Prescrizione e la decadenza

Prescrizione e la decadenza

 

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

 

 

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

 

 

 

Prescrizione e la decadenza

RIASSUNTI DEL
“MANUALE DI DIRITTO PRIVATO”
Di: A.Torrente P.Schlesinger

Capitolo 11: INFLUENZA DEL TEMPO SULLE VECENDE GIURIDICHE
(in particolare: LA PRESCRIZIONE E LA DECADENZA)

  1. NOZIONI GENERALI

 

  1. Computo del tempo

Il tempi è preso in considerazione dall’ordinamento giuridico sotto vari aspetti: non si conta il giorno iniziale, si conta quello finale; il termine scadente il giorno festivo è prorogato al giorno seguente non festivo; se il termine è a mese, si segue il criterio secondo il quale il termine scade nel giorno corrispondente a quello del mese iniziale.

  1. Influenza del tempo sull’acquisto e sull’estinzione dei diritti soggettivi

 

Il decorso di un determinato periodo di tempo insieme con altri elementi può dar luogo all’acquisto o all’estinzione di un diritto soggettivo. Se il decorso del tempo serve a far acquistare un diritto soggettivo, l’istituto che viene in considerazione è l’usucapione; invece, l’estinzione del diritto soggettivo per decorso del tempo forma oggetto di altri due istituti: la prescrizione estintiva e la decadenza.

  1. LA PRESCRIZIONE ESTINTIVA

 

  1. Definizione e fondamento

La prescrizione estintiva produce l’estinzione del diritto soggettivo per l’inerzia del titolare del diritto stesso che non lo esercita (art.2934 c.c.) o non ne usa (art.954.4, 970, 1014, 1073) per il tempo determinato dalla legge.

  1. Operatività della prescrizione

Le parti non possono rinunciare preventivamente alla prescrizione (art.2937 c.c.) né prolungare né abbreviare i termini stabiliti dalla legge (art.2936 c.c.).
Il debitore che paga spontaneamente il debito, non può farsi restituire quanto ha pagato (art.2940 c.c.). Si verifica così, una ipotesi di obbligazione naturale (art.2034 c.c.).

  1. Oggetto della prescrizione

La regola è che tutti di diritto sono soggetti a prescrizione estintiva; ne sono esclusi i diritti indisponibili come gli stati, la potestà dei genitori sui figli minori, … (art.2934 c.c.  diritti imprescrittibili).
La ragione dell’esclusione è che questi diritti sono attribuiti al titolare nell’interesse generale e costituiscono, spesso, oltre che un potere anche un dovere.
Anche il diritto di proprietà non è soggetto a prescrizione estintiva (art.948.3), perché anche il non uso è un espressione della libertà riconosciuta al proprietario: inoltre la prescrizione ha sempre come finalità il soddisfacimento di un interesse, la dove l’estinzione del diritto di proprietà per non uso non avvantaggerebbe nessuno. Sono inoltre imprescrittibili sia l’azione di petizione di eredità (art.533.2 c.c.) sia l’azione per far dichiarare la nullità di un negozio giuridico (art.1422 c.c.).

  1. Inizio della prescrizione

La prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto avrebbe potuto essere esercitato; quindi se il diritto deriva da un negozio sottoposto a condizione o a termine, la prescrizione decorre dal giorno in cui la condizione si è verificata o il termine è scaduto.

  1. Sospensione e interruzione della prescrizione

La sospensione è determinata o da particolari rapporti fra le parti (art.2941 c.c.  tra i coniugi, tra il genitore che esercita la potestà sue figli minori), o dalla condizione del titolare (art.2942 c.c. minori non emancipati o interdetti per infermità di mente o militari in servizio attivo in tempo di guerra). Le cause indicate sono tassative, cosìcchè i semplici impedimenti di fatto non valgono ad impedire il decorso della prescrizione.
L’interruzione ha luogo o perché il titolare compie un atto (art.2943 c.c.) con il quale esercita il diritto o perché il diritto viene riconosciuto dal soggetto passivo del rapporto (art.2944 c.c.).
Nella sospensione l’inerzia del titolare del diritto continua a durare, ma è giustificata; nell’interruzione invece è l’inerzia stessa che viene a mancare o perché il diritto è stato esercitato, o perché esso è stato riconosciuto dall’altra parte.
La differenza tra la sospensione e l’interruzione è che: la sospensione spiega i suoi effetti per tutto il periodo per il quale gioca la causa giustificativa dell’inerzia (quindi per esempio finchè dura la minore età), ma non toglie valore al periodo eventualmente trascorso in precedenza (es. prima del matrimonio). Nella sospensione quindi, il tempo anteriore al verificarsi della causa di sospensione non perde la sua efficacia e si somma con il periodo successivo alla cessazione dell’operatività della causa di sospensione. Invece, l’interruzione, facendo venir meno l’inerzia, toglie ogni valore al tempo anteriormente trascorso: dal beneficarsi del fatto interruttivo, però, comincia a decorrere un nuovo periodo di prescrizione (art.2945 c.c.).

  1. Durata della prescrizione

Rispetto alla durata si distinguono la prescrizione ordinaria e le prescrizioni brevi.
La prima è applicabile in tutti i casi in cui la legge non dispone diversamente e dura 10 anni (art.2946 c.c.). Il periodo più lungo (20 anni) è stabilito in armonia con il termine per l’usucapione (art.1158 c.c.), per l’estinzione dei diritti reali su cosa altrui (art.954, 970, 1014, 1073 c.c.). Termini più brevi sono previsti per altri tipi di rapporto e danno luogo alle c.d. prescrizioni brevi (art.2947 e segg.). Esse riguardano il diritto al risarcimento del danno, le prestazioni periodiche (art.2948 c.c.) e vari rapporti commerciali (società, spedizione, trasporto, assicurazione).

  1. Le prescrizioni presuntive

Le prescrizione presuntive si basano sulla considerazione che vi sono rapporti della vita quotidiana nei quali l’estinzione del debito può avvenire senza che il debitore abbia cura di richiedere e conservare una quietanza che gli garantisca la possibilità di provare anche a distanza di tempo, di avere già provveduto ad estinguere il debito. A sua tutela perciò, la legge, trascorso un breve periodo, presume che il debito si sia già estinto.
Si noti bene: non è che il debito si estingua, ma si presume che si sia estinto ossia che il debitore è esonerato dall’onere di fornire in giudizio la prova dell’estinzione.
Le presunzioni sono di due specie: quelle che ammettono la prova contraria e quelle che non la ammettono (art.2728 c.c.). La presunzione che nasce a favore del debitore dalla prescrizione presuntiva appartiene alla prima categoria.
Contro la presunzione di estinzione non è ammesso qualsiasi mezzo di prova; il creditore, il quale abbia lasciato trascorrere imprudentemente l’intero periodo prescrizionale prima di pretendere il pagamento, ove la prescrizione presuntiva sia stata posta in giudizio, può cercare di vincerla solo ottenendo dal debitore la confessione che il debito, in realtà, non è stato pagato (art.2959 c.c.); altrimenti occorre deferire all’altra parte il giuramento decisorio (art.2736 c.c.), ossia l’invito ad assumere tutte le responsabilità inerenti ad una dichiarazione solenne davanti al giudice con la quale il debitore confermi che l’obbligazione sia davvero estinta (art.2960 c.c.).
Il vantaggio che il debitore riceve opponendo la prescrizione presuntiva è, perciò, chiaro: egli è esonerato dall’onere di provare quale fatto avrebbe determinato l’estinzione del debito: il giudice deve assolverlo dalla domanda di pagamento, senza bisogno che dimostri di avere effettivamente già pagato ovvero che si è davvero verificata qualche altra causa di estinzione del debito.

  1. LA DECEDENZA

 

  1. Fondamento e natura

La decadenza produce l’estinzione del diritto in virtù del fatto oggettivo del decorso del tempo, esclusa, in genere, ogni considerazione relativa alla situazione soggettiva del titolare. La decadenza implica, quindi, l’onere di esercitare il diritto esclusivamente entro il tempo prescritto dalla legge.
La decadenza può, quindi, essere impedita solo dall’esercizio del diritto mediante il compimento dell’atto previsto (art.2966 c.c.). Con l’esercizio del diritto cade, infatti, la stessa ragione d’essere della decadenza: l’onere, a cui era condizionato l’esercizio del diritto, è ormai soddisfatto.
La decadenza legale costituisce sempre un istituto eccezionale, in quanto deroga al principio generale, secondo il quale l’esercizio dei diritti soggettivi non è sottoposto a limiti e il titolare può esercitarli quando, come e dove gli pare opportuno.

