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DIRITTO TRIBUTARIO
PARTE PRIMA
NOZIONE DI TRIBUTO
Il tributo è un prelievo coattivo di ricchezza operato dallo Stato o da altro Ente Pubblico, destinato al soddisfacimento di bisogni pubblici e deve essere rapportato alla capacità contributiva.
Analizziamo nel dettaglio la definizione:
Il tributo è un prelievo coattivo di ricchezza: significa, trasferimento della ricchezza dalle tasche dei contribuenti alle casse dello Stato.
Il prelievo è, anche, coattivo nel senso che da esso non ci si può sottrarre. Se il soggetto passivo (cioè colui che deve pagare il tributo) si sottrae al pagamento il soggetto attivo (cioè lo Stato o l'Ente pubblico) può ricorrere all'esecuzione forzata (trattandosi di una obbligazione coattiva).
Questo prelievo riguarda la ricchezza del soggetto, tale ricchezza si esprime fondamentalmente sottoforma di denaro contante.
Tuttavia, non sempre è vero, infatti, nelle imposte di successione il pagamento poteva avvenire anche mediante opere d'arte,gioielli. Oggi sia l'imposta sia il relativo pagamento sono stati aboliti. Ma i tributi possono anche essere pagati mediante la cessione di un titolo di debito pubblico (B.O.T. – C.C.T.), al valore di mercato.
Il prelievo coattivo di ricchezza ha uno scopo ben preciso, infatti esso è destinato, al soddisfacimento di bisogni pubblici cioè di quei bisogni che riguardano l'intera collettività.
Bisogni pubblici in particolare sono quelli il cui soddisfacimento è necessario per l'esistenza stessa dell'ente pubblico; si pensi a riguardo all'istruzione, alla sanità, alla pubblica sicurezza, cioè quelli senza i quali verrebbe meno lo Stato.
Rapportato alla capacità contributiva significa rapportato alla disponibilità di ricchezza. Più si ha disponibilità di ricchezza più si è sottoposti al prelievo coattivo.
BISOGNI PUBBLICI DIVISIBILI E INDIVISIBILI
I bisogni pubblici si classificano poi in bisogni pubblici divisibili e in bisogni pubblici indivisibili.
Un bisogno pubblico si dice divisibile quando è possibile quantificare il vantaggio che deriva al soggetto dal soddisfacimento di quel bisogno. Esempio ne è l'istruzione.
Un bisogno pubblico si dice indivisibile quando il soggetto non è in grado di determinare il vantaggio che deriva dal soddisfacimento di un dato bisogno. Ad esempio l'ordine pubblico, la difesa dei confini danno un vantaggio che non può essere quantificato.
DIFFERENZA FRA TRIBUTO CONFISCA ED ESPROPRIAZIONE
Il tributo non è il solo prelievo coattivo previsto dal nostro ordinamento esistono altre due forme di prelievo coattivo che sono la confisca e l’espropriazione.
Pertanto il tributo, la confisca e l’espropriazione sono tutti e tre prelievi coattivi di ricchezza.
La confisca è un prelievo coattivo di ricchezza ma ha due caratteristiche peculiari:
La prima è che è connessa alla violazione di una legge (invece il presupposto del tributo non è mai la violazione della legge),
mentre
La seconda è che la confisca è totale cioè riguarda tutti beni di un soggetto mentre nel tributo ciò non può avvenire innanzi tutto perché esiste un limite costituzionale cioè il fatto che il prelievo è commisurato alla disponibilità di ricchezza e quindi non sarà mai totale in secondo luogo perché se il prelievo fosse totale lo Stato non potrebbe l'anno successivo prelevare più nulla dal contribuente.
L'espropriazione è anch'essa un prelievo coattivo di ricchezza ma (è questa la sua peculiarità) riguarda un solo un solo bene e deve essere giustificato da una causa di pubblica utilità. Esempio tipico è
l’espropriazione di un terreno per costruire una strada pubblica. C'è dunque una prevalenza dell'interesse della collettività rispetto all'interesse del singolo che si vede tolto quel bene. Tuttavia caratteristica delle espropriazione è il cosiddetto ristoro cioè è prevista una indennità per il soggetto sottoposto ad espropriazione, la quale dovrebbe essere pari al valore del bene soggetto ad espropriazione. Pertanto il cosiddetto ristoro costituisce una sorta di ricompensa per la perdita subita.
Da ciò si vince che il tributo è totalmente diverso dall'espropriazione perché pur avendo in comune il fatto che entrambi devono essere giustificati da una causa di pubblica utilità tuttavia dopo che si paga il tributo non si ha mai diritto ad alcun indennizzo.
Sappiamo, dal diritto finanziario, che per le entrate dello Stato non è prevista alcuna destinazione vige, infatti, il principio di non destinazione delle singole entrate.
Questo principio vale sempre tranne quando si è in presenza del cosiddetto tributo di scopo, il quale ha una sua particolarità, infatti, nella legge istitutiva di esso è sancita la finalità che si pone il Legislatore nel prevedere quel determinato tributo (ciò avviene specialmente nei casi di calamità naturale come per i terremoti o allagamenti. Lo Stato in queste particolari ipotesi può decidere, per aiutare le popolazioni colpite da questo fatto, di istituire un tributo il cui gettito sarà destinato esclusivamente a questo tipo di scopo previsto).
Nella nozione di tributo rientrano tre distinte ipotesi:
Pertanto, si può dire che il tributo è il genus mentre l’imposta, la tassa e il contributo sono le species.
L’imposta, la tassa e il contributo sono sempre tributi pertanto rispondono alla definizione generale di tributo ma al loro interno hanno delle specificazioni che li differenziano.
IMPOSTA
All'interno della classificazione dei tributi il più importante è l'imposta.
L' importanza della gerarchia in diritto tributario è data dal gettito, infatti, dalle imposte lo Stato ricava il 98% del suo gettito.
L'imposta è un prelievo coattivo di ricchezza destinato al soddisfacimento di bisogni pubblici indivisibili e deve essere rapportato alla capacità contributiva.
Rispetto alla definizione generale abbiamo solo specificato a quale tipo di bisogno pubblico è destinata l’imposta (esempi sono l'irpef e l'Iva).
TASSA
La tassa è un prelievo coattivo di ricchezza destinato a soddisfacimento di bisogni pubblici divisibili prestati su domanda.
La domanda è dunque un elemento essenziale e identificativo della tassa.
L'obbligazione tributaria scatta solo dopo che si è presentata la domanda per cui l'obbligatorietà della tassa nasce solo dopo che è scattata la richiesta del servizio.
CONTRIBUTO
Il contributo è un prelievo coattivo di ricchezza destinato al soddisfacimento di bisogni pubblici divisibili riguardanti determinate categorie di soggetti (e non l'intera collettività) e il gettito di esso dovrebbe essere ad esclusivo vantaggio di quelle stesse categorie.
In altri termini il gettito dai contributi dovrebbe essere destinato alla stessa categoria che li versa.
Esempio: gli avvocati pagano dei contributi previdenziali che servono non per l'intera collettività ma dovrebbero servire per pagare le pensioni degli avvocati in pensione. In realtà lo Stato ha più volte utilizzato il gettito proveniente da questi contributi destinandolo ad altri bisogni pubblici per cui le casse degli enti previdenziali si sono depauperate delle proprie ricchezze.
La differenza tra contributo e tassa risiede nel fatto che il contributo non richiede la domanda del servizio da parte del soggetto.
Le Fonte del diritto tributario sono gli atti da cui scaturisce il diritto tributario.
Le fonti del diritto tributario sono:
Quest'ordine non è casuale, infatti, l'ordine gerarchico è importante perché la fonte di grado inferiore non può mai essere in contrasto con la fonte di grado superiore.
Gli atti comunitari che sono fonte del diritto tributario sono:
REGOLAMENTI COMUNITARI
I regolamenti comunitari, sono atti a carattere normativo, che hanno la caratteristica di essere immediatamente esecutivi all'interno della comunità europea, cioè trovano applicazione nello stesso momento in cui sono emanati senza bisogno di una legge interna che li ratifichi.
I regolamenti sono immediatamente esecutivi perché sono fonte di grado superiore rispetto alla legge ordinaria.
Per cui anche se la legge ordinaria prevede qualcosa di diverso rispetto al regolamento comunitario quest'ultimo deroga alla legge nel senso che in caso di contrasto si applica il regolamento comunitario.
LE DIRETTIVE
Le direttive si distinguono in:
Le direttive generiche, che contengono di norma un indirizzo o un obbiettivo che i singoli Stati membri devono raggiungere, non sono automaticamente esecutive ; hanno bisogno, infatti, di una legge interna (o decreto legge o decreto legislativo) che le recepisca e le renda applicabili.
Le direttive specifiche hanno la stessa rilevanza dei regolamenti comunitari, infatti, sono direttamente esecutive e riguardano singole ipotesi, fattispecie specifiche e non intere materie.
DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA
La Corte di Giustizia europea è un organismo comunitario che risolve eventuali controversie tra gli Stati membri in ordine, ad esempio, all’interpretazione delle norme comunitarie o tra una normativa interna e quella comunitaria.
Le parti del processo possono essere:
Le decisioni emesse dalla Corte di Giustizia Europea sono fonti limitatamente ai soggetti che sono parti di quel giudizio. Per gli altri Stati avranno valore di precedenti giuridici (giudiziario).
La legge ordinaria è quella approvata in lettura congiunta dai due rami del Parlamento ed entra in vigore dopo quindici giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Il fatto che la legge non sia immediatamente esecutiva è un limite per la legge tributaria mentre la velocità in materia fiscale è di fondamentale importanza.
Infatti, fonte del diritto tributario non è solo la legge ordinaria ma anche gli atti aventi forza di legge ossia i decreti legge e i decreti legislativi.
Il decreto-legge incontra i limiti della necessità e dell'urgenza. Il decreto legge ha carattere temporaneo dato che entro 60 gg decade ex tunc se non convertito in legge e non si può generalizzare perché ha una funzione particolare.
I decreti legislativi nascono in base ad una legge delega, attraverso la quale il Parlamento dà mandato al Governo di legiferare in sua vece, delimitandone i limiti.
I decreti legislativi si giustificano per il fatto che il Parlamento non essendo un esperto in materia fiscale demanda la materia all'organo competente, tecnico cioè il Governo.
Il potere delle Regioni in materia fiscale è previsto dall'articolo 119 della Costituzione che attribuisce alle stesse autonomia finanziaria.
L'autonomia finanziaria, consiste nella possibilità da parte delle Regioni di gestire sia le entrate che le spese.
Tuttavia di fatto le Regioni non hanno alcun potere impositivo e ciò è legato a un problema di gerarchia delle fonti.
Infatti, le Legge Regionale si situa al quarto posto nell’ambito della gerarchia delle fonti e pertanto si deve necessariamente adeguare alle altre tre fonti che la precedono e quindi non può disporre diversamente da quanto già previsto dalle fonti ad essa sovraordinate.
Questa circostanza comporta che se si vuole prevedere con una legge regionale un tributo bisogna prima accertarsi che quello stesso tributo non sia già previsto con un atto gerarchicamente superiore ad esempio con una legge statale.
La regione, infatti, non potrà mai colpire ad esempio il reddito delle persone fisiche perché già esiste un'imposta erariale che colpisce quella tipologia di reddito.
Quindi, una legge regionale dovrebbe colpire ciò che non è colpito dalle altre fonti cosa in concreto impossibile dal momento che tutto è tassato dal regime erariale.
Lo Stato, che si pone l'obiettivo di andare verso il federalismo fiscale, ha previsto dei tributi locali non però in senso stretto cioè non sono istituiti con una legge regionale ma sono tributi previsti da una legge ordinaria o da atti aventi forza di legge il cui gettito va a favore delle regioni (pensiamo all' IRAP imposta regionale sulle attività produttive).
La regione siciliana, in riferimento ai tributi, ha una peculiarità ossia che tutti i tributi pagati in Sicilia restano all'interno della regione; per cui l'IRPEF, che è un'imposta erariale, pagata in Sicilia resta in Sicilia.
Questa regola trova un eccezione.
Alcuni tributi, come l'imposta di fabbricazione, imposta di bollo e dei monopoli fiscali rimangono di appannaggio dello Stato.
Ma a parte questa eccezione tutto il gettito delle altre imposte viene girato dallo Stato alle Regioni a statuto speciale.
Proprio per questo motivo è riconosciuta alla regione Sicilia la possibilità di prevedere esenzioni o agevolazioni di imposta.
I regolamenti sono atti generali a contenuto normativo.
Sono atti generali in quanto rivolti ad una pluralità di soggetti;
sono a contenuto normativo in quanto hanno forza di legge ma non sono né legge né atti aventi forza di legge.
Secondo l'articolo 23 della Costituzione:
"nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base ad una legge".
A questo punto viene da chiedersi come mai i regolamenti che non sono non sono né legge né atti aventi forza di legge sono fonte del diritto tributario?
Si deve subito precisare che sono fonte del diritto tributario solo i regolamenti di esecuzione. I regolamenti di esecuzione sono fonte del diritto tributario in quanto traggono la loro legittimità dalla legge perché è la legge stessa che fa un esplicito rinvio al regolamento di esecuzione.
ESEMPIO: Esiste una norma che obbliga chiunque abbia percepito reddito a compilare la dichiarazione dei redditi su un modulo oggi chiamato Modello Unico (unico perché all’interno di esso si pagano tutte le imposte), questo modulo è previsto con Decreto Ministeriale. La dichiarazione dei redditi deve essere presentata ogni anno sul modulo (Unico) che verrà di anno in anno approvato con un decreto ministeriale che altro non è che un regolamento di esecuzione.
Se manca il modulo cioè non viene emanato il decreto ministeriale le legge non ha esecuzione. Il regolamento di esecuzione serve, appunto, a dare esecuzione alla legge se questa rinvia espressamente al regolamento di esecuzione.
Lo scopo dei regolamenti di esecuzione è quello di rendere più esplicito di contenuto della legge e di dare pratica attuazione ad essa.
I regolamenti di esecuzione possono essere emanati dalle seguenti autorità:
Il singolo Ministro ad esempio il Ministro dell’economia (D.M decreto ministeriale)
L’intero consiglio dei Ministri firmato dal Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM decreto pres. del consiglio)
Più Ministri in concerto fra loro (decreti interministeriali.).
MEZZI DI TUTELA DAL REGOLAMENTO DI ESECUZIONE
Due sono i mezzi di tutela dal regolamento di esecuzione (qualora esso sia ritenuto lesivo dei diritti del contribuente), dal momento che non si può intraprendere la strada dell'eccezione di incostituzionalità visto che non è né legge né atto avente forza di legge in quanto sono atti generali a contenuto normativo.
MEZZO DI TUTELA DIRETTO: consiste nella possibilità di impugnare il regolamento dinanzi al tribunale amministrativo regionale in quale potrà respingere la richiesta o ritenerla legittima. Se la tesi viene condivisa dal TAR questo annullerà il regolamento ex tunc cioè fin da allora come se non fosse mai esistito ed avrà efficacia erga omnes; pertanto questa pronuncia non riguarda soltanto chi ha impugnato il regolamento ma anche tutti gli altri soggetti.
MEZZO DI TUTELA INDIRETTO: in questo caso non si impugna, davanti al giudice tributario, direttamente il regolamento ma si impugna l'atto su cui si fonda il regolamento stesso. In sostanza, con questo secondo mezzo di tutela, si vuole dimostrare che l'atto (l'avviso di accertamento) è illegittimo perché si fonda su un provvedimento illegittimo ossia il regolamento. Il giudice tributario se riterrà illegittimo l'atto impugnato lo annullerà (cioè annullerà l'atto impugnato e non il regolamento è in sostanza il caso opposto al precedente). In concreto la pronuncia del giudice comporterà la disapplicazione del regolamento e non il suo annullamento.Questa pronuncia ha una rilevanza estremamente più limitata rispetto a quella del Tar perché la disapplicazione dal regolamento riguarda solo quella singola e determinata fattispecie, per tutti gli altri contribuenti il regolamento continuerà ad avere efficacia. La pronuncia del giudice all'esterno di quel giudizio potrà valere al massimo come precedente giurisprudenziale.
Perché un atto sia fonte del diritto tributario deve avere contenuto obbligatorio contemporaneamente per tre categorie di soggetti, che sono:
Basta che anche una di queste categorie non si è obbligata a seguire questi atti che tali atti non saranno fonte del diritto tributario.
Esistono atti che hanno una grande rilevanza per il diritto tributario pur non essendone sue fonti questi sono:
Fra gli atti che non sono fonti del diritto tributario ma che per esso hanno una grande rilevanza, le Circolari ministeriali occupano il primo posto.
Le circolari che hanno rilevanza ai fini del diritto tributario sono quelle interpretative. Esse sono emesse dal Ministro dell’economia o per meglio dire portano la sua firma dal momento che nella maggior parte dei casi non sono scritte materialmente da lui la firma, infatti, serve a far assumere la responsabilità al Ministro.
Le circolari sono dette interpretative proprio perché la funzione di queste è quella di esplicitare e quindi di interpretare più compiutamente il significato e la portata di una determinata norma.
Infatti, le norme tributarie sono spesso di difficile interpretazione o possono essere suscettibili di diverse interpretazioni a causa dell’ambiguità del linguaggio utilizzato dal legislatore.
In sostanza tramite le circolari interpretative noi veniamo a conoscenza del pensiero del ministro su una determinata norma.
Pertanto, la funzione principale di queste circolari è quella di rendere un'applicazione uniforme su tutto il territorio nazionale di una determinata norma.
Il Ministro è certo del raggiungimento di questo fine in virtù del rapporto di gerarchia. Egli infatti, è al vertice del ministero delle finanze (economia), è l'autorità più alta conseguentemente tutti gli altri soggetti si devono uniformare alle sue interpretazioni.
Per cui gli uffici periferici dell'amministrazione finanziaria nel momento in cui viene emanata una circolare ministeriale si devono adeguare a quella, dal momento che essa è l'interpretazione voluta dal Ministro.
Le circolari, dobbiamo precisare, sono obbligatorie solo per l'amministrazione finanziaria o meglio per i dipendenti dell’amministrazione finanziaria dato il rapporto di gerarchia che li lega al Ministro.
Non sono altrettanto obbligatorie per i contribuenti e per il giudice tributario, i quali non sono minimamente vincolati al contenuto delle circolari.
Le ultime due categorie,infatti, non si trovano in una posizione di dipendenza gerarchica nei confronti del Ministro dell’economia e conseguentemente non sono obbligati ad uniformarsi alle interpretazioni rese dal ministro.
Infatti, il contribuente può liberamente decidere di adeguarsi all'interpretazione della circolare e in questo caso se dovesse essere soggetto ad un controllo da parte dell’amministrazione finanziaria non subirà contestazioni di sorta da parte di essa.
Ma a questo punto viene da chiedersi cosa accade al contribuente che decide di non adeguarsi alla circolare?.
Se il contribuente non si adegua all'interpretazione data dal Ministro e ne fornisce una a lui più favorevole corre il rischio, nel caso in cui venga sottoposto a controllo, di subire una contestazione da parte dell'amministrazione finanziaria per l'errata interpretazione della legge e quindi per il non adeguamento alla circolare.
Il contribuente a sua volta può impugnare l'atto, con cui l'amministrazione finanziaria gli contesta la mancata conformità alla circolare, dinanzi al giudice tributario.
Dinanzi al giudice tributario amministrazione finanziaria e contribuente sono sullo stesso piano, spetterà al Giudice risolvere la questione fornendo la propria interpretazione.
Sarà compito del contribuente cercare di dimostrare che la sua interpretazione è esatta e sarà invece compito dell'amministrazione finanziaria dimostrare il contrario.
I contribuenti, a tal fine vengono coadiuvati da appositi soggetti che sono gli avvocati tributaristi ai quali sarà affidato il compito di fornire una interpretazione della norma la più favorevole possibile per il contribuente pur rimanendo nell'ambito della legge e soprattutto in sede di contenzioso l'avvocato dovrà difendere quella scelta.
A riguardo si devono tenere distinti due concetti fondamentali che sono quelli di evasione e di elusione.
L’evasione significa sottrarre ricchezza all’imposizione.
L’elusione è sottrarre ricchezza all’imposizione in modo legale.
Molto spesso accade che, emessa una circolare su una determinata norma, il Ministro dell’economia cambi idea ed emette una seconda circolare con una interpretazione diversa rispetto a quella data in precedenza.
Nella maggior parte dei casi la nuova circolare sarà ancora più restrittiva della precedente.
Pensiamo al caso di un contribuente che sia adeguato alla prima circolare per raggiungere il cosiddetto stato di tranquillità fiscale perché in caso di controllo nessun organo dell'amministrazione finanziaria potrà sollevare alcuna contestazione dal momento che si è adeguato alla circolare ma può accadere che nel frattempo venga emessa una seconda circolare ancora più restrittiva della prima e che decida di non adeguarsi.
Se a seguito di accertamento da parte dell'amministrazione finanziaria viene contestato al contribuente il mancato adeguamento alla seconda circolare (dal momento che per essa la prima non esiste più) il contribuente può decidere di impugnare l'atto dinanzi al giudice il quale, non essendo dipendente dell'amministrazione finanziaria, può decidere secondo il suo libero convincimento.
A questo punto le ipotesi sono due:
Il giudice può ritenere la prima circolare l’ interpretazione esatta
Il giudice può condividere l 'interpretazione data con la seconda circolare.
In questa seconda ipotesi, ed è questo il problema delle circolari che si susseguono nel tempo se il giudice ritiene fondata la seconda circolare il contribuente, ovviamente perde, però può chiedere al giudice la non applicazione delle sanzioni e pagare solamente la maggiore imposta e gli interessi.
Ciò è possibile in base ad una norma presente all'interno del processo tributario questa è la norma sull'errore.
Questa norma sinteticamente afferma che "se sussistono dei dubbi circa la portata e l'ambito di applicazione di una norma il giudice può disapplicare le sanzioni".
Sono risposte fornite dal Ministro dell'economia su quesiti formulati dai contribuenti che abbiano dubbi in materia tributaria.
Non essendoci un rapporto di gerarchia tra i contribuenti e il ministro dell'economia le risoluzioni non sono vincolanti per il soggetto che le richiede.
Dal momento che in tempi della risposta sono molto lunghi (di solito passano 4 o 5 anni) le risoluzioni possono risultare del tutto inutili al soggetto che ne fa d'inchiesta ma possono servire ad altri contribuenti.
Le risoluzioni sono pubblicate nelle riviste specializzate in modo tale che se in futuro un contribuente dovesse avere un problema simile o addirittura identico a quello presentato dall'altro contribuente qualche anno prima soccorrerebbe in tal caso la risoluzione pubblicata con riferimento al quesito passato.
Ma affinché il secondo contribuente possa utilizzare la risoluzione è necessario che nel frattempo la norma non sia cambiata.
Nel 99% dei casi la norma però cambia e quindi la risoluzione spesso non serve a nulla.
Sono risposte che il Ministro dell'economia fornisce su quesiti specifici posti da un organo periferico dell'amministrazione finanziaria.
La risposta, in questo caso, è assolutamente vincolante per cui l'amministrazione periferica una volta ricevuta la nota ministeriale cessa di avere discrezionalità e dovrà adeguarsi ad essa.
Ciò avviene di regola in tempi brevi 15, 20 giorni al massimo perché c'è un forte interesse da parte del ministro di far si che i suoi uffici vadano avanti.
Le note ministeriali sono assolutamente irrilevanti sia per il contribuente sia per il giudice tributario.
Della Costituzione italiana ai fini del diritto tributario sono importantissimi gli articoli 23 e 53.
L'articolo 23 afferma che:
"nessuna prestazione personale o patrimoniale può esser imposta se non in base alla legge".
Commentiamo nel dettaglio la norma.
Prestazione patrimoniale : Le prestazioni a contenuto patrimoniale è quella prestazione per il cui adempimento è necessario l'esborso di una somma di denaro (ad esempio il tributo è prestazione ha contenuto patrimoniale).
Prestazione personale: Le prestazioni a contenuto personale sono quelle che per il cui adempimento è necessaria un'attività prestata dal soggetto passivo (ad esempio il servizio militare).
Ovviamente ai fini del diritto tributario ci interessa la parte della norma che riguarda le prestazioni patrimoniali.
In virtù di questo articolo, inoltre, nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.
Pertanto la norma in esame pone il principio della riserva di legge che costituisce un limite per lo stesso legislatore ed è posta a garanzia dei soggetti chiamati ad adempiere.
Il problema fondamentale nell'interpretazione di questo articolo è come costituente ha ritenuto che si debba intendere per legge.
Al riguardo si fronteggiano due tesi:
TEORIA DELLA RISERVA DI LEGGE ASSOLUTA E TEORIA DELLA RISERVA DI LEGGE RELATIVA
Per i sostenitori della teoria della riserva di mezza assoluta per legge si deve intendere solo la legge ordinaria (formale)cioè quella approvata dai due rami del Parlamento secondo la procedura prevista dalla nostra costituzione (escludendo perciò gli atti aventi forza di legge).
Di contro i sostenitori della teoria della riserva di legge relativa sostengono che il Costituente per legge ha voluto intendere non solo la legge ordinaria ma anche gli atti aventi forza di legge (ossia i decreti legge e i decreti legislativi) cioè, in altri termini, sia la legge in senso formale sia la legge in senso sostanziale.
La diatriba nasce dal fatto che i sostenitori della teoria della riserva assoluta sostengono che se il Costituente avesse voluto includere i decreti legge e i decreti legislativi avrebbe potuto menzionare oltre alla Legge i decreti legge e i decreti legislativi e quindi “per legge” la Costituzione intende solo la legge ordinaria formale.
Di contro i fautori della teoria della riserva di legge relativa sostengono che è vero che il potere legislativo appartiene al Parlamento (mentre i decreti legge e i decreti legislativi sono atti emanati dal Governo che rappresenta il potere esecutivo)
Però su questi atti il controllo da parte del potere legislativo c'è sempre infatti o è successivo come nel caso dei decreti legge che devono essere convertiti in legge entro 60 gg pena la loro decadenza ex tunc come se non fossero mai esistiti oppure il controllo è preventivo come nel caso dei decreti legislativi che sono emanati a seguito di una legge delega il cui il Parlamento fissa i criteri cui il Governo deve uniformarsi.
Ma le due teorie non divergono solo su questo punto, infatti per i sostenitori della teoria della riserva assoluta la legge ordinaria deve contenere tutti gli elementi dell'imposta; di contro i fautori della teoria delle riserva di legge relativa sostengono che basta che siano presenti gli elementi fondamentali dell'imposta cioè :
Inoltre, in riferimento all'aliquota, i sostenitori della riserva relativa affermano che non è necessario che essa venga stabilita in modo specifico è sufficiente che l'aliquota venga stabilita tra un minimo e un massimo devolvendo poi ad un altro soggetto la determinazione specifica (ad esempio l'aliquota ICI viene stabilita tra il 4 per 1000 e il 7 per 1000 sarà poi ogni singolo comune a deliberata annualmente).
Il primo comma dell'articolo 53 della Costituzione italiana afferma che:
"tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva".
Esaminiamo la norma puntualmente:
Con il termine "Tutti" il Costituente intende tutte le persone sia fisiche che giuridiche che intraprendono un rapporto di natura economica con il territorio dello Stato italiano (residenti o no ).
Cosa vuol dire che pongono in essere un rapporto di natura economica?
Ad esempio lo pongo in essere lavorando e quindi producendo reddito oppure facendo un acquisto.
Pensiamo al caso di uno straniero che acquista un souvenir in Italia e su questo ovviamente paga l'Iva quindi in questo modo questo soggetto intraprende un rapporto di natura economica con lo Stato anche se straniero.
Le imposte, infatti, non sono pagate soltanto dai cittadini italiani ma da tutti coloro che pongono in essere un rapporto di natura economica con lo Stato.
Il verbo "sono tenuti" evidenzia la presenza di un obbligo cioè quello del pagamento dei tributi.
Al cittadino non è lasciata discrezionalità o scelta in quanto si tratta di una norma tributaria e la norma tributaria ha carattere cogente cioè è una norma coattiva. Di conseguenza se il cittadino non adempie l'obbligazione tributaria, chi non osserva quest’obbligo verrà sottoposto ad esecuzione forzata. E' un'attività coercitiva che lo Stato pone in essere per i propri fini.
La locuzione "a concorrere alle spese pubbliche" si rivolge più che al singolo contribuente si rivolge allo stesso legislatore. Cioè questa norma obbliga il Legislatore a far si che il gettito dei tributi sia destinato alle spese pubbliche. Pertanto questa norma pone un limite allo stesso legislatore, infatti, questo articolo vuole che, a prescindere dallo strumento che lo Stato utilizzerà per gestire le entrate, queste abbiano una finalità, una destinazione ben precisa ossia finalizzata alle spese pubbliche.
Se il legislatore costituente non avesse previsto una tale norma in via di principio il gettito dei tributi avrebbe potuto essere destinato, impiegato per altre finalità.
"In ragione della capacità contributiva" quando si dice "in ragione" non si vuol dire in proporzione perché se così fosse ci sarebbe un contrasto tra il primo e secondo comma dell'articolo 53 della costituzione perché il secondo comma parla di un principio di progressività allora quando leggiamo nella costituzione "in ragione" si vuole dire in rapporto alla propria capacità contributiva.
In merito al concetto o meglio su cosa si deve intendere per capacità contributiva non esiste una definizione univoca di questa espressione.
Anzi in merito sono stati spesi fiumi d'inchiostro.
Tuttavia in questa sede parliamo solo di tre teorie.
PRIMA TEORIA (minoritaria)
Secondo i sostenitori di questa teoria la capacità contributiva va posta sullo stesso piano della capacità giuridica ma mentre quest'ultima è connaturata al soggetto infatti si acquista al momento della nascita; la capacità contributiva non si acquista con la nascita ma attraverso una manifestazione di ricchezza.
SECONDA TEORIA (minoritaria) c.d. Rivalutativa
I sostenitori di questa teoria identificano la capacità contributiva con il godimento di servizi pubblici. Questa teoria prende le mosse da una visione liberale dello Stato la cui logica fondamentale è quella del “do ut des” nel senso che i servizi vengono concessi dopo il pagamento dei tributi. Per cui più si gode di servizi pubblici più si ha capacità contributiva più si deve concorrere alle spese pubbliche. Questa teoria non è condivisibile innanzitutto perché c'è problema di quantificare il godimento di servizi pubblici e poi perché non sempre il godimento dei servizi pubblici evidenzia una disponibilità a concorrere alle spese pubbliche pensiamo al riguardo ai barboni.
