Diritto internazionale dell'ambiente appunti

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Diritto internazionale dell'ambiente appunti

 

Le politiche ambientali dell’Unione Europea

Barbara Pozzo

 

Sommario: 1. La politica comunitaria ambientale prima del 1987 2. Le competenze ambientali entrano nel Trattato 3. La Carta dei Diritti Fondamentali ed il Trattato di Nizza 4. La Costituzione Europea 5. Verso il Trattato di Lisbona  6. Gli obiettivi delle politiche ambientali 7. I principi guida delle politiche ambientali 8. Gli  strumenti della tutela ambientale 9. Il ruolo della Corte dei diritti dell’uomo

 

  1. La politica comunitaria ambientale prima del 1987

 

Il Trattato che istituiva la Comunità Economica Europea nel 1957, non predisponeva alcuna specifica competenza comunitaria in materia ambientale, che verrà introdotta solo nel 1987 con l’Atto Unico Europeo .
In assenza di tale specifica competenza, la Comunità aveva comunque sviluppato una propria politica ambientale, che trovava la sua base giuridica negli articoli 100 e  235 del Trattato .
La motivazione della necessità di ricorrere ad una politica ambientale veniva rinvenuta nel fatto che ai sensi dell’art. 2 del Trattato, la Comunità Economica Europea ha il compito  di “promuovere uno sviluppo armonioso delle attività economiche nell’insieme della Comunità; un’espansione continua ed equilibrata ed un miglioramento sempre più rapido delle condizioni di vita”.
In effetti, nella dichiarazione dei capi di Stato e di governo che si erano riuniti a Parigi nel 1972 per dare luce al primo programma d’azione, già si poteva leggere che “l’espansione economica, che non è un fine a sé stante, deve con precedenza consentire di attenuare la disparità delle condizioni di vita. Essa deve essere perseguita con la partecipazione di tutte le parti sociali e deve tradursi in un miglioramento della qualità come del tenore di vita. Conformemente al genio europeo, si dedicherà un’attenzione particolare ai valori e beni non materiali e alla protezione dell’ambiente naturale, onde porre il progresso al servizio dell’uomo”.
Nei vari programmi di azione in campo ambientale che si sono succeduti a partire dal 1972 , questa motivazione è stata più volte ripresa e ampliata, affermando da un lato come il raggiungimento degli di cui all’art. 2 del Trattato “non si può concepire senza una lotta efficace contro gli inquinamenti e gli altri fattori nocivi, né senza il miglioramento qualitativo delle condizioni di vita e la protezione dell’ambiente” ; dall’altro, che “è necessario evitare che gli stati membri adottino misure divergenti tali da provocare distorsioni economiche nella Comunità” .
Questi sono gli anni in cui la Comunità comincia tra l’altro ad affermare i grandi principi cui si atterrà nello sviluppo della sua politica ambientale: i principi della prevenzione e della partecipazione/informazione, che vengono formulati nel primo programma d’azione per poi essere specificati nel secondo programma di azione .

  1. Le competenze ambientali entrano nel Trattato

 

Il 1987 viene proclamato “Anno europeo dell’ambiente” ed  appare, invero,  un anno chiave nella presa di coscienza dei problemi ambientali a livello comunitario.
Oltre al varo del Quarto programma di azione in materia ambientale (1987-1992), le competenze ambientali, entrano nel Trattato di Roma con l’Atto Unico Europeo , che inserisce un nuovo Titolo VII, dedicato all’”Ambiente”, costituito da tre articoli: 130R, 130S e 130T.
L’art. 130r, primo comma,  in particolare assegnava al diritto comunitario il compito “di preservare, proteggere e migliorare la qualità dell’ambiente”, contribuendo alla protezione della salute delle persone e assicurando un impiego prudente e razionale delle risorse naturali.
Con l’Atto Unico Europeo fecero il loro ingresso i tre principi fondamentali delle politiche comunitarie in campo ambientale: il principio dell’azione preventiva, della riparazione dei danni alla fonte e dell’inquinatore-pagatore .
L’art. 130R prevedeva che la politica ambientale dovesse essere integrata con le altre politiche comunitarie, come quella industriale, agricola  ed energetica, chiamando la Comunità europea ad adottare tutte le misure necessarie per garantirne un efficace sviluppo e una pronta esecuzione.
Il principio di sussidiarietà veniva a svolgere un ruolo cardine nella determinazione del livello appropriato di decisione in campo ambientale .
Si stabilì inoltre che le decisioni in materia ambientale fossero prese all’unanimità .
Tali competenze vennero successivamente ampliate con il Trattato di Maastricht sull’Unione Europea del 1993, che attribuisce all’azione in materia ambientale il rango di vera e propria politica dell’UE (articolo 130R).
Con il Trattato di Maastricht la tutela dell’ambiente fa il suo ingresso nel Preambolo, mentre tra i compiti della Comunità viene inserita la “crescita sostenibile e non inflazionistica e che rispetti l’ambiente” all’art. 2.
Le disposizioni in materia ambientale vengono spostate in un apposito  Titolo XVI, sempre intitolato “Ambiente”, ed ai tre principi fondamentali inseriti nel Trattato nel 1987 se ne aggiunge un quarto: il principio di precauzione .
Viene inoltre introdotto il principio che le decisioni in campo ambientale possano essere adottate sulla base di una maggioranza qualificata .
Con il Trattato di Amsterdam del 1997 il Trattato CE e il Trattato sull’Unione Europea ricevono una nuova numerazione. Gli articoli da 130R a 130T vengono inseriti nel Titolo XIX e diventano gli articoli 174, 175, 176.
Il Trattato di Amsterdam fa della politica ambientale uno degli obiettivi politici fondamentali dell’Unione, con il suo inserimento all’art. 3.
Il tenore dell’art. 2 viene in parte modificato , mentre viene introdotto l’art. 6 , che prevede l’integrazione delle esigenze ambientali nella definizione e nell’attuazione delle altre politiche e azioni comunitarie, riprendendo quanto prima disposto dall’art. 130R.
L’integrazione delle politiche di tutela ambientale nelle altre politiche dell’Unione è stata promossa per il tramite di numerose iniziative prese dalla Commissione e dal Consiglio. In particolare, si ricorderà la produzione della Comunicazione della Commissione al Consiglio Europeo, dedicato alle strategie per integrare l’ambiente nelle politiche dell’Unione Europea messo a punto all’indomani del Consiglio di Cardiff nel giugno del 1998.