Capitolo 12: L’ATTO E IL NEGOZIO GIURIDICO

  1. Classificazione degli atti giuridici

 

Gli atti giuridici si distinguono in due categorie: atti conformi alle prescrizioni dell’ordinamento giuridico (atti leciti) e atti compiuti in violazione di doveri giuridici e che producono la lesione del diritto soggettivo altrui (atti illeciti art.2043 c.c.).
Gli atti leciti si distinguono in operazioni che consistono in modificazioni del mondo esterno (es. la presa di possesso di una cosa), e dichiarazioni, che sono atti diretti a comunicare ad altri il proprio pensiero.
Si dicono invece dichiarazioni di scienza di atti con quali si comunica ad altri di essere a conoscenza di un atto o di una situazione (es. nella confessione).
Tutti gli atti umani consapevoli e volontari, che non siano negozi giuridici, sono denominati atti giuridici in senso stretto.

  1. Il negozio giuridico

 

Il negozio giuridico è una dichiarazione di volontà con la quale vengono enunciati gli effetti perseguiti ed alla quale l’ordinamento giuridico ricollega gli effetti giuridici conformi al risultato voluto.
Il nostro c.c. non dedica un’apposita disciplina al concetto di negozio giuridico: in esso è regolato il contratto (artt.1321-1469), il testamento (artt.587-712), il matrimonio (artt.84-142), alcune altre figure negoziali, ma non il negozio giuridico in generale.
I negozi giuridici possono essere collegati tra loro: la figura più importante è costituita dal procedimento o atto-procedimento, che consiste in più atti successivi, di cui ogni atto costituisce l’antecedente del successivo.  

  1. Classificazione dei negozi giuridici:
  2. in relazione alla struttura soggettiva

Se il negozio giuridico è perfezionato con la dichiarazione di una sola parte, il negozio si dice unilaterale (es. il testamento).
Se le dichiarazioni di volontà sono dirette a formare la volontà di un soggetto diverso, si ha l’atto collegiale (es. deliberazione dell’assemblea di una s.p.a.). nell’atto collegiale si applica il principio della maggioranza: la deliberazione è valida ed efficace anche se è approvata dalla maggioranza e non da tutti  coloro che hanno diritto di partecipazione alla formazione della volontà della persona giuridica.
I negozi giuridici unilaterali si distinguono in recettizi, se, per produrre effetto, la dichiarazione negoziale deve pervenire a conoscenza di una determinata persona, alla quale, pertanto, deve essere comunicata o notificata (art.1334 c.c.); e non recettizi, se producono effetto indipendentemente dalla comunicazione ad uno specifico destinatario (es. riconoscimento di un figlio naturale). Se le parti sono più di una, si ha il negozio bilaterale (se sono due) o plurilaterale (se sono più di due). Negozio bilaterale tipico è il contratto , che è l’accordo di due parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale(art.1321 c.c.).

  1. b) in relazione alla funzione

 

Si distinguono così i negozi mortis causa (unico es. il testamento), i cui effetti presuppongono la morte di una persona dai negozi inter vivos, che prescindono da tale presupposto (es. vendita).
Secondo che si riferiscano a rapporti familiari o ad interessi economici si distinguono i negozi di diritto familiare (in cui prevale sull’interesse del singolo l’interesse superiore del nucleo familiare, onde sono stati qualificati come atti di potestà familiare) dai negozi patrimoniali che a loro volta si distinguono in negozi di attribuzione patrimoniale (che tendono ad uno spostamento di diritti patrimoniali da un soggetto ad un altro (es. vendita)), e i negozi di accertamento (che si propongono solo di eliminare controversie, dubbi sulla situazione esistente).
I negozi di attribuzione patrimoniale, a loro volta, si distinguono in negozi di disposizione (che importano una immediata diminuzione del patrimonio mediante alienazione o rinuncia), e negozi di obbligazione (che danno luogo solo alla nascita di una obbligazione diretta al trasferimento di un bene (es. vendita di cosa altrui nella quale il venditore si obbliga ad acquistare la cosa dal proprietario in guisa che il compratore possa, di conseguenza, diventarne a sua volta immediatamente proprietario art.1478.2 c.c.)).
I negozi di disposizione si distinguono in negozi traslativi (se attuano il trasferimento o la limitazione del diritto a favore di altri) e abdicativi.

  1. La rinunzia

Negozio abdicativo è la rinunzia, che è la dichiarazione unilaterale del titolare di un diritto soggettivo, diretta a dismettere il diritto stesso senza trasferirlo ad altri.
Se la rinunzia ha per oggetto un diritto di credito si chiama remissione (art.1236 c.c.).

  1. Negozi a titolo gratuito e negozi a titolo oneroso

 

I negozi patrimoniali si distinguono in negozi a titolo gratuito e negozi a titolo oneroso.
Un negozio a titolo oneroso si ha quando un soggetto, per acquistare qualsiasi tipo di diritto, accetta un correlativo sacrificio; mentre si dice a titolo gratuito il negozio per effetto del quale un soggetto acquisisce un vantaggio senza alcun correlativo sacrificio. In genere l’acquirente a titolo gratuito è protetto meno intensamente dall’acquirente a titolo oneroso.

  1. Elementi del negozio giuridico

 

Gli elementi del negozio giuridico si distinguono in elementi essenziali, senza i quali il negozio è nullo (art.1418 c.c.), ed elementi accidentali, che le parti sono libere di apporre o meno. Gli elementi essenziali si dicono generali, se si riferiscono ad ogni tipo di negozio (es. la volontà, la dichiarazione, la causa); particolari, se si riferiscono a quel particolare tipo considerato. Dagli elementi essenziali distinguiamo i presupposti del negozio, che sono circostanze estrinseche al negozio, indispensabili perché il negozio sia valido. Tali sono la capacità della persona che pone in essere il negozio, l’idoneità dell’oggetto, la legittimazione del negozio.
Elementi accidentali generali sono la condizione, il termine, il modo.
Distinguiamo anche i c.d. elementi naturali. In realtà si tratta di effetti naturali del negozio: essi si producono senza bisogno di previsione delle parti, salva la loro contraria volontà manifestata.

 

Capitolo 13: LA DICHIARAZIONE DI VOLONTA’

Modalità della dichiarazione

 

A seconda dei modi con cui la dichiarazione avviene, essa si distingue in dichiarazione espressa (se fatta con parole, cenni, alfabeto Morse…) e dichiarazione tacita.
In alcuni casi l’ordinamento giuridico richiede per forza una dichiarazione espressa, per evitare le incertezze circa l’esistenza della dichiarazione. Il silenzio può avere valore di dichiarazione tacita di volontà solo in concorso di determinate circostanze; oppure se, in basa alle regole della correttezza e della buona fede, il silenzio, dati i rapporti tra le parti, ha il valore di consenso.

La forma

 

Talvolta si ha la necessità di subordinare la validità di un atto a forme solenni: matrimonio o testamento. Ma il legislatore impone che la volontà sia dichiarata in forma scritta  o mediante atto pubblico, ossia con l’intervento di un pubblico ufficiale (es. nel caso della donazione).

Il bollo e la registrazione

 

Per molti negozi lo Stato, per ragioni fiscali, impone l’uso della carta bollata. L’inosservanza di tale prescrizione non dà luogo, tuttavia, alla nullità del negozio, ma ad una sanzione pecuniaria notevole. Solo la cambiale e l’assegno bancario, se non sono stati regolarmente bollati al momento della emissione, pur essendo validi a tutti gli altri effetti, non hanno efficacia a titolo esecutivo.
Anche la registrazione serve prevalentemente a scopi fiscali. Essa è il mezzo di prova più comune per rendere certa, mediante l’attestazione dell’ufficio stesso sul documento, la data di una scrittura privata di fronte ai terzi (art.2704 c.c.).

Formazione o perfezione del negozio

 

In generale il negozio è formato o perfetto quando la dichiarazione esce dalla sfera di colui che la manifesta. Per determinare il momento di perfezionamento occorre distinguere tra negozio unilaterale, negozio unilaterale recettizio e contratto.
I negozi unilaterali (es. testamento) non recettizi sono perfetti nel momento in cui la volontà viene manifestata; i negozi unilaterali recettizi nel momento in cui pervengono a conoscenza della persona a cui sono destinati (art. 1334 c.c.).
L’efficacia, invece, è l’attitudine nel negozio a produrre i suoi effetti. Non sempre perfezione ed efficacia coincidono: per es. il testamento è formato quando è stato redatto, ma non produce i suoi effetti se non quando il testatore sia morto.

Capitolo 14: CENNI SULLA PUBBLICITA’

 

Fini e natura

In molti casi, la legge impone l’iscrizione del negozio in registri tenuti dalla pubblica amministrazione, che chiunque può consultare, o in giornali ufficiali, bollettini…La pubblicità serve, pertanto, a dare ai terzi la possibilità di conoscere l’esistenza ed il contenuto di un negozio giuridico.

