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le fonti nella prospettiva del diritto positivo italiano ed europeo
Sezione I – Le fonti dell’ordinamento nazionale
1. Il problema dell’individuazione delle fonti
L’ordinamento giuridico statale determina le proprie fonti di legge attraverso le norme sulla produzione che hanno per oggetto icomportamentiabilitatiacrearediritto. L’unico elenco delle fonti è contenuto nelle Disposizioni sulla legge in generale (premesse al Codice Civile del 1942), ed include in ordine gerarchico:
Tale elenco ha subito un rapido invecchiamento.
Nella vigente Costituzione solo la legge e gli atti con forza di legge sono previsti e parzialmente disciplinati. Il sistema delle fonti a livello secondario costituisce un sistema aperto in quanto tali fonti non sono menzionate sulla Carta.
1.1 I casi dubbi
Per stabilire se un comportamento umano sia in grado di produrre regole giuridiche che entrano a comporre il diritto lo Stato, non possono ritenersi sufficienti gli elementi formali. I casi dubbi riguardano soprattutto le fonti secondarie che non essendo menzionate dalla carta costituzionale vengono disciplinate a seconda dei casi e in modo diverso.
1.2 La rilevanza pratica dell’individuazione delle fonti dell’ordinamento dello Stato
ovvero
presenta rilevanti conseguenze pratiche: solo nel primo caso, infatti, si applica il Principio juranovitcuria: le parti non hanno l’onere di dimostrare l’esistenza ed il contenuto delle norme invocate ed il giudice è vincolato a ricavare ed interpretare d’ufficio le norme da applicare al caso concreto. I giudici sono soggetti soltanto alla legge; hanno l’obbligo di procedere all’annullamento, alla disapplicazione od alla rimessione alla Corte costituzionale per l’annullamento delle norme viziate. Ricorso alla Cassazione: inosservanza o falsa applicazione di norme di diritto o di norme giuridiche. Violazione di legge: invalidità degli atti amministrativi.
2. I criteri di interpretazione
Criteri di interpretazione:
3. Le lacune
L’Ordinamento giuridico dello Stato si caratterizza per la sua pretesa di completezza o di assenza di lacune: ciò significa che un giudice non può astenersi dal decidere motivando che non si trova una regola applicabile alla fattispecie. Esistono delle norme di chiusura che consentono di ricavare dal sistema una regola ad essa applicabile:
• analogia legis: se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe.”
• analogia juris: se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato”
Tuttavia per le norme penali esiste il divieto di analogia che comporta l'esclusione dell'esistenza del reato in caso di mancanza della specifica fattispecie penale
4. I criteri di risoluzione delle antinomie nel diritto positivo italiano
Risoluzione delle antinomie: eliminazione dei contrasti tra le diverse regole di condotta presenti nello stesso ordinamento. I criteri adottati sono:
• criterio cronologico: disciplina il contrasto tra norme prodotte da fonti entrate in vigore in momenti diversi ed aventi lo stesso grado gerarchico ed identica competenza. In base a tale criterio prevale e deve essere applicata la norma contenuta nell'atto più recente, mentre quello anteriore viene abrogata (lex posterior abrogat priori).
L'abrogazione di una norma può essere:
• espressa:
• tacita:
o per incompatibilità
o per nuova disciplina dell'intera materia
quanto agli effetti, l'abrogazione non incide sulla validità (intesa come conformità ad un parametro normativo), ma sull'efficacia della norme (ossia sulla loro capacità di produrre effetti giuridici) circoscrivendola nel tempo, cioè, la norma abrogata continua ad applicarsi alle fattispecie che si sono verificate prima dell'entrata in vigore dell'atto abrogativo (ex nunc).
Il criterio cronologico non opera qualora la norma anteriore abbia il carattere della specialità (lex posterior generalis non derogat priori speciali)
• criterio gerarchico: presuppone un rapporto gerarchico tra due soggetti due organi, sostanziandosi nella prevalenza della volontà e degli atti dell'organo superiore. Il contrasto tra le leggi e le norme costituzionali è sindacato in via esclusiva dalla Corte Costituzionale e l'illegittimità dei regolamenti è dichiarata soltanto dai giudici amministrativi (Tar e Consiglio di Stato). L’atto soccombente viene annullato, il che produce effetti retroattivi (ex tunc)
• criterio della competenza: trova applicazione là dove le fonti vengono differenziate per l’ambito di attività normativa spettante a ciascuna di esse.
5. Le singole fonti nazionali: la Costituzione formale e le leggi di revisione costituzionale
La Costituzione italiana, in senso documentale e formale, è entrata in vigore il 1° gennaio 1948.
E’ fonte originaria, nasce e si impone come fonte extra ordinem e si colloca al primo posto nella scala gerarchica delle fonti. Costituzione rigida e garantita: prevede un procedimento di revisione aggravato rispetto a quello legislativo ordinario ed un controllo di costituzionalità.
Procedimento di revisione: (art. 138 Cost) prevede una duplice approvazione da parte di ciascuna Camera a distanza non inferiore di tre mesi. Riserva di Assemblea: divieto di approvazione del progetto in Commissione deliberante o redigente. Dopo l’approvazione da parte di entrambe le Camere, vi è una sospensione di almeno tre mesi, assicurando nel procedimento una pausa di riflessione. Successivamente si procede alla seconda approvazione nel quale il testo o viene approvato con le maggioranze oppure il procedimento si interrompe. Se, nella seconda approvazione, si raggiunge la maggioranza di almeno 2/3 degli aventi diritto al voto, le legge costituzionale viene promulgata dal Presidente della Repubblica e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, ed entra in vigore il 15° giorno successivo alla pubblicazione. Se, invece, si ottiene almeno la maggioranza assoluta (maggioranza degli aventi diritto al voto) si procede ad una pubblicazione notiziole del testo sulla Gazzetta e da quel momento decorre un termine dei tre mesi entro il quale 1/5 dei membri di una Camera, 500.000 elettori o 5 Consigli Regionali possono chiedere lo svolgimento di un referendum. Si procede, poi, alla promulgazione da parte del presidente della repubblica e ad una seconda pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, solo se spira il termine senza che nessuno richieda il referendum o se il referendum è approvato dalla maggioranza dei voti validi.
5.1 I limiti alla revisione costituzionale
Non tutte le norme costituzionali possono essere modificate attraverso il procedimento precedente, alcune necessitano di procedimenti particolari (fonti rinforzate o depotenziate) altre invece sono del tutto immodificabili. L’unico limite espresso è previsto dall’art. 139 Cost. per il quale “la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale” (in quanto tale forma è stata decisa dal referendum del 2 giugno 1946 sfuggendo così alla competenza dell’Assemblea Costituente). Tra i limiti impliciti sono inquadrabili le norme che prevedono l'inviolabilità di alcuni diritti costituzionali (diritti inalienabili della persona umana) e l'indivisibilità della Repubblica.
6. Le altre leggi costituzionali
Mentre le leggi di revisione costituzionale hanno ad oggetto il diritto formulato nella Carta costituzionale, consistendo in uno stabile mutamento delle disposizioni costituzionali, le altre leggi costituzionali comprenderebbero quelle in rottura o in deroga alla Costituzione e quelle che disciplinano materie od oggetti coperti da riserva di legge costituzionale.
Si ha una legge in rottura alla Costituzione allorché il contrasto abbia carattere promissorio, temporaneo e puntuale.
La riserva può essere rafforzata nella forma o nel contenuto.7. La legge come atto formale
Si intende per Legge:
o insieme delle norme dell’ordinamento giuridico dello Stato;
o qualsivoglia fonte di rango primario;
o una specifica fonte-atto deliberata dalla Camere o dai Consigli regionali o le norme da essa prodotte.
La Costituzione ha introdotto dei limiti teleologici al potere legislativo, prevedendo che alcune leggi abbiano l’obbligo o il divieto di perseguire determinati scopi.
Legge meramente formale: non ha carattere normativo solo nell’ipotesi in cui l’atto, pur avendo seguito l’iter legislativo, sia costituito da enunciati linguistici impossibili, incomprensibili o contradditori.
7.1 Le leggi personali e le leggi-provvedimento
Problema della costituzionalità delle leggi personali (riguardano soggetti determinati) e delle leggi-provvedimento (stabiliscono le norme del caso singolo) art. 97 e 113 in cui si può rinvenire il divieto a queste leggi.
7.2 La riserva di legge
Riserva di legge: tutti quei casi in cui la Costituzione attribuisce la disciplina di una determinata materia alla legge formale e agli atti aventi valore di legge, sottraendola alle fonti ad essa subordinate. Le materie coperte da riserva di legge possono essere regolate dagli atti con valore di legge, ma non mancano ipotesi in cui la riserva è circoscritta alla legge parlamentare. Ciò accade laddove attraverso la legge venga svolta una funziona di controllo da parte delle Camere sull’operato del Governo. La riserva di legge è strumentale alla partecipazione delle minoranze alla formazione dell’atto regolativo della materia e alla trasparenza e alla pubblicità che è costituzionalmente prevista per i lavori delle Camere. Le Riserve di legge possono essere:
• assolute ricorrono allorché l’intera disciplina della materia è riservata alle fonti primarie.
• relative nei casi in cui è sufficiente che la legge stabilisca i principi della disciplina.
Altra distinzione è tra Riserve:
• semplici: la Costituzione si limita a riservare la disciplina della materia alla legge senza introdurre prescrizioni sostanziali.
• rinforzate: la Costituzione stabilisce non solo la forma ma anche una parte del contenuto della fonte.
7.3 Procedimento legislativo
La legge come atto-fonte si caratterizza per la propria forma, ossia per il suo procedimento di approvazione e per la veste esteriore. Esso è disciplinato dalla Costituzione e dai regolamenti parlamentari. L’organo deliberante l’atto è il Parlamento; alle Camere si attribuisce la funzione legislativa. Ma il procedimento coinvolge anche altri organi e si articola in 4 fasi: l’iniziativa, l’istruttoria, la fase deliberativa e quella perfettiva o integrativa dell’efficacia.