 

3. La Carta dei Diritti Fondamentali ed il Trattato di Nizza

Il Trattato di Nizza non ha previsto modifiche sostanziali a tale assetto.
La Carta dei Diritti Fondamentali proclamata a Nizza nel 2000 prevede invece un articolo specifico dedicato all’ambiente. Stabilisce infatti l’art. 37 che “Un livello  elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell’Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile”.
La norma dell’art. 37 richiama chiaramente alcuni principi già enunciati dal Trattato in modo esplicito.
In particolare il riferimento va fatto agli art. 2, 6 e 174 del Trattato. La prima di queste disposizioni stabilisce - tra l’altro - che la Comunità ha il compito di promuovere uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche ed un elevato livello di protezione  dell’ambiente ed il miglioramento della qualità di quest’ultimo.
L’art. 6 prevede che le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente debbano essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni comunitarie, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile.
L’art. 174, infine, fissa i principi cui deve essere informata l’azione comunitaria in materia ambientale: il principio di precauzione e dell’azione preventiva, il principio di correzione in via prioritaria alla fonte dei danni causati all’ambiente, nonché il principio «chi inquina paga».
La Carta ribadisce e colloca dunque ad un livello ipoteticamente più alto i principi già statuiti a livello di Trattato.
E’ indubbio che,  oltre alla rilevanza giuridica già ottenuta in forza del Trattato, tali principi assumono mediante il loro inserimento nella Carta una più pregnante importanza politica e culturale, come guida e strumento di interpretazione di altre norme e valori facenti parte dell’acquis comunitario, come viene dimostrato dal richiamo che la Corte del Lussemburgo ha già più volte fatto nei confronti dei valori condivisi dalla Carta .

4. La Costituzione Europea

Nonostante il fallimento che ha caratterizzato – per il momento - il processo di adozione di una Costituzione europea, appare necessario menzionare le norme che in tale Testo concernono le politiche ambientali.
Il Trattato che adotta una Costituzione Europea prevede  già nel suo Preambolo, al Quarto Considerando, una specifica menzione delle responsabilità che l’Unione Europea intende fare proprie in campo ambientale: Certi che, "Unita nella diversità", l'Europa offre ai suoi popoli le migliori possibilità di proseguire, nel rispetto dei diritti di ciascuno e nella consapevolezza delle loro responsabilità nei confronti delle generazioni future e della Terra, la grande avventura che fa di essa uno spazio privilegiato della speranza umana” .
Pur se priva di particolare valore cogente sotto il profilo giuridico, la formulazione fa proprio il lessico del diritto dell’ambiente contemporaneo .
Nella sua Prima Parte, tra gli “Obiettivi”, il Trattato per la Costituzione prevede al comma 3 dell’art. I-3, che l’Unione si deve adoperare  “per lo sviluppo sostenibile dell'Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un'economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell'ambiente”, promuovendo allo stesso tempo il progresso scientifico e tecnologico.
La nozione di sviluppo sostenibile che viene impiegata dalla Carta Costituzionale fa quindi contemporaneamente riferimento alla competitività, al progresso e ad un alto livello di protezione dell’ambiente, che deve essere assunta come paradigmatica non solo all’interno dell’Unione Europea, ma anche per quanto concerne i rapporti con gli altri Stati .
Ai sensi dell’art. I-14, l’Unione mantiene una  competenza concorrente con quella degli Stati membri nel settore dell’ambiente.
Nella Seconda Parte della Costituzione, che stabilisce la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, l’art II-97, in materia di tutela dell'ambiente, fa ripropone i principi dell’art. 37 della Carta di Nizza, stabilendo che: “Un livello elevato di tutela dell'ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell'Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile”.
Nella Parte Terza, dedicata alla Politiche e al funzionamento dell’Unione, nel Titolo I in tema di Disposizioni di applicazione generale, l’Articolo III-119 stabilisce che “Le esigenze connesse con la tutela dell'ambiente devono essere integrate nella definizione e nell'attuazione delle politiche e azioni di cui alla presente parte, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile”.
Inoltre la Parte Terza del Testo Costituzionale riprende il principio ora stabilito dall’art. 95, comma 3 del Trattato sull'Unione europea e del Trattato che istituisce la Comunità europea , prevedendo che la Commissione, nelle proposte miranti ad armonizzare le legislazioni degli Stati membri in materia di sanità, sicurezza, protezione dell'ambiente e protezione dei consumatori, si debba basare  “su un livello di protezione  elevato, tenuto conto, in particolare, degli eventuali nuovi sviluppi fondati su riscontri scientifici”. L’Articolo specifica che anche il Parlamento europeo ed il Consiglio, nell'ambito delle rispettive attribuzioni, si sforzano di conseguire tale obiettivo.
Tra gli obiettivi specifici in materia ambientale, l’art. III-233 prende in considerazione, al pari di quanto stabilito dal primo comma dell’art. 174 del Trattato, la salvaguardia‚ tutela e miglioramento della qualità dell'ambiente; la protezione della salute umana; l’ utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali; la promozione, sul piano internazionale, di misure destinate a risolvere i problemi dell'ambiente a livello regionale o mondiale.
I principi ai quali l’azione dell’Unione in campo ambientale si richiama sono quelli già previsti dal Trattato, al secondo comma dell’art. 174: i principi della precauzione e dell'azione preventiva‚ sul principio della correzione‚ in via prioritaria alla fonte‚ dei danni causati all'ambiente e sul principio "chi inquina paga".
Infine, si stabilisce che nel predisporre la politica in materia ambientale l'Unione debba tener conto: a) dei dati scientifici e tecnici disponibili; b) delle condizioni dell'ambiente nelle varie regioni dell'Unione; c) dei vantaggi e degli oneri che possono derivare dall'azione o dall'assenza di azione; d) dello sviluppo socioeconomico dell'Unione nel suo insieme e dello sviluppo equilibrato delle singole regioni .
Aldilà di quanto disposto in tema di Ambiente, occorrerà inoltre ricordare che il Trattato per la Costituzione Europea prevedeva altresì l’inserimento dell’Energia tra le specifiche competenze dell’Unione Europea. 
L’art. I-14,  2 comma lettera i) della Costituzione europea ricomprende infatti l’energia all’interno delle competenze concorrenti: sia gli Stati che l’Unione avranno dunque facoltà di legiferare .
Ai sensi dell’art. I-12, 2 comma, tuttavia, quando la Costituzione attribuisce all'Unione una competenza concorrente gli Stati membri esercitano la loro competenza solo nella misura in cui l'Unione non ha esercitato la propria o ha deciso di cessare di esercitarla.

 

5. Verso il Trattato di Lisbona

Dopo il fallimento del processo di costituzionalizzazione, il Trattato di Lisbona ripropone oggi  le stesse sfide in materia energetica precedentemente lanciate dal Trattato per la Costituzione.
L’art. 2 C del Trattato di Lisbona prevede infatti alla lettera i) una competenza concorrente in materia energetica tra Stati e Unione.
Una specifica attenzione viene prestata al settore energetico, sotto il profilo dell’approvvigionamento. Si prevede infatti una modifica al primo comma dell’art. 100 del Trattato che attualmente prevede: “Fatta salva ogni altra procedura prevista dal presente trattato, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, può decidere in merito alle misure adeguate alla situazione economica, in particolare qualora sorgano gravi difficoltà nell'approvvigionamento di determinati prodotti”.
Nella nuova versione proposta dal Trattato di Lisbona, tale disposizione dovrebbe essere modificata come segue: «Fatta salva ogni altra procedura prevista dai trattati, il Consiglio, su proposta della Commissione, può decidere, in uno spirito di solidarietà tra Stati membri, le misure adeguate alla situazione economica, in particolare qualora sorgano gravi difficoltà nell'approvvigionamento di determinati prodotti, in particolare nel settore dell'energia.».
Infine il Trattato di Lisbona prevede l’introduzione di uno specifico Titolo XX, interamente dedicato all’Energia.
L’art. 176 A in particolare stabilisce ora al suo primo comma che “Nel quadro dell'instaurazione o del funzionamento del mercato interno e tenendo conto dell'esigenza di preservare e migliorare l'ambiente, la politica dell'Unione nel settore dell'energia è intesa, in uno spirito di solidarietà tra Stati membri, a:
a) garantire il funzionamento del mercato dell'energia,
b) garantire la sicurezza dell'approvvigionamento energetico nell'Unione,
c) promuovere il risparmio energetico, l'efficienza energetica e lo sviluppo di energie nuove e rinnovabili,
d) promuovere l'interconnessione delle reti energetiche”.
Qualora il Trattato di Lisbona venisse ratificato, lo sviluppo di energie nuove e rinnovabili verrebbe quindi ad inserirsi in una vera e propria competenza a livello europeo e ad acquisire una rilevanza di rango costituzionale .