Tipi di pubblicità

 

Distinguiamo tre tipi di pubblicità:

  1. la pubblicità-notizia, la cui omissione dà luogo ad una sanzione pecuniaria o penale, ma è irrilevante per la validità dell’atto, che rimane anche opponibile ai terzi;
  2. la pubblicità dichiarativa che serve a rendere opponibile il negozio ai terzi. La sua omissione non determina l’invalidità dell’atto, che produce egualmente i suoi effetti tra le parti;
  3. la pubblicità costitutiva: senza di essa il negozio non soltanto non si può opporre ai terzi, ma non produce effetti nemmeno tra le parti. 

Capitolo 15: MANCANZA DI VOLONTA’ E CONTRASTO TRA VOLONTA’ E DICHIARAZIONE

IL PROBLEMA IN GENERALE

 

La teoria dell’affidamento

Secondo questa teoria, se la dichiarazione diverge dall’interno volere, ma colui cui essa è destinata non era in grado di conoscere la divergenza, il negozio è valido; è invalido se il destinatario sapeva che la dichiarazione non corrispondeva all’interno volere del dichiarante. Questa teoria vale per i negozi patrimoniali dell’intero volere a titolo oneroso, ma non per quelli mortis causa, per i negozi di diritto personale e familiare, e per quelli patrimoniali a titolo gratuito, nei quali occorre avere esclusivo riguardo alla volontà del dichiarante.

CASI DI MANCANZA DI VOLONTA’ O DI DIVERGENZA

 

Dichiarazioni a scopo rappresentativo o didattico; scherzo; riserva mentale; violenza fisica

E’ applicando la teoria dell’affidamento che si risolvono i casi di mancanza di volontà o di divergenza tra volontà e dichiarazione.
Dobbiamo distinguere le dichiarazioni fatte nello scherzo, ossia in condizioni tali che ciascuno intenda che non si agisce sul serio; e le dichiarazioni fatte per ischerzo, ossia con intenzione non seria, senza, però, che ciò risulti all’altra parte. Nella prima il negozio è nullo, nella seconda è valido.
La riserva mentale consiste nel dichiarare intenzionalmente cosa diversa da quel che si vuole effettivamente, senza che l’altra parte sia in condizione di scoprire la divergenza. E, siccome chi riceve la dichiarazione non è tenuto ad indagare sulle reali intenzioni del dichiarante, questo rimane vincolato.
La violenza fisica si ha quando manca del tutto la volontà; la violenza psichica, invece, consiste in una minaccia che fa deviare la volontà inducendo il soggetto ad emettere una dichiarazione che, senza la minaccia, non avrebbe emesso. Il negozio concluso per violenza fisica è nullo.

Errore ostativo

 

L’errore ostativo è l’errore che cade sulla dichiarazione (volevo scrivere 100 e ha scritto 1000 per distrazione).

LA FIGURA PIU’ IMPORTANTE: LA SIMULAZIONE

La nozione

 

Si considera “simulato” un contratto quando le parti ne documentano la stipulazione, al fine di poterlo invocare di fronte ai terzi, ma sono tra loro d’accordo che gli effetti previsti dall’atto simulato non si devono verificare. Così, la situazione giuridica che dovrebbe essere effetto del contratto è solo apparente, mentre la situazione giuridica reale rimane quella anteriore all’atto.
La divergenza tra la dichiarazione e la reale volontà delle parti non soltanto è consapevole ma è addirittura concordata. Lo scopo per cui le parti ricorrono alla simulazione si chiama causa simulandi.

Simulazione assoluta e relativa

 

La simulazione si dice assoluta se le parti si limitano ad escludere la rilevanza, nei loro rapporti, del contratto apparentemente simulato; si dice invece relativa qualora le parti concordino che nei loro rapporti interni assuma rilevanza un diverso negozio, che si dice dissimulato (nel qual caso, in realtà, le parti non vogliono lasciare immutata la situazione giuridica preesistente, ma intendono modificarla secondo quanto da esse concordato con l’atto dissimulato).
La simulazione relativa può essere oggettiva o soggettiva, a seconda che il negozio dissimulato differisca da quello simulato per quanto riguarda l’oggetto dell’atto, ovvero i soggetti.
La figura più importante di simulazione relativa soggettiva è la c.d. interposizione fittizia di persona, che ricorre quando il contratto simulato viene stipulato tra Tizio e Caio, ma entrambi sono d’accordo con Sempronio che, in realtà, gli effetti dell’atto si verificheranno nei confronti di quest’ultimo.
L’interposizione fittizia si distingue dall’interposizione reale dove l’alienante non partecipa agli accordi tra acquirente (persona interposta) e terzo, cosicchè l’alienazione non è simulata, ma realmente voluta e gli effetti dell’atto si producono regolarmente in capo all’acquirente, restando indifferente per l’alienante che quest’ultimo non intende acquistare per sé, ma per conto di un terzo, con cui l’alienante non entra in rapporto e verso il quale né assume obblighi né acquista diritti.

Effetti della simulazione tra le parti

 

Se la simulazione è assoluta si giunge alla conclusione che il negozio simulato non produce effetto (art.1414 c.c.).
Se la simulazione è relativa, il contratto simulato non può produrre effetti tra le parti in quanto queste sono d’accordo nell’averlo stipulato quale mera apparenza ma senza volerne realmente gli effetti.

Effetti della simulazione di fronte a terzi

 

La prima situazione è quella dei terzi interessati a dedurre la simulazione (art.1415.2 c.c.): i terzi estranei al contratto simulato, se ne sono pregiudicati, possono farne accertare la nullità.
L’art.1415.1 c.c. dispone che la simulazione non può essere opposta né dalle parti contraenti né dagli aventi causa o dai creditori del simulato alienante, ai terzi che in buona fede hanno acquistato diritti dal titolare apparente.
Per quanto riguarda l’onere della prova della buona fede, si applica il principio dell’art.1147 c.c., in base al quale la buona fede si presume. Perciò spetta a chi vuole opporre la simulazione fornire la prova che il terzo acquirente è in mala fede.
È importante chiarire che il terzo non solo è chi ha acquistato a titolo oneroso, ma anche chi ha acquistato a titolo gratuito.

Effetti della simulazione nei confronti dei creditori

 

I creditore dell’apparente alienante hanno interesse a far valere la simulazione, perché ne vengono ad essere pregiudicati, in quanto non possono agire sui beni che sono apparentemente usciti dal patrimonio del loro debitore; quelli dell’acquirente simulato invece, hanno un interesse contrario: essi infatti, hanno tutto da guadagnare dalla possibilità di espropriare i beni che sono fittiziamente entrati nel patrimonio del loro debitore.
Ora, i creditore del simulato alienante possono far valere la simulazione che pregiudica i loro diritti e, facendo prevalere la realtà sull’apparenza, agire sui beni che solo apparentemente sono usciti dal patrimonio del loro debitore (art.1416 c.c.).
Per quanto riguarda i creditori di colui che appare acquirente per effetto del negozio simulato, bisogna distinguere: se il credito è stato garantito da pegno o da ipoteca sui beni che hanno formato oggetto dell’apparente alienazione, avendo acquistato il creditore un diritto reale su quei beni, nei suoi confronti la simulazione è inopponibile (es. A aliena simulatamente a B un bene; B, pur non essendone, in realtà, diventato proprietario, concede un’ipoteca sul bene stesso a favore del suo creditore C;  A, se C è in buona fede, non può opporgli che egli ha acquistato l’ipoteca a non dominio, perché non può opporgli che la vendita da lui fatta a B era simulata). Se invece C è un creditore chirografaro (cioè non munito di garanzia reale), e non ha acquistato alcun diritto specifico sui beni del debitore ha solo il diritto di chiedere l’espropriazione, a condizione che quei beni facciano effettivamente parte del patrimonio del debitore.

Negozio indiretto e negozio fiduciario

 

La figura dell’intestazione di un bene a norme d’altri ricorre tutte le volte in cui un bene viene intestato (non simultaneamente) a favore di un soggetto, anche se i mezzi per il suo acquisto siano stati forniti da un soggetto diverso.
Si ha il negozio indiretto quando un determinato effetto giuridico non viene realizzato direttamente, ma ponendo in essere atti diretti ad altri effetti, ma che con la loro combinazione realizzano egualmente il risultato perseguito.
La categoria più importante di negozi indiretti è costituita dai c.d. negozi fiduciari cioè quando un soggetto detto fiduciante, trasferisce (senza corrispettivo), o fa trasferire da un terzo (pagando lui il correlativo prezzo), ad un fiduciario  la titolarità di un bene (mobile), ma con il patto che l’intestatario utilizzerà il bene esclusivamente in conformità alle istruzioni che il fiduciante gli ha impartito. Il negozio fiduciario non è regolato dal c.c.

Capitolo 16: I VIZI DELLA VOLONTA’

 

IL PROBLEMA IN GENERALE

Nozioni di vizio della volontà

 

I vizi della volontà sono: l’errore, il dolo e la violenza (art.1427 c.c.). essi non producono il grave effetto della nullità del negozio, ma l’annullabilità.

