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IL DOVERE CONIUGALE DI CONTRIBUZIONE
Per capire il fondamento dei rapporti patrimoniali tra coniugi occorre analizzare il cosiddetto dovere di contribuzione. Facendo un confronto con il vecchio articolo 143 c.c. e quello nuovo si è potuto constatare che si è passati da una struttura gerarchica del gruppo con a capo il marito che aveva il dovere di mantenere la moglie, ad una situazione in cui moglie e marito hanno gli stessi doveri e diritti. Si è passati perciò da una situazione di mantenimento ad una di contribuzione. LA art. 144 del testo anteriforma vedeva nel marito il capofamiglia che aveva l’obbligo di corrispondere alla moglie tutto ciò che fosse necessario ai bisogni della vita. La moglie doveva contribuire solo nel momento che il coniuge non avesse mezzi sufficienti. Inizialmente tale obbligo al mantenimento fu ritenuto incostituzionale in presenza di una separazione consensuale e si giunse poi ad affermare la reciprocità degli obblighi di corresponsione di somme in assenza di mezzi adeguati nel corso della convivenza coniugale.
In base al nuovo articolo 143 c.c. l’obbligo all’assistenza materiale non può comprendere quello di mantenere, poiché viene abrogato il regime gerarchico nei rapporti familiari e perciò lo stesso presupposto giuridico del mantenimento. L art. 156 c.c. e 230-bis c.c. non apportano argomenti contrari alla tesi sostenuta ove si trova un richiamo al dovere di mantenere. La prima norma prevede l obbligo quando cessa la coabitazione e conferma di conseguenza la regola alla contribuzione della comunità familiare. La seconda grava del mantenimento no il coniuge ma l impresa ove il familiare presta la sua opera.
A fronte della parità tra i coniugi una prima conseguenza dell’art. 143 c.c. è di impegnare il coniuge per le obbligazioni contratte separatamente nell’interesse della famiglia. Se infatti esiste un dovere reciproco di contribuzione esiste anche un potere disgiuntivo di vincolare l altra parte per realizzare le finalità cui si è proposto il dovere. A rafforzare tale considerazione vanno a sommarsi gli articoli 186 e 190 c.c. Quest’ultima norma stabilisce che i creditori possono agire in via sussidiaria sui beni di ciascun coniuge nella misura della metà del credito quando i beni della comunione siano insufficienti. Il debito percui si agisce può essere contratto separatamente nell’interesse della famiglia. Si riconosce che l obbligo di contribuzione implica un’esplicita deroga all’art. 1372 c.c. e tale deroga si reputa possibile in presenza di un obbligo contratto per soddisfare un bisogno primario della famiglia e allorché si sia generato nei terzi l affidamento sul consenso del coniuge non intervenuto nell’atto. Alla stregua d impegnare l'altro coniuge in un’obbligazione assunta nell’interesse della famiglia,è pure il potere di disporre disgiuntamente di beni comuni per soddisfare gli stessi bisogni nei limiti dell’ordinaria amministrazione. Indicazioni in tal senso possono trarsi dal coordinamento degli articoli 180 ,186 e 192 c.c.
Diverso è il contenuto di contribuzione posto a carico dei figli conviventi e legittimi,art 315, e naturali,art 251. I figli non hanno una pretesa nei confronti dei genitori per l adempimento dell’obbligo di contribuzione ai bisogni della famiglia,a possono solo vantare il diritto al mantenimento,all’educazione ed istruzione. Il presupposto di ciò sarà la coabitazione anche con uno soltanto dei genitori ed il rapporto di filiazione legittimo o naturale.
La contribuzione in quest’ottica è vista come regime patrimoniale primario. Proprio per questo il legislatore prevede l annullabilità,in un termine assai breve dell’atto di disposizione di un bene immobile comune privo del consenso di entrambi i coniugi. Gli sposi di base non sono titolari di un diritto di quota ma solidamente dell’intero,sicché ciascuno ha il potere di disporre dei beni della comunione,mentre il consenso dell’altro rimuove un limite all’esercizio del potere.
Fonte: http://lab.artmediastudio.it/www-storage/appunti/157813/25002/DIRITTO%20DI%20FAMIGLIA.doc
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