Inoltre lo stato italiano non è uno stato liberale ma sociale che tende ad intervenire direttamente chi ne ha di bisogno.
TERZA TEORIA maggioritaria
La terza teoria che è quella più condivisibile afferma per la capacità contributiva si deve intendere una disponibilità di ricchezza qualificata.
Cosa vuol dire disponibilità di ricchezza? La disponibilità di ricchezza è la capacità contributiva. Per cui affinché un soggetto evidenzi capacità contributiva deve avere disponibilità di ricchezza ma questa ricchezza è qualificata nel senso che deve avere delle peculiarità, dei caratteri.
Ma come si fa a sapere se un soggetto ha disponibilità di ricchezza ?
Esistono a riguardo degli indici dei rivelatori di disponibilità di ricchezza (= capacità di ricchezza) che sono due diretti o immediati e due indiretti o mediati.
Indici diretti sono:
Indici indiretti sono:
Perché i consumi sono indici mediati di ricchezza?
Attraverso i consumi di un soggetto in via mediata si può percepire la ricchezza, di cui non conosciamo l'ammontare in via diretta e immediata ma attraverso quel fatto (cioè il consumo) ricostruiamo la ricchezza.
La capacità contributiva deve avere delle caratteristiche, infatti, la capacità contributiva abbiamo detto essere qualificata cioè è caratterizzata da alcune peculiarità che sono:
La caratteristica della personalità è evidenziata dallo stesso Legislatore all'articolo 53 della Costituzione.
Infatti, quando si afferma che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”; il "loro" presente all'interno della norma equivale a propria.
Infatti, ogni singolo soggetto evidenzia la propria personale capacità contributiva pertanto non può esistere un soggetto che risponda della capacità contributiva di un altro.
La prova evidente che la capacità contributiva è personale discende dall’incostituzionalità di una norma (dichiarata nel 1979)risalente al 1974 che prevedeva il cumulo dei redditi dei coniugi cioè i redditi della moglie venivano cumulati a quelli del marito facendo non solo crescere la base imponibile e di conseguenza l’aliquota da applicare, ma anche facendo rispondere un altro progetto di un reddito non proprio.
Il carattere dell'attualità è frutto dell'interpretazione letterale dell'articolo 53 della Costituzione in cui si dice che "tutti sono tenuti". Il legislatore, infatti, utilizza il presente.
Inoltre, questa caratteristica discende anche dalla considerazione che non si può di certo fare riferimento alla disponibilità di ricchezza passata o futura ma solo a quella attuale.
Ma viene da chiedersi cosa si intende per presente. A riguardo la Corte Costituzionale ha ritenuto che si deve fare riferimento all'anno di imposta.
Quindi per presente si deve intendere il periodo d'imposta che coincide con l'anno solare ossia dal primo gennaio al 31 dicembre di ogni anno .
Al riguardo ci si chiede se in diritto tributario ci possono essere norme retroattive.
Per la verità nella costituzione italiana non c'è un principio di carattere generale che sancisce l'irretroattività delle norme tributarie allora il problema fu risolto rivolgendo le indagini alle disposizioni preliminari al codice civile, in cui all'articolo 11 si dice che "la legge non dispone che per l'avvenire essa non ha effetto retroattivo".
Tuttavia al riguardo sorge un problema, in quanto le disposizioni preliminari al codice civile sono previste con legge ordinaria quindi, una legge dello stesso grado può in qualunque momento derogare a questo principio mentre, invece, per le fonti gerarchicamente subordinate alla legge il principio di irretroattività ha valore inderogabile.
Pertanto non esiste in materia tributaria un principio di carattere generale che sancisca l'irretroattività delle norme tributarie tuttavia, con un’eccezione a tale regola è posta per le norme che regolano il concetto di capacità contributiva.
Questa eccezione esiste non perché esiste un principio che violi espressamente la retroattività di questa norme ma perché sappiamo che la capacità contributiva deve essere attuale così come sancito dall'articolo 53 della costituzione (tutti sono tenuti). Per cui tutte le norme che coinvolgono la capacità contributiva devono essere attuali, perché se la capacità contributiva, in virtù dell’art.53, deve essere attuale allora anche le norme tributarie devono essere attuali perché se c’è una norma tributaria non attuale è contraria alla capacità contributiva.
Se è emanata una norma tributaria l’attualità della capacità contributiva contagia la norma tributaria.
Ne consegue che non possono essere retroattive, in quanto riguardano il concetto di capacità contributiva:
Tale caratteristica si evidenzia dal combinato disposto degli articoli 36 e 53 della costituzione.
Il principio del minimo vitale è sancito dall'articolo 36 il quale statuisce che:
"il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla propria famiglia un'esistenza libera e dignitosa".
Interpretando le due norme (artt. 36 e 53 della costituzione) in modo armonioso possiamo affermare che la capacità contributiva di un soggetto, ossia quella disponibilità di ricchezza che lo obbliga a concorrere alle spese pubbliche si manifesta solo oltre ciò che gli serve per vivere cioè oltre il limite che serve a sé e alla propria famiglia per mantenere un'esistenza libera e dignitosa.
A questo punto viene da domandarci come si determina il minimo vitale (cioè quanto serve per ad un soggetto per vivere).
La determinazione del minimo vitale è di fondamentale importanza perché oltre quella soglia si evidenzia la capacità contributiva ed evidenziandosi bisogna concorrere in ragione di essa alle spese pubbliche.
Occorre subito precisare che il minimo vitale non è una grandezza fissa ma in continua evoluzione ovviamente verso l'alto perché ciò che è necessario per vivere nel corso del tempo subisce nelle variazioni ed è normale che queste variazioni sono tendenti ad un miglioramento delle condizioni di vita.
Ad esempio l'automobile nel 1960 era un bene di lusso oggi non è più così la macchina è un bene che abbiamo tutti e che serve per andare a lavorare.
Il legislatore utilizza, fondamentalmente, due modi per determinare il minimo vitale:
In base al primo criterio oggi il minimo vitale può essere considerato quello che eccede le cosiddette pensioni minime che oggi, a seguito di una manovra operata dal Governo sono fissate in 516 euro mensili. Ciò vuol dire che al di sotto dei 6100 euro non ci può essere imposizione fiscale in quanto non c’è capacità contributiva. quindi sui primi 6100 euro non si possono pagare imposte sul reddito.
Al di sotto di tale somma non c’è capacità contributiva per cui non si deve concorrere alle spese pubbliche.
Si è detto prima che esiste anche un altro metodo per determinare il minimo vitale infatti nella determinazione di esso, secondo questa prospettiva, si dovrebbe tenere conto anche dei beni che fanno parte del cosiddetto paniere della spesa.
I beni che fanno parte del paniere sono tutti beni di prima necessità che vengono utilizzati dall' ISTAT per quantificare l'aumento del costo della vita in un certo periodo di tempo (di solito mensile) questo perché se il costo della vita cresce il minimo vitale dovrebbe seguire questa crescita.
Tuttavia, c'è un problema: l'inflazione calcolata secondo questo paniere della spesa non è l'inflazione reale perché non riguarda tutti o comunque tanti beni ma soltanto un ristretto numero di essi che poi sono quelli di prima necessità.
Pertanto c'è una discrepanza tra l'inflazione effettiva e l'inflazione calcolata dall'ISTAT (quella reale è più alta).
La capacità contributiva deve essere reale cioè, appunto, effettiva.
Obiettivo del Legislatore è quello di sottoporre a tassazione la reale capacità contributiva.
Ciascuno, come si evince dal primo comma dell'articolo 53, è chiamato a contribuire alle spese pubbliche in ragione della propria disponibilità di ricchezza.
Ma tale principio è di difficile applicazione anche perché il Legislatore non è mai riuscito ad individuare in modo effettivo la ricchezza del soggetto passivo per cui tale principio è stato sempre disatteso.
Per tale ragione nel corso del tempo il legislatore ha fatto sempre più ricorso a criteri presuntivi di determinazione del reddito, si è assistito, pertanto, ad una sorta di forfetizzazione dello stesso.
Infatti, il Legislatore, verificata l'incapacità (o la non volontà) da parte dell'Amministrazione Finanziaria di accertare l'effettiva capacità contributiva di ogni singolo soggetto, ha introdotto degli strumenti legislativi al fine di determinare meglio la capacità contributiva di un soggetto.
Questi strumenti sono basati fondamentalmente sulle presunzioni.
In sintesi, per capire il concetto di presunzione possiamo definirla come la possibilità di risalire a un fatto ignoto partendo da un fatto noto, certo.
Ma, a questo punto viene da domandarsi che rapporto ci sia tra il principio di effettività e il concetto di presunzione dal momento che sono due concetti antitetici.
In altri termini la domanda che dobbiamo porci è se le presunzioni sono legittime oppure violano il principio di effettività della capacità contributiva perché se così fosse sarebbe uno strumento incostituzionale con la conseguenza che tutte le norme o i criteri di accertamento basati sulle presunzioni sarebbero illegittimi.
Si deve precisare innanzitutto che esistono due tipi di presunzioni:
La differenza fra presunzioni semplici e presunzioni legali risiede nel fatto che quest'ultime sono previste dalla legge mentre le prime sono comuni delle regole di vita.
Nel Diritto tributario trovano spazio soprattutto le presunzioni legali ciò non vuol dire comunque che, sia pure in rare eccezioni, non siano presenti talvolta anche le presunzioni semplici.
Le presunzioni legali si dividono in:
Le presunzioni assolute (iuris et de iure) sono quelle che non ammettono la prova contraria.
Le presunzioni relative ( iuris tantum) sono quelle che ha ammettono la prova contraria.
La corte costituzionale ha stabilito che le presunzioni relative sono assolutamente legittime perché ammettono la prova contraria, infatti consentono al contribuente di ricondurre la capacità contributiva nell'ambito dell'effettività.
Ad esempio nell'imposta sulle successioni (oggi abolita) esisteva una presunzione riferita a 3 tipologie di beni: denaro, mobili e gioielli.
Poiché l'accertamento di tali beni è praticamente impossibile si presumeva che l'asse ereditario, che è la quantità di ricchezza su cui si pagavano le successioni e che era dato dalla differenza tra l'attivo e il passivo ereditario, fosse aumentato del 10% a titolo di denaro, gioielli e mobilia.
Tuttavia gli eredi potevano sempre provare il contrario nel momento in cui si redigeva l'inventario dei beni.
Il professore tuttavia ritiene che la presunzione relativa è una rinuncia alla verità perché contraria alla effettività della capacità contributiva.
La corte costituzionale riguardo alle presunzioni assolute ha detto che queste sono legittime se rispondono al principio "id quod plerunque accidit" cioè al principio del "ciò che per lo più accade".
Tale principio implica che se da un fatto noto si può trarre un unico fatto ignoto allora la presunzione è legittima; se invece da un fatto noto possono derivare più fatti ignoti allora la presunzione è illegittima.
Dimostrare che una presunzione assoluta risponde al principio del "ciò che per lo più accade" è praticamente impossibile infatti nella legge delega del 1971 il legislatore delegante invitò il governo a limitare al minimo indispensabile il ricorso alle presunzioni assolute.
CLASSIFICAZIONE DEI REDDITI
REDDITI FONDATI-REDDITI NON FONDATI- REDDITI MISTI
Per parlare di questo argomento cominciamo con un esempio:
Ci sono due soggetti A e B che hanno la stessa quantità di reddito supponiamo di € 50.000 .
Apparentemente questi due soggetti hanno la stessa capacità contributiva, ma in realtà non è così perché diversa è la fonte da cui proviene questo reddito.
Infatti, chi ha un reddito da capitale è molto più forte economicamente rispetto a chi ha un reddito di lavoro dipendente.
Detto questo possiamo distinguere tra:
Il legislatore nel graduare la tassazione tiene conto della natura del reddito non solo della quantità. Infatti le diverse tipologie di reddito non possono essere trattate allo stesso modo in quanto bisogna tener conto del sacrificio che ci vuole per produrre quel determinato reddito.
Discriminare significa letteralmente trattare in modo diverso.
Con riferimento ai redditi, discriminare significa "far pagare le imposte in modo diverso": questa è la discriminazione in diritto tributario.
La discriminazione in diritto tributario è possibile in due modi:
Ma dal momento che sappiamo che non sempre è sufficiente tener conto solo della quantità entra in gioco la discriminazione qualitativa.
Pertanto, in base alla fonte da cui proviene il reddito si ha una diversa capacità contributiva.Questi due principi, ossia quelli della discriminazione quantitativa e qualitativa, servono per attuare concretamente la capacità contributiva con tutti i suoi caratteri.
E' un meccanismo di tassazione dei redditi familiari.
Oggi nel nostro sistema tributario, situazioni uguali dal punto di vista familiare vengono trattate in modo diverso.
Supponiamo a due gruppi familiari (A e B) formati entrambi da marito, moglie e due figli:
Dal punto di vista economico le due famiglie hanno la stessa capacità contributiva.
Sennonché l'IRPEF, ossia l'imposta sul reddito delle persone fisiche, è un imposta progressiva, cioè un'imposta la cui aliquota cresce all'aumentare della base imponibile per cui la famiglia monoreddito avrà una disponibilità di ricchezza inferiore rispetto a quella plurireddito.
Supponiamo ad esempio che l'imposta su € 60.000 sia del 10% mentre l'imposta su € 30.000 sia del 5%
succederà anche:
famiglia monoreddito = 10% di € 60.000= 0,6 = 6% --> aliquota media
famiglia plurireddito = 5% di € 30.000 + 5% di € 30.000 = 1,5 + 1,5 = 3 = 3%
La Corte Costituzionale nel 1996 ha invitato il legislatore a prevedere un meccanismo che eviti questa distorsione.
In Germania, in Francia e in Inghilterra questo meccanismo si chiama splitting che ha, appunto, l'obiettivo di far si che ai fini fiscali sia irrilevante il numero dei soggetti che all'interno dello stesso nucleo familiare producono reddito.
Come funzione lo Splitting?
Tale meccanismo è molto semplice perché prevede di assegnare un coefficiente per ogni soggetto che fa parte del nucleo familiare, per cui:
marito e moglie = coefficiente 1
figlio = coefficiente 0,5.
Rifacendoci all'esempio precedente sia la famiglia A che la famiglia B hanno lo stesso coefficiente familiare cioè 3 in quanto:
Stabilito il coefficiente familiare, che nel nostro esempio, è pari a 3, si prende il reddito complessivo di ciascuna famiglia (A e B) e lo si divide per 3.
Quindi:
Per cui l’imposta si calcola su 20.000 €.
Poniamo, ora, che l'imposta su € 20.000 sia di € 10.000 (IRPEF).
A questo punto devo calcolare l'aliquota media che è data dal rapporto:
IMPOSTA /BASE IMPONIBILE è Nel caso posto dal nostro esempio si avrà:
Trovata l'aliquota media la applichiamo ai 60.000 € di reddito della famiglia monoreddito e di quella plurireddito.
In tal modo il reddito residuo (cioè il reddito disponibile) delle due famiglie sarà uguale che è pari a € 30.000.
In Italia lo splitting non è utilizzato perché ovviamente costa allo stato.
All'articolo 53 secondo comma della costituzione italiana si legge che:
"il sistema tributario è informato a criteri di progressività".
Il legislatore ha scelto la locuzione "sistema tributario", non ha detto i " tributi", perché evidentemente il sistema tributario non è una mera elencazione di tributi ma è qualcosa di diverso.
Precisamente, per sistema tributario deve intendersi "un insieme di tributi collegati tra di loro secondo criteri di logica relazione al fine ottenere un' equa ripartizione del carico tributario o fiscale".
DOMANDA: Cosa vuol dire “ sistema di tributi collegati tra di loro?”
Vuol dire che questo collegamento di sostanza in due caratteristiche del sistema tributario:
Divieto di doppia imposizione significa che non ci possono essere due tributi che colpiscono la stessa capacità contributiva, perché altrimenti si avrebbe un fittizio raddoppiarsi della capacità contributiva che urterebbe con l' effettività della capacità contributiva.
Non contraddittorietà tra due o più tributi significa, invece che se un tributo ha uno scopo, ad esempio agevolare un determinato settore, non ci può essere poi un'imposta che penalizzi lo stesso del settore.
Nell' IRPEF, ad esempio i redditi fondiari sono fortemente agevolati. Tuttavia all'interno dell'imposta di registro esiste una norma che prevede che "se si trasferisce un fabbricato si paga un'imposta di registro pari al 8%; se invece di trasferimento ha per oggetto un terreno agricolo si paga un'imposta di registro pari al 15%".
Molti autori vedono in questa scelta una contraddizione.
In realtà se guardiamo la cosa da un'altra prospettiva ci rendiamo conto che lo scopo del legislatore e quello di far si che il proprietario di un terreno non effetti alcun trasferimento su di esso. Pertanto non esiste conflittualità tra le due norme.
Che il sistema tributario deve essere informato a criteri di progressività significa, non che il sistema tributario deve essere progressivo ma che deve tendere alla progressività.
Il legislatore, infatti, non ha detto che il sistema tributario è progressivo anche perché se così fosse stato tutti i tributi avrebbero dovuto essere tutti progressivi (e non è così), invece, il Costituente ha voluto dire che il sistema tributario deve tendere alla progressività.
Che un sistema tributario deve tendere alla progressività significa, poi, non che tutti i tributi devono essere progressivi ma che all'interno del sistema ci devono essere dei tributi progressivi di una certa rilevanza nel senso che il cui gettito sia di una tale importanza da far si, da un lato, che il sistema nel suo complesso vada verso la progressività e dall’altro per contrastare gli effetti negativi dei tributi proporzionali e regressivi (i quali non rispettano la progressività).
Un'imposta si dice progressiva quando l'aliquota cresce al crescere della base imponibile.
La progressività si può raggiungere mediante vari sistemi.
Elementi dell'imposta sono:
Non c'è alcun rapporto tra soggetto passivo e il soggetto destinatario del gettito, ma soltanto tra soggetto attivo e soggetto destinatario del gettito e tra soggetto attivo e soggetto passivo.Nel caso in cui il soggetto passivo non adempia, il soggetto destinatario del gettito dovrà rivolgersi al soggetto attivo che poi si rivolgerà al soggetto passivo. (Ad esempio l'IRAP è riscossa dallo Stato che poi la gira alle singole regioni).
SOGGETTO PASSIVO ED IL CONTRIBUENTE
Il soggetto passivo: è colui che deve adempiere l'obbligazione tributaria nei confronti del soggetto attivo. Accanto a soggetto passivo (che viene chiamato anche contribuente di diritto) ci può essere un altro soggetto che il cosiddetto contribuente (di fatto), cioè colui che subisce l'impoverimento della propria ricchezza a seguito del prelievo fiscale.
In genere i due soggetti, cioè soggetto passivo e contribuente, coincidono. Ad esempio pensiamo al caso dell'IRPEF: chi produce il reddito è soggetto all'imposta, ma è anche contribuente perché deve pagare l'imposta. Nel caso dell'Iva, viceversa, c'è uno scollamento tra soggetto passivo e contribuente. In particolare: sono soggetti passivi (cioè contribuenti di diritto) coloro attraverso cui si consuma e quindi i fornitori di beni o servizi, tuttavia contribuenti (di fatto) solo i consumatori.
IL PRESUPPOSTO
Il presupposto: quel fatto, indice di capacità contributiva, al verificarsi del quale sorge l'obbligazione tributaria.
Il “fatto” che da origine all’obbligazione tributaria è stabilito dal Legislatore. Presupposto dell'IRPEF è, ad esempio,il reddito, presupposto dell'Iva è il consumo.
Da ciò si evince che il realizzarsi di questo fatto si evidenzia mediante determinati indici: reddito, patrimonio, consumi e trasferimenti.
LA BASE IMPONIBILE
La base imponibile: è la quantità di presupposto che concretamente viene realizzata ovvero l'ammontare di ricchezza che viene sottoposta tassazione. Pertanto, se il reddito è il presupposto dell'IRPEF la base imponibile non è altro che la quantità di reddito da sottoporre a tassazione.
MISURA DELL'IMPOSTA
La misura dell'imposta: è l'aliquota, che è un numero espresso in termini percentuali che, applicato alla base imponibile, ci consente di determinare l'imposta.
Così, ad esempio, se la base imponibile è un uguale a 10.000 euro e l'aliquota è del 20% l'imposta sarà di 2.000 euro.
Non è detto che l'aliquota sia stabilita in modo specifico dal Legislatore, in quanto in base ad una riserva di legge ,l'aliquota può essere anche stabilita tra un minimo e un massimo.
Pensiamo a riguardo al caso dell’I.C.I. la cui aliquota è fissata dalla legge tra un minimo (il 5 X1000) ed un massimo (il 7 X 1000) spetterà poi al Comune deliberare annualmente le aliquote da applicare.
Modalità di accertamento: per accertamento si intende una serie di atti, posti in essere in parte dal contribuente e in parte dell'amministrazione finanziaria, che ha come obiettivo la determinazione della base imponibile e quindi dell'imposta. Quindi scopo precipuo dell’accertamento è la quantificazione della base imponibile.
Esempio di atto di accertamento posto in essere dal contribuente è la presentazione della dichiarazione dei redditi che deve essere presentata annualmente, per espressa previsione legislativa, al fine di determinare la base imponibile e quindi, contestualmente, anche l’ammontare dell'imposta. Spetterà poi all'amministrazione finanziaria controllare, a sua volta, che la dichiarazione dei redditi presentata dal contribuente sia corretta, dovrà accettare la veridicità della base imponibile dichiarata dal soggetto base imponibile. Se l'amministrazione scopre un'evasione, scopre dunque che il soggetto ha dichiarato una falsa base imponibile provvederà a ricalcolare la stessa e notificherà al contribuente un "avviso di accertamento" (che è a sua volta una modalità di accertamento diretta sempre ad accettare la base imponibile). L'attività di accertamento può essere posta in essere non solo dal contribuente e dall'amministrazione finanziaria ma anche dal giudice tributario nel momento in cui egli viene chiamato pronunciarsi.
MODALITA' DI RISCOSSIONE
Modalità di riscossione: per modalità di riscossione si intende una serie di strumenti, previsti dalla Legge, i quali consentono il trasferimento della ricchezza dalle tasche del contribuente (ossia del soggetto passivo) alle casse dello Stato (soggetto attivo) o di altro ente pubblico.
Quando si è discusso della capacità contributiva si è parlato di indici diretti e indiretti.
Le imposte si classificano in:
IMPOSTE DIRETTE: sono quelle che colpiscono manifestazioni immediate o dirette (indici diretti) di ricchezza (ovvero di capacità contributiva). Ne costituiscono esempio l'IRPEF, L' ICI e IRPEG.
IMPOSTE INDIRETTE: sono quelle che colpiscono manifestazioni indirette o mediate (indici indiretti) di capacità contributiva (come ad esempio i consumi e i trasferimenti sui quali si paga rispettivamente L’Iva e l’imposta di registro).
Il legislatore per attuare la cosiddetta "perequazione tributaria" ossia l’equa distribuzione del carico fiscale deve colpire tutte le manifestazioni di ricchezza,sia dirette sia quelle indirette, prevedendo, dunque, sia le imposte dirette sia le imposte indirette.
Inoltre, le imposte dirette e le imposte indirette sono talmente in contrasto tra di loro che quelli che sono i pregi dell'imposta diretta costituiscono dei difetti dell'imposta indiretta e viceversa.
Il pregio maggiore delle imposte dirette (e che è il difetto maggiore di quelle indirette) è la stretta aderenza al principio della capacità contributiva. Ad esempio nell’IRPEF sono previsti degli istituti che fanno si che soggetti che hanno redditi uguali, con situazioni soggettive diverse, paghino un imposta di diverso ammontare; pertanto l’imposta si adatta alla situazione personale e familiare di ogni contribuente. Mentre, ad esempio nel caso dell’Iva a nulla rilevano le situazioni personali e familiari del soggetto che acquista un bene in quanto si applicherà sempre la stessa aliquota.
Il difetto principale delle imposte dirette (e quindi è un pregio dell’imposte indirette) è l'oppressione psicologica che si subisce quando si paga questa imposta, inoltre non c'è alcun rapporto tra ciò che si paga e il vantaggio che si riceve dal pagamento dell'imposta (più che altro è un vantaggio astratto) per cui vi è una forte tendenza all'evasione. Il governo attuale ha diminuito l'aliquota massima dell’IRPEF per cercare di ridurre questa oppressione psicologica che si subisce, ma così facendo ha avvantaggiato solamente coloro i quali posseggono un reddito elevato.
L'oppressione psicologica non esiste, invece, nelle imposte indirette per due ragioni fondamentali:
IMPOSTE PERSONALI: si ha imposta personale quando questa tiene conto della situazione soggettiva e familiare del contribuente, nel senso che l’imposta si applica in misura più o meno elevata a seconda della situazione soggettiva e familiare che presenta il contribuente.
Si pensi al caso dell'IRPEF la quale contiene delle detrazioni d'imposta che la rendono personale. La personalità dell'imposta fa si che la stessa sia strettamente aderente alla capacità contributiva.
IMPOSTE REALI: l'imposta si dice reale quando non tiene conto della situazione soggettiva e familiare e contribuente. Ad esempio l'Iva, l'imposta di registro e l'irpeg.
IMPOSTE GENERALI: un imposta si dice generale quando colpisce tutte le manifestazioni di ricchezza di un certo tipo o di uno stesso tipo . Ad esempio l'IRPEF è un imposta generale perché colpisce tutti i redditi del soggetto,a prescindere dalla natura del reddito. L'Iva è un imposta generale perché colpisce tutti consumi.
IMPOSTE SPECIALI: l'imposta speciale è quella che colpisce solo alcune categorie di reddito. Ad esempio l'Irap (cioè l'imposta regionale sulle attività produttiva) è un’imposta speciale perché deve essere pagata solo da imprenditori esercenti arti produttive e professioni.
IMPOSTE FONDAMENTALI: un'imposta si dice fondamentale quando sta a fondamento del sistema tributario e proprio per tale ragione produce un elevato gettito. Ad esempio l'IRPEF e l'IVA sono imposte fondamentali infatti insieme danno circa i due terzi dell'intero gettito del sistema tributario italiano.
IMPOSTE COMPLEMENTARI: sono quelle che non stanno a base del sistema tributario e non danno un elevato gettito. Vengono tenute in vita pur avendo un basso gettito, e pur causando talvolta anche delle perdite allo Stato sia per l’accertamento che per la riscossione, perché altrimenti ci sarebbero aspetti della capacità contributiva non colpiti da imposta e quindi sono mantenute in vita al fine di garantire un' equa ripartizione del carico tributario.
Esempio di imposta complementare è l' ICI essa è complementare perché gli immobili sono colpiti già i come redditi da fabbricati dall' IRPEF che una imposta fondamentale.
Quella fin qui delineata è la cosiddetta classificazione giuridica delle imposte.
Esiste poi una seconda classificazione delle imposte detta “economica" in base alla quale si distingue tra:
IMPOSTE FISSE: un imposta si dice fissa quando l'ammontare dell'imposta non varia al variare della base imponibile. Esempio di imposta fissa è l'imposta di registro che è predeterminata nel suo ammontare dalla legge e può variare solo per volontà del legislatore.per cui in questo caso l’ammontare della base imponibile è irrilevante.
IMPOSTE PROPORZIONALI Un' imposta si dice proporzionale quando l'aliquota non varia, rimane costante al variare della base imponibile. Esempio di imposta proporzionale è l’Iva perché si applica sempre nella stessa misura percentuale. L’imposta varia ma l’aliquota è fissa.
IMPOSTE PROGRESSIVE Un'imposta si dice progressiva quando l'aliquota cresce al crescere della base imponibile. Esempio di imposta progressiva è l’Irpef
Con riferimento all'imposta progressiva, cioè di quella che cresce al crescere della base imponibile, si deve precisare che esistono diverse forme di progressività.
Si parla infatti di: Progressività continua, di progressività per detrazioni e di progressività per scaglioni.
Vediamo di individuare le caratteristiche di queste forme di progressività.
Progressività continua: la progressività si dice continua quando ad ogni minimo aumento della base imponibile corrisponde un minimo aumento dell'aliquota. La crescita dell’aliquota dipende dalla volontà del Legislatore non è una crescita proporzionale. Questa forma di progressività (e di tassazione) potrebbe sembrare un meccanismo estremamente equo, perché in via di principio chi è ricco pagherebbe sempre di più. Tuttavia se questo meccanismo venisse applicato puntualmente, nelle forme più elevate porterebbe alla totale espropriazione della ricchezza. Infatti per i redditi più elevati l'aliquota tenderebbe al 100%. Inoltre dal momento che si parla di ogni minimo aumento della base imponibile esisterebbero un'infinità di basi imponibili e conseguentemente dovrebbero esistere un’infinità di aliquote.
Progressività per scaglioni: Consiste nel suddividere la base imponibile in frazioni, dette appunto scaglioni. Questa suddivisione dei redditi in scaglioni è disposta dal Legislatore.Per ogni scaglione è prevista una aliquota che si applicherà solo alla classe (di imponibile) compresa in quello scaglione.
All'interno di ogni scaglione l'imposta è proporzionale, perché l'aliquota rimane fissa però l’imposta è progressiva.
ESEMPIO DI SCAGLIONI
da 0 a 10.000 € = 5%
da 10 a 20.000 € = 10%
da 20 a 50.000 € = 20%.
Esistono due diverse forme di progressività per scaglioni:
La progressività per scaglioni sostitutivi
In base a questa tipologia di progressività la ricchezza che si deve tassare deve essere fatta rientrare interamente nel relativo scaglione di competenza.
Poniamo, ad esempio, che si devono tassare 40.000 €. Dobbiamo vedere in quale scaglione questa base imponibile rientra. Una volta individuato lo scaglione di competenza si provvederà alla tassazione dei 40.000 € interamente con l'aliquota prevista per quello scaglione nel nostro caso l'aliquota sarà del 20%.
La progressività per scaglioni aggiuntivi
E' la forma di progressività che si attua nel nostro sistema tributario.
In questo caso la ricchezza che si deve sottoporre a tassazione deve essere frazionata e fatta rientrare negli scaglioni di competenza seguendo la tabella predisposta dal legislatore.