B) ERRORE

  1. Errore ostativo ed errore-vizio

 

L’errore consiste in una falsa conoscenza della realtà.
L’errore-vizio è incidente sul processo interno di formazione della volontà (es. compro un oggetto credendo che sia d’oro, invece è di metallo vile); l’errore ostativo è la divergenza tra volontà e dichiarazione (es. vogli scrivere 100, ma per lapsus scrivo 110).
Entrambi gli errori determinano l’annullabilità del contratto, ma a condizione (art.1428 c.c.):

  1. che l’errore sia essenziale;
  2. che l’errore sia riconoscibile dall’altro contraente.

Peraltro l’azione di annullamento non può più essere proposta se l’altra parte, prima che alla parte in errore possa derivarne pregiudizio, offra di eseguire il contratto in modo conforme a quanto l’altro contraente riteneva (erroneamente) di aver pattuito (art.1432 c.c.).
Nei negozi bilaterali e plurilaterali un’altra figura di errore ostativo è costituita dal dissenso, che ha luogo quando le parti, pur sottoscrivendo una identica dichiarazione, non si rendono conto di attribuirle in realtà significati tra loro divergenti. Anche in tal caso la rilevanza del vizio dipende dalla sua essenzialità e riconoscibilità.

114 Errore di fatto ed errore di diritto

L’errore è di fatto quando cade su una circostanza di fatto; è di diritto quando riguarda la stessa vigenza o l’interpretazione di una norma giuridica.

115 Essenzialità dell’errore

L’errore è essenziale quando: 1) deve essere stato tale da aver determinato la parte a concludere il contratto;
2) non ogni errore determinante può considerarsi solo essenziale, perché il c.c. qualifica tale solo l’errore che cade (art.1429 c.c.):

  1. o sull’oggetto del negozio (es. credo che siano viti gli oggetti che voglio comprare ed invece sono chiodi);
  2. o sulla natura del negozio (es. credo di dare una cosa in locazione invece il contratto è di enfiteusi);
  3. o su una qualità della cosa, oggetto del negozio che, in relazione alle circostanze, deve ritenersi determinante del consenso (es. si crede che sia lana animale ciò che è lana sintetica);
  4. o sulla persona e, cioè, sull’identità o sulla qualità dell’altro contraente;
  5. o può assumere rilevanza anche l’errore sulla quantità della prestazione, sempre che essa sia determinante del consenso e non si riduca ad un errore di calcolo, il quale non dà luogo ad annullabilità ma a semplice rettifica del negozio (art.1430 c.c.).
  1. Riconoscibilità dell’errore

 

L’errore si considera riconoscibile quando, in relazione al contenuto, alle circostanze del contratto o alle qualità dei contraenti, la controparte, usando la normale diligenza, avrebbe potuto accorgersene (art.1431 c.c.)
Nel caso di errore comune, e cioè quando entrambi i contraenti  siano incorsi nello stesso errore, la giurisprudenza ritiene che non vada applicato il principio dell’affidamento, e quindi che sia sufficiente la essenzialità dell’errore per l’annullabilità del negozio, non rilevando la riconoscibilità dal momento che ciascuno dei contraenti ha dato luogo all’invalidità del contratto indipendentemente dal comportamento dell’altro.

C) DOLO

  1. Nozione

 

Un negozio è annullabile ove sia stato posto in essere, in conseguenza di raggiri fatti ai danni del suo autore.
Per l’annullabilità dell’atto devono concorrere:

  1. il raggiro, ossia un’azione idonea a trarre in inganno la vittima;
  2. l’errore del raggirato: non è sufficiente che l’autore dell’inganno abbia tentato di farmi credere cose non esatte; se io ho capito come stavano in realtà le cose, non posso trarre a pretesto il comportamento della controparte. Il negozio, cioè, è annullabile solo se l’inganno ha avuto successo,
  3. la provenienza dell’inganno dalla controparte: se sono vittima di raggiri di terzi, che nulla hanno a che fare con l’altro contraente,  l’atto non è impugnabile, a meno che quest’ultimo ne fosse a conoscenza e ne abbia tratto vantaggio (art.1439.2 c. c.).

Il dolo omissivo si ha quando si tacciono circostanze che avrebbero potuto indurre la controparte a rinunciare alla stipulazione dell’atto. Esso è sufficiente a far annullare il negozio. Il dolo incidente, invece, si limita ad incidere sulle condizioni contrattuali. Esso ricorre quando la vittima dell’inganno non si è determinata alla stipula dell’atto per effetto del raggiro subito. In questo caso (art.1440 c.c. il contratto non è annullabile, proprio perché il comportamento fraudolento del raggirante non è stato determinante del consenso.

  1. Rilevanza del dolo

 

Il dolo può avere rilevanza in tutti gli atti, tranne quelli in cui, per particolari ragioni, tale rilevanza è esclusa dalla legge.

  1. Rapporti tra il dolo vizio della volontà e la nozione generale di dolo

 

Il dolo, come elemento intenzionale dell’illecito, non indica un particolare tipo di azione, un fatto che si verifica nel mondo esterno, ma costituisce soltanto un elemento soggettivo o psicologico, ossia l’intenzione dell’agente di realizzare un determinato risultato e si concreta, quindi, nella corrispondenza tra un programma perseguito deliberatamente da una persona e l’azione da essa posta in essere; il dolo quale vizio della volontà, invece, denota proprio l’azione di chi inganna e che si concreta, quindi, in un determinato fatto esterno.

D) VIOLENZA

  1. Nozione

 

La violenza psichica consiste nella minaccia di un male ingiusto, rivolta ad una persona allo specifico scopo di estorcerle il consenso alla stipulazione di un contratto. La violenza assume rilievo come vizio della volontà  esclusivamente quando miri soltanto ad ottenere dal minacciato il compimento di un atto  a carattere negoziale.

  1. Violenza e stato di pericolo

 

Nella fattispecie della violenza il timore che spinge il soggetto ad emettere la dichiarazione negoziale è provocato dalla minaccia altrui; nello stato di pericolo vi è una situazione di paura, ma non determinata dalla minaccia di altra persona diretta a far concludere il negozio, bensì da una stato di fatto oggettivo,  nella maggior parte dei casi da forze naturali (un incendio pone in pericolo la vita di una persona cara ed io accedo alla richiesta esosa fatta da chi ha la possibilità di intervenire per cercare di salvarla). Se per effetto dello stato di pericolo una persona ha assunto obbligazioni a condizioni inique, il negozio non è annullabile, ma rescindibile.

  1. Requisiti della violenza

 

La legge richiede che si tratti di una minaccia tale da fare impressione su una persona media(art.1435 c.c.), anche se, ovviamente, per stabilire se la violenza esercitata presentava tale caratteristica si deve guardare in concreto alle circostanze del caso (età, sesso, condizione delle persone art.1435 c.c.).  Il male minacciato deve essere ingiusto e notevole e deve riguardare la vittima stessa , il coniuge, il discendente, un ascendente o i rispettivi beni.
Capitolo 17: LA CAUSA DEL NEGOZIO GIURIDICO

  1. Nozione

 

Elemento essenziale di ogni negozio giuridico è la sua causa. Si parla di causa dell’obbligazione per indicare “il titolo” da cui il debito deriva, la sua “fonte” (art.1173 c.c.); e di causa con riguardo a ciascuna attribuzione patrimoniale.
Quando il contenuto del negozio dipende dalla libera scelta del privato è necessario che gli effetti complessivamente perseguiti siano giustificati. L’esigenza della causa lecita indica la necessità che siano leciti non soltanto i singoli effetti perseguiti (es. trasferimento di una proprietà), ma soprattutto la loro combinazione, cioè non sempre un certo risultato può realizzarsi solo perché voluto e promesso: un “nudo” consenso non è sufficiente per dare luogo ad effetti giuridici.
Per i contratti tipici, che sono quelli disciplinati specificatamente dal legislatore (compravendita, locazione…), l’esistenza e la liceità della causa è già valutata positivamente in linea di principio dalla legge: ma resta da valutare se anche in concreto il contenuto effettivo del singolo accordo sia meritevole di approvazione. Per i contratti atipici, che sono quelli che la pratica pone in essere pur in assenza di uno schema legislativo, la valutazione deve riguardare non solo il contenuto concreto dell’accordo, ma pure lo stesso schema generico della pattuizione.

  1. Negozi astratti

 

In alcuni negozi, gli effetti si producono astraendosi dalla causa, la quale resta, per così dire accantonata. Tali negozi sono detti astratti in contrapposizione agli altri che sono detti causali.
Distinguiamo ora, l’astrazione sostanziale da quella processuale. La prima è quella per cui il negozio nel suo funzionamento resta svincolato dalla causa; la seconda presuppone, invece, che il negozio sia casuale: chi agisce per ottenere la prestazione, derivante a suo favore da siffatto negozio, non ha l’onere di dimostrare l’esistenza e la liceità della causa, ma chi è chiamato in giudizio deve provarne l’eventuale mancanza o l’illiceità, se vuol sottrarsi alla condanna. La legge prevede l’astrazione processuale a proposito della promessa di pagamento e della ricognizione di debito: basta dimostrare che vi è stata siffatta promessa o che vi è stato un siffatto riconoscimento, perché colui, a cui favore la dichiarazione è stata fatta, sia dispensato dall’onere di provare il rapporto che giustifica la promessa o il riconoscimento (art.1988 c.c.).