 

6. Gli obiettivi delle politiche ambientali

Già nell’ambito dei Principi stabiliti in via generale nella Parte Prima, l’art. 2 del Trattato enumera tra gli obiettivi della Comunità quello del “miglioramento della qualità dell’ambiente”.
Inoltre, l’art. 6 prevede che uno degli obiettivi della Comunità debba essere quello di “promuovere lo sviluppo sostenibile”.
Gli obiettivi specifici che la politica della Comunità in materia ambientale si pone, sono invece enumerati dal primo comma dell’art. 174. Essi sono la salvaguardia, la tutela e il miglioramento della qualità dell'ambiente; la protezione della salute umana; l’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali; la  promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell'ambiente a livello regionale o mondiale.
Il principio dello sviluppo sostenibile  è stato introdotto dal Trattato di Amsterdam in più disposizioni: nel Preambolo e nell’art. 2 del Trattato sull’Unione Europea, così come negli artt. 2 e 6 del Trattato CE.
Tuttavia i Trattati non definiscono il contenuto di questo concetto, che ha ricevuto diverse letture nel corso degli anni , soprattutto alla luce dell’evoluzione nel contesto internazionale. Va infatti ricordato che la World Commission on Environment and Development nel corso della Conferenza delle Nazioni Unite per l’ambiente e lo sviluppo (UNCED) tenutasi nel 1987 ha fissato le coordinate di  tale dibattito fornendo un’ampia definizione di sviluppo sostenibile ( ).
Secondo il Rapporto Brundtland  “lo sviluppo sostenibile è quello che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri” ( ).
L’idea è quindi quella di lasciare alle generazioni future almeno tante opportunità quante ne abbiamo avute noi. Tutt’altra questione è quella di verificare - da un punto di vista pratico - quali siano le misure da adottare per raggiungere  questo magico punto di equilibrio tra bisogni dell’oggi e quelli del domani .
Anche da un punto di vista teorico, tuttavia, tale definizione ha sollevato interrogativi e scetticismi al di là del suo forte contenuto di stimolo.
Va, infatti, segnalata la diatriba che tuttora intercorre tra i sostenitori di un criterio antropocentrico, che mirano al raggiungimento di un’equità intergenerazionale, e i sostenitori di un criterio ecocentrico, che vorrebbero maggiori garanzie giuridiche per quello che viene chiamato “diritto soggettivo dell’ambiente”. La discussione sembra quindi non essersi ancora sopita .
Da ciò discende anche la vaghezza del contenuto giuridico di tale concetto, poiché appare alquanto arduo effettuare una concreta valutazione dell’impatto che le politiche attuali possano avere sulle generazioni future.
L’art. 174 prevede poi che obiettivo specifico delle politiche comunitarie in campo ambientale debbano essere la salvaguardia, la tutela e il miglioramento della qualità dell’ambiente, richiamando anche l’obiettivo generale dell’art . 2.
Tale obiettivo è formulato in via assai ampia e lascia possibilità praticamente illimitate all’azione comunitaria . 
Le misure che possono essere adottate nella persecuzione di tale obiettivo non si devono limitare a quelle che potrebbero incidere sul territorio comunitario. Così ad esempio, sono stati adottati un Regolamento  che vieta l’importazione di avorio , che ha lo scopo di proteggere l’elefante africano, così come un Regolamento che pone il divieto di esportare rifiuti in paesi al di fuori dell’OCSE , il cui fine è quello della protezione ambientale nei paesi del terzo mondo.
Le misure che possono essere adottate per raggiungere tale obiettivo possono essere di foggia eterogenea: si potrà trattare di misure specifiche volte alla prevenzione degli inquinamenti, così come  di programmi più ampi volti alla incentivazione della ricerca in campo ambientale, alla promozione di strategie di sensibilizzazione, come l’educazione nelle scuole, oppure all’adozione  di nuove tecnologie.
Molte delle misure poste a salvaguardia dell’ambiente sono finalizzate pure alla protezione della salute umana, presa in considerazione come specifico obiettivo ai sensi dell’art. 174.
Di fatto, i due obiettivi: quello di migliorare l’ambiente e quello di proteggere la salute umana sono spesso interconnessi, come dimostra la recente definizione fatta propria dalla Direttiva in materia di danno ambientale 2004/35/CE, che prevede che per danno al terreno  debba intendersi “qualsiasi contaminazione del terreno che crei un rischio significativo di effetti negativi sulla salute umana”.
L’obiettivo dell’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali è stato inserito nel Trattato dall’Atto Unico Europeo nel 1987 ed è stato più volte ripreso nei Programmi di azione in campo ambientale. Il Quinto Programma di azione , ad esempio, specifica che “Le risorse naturali devono essere usate e gestite più razionalmente, per conservare le risorse non rinnovabili e ridurre le quantità di rifiuti”. L’obiettivo dell’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali veniva inoltre concepito come concretizzazione di uno sviluppo sostenibile.
Lo stesso trend argomentativo è poi stato impiegato dal Sesto Programma , in cui l’uso razionale delle risorse naturali del pianeta e la salvaguardia dell'ecosistema globale vengono considerati “presupposti essenziali dello sviluppo sostenibile, assieme alla prosperità economica e ad un'equilibrata organizzazione sociale” . La “gestione sostenibile delle risorse naturali e dei rifiuti” viene quindi scelta come tematica prioritaria dal Sesto Programma.
L’obiettivo che ci si propone è quindi quello “di garantire che il consumo di risorse rinnovabili e non rinnovabili e l'impatto che esso comporta non superino la capacità di carico dell'ambiente e dissociare l'utilizzo delle risorse dalla crescita economica migliorando sensibilmente l'efficienza delle risorse, "dematerializzando" l'economia e prevenendo la produzione di rifiuti” .
La  promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell'ambiente a livello regionale o mondiale è stato inserito come obiettivo dal Trattato d Maastricht nel 1993 e determina che l’azione comunitaria può avere effetti anche al di fuori della Comunità.
Una chiara esemplificazione di tale azione ha luogo nell’ambito delle politiche sui cambiamenti climatici, che hanno una portata globale e non certamente limitata al territorio della Comunità. In questo ambito si è intervenuti già prima dell’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto con la direttiva 2003/87/CE ,  che istituiva un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità, proprio con riguardo ai meccanismi previsti dal Protocollo stesso.