Ad esempio:
tabella predisposta dal legislatore
da 0 a 10.000 € = 5%
da 10 a 20.000 € = 10%
da 20 a 50.000 € = 20%.
Ammontare di ricchezza da sottoporre tassazione = 40.000 €
In base alla progressività per scaglione aggiuntivi si dovranno così frazionare:
ai primi 10.000 € (cioè da 0 a 10.000) si applica l'aliquota del 5%
ai secondi 10.000 € (cioè da10 a 20.000 €) si applica l'aliquota del 10%
agli ultimi venti mila € (cioè da 20 a 40.000 €) si applica l'aliquota del 20%.
Pertanto un soggetto con un reddito di 40.000 € pagherà l'imposta 5.500 €.
I 5.500 € sono dati dalla somma di:
500 € cioè il 5% di 10.000 €
1.000 € cioè il 10% di 10.000€
4.000 € cioè il 20% di 20.000€
totale imposta = 5.500 €
Con la progressività per scaglioni sostitutivi si sarebbe pagata un'imposta di 8.000 €. Quindi con questo tipo di progressività vi è un forte risparmio.
èRitornando all'esempio dei due soggetti i cui redditi si differenziano di pochissimo, applichiamo lo stesso meccanismo.
Il reddito di A che è pari a €: 19.990 verrà così frazionato:
€: 10.000,00 risultano nel primo scaglione per cui si applica un'aliquota pari al 5%;
a €: 9.990,00 applico un’aliquota del 10%;
quindi: 500 + (circa) 1000 = 1500 €
Il reddito di B che è pari a €: 20.001 verrà così frazionato:
€ 10.000,00 -> 5%;
€ 10.000,00 -> 10%;
€ 1,00 -> 20%;
quindi: 500 + 1000 + 0,2 = 1500,2.
Progressività per detrazione: Funziona così :l’aliquota viene mantenuta fissa, quindi se l’aliquota è fissa si dovrebbe parlare di imposta proporzionale (e non di imposta progressiva) perché l’aliquota fissa è ciò che caratterizza l’imposta proporzionale, però viene concesso un abbattimento (sono le detrazioni previste dallo Stato) della base imponibile e questo abbattimento della base imponibile coniugato con l’aliquota fissa produce, in senso economico(cioè di fatto) il fenomeno della progressività. Pertanto si parte da un’imposta giuridicamente proporzionale e si vede se al suo interno contiene delle detrazioni. Se ne contiene, tale imposta si trasforma dal punto di vista economico in imposta progressiva. Per cui se un soggetto ha un reddito di 15.000 euro ma è previsto ad esempio un abbattimento nel senso che è previsto che i redditi fino a 5000 euro sono esenti. Questo soggetto pertanto sui primi 5000 euro non pagherà nulla ma sui successivi 10.000 euro pagherà l’imposta sulla base dell’aliquota prevista. Calcoliamo l'aliquota media. Ricordiamo che l’aliquota media è data dal rapporto IMPOSTA/ BASE IMPONIBILE. Poniamo che sia un'imposta con aliquota del 10% fissa.
Base Imponibile |
Detrazione |
Differenza |
Aliquota |
Imposta |
Aliquota media |
8.000 € 11.000 € 110.000 € |
10.000 € 10.000 € 10.000 € |
-2.000 e quindi 0 1.000 100.000 |
10% dovrà essere sempre del 10% perché l’imposta è proporzionale |
0 100 € 10.000 € |
0/8.000=0% 100/11.000=0,9% 10.000/110.000=9% |
Anche questa forma di progressività si applica all’IRPEF, perché accentua la progressività.
RICORDARE: la presenza di una detrazione all'interno di un'imposta giuridicamente proporzionale la trasforma un'imposta economicamente progressiva.
IMPOSTE REGRESSIVE: ovviamente sono esattamente l’opposto delle imposte progressive; pertanto un’imposta si dice regressiva quando l'aliquota cresce al decrescere della base imponibile. Tale imposta è il massimo dell'incostituzionalità, in quanto incompatibile con il secondo comma dell'articolo 53 della costituzione secondo cui: "il sistema tributario è informato criteri di progressività".
Oggi nel nostro sistema tributario non esistono imposte giuridicamente regressive (cioè previste dal legislatore come tali). Esiste però un'imposta l'Iva che pur essendo giuridicamente proporzionale, economicamente (cioè di fatto) si comporta come un'imposta regressiva.
Per capire che l'Iva è un imposta regressiva dobbiamo conoscere la legge di Gossen o dei rendimenti decrescenti secondo “cui l'utilità marginale di un bene diminuisce man mano che le dosi di questo bene aumentano” in altri termini vuol dire che le ultime dosi di un bene hanno sempre utilità marginali inferiori rispetto alle prime.
Così se un oggetto che si trova in un deserto sta morendo di sete e riceve molti bicchieri d'acqua, naturalmente, l'ultimo bicchiere avrà una scarsa utilità marginale rispetto ai primi.
L'utilità marginale è precisamente l'ultima dose che si ricava da un certo bene.
Prendiamo ad esempio due soggetti:
Naturalmente l'utilità marginale che entrambi avranno dall’ultimo € è diversa. E’ intuitivo che per il soggetto che guadagna 1000 € l’ultimo euro speso ha un utilità marginale più alta rispetto al soggetto che guadagna 1.000.000 €; anche se in concreto il valore dell’euro è sempre lo stesso. Più elevato è il reddito minore sarà l’utilità marginale dell’ultimo euro.
Pertanto se entrambi acquistano un bene che costa ad esempio 100 € più IVA e quindi di 120 € il sacrificio in termini di utilità è enorme per il soggetto A mentre, praticamente inesistente per il soggetto B. Ciò significa che l'imposta pesa di più sul soggetto che è più povero.
Perché non si aumentano direttamente le aliquote delle imposte? Perché il destinatario del gettito della sovraimposta e dell'addizionale è un soggetto diverso dal destinatario dell'imposta.
La sovraimposta e l'addizionale sono, entrambi, prelievi aggiuntivi rispetto all'imposta, previsti per legge (ai sensi dell’art. 23 della Costituzione [riserva di legge relativa] ), che di solito vanno a favore degli enti locali (Province e Comuni), hanno quindi un destinatario diverso dal gettito delle imposte.
Sia la sovraimposta che l'addizionale presentano una caratteristica che le distingue tra loro.
In particolare, la sovraimposta è un prelievo aggiuntivo rispetto all'imposta, il cui gettito va a favore di enti locali, che ha la stessa base imponibile dell'imposta.
Supponiamo che la base imponibile IRPEF sia = 100.000 €, la sovrimposta, se prevista, avrà la stessa base imponibile dell'imposta e, quindi,100.000 €.
L'addizionale è un prelievo aggiuntivo rispetto all'imposta, il cui gettito va a favore di enti locali ma ha come base imponibile l'imposta.
Così, se un soggetto ha una base imponibile =100.000 €, prima su questa si deve calcolare l’IRPEF, che supponiamo essere di 40.000 €; la base su cui calcolare l’addizionale è l'imposta, e quindi 40.000 €. Quindi per poter determinare l’addizionale si deve prima calcolare l’imposta mentre per la sovra imposta non è necessario.
Domanda: perché il legislatore utilizza due meccanismi così diversi per ottenere lo stesso obbiettivo? La differenza si evidenzia nelle esenzioni:
La differenza tra questi due strumenti si coglie con riferimento alle ipotesi di esenzione posto che chi non paga l’imposta deve pagare la sovraimposta ugualmente, perché la base imponibile è la stessa dell’imposta e chi non paga l’imposta non paga l’addizionale perché la base imponibile dell’addizionale è l’imposta. Pertanto il Legislatore ha previsto questi due strumenti (addizionale e sovraimposta) per motivi di politica economica, perché quando vuole che, chi non paga l'imposta non paghi nemmeno l'imposta aggiuntiva, prevede l'addizionale; se invece vuole che, sebbene non paghi l’imposta, paghi almeno l'imposta aggiuntiva prevederà una sovraimposta.
Nel nostro sistema c’è un’addizionale all’IRPEF, però ha una base imponibile che non ha fondamento nell'imposta, per cui giuridicamente è una sovraimposta.
L’aliquota media è data dal rapporto tra l'imposta e la base imponibile. L’aliquota media è fondamentale perché serve a determinare il reale peso (o gravame) fiscale del soggetto.
Esempio: pensiamo ad un soggetto che paga l’Irpef : sulla prima frazione di reddito paga il 10%, sulla seconda il 20% e così via… fino alla tassazione completa. Poniamo che questo stesso soggetto abbia una base imponibile di 100.000 € e che l’imposta sia di 27.320 €l’aliquota media sarà data dal rapporto fra 27.320 € /100.000 €.
Pertanto se un soggetto vuole conoscere qual è il sue reale peso fiscale può saperlo grazie al rapporto tra tutte le imposte pagate e la base imponibile.
L'aliquota marginale è quella che si applica sull'ultima frazione di base imponibile. Quando si parla di aliquota marginale si fa riferimento alle imposte progressive perché mentre nelle imposte proporzionale l’aliquota è sempre la stessa, nelle imposte progressiva l’aliquota marginale è l’aliquota che applichiamo per ultima cioè quella più elevata .
L’aliquota marginale è ancora più importante dell'aliquota media, perché serve a capire se è economicamente conveniente produrre ulteriore quantità di reddito, infatti se essa è molto alta allora non conviene produrre ulteriori quantità di reddito.
Lo Stato deve allora cercare di abbassare le aliquote marginali per incentivare la produzione di reddito e conseguentemente sfavorendo l’evasione, pur se l'abbattimento delle aliquote marginali avvantaggerebbe i più ricchi.
FISCAL DRAG (o drenaggio fiscale)
È quel fenomeno in virtù del quale, a seguito dell'inflazione, il reddito di un soggetto subisce un drenaggio ovvero una diminuzione.
Supponiamo, ad esempio, che un soggetto guadagni nel 2002 € 50.000. Se l'anno successivo si verifica una forte inflazione, per mantenere inalterato il potere d'acquisto del lavoratore, bisogna aumentare anche il suo reddito. Supponiamo che gli venga aumentato del 3%. In termini nominali il suo reddito è cresciuto ma in termini reali, invece, è rimasto lo stesso. Ciò in quanto l’IRPEF è un'imposta progressiva (aumentando la base imponibile aumenta l’aliquota), per cui, nonostante il reddito sia stato aumentato, esso rientra in una fascia più elevata.
Nell'ambito del sistema tributario italiano un’importante differenza è quella tra:
Imposte Dirette |
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Imposte Indirette |
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Per rapporto giuridico d’imposta si intende quel rapporto che si instaura tra soggetto attivo e soggetto passivo, è che ha per oggetto l'imposta (in base ad un'obbligazione prevista dalla legge).
Le persone fisiche: sono tutte le persone fisiche che hanno raggiunto la maggiore età e che abbiano posto in essere il presupposto del tributo. È necessario però distinguere tra persone fisiche residenti e persone fisiche non residenti, in quanto c'è una differenziazione fiscale.
In particolare:
I soggetti ritenuti residenti in Italia pagano l’irpef su tutti i redditi percepiti ovunque prodotti mentre per i soggetti non residenti in Italia l’Irpef è applicata solo per i redditi prodotti nel nostro Paese. Perché un soggetto sia fiscalmente residente in Italia non basta che sia iscritto al c.d. Ufficio Anagrafe, ma è anche rilevante la situazione di fatto, cioè che questo soggetto sia residente in Italia per almeno sei mesi e un giorno (è, quindi, per la maggior parte all'anno).
Le società di persone: anch’esse possono essere soggetti passivi d’imposta. Tali società non pagano né l’IRPEF né l’IRPEG, ma solo l’IRAP (imposta regionale sulle attività produttive); i soci delle società di persone pagano, però, l’IRPEF sulla loro quota.
Le associazioni tra artisti e professionisti: l’associazione paga l’IRAP; gli associati pagano l’IRPEF ognuno sulla loro quota di spettanza;
Le società di capitali: queste società scontano l’IRPEG. Qualunque tipo di reddito produca una società viene sempre considerato, per presunzione assoluta, "reddito d'impresa". Esistono sei categorie di redditi: redditi da capitale, redditi d'impresa, redditi da lavoro autonomo, redditi da lavoro dipendente, redditi fondiari, redditi diversi. La distinzione è giustifica dal fatto che per ogni categoria di reddito sono previste modalità di accertamento diverse. Il legislatore ha voluto che le società di capitali producessero solo redditi d’impresa, perché le modalità di accertamento del reddito d'impresa sono le più puntuali e, quindi, consentono di evitare le evasioni.
Gli enti commerciali e gli enti non commerciali: gli enti sono: le associazioni, le fondazioni, i comitati, eccetera.
L'ente commerciale è quel soggetto pubblico o privato, con o senza personalità giuridica, che ha per oggetto esclusivo o principale lo svolgimento di attività commerciale.
Ai sensi dell'art. 2195 c.c. sono commerciali:
L’ente è pubblico quando la sua istituzione è prevista da una legge; è privato quando invece è prevista da un contratto. Affinché un ente possa essere qualificato come ente commerciale è necessario chel'attività commerciale sia svolta in modo esclusivo o prevalente, nel senso che se l’ente svolge più attività, quella commerciale deve essere svolta in modo prevalente.la prevalenza dell’attività si deduce dal reddito che da quell’attività stessa.
L’ente non commerciale è quel soggetto pubblico o privato, con o senza personalità giuridica che o non svolge attività commerciale o, se la svolge, la svolge in via marginale (ad es. ONLUS).
L’istituto della solidarietà in diritto tributario è mutuato dall’istituto della solidarietà in diritto privato, ciò significa che non esiste in diritto tributario una definizione di solidarietà diversa da quella che troviamo in diritto privato.
Si distinguono 2 forme di solidarietà:
DOMANDA: Qual è il rapporto che lega i condebitori?
Il rapporto che lega i condebitori tra loro è un vincolo di solidarietà (passiva), nel senso che il creditore ha il diritto di chiedere a ciascuno dei condebitori solidali l’adempimento dell’intera prestazione.
Il pagamento di uno dei debitori libera tutti gli altri condebitori soltanto nei confronti del creditore, perché comunque essi rimango obbligati nei confronti del debitore adempiente. Se i condebitori non vogliono corrispondere al debitore adempiente il debito, per la parte spettante a ciascuno, il condebitore che ha pagato ha diritto di regresso nei confronti di tutti gli altri.
RATIO DELL’INTRODUZIONE DELL’ISTITUTO DELLA SOLIDARIETA’ IN DIRITTO TRIBUTARIO
L’istituto della solidarietà, in diritto tributario, nasce per garantire maggiormente il creditore e, quindi, lo Stato e gli altri enti pubblici. La solidarietà ha come scopo quello di far si che lo Stato possa recuperare facilmente i suoi crediti, cioè il gettito tributario.Ovviamente lo Stato cercherà di colpire tra i condebitori quello più solvibile e poi questi potrà sempre far valere nei confronti dei condebitori inadempienti il diritto di regresso.
All’interno della solidarietà (passiva) si distingue tra:
- solidarietà paritaria, si ha quando i condebitori( legati da un vincolo di solidarietà paritaria), per sottrarsi all’adempimento della prestazione, possono far valere solo le proprie eccezioni, essendo del tutto irrilevanti le eccezioni che riguardano gli altri condebitori. Questa è la regola per capire se siamo di fronte alla solidarietà paritaria. Questa solidarietà si realizza quando più soggetti hanno posto in essere insieme il presupposto del tributo.
ESEMPIO: Tre soggetti A, B e C acquistano un immobile sul quale dovranno pagare l’ICI. Tutti e tre sono legati da un vincolo di solidarietà paritaria, per cui il Comune potrà attaccare indistintamente uno dei tre per ottenere l’intera prestazione. Se ad es. A scopre che per un errore il suo nome non compare nell’atto di acquisto dimostra al Comune che lui non è proprietario dell’immobile e, quindi, fa valere una propria eccezione. Questa eccezione non ha alcuna refluenza nei confronti degli altri due condebitori solidali, che dovranno pagare l’intera prestazione. Tali soggetti non possono far valere le eccezioni di altri condebitori, ma solo le proprie eccezioni;
- solidarietà dipendente: in questo caso ci sono due diversi tipi di coobbligati:
Ovviamente si tratta pur sempre di un’ipotesi di solidarietà, pertanto, il Fisco può sempre chiedere il pagamento dell’intero a ciascuno dei debitori solidali ma la particolarità consiste nel fatto che i debitori sono collocati su piani diversi si parla, infatti, di un obbligato principale e di un obbligato dipendente. Questa diversità di piani si coglie nella circostanza (circostanza che tra l’altro ci consente di capire quando di è di fronte ad una solidarietà dipendente) che : l’obbligato principale potrà far valere sempre e soltanto le proprie eccezioni; l’obbligato dipendente, invece, non solo potrà far valere le proprie eccezioni, ma anche quelle dell’obbligato principale, perché l’obbligazione dell’obbligato dipendente scaturisce (o meglio dipende) da quella dell’obbligato principale.
Per cui se si scopre che l’obbligato principale non dovrà pagare niente anche l’obbligato dipendente sarà liberato.
Esempio tipico di solidarietà dipendente si ha nel caso del responsabile d’imposta.
La legge definisce il responsabile di imposta: “ chi in forza di legge è tenuto al pagamento di un’imposta insieme con altri per fatti riferibili a questi e ha diritto di rivalsa”(Art.64 del D.P.R. n.600/1973).
“Chi in forza di disposizione di legge” significa che la figura del responsabile d’imposta deve essere prevista dalla legge, perché si tratta di una prestazione a contenuto patrimoniale, in aderenza al dettato di cui all’art.23 della Cost. Le prestazioni a contenuto patrimoniale non possono che essere previste per legge.
“È tenuto al pagamento di un’imposta”, il verbo “è tenuto” evidenzia un obbligo; per cui il responsabile d’imposta è tenuto la pagamento di un’imposta.
“Insieme con altri”: questa locuzione (di fondamentale importanza) evidenzia il sorgere della solidarietà dipendente; per cui il responsabile d’imposta si aggiunge ad altri soggetti al pagamento di un’imposta.
“Per fatti riferibili a questi altri”: significa che il responsabile d’imposta viene obbligato dalla legge ad unirsi ad altri soggetti per un fatto che questi altri soggetti hanno posto in essere. Questo fatto altro non è che la realizzazione del presupposto di un tributo.Il vincolo che lega questi soggetti tra loro è un vincolo di solidarietà paritaria.
Il vincolo che, invece, lega il responsabile d’imposta a questi soggetti è un vincolo di solidarietà dipendente.
Di conseguenza, se si scopre che questi soggetti non hanno posto in essere il presupposto dell’imposta, ciò libera anche il responsabile d’imposta perché la sua obbligazione trae origine da quella degli altri soggetti.
Esempio classico di responsabile d’imposta è il notaio che ha l’obbligo di pagare insieme all’obbligato principale il relativo tributo. Egli è responsabile d’imposta solo per l’imposta principale, mai per altri tipi di imposta.
Supponiamo che A, B e C devono acquistare un immobile e lo acquistano in modo indiviso.
Il trasferimento del diritto di proprietà su immobili può avvenire in 2 modi (mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata), ma in ogni caso occorre la presenza di un notaio.Ovviamente si devono pagare delle imposte (di registro, catastali, ecc.), che sono a carico delle parti dell’atto (e, quindi, alienante ed acquirente).
I 4 soggetti (acquirenti ed alienante) sono coobbligati solidali paritari.
Il notaio che redige l’atto, in base alla legge, diventa, invece, coobbligato solidale dipendente per il pagamento dell’imposta (principale).
Per cui se non ci sono eccezioni per il Fisco, in base al vincolo di solidarietà tutti sono tenuti al pagamento delle imposte (e, quindi, acquirenti, alienante che diventa anch’egli coobbligato solidale paritario e coobbligato dipendente).
Se, invece, uno dei 3 soggetti non pone più in essere il presupposto dell’imposta, questa eccezione libera solo lui dal pagamento dell’imposta e non gli altri.
Dalla definizione di responsabile d’imposta sembrerebbe che l’imposta sia pagata sempre dal notaio e che poi questi si rivalga sugli altri. In parte è così: in primo luogo perché il notaio è solvibile per definizione (lo Stato gli assicura, infatti, più di 3000 euro al mese); in secondo luogo perché il notaio, oltre ad essere responsabile d’imposta per le imposte che scaturiscono dagli atti da lui pagati, ha anche l’obbligo di registrare l’atto entro 20gg. Dalla sua stipulazione e, quindi, dal momento della registrazione il notaio è facilmente aggredibile dalla legge.
“Ha diritto di rivalsa”: per diritto qui s’intende la facoltà, la possibilità di esercitare o meno il diritto di rivalsa; cioè il notaio potrebbe in teoria non esercitare la rivalsa ed accollarsi da solo l’onere delle imposte.
PROBLEMA: ma come mai, dal momento che il notaio non ha posto in essere alcun presupposto e, quindi, non ha evidenziato alcuna disponibilità di ricchezza, il legislatore permette a chi, invece, ha posto in essere il presupposto d’imposta di sottrarsi al pagamento dell’imposta e, quindi, di violare l’art. n.53 Cost.?
Il segreto sta nella solidarietà che vincola tutti i soggetti, compreso il notaio, al pagamento dell’imposta. La solidarietà comporta che il fisco sceglie fra i vari coobbligati solidali al pagamento il soggetto più solvibile e chiede a questo l’adempimento della prestazione oggetto dell’obbligazione tributaria per intero. questo soggetto successivamente potrà rivalersi sugli altri coobbligati.
Il Fisco, pertanto, quando riceve la moneta da uno qualunque dei soggetti coobbligati non tiene conto del tipo di solidarietà che lega questi soggetti li mette tutti sullo stesso piano.
Non c’è, dunque, violazione dell’art. 53 Cost.
L’Art.64 del D.P.R. n.600/73, oltre ad occuparsi del responsabile d’imposta, si occupa anche del sostituto d’imposta.
Il sostituto d’imposta è:
“chi, in forza di disposizione di legge, è tenuto al pagamento di un’imposta, in tutto o in parte, in luogo di altri, per fatti riferibili a questi altri ed ha obbligo di rivalsa”.
Commentiamo la definizione:
“Chi, in forza di disposizione di legge”: indica che le figure di sostituto d’imposta sono previste dalla legge.
“In tutto o in parte”: mentre il responsabile d’imposta è tenuto a pagare l’intera prestazione, è possibile che la sostituzione avvenga integralmente o parzialmente.
“In luogo di altri”: significa che un soggetto (il sostituto d’imposta) prende il posto di un altro. La differenza è sostanziale con il responsabile d’imposta, perché nel caso del responsabile d’imposta questo soggetto si aggiunge agli altri mentre il sostituto d’imposta si sostituisce agli altri. Quindi, nella sostituzione d’imposta non esiste la solidarietà.
“Per fatti riferibili a questi altri”: ancora una volta sono altri a porre in essere il presupposto dell’imposta.
“Ha obbligo di rivalsa”: in questo caso non si può esercitare la facoltà di rivalsa, una scelta ma c’è un obbligo di rivalsa. C’è un obbligo e non una scelta perché qui non esiste la solidarietà, ossia non c’è un soggetto che si aggiunge ad altri, ma c’è un soggetto che si sostituisce ad altri.
Da ciò deriva che se il sostituto non operasse la rivalsa, violerebbe l’Art.53 Cost.
ESEMPIO TIPICO di sostituto d’imposta è il datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti. Supponiamo che il datore di lavoro abbia 50 dipendenti.
Il Fisco per controllare se queste 50 persone non hanno evaso fa sì che il datore di lavoro diventi sostituto dei suoi dipendenti, quindi paghi lui al posto dei suoi dipendenti con un vantaggio enorme per il fisco che dovrà controllare solo il datore di lavoro.
Il datore di lavoro, infatti, al momento dell’erogazione dello stipendio trattiene la quota d’imposta su quello stipendio e la versa allo Stato diventa lui, pertanto, il soggetto che si impegna di fronte allo Stato a pagare le somme.
La “ratio” della norme che impone al sostituto d’imposta di pagare il tributo al posto del lavoratore dipendente è individuabile nell’esigenza dell’immediatezza della riscossione. In pratica il legislatore, al fine di garantire l’immediatezza ma anche la certezza della riscossione fa leva sul disinteresse del datore di lavoro di evadere i tributi del suo dipendente
Il fisco per controllare se queste cinquanta persone non hanno evaso fa sì che il datore di lavoro diventi sostituto dei suoi dipendenti, quindi paghi lui al posto dei suoi dipendenti con un vantaggio enorme per il fisco che dovrà controllare soltanto il datore di lavoro. Il datore di lavoro, infatti, al momento dell'erogazione dello stipendio trattiene la quota d'imposta sullo stipendio e la versa allo stato; pertanto diventa il datore di lavoro il soggetto che si impegna di fronte allo stato a pagare le somme in nome del suo dipendente il quale ha evidenziato capacità contributiva (e quindi anche questa volta la rivalsa viene effettuata prima).
Se il datore di lavoro non versa le imposte allo stato si macchia di appropriazione indebita.
DIFFERENZE TRA LE DUE FIGURE
SOSTITUZIONE A TITOLO D'IMPOSTA (O TOTALE) E SOSTITUZIONE A TITOLO D'ACCONTO (O PARZIALE)
Come prima si diceva il sostituto d’imposta è “chi, in forza di disposizione di legge, è tenuto al pagamento di un’imposta, in tutto o in parte, in luogo di altri, per fatti riferibili a questi altri ed ha obbligo di rivalsa”.
La locuzione "in tutto o in parte" indica che la sostituzione può essere totale o parziale, cioè può riguardare il pagamento dell'intera imposta ovvero di una frazione di essa (spetterà per poi al sostituito sommare questo reddito agli altri eventuali determinare l'imposta - imposta lorda - e da questa sottrarrà le detrazioni ma anche le ritenute subite articolo d'acconto e si arriverà a imposta netta).
La sostituzione totale è detta anche "sostituzione a titolo d'imposta"; la sostituzione parziale è detta invece "sostituzione a titolo d'acconto".
SOSTITUZIONE A TITOLO D'IMPOSTA (O TOTALE)
La sostituzione a titolo d'imposta è attuata attraverso meccanismo che si chiama "ritenuta a titolo di imposta".
Ritenuta a titolo di imposta significa che la ritenuta viene operata dal sostituto d'imposta nei confronti del sostituito (cioè colui che subisce la ritenuta) su una ricchezza in termini monetari.
Il sostituto può operare questa ritenuta perché è sempre un debitore del sostituito; la legge tributaria allora profitta di questo rapporto di debito-credito e dice al sostituto che, quando deve estinguere il suo debito, deve operare una ritenuta, cioè deve trattenere una quota di quanto deve dare al sostituito, per poi versarla allo Stato.
Caratteristiche della sostituzione a titolo di imposta sono due:
Esempio tipico di ritenuta a titolo d'imposta sono le ritenute operate sugli interessi (reddito da capitale) corrisposti ai correntisti da istituti di credito.
Supponiamo, ad esempio, che un soggetto abbia in banca un deposito che sfrutta 1000 € di interessi. Su questi interessi la banca opera una ritenuta del 27%. La somma di 270 € verrà versata allo stato a titolo di imposta, mentre i restanti 630 € verranno corrisposti al correntista.
In questo caso il sostituito estingue integralmente il suo debito con il fisco con riferimento, però, solo a quel reddito da capitale.
Il reddito sottoposto a ritenuta d'imposta non si somma agli altri redditi prodotti, ma subisce una tassazione separata.
Quindi sui redditi sottoposti a ritenuta a titolo d'imposta non si sconta la progressività, nel senso che, non sommandosi i diversi redditi prodotti, non si corre il pericolo di raggiungere aliquote marginali elevate.
SOSTITUZIONE A TITOLO D'ACCONTO (O PARZIALE)
Questa forma di sostituzione è attuata attraverso un meccanismo che si chiama "ritenuta a titolo d'acconto".
Caratteristiche della sostituzione a titolo d'acconto sono:
Il sostituito deve sommare agli altri redditi prodotti anche il reddito sottoposto a ritenuta a titolo di acconto, con la conseguenza di far crescere la base imponibile è quindi di raggiungere aliquote molto elevate.
Così, ad esempio, supponiamo che un soggetto depositi in banca 1000 € e che la banca effettui una ritenuta a titolo d'acconto del 10% e quindi di 100 €.
Se questo stesso soggetto possiede un altri redditi di diversa natura, ad esempio per un totale di 5000 € (su cui successivamente si dovrà calcolare imposta) si sommano questi 5000 € ai 1000 €, sui quali era stata già operata la ritenuta a titolo di acconto.
Supponiamo, ora, che l'imposta su 6000 € sia di 1800 €.
A questo punto si fa:
Il D.P.R. N.600 del 1973 dall'articolo n.23 all'articolo n. 28 si occupa delle ipotesi di sostituzione (sia a titolo d’acconto che a titolo di imposta).
Il Tesauro considera come sostituzione propria la sostituzione a titolo di imposta mentre considera impropria la sostituzione a titolo di acconto perché non c’è una vera e propria sostituzione.
Ipotesi tipica di sostituzione a titolo di acconto è quella operata dal datore di lavoro sui redditi corrisposti ai propri dipendenti.
N.B. non tutti i datori di lavoro sono, comunque, sostituti a titolo di acconto, ma solo quelli che esercitano:
N.B. Può succedere che un soggetto abbia solo un reddito da lavoro dipendente; in questo caso la ritenuta è a titolo d'acconto, ma economicamente, cioè di fatto, si comporta come una ritenuta titolo d'imposta.
La legge non dice quale aliquota applicare, per cui il datore di lavoro, che deve operare una ritenuta, si pone appunto il problema di quale aliquota applicare.
Il datore di lavoro deve stabilire la ritenuta da operare al dipendente semplicemente calcolando sul reddito annuo del suo dipendente l’Irpef (secondo il metodo degli scaglioni aggiuntivi).
Supponiamo che il reddito lordo annuo di un soggetto sia pari a 24.000 €. Su questi 24.000 € il datore di lavoro calcola l'imposta secondo il meccanismo degli scaglioni aggiuntivi, supponiamo che l’imposta sia di 6000 €.
A questo punto si divide il reddito totale, cioè 24.000 € per 12 e si determina il credito mensile che è pari a 2000 €. Il datore di lavoro divide poi 6000 € (cioè di imposta su 24.000 €) sempre per 12 che è uguale a 500 €.