  1. Mancanza della causa

 

Difetto genetico della causa: Nei negozi tipici la causa esiste sempre perché il legislatore l’ha prevista nel dettare le regole di quel determinato tipo di contratto. Essa può, peraltro, mancare quando, per la situazione in cui dovrebbe operare, il negozio non può esplicare la sua funzione. Se compro una cosa che è già mia (supponendo che non si sappia che ma appartiene, ma che ciò si venga a conoscere successivamente), ecco che il negozio non può realizzare il risultato di trasferirmi la proprietà di una cosa che è già di mia proprietà, e, se io ho pagato il prezzo, ho diritto a riaverlo, perché, altrimenti, l’attribuzione patrimoniale non avrebbe giustificazione, sarebbe senza causa.
Nei negozi atipici la causa manca, quando il negozio non è diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela (art.1322 c.c.).
Può darsi che la causa manchi originariamente solo in parte (difetto genetico parziale della causa).  Ciò può avvenire nei contratti a prestazioni corrispettive, nei quali al sacrificio patrimoniale di una parte fa riscontro quello dell’altra (es. vendita, nella quale il venditore trasferisce la cosa e il compratore paga il prezzo). Perché la causa debba ritenersi in parte mancante basterebbe che le due prestazioni non siano equivalenti: ma, per la sicurezza delle contrattazioni, la legge attribuisce rilevanza al difetto di causa solo se lo squilibrio tra la prestazione di una parte e il corrispettivo assuma proporzioni inique o notevoli. Possono esserci anche circostanze che impediscono alla causa di funzionare (difetto sopravvenuto o funzionale della causa). Sia nel caso d’inadempimento che di impossibilità sopravvenuta o di eccessiva onerosità sopravvenuta il contratto non è nullo, ma la parte può agire per la risoluzione del contratto e così sciogliersi dal vincolo.

 

 

  1. L’illiceità della causa

La causa è illecita quando è contraria alla legge e all’ordine pubblico ( negozio illegale) e al buon costume (negozio immorale) (art.1343 c.c.): l’illiceità della causa produce la nullità del negozio (art.1418 c.c.).                  Se è stata eseguita una prestazione  in esecuzione di un negozio avente causa illecita, essendo il negozio nullo, chi l’ha eseguita avrebbe diritto ad ottenere la restituzione di ciò che ha dato (art.2033 c.c.: ripetizione dell’indebito). Invece, la ripetizione non è sempre ammessa. Bisogna tener presente a riguardo che l’immoralità può essere unilaterale o bilaterale: se per liberare una persona a me cara che è stata sequestrata, pago la somma richiesta, non commetto un’azione immorale; l’immoralità è solo dalla parte dei banditi ed in questo caso il diritto di chiedere la restituzione di quanto sia stato pagato è ovviamente riconosciuto all’interessato. Tale diritto, invece, deve essere negato se il pagamento deve considerarsi immorale anche in relazione a chi effettua la prestazione (es. di colui che dà danaro per corrompere un pubblico funzionario) art.2035 c.c.

  1. I motivi

 

Il motivo che spinge un soggetto a porre in essere un negozio giuridico è lo scopo pratico, individuale, da lui perseguito e che lo “motiva” al compimento dell’atto e non viene comunicato alla controparte; ed anche se le viene comunicato rimane per questa del tutto indifferente (motivi giuridicamente irrilevanti). I motivi diventano rilevanti quando la loro realizzazione venga espressamente oggetto di un patto contrattuale: ad es. acquisto il terreno a condizione di potervi edificare questo determinato tipo di edificio e quindi il contratto diventerà efficace solo se il comune competente rilascerà una concessione ad aedificandum conforme ai miei scopi.
Perché il contratto sia colpito da nullità occorre:

  1. che l’accordo abbia per entrambe le parti lo stesso motivo;
  2. che il motivo comune sia illecito;
  3. il motivo illecito comune deve essere stato esclusivo e quindi determinante del consenso.
  1. Il negozio in frode alla legge

 

Con il negozio contrario alla legge le parti mirano direttamente ad un risultato vietato; invece, con il negozio in frode, esse mirano ad ottenere un risultato equivalente a quello vietato dalla legge.
La frode alla legge costituisce un vizio della causa dell’atto, che si concreta in un abuso della funzione strumentale tipica del negozio: questo viene impiegato per un fine che contrasta con la funzione sociale (causa) che gli è propria.
La frode alla legge si distingue dalla frode ai creditori che è diretta a danneggiare costoro e che viene colpita con una particolare azione.
Il negozio in frode alla legge si distingue anche dal negozio simulato: la simulazione consiste nel dichiarare ufficialmente cosa diversa da quella realmente voluta; nel negozio in frode alla legge, invece, la dichiarazione negoziale è effettivamente voluta, ma ha una particolare finalità antigiuridica; eludere le disposizioni di una norma imperativa.

Capitolo 18: LA RAPPRESENTANZA

  1. Nozione

 

La rappresentanza è l’istituto per cui ad un soggetto (rappresentante) è attribuito (dalla legge o dall’interessato) il potere di sostituirsi ad un altro soggetto (rappresentato) nel compimento di attività giuridica per conto di quest’ultimo e con effetti diretti nella sua sfera giuridica.

  1. Rappresentanza diretta e indiretta

 

Per avere rappresentanza diretta, non basta che una persona agisca per conto di un’altra persona: essa deve anche agire in nome di quest’altra persona, dichiarare, in sostanza, che non compie l’atto per sé, ma in nome dell’interessato. Se una persona agisce nell’interesse altrui, ma non dichiara di agire in nome altrui, si ha la c.d. rappresentanza indiretta. Mentre, nel caso della rappresentanza diretta, gli effetti del negozio si producono immediatamente e direttamente nella sfera del rappresentato; nella rappresentanza indiretta, invece, chi fa la dichiarazione acquista i diritti e diventa soggetto degli obblighi nascenti dal negozio, ed occorrerà un altro negozio per trasmettere gli effetti dell’atto del patrimonio della persona nel cui interesse l’atto è stato compiuto. La rappresentanza indiretta ha, perciò, l’inconveniente di richiedere due negozi. Essa si denomina anche interposizione reale. Figura particolare, che si avvicina alla rappresentanza indiretta, è l’autorizzazione, con cui una persona (autorizzante) conferisce ad un'altra (autorizzato) il potere di compiere negozi giuridici, diretti ad influire nella sfera dell’autorizzante, in nome dell’autorizzato.

  1. Negozi per i quali è esclusa la rappresentanza

 

Non in tutti i negozi è ammessa la rappresentanza: essa, di regola, è esclusa nei negozi che, per la loro natura, si vogliono riservare esclusivamente alla persona interessata e, perciò, in quelli di diritto familiare ( es. matrimonio).

  1. Fonte della rappresentanza

 

Una persona, per potere agire in nome altrui, deve averne il potere. Questo potere può derivare dalla legge (rappresentanza legale) o essere conferito dall’interessato (rappresentanza volontaria). La rappresentanza legale ricorre quando il soggetto è incapace (minore). Si usa parlare di rappresentante legale anche a proposito della c.d. rappresentanza organica, ossia con riguardo al potere di rappresentare un ente che spetta all’organo che ha la competenza ad esternare la volontà dell’ente.
L’ufficio privato, invece, consiste nel potere di svolgere una attività nell’interesse altrui e con effetti diritti nella sfera giuridica del soggetto sostituito, in adempimento di una funzione prevista dalla legge (esecutore testament.).

  1. La procura

 

Il negozio con il quale una persona conferisce ad un’altra il potere di rappresentanza si chiama procura, e il rappresentante volontario si chiama procuratore. La procura serve a rendere noto ai terzi, con i quali il rappresentante dovrà venire a contatto per assolvere l’incarico, che egli da me autorizzato a trattare in mio nome. Perciò, la procura consiste in un negozio unilaterale che va distinto dal rapporto interno tra rappresentante e rappresentato: questo rapporto interno può derivare da un mandato, da un contratto di lavoro …
La procura può essere espressa o tacita, risultante cioè, da fatti concludenti.
Le conseguenze dell’atto compiuto dal procuratore si ripercuotono direttamente sul patrimonio del rappresentato, che è il vero interessato all’atto. Perciò, per la vendita del negozio concluso mediante rappresentanza, è necessaria la capacità legale del rappresentato.
La procura può riguardare un solo affare o più affari determinati (procura speciale), o può riguardare tutti gli affari del rappresentato (procura generale).
Poiché in genere la procura è conferita nell’interesse del rappresentato, questi può modificarne l’oggetto o i limiti e può anche togliere al rappresentante il potere che gli aveva conferito. L’atto con il quale il rappresentato fa cessare gli effetti della procura si chiama revoca della procura. Anche la revoca è negozio unilaterale: come è sufficiente una dichiarazione dell’interessato per conferire il potere di rappresentanza, allo stesso modo una sua dichiarazione basta a toglierlo.
La procura, basandosi sulla fiducia personale che il procuratore ispira, cessa, di regola, anche per la morte sia del rappresentante che del rappresentato.
La revoca e le modificazioni della procura devono essere portati a conoscenza dei terzi con mezzi idonei.

