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1. Il contenuto e i limiti.
L’art. 832 definisce il diritto di proprietà come il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico.
Storicamente il diritto di proprietà negli ordinamenti liberali si caratterizzava per una tendenziale illimitatezza che rispondeva ad una duplice esigenza:
- sul piano politico, come risultato della visione individualistica della borghesia del primo ‘800, si intendeva sottrarre il proprietario a qualsiasi ingerenza esterna sia degli altri individui, sia dello stesso potere pubblico;
- sul piano economico, la illimitatezza del potere si riteneva strumentale ad un migliore sfruttamento economico della terra, che era a quei tempi la fonte della ricchezza.
Nel secondo dopoguerra, si cominciò ad osservare da parte dei giuristi che gli interventi normativi erano indirizzati in precise, specifiche direzioni, al fine di ricostruire il contenuto del diritto di proprietà; da un lato si doveva aver sempre più riguardo alla legislazione speciale rispetto a quella codicistica, dall’altro, non si poteva più parlare della proprietà, ma piuttosto delle proprietà.
Ancora oggi la legislazione speciale disciplina le proprietà socialmente rilevanti, sia limitando l’autonomia contrattuale in materia di contratto di locazione di immobili urbani, di affitto di fondi rustici, sia fissando uno speciale regime giuridico per i suoli edificatori e per i beni ambientali e culturali.
Si pone allora il problema dei limiti entro i quali la legge ordinaria può intervenire sulla proprietà di questi beni. La risposta è nella Costituzione che, all’art. 44, attribuisce al legislatore ampi poteri di intervento in materia di proprietà agraria e, all’art. 42, riconosce e garantisce la proprietà privata, ma nel contempo ne circoscrive il contenuto.
Tale disposizione si è ampliata, infatti, la legge riconosce e garantisce la proprietà e ne determina i modi di acquisto, di godimento ed i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. Il proprietario non può godere del bene se non nei limiti in cui tale godimento sia giustificato da un interesse generale e, viceversa, la proprietà può essere sempre compressa quando ciò sia utile socialmente. Essa allora si presenterebbe non più come oggetto di un diritto, posto a fondamento della libertà personale, ma come uno strumento economico-sociale.
Si sostiene dunque che i limiti alla proprietà non sono più eccezionali e possono quindi essere estesi analogicamente e che il giudice può operare un controllo sul modo con il quale il diritto di proprietà è esercitato.
Più tecnicamente si può osservare che il diritto di proprietà è strumento di utilizzazione dei beni, cosicché l’autonomia del proprietario trova il proprio limite nella qualificazione giuridica dei beni stessi e nei possibili modi di godimento e di disposizione, i quali devono assicurare il rispetto degli interessi generali coinvolti a seconda del tipo di bene utilizzato.
In tal senso si conferma la necessità di distinguere da un lato le proprietà e dall’altro la proprietà del codice civile da quella della Carta costituzionale. La Carta, infatti, mira a porre un limite, costituito dalla funzione sociale, non alla proprietà in quanto tale, ma alla proprietà di quelle categoria di beni che rivestono importanza dal punto di vista degli interessi sociali.
È così possibile intervenire sia sull’autonomia contrattuale, sia sul contenuto della proprietà, ponendo di volta in volta limiti dall’esterno. Ma è anche possibile che la elegge operi dall’interno, definendo essa stessa il contenuto della proprietà di certi beni. Non si potrà allora parlare di limiti, perché quella proprietà sarà conformata in modo diverso e più circoscritto rispetto a quello desumibile dalla definizione codicistica e da astratti modelli di riferimento.
In concreto, la funzione sociale può manifestarsi in tre direzioni:
L’art. 42 2° comma Cost., prevede che la proprietà debba svolgere una funzione sociale pur rimanendo di titolarità del privato. Al 3° comma si prevede la possibilità di espropriare la proprietà stessa per motivi di interesse generale, dietro pagamento di un indennizzo fissato dalla legge ordinaria: è evidente allora che per il privato, al sacrificio di perdere il diritto di proprietà, corrisponde il vantaggio di incassare una certa somma di denaro; l’interesse generale è dunque bensì perseguito ma ponendo a carico dell’intera collettività il pagamento di una somma, che sarà percepita da chi vede sacrificato il proprio personale interesse.
In caso di intervanto funzionalizzatore, la legge non prevede alcun indennizzo, dal momento che non si sottrae al privato il diritto di proprietà ma si pongono solo alcuni limiti o obblighi in relazione all’esercizio della proprietà stessa.