1. Iniziativa: presentazione alla presidenza di una delle assemblee di un progetto redatto in articoli, spetta solo agli organi indicati nella Costituzione:
1. Governo: L’esercizio di tale potere è riservato al Consiglio dei Ministri e deve essere autorizzato dal Presidente della Repubblica.
2. Ciascun membro delle Camere
3. 50.000 elettori
4. Consigli regionali
5. Consiglio nazionale dell’economoia e del lavoro CNEL.
2. Istruttoria o preparatoria: assegnazione del progetto ad una commissione.
3. Approvazione del progetto: può seguire sub-procedimenti diversi:
a. per commissione referente - la commissione, dopo una fase istruttoria, riferisce all'assemblea sulla base di una o più relazioni. L'aula approva secondo il sistema delle tre letture:
i. discussione generale
ii. approvazione articolo per articolo
iii. approvazione finale
b. per commissione deliberante - il progetto viene direttamente approvato dalla commissione con il sistema delle tre letture e a maggioranza semplice
c. per commissione redigente - le commissione formula un testo definitivo, discutendo e votando gli emendamenti. L’Assemblea si limita all'approvazione dei singoli articoli e all'approvazione finale
d. per procedimento di urgenza.
il progetto, una volta che è stato approvato da un ramo del Parlamento, viene trasmesso al Presidente dell’altra Camera. Qualora vengano introdotti uno più emendamenti il progetto ritorna alla Camera di provenienza finché non si raggiunge l'approvazione di un testo identico da parte di entrambe le Camere.
4. Perfettiva o integrativa dell’efficacia: approvato il testo da ambedue le Camere inizia questa fase con l’invio al Presidente della Repubblica di un messaggio attestante il procedimento svoltosi. Da quel momento decorre il termine di trenta giorni entro il quale il capo dello Stato può chiedere una nuova deliberazione alle Camere (rinvio). Dopo la promulgazione la legge acquista esecutorietà almeno per due organi: il Presidente della Repubblica ed il Governo, divenendo obbligatoria per tutti solo dopo 15 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
7.4 Le leggi rinforzate
Per alcune leggi la Costituzione prevede un procedimento diverso , solitamente aggravato (o rinforzato) dalla previsione di una fase ulteriore del procedimento o di una maggioranza diversa per l’approvazione dell’atto. Esempio di leggi rinforzate sono:
o Leggi che istituiscono nuovi Comuni o nuove Province che devono essere precedute da una richiesta degli enti locali, da un parere dei Consigli interessati e da un referendum delle popolazioni coinvolte
o Amnistia e indulto che prevedono la maggioranza qualificata nella votazione articolo per articolo e finale
o forme e condizioni particolari di autonomia per le Regioni ordinarie, che devono essere approvate dalle Camere a maggioranza assoluta
o leggi di esecuzione dei Patti lateranensi, necessitano di revisione costituzionale o accordo tra le parti
o leggi sulla condizione giuridica dello straniero: devono essere in conformità ai trattati internazionali
o rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose: necessitano intese con le rappresentanze religiose
8. Il decreto legislativo e la legge di delega: natura e procedimento
Il sistema delle fonti primarie è un sistema chiuso; tutte le fonti di questo rango devono essere espressamente previste dalla Costituzione. Nella categoria delle fonti primarie può inquadrarsi il decreto legislativo (o legge delegata) definito nella Costituzione (art 76 Cost) come un decreto avente valore di legge ordinaria, è dunque, una fonte-atto di rango primario. Il decreto presuppone una legge di delegazione da parte delle Camere al Governo, con la quale queste ultime gli trasferiscono l’esercizio della funzione legislativa.
8.1 Il decreto legislativo e la legge di delega: i limiti
L’art. 76 prevede tre limiti di contenuto delle leggi di delegazione, consistenti:
1. nella fissazione di un termine. Il mancato rispetto del termine comporta l'incostituzionalità del decreto legislativo
2. nell’indicazione di un oggetto definito e
3. nella determinazione dei principi e criteri direttivi (il grado di determinatezza è rimesso alla discrezionalità delle Camere).
Ad essi si devono aggiungere i limiti logici, ossia quelli che scaturiscono dalla stessa natura della delega. E’ suscettibile di delega tutto ciò che ricade nella competenza legislativa ordinaria.
8.2 I testi unici
Uno dei possibili (e frequenti) contenuti del decreto legislativo è rappresentato dalla raccolta, a carattere esaustivo, della legislazione vigente in un determinato settore: si tratta dei cosiddetti testi unici che talvolta prendono il nome di codici i quali sono atti tesi a raccogliere e riordinare in un unico testo la normativa vigente tenendo conto anche delle eventuali abrogazioni implicite.
9 Il decreto-legge
Decreto-legge: adottato dal Consiglio dei Ministri ed emanato dal Presidente della Repubblica, non è preceduto da una legge di delegazione; dopo la pubblicazione del decreto legge, il Governo deve presentare, il giorno stesso, un disegno di legge di conversione alle Camere, che si riuniscono entro 5 giorni. Se il decreto non è convertito entro 60 giorni dalla pubblicazione, perde efficacia ex tunc (sin dall’inizio). Secondo l’opinione prevalente il decreto-legge è considerato una fonte-atto di rango primario di competenza del Governo, a carattere provvisorio e giustificata dall’esigenza di disciplinare casi straordinari di necessità e d’urgenza.
Persuade, tuttavia, l’idea che esso sia una fonte-fatto nata extra ordinem (cioè senza delega delle camere). Sembra essere configurabile come un atto compiuto in carenza di potere e perciò invalido, ma efficace; certa è quantomeno l’esecutorietà, dubbia ne è invece l’obbligatorietà di osservanza (giacchè i destinatari della morma potrebbero “scommettere” sulla mancata conversione).
9.1 La legge di conversione
Ritenendo il decreto-legge una fonte-fatto di diritto scritto, la conversione in legge dovrebbe configurarsi come una conversione della fonte aveva (da fonte-fatto a fonte-atto). La legge di conversione ha l'effetto di stabilizzare gli effetti normativi prodotti dal decreto-legge. In mancanza di conversione il decreto-legge non può essere ripetuto in quanto la Corte ne ha sancito il divieto di reiterazione.
10. Il referendum abrogativo: la natura
Il Referendum abrogativo è un istituto di democrazia diretta ed è disciplinato nella nostra costituzione dall’art. 75 il quale Attribuisce agli elettori il potere di deliberare l’abrogazione di una legge o di un atto avente valore di legge. È inquadrabile nelle fonti del diritto e nelle fonti-atto di rango primario. Tale atto modifica l’ordinamento.
10.1 Il procedimento referendario
Potere di iniziativa: attribuito a 500.000 elettori (comitato di promotori) o a 5 Consigli regionali. Sul quesito vengono svolti i controlli di legittimità (competenza dell’Ufficio centrale della Corte di Cassazione) e di ammissibilità (attribuito alla Corte Costituzionale). Per la Corte, l’interruzione del procedimento referendario si verifica solo nelle ipotesi di abrogazione sufficiente. Successivamente alla raccolta di firme, viene indetto il referendum con un decreto del Presidente della Repubblica e per l'approvazione del quesito sono necessari un
o quorum strutturale, consistente nella partecipazione al voto della maggioranza degli aventi diritto al voto, ed un
o quorum funzionale, consistente nell'approvazione del quesito da parte della maggioranza dei voti validamente espressi.
In tal caso, il presidente della Repubblica dichiara, con un proprio decreto, l’avvenuta abrogazione che decorre dalla pubblicazione del decreto stesso nella Gazzetta Ufficiale.
10.2 I limiti all'ammissibilità del referendum
Il referendum abrogativo deve avere ad oggetto una legge o un atto avente valore di legge. Esso non riguarda pertanto né le fonti costituzionali né le fonti secondarie né le fonti regionali, né le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto e quelli di ratifica dei trattati internazionali. La formulazione delle richieste referendarie, la Corte esige che siano chiare, omogenee e coerenti.
11. L’atto sostitutivo delle leggi regionali
Atto sostitutivo da parte del Governo: questo può sostituirsi ad organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni, nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave, ovvero quando lo richiedano la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica.
12. I regolamenti parlamentari
I regolamenti parlamentari sono adottati da ciascuna Camera a maggioranza assoluta. Possono essere classificati tra le fonti del diritto dello Stato, per via dell’esistenza di norme di riconoscimento a livello costituzionale, il nomen juris e la pubblicazione dell’atto. Sono da configurare come fonti-atto di rango primario ed a competenza riservata.
13. I regolamenti degli altri organi costituzionali
I regolamenti relativi all'organizzazione interna ed al funzionamento degli altri organi costituzionali (presidenza della Repubblica, governo e corte costituzionale) non sono, a differenza dei regolamenti parlamentari, espressamente previsti dalla costituzione. Dunque, il regolamento interno al consiglio dei ministri e quelli della Presidenza della Repubblica sembrerebbero configurabili come fonti di natura secondaria e subordinati alla legge e agli atti con forza di legge, tuttavia le norme costituzionali a garanzia dell'indipendenza e dell'autonomia degli organi costituzionali sembrano presupporre un'autonomia normativa, in questa prospettiva, anche tali regolamenti dovrebbero configurarsi come fonti-atto di rango primario e a competenza riservata.