7. I principi-guida delle politiche ambientali

Ai sensi dell’art. 174, secondo comma, del Trattato, la politica della Comunità in materia ambientale “è fondata sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio «chi inquina paga»”.
Il principio di precauzione è stato introdotto dal Trattato di Maastricht nel 1993, e trova la sua origine nel contesto internazionale . In particolare si ricorderà che l’articolo 15 della Dichiarazione di Rio firmata nel 1992 in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo, prevedeva nella sua formulazione originale che: “Ove vi siano minacce di danno serio o irreversibile, l’assenza di certezze scientifiche non deve essere usata come ragione per impedire che si adottino misure di prevenzione della degradazione ambientale” .
Il contenuto di tale principio è stato successivamente specificato in ulteriori atti comunitari, ed in particolare da una Comunicazione della Commissione sul principio di precauzione del 2000 .
Tale Comunicazione sottolinea che il principio di precauzione costituisce un elemento di valutazione nell'analisi e nella gestione del rischio, trovando applicazione soprattutto nei casi in cui i riscontri scientifici sono insufficienti, non conclusivi o incerti e la valutazione scientifica preliminare indica che esistono motivi ragionevoli di pensare che gli effetti potenzialmente pericolosi sull'ambiente, sulla salute umana, animale o vegetale possono risultare incompatibili con l'elevato livello di protezione prescelto dall'UE.
La Comunicazione precisa inoltre i provvedimenti che possono essere adottati nel quadro del principio di precauzione. In particolare, qualora un intervento risulti necessario, i provvedimenti devono essere proporzionali al livello di protezione scelto, non discriminatori nella loro applicazione e coerenti con i provvedimenti similari già adottati. Essi devono inoltre basarsi su un esame dei costi e dei benefici potenziali dell'azione o dell'assenza di azione ed essere oggetto di revisione alla luce dei nuovi dati scientifici e devono inoltre essere mantenuti in vigore per tutto il tempo in cui i dati scientifici permangono incompleti, imprecisi o non conclusivi e per tutto il tempo in cui il rischio viene considerato troppo elevato per essere imposto alla società. Infine essi devono definire le responsabilità - o l'onere della prova - ai fini della produzione dei riscontri scientifici necessari per una valutazione completa del rischio. Queste linee guida proteggono contro il ricorso ingiustificato al principio di precauzione come anche contro forme dissimulate di protezionismo.
Il principio dell’azione preventiva, entra ben presto nel bagaglio concettuale comunitario.
In particolare, il principio della prevenzione, assieme a quello della partecipazione/informazione, era già stato formulato nel Primo Programma d’azione, per venire poi specificato nel Secondo Programma di azione.
Già la Prima Direttiva Seveso 82/501/CEE specificatamente richiamava il principio della prevenzione, ben prima che facesse la sua apparizione nel Trattato.
Il principio della prevenzione trovava un suo esplicito riconoscimento nell’art. 1 della Direttiva 82/501/CEE, la quale aveva come obiettivo saliente “la prevenzione di incidenti rilevanti che potrebbero venir causati da determinate attività industriali, così come la limitazione delle loro conseguenze per l'uomo e l'ambiente…” .
Con l’Atto Unico Europeo il principio della prevenzione fa il suo ingresso nel Trattato e con la successiva introduzione del principio di precauzione, il principio di prevenzione ne risulta rafforzato .
Il principio di prevenzione può trovare applicazione ad ogni misura od azione che miri a prevenire qualsiasi  effetto negativo per l’ambiente.
Si potrà  dunque trattare di misure volte a valutare in anticipo quali possano essere i rischi che determinati impianti possono comportare per l’ambiente e la salute umana, come nel caso della Direttiva Seveso, o come nel caso della Direttiva sulla valutazione di impatto ambientale .
Tuttavia, la legislazione comunitaria riconosce anche alle sanzioni un effetto deterrente e quindi preventivo. In particolare, la responsabilità civile viene concepita quale strumento per imporre standard di comportamento, e quindi in sostanza come strumento preventivo nella disciplina del danno all'ambiente. Tale impostazione, già presente nel Libro Verde del 1993 ,  e poi nel Libro Bianco del 2000 , si ritrova alla base della Direttiva 35/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004 sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale .
Il principio «chi inquina paga» , già recepito in sede comunitaria dal Primo Programma d'azione in materia ambientale del 22 novembre 1973 e dalla Raccomandazione del Consiglio del 3 marzo 1975 concernente l'imputazione dei costi e l'intervento dei pubblici poteri in materia di ambiente , è entrato successivamente nel Trattato con l’Atto Unico Europeo.
Le origini di tale principio sono poste in stretta connessione con gli aspetti economici della tutela ambientale. Tale connessione riguarda innanzitutto l'inserimento dei costi ambientali nello sviluppo delle imprese e quindi dell'economia in senso lato. L'imputazione di tali costi serve infatti da incentivo per i responsabili dell'inquinamento a diminuire l'inquinamento e - soprattutto - a ricercare nuove metodologie meno inquinanti . 
Il principio è stato analizzato da successive fonti comunitarie, in vista della possibilità di adottare uno strumento normativo che prevedesse un criterio di responsabilità ambientale a livello comunitario. In particolare il Libro Verde sul risarcimento dei danni all'ambiente , esamina l'utilità della responsabilità civile quale mezzo adatto ad imputare la responsabilità per costi legati al risanamento ambientale . Tale documento sottolinea l’importanza del riconoscimento del principio chi inquina paga per il buon funzionamento del mercato interno, che dovrebbe basarsi sulla sopportazione dei costi dell'inquinamento da parte del responsabile, affinché gli Stati non debba addossarsi delle spese nascenti dal degrado ambientale, venendo così a falsare - anche se solo indirettamente - le condizioni perché si verifichi un mercato concorrenziale . Secondo uno studioso francese che si è occupato del principio pollueur-payeur "dans un système économique où les décisions sont prises essentiellement en fonction des prix et des conditions de concurrence, il apparait à la fois conforme aux règles du marché et à l'efficacité économique que les frais par la prevention et la suppression des pollutions et nuisances incombent par principe au pollueur" .
Il principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente,  era già stato previsto dal Primo Programma d’azione del 1973 ed era poi stato ripreso dal Quarto Programma d’azione nel 1987. Tale principio è entrato nel Trattato nel 1987 e deve essere letto in chiara sintonia con gli altri due principi della prevenzione e “chi inquina paga”.
Il fine specifico di tale principio è quello di  contrastare gli effetti negativi sull’ambiente per evitare che questi si amplifichino. Nel concreto, il principio di prevenzione e il principio “chi inquina paga”  verranno spesso accomunati nel raggiungimento del medesimo scopo.
Ciò è bene esemplificato in materia di responsabilità ambientale, ove i principi vengono richiamati congiuntamente . In particolare, nella Direttiva 2004/35 sulla responsabilità ambientale l’azione di prevenzione prevista all’art. 5 appare essere la concretizzazione congiunta di tutti e tre i principi, stabilendo che “Quando un danno ambientale non si è ancora verificato, ma esiste una minaccia imminente che si verifichi, l'operatore adotta, senza indugio, le misure di prevenzione necessarie”.
Essendo gli oneri della prevenzione addossati all’inquinatore , l’azione di prevenzione, così come disciplinato nella legislazione comunitaria,si presenta come valido strumento di applicazione congiunta dei tre principi caratterizzanti le politiche comunitarie in campo ambientale.