Nessun problema sorge ove i limiti e gli obblighi mantengano integra la possibilità di esercitare il diritto di proprietà e ne restringano solo l’ambito, ma il discorso diviene più complesso quando i limiti sono a tal punto incidenti da impedirne lo stesso esercizio, cosicché alla proprietà formale non corrisponde più una sostanziale utilità concreta. In questo caso la funzionalizzazione opera, da un punto di vista sostanziale, come un’espropriazione ma poiché formalmente non si assiste ad alcun trasferimento coattivo di proprietà non sarebbe dovuto alcun indennizzo. Si parla al riguardo di espropriazioni non ablative o anomale.
2. La proprietà edilizia.
La proprietà dei suoli edificatori è disciplinata sostanzialmente dalla legge urbanistica (42/1150) in parte modificata ed integrata dalla legge-ponte (67/765) e successivamente dalla legge Bucalossi (77/10).
La legge urbanistica detta una disciplina avente ad oggetto l’assetto e l’incremento edilizio dei centri abitati e lo sviluppo dell’intero territorio nazionale. La disciplina urbanistica si attua mediante:
- piani regolatori comunali;
- piani regolatori territoriali;
- norme sull’attività costruttiva edilizia, sancite dalla legge o prescritte per mezzo di regolamenti.
I Comuni pertanto redigono un piano regolatore generale valido per tutto il territorio comunale con cui si individuano le zone destinate all’espansione dell’aggregato urbano e si determinano i vincoli e le caratteristiche. In elaborazione di questo piano generale i Comuni elaborano poi i piani particolareggiati zona per zona dove sono prese in considerazione singole unità di suoli, cosicché ciascuno dei privati venga a conoscenza della destinazione del proprio.
In alternativa all’elaborazione di piani particolareggiati, i Comuni possono anche stipulare convenzioni urbanistiche d’intesa con il proprietario o i proprietario di un’area (o comparto) per regolarne l’edificabilità. In tal modo si utilizza uno strumento tipicamente privatistico basato sull’accordo, anziché pubblicistico basato sull’esercizio della potestà autoritativa che spetta alla pubblica amministrazione. È questo un fenomeno sempre più diffuso, indicato con l’espressione: privatizzazione del diritto amministrativo.
I Comuni per realizzare i piani, si avvalgono essenzialmente di due strumenti:
- quello di azzonamento: facoltà di stabilire le varie destinazioni dei suoli, se riconosciuti edificabili o se destinati a verde;
- quello espropriativo: espropriazione per pubblica utilità (costruzione di scuole, strade, ospedali ecc.).
È dunque il Comune a decidere la destinazione del suolo e non il proprietario, in tal modo al diritto di proprietà vengono meno i caratteri dell’assolutezza e della pienezza.
La facoltà di costruire non è vincolata solo con riguardo alla destinazione del suolo ma anche con riguardo all’edificio da costruire, all’altezza, alla distanza, al volume, alla sagoma.
Con la legge del 1967 vennero introdotti gli standards urbanistici, validi per tutto il territorio nazionale, per evitare che i privati possano agire a proprio piacimento. Questi standards in sostanza stabiliscono positivamente i limiti entro i quali è possibile utilizzare il suolo edificatorio, a seconda del luogo in cui è situato. La proprietà privata dei suoli edificatori è così sottoposta ad una pianificazione nazionale, che riguarda una generalità di beni e una pluralità indifferenziati di proprietari.
Co la legge 77/10 il legislatore ha inteso riprendere il discorso del ius aedificandi.
Alla vecchia licenza si sostituì la concessione edilizia, con il pagamento di una somma di denaro rapportata all’utilità che il privato ricava dall’edificazione del suolo in una zona in cui i costi relativi alle opere di urbanizzazione sono sopportati dal Comune. La Corte ha però osservato che anche la concessione non attribuisce nuovi diritti, ma facoltà preesistenti già ricomprese nel diritto di proprietà del suolo; la concessione è infatti trasferibile con la proprietà stessa.
Infine la Corte ha affermato che va considerato che la destinazione urbanistica comporta un valore aggiunto (rendita da posizione) rispetto al contenuto essenziale del diritto di proprietà, con ciò contraddicendo l’idea dello ius aedificandi come connaturale al diritto stesso.
3. La legge sul condono edilizio.
Il particolare regime giuridico della proprietà edilizia comporta che non è possibile edificare senza un preventivo provvedimento amministrativo. L’edificio costruito in violazione di tale regola è abusivo e la legge sanziona tale abusività sul piano amministrativo, penale, civile.