Poi bisogna fare una sottrazione cioè sottrarre dallo stipendio mensile (lordo) che è uguale a 2000 € le 500 € che è l'imposta mensile e si ottiene 1500 €. Questi 1500 € sono erogati al lavoratore mentre i restanti 500 € sono versati dal datore di lavoro allo stato. Il datore di lavoro applica quindi, una ritenuta a titolo d'acconto del 27%.
Il datore di lavoro calcola l’Irpef fittizia sul reddito lordo e lo divide in dodicesimi trattiene al suo dipendente 1/12 ogni mese .
Nel caso in cui il dipendente non abbia altri redditi altre a quello di lavoro dipendente l a ritenuta operata dal suo datore di lavoro è a titolo di acconto ma di fatto è a titolo di imposta perché si chiude il rapporto con il Fisco nel senso che non deve né pagare né dichiarare più nulla.
Come sappiamo, la figura del sostituto nasce per favorire l'accertamento da parte dell'amministrazione finanziaria.
In quest'ottica di agevolazione è nato in tempi più recenti il sostituto di dichiarazione.
Il sostituto di dichiarazione è un soggetto tenuto a presentare la dichiarazione dei redditi al posto di altri soggetti.
Altro motivo per cui fu istituita la figura del sostituto di dichiarazione è che l'amministrazione finanziaria ha notato che un enorme quantità di errori era presente nelle dichiarazioni, si trattava errori soprattutto formali.
Si trattava per lo più di errori inerenti la compilazione del modulo (su cui presentare la dichiarazione dei redditi) come mancanza di codice fiscale errori nella compilazione del modulo che venivano incrementati dal fatto che i moduli cambiano ogni anno.
Molti sostituti d'imposta, in base alla legge, sono diventati anche sostituti di dichiarazione.
Questo iter può essere eseguito solo se si hanno redditi di un certo tipo, in particolare: redditi da lavoro dipendente e redditi fondiari.
La responsabilità del sostituto di dichiarazione è una responsabilità meramente formale, cioè risponde solo per eventuali errori formali compiuti nella dichiarazione; il sostituito sarà responsabile solo nel caso in cui abbia dichiarato il falso al sostituto di dichiarazione.
CENTRI AUTORIZZATI DI ASSISTENZA FISCALE (CAAF)
Sono sostituti di dichiarazione i cosiddetti CAAF (centri autorizzati di assistenza fiscale), organismi che nella quasi totalità delle ipotesi, sono autorizzati dalla legge a presentare la dichiarazione in luogo di altri. Esistono anche Centri Autonomi di Assistenza Fiscale (spesso si tratta di patronati).
FASI DI APPLICAZIONE DEL TRIBUTO
Il tributo si applica attraverso tre momenti:
N.B. Mentre senza la prima fase, cioè senza la fase della realizzazione del presupposto non possono realizzarsi le altre due successive, la fase dell'accertamento e quella della riscossione si sovrappongono fra loro, nel senso che non è detto che la riscossione inizi solo dopo che l'accertamento si sia concluso, sia definitivo.
Se, ad esempio, l'amministrazione finanziaria scopre che il contribuente è un evasore emette e notifica un avviso di accertamento, con il quale gli contesterà che il suo reddito non è, supponiamo, di 20.000 €, ma è di 70.000 € e quindi chiederà al contribuente la maggiore imposta, su una maggiore base imponibile.
Dividiamo, ad esempio, gli scaglioni IRPEF del seguente modo:
Da 0 a 10 =====> 10%
da 10 a 20 =====> 15%
Da 20 a 50 =====> 20%
Da 50 a 100 =====> 30% (aliquota marginale)
Il contribuente che dichiara un reddito di 20.000 €, in base allo schema della progressività per scaglioni aggiuntivi, pagherà sui primi 10.000 € 1000 €, sugli altri 10.000 € 1.500 €.
Se l'amministrazione finanziaria scopre che il soggetto ha pagato su 20.000 €, avendo questi in realtà un reddito pari a 70.000 €, liquida una maggiore imposta partendo no da 0 arrivando a 50.000, ma 20.000 € arrivando a 70.000 €, il che è diverso in base alla progressività.
Infatti, se il contribuente avesse dovuto pagare su 50.000 € partendo da 0 avrebbe pagato : sui primi 10.000 € 1000, sui secondi 10.000 € 1.500, su 30.000 € 6.000, per un totale di 8.500 € meno i 2.500 già pagati e, quindi 6.000.
Invece partendo da 20.000 € arrivando a 70.000 € pagherà: sui primi 10.000 € 1.000,sugli altri 10.000 € 1.500, su 30.000 € 6.000 e su 20.000 € altri 6000 per un totale di 14.500 € meno 2.500 già pagati e, quindi, 12.000.
Il contribuente che riceve la notifica può:
Ecco che le fasi si sono intrecciate tra di loro perché si sono così succedute le fasi:
Le fasi di accertamento e riscossione si sono intrecciate; quindi la riscossione non si ha solo dopo che l'accertamento é definitivo, concluso.
ACCONTO E ANTICIPAZIONE
Sono entrambi prelievi che si realizzano prima del completarsi o addirittura del verificarsi del presupposto.
Queste due forme di prelievo sono delle eccezioni perché si pagano prima del completarsi o addirittura del verificarsi del presupposto mentre la regola è quella che l’imposta si paga solo dopo la realizzazione del presupposto.
In particolare, l'acconto è una percentuale dell'imposta pagata l'anno precedente.
Ad esempio gli acconti in materia di IRPEF si pagano per i redditi che il soggetto sta producendo in quell'anno.
In particolare per l'IRPEF si pagano due racconti: il primo va versato tra il 1° e il 20 giugno; il secondo tra il 1° e il 30 novembre. Gli acconti versati sono pari al 98% dell’imposta pagata l’anno precedente.
Quindi gli acconti si determinano sulla base del reddito e quindi dell'imposta dell'anno precedente.
Altra caratteristica peculiare dell'acconto è che il saldo (che si paga l’anno successivo), a seguito del pagamento dell'acconto (pagato l’anno precedente), potrà essere positivo (a debito) o negativo (a credito).
A seguito dei acconti, infatti, se l'anno successivo il reddito del soggetto è maggiore il saldo sarà positivo, cioè dovrà pagare in più; se il suo reddito è inferiore ovviamente il saldo è negativo, cioè vanterà un credito nei confronti dell'amministrazione finanziaria.
L'Anticipazione, invece, è un prelievo che si realizza prima del completarsi o del verificarsi del presupposto.
La differenza sostanziale con l’acconto è che l’anticipazione comporta sempre un ulteriore pagamento da parte del soggetto, per cui il saldo sarà sempre positivo (a debito) per il contribuente che dovrà pagare.
Supponiamo, ad esempio, che un lavoratore dipendente chieda al proprio datore di lavoro che gli venga liquidata una parte della liquidazione già maturata.
Poniamo che il lavoratore abbia maturato come liquidazione la somma di 40.000 € e ne chieda 25.000 € come anticipo della liquidazione, sui quali il datore di lavoro, in veste di sostituto d'acconto, opera una trattenuta, ad esempio, di 7.000 € per pagare le imposte allo Stato. L’imposta su questo reddito si calcola con un metodo particolare che si chiama “ a tassazione separata” per la determinazione dell’irpef-
Quando il lavoratore andrà in pensione avrà diritto alla liquidazione (o indennità di fine rapporto) totale ma anche su questa parte liquidazione dovrà ancora pagare le imposte. Ecco perché l'anticipazione si conclude sempre con un saldo positivo per il contribuente.
IMPOSTE CON ACCERTAMENTO E IMPOSTE SENZA ACCERTAMENTO (O CON ACCLARAMENTO DELL'INFRAZIONE)
Tutte le imposte contengono al loro interno modalità di accertamento, questa è la regola. Tuttavia, alcuni autori ritengono che esistono anche imposte senza accertamento.
Secondo questi autori all’interno del sistema tributario esistono tributi per i quali si procede direttamente alla riscossione senza che sia necessario alcun atto dell’amministrazione finanziaria, diretto a quantificare la base imponibile dell’imposta. Questa corrente di pensiero porta a sostegno della su esposta teoria l’esempio dell'imposta di bollo.
In questa imposta è assente la modalità di accertamento, in quanto non si fa nulla per determinare la base imponibile e quindi l'ammontare dell'imposta ma si passa direttamente alla riscossione.
Tuttavia, un’altra parte della dottrina sostiene il contrario, cioè ritiene che una fase di accertamento, per quanto minima, esiste anche per questi tributi ed è data da un sorta di auto accertamento istantaneo.
Secondo questi autori non esistono imposte senza accertamento, non è vero che non esiste la fase di accertamento nell'imposta di bollo; l'accertamento, anche se molto compresso nel tempo, esiste e si ha nel momento in cui si sceglie una marca da bollo di un certo valore: dunque, l'accertamento c'è ma è istantaneo.
Allora, si potrebbe pensare che per questi tributi così particolari l’amministrazione finanziaria non interviene mai, ma le cose non stanno così.Anche per questi tributi l’intervento dell’amministrazione finanziaria esiste, solo che è un intervento successivo alla fase della riscossione, è un intervento eventuale che si sostanzia nell’acclaramento dell’infrazione, cioè nella contestazione della violazione.
Pertanto, secondo questa parte della dottrina esistono le c.d. imposte con acclaramento dell'infrazione,per distinguerle dalle imposte con accertamento (vero e proprio) nelle quali una vera e propria fase di accertamento si ha solo se si è commessa un'infrazione.
Se, infatti, un soggetto ha acquistato una marca da bollo da 10 € per una domanda che, invece, ne richiede una da 20 €, l'ufficio che riceve l'atto notifica questa evasione all'amministrazione finanziaria. Quest'ultima emette un atto di accertamento e lo notifica all’evasore.
Per cui la fase di accertamento in queste imposte si ha solo se si viola la legge.
TEORIE SULLA NATURA GIURIDICA DELL'ACCERTAMENTO
Lo studio delle diverse teorie che si occupano della natura giuridica dell'accertamento è molto importante perché ci fa comprendere il momento in cui sorge l'obbligazione tributaria e, quindi, a seconda della teoria che si sceglie l'obbligazione tributaria sorgerà in un momento diverso.
Le teorie maggiormente accreditate sono tre:
TEORIA DICHIARATIVA: secondo i sostenitori di questa teoria, l'obbligazione tributaria nascerebbe con il realizzarsi del presupposto del tributo, per cui l'accertamento avrebbe, appunto, natura meramente dichiarativa cioè servirebbe a rendere manifesto qualcosa che è sorto prima a e al di fuori dell'accertamento.
A questa teoria si può obiettare che se così fosse,cioè se l’obbligazione tributaria nascesse con il presupposto, non si capisce perché il soggetto che ha posto in essere il presupposto non possa liberarsi dell'obbligazione tributaria.
Infatti, il presupposto sappiamo essere quel fatto al verificarsi del quale sorge l’obbligazione tributaria, ma per liberarsi dell'obbligazione tributaria occorre conoscere, ovviamente, il suo ammontare; ciò è possibile solo attraverso le modalità di accertamento che, pertanto, non vengono da qualcosa che è al di fuori dell'obbligazione tributaria ma costituiscono l'obbligazione tributaria stessa.
Attraverso la critica alla teoria dichiarativa si forma la c.d. teoria costitutiva.
TEORIA COSTITUTIVA: secondo i sostenitori di questa teoria l'obbligazione tributaria nasce solo quando si quantificano il che avviene con l'accertamento.
Il difetto della teoria costitutiva si evidenzia nell'ipotesi in cui il soggetto sul quale è sorta l’obbligazione tributaria muore.
Infatti, non si capisce come mai in questa ipotesi un soggetto diverso da quello che ha posto in essere il presupposto,quindi, l'erede sia obbligato a pagare le imposte (ad esempio l'IRPEF) a nome del de cuius,pur non avendo posto in essere alcun presupposto.
Per aggirare questa osservazione è sorta la teoria procedimentale, che non è altro che un'evoluzione della teoria costitutiva.
TEORIA PROCEDIMENTALE: questa teoria nasce per rispondere alla critica prima evidenziata della teoria dichiarativa.
La teoria procedimentale prende le mosse da un istituto di diritto amministrativo, il procedimento.
Per procedimento, in diritto amministrativo, si intende "una serie di atti collegati tra loro in base al quale ogni singolo atto di questo procedimento è legittimato dall'atto che lo precede ed è a sua volta base di legittimità per l'atto che lo segue".
Se applichiamo questo istituto al diritto tributario dicendo che l'accertamento è un procedimento, ne consegue che l'accertamento seguirà le stesse regole, per cui: ogni atto della fase di accertamento è legittimato dall'atto che lo precede ed è a sua volta base di legittimità per l'atto che lo segue.
Per la teoria procedimentale l'obbligazione tributaria nasce allora con l'ultimo atto valido dell'accertamento.
Supponiamo, ad esempio, che un contribuente ponga in essere in essere il presupposto di tributo e successivamente rediga la dichiarazione dei redditi (che costituisce il primo atto della fase di accertamento). Se l'amministrazione finanziaria ritiene che questo reddito non sia esatto emette un "avviso di accertamento" (che è sempre un atto della fase di accertamento).
Se l'amministrazione finanziaria non motiva l'avviso di accertamento e quindi, commette un errore quest'atto sarà nullo perché tutti gli atti della Pubblica Amministrazione devono essere motivati, pena la loro nullità. L'obbligazione tributaria è sorta allora con la dichiarazione dei redditi, che è l'ultimo atto valido della fase di accertamento.
Questa teoria supera la critica fatta alla teoria costitutiva perché la teoria procedimentale statuisce che quando un soggetto, in una qualunque fase della catena dell'accertamento, muore il suo erede va a ricoprire il ruolo che il de cuis aveva al momento del suo decesso.
Tutto il diritto tributario si basa sulla teoria procedimentale.
GLI OBBLIGHI FORMALI: APPLICABILITA' DELL' ART. 23 DELLA COSTITUZIONE
L’obbligo formale è quell’obbligo che non comporta esborso di moneta per il pagamento dell'imposta.
L’obbligo formale nasce per far sì che venga adempiuto l'obbligo sostanziale: in questo senso si dice che l'obbligo formale è un atto prodromico dell'obbligo sostanziale.
Esempi di obblighi formali sono: la tenuta delle scritture contabili, la redazione della dichiarazione dei redditi, ecc..
Storicamente si dice che l’obbligo formale, a differenza dell'obbligo sostanziale, non comporta esborso di moneta.
Il professore Alberghina sostiene che l'obbligo formale non comporta esborso di moneta per quel che concerne il pagamento dell'imposta ma spesso l'adempimento dell'obbligo formale comporta un esborso di moneta per altre ragioni.
Spesso, infatti, per l'adempimento di un obbligo formale, quale è, ad esempio, la redazione della dichiarazione dei redditi, si fa ricorso a professionisti i quali, ovviamente, vorranno essere pagati per il servizio reso.
Di conseguenza, la differenza tra obbligo formale e obbligo sostanziale non nasce dal mancato esborso di moneta, in quanto entrambi comportano un certo esborso di moneta, ma sorge dalla diversa destinazione di questo esborso di moneta.
Infatti, nel caso di obbligo formale la moneta è destinata al consulente, mentre nel caso di obbligo sostanziale la moneta è destinata allo Stato e cioè al pagamento dell'imposta.
Allora che rapporto c'è tra l'obbligo formale e l'art. 23 della Cost.?
L'obbligo formale non è certo una prestazione a contenuto personale ma patrimoniale. Conseguentemente, trattandosi di una prestazione a contenuto patrimoniale, gli obblighi formali devono essere previsti con legge o con atto avente forza di legge, perché rientrano nella previsione dell'articolo 23 della costituzione italiana.
L'obbligo formale è normalmente previsto con regolamento d'esecuzione, ciò avviene ad esempio nella dichiarazione dei redditi.
EVENTUALE CONTRASTO CON GLI ARTT. 3 E 53 DELLA COSTITUZIONE
L'articolo n.53 della Cost., come sappiamo, sancisce il PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA.
Si sostiene che, con riferimento agli obblighi formali, ci sia un contrasto con il principio di uguaglianza sancito dalla nostra Costituzione perché gli obblighi formali sono del tutto assenti per alcune categorie di soggetti; si pensi al caso di un soggetto che ha redditi solo da capitale, o ad un soggetto che è dipendente da un unico datore di lavoro (in tal caso la ritenuta operata dal datore di lavoro è a titolo di acconto ma economicamente, cioè di fatto, si comporta come una ritenuta al titolo d'imposta).
I soggetti sottoposti ad obblighi formali appartengono essenzialmente a due categorie di soggetti:
DOMANDA: Come mai gli obblighi formali sono, essenzialmente, previsti soltanto per queste due categorie di soggetti?
Perché questi soggetti sono considerati dal fisco dei potenziali evasori, sono considerati a rischio di evasione, di conseguenza al fine di prevenire l'evasione sono sottoposti ad una serie di obblighi formali in modo tale da poterli controllare meglio.
In questo modo, però, secondo il professore Alberghina si viola l'articolo 3 della Costituzione perché, se siamo in un regime in cui c'è (o meglio ci dovrebbe essere) uguaglianza tra i soggetti, questa uguaglianza dovrebbe valere per tutti, però di fatto è violata dalla previsione in virtù della quale taluni soggetti non sottoposti agli obblighi formali mentre altri non lo sono.
Sempre con riferimento agli obblighi formali si ha una violazione dell'art. 53 della Costituzione.
Infatti, i soggetti che sono tenuti ad adempiere agli obblighi formali hanno una capacità contributiva inferiore a chi, invece, non li deve adempiere.
Supponiamo, ad esempio, che un soggetto abbia un reddito da capitale pari a 100.000 € e che un altro soggetto abbia un reddito d'impresa dello stesso ammontare. Apparentemente questi due soggetti hanno la stessa capacità contributiva ma in realtà non è così.
Infatti, anche ammesso che entrambi i soggetti paghino le stesse imposte, tuttavia chi possiede soltanto redditi da capitale essendo assolutamente esente da obblighi formali non sostiene spese per l'adempimento degli stessi, mentre il soggetto che possiede redditi d'impresa deve adempiere per legge agli obblighi formali per il cui adempimento sosterrà delle spese.
Di conseguenza il soggetto che adempie agli obblighi formali di fatto ha una minore capacità contributiva, ciò in contrasto con l'articolo 53 della costituzione.
La Corte Costituzionale ha deciso, con riferimento agli articoli 3 e 53 della Costituzione, che la determinazione dei redditi è compito del Legislatore, il quale ha il potere di scegliere, nella massima libertà, gli strumenti per l'accertamento del reddito stesso.
PARTE SECONDA
LA DICHIARAZIONE TRIBUTARIA E LA DICHIARAZIONE D'IMPOSTA
La dichiarazione tributaria è formata da un insieme di dati e di scelte che hanno come obiettivo l'adempimento di alcuni obblighi previsti dalla legge.
La dichiarazione d'imposta è formata un insieme di dati che hanno come obbiettivo il pagamento dell'imposta.
La differenza tre le due dichiarazioni sta nel fatto che la dichiarazione d’imposta, normalmente, è anche una dichiarazione tributaria, mentre una dichiarazione tributaria può non essere anche una dichiarazione d'imposta.
Esempio di sola dichiarazione tributaria: in tema di Iva sono previste una serie di dichiarazioni tributarie, ad esempio:
La dichiarazione di inizio attività;
La dichiarazione di cessazione attività.
Queste dichiarazioni tributarie consistono in una comunicazione all'ufficio Iva, comunicazione ad esempio di inizio attività, di una cessazione attività. Non c'è, pertanto, alcun riferimento al pagamento dell'imposta ma sono dichiarazioni che bisogna fare perché è la legge che lo prevede ed inoltre sono strumentali al pagamento dell’imposta.
Esempio di dichiarazione tributaria che è anche dichiarazione d'imposta è la dichiarazione dei redditi. Essa è una dichiarazione tributaria perché il contribuente all'interno della dichiarazione dei redditi opera delle scelte (un es. scelta è la destinazione dell' 8 per mille) ma la dichiarazione dei redditi è soprattutto una dichiarazione d'imposta perché serve a comunicare quei dati rilevanti ai fini dell'imposta.
CARATTERI DELLA DICHIARAZIONE DEI REDDITI
1 - Unicità: la dichiarazione dei redditi è unica, nel senso che per ogni periodo d'imposta la dichiarazione dei redditi non può che essere una sola soltanto;
2 – Annualità: la dichiarazione dei redditi si presenta ogni anno con riferimento al periodo d’imposta che si è concluso. (Si presenta nell'anno successivo rispetto al quale il periodo d'imposta si riferisce).
3 – Veridicità: deve essere rispondente al vero.
EFFETTI DELLA DICHIARAZIONE DEI REDDITI
Effetto principale della dichiarazione dei redditi è quello di determinare la base imponibile e, quindi, l'imposta da versare.
La dichiarazione dei redditi può anche terminare con un credito d'imposta.
NATURA GIURIDICA DELLA DICHIARAZIONE DEI REDDITI
A riguardo ci sono tre tesi:
1 - Secondo alcuni la dichiarazione dei redditi avrebbe natura contrattuale, ossia sarebbe resa volontariamente dal contribuente. Tale tesi non si può condividere perché la dichiarazione dei redditi è prevista dalla legge. Se presentare la dichiarazione dei redditi fosse stato un atto volontario nessuno avendo facoltà di scelta la presenterebbe.
2 - Altri hanno visto nella dichiarazione dei redditi natura confessoria, perché si confessa ad un altro soggetto una determinata situazione.
Questa tesi non è condivisibile per la natura stessa della confessione, la quale è resa da un soggetto e riguarda sempre fatti sfavorevoli a questo soggetto.
Infatti, la dichiarazione non è sempre un fatto sfavorevole a chi la rende, infatti, in alcuni casi può dar luogo a rimborsi è, quindi, essere favorevole. Ad esempio se un contribuente ha versato degli acconti per un ammontare superiore rispetto al dovuto, l’unico strumento per ottenere il rimborso è presentare la dichiarazione, tanto è vero che se non la presentasse perderebbe il diritto al rimborso.
Questa tesi allora non è accettabile perché la confessione è un atto che produce sempre effetti sfavorevoli per il soggetto che la rende..
3 - Secondo altri la dichiarazione dei redditi ha natura di dichiarazione di scienza qualificata (cioè abbia dei caratteri).
Perché una dichiarazione di scienza abbia degli affetti occorre che il soggetto al quale si dichiara qualcosa deve esserne a conoscenza; si tratta quindi di una dichiarazione recettizia. Gli effetti, quindi, si producono quando l’altra parte viene a conoscenza della dichiarazione.
Con il termine scienza si deve intendere "conoscenza", nel senso che ogni singolo contribuente, che è a conoscenza di qualcosa che riguarda la sua situazione reddituale, attraverso la dichiarazione, sposta, comunica questa conoscenza ad altri (in particolare all'A.F.).
La conseguenza più importante nel ritenere la dichiarazione dei redditi una dichiarazione di scienza è che se la scienza o conoscenza di un fenomeno cambia nel corso del tempo è possibile variare anche la dichiarazione e, quindi, in altre parole, sta nella possibilità di integrare la dichiarazione stessa se la conoscenza nel tempo è cambiata.
L'integrazione nella dichiarazione
Come dicevano, la conseguenza più importante nel ritenere la dichiarazione dei redditi una dichiarazione di scienza, è la possibilità di integrare la dichiarazione stessa se la conoscenza nel tempo è cambiata.
È possibile integrare la dichiarazione sia in aumento che in diminuzione.
L'integrazione in diminuzione potrebbe sembrare una contraddizione in termini, dal momento che integrare significa rendere per intero, in realtà non è così.
L'Amministrazione Finanziaria naturalmente si infastidisce quando l'integrazione è in diminuzione, accoglie invece ben volentieri le integrazioni in aumento.
Fra i caratteri della dichiarazione dei redditi vi è l'unicità ciò significa che per ogni singolo periodo d'imposta la dichiarazione non può che essere una.
Allora quando si integra in sostanza si dice all’amministrazione che questa dichiarazione sostituisce la precedente.
Di conseguenza:
Se presento una dichiarazione per 100 e mi accorgo che ho commesso un errore in quanto ho un redito di 120, integro la dichiarazione stessa con una dichiarazione per 120. La dichiarazione integrativa annulla quella precedente;
Lo stesso identico meccanismo si verifica quando devo integrare in diminuzione.
Anche in tal caso la vecchia dichiarazione perde efficacia e l'amministrazione finanziaria deve liquidare e accertare sulla base dell'ultima dichiarazione (in virtù del principio dell'unicità della dichiarazione).
Termini per integrare
La possibilità di integrare la dichiarazione dei redditi è piena finché non scade il termine della dichiarazione. E' possibile integrare la dichiarazione dei redditi senza limiti, purché venga rispettato il termine finale, che è il 31 luglio.
Per la presentazione della dichiarazione sono previsti due termini:
- termine finale: fissato al 31 luglio dell’anno successivo a quello di riferimento, data oltre la quale non è possibile presentare la dichiarazione dei redditi;
- termine iniziale: fissato al 2 maggio dell’anno successivo a quello di riferimento, termine prima del quale non è possibile presentare la dichiarazione dei redditi.
Il termine iniziale non ammette deroghe, di conseguenza qualunque dichiarazione che non rispetti il termine iniziale è sempre considerata omessa, cioè non presentata.
Il termine finale, invece, ammette deroghe: infatti, stabilito che il termine finale è il 31 luglio, la legge prevede che i contribuenti possono presentare la dichiarazione dei redditi entro 30 giorni successivi è, quindi, entro il 31 agosto, la dichiarazione, in tal caso, non sarà considerata omessa, ma tardiva, tardività che fa scattare delle sanzioni.
Ovviamente la dichiarazione presentata oltre il 31º giorno, essa sarà considerata omessa (cioè non presentata).
Fermo restando che la dichiarazione presentata con un ritardo superiore a 30 giorni è omessa, pur tuttavia se il ritardo non supera il 90 giorni, qualunque sia l'imposta che ho pagato in ritardo o che non ho pagato (ma comunque dichiarata) non potranno essere applicate sanzioni penali, che, invece, scattano se il ritardo supera 90 giorni.
In diritto tributario vige in tema di sanzioni il criterio della specialità nel senso che se scatta la sanzione penale quella amministrativa non è applicata.
MODALITA’ DI PRESENTAZIONE
La dichiarazione dei redditi si può presentare utilizzando tre canali:
SOGGETTI OBBLIGATI ALLA PRESENTAZIONE DELLA DICHIARAZIONE DEI REDDITI
Sono obbligate a presentare la dichiarazione dei redditi le persone fisiche residenti e non residenti nel territorio dello Stato purché hanno prodotto un reddito e hanno superato il diciottesimo anno di età, in caso contrario i loro redditi sono imputati al 50% ai genitori.
I POTERI ISTRUTTORI DELL'AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA
Per poteri istruttori si intendono: quei poteri stabiliti dalla legge, che possono essere esercitati dall'amministrazione finanziaria prima di procedere all'accertamento del reddito. I poteri istruttori si estrinsecano in atti che precedono la fase vera e propria dell’accertamento.
Sono, in altre parole, atti prodromici alla fase di accertamento.
L'amministrazione finanziaria (che opera l'interno della fase di accertamento) prima di emettere l'avviso di accertamento, deve sempre prendere delle informazioni, notizie al fine di accertare se ciò che il contribuente ha dichiarato è rispondente al vero o no .
Per fare questo esercita dei poteri istruttori (per agevolare la fase di accertamento), che sono al di fuori dell'accertamento.
I poteri istruttori dell'amministrazione finanziaria si concretano in:
ACCESSI: L'accesso consiste materialmente nell'entrare presso i locali del soggetto che si vuole controllare, nel varcare la soglia della sua casa. Questo accesso deve essere autorizzato in quanto altrimenti si violerebbero dei limiti costituzionalmente garantiti. Quindi prima di poter entrare bisogna, avere delle autorizzazioni, autorizzazioni che saranno diverse a seconda dei locali in cui si vuole accedere.
In particolare:
1 - Per accedere locali dove si esercita un'attività di impresa è necessario che gli organi verificatori abbiano:
2 - Per accedere presso i locali dove si esercita attività di lavoro autonomo è necessaria l'autorizzazione del Procuratore della Repubblica;
3 - Per accedere in un'abitazione dove non si esercita né un' attività di impresa né un'attività di lavoro autonomo non solo è necessaria l'autorizzazione della Procura della Repubblica, ma essa deve rilasciare tale autorizzazione solo se esistono pesanti e univoci indizi che quel soggetto sia un evasore;
ISPEZIONI : L'ispezione, che è una fase successiva all'accesso, consiste nella raccolta di tutto il materiale (soprattutto documenti) che gli organi verificatori ritengono rilevante ai fini della ricostruzione della base imponibile del soggetto controllato.
VERIFICHE: Consistono nel controllare tutti i documenti del soggetto raccolti con l’ispezione, gli organi verificatori a questo punto affidano al contribuente soggetto a controllo, tutto il materiale raccolto sigillandolo dentro un armadio.
Sia l'amministrazione finanziaria che il contribuente possono durante l'esercizio dei poteri istruttori fare proposte di accertamento con adesione (vedi pagina 112 nuove disposizioni in tema di verifiche fiscali).
Terminata la verifica, gli organi ispettivi dell'amministrazione finanziaria procedono all'emissione di due atti:
Il processo verbale di verifica viene redatto ogni giorno alla fine della verifica. Ci sono, quindi, quasi sempre una pluralità di processi verbali di verifica. Di solito in una sola pagina si descrive tutto ciò che gli organi ispettivi hanno fatto nel corso di quel giorno. Per ogni giorno di verifica ci saranno tanti processi verbali di verifica.
Alla fine in tutta la verifica gli organi ispettivi devono redigere un atto che si chiama processo verbale di constatazione (atto che non è impugnabile), che non è altro che una sintesi di tutto ciò che è stato fatto, in più all'interno del processo verbale di constatazione, vengono indicate le norme che si ritiene che contribuente abbia violato.
N.B. Comunque, siamo sempre al di fuori dell'accertamento.
La Guardia di Finanza redige quest'atto con il quale evidenzia delle violazioni, poi, se ritiene che l'evasione supera determinati limiti deve inviare una copia del processo verbale di constatazione alla procura della Repubblica perché inizi un processo penale.