14. I regolamenti governativi
Regolamenti governativi: fonti-atto di natura secondaria; prevalgono sui regolamenti ministeriali o su quelli di altre autorità. I regolamenti possono essere annullabili da parte dei giudici amministrativi, essendo atti soggettivamente amministrativi. I regolamenti governativi sono approvati dal Consiglio dei Ministri e sono emanati con un decreto del Presidente della Repubblica, mentre i regolamenti ministeriali ed interministeriali sono adottati dal Ministro con un proprio decreto e previa comunicazione al Presidente del Consiglio. I regolamenti governativi sono classificati in 5 categorie:
1. di esecuzione: servono a rendere più agevole l'applicazione delle leggi,
2. di attuazione ed integrazione: vengano adottati quando le fonti di rango primario si limitino a porre una disciplina generale di principio,
3. indipendenti: regolano materie non coperte da riserva di legge e nelle quali non vi sia una disciplina di rango primario,
4. di organizzazione: hanno per oggetto l'organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni pubbliche che devono basarsi su una previa disposizioni di legge,
5. di delegificazione: rendono esecutiva l'abrogazione di norme previste da una precedente legge.
15. I contratti collettivi
Tra le fonti del diritto sono da menzionare anche i contratti collettivi di diritto pubblico stipulati dai sindacati registrati con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce. Tuttavia, poiché la legge non ha attuato la norma sulla registrazione dei sindacati ed essi non hanno acquisito pertanto personalità giuridica conservando però natura di associazioni non riconosciute, il loro potere contrattuale continua a produrre effetti solo per i rispettivi iscritti stipulando dei contratti collettivi di diritto comune efficaci solo per i lavoratori appartenenti al sindacato contraente.
Per quanto riguarda i contratti collettivi per la disciplina rapporto di pubblico impiego, essi vincolano tutti i dipendenti pubblici.
16. La consuetudine
Consuetudine: fonte-fatto non scritta, ha efficacia solo se la legge o il regolamento fanno ad essa rinvio; oppure qualora ci si trovi in una fattispecie non regolata da fonti costituzionali.
Consuetudini costituzionali:
• confermano la vigenza delle regole nei periodi di crisi degli ordinamenti;
• confermano la vigenza delle regole sulla produzione del diritto;
• costituiscono e stabilizzano i principi dell’ordinamento;
• integrano le lacune del diritto costituzionale vigente.
Per il formarsi di una consuetudine devono ricorrere due elementi:
1. la diuturnitas (ripetizione costante di un determinato comportamento) e
2. l’opinio juris (elemento psicologico; può definirsi come il convincimento della rispondenza del comportamento ad una norma giuridica).
Il venir meno di uno dei due provoca fenomeno della desuetudine (se viene meno l'elemento oggettivo) o la trasformazione in prassi o convenzione (se viene meno l'elemento psicologico)
17. Il rinvio a fonti di altri ordinamenti: le consuetudini internazionali
Le fonti dell'ordinamento internazionale (consuetudini internazionali e trattati) possono produrre diritto "dello Stato" solo a condizione che siano da quest'ultimo richiamate, attraverso la tecnica del rinvio (mobile e recettizio).
Rinvio mobile: appena nasce la norma nell'ordinamento internazionale, automaticamente si introduce nell'ordinamento dello Stato una norma corrispondente.
17.1 Le norme di adattamento ai trattati internazionali
Le norme di adattamento ai trattati sono immesse nell’ordinamento “dello Stato” attraverso un atto interno (e non automaticamente) che si limita a prevedere un ordine di esecuzione dell’accordo, il quale, rinvia per relationem, al trattato.
Per alcuni trattati occorre una legge di autorizzazione alla ratifica da parte del Presidente della Repubblica, con la quale lo Stato assume l’impegno internazionale.
L’autorizzazione delle Camere è richiesta:
• per gli accordi aventi natura politica,
• per quelli che prevedono arbitrati,
• che importino variazioni del territorio,
• oneri alle finanze o
• modificazioni di legge
Le norme di adattamento assumono il grado dell’atto contenente l’ordine di esecuzione (costituzionale, primario o secondario).
Sezione II
Le fonti dell’Unione Europea
18. Il problema dell’individuazione delle fonti
Le fonti dell’Unione Europea: il problema dell’individuazione delle fonti dell’ordinamento comunitario sembrerebbe molto agevole, perché se l’atto comunitario ha carattere generale sarebbe inquadrabile tra le fonti, in caso contrario farebbe parte del “diritto dell’Unione”.
Tuttavia, il criterio della generalità non può considerarsi sempre risolutivo, ma al più sintomatico della natura dell’atto. Tale indagine deve tener conto piuttosto degli elementi formali:
• Il nomen juris, in quanto atto denominato regolamento (che allude all’introduzione di regole);
• il procedimento di formazione (il coinvolgimento degli organi apicali dell’Unione Europea può già essere sintomo della natura normativa dell’atto);
• la pubblicazione dell’atto nella Gazzetta ufficiale della Comunità europea (devono essere pubblicati: gli atti, i regolamenti del Consiglio e della Commissione e le direttive delle stesse istituzioni rivolte a tutti gli Stati membri).
19. Rilevanza pratica dell'individuazione delle fonti comunitarie: cenni sull'interpretazione comunitaria
Il fatto che l’ordinamento italiano consideri alcuni atti prodotti dagli organi dell’Unione Europea anche ccome fonti del proprio ordinamento, ne comporta un corrispondente regime giuridico. Nel diritto italiano si applicano alle norme prodotte dalle fonti comunitarie le stesse regole previste per il diritto nazionale.
La Corte di Giustizia ha individuato alcune regole di interpretazione all’interno del proprio ordinamento:
• assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del Trattato: la violazione del Trattato costituisce vizio degli atti e dei comportamenti degli organi comunitari;
• obbligo di un’interpretazione conforme: si deve dare prevalenza a quella conforme al Trattato o agli accordi internazionali;
• regola dell’uniforme interpretazione del diritto comunitario: è sempre da preferire l’interpretazione che escluda disparità di trattamento tra i cittadini dell’Unione.
• Solo le norme del diritto comunitario concorrono alla formazione dei principi generali dell’ordinamento europeo.
20. Le singole fonti: i Trattati
Le fonti primarie dell’ordinamento europeo sono rappresentate dai Trattati delle Comunità e dell’Unione europea.
Esiste un Procedimento di revisione dei Trattati: l’iniziativa spetta ad ogni Governo e alla Commissione, i quali possono sottoporre un progetto di modifica al Consiglio. Quest’ultimo può esprimere parere favorevole alla convocazione di una Conferenza intergovernativa. Le modifiche apportate devono essere ratificate da tutti gli Stati membri.
20.1 Le fonti derivate
Il sistema della fonti europee presenta delle differenze basilari rispetto a quello degli ordinamenti costituzionali. I nomi utilizzati per gli atti non individuano dei tipi cui ricondurre uno specifico procedimento, una specifica efficacia e una determinata competenza: l’ordinamento comunitario pullula di fonti atipiche, e difetta però di quelle tipiche. La complessità dell’ordinamento è frutto di progressive stratificazioni normative perseguite mediante i vari trattati.
Le fonti comunitarie derivate si distinguono per il contenuto e l’efficacia dell’atto:
• I regolamenti sono atti abilitati a disciplinare interamente la materia assegnata alla loro competenza,
• le direttive, invece, debbono limitarsi a definire i fini da perseguire, lasciando al legislatore nazionale il compito di completare la disciplina comunitaria di principio.
20.2 I regolamenti
Regolamenti: hanno portata generale (valgono per tutti gli Stati membri) , sono obbligatori in tutti i loro elementi e sono direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri. Sono classificabili in:
• regolamenti attuativi dei Trattati e
• regolamenti di esecuzione di altre fonti derivate.
20.3 Le direttive
Direttive: sono espressione di una competenza normativa più limitata rispetto a quella regolamentare. Vincolano i propri destinatari solo “quanto agli obiettivi da raggiungere”.
I Trattati riservano agli Stati la competenza di attuazione delle direttive.
La disciplina delle direttive è idonea a rendere inapplicabili le norme interne con essa incompatibili. Le direttive vincolano non solo lo Stato-persona, ma tutti i soggetti titolari di potestà pubbliche e persino lo Stato quando agisce come datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti. Quello di cui sono privi tali atti è l’efficacia orizzontale, ossia la capacità di introdurre obblighi a carico dei privati. Allorché una direttiva riguardi rapporti fra privati l’adempimento non è esigibile nei confronti del provato, ma il titolare della situazione attiva può chiedere allo Stato il risarcimento dei danni.
20.4 Le decisioni
Decisione: obbligatoria in tutti i suoi elementi per i destinatari da essa designati. Si caratterizza per la portata individuale. Le decisioni rivolte ai singoli spettano alla Commissione, quelle indirizzate agli Stati spettano al Consiglio.
20.5 I trattati conclusi dagli organi comunitari
I negoziati sono condotti dalla Commissione e l’accordo è deliberato dal Consiglio eventualmente con il parere conforme del Parlamento europeo.
20.6 Gli altri atti
I trattati prevedono numerosi atti dei quali è dubbio l'appartenenza alle fonti del diritto comunitario, tra essi ricordiamo le raccomandazioni e i pareri, ambedue atti non vincolanti.
Tra gli atti atipici ricordiamo gli accordi interistituzionali: conclusi dagli organi apicali dell’organizzazione comunitaria e servono a colmare le lacune dei Trattati.
21. Il procedimento di formazione degli atti normativi comunitari
I Trattati comunitari prevedono 5 modelli procedimentali, cui vanno aggiunte alcune varianti (che dipendono sia dalla partecipazione di altri organi, sia dalla previsione di un diverso quorum funzionale).
1. procedura di adozione di un atto da parte della Commissione europea;
2. procedura di approvazione da parte del Consiglio dei Ministri, su iniziativa della Commissione;
3. la procedura precedente con in più la competenza consultiva del Parlamento europeo;
4. procedura di cooperazione: nella quale il Parlamento europeo ha il potere di opporsi alla deliberazione assunta dal Consiglio, proponendo eventuali emendamenti;
5. procedure di codecisione e di assenso: l’atto non può venire adottato senza l’assenso del Parlamento al quale è attribuito un potere di veto.