8. Gli  strumenti della tutela ambientale

La Comunità ha basato per decenni la sua normativa sugli strumenti di politica ambientale tradizionali, quelli basati sul modello comando-controllo,  mentre – solo più di recente – sono stati presi in considerazione strumenti più duttili, che comprendono tasse, oneri, incentivi ambientali, sistemi di scambio di autorizzazioni, regimi di etichettatura ecologica e di bilancio ambientale, la disciplina della responsabilità per danni causati all’ambiente e, infine, gli accordi ambientali.
Tale revisione dell’approccio muove da un’indagine condotta dalla stessa Agenzia Europea per l’ambiente agli inizi degli anni ’90 intitolata “Environment in the European Union at the turn of the century” , in cui si metteva in luce come l’imponente mole di direttive intervenute in materia ambientale non avesse raggiunto i risultati auspicati di salvaguardia ambientale.
Le ragioni offerte a questo proposito dal Report erano molteplici: il recepimento limitato a livello nazionale delle norme europee, il limitato enforcement delle stesse e quindi la limitata giustiziabilità da parte dei cittadini delle norme poste a tutela dell’ambiente .
Forse però la ragione più profonda, quella riconosciuta ormai dalla Commissione stessa, deriva dallo stesso modello, dagli stessi strumenti sino ad allora erano stati prescelti per tutelare l’ambiente a livello comunitario: lo strumento delle norme comando-controllo utilizzato dalle Direttive, che aveva dato prova di non essere sufficientemente adeguato al ruolo affidato loro .
In questo ambito si collocano le prese di posizione della Commissione a favore di nuovi strumenti di tutela, in particolare di strumenti premiali e socialmente sanzionatori .
Già nel Quinto programma d’azione in campo ambientale adottato dalla Commissione il 18 marzo 1992 intitolato “Per uno sviluppo durevole e sostenibile” si prendeva in considerazione l’ampliamento del ventaglio degli strumenti di politica ambientale.
Al fine di guidare il cambiamento nell’approccio alle problematiche ambientale e al fine di incentivare uno spirito di “responsabilità condivisa”,  la Commissione si faceva portavoce della esigenza di proporre un ventaglio più ampio di strumenti che rendesse le imprese partecipi di un processo di sensibilizzazione e coscienza ambientali .
Nella successiva Comunicazione, intitolata: L’ambiente in Europa: quali direzioni per il futuro? , che costituiva una relazione intermedia sull’applicazione del programma, la Commissione dava conto del fatto che negli ultimi cinque anni fossero state attuate molte nuove iniziative negli Stati membri per incentivare l’impiego degli strumenti di mercato, riconoscendo alle nuove politiche il raggiungimento dei risultati auspicati .
Nel Sesto programma d’azione  in campo ambientale , che copre il periodo 2002-2010, si prevede che uno degli scopi della politica ambientale debba essere quello di indurre il mercato a lavorare per l’ambiente attraverso una migliore collaborazione con il mondo imprenditoriale, introducendo programmi premiali per le aziende con le migliori prestazioni ambientali, promuovendo un’evoluzione verso prodotti e processi più verdi, incentivando l’adozione di marchi ecologici che permettano ai consumatori di confrontare prodotti analoghi in base alla prestazione ambientale.
Questo approccio strategico integrato dovrebbe portare all’introduzione “di nuove modalità di interazione con il mercato e coinvolga i cittadini, le imprese e altri ambienti interessati, per indurre i necessari cambiamenti dei modelli di produzione e di consumo pubblico e privato che incidono negativamente sullo stato dell’ambiente e sulle tendenze in atto” ( ).
Come si legge nello stesso programma: “Alla vigorosa azione legale attraverso la Corte di Giustizia europea deve essere abbinato un supporto alla buone prassi e una politica di informazione pubblica nella quale inadempienti e non sono segnalati per nome e lodati o biasimati secondo i casi (“name, fame and shame”) .
Un tale approccio è stato fatto proprio dalla direttiva 87/2003, che introduce nella Comunità il sistema di scambio di quote di emissione previsto dal Protocollo di Kyoto . In particolare l’art. 16.2 stabilisce che “Gli stati membri assicurano la pubblicazione dei gestori che hanno violato i requisiti per la restituzione di quote di emissioni sufficienti a norma dell’art. 12, paragrafo 3”. La pubblicazione del nome del gestore che ha violato le norme previste dalla Direttiva dovrebbe introdurre un sistema  di “Naming and Shaming”,  sulla falsariga di quanto era stato fatto negli Stati Uniti con il Clean Air Act, nell’ambito dell’Acid Rain Program .
Vi è da chiedersi se questi strumenti premiali possano considerarsi efficaci. A prima vista, in effetti,  la capacità di incidere sui concreti comportamenti delle imprese di tali sistemi premiali potrebbe apparire incerto.
Tuttavia, la loro potenzialità appare chiare, qualora li si collochi  nel contesto attuale, caratterizzato da un interesse crescente per la responsabilità sociale dell’impresa anche da parte dei maggiori investitori istituzionali. 
L’Unione Europea ha cominciato ad occuparsi ufficialmente di responsabilità sociale sulla scorta di quanto emerso nel corso del Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000 durante il quale lanciò un appello al senso di responsabilità delle imprese per ciò che riguarda le buone prassi collegate all’istruzione, alla formazione continua, all’organizzazione del lavoro, all’inserimento sociale e all’uguaglianza delle opportunità, così come alla variabile ambientale.
L’interesse per questi temi e il fenomeno dei Codici Etici ha avuto una progressione costante a partire dalla metà degli anni ’80 e un vero e proprio boom negli anni ’90, allorché circa il 90% delle imprese USA era dotato di tali codici, mentre in Europa la percentuale si attestava sul 40%. La differenza è presto spiegata se si tiene conto della diversa rilevanza dell’impresa nella società americana rispetto a quella europea.
Con il Libro Verde sulla responsabilità sociale d’impresa pubblicato nel 2001 si intende “sensibilizzare e stimolare la discussione sulle nuove forme di promozione della responsabilità sociale d’impresa”, e quindi dare l’avvio ad un dibattito sui modi con i quali l’Unione Europea potrebbe promuovere la responsabilità sociale delle imprese, su come sfruttare al meglio le esperienze esistenti e su come migliorarle o introdurre prassi innovative.
L’invito è rivolto ai pubblici poteri a tutti i livelli, comprese le organizzazioni internazionali, le imprese, le parti sociali, le ONG e qualunque altra parte o persona interessata, ad esprimere la propria opinione sui modi in cui costituire una partnership per favorire la responsabilità sociale delle imprese e contribuire alla promozione di un modello di tale responsabilità basato sui valori europei.
La Commissione, con il Libro Verde, lancia una vera e propria campagna di sensibilizzazione nei confronti delle tematiche ambientali, sostenendo che l’Unione Europea  e gli Stati membri possono svolgere un ruolo importante aiutando le imprese a identificare le opportunità di mercato e ad effettuare investimenti vantaggiosi per le stesse imprese e per l’ambiente.
In particolare si definisce una serie di altre misure destinate alle imprese: la creazione di un
programma di assistenza al rispetto della normativa vigente, in grado di aiutare le imprese a comprendere le esigenze della Comunità europea in materia ambientale; l’elaborazione di sistemi nazionali, ma armonizzati, di concessione di premi alle imprese, che identifichino e ricompensino le buone prestazioni ambientali promuovendo impegni e accordi volontari.
Acquisire reputazione ambientale con iniziative unilaterali è al momento operazione effettuata solo da alcune grandi imprese, tuttavia le politiche premiali sono giovani e ancora perfettibili.