Un'altra copia del processo verbale di constatazione, con allegati tutti i processi verbali di verifica, deve essere consegnata al contribuente, il quali è invitato a sottoscrivere l'atto (la firma indica solo la presa di visione dell'atto).
Lo stesso viene poi trasmesso agli uffici competenti, che sono le agenzie delle entrate che al loro interno hanno delle competenze suddivise, cioè ogni singolo ufficio ha una propria competenza.
Gli uffici competenti dovrebbero leggere il processo verbale di constatazione e se non ne condividono il contenuto procederanno all'accertamento (la legge prevede questo filtro).
Se non lo condividono emetteranno un avviso di accertamento.
Di fatto l'organo titolare del potere di accertamento, al quale viene trasmesso il processo verbale di constatazione, recepisce in pieno quest'ultimo, cioè fa suo dalla prima all'ultima parola il processo verbale di constatazione (che spesso non è letto in molti punti).
Gli organi dell'amministrazione finanziaria redigono allora degli avvisi di accertamento, chiamati "per relationem", in cui si dice che questi atti sono motivati da un processo verbale di constatazione. Il processo verbale di constatazione diventa la motivazione dell’avviso di accertamento.
La gravità di questo comportamento sta nel fatto che in tale modo viene violato un principio importantissimo, il principio della separazione legale dei poteri: infatti, l’amministrazione finanziaria recepisce in pieno il contenuto del processo verbale di constatazione che diventa la motivazione dell'avviso di accertamento: in tal modo si è dato il potere di accertamento ha un organo (la Guardia di Finanza) che non ha questo potere, venendo, pertanto, a mancare il filtro.
La guardia di finanza e gli organi ispettivi non hanno un potere di accertamento ma di constatazione, la legge, infatti, assegna il potere di accertamento ad un altro soggetto che è l’amministrazione finanziaria, la quale fa (o dovrebbe fare) da filtro e dovrebbe procedere al controllo del processo verbale di contestazione per poi emettere l’avviso di accertamento; in realtà però l’amministrazione finanziaria per mancanza forse di tempo recepisce in toto il processo verbale di contestazione e manda gli avvisi di accertamento sulla base di esso.
La mancanza del filtro comporta due conseguenze negative:
FASE ISTRUTTORIA
La fase istruttoria può consistere in altri fatti, ad esempio:
Nell'invito a comparire davanti all'amministrazione finanziaria, assegnando al contribuente un termine compreso tra 15 e 20 giorni perché ad esempio l'amministrazione finanziaria vuole dei chiarimenti sulla sua situazione;
Nell'invito ad esibire atti e documenti (ad esempio trasferimenti di immobili o di scritture contabili);
Nell'invio di questionari, quindi, domande (sempre all'interno dell'attività prodromica di accertamento) al fine di evitare errori, anche a danno del contribuente.
N.B.:Nel caso in cui il contribuente non ottemperi a questi inviti vi sarà l'irrogazione di sanzioni pecuniarie.
ILCONTROLLO DELLE DICHIARAZIONI DA PARTE DELL'AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA
Abbiamo fino ad ora parlato della fase istruttoria del controllo, in cui l’amministrazione finanziaria acquisisce dati, informazioni, documenti, attraverso questionari, ispezioni, accessi e verifiche. Andiamo ora ad esaminare il controllo delle dichiarazioni da parte dell’amministrazione finanziaria.
Quando il contribuente presenta la dichiarazione dei redditi, questa viene sottoposta a due tipi di controllo in due momenti diversi:
Vi è un controllo formale, che riguarda tutte le dichiarazioni dei redditi presentate. Questo controllo consiste nel verificare da parte dell'Amministrazione Finanziaria se la dichiarazione dei redditi contiene errori relativi, ad esempio, ad operazioni matematiche, all'assenza di dati anagrafici, ecc..
Tuttavia si deve precisare che il numero degli errori materiali o di calcolo è notevolmente sono notevolmente diminuiti grazie all’istituzione della figura del sostituto di dichiarazione (CAAF - CAF).
L'omissione di ognuno di questi dati comporta l’irrogazione di una sanzione.
Questo controllo attiene anche agli oneri deducibili e alle detrazioni d'imposta, che sono gli strumenti che rendono l'IRPEF un'imposta personale.
Gli oneri deducibili si tolgono dalla base imponibile (lorda) mentre le detrazioni si tolgono dall'imposta (lorda).
L'amministrazione finanziaria, allora, in sede di controllo formale, va a vedere se gli oneri deducibili e le detrazioni sono esatte.
N.B.: Il controllo formale non va solo a vantaggio dell'Amministrazione Finanziaria ma anche a vantaggio del contribuente, per cui se quest'ultimo ha sbagliato a favore dell'Amministrazione Finanziaria, questa gli riconosce il credito in più.
PROBLEMA: Il problema, però, è quello di capire se il controllo che attiene agli oneri deducibili e alle detrazioni è un controllo formale o sostanziale,in quanto questo controllo incide sulla determinazione dell'imposta quindi il controllo che attiene agli oneri deducibili e alle detrazioni è un controllo sostanziale.
Quando l'Amministrazione finanziaria scopre, ad esempio, che un contribuente aveva 2 figli a carico e invece ha utilizzato la detrazione per tre figli a carico emette un atto, l'iscrizione a ruolo, che è un mezzo di riscossione (non di accertamento) col quale chiede immediatamente la moneta, la somma dovuta senza emettere alcun avviso.
Poniamo il caso che all'interno della cartella di pagamento, non ci sia una causale (motivazione), cioè non venga spiegato il motivo per cui il contribuente deve fare esborso di moneta. Il contribuente deve allora recarsi presso l'Agenzia delle entrate dove verrà scoprire che questa riscossione scaturisce questa iscrizione a ruolo. Riguardo all’iscrizione a ruolo si è parlato di un problema di legittimità proprio perché la motivazione è sempre omessa.
La giustificazione della mancanza di motivazione dell'iscrizione a ruolo è data dal fatto che l’iscrizione a ruolo non riguarda la fase dell’accertamento perché è un mezzo di riscossione.
Infatti, normalmente, c’è l’avviso di accertamento e poi il ruolo, in questo caso c’è direttamente l’iscrizione a ruolo; la giustificazione di ciò risiede nel fatto che l’amministrazione finanziaria non sta accertando alcun reddito ma sta rilevando la presenza di un errore formale (non di un errore riguardante la quantificazione del reddito).
In realtà questo controllo (cioè quello inerente alle detrazioni d’imposta e agli oneri deducibili) incide sulla determinazione dell'imposta quindi il controllo che attiene agli oneri deducibili e alle detrazioni è un controllo sostanziale, di conseguenza l'iscrizione a ruolo non è un mezzo di riscossione, ma di accertamento e in quanto tale deve essere motivato (all' interno della cartella di pagamento), pena la nullità dell'atto.
Proprio perché non è un controllo solo formale, alcuni ritengono illegittimo l'atto dell'iscrizione a ruolo senza motivazione, in quanto non solo atto di riscossione, ma anche di accertamento.In particolare si ritiene che quando viene notificato un ruolo senza motivazione si viola l'articolo 24 cost. (Diritto di difesa).
2 - Finito il controllo formale, un altro ufficio delle Agenzie delle Entrate procede al controllo sostanziale della dichiarazione dei redditi, controllo che però non riguarda tutte le dichiarazioni (né potrebbe essere altrimenti considerando l'alto numero di dichiarazioni).
Ogni dichiarazione sottoposta a questo tipo di controllo viene smontata (nel senso che l’amministrazione finanziaria entra nel metodi ciò che è dichiarato ), cioè l’amministrazione finanziaria cerca di ricostruire la base imponibile con riferimento a quella categoria dei redditi; così, ad esempio, se si tratta dei redditi che possono essere ricostruiti mediante le scritture contabili, l'Amministrazione Finanziaria richiede questi stessi atti.
Questo controllo viene operato su una media del 2 % di dichiarazioni, sulla base di un regolamento d'esecuzione, nel quale vengono indicate le c.d. Categorie a rischio per quell'anno.
Nel caso in cui la rideterminazione del reddito porti a un risultato minore (ipotesi assolutamente teorica) l'amministrazione finanziaria non deve fare nulla; nel caso, invece, più frequente in cui la rideterminazione del reddito porti a un risultato maggiore, l'amministrazione Finanziaria deve redigere prima e notificare poi al contribuente un avviso di accertamento, nel quale gli contesta l'evasione.
ATTI DEL PROCEDIMENTO DI ACCERTAMENTO IN MATERIA DI IMPOSTE SUI REDDITI, DI IVA E DI IMPOSTA DI REGISTRO
DISTIZIONE TRA IMPOSTA PRINCIPALE-SUPPLETIVA E COMPLEMENTARE NEL SETTORE DELLE IMPOSTE INDIRETTESUGLI AFFARI
Nel settore delle imposte indirette sugli affari l'imposta più importante è l'imposta di registro.
All'interno di quest'imposta e solo per quest'imposta si opera ha distinzione tra:
LA PARALISI DEL POTERE DI ACCERTAMENTO IN MATERIA DI IMPOSTE INDIRETTE SUGLI AFFARI RISCOSSE CON IL SISTEMA DI REGISTRO
Premessa: Nell'ambito del processo tributario circa 40% del contenzioso in corso riguardava controversie che attenevano al quantum , ossia alla quantificazione del valore, dell’ammontare della base imponibile non invece all'an, cioè alla sussistenza o meno dell'obbligazione tributaria.
Di questo 40%, almeno il 35% riguardava le imposta di registro e le imposte ad esse connesse (imposte catastali e ipotecarie.).
Per evitare questa fase contenziosa (relativa all'imposta di registro) bisognava creare un meccanismo che avvantaggiasse entrambe le parti (contribuente e l'Amministrazione finanziaria).
Il legislatore allora per cercare di ridurre le controversie in tema di imposte di registro, non copiando da alcuna legislazione previde questo strumento, vantaggioso sia per l’amministrazione finanziaria sia per il contribuente, la legge rivolgendosi al contribuente dice: "se tu contribuente vendi un immobile, dichiari nell'atto di compravendita un valore pari o superiore al valore tabellare io legge paralizzo l'attività di accertamento dell'Amministrazione finanziaria".
Oggi con questo strumento le controversie in tema di imposte di registro sono solo l'1% delle contenzioso tributario.
Il valore tabellare si determina in modo diverso a seconda dei diversi tipi di immobili.
Gli immobili possono essere di tre tipi:
1. fabbricati
2. terreni agricoli;
3. aree edificabili.
1 - Il valore tabellare nel caso dei fabbricati è dato dalla rendita catastale moltiplicato un coefficiente (che oggi è 100). La rendita catastale si trova nel certificato catastale.
Poniamo che la rendita catastale sia nel 1000 a questo tutto si moltiplica 1000 x 100 = 100.000 che costituisce il valore minimo al di sopra del quale si paralizza il potere di accertamento dell'amministrazione finanziaria.
2 – Nel caso dei terreni agricoli il valore tabellare è dato dal reddito dominicale moltiplicato un certo coefficiente che oggi è 80. Anche il reddito dominicale (così chiamato perché deriva dal latino dominus, in quanto è il reddito che è sempre attribuito dal fondo) si trova nel certificato catastale. Nel certificato catastale è indicato anche un altro reddito quello agrario il quale comunque non è sempre imputato al proprietario del terreno.
Così se il reddito dominicale 1000 moltiplichiamo 1000 x 80 = 80.000 che è il valore tabellare terreno.
3 - Nel caso delle aree edificabili il Legislatore non ha previsto la determinazione del valore tabellare perché il valore dell'area edificabile dipende soprattutto da due fattori: l'ubicazione e la densità.
Di conseguenza in questo caso non esiste la paralisi del potere di accertamento.
RIEPILOGO: Lo scopo per il quale è nato il metodo del valore tabellare era quello di evitare le controversie sul quantum; il legislatore ha previsto il sistema tabellare, estremamente semplice in base al quale si stabilisce il valore tabellare attraverso una moltiplicazione (coefficiente reddito X dominicale o rendita catastale) così facendo si immobilizza l’accertamento a parte dell’amministrazione finanziaria.
Questo sistema tabellare ha introdotto dei vantaggi sia per l’amministrazione finanziaria sia per il contribuente.
I vantaggi per l'Amministrazione Finanziaria sono essenzialmente due:
1. Il crollo di tutti questi processi pendenti, che tra l'altro hanno un costo enorme;
2. il secondo vantaggio è quello di incassare un'imposta commisurata a un valore che, sebbene quasi sempre inferiore al valore reale, è abbastanza vicino alla realtà.
I vantaggi per il contribuente sono due:
1. Il fatto che il valore tabellare è nella quasi totalità delle ipotesi inferiore al valore reale e, quindi, ha un risparmio;
2. Il fatto di sapere che quel tipo di atto non potrà essere sottoposto ad alcun accertamento per un maggiore valore.
La regola generale è che c’è una paralisi del potere di accertamento da parte dell’amministrazione finanziaria per un valore pari o superiore al valore tabellare. Un'eccezione alla paralisi del potere di accertamento è quella di dimostrare, da parte dell'Amministrazione finanziaria, che il prezzo pagato è maggiore del valore dichiarato.
Supponiamo, ad esempio, che è tizio vende un immobile a Caio dichiarando che l'immobile vale 100, mentre invece Caio ha pagato 150, pagando (stupidamente) 50 con assegni. Se l'Amministrazione finanziaria scopre questa evasione emette un avviso di accertamento.
DOMANDA: Come fa l’amministrazione finanziaria a calcolare il valore al di fuori del metodo tabellare? Per esempio nel caso delle aree fabbricabili?
Se il contribuente non dichiara il valore tabellare, è possibile applicare tre metodi con i quali si determina il valore di un immobile:
1. Metodo comparativo: si fa cioè riferimento al valore di immobili con caratteristiche simili venduti nel triennio precedente;
2. Notizie fornite all'Amministrazione Finanziaria dai Comuni. Il comune è il soggetto più informato circa le condizioni degli immobili siti nel propri territorio. Tuttavia questo metodo entrato in vigore nel 1973 non risulta ad oggi alcun collegamento tra l'Amministrazione e finanziaria e i Comuni, ne senso che questo metodo di fatto non ha ricevuto applicazione;
3. Capitalizzazione del reddito al saggio di interesse applicato dal mercato immobiliare: se io ho il reddito di un immobile posso ricavare il valore attraverso la capitalizzazione del reddito, per capitalizzare un reddito (cioè per sapere quanto questo reddito rende) devo conoscere:
ü il reddito;
ü il saggio di interesse che viene applicato dal mercato mobiliare.
Il saggio di interesse applicato dal mercato mobiliare è la percentuale di rendimento del valore di un immobile. Così, ad esempio, se l'immobile vale 1000 euro e il proprietario lo affitta per 5000 euro il rendimento del 5%.
Se il reddito è 1000 il saggio di interesse è di 5% per trovare il valore dobbiamo moltiplicare 1000 per 100 e dividiamo per 5: (1000 x 100) /5 = 20.000.
L'ATTO DI ACCERTAMENTO: Natura, effetti giuridici, termini e motivazione
Atto (o avviso) di accertamento: L’atto di accertamento è un atto posto in essere solo dall’amministrazione finanziaria che fa parte della fase di accertamento.
1) NATURA dell’atto di accertamento: Serve a quantificare la pretesa dell'Amministrazione Finanziaria. Infatti, nell'atto di accertamento sono indicati:
L'atto di accertamento deve essere notificato al contribuente, notifica che può avvenire o attraverso l'ufficiale giudiziario o attraverso i messi notificatori comunali;
2) EFFETTI dell’atto di accertamento: Con la notifica dell’atto di accertamento si ottengono due effetti:
Il primo effetto è quello di rendere debitore il soggetto che si vede notificato un avviso di accertamento; il secondo effetto è quello di assegnare al contribuente un termine (perentorio) per ricorrere davanti al Giudice Tributario e, quindi, per impugnare l'atto di accertamento;
3)TERMINI dell’atto di accertamento: L'atto di accertamento può essere notificato solo per determinati periodi d'imposta precedenti a quello attuale.Il termine per procedere all’emissione dell’avviso di accertamento (o per procedere ad accertamento) è previsto entro quattro anni successivi a quello della presentazione della dichiarazione o dei redditi o Iva (così ad esempio se per l'anno 2001 presento la dichiarazione nel luglio del 2002 la possibilità di notificare l'avviso di accertamento si prescrive nel luglio del 2006) oppure entro il quinto anno successivo rispetto a quello in cui doveva essere o avrebbe dovuto essere presentata la dichiarazione e, invece, è stata omessa.
Pertanto ci sono due termini:
4) MOTIVAZIONE dell’atto di accertamento: In virtù di un principio generale tipico del diritto amministrativo, sappiamo che gli atti della pubblica amministrazione ma nel nostro caso dell’amministrazione finanziaria, devono essere motivati. La motivazione serve a consentire al destinatario dell’atto, in questo caso al contribuente, di venire a conoscenza dell’iter logico giuridico seguito dall’amministrazione finanziaria e di consentirgli di esercitare il diritto di difesa garantito dall’art. 24 della cost. Solitamente, o meglio quasi sempre, l’amministrazione finanziaria usa motivare gli atti "per relationem". Per relationem significa che un atto ha come motivazione un altro atto, ciò è possibile purché quest'atto sia a conoscenza del soggetto che si vede notificato l'avviso di accertamento. Un atto dell’amministrazione finanziaria non motivato è nullo.
L'AVVISO DI RETTIFICA E L'AVVISO DI ACCERTAMENTO IN MATERIA DI IVA
All'interno dell'Iva si ha una distinzione tra avviso di rettifica ed avviso di accertamento.
L'avviso di rettifica (rettifica vuol dire che si sta correggendo qualcosa) infatti riguarda le ipotesi in cui il contribuente presentata la dichiarazione IVA se l'ufficio competente non la condivide, perché ad esempio ritiene che il contribuente abbia dichiarato il falso, emette un avviso di rettifica.
L'avviso di accertamento si ha quando il contribuente non ha presentato la dichiarazione Iva e, quindi, l'Amministrazione Finanziaria emette un avviso di accertamento.
L'ACCERTAMENTO IN RETTIFICA E L'ACCERTAMENTO D'UFFICIO IN MATERIA DI IMPOSTE SUI REDDITI
Nel caso in cui un soggetto presenti la dichiarazione dei redditi l’amministrazione può rettificare; nel caso in cui il soggetto non presenti la dichiarazione dei redditi l’amministrazione finanziaria procederà con l’accertamento d’ufficio.
In altre parole, accertamento d'ufficio significa che l'amministrazione finanziaria procede all'accertamento di sua spontanea volontà e non sulla base della rettifica di una dichiarazione che non c'è.
TIIPOLOGIA DEI METODI DI ACCERTAMENTO CON PARTICOLARE RIGUARDO ALL'IVA E ALLE IMPOSTE SUI REDDITI
Accertamento analitico: l'accertamento analitico rappresenta la strada principale che l'Amministrazione Finanziaria deve seguire, nel senso che se non si verificano dei presupposti (previsti dalla legge) che legittimano l'amministrazione finanziaria a ricorrere ad altri tipi di accertamento, essa deve ricorrere all'accertamento analitico.
N.B.: l'accertamento è un unico per ogni singolo periodo d'imposta (fatta eccezione di un caso). Accertamento analitico vuol dire accertamento basato sull'analisi dei singoli redditi dei contribuente: L’amministrazione Finanziaria analizza, quindi, categoria per categoria i redditi dichiarati dal contribuente o che avrebbe dovuto dichiarare, sulla base delle regole previste per le singole categorie di redditi. Poi l'Amministrazione Finanziaria sommerà tra di loro i redditi determinati singolarmente, secondo le modalità previste per le singole categorie di reddito, e così si determina il reddito complessivo (lordo) accertato. Se c'è differenza tra reddito dichiarato e il reddito accertato, l'Amministrazione Finanziaria emette un avviso di accertamento (avviso che, invece, non può emettere nel caso in cui il reddito dichiarato sia inferiore a quello accertato).
Accertamento sintetico: Questa forma di accertamento si basa sulla disponibilità di taluni beni che vengono considerati indicatori di ricchezza (indici di capacità contributiva). E' un meccanismo di accertamento la cui rapidità di esecuzione è enorme. L’amministrazione finanziaria determina il reddito sulla base di ciò che si spende per mantenere certi beni (e non acquistare perché ciò attiene al patrimonio e non al proprietario).C’è una tabella per la determinazione del reddito, ad ogni bene corrisponde un reddito. Sono i regolamenti di esecuzione che predispongono la tabella in base a ciò che si dispone si presume si abbia un determinato reddito.
Pertanto, l’accertamento sintetico funziona così: si determina il reddito di un soggetto sulla base di ciò che quest'oggetto spende per mantenere taluni beni (ad esempio: un'autovettura, una moto, una collaboratrice domestica, ecc.), non per acquistarli, perché l'acquisto attiene all'aspetto patrimoniale e non reddituale. Per cui se un soggetto possiede un'autovettura di 1500 di cilindrata si presume che questo soggetto abbia un reddito di 20 milioni l'anno, se ha una collaboratrice familiare che lavora per 8 ore si presume che abbia un altro reddito di 8 milioni e così via.
La categoria di questi beni è stata sempre allargata.
Sulla base della legge, prevista con regolamento d'esecuzione, sono state predisposte delle tabelle in cui ad ogni bene viene attribuito un determinato coefficiente: più il bene è di lusso più il coefficiente è alto.
Si presume che la disponibilità sia del proprietario: deve essere colui che ha la disponibilità a dimostrare il contrario. I beni di comproprietà partecipano alla determinazione del reddito del soggetto pro-quota.
L'accertamento è un unico per anno d'imposta, per cui il Fisco o sceglie l'accertamento sintetico o quello analitico.
“L'Amministrazione finanziaria può scegliere quale accertamento fare?”
La via maestra è l'accertamento analitico ma la legge dà la possibilità all'Amministrazione Finanziaria di ricorrere all'accertamento sintetico solo se si verificano due condizioni: una quantitativa e l'altra temporale.
Per cui l'amministrazione può lasciare l'accertamento analitico, che ha già in corso, solo se si verificano contemporaneamente le due condizioni per accertare sinteticamente.
PRIMA CONDIZIONE QUANTITATIVA è Deve sussistere uno scostamento tra reddito dichiarato dal soggetto (sottoposto ad accertamento) e il reddito accertato sinteticamente di oltre il 25%.
SECONDA CONDIZIONE TEMPORALE è Questo scostamento, di oltre un quarto cioè di oltre il 25% tra reddito dichiarato e reddito accertato sinteticamente, deve essere sussistente per 2 anni (o esercizi) consecutivi.
ESEMPIO: Un soggetto ha dichiarato un reddito di 100, e l'Amministrazione ha accertato sinteticamente un reddito di 120 in questo caso non si può procedere all'accertamento sintetico perché lo scostamento tra il redito dichiarato e il reddito accertato non è oltre il 25%.
ESEMPIO: Il fisco ha iniziato l'accertamento analitico e poi si accorge con l'accertamento sintetico (che è un procedimento molto veloce fatto con il computer) che c'è uno scostamento tre reddito dichiarato e reddito accertato sinteticamente ; se questo scostamento è di oltre il 25% l'Amministrazione Finanziaria potrà abbandonare l'accertamento analitico per fare l'accertamento sintetico.
MEZZI DI TUTELA CONTRO L'ACCERAMENTO SINTETICO
1) Dimostrare all'amministrazione finanziaria che non si ha la disponibilità di quel bene. La prova testimoniale e il giuramento non trovano spazio nel diritto tributario: l'unica prova che può valere è quella documentale. Per dimostrare che non si ha la disponibilità di un bene si può, ad esempio, dare in comodato d'uso ad un amico (contratto che, però, deve essere registrato) e che sono beni strumentali.
2) Dimostrare all'amministrazione finanziaria che si possiedono o redditi esenti o redditi soggetti a ritenuta a titolo di imposta; il contribuente in particolare deve dimostrare che l'ammontare dei redditi esenti o soggetti a ritentata a titolo di imposta copre il reddito accertato sinteticamente.
Tutti questi beni se sono beni strumentali non possono essere utilizzati per il calcolo dell'accertamento sintetico. Beni strumentali sono beni la cui utilizzazione avviene per più esercizi (per esempio un tavolino, un'autovettura, un computer) che ,appunto, non possono essere utilizzati per il calcolo dell'accertamento sintetico perché comportano delle spese e non un godimento.
I beni dai quali si ricavano i coefficienti se sono beni strumentali non possono essere utilizzati per l’accertamento sintetico.Un bene strumentale è un bene la cui utilizzazione avviene per più esercizi o per più anni.
ACCERTAMENTO DEDUTTIVO E INDUTTIVO
Accertamento deduttivo: significa che l'Amministrazione finanziaria può dedurre il reddito accertato dal contribuente, non sulla base solo di fatti, ma sulla base di presunzioni legali.
Queste presunzioni legali devono avere tre requisiti:
N.B.: l'accertamento deduttivo non è in antitesi con l'accertamento analitico, per cui è possibile porre in essere un accertamento analitico deduttivo, se ne ricorrono i presupposti.
Accertamento induttivo: riguarda esclusivamente i lavoratori autonomi (professionisti e artisti) e gli imprenditori sotto qualsiasi forma (società di persone, di capitali, ente commerciale, non commerciale, ecc.). Seconda condizione che consente all'Amministrazione finanziaria di ricorrere all'accertamento induttivo è che uno degli appartenenti alle categorie di cui sopra (lavoratori autonomi e imprenditori) abbia violato una determinata norma. Per questo motivo l'accertamento induttivo viene considerato una sorta di "sanzione impropria".
La violazione riguarda le seguenti condizioni:
1 - se il contribuente doveva presentare la dichiarazione dei redditi e non lo ha fatto;
2 - se il contribuente doveva redigere e allegare il bilancio e non lo ha fatto
3 - mancata tenuta delle scritture contabili;
4 - quando il contribuente, pur avendo le scritture contabili, le ha tenute talmente male (ad esempio contengono cancellature, abrasioni) da renderle inattendibili nel loro complesso.
Si tratta di violazioni gravi che hanno sicuramente l'obiettivo: quello di evadere.
Allora il Legislatore giustamente, verificandosi queste condizioni, attribuisce all'Amministrazione Finanziaria un arma dalla quale è quasi praticamente impossibile difendersi. Questa arma (cioè l'accertamento induttivo) consente, infatti, all'Amministrazione finanziaria di ricorrere a qualsiasi mezzo di prova, addirittura anche alle presunzioni semplici, anche prive dei requisiti della gravità, della precisione e della concordanza (per esempio: si dice che un soggetto ha un reddito di 100 miliardi , spetterà a questo soggetto dimostrare il contrario).
Da questa forma di accertamento ci si può difendere solo dimostrando che manca il presupposto e, quindi, l'insussistenza di questa violazione (si parla in tal caso, di "prova diabolica", in quanto si deve dimostrare il contrario).
N.B.: In questo caso si assiste ad un'inversione dell'onere della prova. Normalmente, invece, l'Amministrazione Finanziaria deve sempre motivare.
ACCERTAMENTO GENERALE - PARZIALE E INTEGRATIVO
Accertamento generale: La regola è che l'accertamento è sempre generale, cioè deve riguardare tutti i redditi di un soggetto. Ne consegue che, in ossequio al principio della generalità, se l'Amministrazione Finanziaria accerta che il reddito, ad esempio da lavoro dipendente, dichiarato dal soggetto non è veritiero, essa deve rivedere tutti gli altri redditi prodotti allo stesso soggetto;
Accertamento parziale: Costituisce un'eccezione alla regola generale della generalità. In tal caso, infatti, l'Amministrazione Finanziaria può procedere solo all'accertamento di una categoria di reddito. L'esempio tipico è quello con riferimento ai redditi fondiari, in particolare i fabbricati. All'interno dell'Agenzia dell'Entrate c'è un ufficio che si occupa di fare l'accertamento parziale (cioè un accertamento solo per quel redito non dichiarato o dichiarato meno). Altra differenza tra accertamento generale e parziale è che mentre il primo è un unico per ogni singolo periodo d'imposta, il secondo invece non è un unico, per cui l'Amministrazione finanziaria può emettere tutti gli accertamenti parziali che vuole, senza limiti (ovviamente nello stesso periodo d'imposta);
Accertamento integrativo: Costituisce un'eccezione alla regola dell'unicità dell'accertamento generale, in quanto consiste nella possibilità per l'Amministrazione Finanziaria di integrare un accertamento già emesso, se questa viene a conoscenza di fatti nuovi, non conosciuti né conoscibili al momento dell'emissione del primo accertamento.In tal caso l'onere della prova incombe sull'Amministrazione Finanziaria che deve dimostrare non solo che quei fatti erano nuovi, cioè non conosciuti, ma neanche conoscibili, cioè non aveva la possibilità di poterli conoscere, pena l'illegittimità dell'accertamento integrativo .
N.B.: In realtà l'accertamento integrativo non è un'eccezione all'unicità dell'accertamento generale, perché l'Amministrazione Finanziaria nel momento in cui vuole notificare l'accertamento integrativo deve ritirare l'accertamento precedente, dichiarando che un il nuovo accertamento integra e sostituisce il precedente accertamento, che perde così efficacia.
Dall’accertamento integrativo ci si può difendere o nel merito cioè contestando la motivazione per il singolo rilievo o dimostrando che manca il presupposto per l'accertamento integrativo: sei contribuente riesce dimostrare ciò il Giudice emetterà un provvedimento di annullamento dell'avviso di accertamento integrativo, in questo caso perde di efficacia non sono il primo accertamento (ritirato dall'Amministrazione Finanziaria), ma anche il secondo.
GLI STRUMENTI DI ACCERTAMENTO FONDATI SU PRESUNZIONI
PREMESSA. Il legislatore nel corso degli anni si è reso conto che questi strumenti di accertamento dell'Amministrazione Finanziaria (tranne l'accertamento sintetico) erano di difficile realizzazione, in quanto prevedevano una serie di poteri istruttori precedenti. Tendenza del Legislatore degli ultimi anni è stata quella di fornire all'Amministrazione Finanziaria degli strumenti più rapidi per la determinazione del reddito.
Si è, allora, assistito ad un processo di forfetizzazione del reddito.