- Sul piano amministrativo la previsione è quella di demolizione del manufatto abusivo o dell’acquisizione gratuita dello stesso nel patrimonio del Comune;
- Sul piano penale è attribuita al tribunale la competenza in materia di reati edilizi che comportano, a titolo di sanzione, l’ammenda o l’arresto.
- Sul piano civile la legge sul condono edilizio ha introdotto un’articolata disciplina. Il suo scopo dichiarato è stato quello di porre fine all’abusività con una normativa più incidente rispetto alla pregressa ma, in realtà, il motivo che ha spinto il legislatore a prevedere un condono in questa materia è stato quello finanziario, al fine di procurare entrate al tesoro dello Stato.
4. Le proprietà “conformate”.
Il suolo edificatorio è un bene “conformato”, oggetto di proprietà a contenuto normativamente delimitato solo quando i vincoli posti dalle legge, sono generali, astretti e riferiti ad una pluralità indifferenziata di soggetti.
La conformazione è assoluta per i beni ambientali, culturali, culturali - ambientali, costituzionalmente rilevanti, che presentano interesse di tipo storico, artistico, archeologico e sono considerati culturali – ambientali se inseriti in un contesto naturale, comprese le trasformazioni urbanistiche e i centri storici delle città, che hanno una speciale disciplina anche in sede di normativa sul condono, essendo necessario, per la sanatoria, il parere della sovraintendenza.
L’imposizione di vincoli alla proprietà privata di questi beni o in ragione di questi beni è connaturata ai beni stessi, i quali vengono ad esistenza già “limitati” sul piano della possibile utilizzazione. I relativi interventi pubblici non privano allora il proprietario di facoltà, né le limitano, cosicché non si pone un problema di indennizzo.
5. La proprietà agraria.
L’art. 44, 1° comma Cost. dispone che al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà privata terriera e limiti all’estensione secondo le regioni e le zone agrarie, promuove e impone le bonifiche di terre, le trasformazioni dei latifondi e la ricostituzione delle unità produttive, aiuta la piccola e la media proprietà.
L’intervento normativo mira a modificazioni quantitative dell’oggetto del diritto (limiti all’estensione).
La seconda strada è stata quella di intervenire sui contratti agrari con vincoli e limiti inerenti direttamente all’oggetto e dunque con decisive conseguenze in ordine alla disciplina del diritto di proprietà, che ne risulta strutturalmente modificato.
Vi è una funzionalizzazione profonda che incide sulla stessa autonomia contrattuale del proprietario. Anche per il lavoratore della terra la legislazione di favore che eroga crediti agevolati si accompagna a vincoli e obblighi, come quelli della indivisibilità trentennale, dell’obbligo di coltivazione diretta, del divieto di disporre, della necessità di un certo rapporto proporzionale tra estensione del fondo e capacità lavorativa del coltivatore e della sua famiglia.
6. Le disposizioni del codice civile.
La legislazione in materia di proprietà dei suoli urbani e dei fondi rustici è essenzialmente di carattere speciale. Dall’insieme della disciplina si evince che caratteristica principale del diritto di proprietà è l’assenza di limiti temporali e quindi la perpetuità della relativa appartenenza.
È quindi sicuramente possibile fissare un termine iniziale della titolarità del diritto.
La possibilità di dar vita convenzionalmente ad una proprietà temporanea è discussa, ma la pienezza del diritto non viene meno se non c’è perpetuità. Del resto è la stessa legge che in taluni casi autorizza il soggetto a fissare un termine finale.
Diversa da quella temporanea è la proprietà risolubile. Essa si caratterizza per il fatto che il diritto può venir meno per un accadimento sopravvenuto dedotto dalle parti in contratto, o dalla legge stessa, come nel caso di donazione con patto di reversibilità e di vendita con patto di riscatto. Tale situazione si distingue peraltro da quella che consegue alla proprietà temporanea perché, una volta prodottosi, gli effetti risolutivi retroagiscono ex tunc.
Il proprietario non può compiere atti emulativi (art. 833), atti cioè che non hanno altro scopo se non quello di nuocere o recare molestia ad altri, senza dunque ricavare alcun vantaggio. Accertata l’emulatività dell’atto, il proprietario ha l’obbligo di ripristinare la preesistente condizione e di risarcire il danno; quel che conta è il fatto di recare molestia, non l’intenzione di recarla.