Il procedimento formativo è così idealmente articolabile in tre fasi:
1. iniziativa:
2. deliberazione (o costitutiva o di pronunzia):
3. integrazione dell'efficacia dell’atto (o perfettiva):
21.1 L'iniziativa
L’Iniziativa: configura una proposta in senso tecnico: atto attraverso il quale si avvia la sequenza procedimentale. Tale potere è attribuito alla Commissione, la quale può essere sollecitata dal Consiglio dei Ministri. L’iniziativa deve essere formulata secondo le caratteristiche strutturali comuni agli atti di iniziativa legislativa.
21.2 l'approvazione
L’approvazione: la fase deliberativa degli atti normativi comunitari consiste in un’attività consultiva e di proposta di emendamenti. Numerosi sono gli organi e le istituzioni che possono essere coinvolti nella predisposizione dell’atto. Finché il Consiglio non ha deliberato, può modificare la propria proposta in ogni fase delle procedure che portano all’adozione dell’atto comunitario. La titolarità del potere deliberativo può essere definita sulla base di una tripartizione degli atti:
a) quelli emanati dalla Commissione sulla base di una competenza ad essa attribuita;
b) quelli imputabili al solo Consiglio dei Ministri;
c) gli atti di codecisione e di assenso del Parlamento e del Consiglio.
Quanto agli atti del secondo tipo, è prevista la possibilità di intervento del Parlamento europeo attraverso la:
Procedura di cooperazione: l’attività normativa viene svolta con un coinvolgimento diretto del Parlamento, il quale ha il potere di pronunciarsi sulla deliberazione del Consiglio. Nel caso in cui la respinga o proponga un emendamento, se il Consiglio vuole comunque approvare l’atto senza uniformarsi alle richieste del Parlamento, deve necessariamente pronunciarsi all’unanimità, a meno che gli emendamenti dnon siano stati accolti dalla Commissione. Il tale procedura, anche se il Parlamento non può imporre al Consiglio il contenuto della deliberazione, può comunque costringerlo a seguire un iter decisionale aggravato.
Procedura di codecisione: il Parlamento europeo può intervenire sul contenuto prescrittivo dell’atto, sia negoziando la formulazione della disciplina con il Consiglio, sia impedendo la stesa adozione dell’atto. Il Parlamento esercita un potere di veto anche nella procedura di assenso. Comunque il Parlamento non si trova mai sullo stesso piano del Consiglio, in quanto è quest’ultimo a definire la posizione comune iniziale sulla quale il Parlamento è chiamato pronunciarsi.
Procedura di assenso: è richiesto il parere conforme del Parlamento che può esercitare un potere di veto. Il Parlamento non ha altro potere se non quello di approvare o respingere l’atto.
21.3 I requisiti formali dell'atto e l'integrazione dell'efficacia
Integrazione dell’efficacia: il procedimento di formazione degli atti comunitari necessita del riferimento alle proposte o ai pareri richiesti in esecuzione del Trattato (esigenza di controllo della legalità) e la motivazione. Negli ordinamenti nazionali la motivazione viene obbligatoriamente richiesta per gli atti amministrativi. Viceversa gli atti normativi primari sono tradizionalmente privi di motivazione, poiché hanno natura politica. La motivazione degli atti normativi comunitari può essere assai contenuta.
Anche gli atti normativi dell’UE sono soggetti ad una pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’UE, ed alla vacatio (fase di integrazione di efficacia).
Per gli atti rivolti a singoli Stati, o a destinatari determinati, si prevede, inoltre l’istituto della notificazione.
22. Il sistema europeo delle fonti tra gerarchia e competenza
Difficile risoluzione delle antinomie criterio della gerarchia e della competenza ?
Nel sistema delle fonti del diritto europeo, gli atti (regolamenti, direttive, decisioni) sono collocati secondo il duplice criterio della gerarchia e della competenza, infatti, sul piano dell’articolazione gerarchica i regolamenti e le direttive sono generalmente subordinati alla disciplina pattizia (detta anche primaria). La potestà normativa degli organi comunitari si esplica, infatti, nell’ambito della competenza fissata dai trattati e nei limiti – formali e sostanziali - stabiliti convenzionalmente (anche se vi sono alcune eccezioni).
In via preminente opera, dunque, il criterio della competenza, attraverso il quale le singole materie e le diverse funzioni vengono distribuite tra gli atti comunitari derivati (soprattutto regolamenti e direttive).
23.Le fonti comunitarie nella prospettiva del trattato costituzione per l'Europa
Trattato-Costituzione: non ancora entrato in vigore. La costituzione europea rimane un trattato e si sostituirà ai Trattati dell’Unione e della Comunità. Prevede: che per alcune modifiche sia sufficiente l’approvazione all’unanimità da parte del Consiglio europeo; un sistema delle fonti nel quale si introduce una gerarchia formale al vertice della fonti derivate vi saranno la legge europea e la legge-quadro europea in posizione subordinata a tali leggi si porranno i regolamenti di esecuzione e delegati. Gli organi con competenza regolamentare saranno il Consiglio dell’Unione e la Commissione.
24. La collocazione degli atti comunitari
La competenza normativa comunitaria derivata sarebbe governata dal:
Principio di attribuzione: la determinazione di ciascuno dei singoli oggetti dell’attività normativa sopranazionale dovrebbe risultare dall’espressa e puntale abilitazione da parte del Trattato. Tuttavia la determinazione delle specifiche attribuzioni non proviene da una precisa enumerazione delle materie, ma dalla sovrapposizione di più criteri, spesso concorrenti. Il risultato è una disciplina delle potestà comunitarie lacunosa, spesso incerta, e ancora in divenire. A ciò si aggiungano due fattori che hanno fortemente accresciuto la tendenza espansiva delle competenze comunitarie:
• l’interpretazione evolutiva ed integrativa della Corte di Giustizia, sia nel senso della dilatazione dell’efficacia precettiva delle norme patrizie, sia attraverso l’estensione degli stessi contini delle competenze comunitarie
• il ricorso alle procedure di cui all’art 308 TUE secondo cui “quando un’azione della Comunità risulti necessaria per raggiungere uno degli scopi della Comunità, senza che il Trattato abbia previsto i poteri d’azione richiesti, il Consiglio prende le disposizioni del caso”.
Principio di sussidiarietà: nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi previsti non possono essere realizzati dagli Stati membri e possono dunque essere realizzati meglio a livello comunitario.
Ordinamento comunitario = sistema tendenzialmente aperto all’integrazione degli organi comunitari.
Quali sono le norme nazionali poste a fondamento dell’effetto diretto delle norme sopranazionali? Esse si trovano nel nostro diritto costituzionale. L’ordinamento italiano è un sistema chiuso a livello di fonti primarie, così la Corte Costituzionale ha riconosciuto nell’art.11 Cost. il fondamento positivo dell’adesione dell’Italia alle Comunità europee. Tale disposizione giustificherebbe la scelta di operare nelle limitazioni di sovranità in favore di ordinamenti sovranazionali.
Le norme comunitarie operano direttamente nell’ordinamento interno. Tali fonti sono fin dall’origine indirizzate a regolare i rapporti infrastatuali. La Corte di Giustizia ha affermato che le norme comunitarie sono indirizzate a regolare i rapporti sia tra i privati, sia tra i privati e le amministrazioni statali.
Le norme comunitarie producono direttamente effetti interni. Ma come si determinano tali effetti? Sono state proposte tesi diverse:
• tesi del rinvio mobile: esisterebbe un dispositivo di rinvio mobile tra diritto interno e comunitario che permetterebbe al nostro stato di appropriarsi di norme di un altro Stato. Tale ipotesi risulta inadeguata proprio per la peculiarità del fenomeno comunitario. Infatti la norma dovrebbe pre-esistere ed essere operante nell’altro ordinamento, cosa che evidentemente non avviene, non essendo l’Unione Europea uno Stato, inoltre i destinatari delle norme europee non sono gli abitanti di uno Stato in particolare ma sono tutti gli abitanti europei.
• tesi dell’irrilevanza dell’ordinamento interno (elaborata dalla nostra Corte Costituzionale) secondo la quale i due sistemi sarebbero “autonomi e distinti, ancorché coordinati”. La coordinazione si manifesterebbe nel fatto che, al sorgere del diritto comunitario, le norme nazionali si “ritrarrebbero” lasciando uno spazio libero alle norme europee. Anche tale tesi lascia perplessi in quanto i due ordinamenti non sono impermeabili come il “ritrarsi” lascerebbe supporre: vi sono numerosi casi in cui l’effetto dell’uno sull’altro incide reciprocamente sul rispettivo modo di essere “interno”;
• tesi delle fonti comunitarie come fonti atto di diritto scritto per l’ordinamento italiano: tale tesi è quella da preferire in quanto è da escludere qualsiasi trasformazione sostanziale delle norme; trasformazione, invece, necessaria nel caso del diritto internazionale. Le norme comunitarie sono strutturalmente destinate ad esistere nei territori degli Stati membri. Un’interpretazione fedele della disposizione dei Trattati sulla produzione normativa sovranazionale configura quelle comunitarie come fonti-atto in quanto il diritto nazionale ha espressamente attribuito un potere normativo agli organi comunitari.
25. La soluzione delle antinomie fonti europee e fonti nazionali
La soluzione delle antinomie deve tenere in considerazione in che rapporto vengono visti il diritto comunitario e il diritto interno del singolo Stato da parte della Corte di Giustizia Europea e dalla nostra Corte Costituzionale.