Si è , in particolare, creata una tipologia di accertamento dedicata sola agli imprenditori, artisti e professionisti. Tali strumenti, basati su presunzione sono i seguenti:
-Coefficienti relativi ai ricavi e al reddito: il legislatore statuisce: "se tu hai avuto dei ricavi di X euro io presumo che il tuo reddito sarà di Y euro", presumendo quello che viene chiamato "coefficiente di redditività", sulla base di ciò che incassi. i fa riferimento ai ricavi al lordo delle spese.
-Contributo diretto lavorativo (o un minimum tax): questo strumento si applica solo ad artisti, professionisti e ai lavoratori autonomi che abbiano dipendenti.
Fu copiato dalla legislazione inglese e parte da un presupposto: se tu sei un imprenditore che ha alle sue dipendenze tre impiegati, non si può dire che guadagni meno di questi soggetti. In Italia questo strumento non ha avuto vita lunga perché è stato utilizzato anche per artisti, professionisti e imprenditori senza dipendenti.
Ciò comportava che, ad esempio, un piccolo imprenditore doveva dichiarare più di quanto guadagnava. Succedeva allora che questo soggetto per rimediare si cancellava dall'attività continuando a lavorare in nero; in tal modo l'Amministrazione finanziaria non aveva più la possibilità di incassare moneta. Lo Stato decise allora di eliminare questo strumento, a fronte (anche) dell' enorme richiesta di cancellazione dalle attività.
- Parametri: funzionano secondo questo principio: si costruisce il reddito degli imprenditori e dei lavoratori autonomi tenendo conto delle spese che ci vogliono per la sua produzione (e quindi,chi più spende più guadagna).
Così, ad esempio, se Tizio fa l'avvocato naturalmente appronta delle spese (computer, collaboratori, ecc.).Questo meccanismo è basato su questo principio: ricostruire il reddito di un soggetto da un dato certo cioè le spese infatti le spese (rispetto ai compensi) si tendono ad ampliarle. Per cui per ricostruire il reddito di forfetariamente di un soggetto che ha delle spese per 70 il reddito di questo soggetto doveva essere necessariamente superiore a 70. e ciò non sempre è vero.
- Gli studi di settore: non sono altro che un'evoluzione dei parametri. Il Legislatore si accorse, infatti, che i parametri creavano dei problemi pertanto pian piano gli studi di settore stanno sostituendo i parametri ma tuttavia convivono.
Gli studi di settore hanno la particolarità di venire conoscenza della realtà delle singole categorie attraverso l'invio di questionari (che ancora oggi vengono inviati). Col tempo ci si accorse però, che gli studi di settore basati su questionari furono un disastro.
Infatti il contribuente si rese conto che l'Amministrazione Finanziaria inviava questi questionari perché voleva venire conoscenza di informazioni che ignorava, per cui questo era portato a dichiarare il falso.
N.B.: L'unico mezzo accordato al contribuente per difendersi dagli studi di settore e dai parametri è quello di dimostrare che versa in una situazione particolare (es. un incidente che ha tenuto fermo il soggetto per un certo numero di mesi), per cui gli studi di settore e i parametri devono essere riformulati.
Anche qui, peraltro, si assiste all'inversione dell'onere della prova (c.d. "Prova diabolica").
MECCANISMI DI FORFETTIZZAZIONE ED EFFETTIVITA' DELLA CAPACITA' CONTRIBUTIVA
Il rapporto che c'è tra i meccanismi di forfetizzazione e l'effettività della capacità contributiva è pessimo: da un lato vi sono, infatti, strumenti poco affidabili e, quindi, lontano dalla verità e dall'altro c'è l'effettività della capacità contributiva, carattere che implica che la capacità contributiva sia reale.
C'è anche una violazione all'articolo 3 della cost.; infatti, dal momento che questi strumenti sono previsti solo per lavoratori autonomi e imprenditori si verifica una disparità tra le varie categorie di lavoratori.
La Corte Costituzionale investita del problema della illegittimità costituzionale degli strumenti di forfetizzazione ha dichiarato che il legislatore è libero di differenziare le categorie e, quindi, di utilizzare tutti gli strumenti che vuole, anche se questi rinunciano alla verità e quindi sono poco affidabili.
L'AVVISO DI LIQUIDAZIONE IN MATERIA DI IMPOSTE INDIRETTE SUGLI AFFARI RISCOSSE CON IL SISTEMA DI REGISTRO
Con questo atto si riscuote l'imposta suppletiva cioè l'imposta che scaturisce da un errore commesso dall'Amministrazione Finanziaria nel liquidare una certa imposta.
L'AVVISO DI ACCERTAMENTO E LIQUIDAZIONE IN MATERIA DI IMPOSTE INDIRETTE SUGLI AFFARI RISCOSSE CON IL SISTEMA DI REGISTRO
Con quest'atto si riscuote l'imposta complementare.
L'ACCERTAMENTO CON ADESIONE
Questo istituto nasce dall'esigenza di diminuire (o deflazionare) i processi tributari; normalmente, infatti, i contribuenti, quando ricevono un avviso di accertamento, fanno ricorso.
È stato calcolato che circa il 90% degli avvisi di accertamento va in contenzioso, per cui la possibilità per il Fisico di riscuotere moneta era sempre più ridotta.
Con il vecchio processo tributario, da quando veniva emanato l'avviso di accertamento a quando veniva emessa la sentenza definitiva, passavano mediamente 20 anni, oggi col nuovo processo si è scesi mediamente a 10 - 12 anni. Tuttavia nonostante i tempi del processo si siano notevolmente diminuiti il problema di fondo rimane: perché anche quando il Fisco vincesse la causa e pertanto avrebbe diritto all’imposta più gli interessi e le sanzioni, in virtù del fenomeno inflativo il potere di acquisto del denaro, trascorsi i 10 anni in media del processo, si è nel frattempo dimezzato.
Bisognava allora creare uno strumento che venisse incontro alle esigenze di entrambe le parti (contribuente e fisco).
Allora il Legislatore pensò di creare un meccanismo che venisse prima della fase del contenzioso, cioè nella fase amministrativa. In questa fase il contribuente si mette d’accordo con l’amministrazione finanziaria. Si potrebbe consideralo come una sorta di transazione; transazione significa mettersi d’accordo attraverso delle reciproche rinunce).In questo caso però una parte è il contribuente mentre l’altra è l’amministrazione finanziaria cioè un ente pubblico che richiede un imposta e alla quale, ovviamente non può rinunciare, perciò non c’è una transazione. Il problema derivava dal fatto che il tributo è irrinunciabile (in quanto è della collettività).
Perché questo meccanismo funzioni deve presentare, pertanto, dei vantaggi per entrambe (altrimenti si ricorrerà al processo tributario).
Il legislatore creò allora l'avviso di accertamento con adesione (che fa parte della fase amministrativa) all'interno del quale la norma prevede che le parti si possano incontrare, nel senso ché l'Amministrazione Finanziaria comunica al contribuente che intende fargli un accertamento, ma nello stesso dice che vuole evitare di arrivare al contenzioso.
Il contribuente, da parte sua, deve dimostrare che l'avviso di accertamento che l'Amministrazione Finanziaria vuole notificargli è illegittimo o infondato in alcuni rilievi. Cioè il contribuente deve dimostrare che se questi rilievi venissero sollevati dinanzi al giudice, il contribuente vincerebbe. Se riesce a dimostrare ciò, l'Amministrazione Finanziaria abbandona questi rilievi, cioè abbandona quei rilievi, quei punti dell’avviso di accertamento che sono indifendibili ma non rinuncia di certo all’imposta.
Questa operazione è vantaggiosa sia per l'Amministrazione Finanziaria sia per il contribuente.
Infatti l’amministrazione finanziaria non rinuncia all’imposta ma rinuncia solo a quei punti per i quali sarebbe stata,comunque, soccombente dianzi al giudice.
Vantaggi per l'amministrazione finanziaria:
- evitare la fase del contenzioso (che ha costi enormi per l'amministrazione finanziaria);
- incassare subito, (di solito entro 20 giorni dalla chiusura dell'accertamento con adesione).
Vantaggi per il contribuente:
- L’amministrazione rinuncia ad una parte dei rilievi (in quanto illegittimi o infondati) contestati dal contribuente ma non rinuncia alla pretesa fiscale,
- forte riduzione della base imponibile, in quanto l'Amministrazione Finanziaria rinunciando ad una parte dei rilievi contestati dal contribuente, ma non rinunciando alla pretesa fiscale, la ridimensiona, perché ciò che aveva chiesto la prima volta era sbagliato;
- riduzione delle sanzioni ad un quarto (quindi, il 75% delle sanzioni viene abbandonato);le sanzioni sono il doppio dell’imposta.
- inoltre, la presentazione della proposta di accertamento da parte del contribuente produce un altro vantaggio: quello della sospensione dei termini per impugnare (la sospensione opera per 90 giorni decorrenti dalla notifica dell'avviso di accertamento).
Spesso l'accertamento con adesione viene utilizzato per allungare i termini e quindi per dare tempo alle parti per incontrarsi.
Unica condizione perché ci sia l’accertamento con adesione è che il contribuente non presenti il ricorso, perché una volta che il contribuente percorre la strada per del ricorso non è più possibile ricorrere all’accertamento con adesione.
L'accertamento con adesione è, infatti, uno strumento di riduzione del contenzioso.
Sia l'Amministrazione finanziaria sia il contribuente possono fare proposta di accertamento con adesione (nel gioco delle parti il primo che si muove è in una posizione di svantaggio), ma in tempi diversi:
- Se al contribuente non è stato notificato nulla (cioè non gli è stato notificato l’avviso di accertamento), la proposta può essere fatta solo dall'Amministrazione Finanziaria. quindi l'amministrazione finanziaria può fare proposta di accertamento con adesione solo fino a quando non ha notificato alcunché. Spesso prima di notificare un avviso di accertamento, l'Amministrazione Finanziaria redige un accertamento con adesione per cercare di giungere ad un accordo al contribuente;
- se invece, è stato notificato un avviso di accertamento, la proposta può essere fatta solo dal contribuente entro 60 giorni dalla notifica dell'avviso di accertamento e sempre che non abbia presentato ricorso, perché l'Amministrazione Finanziaria la sua proposta l'ha già fatta con l'avviso di accertamento.
Se le parti arrivano ad un accordo si redige un atto chiamato “accertamento con adesione” col quale viene determinata la nuova base imponibile e le sanzioni. A questo punto le parti sottoscrivono l'atto.
Per il diritto privato con la firma l'atto dovrebbe essere efficace, invece, il Fisco, per espressa previsione legislativa, lega l'efficacia dell'accertamento con adesione, non alla firma, ma al pagamento (entro i successivi 20 giorni dalla redazione dell'atto di adesione).
Normalmente ciò che viene deciso con accertamento con adesione si chiude definitivamente; c'è però un'eccezione alla chiusura di questo rapporto.
Può succedere che l’amministrazione finanziaria possa procedere ad un nuovo accertamento con relativo avviso di accertamento per rideterminare di nuovo la base imponibile ciò se si verificano due condizioni:
- se il maggiore reddito del contribuente accertato dall’amministrazione finanziaria supera del 50% quello determinato con accertamento con adesione;
- se questo maggiore reddito accertato sia superiore a Lit 150 milioni (circa € 76.000). L'Amministrazione Finanziaria può procedere ad un nuovo avviso di accertamento; ovviamente non si terrà conto più del reddito dichiarato, ma del reddito accertato con accertamento con adesione (che sarà naturalmente di più).
Non vieta a quel punto che il contribuente faccia proposta di accertamento con adesione, dimostrando che i nuovi rilievi sono in parte infondati.
ESERCIZIO DEL POTERE DI AUTOTUTELA DA PARTE DELL'AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA
L'autotutela è un istituto di diritto amministrativo che consiste nel potere concesso all'Amministrazione Finanziaria di ritirare (e quindi, annullare) un proprio atto, perché ritenuto infondato o illegittimo.
L'Amministrazione Finanziaria può procedere all'annullamento dell'atto sia d'ufficio, (cioè di sua spontanea volontà semplicemente comunicando questa sua intenzione al contribuente, che non necessita di motivazioni); sia su richiesta del contribuente.
L'autotutela è, quindi, un altro strumento deflattivo del processo.
N.B.: Se viene notificato un avviso di accertamento e scadono i termini per il ricorso (cioè sessanta giorni decorrenti dalla notifica dell'avviso di accertamento) l'accertamento diventa definitivo.
Ciò significa che il contribuente non ha altra scelta, se non quella di pagare.
Un eccezione a tale regola si verifica,appunto, nel caso dell'autotutela, per cui il Fisco, che si rende conto che la richiesta che ha formulato è infondata, ritirerà la richiesta stessa (rinunciando pertanto ad un credito certo ed esigibile) evitando così di penalizzare il contribuente che comunque ha ragione e che non ha fatto in tempo a ricorrere contro l'atto ritenuto infondato o illegittimo.
PARTE TERZA
Per riscossione si intendono quegli strumenti, previsti dalla legge, attraverso i quali il contribuente può liberarsi dell'obbligazione tributaria.
I mezzi di riscossione delle imposte dirette sono tre:
Ritenuta diretta: è quella che lo Stato applica sui compensi che eroga direttamente ai suoi dipendenti. La ritenuta è diretta perché non c'è un sostituto d'imposta, cioè un datore di lavoro che si sostituisce al lavoratore e anticipa il tributo allo Stato: è lo stesso stato che effettua direttamente il prelievo.
Versamento diretto: è la forma di riscossione più diffusa, nonché la più semplice. Il contribuente che sceglie questo tipo di soluzione deve compilare un modello (il modello F24) e versare l'imposta tramite il canale bancario o postale. La banca (o la Posta) a questo punto gira la moneta nelle casse dello Stato, ma ha diritto a trattenere una provvigione che è fissa nel senso che non dipende dall'ammontare versato.
Iscrizione a ruolo: oltre ad essere una forma patologica di riscossione cui si fa ricorso nei casi in cui il contribuente non ha pagato nei tempi o nei modi dovuti o, pur avendo pagato, ha pagato meno di quanto avrebbe dovuto. Il ruolo è un elenco di contribuenti contenente non solo le generalità (nome e cognome) del contribuente ma anche il codice fiscale, la base imponibile, l'imposta da pagare, l'aliquota applicata ecc.
Le procedure di formazione del ruolo sono due:
Procedimento ordinario: in tal caso il ruolo viene redatto un da un ufficio periferico dell'amministrazione finanziaria (oggi l'agenzia delle entrate). Questo elenco viene poi vistato dal direttore dell'ufficio, operando un controllo di natura formale, controllo cioè diretto a verificare che il ruolo sia stato formato secondo le procedure previste dalla legge per la formazione dello stesso. Non si tratta quindi di un controllo sostanziale, cioè di un controllo diretto ad accertare che il debito d'imposta sia esatto, questo perché:
Il ruolo una volta vistato diventa titolo esecutivo, nel senso che il creditore ha il potere di ricorrere all'esecuzione forzata sui beni del debitore.
Il ruolo viene trasmesso poi dall'ufficio al Consorzio dei concessionari della riscossione; il consorzio è formato da tutti concessionari che operano in Italia (in Sicilia, ad esempio, sono la Montepaschi Se.ri.t. e l'Ausonia S.p.A.).
Il consorzio divide il ruolo ai concessionari competenti per la riscossione.
Il concessionario locale deve trasformare il ruolo da titolo cumulativo a titolo singolo, deve cioè estrarre dal ruolo ogni singolo contribuente e redigere la cosiddetta "cartella di pagamento" che è un ordine nominativo e costituisce un estratto del ruolo, nel senso che è anch'esso un titolo esecutivo (perché viene fuori dal ruolo che è un titolo esecutivo). A questo punto la cartella di pagamento viene notificata al debitore.
Il secondo procedimento di formazione del ruolo consiste in questo: in questo caso l'ufficio non redige il ruolo, ma una minuta cioè una sintesi del ruolo che viene trasmessa al Consorzio dei concessionari della riscossione, affinché questo rediga sulla base della minuta il ruolo completo cioè contenente tutti i suoi elementi ma questa volta il ruolo non è un titolo esecutivo .
Il ruolo (che in tal caso è otre a non essere esecutivo è anche illegittimo) una volta redatto ritorna all'ufficio, perché è necessario il visto del direttore.
A questo punto i due procedimenti si identificano, per cui: il ruolo, una volta vistato e previo controllo formale, viene trasmesso al consorzio, che estraggono dal ruolo ogni singolo contribuente e quindi, redigono la cartella di pagamento.
Pertanto, i due procedimenti si diversificano soltanto nella fase iniziale; il secondo procedimento è comunque vantaggioso per l'ufficio, in quanto ha la possibilità di ridurre il suo lavoro affidando al consorzio la redazione del ruolo.
I due procedimenti sono alternativi, nel senso che è discrezione dell'ufficio optare per l'uno o per l'altro. Tuttavia la legge prevede che si debba ricorrere al secondo procedimento solo in via residuale.
LA FIGURA DEL CONCESSIONARIO DEL SERVIZIO DI RISCOSSIONE
Il concessionario, che di solito è una S.p.A., è un incaricato di un pubblico servizio (incarico ricevuto in base ad una convenzione tra ente pubblico e concessionario) a riscuotere i tributi.
In altri termini è un tramite di cui si serve l'ufficio ai fini della riscossione. Per la sua attività il concessionario riceve una remunerazione rappresentata da un aggio fisso sulle somme iscritte a ruolo e riscosse.
I RUOLI ORDINARI E STRAORDINARI
I ruoli si dividono in ruoli ordinari e ruoli straordinari.
Il ruolo è sempre ordinario, tranne in un caso, cioè nel caso del ruolo straordinario.
Il ruolo straordinario viene utilizzato quando sussiste un fondato pericolo per la riscossione, cioè, ad esempio quando il debitore cui viene notificata una cartella di pagamento, dismette tutti i suoi beni con l'impossibilità per l'ente pubblico di procedere ad esecuzione forzata. Se l'ente pubblico riesce a dimostrare ciò può utilizzare un ruolo straordinario, con il quale è chiesta al debitore l'intera somma, non invece il pagamento frazionato concesso con il ruolo ordinario.
Normalmente, infatti, col il ruolo ordinario il pagamento avviene in modo frazionato, di solito il pagamento avviene in 2 o 4 rate.
Se il contribuente viene iscritto in ruolo straordinario ha la possibilità di impugnare il ruolo dinanzi al giudice dimostrando che non vi è pericolo per la riscossione, e se non vi è pericolo per la riscossione il giudice annulla il ruolo poiché, come si è detto, si può procedere con il ruolo straordinario solo se si dimostra che c’è pericolo per la riscossione.
IL CONTENUTO E LE FUNZIONI DELLA CARTELLA DI PAGAMENTO
Funzione fondamentale della cartella di pagamento (che è un titolo esecutivo in quanto è un estratto dal ruolo) è quella di rendere noto al debitore questa sua caratteristica cioè che è debitore della somma che è indicata nella cartella di pagamento.
Una volta arrivata al debitore la cartella di pagamento, questi ha 60 giorni di tempo per pagare i quali decorrono dalla data di notifica della cartella di pagamento.
LA RISCOSSIONE DELLE IMPOSTE INDIRETTE
I mezzi di riscossione delle imposte indirette sono esattamente gli stessi previsti per la riscossione delle imposte dirette, con l'unica differenza che non esiste la ritenuta diretta che riguarda soltanto le imposte dirette.
L'AVVISO DI INTIMIDAZIONE AD ADEMPIERE
Il debitore che si vede notificata una cartella di pagamento può:
TERMINE DI DECADENZA DEL RUOLO
Per l'iscrizione a ruolo esistono dei termini di decadenza ma normalmente il soggetto attivo (il comune o stato ad esempio) ha per l'iscrizione a ruolo il termine di 2 anni dal momento in cui la somma è liquida ed esigibile cioè per esempio per la dichiarazione dei redditi dal momento della presentazione.
Tuttavia, si deve precisare che il termine per l'iscrizione a ruolo da parte del soggetto attivo non è sempre di 2 anni, questo perché il termine dipende dall'ammontare del debito e da cosa scaturisce questo debito (in altri termini la suo fonte).
Le somme iscritte a ruolo non sono solo quelle relative alle imposte ma riguardano anche gli interessi e le sanzioni (eccettuati i casi di ruolo atipico che si ha nei casi in cui il ritardo nel pagamento da parte del contribuente dipende da una colpa da parte della stessa Amministrazione finanziaria).
ABOLIZIONE DEL PRINCIPIPO DEL RISCOSSO PER NON RISCOSSO
Fino all'ultima grande modifica della riscossione, avvenuta nel 1988, esisteva il principio del “riscosso per il non riscosso”. In base a questo principio l'Ente Pubblico (il soggetto attivo dell'obbligazione tributaria), riscuoteva senza aver riscosso, nel senso che il concessionario della riscossione (allora esattore) prima che gli venisse consegnato il ruolo, doveva pagare quanto scritto in fondo all'ultima pagina del ruolo; quindi le somme non erano riscosse dall'Ente Pubblico (perché la moneta non veniva pagata direttamente dal debitore), ma venivano incassate dal concessionario.
Quando il concessionario pagava, tratteneva un agio, proporzionato al rischio.
Se il concessionario riusciva a dimostrare che il debitore non voleva pagare lo Stato gli restituiva quanto pagato.
Oggi questo principio è stato abolito, perché questa clausola era molto onerosa, e quindi, di fatto, nessuno voleva approntare questi soldi.
DILAZIONE E SOSPENSIONE AMMINISTRATIVA E GIUSIZIALE
Dilazione del pagamento: il contribuente può chiedere all’agenzia dell’entrate la dilazione delle somme che lo stesso deve all’amministrazione finanziaria (Agenzia delle Entrate). Dilazione vuol dire diluizione del pagamento, il contribuente può cioè chiedere all'agenzia dell'entrare la dilazione di somme che deve pagare.
La dilazione viene concessa solo dopo che il contribuente presta idonea garanzia (ad esempio fideiussione bancaria, assicurativa a ecc.).
Il numero delle rate è alto si può arrivare a rateizzare le somme addirittura fino a 60 rate (bimestrali, trimestrali).
Sospensione amministrativa e giudiziale: sia il contribuente che l'amministrazione finanziaria possono ottenere un provvedimento di sospensione amministrativa e giudiziale, ciò significa che il potere di sospensione degli effetti dell'atto può essere concesso sia dall'autorità amministrativa sia dall'autorità giudiziaria.
E’ difficile che l’Agenzia delle entrate conceda la sospensione perché è lo stesso ufficio che emette l’avviso di accertamento e se concedesse la sospensione e come se considerasse quell’atto come infondato, illegittimo. Se il Direttore dell’agenzia dell’entrate concede la sospensione e come se smontasse se stesso.
SOSPENSIONE GIUDIZIALE: Il contribuente ha un’altra possibilità di poter ottenere la sospensione degli effetti dell’atto cioè quella di ottenere la sospensione giudiziale cioè da parte del giudice tributario, cioè dalla Commissione tributaria.
LA RISCOSSIONE ANTICIPATA - FRAZIONATA E PROVVISORIA
Dal legislatore. sono previste tre tipologie di riscossione :
Riscossione anticipata: la riscossione è anticipata rispetto al completarsi o al verificarsi dal presupposto. In tema di IRPEF ad esempio sono dovuti due acconti per il periodo d'imposta in corso che sono pari al 98% dell'imposta relativa all'anno precedente, quale risulta dalla dichiarazione dei redditi. La prima rata è pari al 40% dell'intero acconto (98%) e va corrisposta tra il 1 e il 20 giugno; la seconda rata è pari al 60% dell'intero acconto e va corrisposta tra il 1 e il 30 novembre.
Così ad esempio se un soggetto ha un saldo di 100 € a giugno dovrà versare un primo acconto pari a 39,20 € e a dicembre secondo accanto pari al 58,80 €.
In teoria può succedere che il contribuente produca lo stesso reddito dell'anno precedente.
Nella realtà, però, accade invece:
Che reddito sia inferiore;
Che il reddito sia maggiore.
Se il reddito prodotto nell'anno in corso è più alto di quello prodotto nell'anno precedente, la legge prevede che il contribuente paghi il 98% delle imposte pagate nell’'anno precedente, il resto verrà poi pagato al saldo.
Così ad esempio se il debito d'imposta nel 2001 è pari a 100 € e il debito d'imposta nell'anno 2002 è pari a 400 €, la legge dice che basta pagare un accordo su 100 € se invece il contribuente prevede di realizzare per l'anno in corso un reddito inferiore e, quindi, ritiene di dover corrispondere una minore imposta ha la possibilità di ridurre gli acconti a condizione che gli acconti versati siano pari ad almeno il 98% del debito d’imposta relativo all'anno in corso.
Così, ad esempio, se il debito d'imposta nell'anno 2001 è pari a 4000 € e il debito di imposta nell'anno 2002 è pari a 1000 € il contribuente ha la possibilità di versare acconti pari al 98% di 1000 € (980 €).
Se, però, il saldo diventa 1500 €, su le 500 € scattano le sanzioni; che sono pari a 40% del minore acconto che il contribuente avrebbe dovuto pagare e non ha pagato.
Così, pertanto, il contribuente che avrebbe dovuto pagare 1470 € (98% di 1500 €) paga sanzioni per un ammontare di 590 €., che risultano dalla differenza tra il maggior acconto che avrebbe dovuto pagare (1470 €) è il minore acconto pagato (980 €).
Riscossione frazionata: esistono alcune imposte il cui pagamento non avviene in un unica soluzione, ma in modo frazionato (alcuni ritengono che anche l'IRPEF sia un'imposta frazionata).
Un esempio di imposta frazionata è l'Iva, anche viene versata a ogni mese o ad ogni trimestre.
Riscossione provvisoria: è la riscossione in pendenza di giudizio.
Questa forma di riscossione è giustificata da un principio di diritto amministrativo, cioè dal principio della legittimità degli atti amministrativi; partendo da questo presupposto, se il contribuente in seguito alla notifica di un atto da parte dell'amministrazione finanziaria, impugna l’atto stesso davanti al giudice tributario, l'amministrazione finanziaria ha la possibilità di riscuotere una frazione dell'imposta, sulla base appunto, della legittimità degli altri amministrativi.
Se,invece, un atto non è impugnato entro i termini scatta la riscossione definitiva dell'intero.
LE MISURE CAUTELARI A FAVORE DELL'AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA
Le misure cautelari a favore dell'amministrazione finanziaria sono misure che hanno l'obiettivo di cautelare, garantire il reddito da parte dell'amministrazione finanziaria. Esse sono:
La riscossione provvisoria
L'iscrizione nei ruoli straordinari, che si effettua quando sussiste un fondato pericolo per la riscossione (come quando il debitore che si vede notificato la cartella di pagamento, dismette tutti i suoi beni con l'impossibilità per l'ente pubblico di procedere all’esecuzione forzata);
Iscrizione di ipoteca e adozione del sequestro conservativo: sono le misure cautelari più pesanti per il contribuente.
L’ipoteca è un diritto reale di garanzia, concesso dal debitore su un bene, a garanzia di un credito, che attribuisce al creditore il potere di espropriare il bene stesso e di essere soddisfatto con prevalenza sul prezzo ricavato. Il diritto di ipoteca si costituisce mediante iscrizione nell'apposito registro presso l'ufficio dei registri immobiliari.
Il sequestro conservativo è una misura cautelare preventiva che il creditore può chiedere quanto ha fondato timore di perdere le garanzie del proprio credito.
N.B. L'amministrazione finanziaria può ricorrere a queste due misure sulla base non solo dell'accertamento, ma addirittura sulla base del semplice processo verbale di constatazione, previa autorizzazione del giudice tributario.
L'amministrazione finanziaria deve, però, dimostrare due condizioni:
Il cosiddetto “fumus boni iuris ” cioè letteralmente l'apparenza del buon diritto: ciò vuol dire che l'istanza dell'amministrazione finanziaria deve essere meritevole di accoglimento, perché in effetti c'è un reale pericolo che il soggetto voglia dismettere tutti i sui beni;
Il cosiddetto “periculum in mora” cioè letteralmente "pericolo nel ritardo"; l'amministrazione deve quindi dimostrare al giudice che c'è il pericolo che quel soggetto stia già vendendo i suoi beni.
Se coesistono questi due requisiti il giudice può (ma non deve) concedere la l’autorizzazione a ricorrere alle misure cautelari suddette.
LE MISURE CAUTELARI A FAVORE DEL CONTRIBUENTE : la sospensione della riscossione mediante ruoli
La sospensione della riscossione mediante ruoli è una sospensione amministrativa.
Al contribuente arriva una cartella di pagamento, che è un ordine nominativo e costituisce un estratto dal ruolo , nel senso che è un titolo esecutivo (perché viene fuori dal ruolo che un titolo esecutivo); ne consegue che l'eventuale ricorso contro il ruolo non sospende la riscossione; tuttavia l'ufficio delle entrate può disporla nel caso in cui il contribuente glielo chiede.
Una prima condizione per ottenere la sospensione da parte dell'agenzia delle entrate è la proposizione del ricorso contro la cartella di pagamento;
La seconda condizione è quella di riuscire a dimostrare all'amministrazione finanziaria l’infondatezza o l’illegittimità del ruolo.
È difficile che si verifichi questa seconda condizione perché i ruoli sono emessi da un organo periferico dell'amministrazione finanziaria per cui c'è una giusta ritrosia da parte dell'amministrazione finanziaria a bloccare questi atti perché così facendo smentirebbe se stessa.
Oggi è più facile ottenere, invece, la sospensione giudiziale.
LA NOZIONE DI VIOLAZIONE
Per violazione s’intende l'inosservanza volontaria di una norma che impone un obbligo.
Si parla di Inosservanza volontaria in quanto la semplice inosservanza della norma che pone un obbligo non è di violazione. Elemento fondamentale perché ci si trovi di fronte ad una violazione è, dunque, la volontarietà. Non c'è volontarietà se non abbiamo la possibilità di scegliere un comportamento diverso. In altre parole se non c'è possibilità di scelta in questo caso non siamo di fronte ad una violazione della normativa, ma ad un’inosservanza.
Pertanto si può parlare di inosservanza volontaria quando il soggetto si trova di fronte ad una scelta.
Il soggetto potrà dimostrare che la sua è stata un'inosservanza involontaria solo fornendo la prova del cosiddetto caso di forza maggiore.
La forza maggiore può essere di due tipi:
Questo requisito della volontarietà manca tutte le volte in cui si versa in caso un di forza maggiore fisica o giuridica.