  1. Vizi della volontà e stati soggettivi nel negozio rappresentativo

 

Il negozio concluso dal rappresentante sarà annullabile, se egli versava in errore, o è stato costretto alla sua conclusione da violenza … Si fa eccezione nel caso in cui l’anomalia della volontà o lo stato soggettivo influente si riferiscano ad un elemento predeterminato dal rappresentato, cioè, incidano sulle istruzioni da lui date.

  1. Il conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato

 

Se il rappresentante è portatore di interessi propri o di terzi in contrasto con quelli del rappresentato, si ha conflitto d’interessi tra rappresentato e rappresentante.
L’atto posto in essere dal rappresentante in conflitto di interessi è viziato, indipendentemente dal fatto che il rappresentato sia stato effettivamente danneggiato. Naturalmente il conflitto di interessi è irrilevante se il     rappresentato, essendone a conoscenza, autorizzi il rappresentante a concludere egualmente il negozio.
Se il rappresentante agisce in conflitto d’interessi con il rappresentato, il negozio è annullabile su domanda del rappresentato. Anche qui, il negozio è annullabile solo se il conflitto era conosciuto o poteva essere conosciuto con l’ordinaria diligenza dal terzo (art.1394 c.c.). 
Rientra nello schema del conflitto di interessi la figura del contratto con se stesso (unico soggetto che svolge contemporaneamente due parti). Questo contratto è, di regola, annullabile: è valido quando il rappresentato abbia autorizzato espressamente la conclusione del contratto oppure il contenuto del contratto sia stato determinato preventivamente dallo stesso rappresentato in guisa da escludere la possibilità di conflitto (art.1395 c.c.). Così, ad es., il commesso di negozio può acquistare merci nell’azienda a cui è addetto, corrispondendo il prezzo stabilito dal principale per la vendita al pubblico.

  1. Rappresentanza senza potere

 

 Il negozio compiuto da chi ha agito come rappresentante senza averne il potere (difetto di potere) o eccedendo i limiti delle facoltà conferitegli (eccesso di potere) non produce alcun effetto nella sfera giuridica dell’interessato. Il negozio è perciò inefficace. Infatti esso non può dirsi nullo, perché la nullità opera in maniera definitiva, ed invece, secondo l’art.1399 c.c., l’interessato può ratificare, con effetti retroattivi, il negozio stipulato per lui dal c.d. falsus procurator; e nemmeno annullabile, perché prima della ratifica il negozio concluso senza rappresentanza o eccedendo dei poteri conferiti al rappresentante non produce effetti per l’interessato. Questi può, per altro, con una propria dichiarazione di volontà, approvare ciò che è stato fatto da altri senza che egli avesse attribuito il potere di rappresentarlo. Questa dichiarazione si chiama ratifica. La ratifica può essere espressa o tacita: essa deve rivestire le forme previste dalla legge per la conclusione del negozio.
Perciò, se Tizio, qualificandosi, senza esserlo, procuratore di Caio, ha venduto in immobile a Sempronio che lo ha rivenduto a Mevio, rende il primo negozio valido fin dall’inizio e per conseguenza elimina anche il vizio dell’acquisto di Mevio.
La retroattività della ratifica non può, peraltro, pregiudicare i diritti acquistati dai terzi (art.1399.2 c.c.). Perciò, se Tizio ha venduto un suo immobile a Caio e poi viene a sapere che Mevio, qualificandosi suo rappresentante senza averne il potere, ha concluso in suo nome una vendita a migliori condizioni, la ratifica che egli faccia della vendita fatta da Mevio non può toccare la validità del negozio (vendita a Caio) che egli ha già compiuto perdendo così il potere di disporre ulteriormente dell’immobile.
Se il contratto, mancando la ratifica del rappresentato, rimane definitivamente inefficace, vi è da chiedersi se il terzo possa chiedere il risarcimento dei danni allo pseudo-rappresentante. L’art.1398 c.c. subordina un simile diritto del terzo alla condizione che questi abbia confidato senza sua colpa nella validità del contratto: se sapeva che colui che agiva in nome altrui non aveva il relativo potere, non può pretendere alcun risarcimento; se invece è stato ingannato, non si è accorto di aver a che fare con persona in realtà priva del potere di spendere, per quell’atto, il nome del rappresentato, allora avrà diritto di chiedere il risarcimento del danno subito.

 

  1. La gestione di affari altrui

 

La legge (art.2028 c.c.), nel caso in cui taluno, spontaneamente assume la gestione di affari altrui, stabilisce che, qualora la gestione sia stata utilmente iniziata, l’interessato deve adempiere le obbligazioni che il gestore ha assunto in nome di lui (art.2931 c.c.). Non si deve guardare perciò, al risultato, cioè se dall’atto il rappresentato ha tratto vantaggio, ma occorre, invece, tener conto dell’utilità iniziale e vedere, quindi, se l’affare stesso si prevedeva necessario o utile, in base alla valutazione che il rappresentato come buon padre di famiglia avrebbe fatto al momento in cui fu intrapreso. La gestione di affari può avere anche le alienazioni di beni altrui.

  1. Altre figure di cooperazione nell’altrui attività giuridica: in particolare il contratto per persona da nominare

 

La rappresentanza si distingue da altre figure in cui una persona presta il proprio ausilio all’attività giuridica altrui. La forma più semplice è costituita dal consiglio che una persona può dare ad un’altra sulla convenienza o sulla necessità di un determinato punto di vista giuridico, del tutto estraneo all’atto. Forme più complesse di cooperazione si riscontrano nell’assistenza.
Nel momento della conclusione di un contratto una parte può riservarsi la facoltà di nominare la persona nella cui sfera giuridica il negozio deve produrre effetti (art.1401 c.c.). può dire cioè: acquisto l’immobile, ma per persona che mi riservo di nominare. Se segue entro 3 gg. La dichiarazione di nomina, accompagnata dalla dichiarazione di accettazione da parte della persona indicata, si producono gli stessi effetti che si sarebbero verificati se fosse stata conferita la procura anteriormente al negozio (artt.1402, 1403, 1404 c.c.): l’acquisto si intende, cioè, fatto fin da principio dalla persona indicata. Se manca la dichiarazione di nomina, il negozio produce effetti direttamente nei confronti di colui che ha stipulato il contratto riservandosi di fare la dichiarazione di comando, ma poi non l’ha fatta (art.1405 c.c.). Le parti possono convenire che la dichiarazione di nomina possa essere effettuata entro un termine maggiore di 3 gg. fissato dalla legge, purchè si tratti di un termine certo e determinato.
Il contratto per persona da nominare si distingue dalla rappresentanza indiretta, in quanto non occorre un nuovo negozio perché gli effetti si producano a favore dell’interessato: basta la dichiarazione unilaterale di nomina, purchè fatta nei termini.
Si distingue dall’interposizione fittizia o simulata, perché in questa, con l’intesa dell’altra parte, il contraente dichiara apparentemente di agire in nome proprio, ma, in realtà, chi contrae è l’interponente; nel caso del contratto per persona da nominare il contraente, invece, dichiara di contrarre per persona da nominare.
Il contratto per persona da nominare si distingue inoltre dal contratto per conto di chi spetti previsto dalla legge in alcuni casi (artt.1513, 1690, 1891 c.c.).