 

9. Il ruolo della Corte dei diritti dell’uomo

Indipendentemente  dall’affermazione dell’ambiente nelle politiche comunitarie, un cenno al ruolo svolto  nel contesto europeo dalla Corte dei diritti dell’uomo appare inevitabile.
La Convenzione dei Diritti dell’Uomo del 1950 non prevede alcuna disposizione che sancisca un diritto fondamentale all’ambiente.
Tuttavia, la Corte di Giustizia di Strasburgo ha più volte preso in considerazione problematiche inerenti alla salvaguardia ambientale, elaborando un diritto all’ambiente come componente di un altro diritto fondamentale preso in considerazione esplicitamente dalla Convenzione e segnatamente quello previsto al suo art. 8, concernente il diritto al rispetto della vita privata e familiare .
La giurisprudenza della Corte ha ormai sviluppato in una costante giurisprudenza alcuni principi chiave per la materia .
In Lopez Ostra c. Spagna (1994) la Corte aveva riconosciuto come l’evacuazione di residenti nella località di Lorca, presso Murcia, in conseguenza di un incidente avvenuto presso l’impianto di smaltimento rifiuti, costruito su suolo pubblico, con un sussidio dello Stato spagnolo e tuttavia operante senza licenza, costituiva una violazione dell’art. 8 della Convenzione, che - come si è avuto modo di vedere - sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare
Nel successivo caso Guerra c. Italia (1998), la Corte di Strasburgo stabilì che il fatto che i cittadini interessati non avessero ricevuto adeguate informazioni sulle questioni concernenti l’inquinamento dell’ambiente in atto, costituiva - di nuovo - una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare di cui all’art. 8 della Convenzione.
Da ultimo, la questione dell’applicabilità dell’art. 8 della Convenzione a casi inquinamento è stata di nuovo sottoposta alla Corte nel caso Hatton c. Regno Unito (2001).
La Signora Ruth Hatton ed altri cittadini britannici residenti nei pressi di Heathrow, lamentavano i livelli intollerabili raggiunti dall’inquinamento acustico, che  - a causa dei voli notturni effettuati da e per tale aeroporto – dovevano considerarsi all’origine dei disturbi del sonno di cui tutti i ricorrenti ormai soffrivano.
Nella decisione resa il 2 ottobre del 2001, la Corte specifica come al Governo britannico, pur  non potendo essere considerato direttamente responsabile dell’attività dell’aeroporto, né – tantomeno - di quella delle linee aree che vi operano, possano essere imposti alcuni doveri positivi, al fine di garantire i diritti sanciti all’art. 8.
Il diritto ad un ambiente salubre, privo di insidie per l’integrità psico-fisica dell’individuo, rientra dunque a pieno titolo nel diritto al  rispetto per la vita privata e familiare. Nelle parole del giudice Costa: “the State has positive duties, and … the right to a healthy environment is included in the concept of the right to respect for private and family life” .
Tale giurisprudenza non potrà non svolgere un ruolo di fondamentale nei successivi sviluppi della materia anche nel più specifico ambito comunitario.

KRÄMER, Manuale di diritto comunitario dell’ambiente, Milano, 2002, p. 2.

ROMI,  Droit international et européen de l’environnement, Paris, 2005, p. 24.

Dal 1973 a oggi vedono la luce 6 programmi di azione in campo ambientale. I primi tre (il primo per il periodo 1973-1976; il secondo per il periodo 1977-1981; il terzo per il periodo 1982-1986) gettarono le fondamenta delle politiche comunitarie in campo ambientale in assenza di una specifica competenza nel Trattato. Dopo quella data sono stati pubblicati il 4 programma d’azione per il periodo 1987-1992; il quinto per il periodo 1993-2000 e, da ultimo il sesto programma d’azione che concerne l’attuale periodo (dal 2001 al 2010). I programmi d’azione, pur non essendo vincolanti, sono documenti importanti che consentono di comprendere in quale direzione la Commissione si stia muovendo per sviluppare la futura legislazione ambientale comunitaria.

Così si legge nel terzo considerando del secondo programma di azione del 17 maggio 1977,  in GUCE C 139/1; la stessa argomentazione si ritrova anche nel terzo programma di azione del 7 febbraio 1983, in GUCE C 46/1, al quarto considerando.

Così il terzo programma d’azione 7 febbraio 1983, in GUCE C 46/1, al sesto considerando.

Il Secondo Programma d’Azione per l’Ambiente, è stato pubblicato nel 1977 (GUCE C 139/1).

(1987) GUCE L169/1.

JACQUE’ J.- P., L’acte unique européen, in Revue Trimestrelle Droit Européen, 1986, p. 608

ZACCARIA, Principe de subsidiarité et environnement, in  Revue européenne de droit de l’environnement, 3/2000. p. 255.

Art. 130 R

L’art. 130R prevedeva al punto 2.: "La politica della Comunità in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni della Comunità. Essa è fondata sui principio della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, anzitutto alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché  sul principio chi inquina paga".

Arttt. 130 R e S.

Trattato di Amsterdam, firmato il 2 ottobre 1997 ed entrato in vigore il 1 maggio 1999.

L’art. 2, così come modificato dal Trattato di Amsterdam recita: “La Comunità ha il compito di promuovere nell'insieme della Comunità, mediante l'instaurazione di un mercato comune e di un'unione economica e monetaria e mediante l'attuazione delle politiche e delle azioni comuni di cui agli articoli 3 e 4, uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche, un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, la parità tra uomini e donne, una crescita sostenibile e non inflazionistica, un alto grado di competitività e di convergenza dei risultati economici, un elevato livello di protezione dell'ambiente ed il miglioramento della qualità di quest'ultimo, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra Stati membri”.

L’art. 6 introdotto dal Trattato di Amsterdam recita: “ Le esigenze connesse con la tutela dell'ambiente devono essere integrate nella definizione e nell'attuazione delle politiche e azioni comunitarie di cui all'articolo 3, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile”.

Sul punto si vedano WASMEIER, The Integration of Environmental Protection as a General Rule for Interpreting Community Law, in Common Market Law Review, vol. 38, 2001, 151; GRIMEAUD, The Integration of Environmental Concerns into EC Policies: A Genuine Policy Development?, in European Environmental Law Review, 2000, 207 ss.

Si vedano ad esempio le conclusioni dell’Avvocato Generale Antonio Tizzano nella Causa C-173/99, Broadcasting, Entertainment, Cinematographic and Theatre Union (BECTU) contro Secretary of State for Trade and Industry, presentate l’8 febbraio 2001, sub n. 26; si vedano inoltre le conclusioni dell’Avvocato Generale Jean Mischo presentate il 22 febbraio 2001 nelle Cause C-122/99 P e C-125/99 P, D e Regno di Svezia contro Consiglio dell’Unione Europea.

LONDON, Constitution européenne, la protection de l’environnement acquiert ses lettres de noblesse, in Droit de l’environnement, Septembre 2004, p. 158.