LA NOZIONE DI SANZIONE
Per sanzione si intende la conseguenza negativa prevista dalla legge scaturente dalla violazione. C'è una strettissima relazione tra violazione e sanzione. Se una norma non è assistita da una sanzione viene chiamata imperfetta, perché questa non comporta una conseguenza negativa a carico di chi non la osservava.
Se in diritto tributario ci fossero delle norme imperfette, ovviamente, nessuno le rispetterebbe quindi, tutte le norme in diritto tributario sono perfette, cioè prevedono una sanzione come conseguenza di una violazione.
La conseguenza negativa della violazione di una norma in diritto tributario comporta, nella maggior parte dei casi, esborso di moneta cioè si concreta essenzialmente in una sanzione pecuniaria; tuttavia si deve precisare che non esistono soltanto sanzioni pecuniarie. La sanzione è sempre molto più elevata dell'imposta che si è evaso.
Funzioni della sanzione
La sanzione esplica due funzioni:
La funzione impropria della sanzione, come prima si diceva, consiste nell'incassare denaro; denaro che viene utilizzato dallo Stato per il soddisfacimento di bisogni pubblici. In sostanza lo stato utilizza le sanzioni allo stesso modo dei tributi. Questi prelievi aggiuntivi non sono però legati alla capacità contributiva pertanto, in virtù dell'articolo 53 della costituzione italiana, non può essere accettato che ci siano delle entrate dello Stato che non siano rapportate alla capacità contributiva. Ecco perché si parla di funzione impropria. In effetti, una sorta di collegamento tra sanzioni e capacità contributiva esiste perché la sanzione è commisurata all'imposta dell'imposta è, a sua volta, commisurata alla capacità contributiva.
Ma dal momento che nella pratica la sanzione non è proporzionata all'imposta ma è un multiplo di essa, nel senso che è di molto superiore all'imposta per questo si parla di una funzione impropria.
CLASSIFICAZIONI DELLE SANZIONI
Sanzioni amministrative-penali e civili
La sanzione amministrativa è unica ed è la sanzione pecuniaria. Essa si chiama amministrativa perché è irrogata dall'amministrazione finanziaria.
Le sanzioni penali solo quelle che vengono irrogate solo ed unicamente dal giudice penale. In diritto penale si è soliti di fare una distinzione tra delitti e contravvenzioni. Con riferimento diritto tributario, non esistono più le contravvenzioni ma solamente ipotesi delittuose che sono 7.
Nel diritto penale per le contravvenzioni è prevista la possibilità della oblazione che è una causa di estinzione del reato, in particolare consiste nell'estinguere il reato attraverso il pagamento di una somma di denaro. In tributario, invece, il legislatore ha cancellato tutte le contravvenzioni. I rapporti tra il sistema penale e quello sanzionatorio amministrativo sono regolati dal cosiddetto "principio di specialità", in base al quale se lo stesso illecito è sanzionato sia dal punto di vista amministrativo sia dal punto di vista penale si applica la disposizione speciale ovvero la sanzione penale.
Le sanzioni civili che non sono condivise dalla gran parte della dottrina (secondo questa parte della dottrina si ritiene che gli interessi moratori non hanno natura sanzionatoria ma compensativa in quanto il pagamento di questi interessi compensa l'erario del danno ricevuto dal non aver potuto disporre della liquidità entro il termine previsto dalla legge) sono invece accolte e condivise da altri da altri. Secondo questa parte della dottrina le sanzioni civili sono gli interessi i quali hanno natura sanzionatoria e non compensativa. Questa parte della dottrina attribuisce rilevanza alla misura di interessi che è di gran lunga superiore al rispetto al di interessi legali (che oggi sono del 2, 5%) infatti, nel caso di un ritardo del versamento gli interessi applicati sono superiori rispetto al saggio legale. Ecco perché questa parte della dottrina ritiene gli interessi moratori abbiano una natura sanzionatoria.
Altra distinzione riguarda le sanzioni dirette e le sanzione indiretta.
Le sanzioni dirette sono quelle previste all'interno del diritto tributario. Ad esempio chi non presenta la dichiarazione dei redditi è punito con una sanzione pari a X €.
Le sanzioni indirette sono quelle previste in altri rami del diritto ma che hanno delle refluenze non diritto tributario. Ad esempio esiste una norma in materia fiscale che afferma che "gli atti di compravendita di un immobile sono nulli se l'alienante non dichiara nell'atto che lui ha inserito quel immobile nell'ultima dichiarazione dei redditi" (la nullità è una sanzione prevista dal diritto civile).
Sanzioni proprie e sanzioni improprie
Le sanzioni proprie sono quelle previste come tali dall'ordinamento tributario. Ad esempio chi non presenta la dichiarazione dei redditi è punito con una sanzione pecuniaria.
Le sanzioni improprie non sono vere prove sanzioni ma di fatto finiscono per esserlo. Ad esempio c'è una donna dell'indice: se ho soggetto, imprenditore o professionista, non dichiara dei costi questi costi non saranno mai più detraibili.
Sanzioni principali e accessorie
La sanzione principale è quella che ha come presupposto la violazione di una norma.
La sanzione accessoria è quella che ha come presupposto l'applicazione della sanzione principale, quindi se non c'è la sanzione principale non potrà essere irrogata la sanzione accessoria. La sanzione accessoria è una sanzione amministrativa cioè è irrogata dall'amministrazione finanziaria.
I CRITERI DI DETERMINAZIONE DELLE SANZIONI
Le sanzioni amministrative sono irrogate dall'amministrazione finanziaria, che deve poi andare a vedere quale sanzione applicare secondo il tipo di violazione; è la legge che prevede questo, ma la legge dice anche che la sanzione si applica tra un minimo di due volte l'imposta evasa a un massimo di quattro volte l'imposta evasa: questo è il potere discrezionale dell'amministrazione finanziaria, potere che però è condizionato da alcuni criteri di determinazione delle sanzioni previste dalla legge.
Questi criteri sono:
Sulla base di questi criteri l'amministrazione finanziaria graduerà le sanzioni da un minimo ad un massimo, all'interno di questi limiti l'amministrazione finanziaria può scegliere la sanzione che vuole.
L'amministrazione finanziaria deve motivare la quantità di sanzione irrogata e, quindi, e evidenziare il criterio scelto nel caso concreto.
I PRINCIPI IN TEMA DI SANZIONI AMMINISTRATIVE
Tali principi, mutuati dal diritto penale, sono stati introdotti nel processo tributario in seguito alla riforma delle sanzioni attuata con decreto legislativo n. 472 del 1997 ed entrata in vigore il primo aprile del 1998.
LE CAUSE DI NON PUNIBILITA'
Le cause di non punibilità sono:
LA RESPONSABILITA' SOLIDALE PER IL PAGAMENTO DELLE SANZIONI
La responsabilità solidale comporta che due o più soggetti rispondono per l'intero dell'obbligazione un'ipotesi tipica di responsabilità solidale si ha quando più soggetti hanno commesso la medesima violazione.
Ciò comporta:
IL RAVVEDIMENTO OPEROSO
Prima che fosse introdotto l'istituto del ravvedimento operoso, non veniva operata alcuna distinzione tra due soggetti che avessero evaso la norma, ma uno con dolo l'altro, invece, per un semplice errore materiale.
A quest'ultimo che, accorgendosi dell'errore, avesse voluto rimediare ad esso, sia nei casi in cui avesse voluto auto denunciandosi sia nel caso in cui venisse scoperto dall'amministrazione finanziaria, venivano irrogate le medesime sanzioni.
In seguito all'introduzione dell'istituto del ravvedimento operoso è stata concessa la possibilità al trasgressore, che si renda conto di aver compiuto un errore, di regolarizzare la propria posizione e di rimediare, così, alle inadempienze commesse con il pagamento di una sanzione minima entro i termini stabiliti dalla legge, ovviamente sempre che non siano iniziati nei suoi confronti accessi, ispezioni o verifiche (o altre attività amministrative di accertamento) e meno che mai se gli è stato notificato un avviso di accertamento (o qualsiasi altro atto da parte l'amministrazione finanziaria). Pertanto meno tempo passa tra la commissione della violazione e il ravvedimento operoso più alta sarà la riduzione delle sanzioni.
Pertanto, il ravvedimento operoso può essere posto in essere nel periodo di tempo che intercorre tra la data di violazione e la data di irrogazione della sanzione purché nel frattempo non siano intervenuti accessi, ispezioni e verifiche e non sia stato esercitato alcun potere istruttorio perché dall'esercizio del potere istruttorio inibisce la possibilità di ricorrere al ravvedimento operoso. In ravvedimento operoso è uno strumento favorevole, comodo per il contribuente perché riduce la sanzione in maniera significativa di un ottavo o di un quinto.
I TRE PROCEDIMENTI DI IRROGAZIONE DELLE SANZIONI
Immaginavano , ora che un soggetto, non proceda al ravvedimento operoso e l'amministrazione finanziaria, esercitando i suoi poteri istruttori scopre che è stata violata una norma. A questo punto viene da chiedersi quale procedimento segua l'amministrazione finanziaria per irrogare le sanzioni.
La normativa prevede tre procedimenti di irrogazione delle sanzioni amministrative.
L'ufficio da parte sua può:
L'irrogazione con atto contestuale all'avviso di accertamento o di rettifica: (cioè l’atto di contestazione e l’avviso di accertamento si fondono in un unico atto). In tal caso viene notificato al contribuente un solo atto nel quale, differentemente dalla prima ipotesi l'amministrazione finanziaria non si limita a contestare la minore base imponibile e quindi la minore imposta, ma anche le violazioni. Se un contribuente ha evaso solo negli obblighi formali, ma presenta la dichiarazione dei redditi, l'amministrazione finanziaria gli notificherà solo l'atto di contestazione, e non invece l'avviso di accertamento; se invece questo soggetto non ha dichiarato niente, quindi ha violato non sono gli obblighi formali ma anche gli obblighi sostanziali (e quindi è un evasore totale) l'amministrazione finanziaria gli notificherà o l'atto di contestazione o l'avviso di accertamento (non entrambi perché i due procedimenti sono alternativi). Nel secondo procedimento il contribuente può reagire esattamente nello stesso modo in cui poteva agire nel primo procedimento; può fare ricorso, non reagire, con l'eccezione che non può presentare deduzioni difensive che possono essere presentate solo avverso l'atto di contestazione.
L'irrogazione mediante iscrizione a ruolo senza previa contestazione (controllo formale): se il contribuente presenta la dichiarazione dei redditi e per dimenticanza non inserisce il codice fiscale oppure ha due figli a carico e si porta in detrazione una quota per tre figli a carico, in tal caso l'amministrazione finanziaria irroga le sanzioni attraverso l’iscrizione a ruolo, senza previa contestazione.
Quindi di un'amministrazione finanziaria non emette né l'atto di contestazione delle sanzioni né l'avviso di irrogazione delle sanzioni ma irroga direttamente le sanzioni. Non è prevista la motivazione di questo tipo di atto (irrogazione mediante iscrizione al ruolo).
Il contribuente può solo:
Sicuramente questo procedimento è il più utilizzato da parte del legislatore.
L'INTERESSE PROTETTO DALLE NORME PENALI TRIBUARIE
Il legislatore tributario può proteggere gli interessi attraverso l'irrogazione delle sanzioni.
Ci sono due correnti di pensiero: alcuni ritengono che l'interesse protetto dal legislatore tributario debba essere la mera osservanza delle leggi; per altri invece, deve essere la percezione dei tributi: tutto il sistema deve essere orientato a proteggere questo interesse.
Aderire all'una o all'altra tesi comporta delle conseguenze.
Oggi la tesi più condivisibile è la seconda tant'è vero che non vengono considerate più come violazioni e quindi non c'è irrogazione delle sanzioni tutte quelle inosservanze, ancorché volontarie, che non comportano alcun danno o pericolo di danno all'erario. Ad esempio la mancata indicazione del codice fiscale.
IL REATO DI DANNO E IL REATO DI PERICOLO
L'interesse protetto dalle norme tributarie è quello della percezione del tributo. Come evoluzione di questo concetto si parla di REATO DI DANNO e di REATO DI PERICOLO.
Il legislatore, nel prevedere le sanzioni, deve tener conto di ciò che è più ripugnante per la società il danno o il pericolo.
In linea di principio il danno dovrebbe essere più pericoloso. Dal punto di vista morale però il danno e il pericolo sono posti sullo stesso piano in quando il pericolo di danno costituisce il primo passo per recare danni all'erario.
LA RILEVANZA DELL'ERRORE AI FINI DELL'APPLICAZIONE DELLE SANZIONI PENALI
Come sappiamo una delle cause di non punibilità è costituita dalla incertezza sul portata e sull'ambito di applicazione di una norma dovuta alla particolare complessità della norma stessa, complessità che induce il contribuente ad interpretarla in maniera errata.
L'errore assume, quindi, una sua autonoma rilevanza, comportando la non irrogazione delle sanzioni penali.
Dall'esigenza di chiarezza, lealtà e trasparenza nei rapporti tra amministrazione finanziaria e contribuente è nata con una legge n. 212 del 27 luglio 2000 la norma sullo statuto del contribuente.
PRINCIPI GENERALI
I principi generali dello statuto sono contenuti nell'articolo 1 della legge n. 212.
Prima osservazione: questa è una norma imperfetta, nel senso che se l'amministrazione finanziaria non osserva ciò che è contenuto dello statuto del contribuente non andrà incontro ad alcuna sanzione.
Seconda osservazione: questa è una legge rinforzata (ma se una legge ordinaria) nel senso che si può derogare ai principi in essa contenuti solo esplicitamente non è ammessa dunque una deroga tacita, per cui, in tal caso non opera il principio in un secondo il quale "una legge posteriore deroga a quell'anteriore"). Si è voluto inserire questa clausola perché chi voglia derogare allo statuto del contribuente si deve assumere la responsabilità politica.
CHIAREZZA ED EFFICACIA TEMPORALE DELLE NORME TRIBUTARIE
La chiarezza comporta che chiunque debba essere in condizione di interpretare una legge fiscale, con la conseguenza che se viene modificata una legge fiscale deve essere integralmente riprodotto l'articolo cambiato.
Spesso le norme tributarie erano inserite norme che aveva non titoli e obiettivi completamente diversi. Oggi questo non dovrebbe essere più possibile. Di conseguenza il legislatore nel prevedere una norma deve evidenziare nel titolo della norma stessa, la legge e il suo obiettivo.
EFFICACIA TEMPORALE DELLE NORME TRIBUTARIE
Non esiste in diritto tributario una norma che sancisce l'irretroattività delle norme tributarie. Esistono comunque, tre categorie di norme che non possono essere retroattive; tali sono quelle che coinvolgono la capacità contributiva (la quale sappiamo deve essere attuale). Tuttavia, in ossequio, alla irretroattività delle norme tributarie è stato previsto l'articolo 3 dello statuto del contribuente, in base al quale "la legge non dispone che per l'avvenire", ripetendo così il contenuto dell'articolo 11 delle preleggi al codice civile.
L'ostessa articolo, dopo aver ripetuto l'articolo 11 delle preleggi, continua dicendo: "In riferimento ai tributi periodici, le disposizioni che modificano tali tributi trovano effetto per l'anno successivo a quello in corso per il quale il tributo sta già spiegando efficacia". In altri termini le modifiche che riguardano i tributi periodici devono valere dal periodo d'imposta successivo non invece per quello in corso.
LE NUOVE DISPOSIZIONI IN TEMA DI CONOSCENZA DEGLI ATTI, DI PROCEDIMENTI IMPOSITIVI E DI VERIFICHE
FISCALI
L’amministrazione finanziaria deve far si che il contribuente abbia piena conoscenza degli atti, a tal fine deve notificare l'atto al contribuente.
A tal proposito l'articolo 6 prevede che "gli atti dell'amministrazione finanziaria siano comprensibili anche ai contribuenti sforniti di conoscenza in materia tributaria".
Il legislatore si occupa, finalmente, anche del problema di prevedere e legiferare in tema di rapporti tra amministrazione e contribuente al momento delle verifiche fiscali.
L'articolo 12, riguardo dice che:
In caso di particolare complessità della verifica, il termine di 30 giorni può essere prorogato ad altri 30.
Non è stato, però chiarito dal legislatore se per 30 giorni deve intendersi 30 giorni consecutivi di o lavorativi.
LA TUTELA DELL'AFFIDAMENTO E DELLA BUONA FEDE
L'articolo 10 dispone che: "I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione della buona fede". Non sono irrogate sanzioni qualora il contribuente si sia conformato a norme tributarie, ancorché successivamente modificate da norme stesse.
L'INTERPELLO DEL CONTRIBUENTE
Il legislatore si è reso conto che le risoluzioni, ossia le risposte fornite dal Ministro dell'economia su quesiti formulati dai contribuenti che abbiano un dubbio materia tributaria, essendo dei tempi della risposta molto lunghi (dai 4 ai 5 anni), potevano risultare del tutto inutili al soggetto che ne faceva richiesta, tutt'al più potevano servire ai contribuenti successivi.
Nel 1990 il legislatore ha, pertanto, previsto una prima forma di interpello (che tuttora in vigore ma ormai che ormai non è utilizzata più da nessuno). Con tale istituto è stata accordata la possibilità, al contribuente che ne avesse bisogno, di interpellare la Direzione Generale delle Entrate (che è unica e a sede a Roma) che aveva, e che ha tuttora, 60 giorni di tempo (dalla data della formulazione della richiesta) per rispondere. In caso di mancata risposta da parte della direzione entro i termini previsti, il contribuente poteva rivolgersi al Comitato Consultivo che aveva anch'esso 60 giorni di tempo per rispondere.
Decorso inutilmente detto termine, il contribuente doveva inviare una sollecitazione. Se entro ulteriori 60 giorni il Comitato non rispondeva si formava così il cosiddetto silenzio- assenso, per cui la mancata risposta da parte del comitato faceva in modo che la risposta data dallo stesso contribuente diventasse vincolante per l'amministrazione finanziaria.
Tuttavia, rivolgersi al Comitato Consultivo tra il 1990 e il 1999 era praticamente impossibile perché realtà non era mai stato istituito. Finalmente nel 2000, con lo Statuto del Contribuente è stata prevista una migliore forma di interpello, per cui: il contribuente che ha un dubbio circa una fattispecie concreta deve rivolgersi all'Agenzia delle Entrate, fornendo anche una propria soluzione, la quale deve rispondere erto 120 giorni.
In caso di mancata risposta si forma il cosiddetto silenzio-assenso di conseguenza la mancata risposta da parte dell'amministrazione finanziaria fa si che la risposta data dallo stesso contribuente diventi vincolate per la stessa amministrazione.
L'interpello non è una fonte del diritto tributario perché è vincolante solo per l'amministrazione finanziaria, limitatamente però a quella fattispecie, cioè limitatamente a quel contribuente.
Il giudice sarà vincolato solo indirettamente nel caso in cui l'amministrazione finanziaria che non ha risposto entro i 120 giorni pretende che la sua interpretazione della norma sia quella fornita da contribuente.
CHIAREZZA E MOTIVAZIONE DEGLI ATTI IMPOSITIVI
Uno degli elementi fondamentali dell'avviso d’accertamento è la motivazione; in oltre è sancito dallo Statuto del contribuente la legittimità della motivazione per relationem ossia che fa riferimento ad altri atti, purché però sussistano due condizioni:
Questa norma è stata, tuttavia, modificata con decreto legislativo del 2001 in cui s'è detto che non è necessario allegare l'atto all'avviso di accertamento basta che il contribuente ne abbia conoscenza.
Ci sono state delle sentenze della corte di cassazione successive alla modifica dello statuto del contribuente, che hanno sancito la nullità dell'avviso di accertamento non depositato davanti a giudice, violando, in tal modo la regola del contraddittorio.
IL GARANTE DEL CONTRIBUENTE
Il termine garante è una forma impropria, perché in realtà non si tratta di un unico soggetto ma di un organo collegiale in particolare formato da tre soggetti. C'è, inoltre, un garante su base regionale. In linea teorica il garante dovrebbe stimolare l'amministrazione finanziaria a tenere nei confronti del contribuente un comportamento leale, corretto, di buona fede e sollecitare al rimborso di un tributo. Di fatto però i suoi poteri sono nulli: avrebbero senso se fossero accompagnati da poteri sanzionatori.
L'ultima modifica in materia tributaria e precisamente l'ultima modifica del processo tributario si è avuta con decorrenza dal primo gennaio 2002. Prima ancora c'era stata una modifica entrata in vigore il primo aprile del 1996.
La modifica del ' 96 ha cambiato totalmente il processo tributario, infatti mentre prima il processo aveva norme e regole sue proprie, dal primo aprile del 1996 il processo è diventato una brutta copia del processo civile con un limite enorme del quale il legislatore non ha tenuto conto.
Il limite, in particolare, era dato dal fatto che, mentre nel processo civile le parti che vanno dal giudice per dirimere la controversia cercano entrambe di vincere, sempre nel rispetto della legge, ed è giusto perché le parti sono portatrici di interessi privati.
Nel processo tributario non potrebbe o meglio non dovrebbe essere così perché una delle parti è una parte pubblica, cioè l'amministrazione finanziaria, la quale non è, ovviamente, portatrice di interessi personali ma di interessi diretti all’accertamento della verità.
Di conseguenza è stato un grande sbaglio del legislatore trasferire un processo, in cui entrambe le parti hanno interesse di vincere, in un processo come quello tributario che mira invece ad interessi diversi.
Altro problema del processo tributario è che è stato scritto a più mani ovvero da diversi autori, con la conseguenza che, ad esempio, le parole "decisione" e "sentenza" sono usate come sinonimi mentre realtà sono termini diversi (essendo, in particolare, il termine sentenza usato nell'ambito del processo civile). Vi sono, inoltre, molti errori grammaticali.
La norma entrata in vigore nel '96 è un decreto legislativo del '92, quindi una norma tenuta nel cassetto per quattro anni, ciò in quanto questa norma fu scritta nell'ambito di un governo che decadde e che fu poi ripresa nel momento in cui questo stesso governo salì al potere.
La modifica più importante operata da questa riforma fu quella di aver unificato il processo tributario. Prima della modifica, infatti, esistevano tre processi tributari:
Oggi, invece, l'unico giudizio che può aversi in materia fiscale è quello davanti le commissioni tributarie.
MEZZI DI TUTELA CONTRO GLI ATTI GENERALI:IL REGOLAMENTO D'ESECUZIONE
Due sono i mezzi di tutela dal regolamento di esecuzione (qualora esso sia ritenuto lesivo dei diritti del contribuente), dal momento che non si può intraprendere la strada dell'eccezione di incostituzionalità visto che non è né legge né atto avente forza di legge in quanto sono atti generali a contenuto normativo.
MEZZO DI TUTELA DIRETTO: consiste nella possibilità di impugnare il regolamento dinanzi al tribunale amministrativo regionale in quale potrà respingere la richiesta o ritenerla legittima. Se la tesi viene condivisa dal TAR questo annullerà il regolamento ex tunc cioè fin da allora come se non fosse mai esistito ed avrà efficacia erga omnes; pertanto questa pronuncia non riguarda soltanto chi ha impugnato il regolamento ma anche tutti gli altri soggetti.
MEZZO DI TUTELA INDIRETTO: in questo caso non si impugna, davanti al giudice tributario, direttamente il regolamento ma si impugna l'atto su cui si fonda il regolamento stesso. In sostanza, con questo secondo mezzo di tutela, si vuole dimostrare che l'atto (l'avviso di accertamento) è illegittimo perché si fonda su un provvedimento illegittimo ossia il regolamento. Il giudice tributario se riterrà illegittimo l'atto impugnato lo annullerà (cioè annullerà l'atto impugnato e non il regolamento è in sostanza il caso opposto al precedente). In concreto la pronuncia del giudice comporterà la disapplicazione del regolamento e non il suo annullamento.Questa pronuncia ha una rilevanza estremamente più limitata rispetto a quella del Tar perché la disapplicazione dal regolamento riguarda solo quella singola e determinata fattispecie, per tutti gli altri contribuenti il regolamento continuerà ad avere efficacia. La pronuncia del giudice all'esterno di quel giudizio potrà valere al massimo come precedente giurisprudenziale.
GLI ORGANI DEL CONTENZIOSO TRIBUTARIO
Gli organi del contenzioso tributario sono:
LA GIURISDIZIONE DELLE NUOVE COMMISSIONI TRIBUTARIE
Il termine giurisdizione deriva dal latino "ius dicere" cioè dire o affermare il diritto. Pertanto il termine giurisdizione può essere inteso nel senso che esso è il potere che la legge riconosce al giudice di affermare il diritto. La competenza è, invece, la misura di questo potere cioè della giurisdizione.
La giurisdizione del giudice tributario riguarda solo determinati atti (emessi non soltanto dall'amministrazione finanziaria) e determinati tributi. Il giudice tributario si pronuncerà in ordine alle domande formulate dai contribuenti e dirimerà le controversie tra due parti del processo, una di esse sarà sicuramente una parte privata, l'altra sicuramente sarà una parte pubblica (un'agenzia delle entrate). Nel processo tributario si parla non di convenuto e di attore ma di parte ricorrente e parte resistente.
I GRADI DEL GIUDIZIO
Esistono due tipologie di commissioni tributarie:
I gradi del giudizio sono due:
C'è la possibilità di un eventuale giudizio di terzo grado in cassazione (le cui ipotesi sono previste all'articolo n. 360 cod.proc.civ). Si deve precisare che in giudizio emesso dalla commissione tributaria regionale può essere impugnato in Cassazione, tuttavia se giudizio è impugnato davanti alla cassazione non è più un processo tributario ma processo civile in materia fiscale.
LA COMPETENZA PER TERRITORIO
Per quanto riguarda la competenza territoriale delle commissioni tributarie provinciali, sarà competente la commissione tributaria dove ha sede L' ufficio che ha emesso l'atto impugnato.
APPLICABILITA' DELLE NORME DEL CODICE DI PROCEDURA CIVILE
All'interno delle norme che regolano il processo tributario esiste una norma di rinvio al codice di procedura civile che dice "si applicano le norme del codice di procedura civile se ed in quanto compatibili con le norme del presente decreto".
Di conseguenza, chi applica il diritto tributario deve conoscere, pertanto, non solo le norme del codice di procedura civile ma anche la loro evoluzione.
La compatibilità che deve esserci tra norme tributarie e norme di procedura civile, affinché queste ultime possono essere applicate, vuol dire che le norme di procedura civile non devono essere contrastanti. Essa comporta due importanti conseguenze:
LE CONTROVERSIE CHE RIENTRANO NELLA GIURISDIZIONE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE
- competenza per materia
La competenza per materia è delineata dal legislatore tributario dettagliatamente in altri termini, possiamo dire, il legislatore individua le materie oggetto di giurisdizione tributaria, cioè le controversie concernenti i tributi per i quali ci si può ricorrere alle commissioni tributarie. Sono di competenza delle commissioni tributarie le controversie concernenti le grandi imposte in particolare:
Per quali tributi non è più competente la commissione tributaria?
I casi in cui la commissione tributaria non è competente ormai sono casi, ipotesi marginali. Con l'ultima modifica del diritto tributario oggi potremmo dire che la competenza della commissione tributaria è totale in materia di diritto tributario.
LE AZIONI ESPERIBILI DAVANTI ALLE COMMISSIONI TRIBUTARIE
Le azioni esperibili dinanzi alle commissioni tributarie sono due: di annullamento e di condanna al rimorso.
I POTERI ISTRUTTORI DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE
I poteri istruttori delle commissioni tributarie non sono esattamente gli stessi poteri istruttori dell'amministrazione finanziaria. Pertanto le commissioni tributarie possono eseguire:
ACCESSI- ISPEZIONI- VERIFICHE-INVIARE QUESTIONARI.
L'unico limite del giudice tributario è che può utilizzare questi poteri limitatamente all'oggetto del processo tributario, il giudice può condurre ispezioni, verifiche solo limitatamente all'oggetto del processo tributario.
LA PRONUNCIA DI NON APPLICABILITA' DELLE SANZIONI AMMINISTRATIVE IN PRESENZA DI ERRORE SULLA NORMA TRIBUTARIA
Nel diritto positivo esiste una norma che dice: " se esistono dubbi circa l'abito di applicazione e la portata di una norma tali che il contribuente è indotto in errore, l'amministrazione finanziaria non deve applicare le sanzioni".
Questa stessa norma riguarda il giudice tributario. Se fosse stata prevista questa norma solamente nel diritto positivo e il contribuente avesse sbagliato, benché fosse stato evidente che l'errore del contribuente era stato determinato dalla particolare complessità delle norme, le sanzioni erano applicate ugualmente dall'amministrazione finanziaria senza possibilità di chiedere al giudice la loro disapplicazione. Quindi l'obiettivo della norma è quello di attribuire al giudice il potere di effettuare la cancellazione delle sanzioni irrogate all'amministrazione finanziaria. Per cui contribuente procederà eventualmente soltanto al pagamento della maggiore imposta dovuta senza l'aggravio delle sanzioni.
LE PARTI
Sono parti del processo tributario:
Mentre per i primi dei soggetti (amministrazione finanziaria ed enti locali) è evidente che questi hanno un interesse nella causa interesse che si concreta nella difesa dell'atto che loro stessi hanno emesso; mentre per il terzo soggetto ossia per il concessionario l'interesse non è imposta ma il compenso che percepisce se vince la causa.
Poniamo, ad esempio, che venga notificato al contribuente una cartella di pagamento della quale sono richiesti: imposta, sanzioni, interessi e diritti del concessionario. Se il contribuente impugna la cartella di pagamento da parte resistente sarà l'amministrazione finanziaria che ha iscritto il ruolo, accanto all'amministrazione finanziaria può affiancarsi con un intervento adesivo autonomo il concessionario per il servizio della riscossione il quale deve dimostrare che ha un interesse per intervenire nella causa, quest'interesse è il suo compenso. Solitamente il concessionario per il servizio della riscossione interviene nel processo solamente quando il suo compenso è notevole, elevato.
Analizziamo la locuzione Intervento adesivo autonomo:
Il rappresentante è un soggetto che si sostituisce ad un altro, prendendo, quindi, il suo posto.
Nel processo civile il rappresentante è una figura obbligatoria nel senso che la parte non potrà in giudizio da sola ma deve essere rappresentata, che, nella maggior parte dei casi sarà un avvocato. Pertanto il soggetto sta in giudizio tramite il suo rappresentante.