Capitolo 19: GLI ELEMENTI ACCIDENTALI DEL NEGOZIO GIURIDICO

  1. LA CONDIZIONE

 

  1.   Definizione

La condizione è un avvenimento futuro ed incerto, dal quale le parti fanno dipendere o la produzione degli effetti del negozio, cui la condizione è apposta, o l’eliminazione degli effetti che il negozio ha già prodotto (art.1353 c.c.). La condizione può essere di due specie: sospensiva, se da essa dipende l’efficacia del negozio, risolutiva, se da essa dipende l’eliminazione degli effetti del negozio.
Es. di condizione sospensiva: mi impegno a comprare il fondo tusculano al prezzo pattuito se il Comune rilascerà la concessione ad aedificandum  che è stata richiesta. Se invece compro il fondo subito, ma sotto la condizione che, ove entro un anno non venga rilasciata la concessione ad edificare, ili contratto cesserà di avere i suoi effetti, la condizione è risolutiva. Altro es. di condizione risolutiva: il patto di riscatto.
Non tutti i negozi giuridici tollerano l’apposizione della condizione: essa, per es., è inapponibile al matrimonio e, in genere, ai negozi di diritto familiare, all’accettazione dell’eredità, alla cambiale, all’accettazione e alla girata della cambiale.
La condicio facti dipende dalla volontà delle parti che sono libere nello stipulare un atto, di opporre o non opporre la condizione secondo la valutazione che le parti stesse fanno dei loro interessi. Invece, la condicio iuris costituisce un elemento stabilito dalla legge, sul quale la volontà delle parti non può influire.
La condizione si distingue in: casuale, se il suo avveramento dipende dal caso o dalla volontà dei terzi; potestativa, se dipende dalla volontà di una delle parti; mista, se dipende in parte dal caso o dalla volontà di terzi, in parte dalla volontà di una delle parti. La condizione potestativa si suddistingue in: meramente potestativa se consiste in un comportamento della stessa parte obbligata, che può tenero o meno a suo arbitrio; potestativa vera e propria o semplice o ordinata, se consiste in un comportamento che, pur essendo volontario, non è meramente arbitrario compiere o non compiere, perché costa qualche sacrificio o perché la volontà del debitore o dell’alienante dipende da un complesso di motivi ed interessi, sia pure rimessi alla sua valutazione (es. se costruirò un impianto per lo sfruttamento di energia elettrica, ti assumerò nel personale di tale stabilimento).

  1.   La presupposizione

 

La presupposizione o condizione non dichiarata ricorre quando da una interpretazione secondo buona fede della volontà negoziale risulta che le parti, pur non facendone espressa menzione nel contratto, hanno considerato pacifica e come determinante per la conclusione dell’affare una data situazione di fatto attuale o futura. Es. mi impegno a pagare una somma di denaro per poter aver accesso in un dato giorno ad un balcone, senza che si dica espressamente che il contratto viene stipulato per assistere al passaggio di un corteo, sebbene sia evidente e pacifico che questa è la ragione che induce alla stipulazione. Se questo presupposto viene dedotto formalmente nel contratto, l’accorda ne risulta condizionato, e se la condizione non si verifica il contratto è inefficace; ma se il presupposto non viene menzionato e l’evento non si verifica, il contratto va ugualmente rispettato o se ne può rifiutare l’esecuzione? Analogamente si può ragionare per l’acquisto di in terreno, che le parti presupponevano edificabile, mentre poi risulta non esserlo. Dottrina e giurisprudenza sono al riguardo incerte.

  1.   Illiceità e impossibilità della condizione

 

La condizione è illecita quando è contraria alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume. Circa gli effetti dell’illiceità della condizione, il codice non adotta una disciplina uniforme per tutti i negozi: distinguiamo così i negozi mortis causa (istituzione di erede) e i negozi inter vivos. La condizione illecita si considera non apposta ai primi (art.634 c.c.); rende, invece nullo in negozio inter vivos (art.1354 c.c.).
A condizione impossibile è quella che consiste in un avvenimento irrealizzabile, o dal punto di vista naturale o da quello giuridico. Essa si ha per non apposta nel testamento (art.634 c.c.); rende nullo il negozio, negli altri casi, se è sospensiva; si ha come non apposta, se è risolutiva (art.1354.2 c.c.). La differenza di disciplina fra negozi mortis causa e negozi inter vivos, deriva dall’intento di dare efficacia, il più possibile, alla volontà testamentaria;  la divergenza tra condizione sospensiva e risolutiva impossibile, apposta ai negozi inter vivos, deriva dalla condizione che l’irrealizzabilità dell’avvenimento impedisce al negozio di produrre i suoi effetti, se la condizione sospensiva; se invece, è risolutiva, non potendo verificarsi l’avvenimento, gli effetti che il negozio ha già prodotto non potranno mai più essere rimossi.

  1.   Pendenza della condizione

 

In un negozio condizionato si distinguono due momenti:

  1. pendenza della condizione: l’avvenimento non si è ancora verificato ma può ancora verificarsi. Perdura, quindi, la situazione di incertezza;
  2. avveramento o mancanza della condizione: l’incertezza è eliminata. L’avvenimento si è avverato o è certo che non si può più verificare.

Durante la pendenza della condizione sospensiva il diritto che deriva dal negozio non è ancora nato, ma vi è la possibilità che nasca; durante la pendenza della condizione risolutiva vi è la possibilità che il diritto stesso sia perduto dal suo titolare e acquistato dalla controparte. Quindi, nel corso della pendenza una delle parti esercita il diritto, mentre l’altra parte non lo esercita, ma ha la speranza di divenirne titolare, se la condizione si verificherà. Questa parte, se non ha un diritto, ha una aspettativa all’acquisto del diritto, aspettativa che è trasmissibile agli eredi. D’altro canto, l’altra parte ha l’onere di comportarsi in buona fede; quindi la condizione deve considerarsi come avverata, se colui che aveva interesse contrario all’avvenimento ne ha impedito il verificarsi (art.1359 c.c.).
Durante la pendenza chi ha un diritto subordinato a condizione sospensiva o risolutiva  può anche disporne ( chi ha acquistato una cosa sotto condizione sospensiva può, per esempio venderla ad altri). Ma è ovvio che gli effetti di quest’ulteriore negozio restano subordinati alla stessa condizione cui era subordinato il primo: perciò, in tanto il secondo acquirente acquisterà la proprietà della cosa, in quanto la condizione, a cui prima la vendita era subordinata, si sarà verificata (art.1357 c.c.).

  1.   Avveramento della condizione

 

La condizione si dice avverata quando si verifica l’evento dedotto.
Quando la condizione sospensiva si è verificata si producono tutte le conseguenze del negozio, con effetto retroattivo al tempo in cui è stato concluso, ossia si considera come se gli effetti si fossero prodotti non dal momento in cui l’avvenimento dedotto in condizione ha avuto luogo, ma da quello della conclusione del negozio (art.1360 c.c. retroattività della condizione). L’inverso avviene se la condizione è risolutiva. Es. perciò, se Tizio ha acquistato un immobile l’01.01.95, sotto una condizione sospensiva che si verifica l’01.07.96, non solo egli acquista la proprietà dell’immobile per effetto del verificarsi della condizione, ma si considera come se ne fosse diventato proprietario fin dall’01.01.95: il che importa che, se ha venduto ad altri medio tempore, cioè tra l’01.01.95 e l’01.07.96, l’alienazione è valida in quanto deve ritenersi fatta di chi è proprietario e poteva disporre dell’immobile. Questa è detta retroattività reale, cioè che gli effetti del negozio si considerano verificati o caducati dal momento della conclusione anche di fronte ai terzi ( se Tizio ha venduto a Caio sotto condizione risolutiva e Caio ha, a sua volta, in pendenza della condizione, venduto a Sempronio, se la condizione risolutiva si verifica, sia Caio che Sempronio, non potranno considerarsi acquirenti della cosa.
La retroattività obbligatoria, invece, si applica in tema di risoluzione per inadempimento.
La retroattività non è un elemento essenziale: essa si fonda sulla presunta volontà delle parti che possono stabilire diversamente (art.1360 c.c.).
La retroattività non si applica agli atti di amministrazione compiuti in pendenza della condizione da colui che esercita il diritto, perché questi atti tendono alla conservazione della cosa o del diritto condizionato. Essa non si applica nemmeno ai frutti che siano stati percepiti durante il periodo di pendenza della condizione: perciò chi, per effetto del verificarsi della condizione, è tenuto a consegnare la cosa, sarà tenuto a consegnare i frutti che abbia eventualmente percepito, soltanto dl giorno in cui si è verificata la condizione (art.1361 c.c.). Le parti per altro, possono stabilire diversamente.

  1. IL TERMINE

 

  1.   Natura

Il termine consiste in un avvenimento futuro e certo, dal quale (termine iniziale) o fino al quale (termine finale) debbono prodursi gli effetti del negozio.
Il termine differisce dalla condizione per il carattere di certezza del verificarsi dell’avvenimento: questo è anch’esso futuro (es. morte di una persona), ma non vi è alcun dubbio circa il suo avverarsi.
Il termine si distingue in: 1) termine determinato(che giungerà e quando giungerà: 05.04.90); 2) termine indeterminato( il giorno della mia morte); 3) il giorno in cui compirò 50 anni, non è certo che arrivi, potendo morire prima; 4) il giorno in cui prenderò la laurea, se la prenderò.

  1.   Effetti del termine

 

In relazione al termine si distinguono due momenti: pendenza (finchè la data indicata non sia giunta o l’avvenimento certo non si è avverato) e scadenza. Durante la pendenza, il diritto non può essere esercitato, perché il termine ha appunto lo scopo di differirne l’esercizio. Ma, se l’altra parte adempie la sua obbligazione, essa non può ripetere la prestazione, perché non può chiedere la restituzione di ciò che deve successivamente dare.