ROMI, Droit international et européen de l’environnement, cit., 29.

Art. I-3, quarto comma: Nelle relazioni con il resto del mondo l'Unione afferma e promuove i suoi valori e interessi. Contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli, al commercio libero ed equo, all'eliminazione della povertà e alla tutela dei diritti umani, in particolare dei diritti del minore, e alla rigorosa osservanza e allo sviluppo del diritto internazionale, in particolare al rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite”.

Cfr. Versione Consolidata del Trattato sull'Unione europea e del Trattato che istituisce la Comunità europea, 29.12.2006, in GUCE C 321 E/1.

Così come già previsto dal comma 3 dell’art. 174 Cfr. Versione Consolidata del Trattato sull'Unione europea e del Trattato che istituisce la Comunità europea, 29.12.2006, in GUCE C 321 E/1.

ROSSI, Il settore dell’energia nel contesto europeo, problemi giuridici ed istituzionali, in VELO  (a cura di), La cooperazione rafforzata e l’Unione Economica, La politica europea dell’energia, Milano, 2007.

Sotto il profilo procedurale si ricorderà come lo stesso articolo al secondo e al terzo comma stabilisca: 2.“Fatte salve le altre disposizioni dei trattati, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscono le misure necessarie per conseguire gli obiettivi di cui al paragrafo 1. Tali misure sono adottate previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni. Esse non incidono sul diritto di uno Stato membro di determinare le condizioni di utilizzo delle sue fonti energetiche, la scelta tra varie fonti energetiche e la struttura generale del suo approvvigionamento energetico, fatto salvo l'articolo 175, paragrafo 2, lettera c)”.
3. “In deroga al paragrafo 2, il Consiglio, deliberando secondo una procedura legislativa speciale, all'unanimità e previa consultazione del Parlamento europeo, stabilisce le misure ivi contemplate se sono principalmente di natura fiscale”.

Nel 1972 il Club di Roma pubblica il rapporto di Dennis e Donella Meadows “I limiti allo sviluppo”; nello stesso anno la Conferenza di Stoccolma da inizio allo United Nations Environment Programme (UNEP) e introduce il concetto di ecosviluppo. Nel 1980 L’International Union for the Conservation of Nature pubblica un saggio in cui appare per la prima volta il concetto di sviluppo sostenibile. Per quanto concerne le linee guida seguite dalla Comunità si vedano i seduenti documenti: Commissione delle Comunità Europee, “Per uno  Sviluppo Durevole e Sostenibile. Programma Politico e d’Azione delle Comunità Europee a favore dell’Ambiente e di uno Sviluppo Sostsenibile”, COM (92) 23 def.; Commissione delle Comunità Europee, “Relazione della Commissione sull’applicazione del programma comunitario di politica ed azione a favore dell’ambiente e di uno sviluppo sostenibile. Per uno sviluppo Durevole e Sostenibile”, COM (95) 624 def.

« Uno sviluppo sostenibile esige che siano soddisfatti i bisogni primari  di tutti e che sia estesa a tutti la possibilità di dare realtà alle proprie aspirazioni per una vita migliore…Uno sviluppo sostenibile deve perlomeno non apportare danni ai sistemi naturali che costituiscono la base della vita sulla Terra, vale a dire l’atmosfera, le acque, il suolo e gli esseri viventi. Non esistono precisi limiti alla crescita in termini di popolazione o di uso delle risorse, superati i quali si abbia il disastro ecologico. Per il consumo di energia, materie prime,. Acqua e terra valgono limiti differenti, molti di essi si manifestano in forma di costi crescenti e profitti calanti, anziché in forma di un’improvvisa scomparsa di una base di risorse. L’accumulo di conoscenze e lo sviluppo della tecnologia possono incrementare la capacità di conservare tale base ; ma esistono pur sempre limiti ultimi, e la sostenibilità esige che, assai prima che li si raggiunga, il mondo assicuri equo accesso alle risorse limitate e riorienti gli sforzi tecnologici allo scopo di alleggerire le pressioni sull’ambiente….In sostanza, lo sviluppo sostenibile è un processo di cambiamento nel quale lo sfruttamento delle risorse, l’andamento degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i mutamenti istituzionali sono in reciproca armonia e incrementano il potenziale attuale e futuro di soddisfazione dei bisogni e delle aspirazioni umane ». Per la documentazione inerente allo United Nations Environment Program (UNEP), si consulti il sito http://www.unep.org.

Il riferimento principale è BRUNDTLAND, Our Common Future,  Oxford, 1987.

Si veda BROWN-WEISS, Fairness to Future Generation: International Law, common patrimony and intergenerational  Equity, New York, 1989; MANNE, Intergenerational Altruism, Discounting and the Greenhouse Debate, Stanford, 1996; FARBER/HEMMERSBAUGH, The Shadow of the Future: Discount Rates, Later Generations, and the Environment, in 46 Vaderbilt L.R. 267 (1993).

Per il dibattito in corso su « visione antropocentrica e visione ecocentrica » si veda KLÖPFER, Umweltrecht, op.cit., p. 13.

KRÄMER, Manuale di diritto comunitario dell’ambiente, cit., p. 72.

Regolamento 2496/89 (1989) GUCE L 240/5 definire

Regolamento 120/97 (1997) GUCE L 22/14 definire

KRÄMER, Manuale di diritto comunitario dell’ambiente, cit., p. 74.

Commissione delle Comunità Europee, “Per uno  Sviluppo Durevole e Sostenibile. Programma Politico e d’Azione delle Comunità Europee a favore dell’Ambiente e di uno Sviluppo Sostsenibile”, COM (92) 23 def.

Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato Economico e Sociale e al Comitato delle Regioni sul Sesto Programma di azione per l’ambiente della Comunità Europea “Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta” - Sesto programma di azione per l’ambiente, Bruxelles, 24.1.2001, COM (2001) 31 definitivo

Sesto Programma di azione per l’ambiente della Comunità Europea “Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta” - Sesto programma di azione per l’ambiente,  sub. 1.2., p . 11.

Sesto Programma di azione per l’ambiente della Comunità Europea “Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta” - Sesto programma di azione per l’ambiente,  sub. 6.1.2., p . 52.

GU C 80 del 30.3.2004, p. 61.

Sulle origini del principio cfr. KOURILSKI/VINEY, Le principe de  précaution, Paris, 2000; BUTTI, Il principio di precauzione, in Quaderni della Rivista Giuridica dell’Ambiente, n. 19.

Così il Principio 15 della Dichiarazione di Rio.

Si veda la Comunicazione della Commissione sul principio di precauzione, Bruxelles, 2.2.2000, COM (2000) 1 def.

G.U.C.E., L 230 del 05/08/1982 p.1.

Così l’art. 1 , n. 1 della Direttiva 82/501/CEE.

KRÄMER, Manuale di diritto comunitario dell’ambiente, p. 83.

Direttiva 85/337 sulla valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, in GUCE L 175/40.

Tale impostazione risulta essere presente sin dal Libro Verde sul risarcimento dei danni all'ambiente COM (93) 47, Bruxelles, 14 maggio 1993, in G.U.C.E. C/149 del 29 maggio 1993: "Imponendo ai responsabili il risarcimento delle spese derivate dal danno da essi causato, la responsabilità civile assolve alle importanti funzioni indirette di imporre standard di comportamento e di prevenire pertanto che si provochino ulteriori danni in futuro. la responsabilità civile figura oggi quindi all'ordine del giorno della politica di protezione  ambientale della Comunità Europea", così al punto 1.0. della Introduzione  del Libro Verde.