L'assistente, invece, nel processo civile è una figura solo eventuale. L'assistente è un aspetto del processo che affianca (non sostituisce) la parte. Anche in tal caso l'assistente è un avvocato. Quando esisteva la distinzione tra Procuratore e avvocato, l'assistente era il procuratore e il rappresentante era l'avvocato. Tuttavia ormai rappresentante e assistente sono la stessa persona.
Nel processo tributario è esattamente l'opposto.
In particolare, fin al 31 marzo del '96, quindi prima della grande riforma tributaria, la figura dell'assistente tecnico era inesistente nel processo tributario per cui il contribuente poteva difendersi da solo.
Dal primo aprile del '96, invece, una figura del rappresentante è diventata eventuale mentre quella dell'assistente tecnico è diventata obbligatoria.
Possono prestare assistenza tecnica tre categorie di soggetti:
PRIMA CATEGORIA: alla prima categoria appartengono i soggetti a competenza piena; questi soggetti possono assistere il contribuente qualunque sia l'oggetto della controversia; questi soggetti sono: gli avvocati, i procuratori legali, i dottori commercialisti, i ragionieri.Queste 3 categorie hanno competenza piena a condizione che siano nei rispettivi albi professionali, per cui non è sufficiente avere il titolo.
SECONDA CATEGORIA: a questa categoria appartengono soggetti che hanno competenza piena ma limitatamente alle controversie relativa al proprio datore di lavoro.Infatti le Banche, le grosse imprese hanno i propri avvocati dai quali possono essere difesi in caso di controversie.
TERZA CATEGORIA: appartengono a questa categoria i soggettivi a competenza limitata. Quindi i soggetti rientranti in questa categoria non possono difendere il contribuente qualunque sia la controversia ma solamente in quelle materie di sua competenza. Ad esempio il consulente del lavoro, se iscritto all'albo professionale, potrà difendere il datore di lavoro nelle controversie che riguardano ad esempio il pagamento degli stipendi, le detrazioni d'imposta. Altro esempio sono gli ingegneri e gli architetti, questi soggetti hanno competenza limitata in materia tributaria; possono difendere il contribuente per le controversie che riguardano l'attribuzione delle rendite catastali ecc...Ovviamente questi parametri sono conosciuti meglio da un ingegnere che da un avvocato anche se di contro si può osservare che l'ingegnere da un punto di vista formale non conosce le regole da seguire nel processo per cui in questi casi è meglio farsi assistere anche da un avvocato.
IPOTESI IN CUI L'ASSISTENZA TECNICA NON E' OBBLIGATORIA
Ci sono, tuttavia, due eccezioni all'obbligatorietà dell'assistenza tecnica e sono:
PRIMA ECCEZIONE:Quando il valore della controversia non supera i £ 5.000.000 (= 2.582,28 €) il contribuente può difendersi da solo. "come si fa a valutare il valore della controversia?" Il valore delle controversie si determina facendo riferimento alla sola imposta a meno che non si tratta di Atto d’irrogazione di sanzione perché in questo caso si fa riferimento solo alle sanzioni. Così ad esempio ad un contribuente viene notificata una cartella di pagamento in cui si dice che deve pagare £4.000.000 di Irpef, £10.000.000 di sanzioni e £ 500.000 di interessi. In questo caso il contribuente potrà da difendersi da solo perché si è detto che si deve fare riferimento alla sola imposta che abbiamo detto essere pari a £ 4.000.000.
SECONDA ECCEZIONE: il contribuente può difendersi da solo quando lui stesso riveste personalmente la qualifica di assistente tecnico.Ad esempio l'avvocato può essere allo stesso tempo parte ricorrente e assistente tecnico.
N.B. ("eccezione dell'eccezione"):Il Presidente della commissione tributaria, qualora lo ritenga opportuno, può imporre alla parte ricorrente di munirsi di un assistente tecnico, solo però nel caso della prima eccezione e non quando il ricorrente rivesta personalmente tale qualifica.
LA PARTE RESISTENTE (A.F.) COME STA IN GIUDIZIO?
Per quanto riguarda, invece, la parte resistente:
In primo grado (davanti commissioni tributarie provinciali):
- l 'amministrazione finanziaria sta in giudizio tramite un suo dipendente; (Il Comune e il Concessionario del servizio della riscossione tramite un loro avvocato).
In secondo grado (davanti alla commissione tributaria regionale) l'amministrazione finanziaria può ricorrere all'avvocatura dello Stato costituita da professionisti di ottimo livello.
LA CONDANNA ALLE SPESE DI GIUDIZIO
E' una novità introdotta dal primo aprile del '96. Dal 1996 esiste una norma che dice " la parte soccombente deve sopportare il peso delle spese processuali, tuttavia il giudice può ritenere le spese processuali compensate tra le parti".
Cosa vuol dire quest'ultimo inciso? Vuol dire che ognuno pagherà le proprie spese. Le spese processuali del ricorrente sono molto più elevate di quelle della parte resistente.
COMUNICAZIONI E NOTIFICAZIONI
Le Comunicazione e le notificazioni hanno l'obiettivo di portare a conoscenza di un soggetto un atto o un avvenimento.
Non è facile tracciare una linea di confine tra i due atti in quanto sono molto simili , però, tuttavia può dirsi che:
La notificazione può avvenire invece in tre modi:
PRIMO MODO: (all'interno del processo) tramite notifica in senso stretto, cioè tramite ufficiale giudiziario secondo le regole previste dagli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile. Questo mezzo di notifica è il più oneroso per due motivi: Il primo perché gli atti che deve notificare l'ufficiale giudiziario sono sottoposti a pagamento dell'imposta di bollo; il secondo motivo perché questo è il lavoro dell'ufficiale giudiziario e quindi deve essere pagato il suo compenso.
SECONDO MODO: tramite canale postale; per l'atto da notificare a mezzo postale vanno seguite delle regole ben precise a pena di inammissibilità del ricorso.
Bisogna utilizzare la raccomandata con avviso di ricevimento e non si deve utilizzare una normale busta ma un plico. Questo perché? Lo dice la legge stessa; perché il bollo dell'amministrazione finanziaria è posto sull'atto da notificare il bollo è necessario in quanto serve a dimostrare l'avvenuta notifica dell'atto. In caso di notifica tramite canale postale vale la data di spedizione. TERZO MODO: Con il deposito effettuato mediante consegna a mano con rilascio della ricevuta da parte del ricevente e apposizione della ferma da parte di quest'ultimo. Si può anche depositare anche senza consegna a mano ma a rischio e pericolo del depositante. In caso di notifica tramite deposito vale la data del deposito ovvero della consegna se la legge lo dice espressamente.
GIUDIZIO DAVANTI ALLA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE
Ogni commissione tributaria, sia provinciale sia regionale, si articola in sezioni. Ogni sezione è autonoma ed è composta da cinque membri, più uno che è il Presidente di sezione. Esiste poi il Presidente della Commissione che è sempre il presidente della prima sezione.
Il numero delle sezioni è variabile in quanto è determinato in base al flusso medio dei procedimenti per cui più saranno i ricorsi più alto sarà il numero delle sezioni.
I giudici, componenti delle sezioni, diventano specializzati in una determinata imposta, materia.
Il giudizio davanti al giudice funziona in questo modo:
Il Presidente di sezione dà la parola a una delle parti, la legge non dice a quale delle due parti il presidente debba dare la parola per cui sarà a discrezione del presidente. Le parti devono argomentare su ciò che hanno già presentato. Infatti i, sia l'avviso di accertamento sia il ricorso si fondano su dei motivi. Pertanto spetta alle parti cercare di difendere le rispettive posizioni. Però mentre nel caso della parte ricorrente c'è, di solito, un avvocato che ha un interesse particolare a vincere la causa (l’interesse ovviamente è quello di una parcella, onorario più elevato) inoltre l'avvocato ha tutto il tempo di poter studiare nel dettaglio la pratica. Dall'altra parte a difendere la parte resistente c'è invece il rappresentante dell'ufficio che ovviamente non è portatore di nessun interesse perché se l'amministrazione finanziaria perde la causa a lui fondamentalmente non cambia nulla. L'unico interesse che questo soggetto ha nel difendere l'amministrazione finanziaria va ricercato nella difesa della sua stessa dignità, capacità perché generalmente è egli stesso che ha emesso l'atto. Tuttavia il rappresentante dell'ufficio di solito deve curare moltissime pratiche su fattispecie diverse tra loro, quindi la difesa dell'amministrazione finanziaria è molto più tenue rispetto a quella della parte ricorrente. Questa è la più grossa discrepanza che esiste nel processo tributario. Questo problema si può risolvere pagando meglio il rappresentante dell'amministrazione finanziaria o creando un corpo di avvocati dipendenti dell'amministrazione finanziaria.
PROBLEMA DELLA RILEVANZA DEL DFENSORE
Si pone, infine, un problema di rilevanza della persona del difensore: sicuramente un giovane avvocato ha meno rilevanza di un avvocato affermato.
GLI ATTI IMPUGNABILI
Il legislatore elenca tassativamente gli atti impugnabili, cioè gli atti che si possono impugnare davanti a giudice tributario sono solo quelli elencati all'interno della norma tributaria. Ad esempio il processo verbale di contestazione che non è prevista in questo elenco non è impugnabile.
Gli atti impugnabili sono:
Con riferimento ad un’istanza di rimborso possono verificarsi 3 ipotesi:
PRIMA IPOTESI: l'amministrazione finanziaria può rimborsare
SECONDA IPOTESI: l'amministrazione finanziaria non rimborsi, per cui emette provvedimento di rigetto dell'istanza di rimborso.
TERZA IPOTESI: l'amministrazione finanziaria non rimborsa né rigetta l'istanza (l'ipotesi più frequente).
A questo punto cosa può fare il contribuente?
In quest'ultima ipotesi, decorsi 90 giorni dalla presentazione dell'istanza di rimborso, il contribuente ha la possibilità di impugnare il cosiddetto silenzio-rifiuto. In tal caso è come se l'amministrazione finanziaria avesse detto al contribuente che non gli spetta , per cui dal 91º giorno in poi il contribuente può impugnare il silenzio-rifiuto il cui tempo di prescrizione è di dieci anni (tempo di prescrizione ordinaria articolo 2493 del codice civile). Se trascorsi 90 giorni l'amministrazione finanziaria dovesse rimborsare il contribuente ma questi nel frattempo ha già presentato il ricorso, il ricorso cade per cessazione della materia di contendere.
E' prevista una norma di chiusura che il legislatore ha inserito subito dopo l'elenco degli atti impugnabili dinanzi al giudice tributario, la quale statuisce che: "sarà impugnabile ogni altro atto che in un futuro la legge prevederà come tale".
Questa norma serve a evitare che un nuovo atto che non sia previsto nell'elenco non possa essere impugnabile ovviamente sempre che questo nuovo atto sia previsto come tale dal legislatore.
Come si è detto l'elenco degli atti impugnabili è tassativo, per cui si pone il problema degli atti non impugnabili.
Ad esempio il processo verbale di contestazione non è previsto nell'elenco e quindi non è impugnabile. In tal caso il contribuente deve aspettare che gli venga notificato un atto che sia impugnabile ad esempio l'avviso di accertamento e che si basi, cioè abbia come motivazione il processo verbale di contestazione (cioè motivato per relationem) .
In altri termini il contribuente può colpire il processo verbale di contestazione impugnando l’avviso di accertamento motivato per relationem. L’Amministrazione finanziaria può difendersi dal contribuente non notificando l’avviso di accertamento, ma in questo caso il processo verbale di contestazione non è nocivo.
La tutela dell'atto non autonomamente impugnabile si concretizza, fondamentalmente, nell’attesa dell’atto impugnabile che si fonda sull’atto non impugnabile.
Per ricorso s'intende l’atto introduttivo del processo tributario.Il processo,infatti, inizia con la presentazione del ricorso.Chi presenta il ricorso si chiama ricorrente.
Il ricorso, a pena di inammissibilità, deve contenere degli elementi essenziali.
L’inammissibilità è un vizio processuale, che determina l’inefficacia del ricorso.Il ricorso inammissibile non produce alcun effetto è come se no esistesse.
Elementi essenziali del ricorso previsti a pena di inammissibilità sono:
Queste richieste sono decrescenti nel senso che la prima è la più importante; tuttavia nulla vieta che le richieste siano fatte tutte insieme.
La mancanza di uno solo di questi elementi comporta l’inammissibilità del ricorso; tale vizio viene evidenziato nel momento in cui il presidente di sezione effettua l’esame preliminare.
La presentazione del ricorso consta di due fasi:
La proposizione: notifica del ricorso alla controparte che ha emesso l'atto impugnato ad esempio l'amministrazione finanziaria.
Il ricorso si può notificare in tre modi:
Tramite deposito nell'ufficio che ha permesso l'atto cioè tramite consegna a mano all'ufficio che ha emesso l'atto.
Il termine per la notifica di 60 giorni dalla notifica dell'atto impugnato, il mancato rispetto del termine è un'altra delle ipotesi d’inammissibilità del ricorso. La notifica serve per instaurare il contraddittorio tra le parti.
La costituzione in giudizio della parte ricorrente: consiste nel deposito (consegna amano) di un fascicolo presso la segreteria della commissione tributaria provinciale adita; il fascicolo deve contenere due elementi:
Inoltre, può contenere tutto ciò che il ricorrente ritiene utile al fine di sostenere la propria causa, per convincere il giudice delle proprie ragioni.
Il ricorso va redatto in due copie originali:
Una copia che sconta l’imposta di bollo è notificata alla controparte
Una copia originale in carta semplice è depositata nella segreteria della commissione tributaria provinciale.
Il termine per il deposito del fascicolo (e cioè per la costituzione in giudizio) deve avvenire entro 30 giorni dalla notifica del ricorso alla controparte.
Questi due termini cioè quello della notifica e della costituzione in giudizio della parte ricorrente, sono (perentori) previsti a pena d’inammissibilità del ricorso.
Siamo nella fase in cui il contribuente ha notificato alla controparte (parte resistente) il ricorso in uno dei tre modi che sappiamo possono essere utilizzati per perpetuare la notifica.
A questo punto viene da chiedersi come reagisce la parte resistente?
La parte resistente, nei cui confronti è stato proposto il ricorso, si costituisce in giudizio mediante le cosiddette contro deduzioni. Il termine per costituirsi in giudizio è di 30 giorni decorrenti dalla notifica del ricorso.
Questo termine, si deve precisare, non è perentorio ma dilatorio (o ordinatorio). Ordinatorio o dilatorio vuol dire che il mancato rispetto di questo termine non è sanzionato in modo diretto perché non inficia la situazione processuale della parte resistente. Però il non costituirsi in giudizio entro i termini per la parte resistente comporta una conseguenza piuttosto negativa che è quella di essere considerata contumace. L'essere contumace è una posizione assai sfavorevole perché il processo continua pur in assenza (in questo caso) della parte resistente, la quale non ha nemmeno il diritto alle comunicazioni e notificazioni. Ad esempio se la parte ricorrente chiede un rinvio sia che il giudice rinvii a data fissa o a un ruolo, la parte ricorrente che è presente lo saprà mentre la parte resistente che non lo è non lo potrà ma non sapere perché non verrà avvisata.
A tal proposito il ministro delle finanze ha emanato una circolare a tutti gli uffici nella quale, sostanzialmente, s’impone agli uffici periferici di costituirsi in giudizio entro i termini previsti.
CONTRODEDUZIONI
La parte resistente si costituisce in giudizio mediante il deposito presso la segreteria della commissione tributaria provinciale delle contro deduzioni. Le contro deduzioni contengono le argomentazioni che si oppongono alle motivazioni del ricorso e quindi le prove di cui l'amministrazione finanziaria intende avvalersi per esempio scritture contabili processo verbale di contestazione.
DOMANDA: se il termine è ordinatorio fino a quando la parte resistente si può costituire validamente in giudizio?
La parte resistente si può costituire in giudizio utilizzando l'ultimo termine che riguarda le parti entro il quale si possono depositare dei documenti scritti. Questo termine, è perentorio, ed è di dieci giorni liberi prima dell'udienza. Un termine è libero quando non si tiene conto nella sua determinazione né del termine iniziale (dies a quo) né del termine finale (dies a quem).
Il Presidente della Commissione tributaria assegna il ricorso alle varie sezioni.Assegnare il ricorso significa che il presidente della commissione sceglie la sezione che dovrà risolvere quella controversia.
Il presidente della sezione procede ad un esame preliminare il quale può essere considerato un filtro attraverso il quale devono passare i ricorsi per valutare se questi sono ammissibili o meno.
La previsione di questo filtro si giustifica perché così si evita che la commissione debba occuparsi di ricorsi manifestamente inammissibili. Si deve precisare che nell'ambito di questa attività il presidente della commissione non giudica ma si limita solamente a controllare se il ricorso è ammissibile o meno.
In ricorso infatti può essere o:
ammissibile: se è ammissibile il presidente della sezione fissa l'udienza che sarà comunicata alle parti almeno 30 giorni prima dell'udienza stessa;
inammissibile: il presidente della sezione in questo caso emette un decreto motivato con il quale dichiara l'inammissibilità del ricorso.
In questa seconda ipotesi, cioè nel caso in cui venga dichiarata inammissibilità del ricorso il ricorrente può impugnare il decreto emesso dalla presidente tramite uno strumento il cosiddetto "reclamo" che va presentato alla stessa commissione della sezione il cui Presidente ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso.
A questo punto la commissione tributaria si pronuncerà sull'ammissibilità o meno del ricorso. Se la commissione continua a ritenere il ricorso inammissibile emette un atto, che si chiama ordinanza, che non è impugnabile.
Se, invece, la commissione dichiara il ricorso ammissibile la commissione stessa fissa l'udienza è la segreteria, almeno 30 giorni prima dell'udienza stessa, dovrà comunicare questa data alle parti.
I CASI DI INAMMISSIBILITA' DEL RICORSO
IL ricorso è inammissibile quando:
La data dell'udienza deve essere comunicata dalla segreteria della commissione almeno 30 giorni prima della data fissata. Se non viene rispettato questo termine, la parte che dimostra che la comunicazione è pervenuta dopo 30 giorni ha diritto ad un rinvio dell'udienza di almeno altri 30 giorni decorrenti dalla data fissata per l'udienza, affinché la parte stessa possa predisporre le proprie difese. Il giudice può rinviare l'udienza solo su istanza di parte.
le parti oltre a poter utilizzare le armi tipiche ossia per il ricorrente il ricorso e per la parte resistente le contro deduzioni, possono ulteriormente rafforzare la propria posizione utilizzando altri strumenti quali:
N.B. le brevi repliche sono le risposte alle memorie illustrative si possono presentare solo se è non c'è una discussione orale perché se c'è' la pubblica udienza le brevi repliche si espongono oralmente.
TRATTAZIONE IN CAMERA DI CONSIGLIO
in camera di consiglio le parti non sono chiamate a presenziare tuttavia la comunicazione dell'udienza deve essere effettuata ugualmente affinché è le parti possono presentare istanza affinché la discussione avvenga in pubblica udienza
TRATTAZIONE IN PUBBLICA UDIENZA
Nella trattazione in pubblica udienza le parti sono ammesse alla discussione cercando però di essere il più sintetici possibili.
Subito dopo la discussione in pubblica udienza, il giudice delibererà la decisione in segreto in camera di consiglio.
IL GIUDIZIO CAUTELARE
Fino alla riforma del 1996 le commissioni tributarie aveva il potere di annullare gli atti, ma stranamente era loro vietato sospendere gli effetti dell'atto impugnato. Quindi nelle more del processo le commissioni tributarie non potevamo sospendere gli effetti dell'atto impugnato. Dopo la riforma del 1996 il potere di sospendere gli effetti dell'atto impugnato fu attribuito alle commissioni tributarie.
Il giudizio cautelare è incidentale rispetto al giudizio principale che si instaura con ricorso.
Per ottenere la sospensione il ricorrente deve formulare istanza e dimostrare l'esistenza dei due requisiti (ciò in base all'articolo 47 del codice tributario):
La sospensione può essere a termine, ad esempio per un anno, oppure se il giudice non dice nulla con la sospensione vale fino alla pubblicazione della sentenza. La sospensione può essere subordinata a che il ricorrente presti idonea garanzia. Quest'ultima previsione è priva di senso perché è una contraddizione perché se il ricorrente ha la possibilità di prestare idonea garanzia è come se non si trovasse in uno stato di necessità quindi salterebbe il requisito della gravità del danno.
La sospensione è concessa dal giudice tributario di primo grado (che la commissione tributaria provinciale formata da 5 membri) però in casi di particolare urgenza il presidente della sezione da solo può concedere la sospensione. In questo caso la sospensione vale fino a quando la commissione si riunisce integralmente e si pronuncia sulla possibilità di concedere o meno la sospensione.
Urgenza significa che, dopo aver dimostrato la sussistenza dei due requisiti, bisogna anche che il ricorrente dimostri che è la gravità e l'irreparabilità del danno dipendono dalla velocità della pronuncia sulla sospensione.
Ad esempio l'urgenza c'è quando si chiede la sospensione dell'iscrizione al ruolo. Infatti, in caso di iscrizione a ruolo le conseguenze negative per il contribuente sono molte perché, trascorsi 60 giorni il concessionario per il servizio della riscossione può chiedere il pagamento immediato, questo perché il ruolo è un titolo esecutivo, per cui se la commissione concedesse la sospensione dopo 60 giorni, questa perderebbe valore, non avrebbe più alcun senso, per evitare questo ecco che quando ricorre l'urgenza il Presidente della sezione può concedere la sospensione fino a quando non si pronuncerà la commissione nella sua interezza.
LA CONCILIAZIONE GIUDIZIALE
La conciliazione giudiziale, come l'autotutela e l'accertamento con adesione, è uno strumento nato per diminuire il contenzioso. Infatti, sono denominati strumenti deflattivi del processo tributario, tendenti dunque, a diminuire il numero dei processi tributari.
Ricordiamo brevemente:
L'autotutela è uno strumento deflattivo in quanto l'amministrazione, esercitando il suo potere di autotutela, può ritirare l'atto e pertanto il processo non inizierà
L'accertamento con adesione è uno strumento deflattivo nel senso che inibisce l'inizio del processo perché, se si raggiunge l'accordo tra contribuente ed amministrazione finanziaria non si presenta il ricorso.
Quindi possiamo dire che sia l'autotutela sia l'accertamento con adesione esplicano la loro forza deflattiva prima ancora che il giudizio abbia inizio quindi possiamo dire in altri termini che inibiscono l'inizio del giudizio stesso.
La conciliazione giudiziale serve affinché le parti possano mettersi d'accordo.
La situazione è la seguente: è stato notificato un atto ad un soggetto e questo lo ha impugnato, nelle more della decisione le parti possano conciliare, cioè possono cercare di chiudere la controversia. Anche in questo caso ovviamente, l'amministrazione finanziaria non rinuncia alla pretesa tributaria (che è legata alla capacità contributiva): come allora interviene un accordo? L'amministrazione finanziaria rinuncia solamente a quei rilievi che a suo avviso non avrebbero superato il vaglio del giudice tributario (9 così come avveniva nell’accertamento con adesione).
Esistono due forme di conciliazione giudiziale:
vantaggi del ricorrente:
vantaggi per l'amministrazione finanziaria
Lo strumento della conciliazione è usato pochissimo perché è prevedibile chiudere con l'accertamento con adesione.
MEZZI DI IPUGNAZIONE( delle sentenze di primo grado)
I mezzi di impugnazione sono 3, 2 ordinari e 1 straordinario.
La revocazione è un mezzo di mezzo di impugnazione straordinario perché per revocazione possono impugnarsi le sentenze non più impugnabili oppure le sentenze che sono passate in giudicato perché sono scaduti i termini per l'impugnazione.
Le ipotesi per cui è ammissibile il ricorso per revocazione sono tassativamente elencate dall'articolo 395 del codice di procedura civile ad esempio nel caso di dolo del giudice.
L' appello mezzo di impugnazione ordinario davanti alla commissione tributaria regionale.
I termini per impugnare sono due:
Il termine breve è di 60 giorni decorrenti dalla notifica della sentenza. La notifica deve avvenire a cura delle parti quindi, in altri termini, chi ha interesse a notificare notificherà la sentenza.
Il termine lungo è di un anno decorrente dalla pubblicazione della sentenza. Una sentenza si considera pubblicata quando viene depositata in segreteria. Il termine lungo, quindi, scatta automaticamente: esso serve ad evitare che le parti siano inattive e quindi che il processo resti aperto fine sine die illimitatamente.
Osservazione: la norma invero parla di 1 anno e 46 giorni tuttavia dal primo agosto al 15 settembre c'è la sospensione feriale di fatto è un anno.
I due termini si deve precisare sono concorrenti tra loro, per cui il primo dei due che scade trascina con sé anche l'altro. Quando ad un soggetto viene notificata la tendenza, in quello stesso istante scade assieme al termine breve anche il termine lungo. L'esempio vale anche al contrario: per cui quando scade il termine lungo trascina con sè anche il termine breve.
La notifica vale solo contro chi l'ha subita per il quale vale il termine breve. Infatti la parte che riceve la notifica avrà il termine di 60 giorni oltre il quale non può andare; la parte invece che non ricevono la notifica avrà il termini più lungo di una anno e 46 giorni.
NOZIONE DI PARTE SOCCOMBENTE
E' parte soccombente chi ha perso in primo grado e, quindi, chi ha visto rigettato il primo motivo del ricorso. Se non viene accolta la prima richiesta ad esempio l'annullamento dell'atto già si è parte soccombente anche se le altre richieste sono state accolte.
MODALITA' PER PRESENTARE L'APPELLO
Le modalità per presentare l'appello sono le stesse del ricorso, per cui si deve notificare l'appello alla controparte entro il termine lungo o il termine breve. Anche con l'appello ci si deve costituire il giudizio entro trenta giorni dalla notifica dell'appello con il deposito in segreteria del fascicolo che conterrà l'appello e la sentenza impugnata.
La parte appellata s'è anch'essa soccombente può proporre appello incidentale.
Il giudizio di appello davanti alla commissione tributaria regionale
il giudizio di appello avviene davanti alla commissione tributaria regionale senza che le parti sono presenti a meno che le parti stesse non chiedano con apposita istanza che la discussione avvenga in pubblico udienza.
IL RICORSO IN APPELLO
ELEMENTI DELL'APPELLO
Gli ELEMENTI: sono gli stessi del ricorso;
Anche in appello, così come avviene per il ricorso, si possono presentare:
C’è però un elemento in più che non esiste negli elementi del ricorso che è la narrativa o (come nel c. pr. civ.) l’esposizione sommaria dei fatti che sono successi da quando è iniziata la controversia all’appello (il cuore centrale del ricorso, invece, i motivi). Altra piccola differenza è questa: nell’appello i motivi non devono essere semplicemente motivi, “motivi specifici”, l’appellante deve cioè uno per uno contestare in modo specifico le parti della sentenza che vuole annullate.
GLI ATTI DELLA PARTE APPELLATA:
CONTRODEDUZIONI: stesso rito delle contro deduzioni della parte resistente (v. ricorso);
APPELLO INCIDENTALE. L’appello può essere di tre tipi:
È PRINCIPALE l’appello che si presenta per primo.
È INCIDENTALE TEMPESTIVO l’appello che si presenta per secondo.
Così se ci sono 2 appelli ci sono 2 soccombente. Il primo dei due che lo notifica all’altro, il suo appello si chiama principale; il secondo che lo presenta si chiamerà incidentale tempestivo.
Se l’appello o gli appelli vengono presentati rispettando i termini vengono chiamati rispettivamente appello principale ed appello incidentale tempestivo. A parte il nome, i due appelli sono identici, per cui il giudice ne tiene conto nello stesso identico modo.
È APPELLO INCIDENTALE TARDIVO quell’appello che viene presentato non rispettando i termini per l’appello.
Obiettivo del legislatore è quello di evitare il processo, quindi, si dice che l’appello incidentale tardivo è un deterrente alla litigiosità.
OSSERVAZIONE: non vengono rispettati i termini previsti per l’appello.
Ad es.:
dichiarato: 600 → soggetto D
accertato: 1000 → soggetto A
sentenza: 800
Se presenta appello solo D, il giudice deciderà solo tra 600 e 800 (→ questo è il limite del giudice).
Se presenta appello solo A, il giudice deciderà solo tra 800 e 1000 (→ che è la richiesta di A).
Se l’appello è presentato da A e D, il giudice deciderà solo tra 600 e 1000.
Il potere del giudice è, quindi, delimitato dalla domanda delle parti.
D (dichiarante) presenta appello; il giudice deciderebbe solo fra 800 e 600. D deve proporre appello notificandolo alla controparte, che non vuole più litigare.
A si vede notificato l’appello. A sa che se lui e, quindi, fra il dichiarato (600) ed il deciso (800); pertanto per A la sentenza di 2° grado potrà essere solo peggiorativa.
La legge prevede a vantaggio di A (che non voleva più litigare) un mezzo di tutela, l’appello incidentale tardivo, chiedendo 1000; a quel punto il giudice dovrà di nuovo decidere fra 600 e 1000.
L’appello incidentale tardivo è, pertanto, un deterrente alla litigiosità, perché serve ad evitare che le parti presentino appello.
DOMANDA: allora non c’è nessuna differenza tra presentare appello principale ed appello incidentale tempestivo e tra presentare appello principale ed appello incidentale tardivo?
Nella sostanza non c’è differenza, ma mentre l’appello principale e l’appello incidentale tempestivo sono assolutamente indipendenti l’uno dell’altro, il rapporto che c’è tra appello principale ed appello incidentale tardivo è diverso, nel senso che l’appello incidentale tardivo tare la sua legittimità dall’appello principale, per cui se si scopre che l’appello principale è inammissibile il vizio inficerà anche l’ appello incidentale tardivo; di conseguenza, il presupposto dell’appello incidentale tempestivo è la presentazione è la presentazione dell’appello principale. Tuttavia, il fatto che il vizio si ripercuota sull’appello incidentale tardivo è un vantaggio per l’appellante incidentale tardivo che non voleva litigare.
MODALITÁ DI PRESENTAZIONE: va notificato all’altra parte entro 60gg. dalla notifica dell’appello principale. Entro i successivi 30gg. si deve depositare l’appello presso la segreteria al fine di costituirsi in giudizio.
Fonte: http://spol.unica.it/didattica/Rau/Diritto%20tributario/LE%20FONTI%20DEL%20DIRITTO%20TRIBUTARIO%201.doc
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