Interpretazione della legge penale

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Interpretazione della legge penale

L’interpretazione della legge. Profili generali.

La legge penale, emanata da una fonte a ciò legittimata, pone il problema della sua interpretazione. Per interpretazione intendiamo sia l’attività finalizzata a comprendere il significato dei testi normativi, sia il risultato dell’attività interpretativa.
Per l’interprete della legge penale il principio di legalità viene in rilievo come vincolo di certezza, ed inoltre, in ordinamenti di democrazia liberale, come espressione di un potere democratico.
L’ordinamento italiano contiene una norma sull’interpretazione, art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile: “Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro significato che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore”.
La dottrina penalistica sottolinea la priorità e preminenza del criterio dell’interpretazione letterale; il giudice dovrebbe essere, secondo la famosa formula risalente a Montesquieu, bocca della legge.
I testi normativi costituiscono l’oggetto dei problemi d’interpretazione e vincolano l’interprete nella ricerca di una corretta comprensione del loro significato. Il vincolo al testo è il punto di partenza di qualsiasi impegno interpretativo, di comprensione del messaggio normativo come di qualsiasi altro testo linguistico.
La volontà della legge è quella desumibile dall’intero ordinamento. Ciascuna norma, ciascuna legge è una tessera di un mosaico complesso, nel quale il senso di ciascuna tessera è collegato a quello di altre: concorre alla composizione dell’insieme ed è definito anche dal disegno d’insieme. L’interpretazione di ciascuna norma è anche reinterpretazione dell’insieme, cioè del significato che ogni frammento normativo viene ad assumere in relazione all’insieme.
Nell’interpretazione della legge, la scienza giuridica svolge un compito che è anche di chiarimento e di integrazione della voluntas del potere politico, espressa in singoli testi di legge, con ragioni in qualche modo condizionanti, ad un livello più profondo dei mutevoli dicta del legislatore.

Profili specifici dell’interpretazione della legge penale.

Vi sono profili specifici che differenziano l’interpretazione della legge penale rispetto all’interpretazione di leggi di altra natura?
Il principio di legalità pone un vincolo peculiare ai risultati dell’interpretazione: dalla conoscenza del precetto, il destinatario deve poter trarre criteri sicuri di valutazione giuridica di fatti concreti, e l’esigenza di certezza è tanto più importante là dove si tratti di valutare la liceità o non liceità penale di un dato fatto.
Per quanto concerne i criteri d’interpretazione, non vi sono differenze di principio tra il diritto penale e gli altri settori dell’ordinamento, salvo il divieto d’analogia.
Come criterio d’interpretazione della legge penale viene additato il riferimento ai beni o interessi tutelati (interpretazione teleologica). Il riferimento al bene giuridico dovrebbe concorrere a delimitare la sfera del penalmente rilevante: nell’interpretazione di norme incriminatici vanno escluse soluzioni esegetiche che includano nella fattispecie fatti non offensivi dell’interesse tutelato. Il bene giuridico, dunque, come matrice d’interpretazioni tendenzialmente restrittive.
Nella prassi applicativa, invece, il riferimento al bene giuridico funge spesso da presupposto di applicazioni estensive. La magistratura penale tende a farsi portatrice di istanze di tutela che cercano soddisfazione nell’applicazione della legge penale. Là dove date esigenze di tutela siano sentite come importanti, è forte la spinta ad assumerle a fondamento di interpretazioni che portino ad un intervento penale più ampio e/o più severo.
Particolarmente rilevante nel contesto ermeneutica è il principio d’uguaglianza, che, senza porre soluzioni bloccate, pone vincoli di  coerenza intrasistematica, e di coerenza con i principi materiali del sistema dei reati e delle pene.

Uno sguardo alla prassi.

Per i destinatari dei precetti penali un punto di riferimento essenziale è dato dagli orientamenti giurisprudenziali; ed anche per la giurisprudenza hanno particolare rilievo i principi affermati dalla corte di cassazione, cui è affidato dall’ordinamento giudiziario il compito di assicurare un’applicazione corretta della legge, quanto più possibile uniforme.
Un rilievo particolarissimo hanno le decisioni delle sezioni unite della corte di cassazione, cui è assegnata la decisione sui ricorsi quando le questioni proposte sono di speciale importanza o quando occorre dirimere contrasti insorti tra le decisioni delle singole sezioni.
Particolare rilievo hanno anche le sentenze interpretative di rigetto della corte costituzionale, che respingono la questione di illegittimità costituzionale sulla base di una data interpretazione della disposizione impugnata. Le sentenze interpretative di rigetto non hanno efficacia erga omnes e determinano solo un vincolo negativo per il giudice del procedimento in cui è stata sollevata la relativa questione. In tutti gli altri casi il giudice conserva il potere di interpretare in piena autonomia le disposizioni di legge, purchè ne dia una lettura costituzionalmente orientata, ancorché differente da quella indicata nella decisione interpretativa di rigetto.

Il divieto d’analogia e il problema dell’interpretazione estensiva.