Libro Bianco sulla responsabilità per danni all’ambiente, Bruxelles, 9.2.2000, COM(2000) 66 definitivo: “Il valore economico intrinseco della responsabilità è il fatto che offre incentivi ad accrescere i livelli di prevenzione”. Così Libro Bianco p. 31.

Direttiva 35/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004 sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, in GU L 143/56 del 30.4.2004, il cui obiettivo risulta essere quello di “istituire una disciplina comune per la prevenzione e riparazione del danno ambientale a costi ragionevoli per la società”.  In questo senso il 3° Considerando della Direttiva.

Cfr. MELI, Le origini del principio "chi inquina paga" e il suo accoglimento da parte della CEE, in Riv. giur. amb., 1989, p. 217;  BUTTI, L'ordinamento italiano ed il principio chi inquina paga, in Contratto e impresa, 1990, p. 561.

così BUTTI, op.cit., p. 562-563. Cfr. inoltre KLATTE, Environmental and Economic Integration in the EC, in Frontiers of Environmental Law, ed. by Owen Lomas, London, 1991, p. 37 ss., in particolare p. 38 ss.

La Raccomandazione del Consiglio concernente l'imputazione dei costi e l'intervento dei pubblici poteri in materia di ambiente del 3 marzo 1975 n. 436 (G.U.C.E. 25.7.1975, n. L 194/1), prevedeva al punto 1, secondo capoverso: "L'imputazione agli inquinatori dei costi della lotta contro l'inquinamento da essi causato li incita a ridurre l'inquinamento stesso e a ricercare prodotti o tecniche meno inquinanti e consentirà così una più razionale utilizzazione delle risorse dell'ambiente; ciò inoltre corrisponde ai criteri di efficacia e di equità".

Il Libro Verde è stato presentatocome Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento e al Comitato Economico e Sociale della U.E. nel maggio del 1993 Commissione delle Comunità Europee, COM (93) 47, Bruxelles, 14 maggio 1993, in: G.U.C.E. n. C/149 del 29 maggio 1993.

Così si legge nell'Introduzione, punto 1.0 del libro verde.

La sopraccitata Raccomandazione del 1975, infatti, già stabiliva al punto 1, 3 capoverso: "Allo scopo di evitare che gli scambi e l'ubicazione degli investimenti vengano pregiudicati da distorsioni di concorrenza, il che sarebbe, incompatibile con il buon funzionamento del nmercato comune, è necessario che in tutta la Comunità vengano applicati gli stessi principi per l'imputazione dei costi della protezione dell'ambiente contro l'inquinamento".

così sostiene CARPENTIER, Environnement et industrie, in: RMC, 1974, p. 235, a p. 239.

Ad esempio nel Libro Bianco sulla responsabilità ambientale, cit., sub 1.1.

Così come stabilito dalla Direttiva stessa, all’art. 8 – Costi di prevenzione e riparazione: “L'operatore sostiene i costi delle azioni di prevenzione e di riparazione adottate in conformità della presente direttiva”.

Il Report si può trovare on-line, nel sito dell’ Agenzia europea per l’ambiente: http://org.eea.eu.eu.int/documents.

Sul punto GRIMEAUD, The Integration of Environmental Concerns into EC Policies: A Genuine Policy Development?, cit., in particolare p. 208.

Per una critica agli strumenti della politica ambientale sinora impiegati, si veda sempre GRIMEAUD, op.cit., loc.cit.

Sui nuovi strumenti delle politiche ambientali si vedano HOCKENSTEIN, STAVINS e WHITEHEAD, Crafting the Next Generation of Market-Based Environmental Tools, in Environment, 1997, vol. 39, n. 4, 13 ss. ; KEOHANE, REVESZ, STAVINS, The Choice of Regulatory Instruments in Environmental Policy, 22 Harvard Environmental Law Review, 313 (1998).

Il Quinto Programma è stato pubblicato in GUCE C 138/5, 17 maggio 1993.

I nuovi strumenti di politica ambientale e il concetto di “responsabilità condivisa” vengono esaminati al punto 7del Quinto Programma d’azione, GUCE C 138/70, 17 maggio 1993.

Comunicazione della Commissione, L’ambiente in Europa: quali direzioni per il futuro? Valutazione globale del programma di politica e azione della Comunità europea a favore dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile, “Verso la sostenibilità” , Bruxelles, 24.11. 1999, COM (1999) 543 def..

Comunicazione della Commissione, L’ambiente in Europa: quali direzioni per il futuro?, cit., 17

Si veda la Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato Economico e Sociale e al Comitato delle Regioni sul Sesto Programma di azione per l’ambiente della Comunità Europea “Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta” - Sesto programma di azione per l’ambiente, Bruxelles, 24.1.2001, COM (2001) 31 definitivo; si veda inoltre la Decisione n. 1600/2002/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 luglio 2002 che istituisce il sesto programma comunitario di azione in materia di ambiente, in G.U.C.E.  10.9.2002 L 242/1.

Vedi il 6° considerando della Decisione 1600/2002 che istituisce il sesto Programma d’azione in campo ambientale.

Si veda il Programma d’azione, cit., p. 3.

  Direttiva 2003/87/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 13 ottobre 2003 che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni di gas a effetto serra nella Comunità e che modifica la direttiva 96/61/CE del Consiglio.

Ne da conto JACOMETTI, op.cit.: “Nel 1990 sono stati approvati degli emendamenti al Clean Air Act che hanno corretto alcune disposizioni per il controllo di alcuni inquinanti particolarmente significativi, come quelli responsabili del cosiddetto “buco dell'ozono” e delle deposizioni acide, quelli provenienti dai veicoli a motore e gli inquinanti tossici che vengono emessi in atmosfera. In particolare, per quanto riguarda le deposizioni acide, con il Titolo IV dei Clean Air Act Amendements (CAA) del 1990, il Congresso ha creato l'Acid Rain Program, con cui mirava a ridurre entro il 2000 le emissioni di SO2 (biossido di zolfo) di 10 milioni di tonnellate e quelle di NOx (Ossido di azoto) di 2 milioni. Tuttavia, mentre in relazione all'NOx si è fatto ricorso al tradizionale approccio regolamentare, per quanto concerne l'SO2 è stato introdotto un programma di scambio di emissioni come strumento per raggiungere gli obiettivi previsti”.

“Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese”, COM(2001) 366 def.

L’art. 8 della Convenzione prevede al suo comma 1. “Ogni  persona  ha diritto al  rispetto della  propria  vita  privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza”.

Le decisioni della Corte - Lopez Ostra c. Spagna (9.12.1994), Guerra c. Italia (19 febbraio 1998), Hatton v. Regno Unito (2 ottobre 2001) - sono reperibili su internet: http://hudoc.echr.coe.int.

Si veda Hatton v. Regno Unito (2 ottobre 2001), p. 29.

Fonte: http://www.europeanrights.eu/public/commenti/Pozzo_testo.doc

Sito web da visitare: http://www.europeanrights.eu

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