Per quanto riguarda la Corte Costituzionale italiana possiamo affermare che:
• il diritto comunitario e il diritto interno sono distinti ma coordinati
• il diritto comunitario prevale sul diritto interno a condizione che non vengano violati principi supremi dell'ordinamento costituzionale ed i diritti inalienabili della persona umana
• Le norme interne contrastanti con quello comunitarie sono anche incostituzionali
mentre per la Corte di Giustizia:
• Il diritto europeo forma inseme a quello degli Stati membri un unico ordinamento
• Le norme del primo debbono prevalere su quelle del secondo
• Le norme nazionali non possono formarsi validamente qualora contrastino con il diritto europeo, ove ciò avvenga sono illegittime
Sezione III
Le fonti di autonomia territoriale
26. Fonti regionali
L’art. 117 Cost. si occupa di definire la potestà normativa delle Regioni e riarticola complessivamente tale funzione con riferimento sia allo Stato che agli altri enti territoriali. La tecnica normativa utilizzata ruota intorno a due coordinate:
1. individuare gli ambiti di competenza dei vari enti attraverso l’identificazione esplicita o implicita di materie di competenza assegnate a ciascun ente, in tutto o in parte;
2. scelta di ripartire tra gli enti non solo i settori di competenza, ma anche i tipi di funzione normativa.
27. Gli statuti regionali
Le Regioni ad autonomia speciale godono di un regime particolare, in quanto i relativi Statuti sono approvati con legge costituzionale. Differente risulta essere anche il procedimento per essere modificati.
La disciplina statutaria delle Regioni ordinarie è invece affidata ad atti che sono approvati e modificati dal Consiglio regionale con leggi approvate a maggioranza assoluta dei suoi componenti, con due deliberazioni successive adottate ad intervallo di due mesi. Sono, dunque, atti adottati con procedura aggravata. Le differenze fra i due tipi di Statuto riguarda anche i limiti e la relativa competenza:
• Statuti speciali: incontrano il limite tipico di tutte le leggi costituzionali e di revisione costituzionale e su di essi grava anche un vincolo particolare legato alla delimitata competenza ad essi assegnata (disporre forme e condizioni particolari di autonomia per le singole Regioni).
• Statuti ordinari: sono sottoposti a limiti più penetranti, soggiacciono alla disciplina costituzionale e devono essere in armonia con la Costituzione. A differenza degli Statuti speciali, la competenza degli Statuti ordinari è tassativamente definita dalla Costituzione stessa e non coincide con l’intera materia dell’autonomia regionale. La collocazione degli Statuti è definita gerarchicamente in termini di subordinazione alle norme costituzionali, ma anche orizzontalmente, in termini di competenza, rispetto alle altre fonti statali e regionale.
Gli Statuti speciali e Statuti ordinari differiscono per un diverso oggetto e una diversa funzione:i primi contengono l’indicazione dei criteri di ripartizione delle competenze tra Stato ed enti territoriali, attraverso l’uso delle coordinate, orizzontali (elenchi di materie) e verticale (distribuzione di potestà all’interno della medesima materia). Ripartizione che per le altre Regioni è fissata dall’art. 117 Cost.
Similitudini: attribuzione anche alle Regioni ordinarie di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia con riferimento ad alcune materie; le competenze delle Regioni speciali, non sono più ripartite solo in base a previsioni dei rispettivi Statuti, ma anche in base alle disposizioni che definiscono le attribuzioni delle Regioni ordinarie.
29. Le leggi statutarie delle Regioni speciali
Le disposizioni di organizzazione dell’autonomia regionale prevede la facoltà, per le Regioni speciali, di intervenire in materia di forma di governo regionale e di iniziativa popolare delle leggi regionali e del referendum regionale abrogativo, propositivo e consultivo.
Le leggi statutarie sono tenute ad essere in armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica ed a rispettare le norme inderogabili degli Statuti in tema di forma di governo.
30. Gli ambiti di competenza regionale
Ambiti di competenza regionale: due elenchi di materie sulla distribuzione della potestà legislativa: uno contenenti gli ambiti di legislazione esclusiva dello Stato e l’altro quelli di legislazione concorrente. In quest’ultima la ripartizione non si ispira solo ad una coordinata orizzontale, ma anche ad una verticale. Allo Stato spetta solo la fissazione con leggi dei principi fondamentali, mentre alle Regioni è riservata la normativa di dettaglio. Nelle materie, poi, la competenza spetta in via esclusiva alle Regioni. Nei nuovi elenchi, oltre alla materie-oggetto, possono ravvisarsi: le materie-scopo (preminente il fattore finalistico) e le materie-tipo di disciplina (ciò che rileva è la natura delle norme che si intendono introdurre).
• Materie-oggetto: l’oggetto può essere un bene materiale o immateriale, ente, organo. Altre volte l’oggetto non sembra costituire il fattore esclusivo ai fini dell’attribuzione della competenza, differenziandosi le attività ad esso relative. Per evitare il rischio della perdita di rango costituzionale degli elenchi, nell'interpretazione di tali materie occorre avvalersi di tre criteri:
a) quello costituzionale: Nell’interpretazione delle materie occorre muovere dal complesso delle disposizioni costituzionali. Possono riscontrarsi diverse ipotesi in cui è identica o molto simile la terminologia adoperata negli elenchi statutari e costituzionali,
b) quello comunitario: Se si confrontano gli elenchi costituzionali con i titoli competenziali previsti nei Trattati europei possono riscontrarsi numerose corrispondenze
c) quello storico-normativo: Il contenuto delle singole materie va ancorato al significato che esse avevano nel contesto dell’ordinamento vigente al momento della loro approvazione. Le voci costituzionali sono configurabili come nozioni giuridiche presupposte.
• Materie-scopo: hanno riguardo agli scopi che sono chiamate a perseguire. Allo Stato è attribuita una competenza trasversale, attraverso la quale può incidere sulla disciplina di qualsiasi ambito materiale. “L’impiego del criterio finalistico comporta che le competenze attraverso esso individuate siano chiamate a definire se stesse”.
• Materie-tipo di disciplina: atteso che tali materie hanno carattere trasversale e che la trasversalità determina un contrasto tra norme, può rilevarsi che qui l’antinomia sia risolvibile attraverso il criterio di specialità. Materie-tipo di disciplina conservano un carattere residuale, nel senso che si applicano a tutte le fattispecie che non trovino nella singola Regione una disciplina derogatoria a carattere settoriale. La trasversalità delle materie-tipo di disciplina sembra avere un carattere recessivo, arretrando di fronte alla disciplina speciale nel singolo settore riservato alla legislazione regionale.
30.8 I principi fondamentali
Per la fissazione dei principi fondamentali la Costituzione prevede una riserva di legge assoluta. I principi fondamentali sono principi stabiliti da leggi dello Stato, ossia principi espressi o disposizioni di principio. Però, se e fino a quando lo Stato rimane inerte e non approva tali principi, le Regioni non sono impedite ad esercitare la propria funzione legislativa nelle materie di competenza concorrente, ma devono ispirare la propria legislazione ai principi impliciti desumibili dalla legislazione statale.
La potestà legislativa è distribuita tra Stato e Regioni; la potestà regolamentare è assegnata ad ogni ente. Il procedimento ed il regime della legge regionale sono regolati, in parte direttamente dalla Costituzione, in parte dagli Statuti regionali.
• La funzione legislativa è esercitata dal Cosniglio Regionale
• Il Presidente della Giunta ha il potere di emanare i regolamenti regionali;
• Le leggi della Regione sono sottoponibili al sindacato della Corte costituzionale
• alla competenza statutaria è affidata la pubblicazione dei regolamenti regionali;
• è di competenza agli Statuti l’attribuzione della potestà regolamentare regionale.
• Giunta: organo esecutivo della Regione.
Sembra preclusa agli Statuti la previsione di una riserva di regolamento, la possibilità, cioè, di affidare la disciplina di una i più materie di competenza regionale alla fonte regolamentare.
31.3 Le fonti degli altri enti territoriali
La disciplina delle fonti degli altri enti territoriali è interamente lasciata dalla Costituzione alla legislazione ordinaria. La potestà statutaria delle Province, dei Comuni e della Città metropolitane ha ad oggetto i principi fondamentali di organizzazione e di funzionamento dell’ente, le forme di controllo, nonché le garanzie delle minoranze e le forme di partecipazione popolare.
I regolamenti comunali e provinciali e della città metropolitane hanno ad oggetto le materie di competenza di tali enti.
32. Le funzioni legislative nelle Regioni ad autonomia speciale
Regioni ad autonomia speciale: hanno un regime aggiuntivo rispetto a quello ordinario. Godono di tre tipi di competenze legislative: primaria, concorrente ed integrativa, alle quali corrispondono tre elenchi di materie nei rispettivi Statuti.
• Competenza primaria: limitata dalle norme di rango costituzionale e dagli obblighi internazionali e comunitari, e dai principi generali dell’ordinamento. Le regioni sono liberi di legiferare salvo i limiti che si desumono dai principi impliciti ricavabili per astrazione generalizzatrice
• Competenza concorrente: è limitata dai principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato che adotta una legge (legge-cornice) che può contenere solo norme generali tese a limitare la potestà legislativa regionale
• Competenza integrativa: è limitata dalle norme poste dalle leggi dello Stato, il quale può legiferare anche nel dettaglio degli lasciare uno spazio della normativa delle Regioni speciali.
• Competenza esclusiva: nelle materie non elencate nell'articolo 117 commi 2 e 3
32.1 Le condizioni particolari di autonomia
Alle Regioni possono essere attribuite "ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia" in tutte le materie di competenza concorrente e in alcune materie di competenza esclusiva: in particolare:
• l'organizzazione della giustizia di pace;
• le norme generali sull'istruzione;
• la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali
tale attribuzione deve avvenire con una legge statale approvata con un procedimento aggravato richiedendo:
• l'iniziativa della regione interessata,
• il parere obbligatorio degli enti locali
• la conformità dell'atto
• un'intesa fra lo Stato e la Regione interessata
• l'approvazione delle Camere a maggioranza assoluta
Capitolo 5° -forme di Stato e forme di governo
1.Le forme di Stato e le forme di governo: premesse definitorie
Lo studio delle forme di Stato riguarda le modalità con cui gli elementi costitutivi dello Stato (popolo, territorio, sovranità) tra loro si combinano e interagiscono. Esso fotografa cioè, l'assetto complessivo della comunità statale.