Fra i contenuti del principio di legalità in materia penale viene indicato dalla dottrina dominante il divieto di applicazione analogica delle norme incriminatici, o comunque di sfavore.
Per analogia si intende un procedimento argomentativo volto ad affermare l’applicabilità, in una data ipotesi non espressamente regolata, di norme regolanti ipotesi simili o di principi generali dell’ordinamento. Fondamento dell’applicazione per analogia è una somiglianza fra il caso non espressamente regolato e un caso regolato, tale da ricondurre il caso non regolato alla medesima ratio della disciplina prevista per il caso analogo.
Alcuni autori intendono il principio costituzionale come divieto assoluto d’analogia, concernente non solo le norme incriminatici o quelle che comunque fondano o aggravano la responsabilità, ma anche le norme di favore.
La dottrina prevalente afferma invece l’ammissibilità dell’analogia in bonam partem, argomentando che il divieto d’analogia non risponde ad un’astratta certezza del diritto, ma nel campo penale risponde alla ratio di garanzia espressa dal principio di legalità.
È oggetto di discussione se, per la legge penale, accanto al divieto di analogia, valga un divieto d’interpretazione estensiva.
Il principio di legalità, per diffuso riconoscimento, non si oppone ad un’interpretazione che si estende fino al limite delle ipotesi interpretative consentite dal tenore letterale della norma e rimanga, perciò, nell’ambito di una ricognizione del suo significato.
È il principio di legalità, e non un ipotetico divieto d’interpretazione estensiva, che impone ai giudici di non sostituirsi al legislatore nelle scelte di politica penale, allargando praeter legem l’area di applicazione dello strumento più autoritario di cui lo stato di diritto disponga.

Il principio di determinatezza e precisione della legge penale.

Il principio di legalità ha a che fare con il problema della certezza dei precetti penalmente sanzionati. Si parla in proposito di principio di determinatezza, di tassatività, di precisione della legge penale.

L’indeterminatezza del precetto come non riferibilità al mondo dell’esperienza.

Il principio di tassatività comporta per la legge penale l’onere di formulare ipotesi che esprimano fattispecie corrispondenti alla realtà, mediante il riferimento a fenomeni la cui possibilità di realizzarsi sia stata accertata in base a criteri che allo stato delle attuali conoscenze appaiono verificabili.
L’impossibilità di riferire il precetto a fatti verificabili ne comporta dunque l’indeterminatezza, per ragioni che non dipendono dalla sua formulazione, bensì dall’impossibilità di porlo in rapporto con il mondo dei fatti.
La certezza, e quindi la legittimità, del precetto legale dipende anche dalla sua capacità di cogliere fatti del mondo reale, accessibili alla conoscenza razionale e alla verifica empirica.

Precisione del precetto e tecniche di formulazione della fattispecie.

La corte costituzionale ha affermato che la necessaria tassatività della fattispecie non si risolve né si identifica nella più o meno completa descrittività della stessa.
Il fatto tipico deve sempre poter essere individuato in via interpretativa in modo completo e verificabile; la fattispecie legale, in questo senso, ne deve essere una descrizione.
L’utilizzazione di concetti descrittivi, peraltro, non è condizione né necessaria né sufficiente di determinatezza della fattispecie.
L’alternativa tecnica alla diretta descrittività della fattispecie è l’utilizzazione, da parte del legislatore penale, di concetti normativi.
Definiamo come concetti normativi quelli che si riferiscono a dati, i quali possono essere rappresentati e pensati solo sotto logica presupposizione di una norma, diversa dalla norma incriminatrice nella quale sono recepiti.
La dottrina distingue diverse categorie di concetti normativi.
Concetti normativi giuridici collegano il diritto penale con altri settori dell’ordinamento giuridico, assicurando la coerenza della norma penale con l’ordinamento complessivo.
Concetti normativi culturali o di valutazione culturale sono quelli che esprimono qualificazioni derivanti da norme etiche o del costume.
Una sentenza della corte costituzionale ha indicato un criterio per la valutazione di compatibilità di singole disposizioni col principio di determinatezza. L’applicatore della norma potrà riconoscervi un significato determinato quando e solo quando:

  • Sia comprensibile a che cosa (a quale tipo di criteri) la norma faccia riferimento;
  • Siano effettivamente individuabili dei criteri scientifici o tecnici pertinenti alla situazione indicata dal legislatore.

Sentenze costituzionali di accoglimento.

Le non poche questioni di legittimità costituzionale, sollevate con riferimento al principio di determinatezza, ben poche volte hanno avuto risposta in sentenze d’accoglimento.
Nelle sentenze della corte costituzionale il principio di determinatezza è stato assunto a criterio d’invalidazione di norme penali solo in casi che stanno alla periferia del sistema, dove cioè l’eliminazione della norma non avrebbe suscitato reazioni né creato lacune.

 

Fonte: http://www.studentibicocca.it/file/download/1103?license_confirmed=true

Sito web da visitare: http://www.studentibicocca.it/

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