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L'ignoranza scusabile della legge
art 5 c.p. Ignoranza della legge penale
Nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale
La norma in esame è stata oggetto di profonde critiche da parte della dottrina. Essa, infatti, nella sua formulazione originaria escludeva in via assoluta che l’ignoranza (cioè assenza di rappresentazione di una data realtà) ovvero l’errore (cioè divergenza tra rappresentazione soggettiva e realtà oggettiva) in relazione alla legge penale potessero essere causa di esclusione della responsabilità penale.
Senonché, una soluzione così rigorosa in ordine al problema della c.d. coscienza dell’antigiuridicità del fatto, cioè la consapevolezza del disvalore penale della propria condotta, è apparsa in contrasto con il principio di colpevolezza sancito nell’art. 27 Cost., soprattutto dove si acceda ad una concezione normativa della colpevolezza [v. 42] intesa come rimproverabilità del soggetto per l’atteggiamento antidoveroso della volontà. Ed, infatti, la possibilità di muovere un rimprovero postula la conoscenza o, quanto meno, la possibilità di conoscenza dell’antigiuridicità del fatto. Ciò soprattutto in relazione agli illeciti penali rientranti nella categoria dei reati di mera creazione legislativa. Ed infatti, per i c.d. delitti naturali il cui disvalore è sentito a livello sociale prima ancora che legale (es.: omicidio), può essere sufficiente, ai fini della colpevolezza di un soggetto, la coscienza dell’antisocialità del fatto. Senonché, tale coscienza è esclusa in tutti quei casi in cui esista uno scarto tra illiceità reale e illiceità legale cioè tra ciò che è percepito come illecito dalla coscienza sociale e ciò che è considerato illecito dal legislatore, come avviene per i reati di mera creazione legislativa (es.: reati finanziari). In tali ipotesi si viene a creare una stretta correlazione tra colpevolezza e coscienza dell’antigiuridicità del fatto e si sente l’esigenza di un’attenuazione del principio dell’irrilevanza assoluta dell’ignoranza della legge penale.
L’inadeguatezza dell’art. 5 è stata avvertita oltre che dalla dottrina, dalla giurisprudenza, che attraverso il ricorso al principio della buona fede in materia contravvenzionale, vi ha apportato dei temperamenti in via interpretativa. Ed, infatti, limitatamente ai reati contravvenzionali si è riconosciuta efficacia scusante all’ignorantia legis ogni qualvolta questa fosse determinata da circostanze estrinseche (es.: abituale tolleranza del comportamento) capaci di suscitare nel soggetto il convincimento della liceità del comportamento tenuto.
Le istanze dottrinali e giurisprudenziali sono state avvertite ed accolte dalla Corte Costituzionale che con la sentenza 24-3-1988, n. 364 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 5 «nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità della ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile». Con questa pronuncia la Corte ha arricchito il sistema di imputazione soggettiva dell’illecito penale: ed infatti, affinché il soggetto possa considerarsi colpevole è ora necessario un elemento ulteriore costituito dalla possibilità di conoscenza della norma penale.
Secondo il ragionamento seguito dalla Corte Costituzionale, il generale principio di solidarietà sancito nell’art. 2 Cost. pone a carico di ciascun consociato un dovere strumentale di informazione e conoscenza della legge penale. Tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell’illecito anche in virtù di una culpa levis (S.U. Cass., 8154/94). Ne consegue che il soggetto deve considerarsi responsabile ogni qualvolta l’ignoranza della legge penale derivi dalla violazione di quel dovere di informazione; non così, invece, qualora, pur adempiendo al proprio dovere di informazione, il soggetto non acquisisca la consapevolezza dell’illiceità di un dato comportamento e si tratti, perciò, di ignoranza inevitabile, cioè insuperabile da chiunque altro si fosse trovato nella situazione in cui l’agente modello ha operato (es.: può ritenersi scusabile l’ignoranza dell’extracomunitario il quale, come ambulante, venda degli accendini, senza sapere di porre in essere dei reati finanziari). L’errore di diritto scusabile, in quanto dovuto ad ignoranza inevitabile, è configurabile solo in presenza di una oggettiva e insuperabile oscurità della norma o del complesso di norme da cui deriva il precetto penalmente sanzionato.
L’incertezza derivante da contrastanti orientamenti giurisprudenziali nell’interpretazione e nell’applicazione di una norma non abilita da sola ad invocare la condizione soggettiva di ignoranza inevitabile della legge penale (Cass. 6175/95).
I contrastanti orientamenti giurisprudenziali, i chiarimenti forniti dall’autorità competente, i provvedimenti amministrativi che consentono attività vietate, vanno valutati, ai fini della scusabilità dell’errore, alla stregua delle caratteristiche personali dell’agente, cioè del suo livello di cultura o di socializzazione, del suo livello professionale etc. (Cass. 14203/90).
Le fonti di errore incolpevole indicate dalla Corte riecheggiano i criteri già suggeriti dalla giurisprudenza in tema di buona fede nelle contravvenzioni: «le assicurazioni erronee di persone istituzionalmente destinate a giudicare sui fatti da realizzare», l’esistenza di «precedenti giudizi assolutori» etc. Nessuna rilevanza è invece attribuita all’errore comune non condiviso dall’agente in ragione delle particolari conoscenze e abilità possedute.
Per l’ipotesi di dubbio sull’illiceità del fatto la Corte Costituzionale distingue il dubbio soggettivamente invincibile, in presenza del quale il soggetto deve astenersi dall’azione, e il dubbio oggettivamente irrisolvibile (qualora l’illiceità si riferisca sia al compimento che al non compimento dell’azione), in presenza del quale il soggetto non potrà essere assoggettato ad alcun rimprovero.
(Tratto dal Codice penale edizioni Simone)
Fonte: http://cpdireco.altervista.org/M1_ud3_approfondimenti%20efficacia%20della%20norma.doc
Sito web da visitare: http://cpdireco.altervista.org
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