Le forme di governo, invece, si concentrano solo sul modo in cui la comunità statale distribuisce, nell'esercizio della proprio sovranità, i poteri di decisione pubblica (la funzione di governo) al proprio interno. L'esame riguarda gli aspetti dell'organizzazione statuale e le relazioni tra gli apparati governanti, al fine di identificare il modo in cui viene elaborata e realizzatala direzione politica dello Stato, cioè l'indirizzo politico.
2. Le forme di Stato in prospettiva storica
La monarchia assoluta: costituisce la prima forma di Stato modernamente inteso. La sua genesi può collocarsi nei secoli XV e XVI. La parabola della monarchia assoluta inizia proprio definitivo declino con la rivoluzione americana (1776) e francese (1789). Un'eccezione l'abbiamo nell'ordinamento inglese nel quale la trasformazione in senso liberale si verificò un secolo prima con la Declaration of Rights del 1688 e poi con il Bill of Rights del 1689. In questa forma di Stato il potere viene esercitato in termini assoluti in quanto il suo titolare, il re, detiene il monopolio delle decisioni. La sua autorità trova una legittimazione di carattere trascendentale nella presunta origine divina del potere monarchico. Lo Stato assoluto si evolve in due fasi:
1. fase: Stato patrimoniale: fondato sull'idea che lo Stato costituisca un vero e proprio patrimonio del re sia per quanto riguarda il territorio che per il popolo, formato da sudditi per l'ordine naturale o per contratto sociale
2. fase: Stato di polizia: il monarca svolge una funzione pubblica generale considerando l'assunzione e la tutela dei destini dei propri sudditi come sua fondamentale missione. È questa la fase dell'assolutismo illuminato (Federico II di Prussia, Maria Teresa d'Austria). Non vi sono delle propri diritti, ma una tutela indiretta e notevolmente precaria qualora la situazione soggettiva dei sottoposti coincida con l'interesse dello Stato. Il sovrano rimane l'unico interprete del bene comune.
3. Lo Stato di diritto
Lo Stato di diritto o Stato liberale assegna un ruolo centrale alla legge, intesa sia come atto normativo tipico che come norma di diritto cui tutte le autorità dello Stato, ivi compreso il monarca, sono assoggettate. Al primato della legge consegue l'affermazione del principio di legalità che comprende l'idea dell'assoggettamento del potere a dei limiti e della necessità di garantire i sottoposti dagli arbìtri di quest'ultimo. Ciò è realizzato con la dottrina della separazione dei poteri e con una visione secondo la quale i soggetti dell'ordinamento giuridico non sono più dei sudditi alla mercé del sovrano ma veri e propri cittadini. L'attribuzione, a ciascun titolare del diritto, del potere di agire in giudizio anche contro la pubblica amministrazione, rappresenta il coronamento di questa evoluzione verso lo Stato di diritto. Ovviamente il tipo di diritti riconosciuti presente fortemente delle caratteristiche politiche ed economico-sociali dello Stato: ideologicamente liberale, economicamente liberista, socialmente borghese. Lo Stato viene così a trovarsi in posizione prevalentemente arbitrale nei confronti della società, in linea di massima esso assicura la possibilità per ciascuno di svolgere la propria attività secondo le capacità di cui dispone, non promuovendo, ma proteggendo, cioè impedendo turbative da parte degli stessi organi dello Stato e di terzi. Viene affermata l'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge e l'assunzione della centralità del cittadino determina l'adozione di regole organizzative che prevedono la partecipazione di questo alla vita pubblica in condizioni di eguaglianza di tipo giuridico-formale ma non patrimoniale, in effetti l'accesso alle cariche pubbliche e l'elettorato attivo vengono ristretti solo a coloro che, in via di fatto, siano in condizioni di esprimere gli interessi sociali su cui lo Stato liberale si fonda, cioè i cittadini economicamente attivi, valutati in base al censo. Il suffragio dunque è ristretto alle classi più agiate.
4. Lo Stato sociale di diritto
Una possibile evoluzione dello Stato di diritto è quella che, in seguito alla nascita di movimenti sociali volti ad estendere anche alle classi meno abbienti l'accesso la vita pubblica, porta, in periodi diversi tra la fine dell'800 e l'inizio del 900, allo Stato sociale (in Italia il suffragio semi universale, limitato solo i cittadini maschi, venne introdotto nel 1912, mentre suffragio universale si ebbe nel 49). Accanto alla lotta per il voto è da menzionare la lotta per la realizzazione di una giustizia sociale e della realizzazione di una eguaglianza sostanziale, di redistribuzione delle ricchezze e di pari opprtunità di vita per tutti cittadini. Con le costituzioni post-belliche, si raggiunse una situazione di maggiore equilibrio, fondata su tentativi di reciproca integrazione, l'espressione più ricorrente per definire lo Stato contemporaneo è infatti quello di Stato sociale di diritto.
5.La natura composita delle costituzioni contemporanee
Le costituzioni contemporanee si caratterizzano per la natura composita dei propri principi ispiratori, riconducibili alla dicotomia che vede da una parte una matrice:
• liberal-garantistica: in cui l'ordinamento giuridico statale si propone l'obiettivo di assicurare ai propri membri uno spazio di libertà nel quale svolgere le proprie iniziative e sviluppare la propria personalità. Giuridicamente problema è quello di proteggere tale ambito privato impedendo indebite intrusioni nella sfera dei singoli ed evitare discriminazioni che altri fini in senso positivo o negativo le condizioni della coesistenza tra i consociati. In questa prospettiva, la funzione principale dell'ordinamento e quella di protezione.
e dall'altra una matrice
• social-interventistica. in cui gli sforzi dello Stato muovono nella direzione della realizzazione di interventi da parte dei pubblici poteri finalizzati a ridurre le disuguaglianze materiali dei cittadini, le quali impongono ai soggetti realmente più svantaggiati minori opportunità di vita di sviluppo della personalità rispetto a quelle di cui corone soggetti che abbienti. L'obiettivo dell'eguaglianza trasforma funzionalmente ruolo dello Stato chiamato a perseguire finalità di promozione.
6. La liberaldemocrazia
Il modello che attualmente si impone in Occidente è quello della cosiddetta liberal-democrazia, dove l'istanza liberale accentua l'esigenza di una tutela da assicurare ai singoli individui mentre l'istanza promozional-interventistica accentua la necessità di assunzione di decisioni pubbliche che realizzano le modificazioni della realtà necessarie per perseguire il valore dell'eguaglianza politica tra i membri della collettività.
6.1 Democrazia diretta e democrazia rappresentativa
Democrazia diretta: le decisioni vincolanti vengono assunte direttamente dai cittadini o meglio, da coloro tra di essi che posseggono il diritto di voto. Essa garantisce certamente un maggiore ed immediato coinvolgimento dei titolari del potere, ma il tipo di decisioni cui può condurre appare estremamente limitato. Essa si riduce, in definitiva, ad una scelta binaria tra approvare e respingere la proposta mentre risulta necessariamente sacrificato il momento fondamentale dell'attività deliberativa specialmente di fronte a problemi particolarmente complessi o ad una pluralità di interessi da comporre o all'esigenza di scelte rapide: il confronto dialettico. La democrazia diretta dunque, sopprime la possibilità di ponderazione della soluzione attraverso la discussione nel confronto, necessarie far emergere soluzioni più adeguato attraverso aggiustamenti progressivi.
Democrazia rappresentativa: le decisioni vengono assunte da rappresentanti del popolo, scelti a tale scopo mediante procedimento elettorale. Essa presenta alcuni indubbi vantaggi rispetto alla democrazia diretta, come
• la possibilità di assumere decisioni complesse attraverso confronto tra i rappresentanti oppure
• la possibilità di cambiare indirizzo politico del governo qualora questo non soddisfi l'elettorato senza contare
• l'esistenza di una responsabilità politica che consente agli elettori di valutare l'attività svolta dai propri rappresentanti premiandoli o punendoli con l'elezione.
6.2. Le tecniche di decisione democratica: il principio maggioritario
Sul piano delle tecniche di decisione, corollario del principio democratico è il principio maggioritario, in base al quale perché una decisione venga legittimamente assunta è necessario che su di essa converga la maggior parte dei consensi. Possono distinguersi differenti formule maggioritarie:
• maggioranza relativa: per la quale, dovendosi scegliere tra più proposte o persone, si considera prevalente la proposta o la persona che ottiene, relativamente alle altre, un maggior numero di consensi
• maggioranza assoluta in senso lato: affinché una proposta risulti approvata, non è sufficiente che esso tende più consensi rispetto alle altre, ma deve raggiungere un numero di voti favorevoli, determinato o determinabile come frazione maggioritaria (almeno la metà più uno) di un intero. All'interno di questa categoria vanno collocate:
o maggioranza semplice: per la quale le decisioni sono assunte con il consenso di almeno 55% + 1 dei partecipanti al voto
o maggioranza qualificata: rappresentato da ogni maggioranza superiore a quella semplice. E a sua volta distinta in:
maggioranza assoluta in senso stretto: per la quale la decisione è adottata solo se essa riceve numero di consensi pari ad almeno il 50% più uno
altre maggioranze: definite come frazione superiore al 50% più uno degli aventi diritto al voto (ad esempio, maggioranza dei 2/3 o dei 3/5)
La maggioranza qualificata non costituisce un meccanismo maggioritario, ma è finalizzato a dare soddisfazione anche ad una minoranza. Ed anzi può consentire sacrificio parziale dell'opinione dei più perché gli interessi dei meno trovino una qualche soddisfazione.
