ha sottolineato come ogni Stato membro abbia una responsabilità individuale nell’esaminare una richiesta di asilo per aver individualmente ratificato la Convenzione di Ginevra sullo Status di rifugiato del 1951.  Tale responsabilità, non potrebbe pertanto essere trasferita ad un altro Stato senza che sia effettivamente garantito il rispetto delle obbligazioni contenute nella Convenzione di Ginevra stessa. Pertanto la giurisprudenza della corte potrebbe trovare pienamente applicazione nella interpretazione ed attuazione delle normative europee sull’asilo, in particolare proprio sul sistema Dublino, dove, ogni Stato membro è obbligato al pieno rispetto della normativa internazionale citata che ha ratificato, indipendentemente dalla presunzione di competenza di altro Stato membro nell’applicazione del sistema Dublino

Il primo esplicito riferimento è presente nel programma dell’Aja ( rafforzamento della libertà, della sicurezza e della Giustizia nell’Unione europea, in G.U.C.E 3 marzo 2005 c53 p 1) , programma adottato dal Consiglio europeo del 2004 che prevede come obiettivo della così detta seconda fase del regime europeo comune di materia di asilo la instaurazione di una procedura comune al riguardo e di uno status uniforme per coloro che hanno ottenuto l’asilo o la protezione sussidiaria.

Così detto sistema Dublino II, Regolamento 343/2003/CE del Consiglio del 18 febbraio2003 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda d'asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo; Regolamento 1560/20037CE della Commissione del 2 settembre 2003 recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda d'asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo

Sul fallimento del sistema Dublino quale violazione dei diritti dei richiedenti asilo si rimanda a A. Mascia del 24 settembre 2010  http://antonellamascia.wordpress.com/2010/09/24/il-%E2%80%9Cregolamento-di dublino%E2%80%9D-pregiudica-i-diritti-dei-rifugiati: “Ai sensi del sistema di Dublino, la responsabilità dell’esame delle domande di asilo spetta agli Stati membri situati lungo i confini dell’Ue, attraverso i quali entrano in Europa la maggior parte dei richiedenti asilo.
Nella pratica, tale sistema non funziona. Paesi come la Grecia e Malta, in questi ultimi anni non sono stati assolutamente in grado di fornire un’adeguata protezione ai richiedenti asilo, poiché il loro numero ha superato di gran lunga le loro capacità di accoglienza. È una situazione ingiusta, che può persino, in casi estremi, mettere in pericolo delle vite umane. È veramente giunto il momento di rivedere il Regolamento di Dublino.
Tale regolamento non mira a garantire che la responsabilità dell’accoglienza dei richiedenti asilo sia condivisa tra gli Stati membri dell’Ue. Né garantisce che i richiedenti asilo abbiano accesso a procedure di asilo adeguate. È basato sull’errato presupposto che i sistemi di asilo nazionali in Europa offrano tutti norme elevate di protezione delle persone che cercano di sfuggire alle violenze e alle persecuzioni.
Tale sistema non funziona, e i rifugiati ne subiscono le conseguenze.

D.lgs. n.251 del 19 novembre 2007 , c.d. decreto qualifiche, adottato in virtù della delega contenuta nella l. “comunitaria” n. 29/2006 e corrispondente alla direttiva qualifiche

D.lgs. n. 25/2008, c.d. decreto procedure, adottato in virtù della delega contenuta nella l. “comunitaria” n. 13/2007 e corrispondente alla direttiva procedure, poi modificato, in particolare, con il d.lgs. n. 159/2008 nell’ambito di uno dei molteplici cc.dd. pacchetti sicurezza

DIRITTI DI DIFESA DEI RICHIEDENTI ASILO
E PATROCINIO A SPESE DELLO STATO Un documento/analisi giuridica a cura di Fulvio Vassallo Paleologo, docente all’Università degli Studi di Palermo, Facoltà di Giurisprudenza, membro del direttivo dell’ASGI, tratto da: http://www.personaedanno.it/cms/data/articoli/files/012803_resource1_orig.doc

M. Benvenuti, Andata e ritorno per il diritto di asilo costituzionale, in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, Franco Angeli editore XII, 2-21010.

Fonte: http://www.fondazionecaritro.it/attachments/216_il%20diritto%20di%20asilo_%20relazione%20pretto.doc

Sito web da visitare: http://www.fondazionecaritro.it/

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.

 

Diritto di asilo

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

Diritto di asilo

 

"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco

www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve

 

Argomenti

Termini d' uso, cookies e privacy

Contatti

Cerca nel sito

 

 

Diritto di asilo