Per quanto riguarda la proprietà fondiaria, essa è estesa anche al sottosuolo, ad eccezione delle miniere, cave e torbiere nonché delle cose di interesse artistico e archeologico che sono di proprietà dello Stato. Costituisce poi proiezione della proprietà l’utilizzazione dello spazio soprastante che è tutelata anche in via possessoria. Del sottosuolo o dello spazio sovrastante possono anche far uso terzi, purché non si interferisca con l’interesse del proprietario. È anche possibile un frazionamento orizzontale della proprietà.
Il proprietario (o il titolare di altro diritto reale) di un fondo può impedire (con l’azione inibitoria) le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo vicino, se esse superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo della condizione dei luoghi.
Sono considerate tollerabili le immissioni reciproche causate da usi analoghi dei fondi e quelle eliminabili con accorgimenti economicamente non dispendiosi. Sono comunque intollerabili quelle che superano limiti posti dalla legge o da regolamenti, con riguardo quindi all’inquinamento acustico, atmosferico e all’impatto ambientale, tenendo però presente che dette norme indicano limiti pubblicistici di accettabilità, laddove quelli di tollerabilità vanno accertati caso per caso.
Per poter agire con l’inibitoria non è necessario provare né la colpa o dolo dell’immittente, né l’esistenza di un danno, perché l’azione non è quella risarcitoria, ma ha carattere reale, sempre che sia proposta contro il proprietario o i proprietari del fondo e miri ad ottenere un divieto definitivo delle immissioni.
Il locatario, peraltro, è legittimato solo se si chiede la mera cessazione delle immissioni, senza modifiche irreversibili dell’immobile.
È invece personale, e a carattere risarcitorio, l’azione iniziata contro il detentore o contro uno dei proprietari, mirante solo ad ottenere il divieto di tenere quel comportamento illecito, quando costui sia in grado, senza intervento del proprietario o degli altri comproprietari, di eliminare le immissioni.
È in ogni caso possibile cumulare l’azione personale con quella reale, dando però la prova del danno mentre la colpa si presume in presenza di immissioni intollerabili. Il proprietario che lochi un immobile è poi solidalmente responsabile con il locatario immittente se non interviene per evitarle.
L’acquirente del bene immesso può comunque anche agire contro l’alienante.
Anche a livello codici stico si conferma la notevole serie di vincoli e di limiti imposti alla proprietà del fondo rustico nell’interesse di una migliore produzione agricola. Di notevole importanza sono le norme in tema di bonifica ed in particolare quelle sui consorzi, nonché quelle per scopi idrogeologici o di altra natura.
Quanto alla proprietà edilizia è necessario distinguere nettamente gli artt. 869 – 871, da un lato, e gli artt. 873 ss. dall’altro. Come si evince dall’art. 872, i primi attengono infatti alla regolamentazione di carattere amministrativo, in conseguenza della quale il privato non è titolare di un diritto soggettivo perfetto ma solo di un interesse legittimo; gli altri invece dettano norme privatistiche a tutela della proprietà nei rapporti di vicinato.
Nel primo caso il privato può chiedere il risarcimento del danno da svalutazione del proprio immobile. Viceversa tale sanzione può essere richiesta dal privato nel secondo caso.
L’art. 873 fissa la distanza minima tra costruzioni su fondi anche non contigui, in tre metri o in quella superiore, fissata dal regolamento comunale. Per il principio della prevenzione, chi costruisce per primo può anche costruire a confine e poi pretendere che la distanza sia osservata, potendo agire, in difetto, per l’abbattimento.
Il prevenuto, però, può chiedere la comunione forzosa del muro allo scopo di costruirvi contro.
La prevenzione sussiste anche quando, nel silenzio del regolamento comunale, si prevede una distanza non inferiore all’altezza di ciascun fronte dell’edificio da costruire.
Il principio di prevenzione non vale nel caso in cui le distanze previste dal regolamento vadano calcolate dal confine.
Il mancato rispetto delle norme regolamentari comporta il risarcimento del danno per svalutazione dell’immobile frontista.
Un’analitica disciplina è dettata per regolamentare le luci (cioè finestre o altre aperture sul fondo vicino che danno passaggio all’aria ma non permettono di affacciarsi sul fondo stesso) e le vedute o prospetti (finestre o altre aperture che permettono di affacciarsi e di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente sul fondo vicino).
Fonte: http://torarchivio.altervista.org/alterpages/files/10Laproprieta.doc
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Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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