Corollari del sistema maggioritario sono:
• La temporaneità delle cariche pubbliche: il che implica la possibilità di alternanza al potere ed il ricambio della maggioranza stessa
• tutela delle minoranze politiche
6.3. Il principio liberale ed il suo contemperamento con quello democratico
Il principio democratico si fonda sull'idea di un primato della maggioranza.
Il principio liberale trova nella sua forma più pura, il proprio centro di riferimento nella persona singola. La manifestazione tipica del modello liberale rappresentata dall'insieme dei diritti costituzionali individualisticamente intesi, attribuiti al titolare per "l'appagamento egoistico" dei suoi bisogni.
E’ chiaro che questi due principi sono strutturalmente in tensione, si tratterà quindi di cercare il modo con il quale sia possibile stabilire un equilibrio che consenta di preservarne la coesistenza.
Con riferimento al circuito in cui opera il principio democratico, la garanzia contro il pericolo dell'arbitrio si realizza perseguendo l'obiettivo di spersonalizzare la decisione che incide sulle situazioni individuali, rendendo, così, virtualmente indeterminati e indeterminabili i potenziali destinatari della deliberazione stessa. Coloro che la assumono debbono agire sapendo della decisione può incidere sulla loro stessa condizione (o quella dei loro elettori). In tal modo i decisori sono incentivati ad evitare le limitazioni ingiustificate ed arbitrarie dei diritti. Il principio di legalità rappresenta l'applicazione di una versione aggiornata del principio della separazione dei poteri: una separazione funzionale. Esso si fonda sulla distinzione tra due funzioni: quella di disporre in via generale ed astratta e quella di provvedere concretamente.
La funzione del disporre è assegnata agli organi che strutturalmente sono in grado di selezionare gli interessi pubblici: gli organi di estrazione politica.
La funzione del provvedere spetta ad organi tecnici che non appartengono al circuito politico ma alla pubblica amministrazione o alla giurisdizione. E si sono scelti in base alla capacità professionale attraverso procedimenti di selezione che consentono di valutare tali capacità (concorso pubblico).
In conclusione, lo Stato liberal-democratico accoglie tendenzialmente l'idea di una separazione funzionale, adottando meccanismi che tendono a spersonalizzare la decisione politica, da un lato, e a spoliticizzare la decisione individuale dall'altro.
7. Forme di Stato sul piano territoriale
Qual è il formato più adeguato per assicurare un'amministrazione efficiente della cosa pubblica? è meglio una struttura centralizzata o un governo molto decentrato?
7.1 Stato accentrato, federalismo e regionalismo
• Confederazione: costituisce una particolare unione tra Stati che mantengono la proprio sovranità e indipendenza e si muovono, pertanto, nell'ambito del diritto internazionale. Nella confederazione le relazioni tra entità politiche non danno luogo ad uno stato vero e proprio.
• Lo Stato accentrato è caratterizzato dall'essere del tutto privo di decentramento politico istituzionale. L'intero ordinamento di vendere un unico centro di selezione di governo. Esso trova il proprio archetipo nelle monarchie nazionali e, in particolare, in quella francese, nell'ambito della quale viene creata, con una costituzione del 1791, la formula dell'unità ed indivisibilità dello Stato.
• lo Stato composto (o Stato federale), si basa sul pluralismo dei centri di potere politico, regolati dall'ordinamento giuridico complessivo e legittimati dalle differenti comunità di riferimento, riconducibili alle circoscrizioni territoriali nelle quali il territorio dello Stato è ripartito in tali sistemi, lo Stato è la risultante di una serie di stratificazioni ordinamentali. La prima e più rilevante manifestazione di questa tipologia è nella Costituzione Americana firmata a Philadelphia nel 1787, la cui forma istituzionale esprime l'evoluzione della breve esperienza confederale realizzatasi tra il 1777 e 1787 sotto la vigenza degli articoli di confederazione ed unione perpetua. In Europa questa tipologia ha rappresentato la migliore soluzione per favorire processi di aggregazione in contesti di pluralismo politico, culturale, socioeconomico, etnico-religioso o linguistico (Svizzera, Germania).
• Lo Stato regionale trova la propria origine in Spagna con la Costituzione Repubblicana del 1931 dove si assicura una cornice legale alle pretese di forte autonomia avanzate da alcune nazionalità presenti nel territorio (Paesi Baschi, Catalogna, Galizia). La soluzione escogitata consistette nella creazione di Regioni ad autonomia differenziata le una rispetto alle altre, la cui stessa istituzione veniva affidata alla volontaria iniziativa delle popolazioni interessate. A tale modello regionale si sono poi affiancate altre versioni, sorte in contesti diversi. Una di queste è proprio quella italiana, la quale ha mescolato alcuni aspetti del regionalismo spagnolo (cinque regioni differenziate) con altri propri del federalismo (definizione tendenzialmente paritaria delle attribuzioni delle altre regioni)
7.2 L'evoluzione delle tecniche di decentramento politico
Il problema principale del decentramento politico è sempre stato quello della definizione degli ambiti di competenza dei differenti livelli di governo. Lo sviluppo di differenti tecniche per la realizzazione di tale obiettivo ha segnato l'evoluzione sia degli ordinamenti regionali che di quelli federali.
Storicamente il primo modello di ripartizione delle attribuzioni è quello del cosiddetto:
• federalismo o regionalismo duale. Esso si fondava sull'idea che gli ambiti di competenza potessero venir definiti una volta per tutte ed in modo netto. Lo Stato composto, in questa prospettiva, avrebbe rappresentato un perfetto insieme di nuclei ordinamentali rigidamente separati e non reciprocamente interferenti. Tali clausole si rilevarono, però, insufficienti per la frequente sovrapposizione tra le fattispecie materiali evocate dalle norme sulla competenza e anche per l'interpretazione di taluni titoli competeenziali. In un siffatto contesto, le corti costituzionali hanno assunto un ruolo di arbitraggio nell'articolazione delle competenze.
• Il federalismo (o regionalismo) cooperativo, si basa sul presupposto che le competenze vadano garantite non solo con norme sugli ambiti di competenza ma a anche mediante lo sviluppo di dispositivi di tipo organizzativo o procedurale volte favorire la partecipazione e la collaborazione tra i livelli di governo interessati.
• Il federalismo di tipo competitivo cerca di contenere la spinta cooperativa per favorire una concorrenza tra enti alla realizzazione della maggiore efficienza funzionale, con in più rispetto dell'autonomia delle differenze politiche.
7.3 La Repubblica italiana e la sua articolazione territoriale
L’Italia è uno Stato composto. Se ne deduce ciò già dai primi articoli della Costituzione laddove riconosce e promuove le autonomie locali e attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo, adeguando i principi i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento. La norma contempera, dunque, il principio di decentramento con quello di unità e indivisibilità della Repubblica.
7.4 L'articolazione territoriale dei poteri tra unione europea e Stati membri
L'Unione europea, definita come sistema di governo multilivello, pur non essendo qualificabile come un ordinamento federale, presenta varie analogie con l'assetto degli Stati composti. Il discorso vale, anzitutto, per le clausole definitorie delle competenze. La tecnica utilizzata per individuare le competenze comunitarie e di tipo classicamente federale e regionale consistendone l'identificazione di ambiti di intervento secondo la distinzione tra competenze esclusive, competenze concorrenti e competenze parallele. Queste ultime sono assegnate agli Stati, con la possibilità per l'Unione di promuovere e sostenere l'azione statale finanziariamente.
8. Le forme di governo: classificazione
Un modo per classificare le forme di governo nelle liberale democrazie è quello di analizzare le forme e i dispositivi organizzativi attraverso cui le istanze provenienti dalla società e le scelte compiute dal corpo elettorale, si trasformano in indirizzo politico di governo. Data la natura prevalentemente rappresentativa delle istituzioni governative, l'attenzione si concentra soprattutto sulle modalità in cui tali istanze vengono rappresentate cioè prodotte e filtrate dai soggetti coinvolti nella realizzazione della direzione dello Stato. Le diverse forme di governo si possono ordinare all'interno di due estremi, dall'estremo delle cosiddette democrazie consensuali o competitive (caratterizzate dalla frammentazione delle legittimazioni istituzionali e forte mediazione della rappresentanza) a quello delle democrazie maggioritarie (connotata da una maggiore concentrazione dei poteri lungo l'asse maggioranza-Governo e da una competizione capace di eliminare la mediazione nella legittimazione elettorale). Nelle democrazie che tendono al modello consensuale, si riscontrano processi decisionali frammentati e le decisioni sono frutto di negoziati compromessi tra i vari attori politici e istituzionali. E democrazie orientate verso modello maggioritarie sono, invece, caratterizzate dall'esistenza di un'istituzione, o di una componente politica che esercita un ruolo preminente nella definizione dell'indirizzo politico. Semplificando, le democrazie consensuali accentuano l'elemento della partecipazione tra istituzioni e soggetti politici; quelle maggioritarie accentuano l'elemento dell'efficienza decisionale.
9. Le principali forme di governo: la monarchia costituzionale
La monarchia costituzionale si può ritenere come una evoluzione della monarchia assoluta nel momento in cui le nuove classi emergenti della società prendano coscienza di sé e del proprio potere potenziale (borghesia e ceto popolare). Da un lato abbiamo il monarca con i suoi ministri a cui spettano i poteri di amministrazione, dall'altro il Parlamento composto da una camera elettiva rappresentativa degli interessi popolari (o meglio, della borghesia) e da una camera alta rappresentativa degli interessi tradizionali della nobiltà e dell'alto clero i cui componenti erano di nomina regia o membri di diritto.
10. Il governo parlamentare
La progressiva e ineluttabile transizione del baricentro politico di proporre al Parlamento e, in esso, alla rappresentanza popolare e all'origine delle attuali forme di governo.
Il governo parlamentare è fondato sul principio della responsabilità politica del Governo di fronte al Parlamento che si manifesta attraverso il cosiddetto rapporto di fiducia tra i due organi, ciò significa che il Governo è politicamente responsabile di fronte al Parlamento il quale ne condiziona l'appoggio espresso o tacito. Il Governo, dunque, promana dalla maggioranza parlamentare e ne è espressione. Accanto a questi due organi vi è il Capo dello Stato, il quale non è politicamente responsabile di fronte alle camere ed esercita un ruolo decisivo soprattutto nelle fasi in cui il sistema attraverso momenti di crisi (scelta del capo del governo, scioglimento delle camere, soluzione delle crisi ministeriali).
11. I modelli di parlamentarismo: il modello Westminster o premierato
Sulla base dei possibili assetti del sistema politico-partitico sono ipotizzabili due modelli estremi di parlamentarismo, tra i quali si situano una serie di esperienze prossime all'uno o all'altro di essi. Ad un estremo troviamo il modello Westminster o premierato. Connotato di tale governo parlamentare è un sistema fondamentalmente bipartitico, favorito dall'esistenza di una legge elettorale uninominale maggioritaria. Le elezioni avvengono in collegi nei quali si assegna un solo seggio parlamentare, che viene conquistato dal candidato che ha raggiunto la maggioranza relativa dei voti. La natura sostanzialmente binaria della competizione politica ha determinato la circostanza che, in quel sistema, la scelta della rappresentanza per la Camera dei Comuni costituisce di per sé anche una scelta della maggioranza di governo. A ciò è da aggiungere anche la consuetudine in base alla quale il leader del partito vincitore delle elezioni è nominato Capo del Governo. La concentrazione nelle sue mani della direzione dell'esecutivo, della maggioranza parlamentare e del partito rende il sistema estremamente stabile. Non è previsto, inoltre, un voto espresso di fiducia iniziale, così come si ritiene spetti sostanzialmente al premier decidere lo scioglimento della Camera dei Comuni.
Il modello Westminster offre l'esempio più riuscito di democrazia maggioritaria. La stabilità governativa così realizzata si protrae per l'intera legislatura ed è solo con le successive elezioni che l'indirizzo politico può essere modificato dagli elettori.
11.1 La forma di governo parlamentare a tendenza assembleare
All’estremo opposto si collocano quegli ordinamenti in cui la competizione politica fortemente mediata dai partiti. Si tratta di sistemi notevolmente frammentati e pluralistici (multipartitismo estremo), i quali non esistono rapporti politico-programmatici stabili tra i vari gruppi rappresentati in Parlamento e le alleanze di governo (accordi di coalizione) sono spesso occasionali ed instabili. In tali contesti, il governo risente delle frequenti modificazioni dei rapporti interni alle assemblee rappresentative ed è, pertanto, collocato in una posizione di forte dipendenza dal Parlamento. Nella sua forma più spinta, tale versione del modello parlamentare è costituita dal Governo parlamentare a tendenza assembleare o di parlamentarismo assoluto. In tale sistema il governo costituisce un "comitato esecutivo" della occasionale maggioranza, mentre il Parlamento esercita un forte controllo sulla legislazione e sull'amministrazione dei singoli apparati ministeriali. Il rapporto tra governo e Parlamento non è disciplinato giuridicamente, il che indebolisce ulteriormente il governo, tanto da essere sufficiente il voto contrario su un qualsiasi provvedimento per metterlo in crisi determinarne le dimissioni.
11.2 Il cancellierato
Nel modello della Repubblica federale tedesca abbiamo un multipartitismo temperato. I vari gruppi rappresentati in Parlamento si alleano in modo stabile e si comportano in modo particolarmente disciplinato, così da evitare gli esiti tipici del parlamentarismo assoluto. In tali sistemi, alla rappresentanza politica si struttura intorno due poli contrapposti. Tuttavia ha ragione della stabilità del sistema di governo tedesco risiede prevalentemente nelle convenzioni e consuetudini che regolano le relazioni tra i partiti (lealtà di coalizione, suggellata da un dettagliatissimo accordo tra i partiti che sostengono il governo, in cui vengono definiti minuziosamente gli obiettivi politici da perseguire durante la legislatura).12. La repubblica presidenziale
Al pari del regime parlamentare, anche la Repubblica Presidenziale trova il proprio archetipo nella Monarchia Costituzionale e ne rappresenta un'evoluzione istituzionale. Il modello di riferimento per tale forma di governo è la Costituzione Americana del 1787 tuttora vigente, seppur integrata da una trentina di emendamenti alcuni dei quali di notevole rilevanza. C'è da premettere che gli Stati Uniti d'America sono uno Stato Federale, nel quale, soprattutto all'origine, la creazione di un'autorità centrale fu concepita come un “male necessario” per garantire la sopravvivenza dell'Unione nel contesto economico e politico internazionale. Il modello americano nasce, così, segnato dalla diffidenza verso il governo federale e dal timore di un eccessivo accentramento in esso del potere. Il potere esecutivo viene attribuito al Presidente della Repubblica, attorno al quale sono costituiti vari uffici amministrativi che da esso dipendono. Il presidente riunisce in sé le funzioni di Capo dello Stato e di Governo. Il potere legislativo è assegnato al Congresso, formato dalla Camera dei Rappresentanti e dal Senato. Entrambe le Camere sono elette direttamente. I rapporti tra tali poteri sono rigorosamente regolati dal principio di separazione, essendo escluso il rapporto di fiducia e il potere di scioglimento dell'assemblea da parte del Capo dello Stato. Nello stesso tempo, però, ad evitare che nel proprio ambito ciascun potere possa agire indisturbato, sono previsti dei checks and balances (freni e contrappesi) i quali consentono ai vari centri istituzionali il reciproco controllo.
13. Il semipresidenzialismo
La forma di governo semipresidenziale costituisce il tentativo di realizzare una commistione di elementi parlamentari e presidenziali. Essa presenta un carattere strutturalmente dualistico, nel senso che sono previsti due distinte catene di legittimazione democratica che sfociano, l'una, nell'elezione (a suffragio universale diretto) del Presidente della Repubblica, cui spettano importanti poteri propri, tra cui quello di nomina del Primo Ministro e di scioglimento delle Camere, l'altra, in quella del Parlamento, che intrattiene un rapporto di fiducia con il Governo il quale, insieme al Presidente della Repubblica è al vertice dell'esecutivo e al tempo stesso necessita dell'appoggio del Parlamento. Il Parlamento, con la sfiducia, può condizionare la vita del governo, il presidente, con il potere di scioglimento, può condizionare la vita del Parlamento.
14. Il governo direttoriale
La forma di governo direttoriale risulta attualmente vigente solo in Svizzera. Essa trova il proprio archetipo storico nella Costituzione dell'anno III della rivoluzione del 1795, detta anche Costituzione del Direttorio per via del nome dell'organo esecutivo in essa previsto. L'assemblea federale e legge singolarmente i membri del governo e la funzione di capo dello Stato è svolta a turno da uno dei membri del consiglio federale tra i quali sono ripartite le responsabilità ministeriali. Il governo, una volta eletto, non è revocabile mediante strumenti parlamentari e né il governo né il capo dello Stato possono esercitare un potere di scioglimento delle Camere. Il multipartitismo estremo favorisce la formazione di governi di ampia coalizione ed esclude lo sviluppo di una dialettica tra maggioranza e opposizione.
15. Altri elementi che condizionano il funzionamento delle forme di governo
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16. Cenni sull'evoluzione della forma di governo in Italia
In Italia vige una forma di governo parlamentare. Dopo una lunga parentesi autoritaria del periodo fascista si svilupparono pratiche parlamentari volte favorire la reciproca collaborazione tra le forze politiche, da un lato per evitare i rischi di una “maggioranza di schiacciamento”, che troppo da vicino avrebbe rievocato il fantasma dell'autoritarismo appena sconfitto, e, dall'altro per impedire che nella giovane democrazia italiana potessero svilupparsi conflitti talmente acuti da provocare fenomeni di fuga extraparlamentare ed il sorgere di partiti antisistema. La conseguenza fu l'instaurarsi di una democrazia consensuale, nella quale anche le minoranze venivano variamente coinvolte nelle scelte parlamentari e potevano esercitare, o minacciare, un potere di blocco decisionale in modo da indurre la maggioranza a ricercarne velocemente il consenso attraverso forme di scambio politico, contribuendo, in questa maniera, a determinare un'accentuata instabilità governativa. L'apice di questa tendenza fu raggiunta all'inizio degli anni 70 e suggellata con l'approvazione dei regolamenti parlamentari del 1971. La situazione cambiò ulteriormente con la trasformazione del sistema politico avvenuta all'inizio degli anni 90 e dovuta, da un lato, alla trasformazione dei modelli di partito e dal superamento delle condizioni di aspra conflittualità ideologica, dall'altra, al diverso strutturarsi della competizione in forza del mutamento della legge elettorale in senso maggioritario. La progressiva bipolarizzazione dello scontro ed il declino dei pericoli di conflittualità extra istituzionale o dello sviluppo di forze antisistema, ha condotto alla transizione dal modello di democrazia consensuale a quello di democrazia competitiva, fondata cioè sulla concorrenza per il controllo dell'indirizzo politico di governo tra forze reciprocamente alternative. Praticamente, dopo la riforma delle leggi elettorali, si è passati da un parlamentarismo di tipo tendenzialmente assembleare consensuale, ad uno improntato, sempre in via tendenziale, al modello Westminster nonché competitivo.
Fonte: http://torarchivio.altervista.org/alterpages/files/Diritto-Pubblico-europeoGuzzetta-Marini_doc-2.doc
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