  1. IL DOLO

 

  1.   Natura

Il modo è una clausola accessoria che si appone a una liberalità (istituzione di erede, donazione) allo scopo di limitarla. La limitazione può consistere in un obbligo di dare (ti istituisco erede con l’obbligo di dare 50 euro annue ai poveri), di fare (ti dono un immobile con l’obbligo di costruire un ospedale nel mio paese9 o di non dare (ti lascio in legato un terreno con l’obbligo di non costruirvi).
Il modo non costituisce carattere gratuito del negozio (gratuità del negozio modale). Da ciò deriva che il beneficiario del legato o della donazione modale non è mai tenuto oltre il valore della cosa che forma oggetto del negozio stesso (artt.671-793 c.c.).
Il modo si distingue dalla raccomandazione o dal semplice desiderio, espresso dal donante o dal testatore, che rappresenta un dovere esclusivamente morale per chi riceve l’attribuzione patrimoniale. Esso si distingue anche dalla condizione sospensiva, in quanto questa non produce un obbligo a carico della persona, e, d’altro canto, il modo non sospende, a differenza della condizione sospensiva, l’efficacia del negozio.

  1.   Modo impossibile o illecito

 

 Poiché il modo costituisce un motivo, si applica al modo illecito (ti dono una somma, ma devi uccidere un mio nemico) e al modo impossibile la disciplina che la legge adotta rispetto al motivo illecito negli atti a titolo gratuito (artt.626, 799, 1419 c.c.). 
L’onere impossibile o illecito, sia che si tratti di liberalità inter vivos che mortis causa, si ha per non apposto.

  1.   Adempimento del modo

 

Il modo costituisce un obbligo giuridico. Perciò, l’adempimento dell’obbligo che forma oggetto del modo può essere chiesto da ogni interessato (art.648.1 c.c.).
Circa gli effetti dell’inadempimento ricordiamo che il modo non inerisce alla causa del negozio e non si confonde con il corrispettivo, che caratterizza i negozi a titolo oneroso.

Capitolo 20: INTERPRETAZIONE DEL NEGOZIO GIURIDICO

 

  1.   Le regole legislative di ermeneutica

Le regole di interpretazione si distinguono in due gruppi:

  1. regole di interpretazione soggettiva, quelle che sono dirette a ricercare il punto di vista dei soggetti del negozio (artt.1362-1365 c.c.);
  2.  regole di interpretazione oggettiva, che intervengono quando non riesca possibile attribuire un senso al negozio nonostante il ricorso alle norme di interpretazione soggettiva (artt.1367-1371 c.c.).

Il punto di riferimento dell’attività dell’interprete deve essere il testo della dichiarazione negoziale: ma non ci si deve limitare al senso letterale delle parole (art.1362 c.c.); occorre invece ricercare quale sia stato il risultato perseguito con il compimento dell’atto, e, quando si tratti di un contratto, quale sia stata “la comune intenzione delle parti”, ossia il significato che entrambe attribuivano all’accordo.
Valgono ancora come sussidiari i seguenti principi:

  1. gli usi interpretativi (art.1368 c.c.), ciò che pratica generalmente nel luogo in cui il contratto è stato concluso o, se una delle parti è un imprenditore, nel luogo in cui si trova la sede dell’impresa;
  2. la regola secondo cui le espressioni che possono avere più sensi devono, nel dubbio, essere intese in quello più conveniente alla natura e all’oggetto del contratto (art.1369 c.c.);
  3. la clausola predisposta da una delle parti nelle condizioni generali di contratto o in moduli o formulari, nel dubbio si interpreta contro chi ha predisposto la clausola (art.1370 c.c.).

Vi è da ultimo una regola finale che si applica quando tutte le altre si siano dimostrate inefficienti: l’art.1371 c.c. stabilisce che il negozio deve essere inteso nel senso meno gravoso per l’obbligato, se è a titolo gratuito, e nel senso che esso realizzi l’equo contemperamento degli interessi delle parti, se è a titolo oneroso.

Capitolo 21: EFFETTI DEL NEGOZIO GIURIDICO

 

  1.   Effetti: a) tra le parti

L’art.1372 c.c. afferma che il negozio giuridico  ha forza di legge rispetto alle parti che lo hanno perfezionato. Vale a dire che gli effetti attribuiti all’atto sono vincolanti per chi lo ha posto in essere, quand’anche se ne sia pentito (salvo, quando sia ammissibile la revoca dell’atto o, per mutuo consenso, lo scioglimento del vincolo): ad es. chi ha concluso un contratto è vincolato ad adempierlo e non può a suo arbitrio liberarsi dagli obblighi assunti.
Per stabilire quali effetti un negozio è idoneo a produrre occorre non solo averlo interpretato, ma anche aver proceduto ad altre due operazioni: la qualificazione dell’atto e la integrazione dei suoi effetti.
Per qualificazione dell’atto s’intende la sua sussunzione sotto il nomen iuris dal quale si determina la disciplina applicabile.
L’atto non produce solo gli effetti perseguiti dalle parti, ma anche quelli disposti dalla legge, dagli usi e dall’equità. L’integrazione degli effetti del negozio è importante soprattutto per risolvere i problemi posti dalle eventuali lacune della disciplina negoziale, che possono essere colmate da norme dispositive.

  1.   b) rispetto ai terzi

 

 Il negozio giuridico produce, di regola, i suoi effetti tra le parti: esso non può danneggiare né giovare al terzo estraneo (art.1372 c.c.). Naturalmente i negozi giuridici, se non producono effetti diretti rispetto ai terzi, possono peraltro produrre rispetto ad essi effetti indiretti o riflessi. Se io vendo una cosa a Tizio, la proprietà della cosa passerà a Tizio e non ad una persona estranea al negozio, ma il terzo che voleva acquistare da me la stessa cosa rimarrà pregiudicato, perché non può più acquistarla da me.

  1.   Negozi ad effetti reali e negozi ad effetti obbligatori

 

Gli effetti che i negozi aventi contenuto patrimoniale possono produrre sono di due specie: reali ed obbligatori. In conformità a questa distinzione, essi si distinguono in negozi dispositivi ad effetti reali e negozi ad effetti obbligatori: i primi hanno per oggetto la trasmissione o la costituzione di un diritto reale o il trasferimento di un altro diritto; i secondi danno luogo alla nascita di un rapporto obbligatorio.

Capitolo 22: INVALIDITA’ ED EFFICACIA DEL NEGOZIO GIURIDICO

  1. IL PROBLEMA GENERALE

 

  1.   Invalidità

Il negozio giuridico è invalido quando, per l’inosservanza dei limiti stessi, il negozio è viziato, difettoso, malato. L’invalidità può assumere due aspetti distinti: la nullità e l’annullabilità.

  1. LA NULLITA’

155  Nozione
Un atto si dice nullo quando va valutato come inidoneo a produrre i suoi effetti tipici. Per affermare la nullità di un negozio occorre individuare la causa che giustifica l’inidoneità dell’atto a produrre i suoi effetti.
Tali cause possono raggrupparsi in tre categorie:

  1. specifica comminatoria di nullità contenuta in una norma di legge (art.1418.3 c.c.);
  2. la mancanza di uno degli elementi essenziali del negozio;
  3. quando l’atto è contrario alla legge (art.1418.1 c.c.).

Il vizio che determina la nullità può riguardare l’intero negozio (nullità totale) o solo una o più clausole dell’atto (nullità parziale): in quest’ultimo caso l’intero negozio è parimenti travolto dalla nullità se risulta che i contraenti non l’avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità (art.1419.1 c.c.).

156  L’azione di nullità
Il negozio nullo non produce alcun effetto giuridico, ma questo non significa che non possa essere eseguito (ad es. è certamente nullo il contratto con cui un killer si impegna ad ammazzare una persona contro un compenso in danaro, ma la carenza di qualsiasi effetto giuridico non esclude affatto che quel patto venga tuttavia eseguito. Possiamo quindi trovarci di fronte ad un atto valido ed efficace, ma non eseguito, e viceversa un atto nullo ed inefficace può essere stato in toto o in parte eseguito. La nullità di un atto può essere pacifica per le parti, che quindi non ne pretendono l’esecuzione, ma può anche darsi invece che al riguardo insorgano contestazioni tra le parti. Qualora si voglia chiedere la restituzione di una prestazione effettuata in esecuzione di un atto nullo (ho pagato il prezzo di un immobile acquistato in forza di un contratto verbale e quindi nullo per vizio di forma) o rifiutare l’esecuzione di una prestazione, assumendo che sia nullo il negozio che la prevede; è necessario rivolgersi al giudice per far accertare e dichiarare la nullità del negozio in questione.
L’azione di nullità presenta alcune caratteristiche significative:

  1. è imprescrittibile (l’azione per far dichiarare la nullità non è soggetta a prescrizione);
  2. il negozio nullo è insanabile (art.1423 c.c.), cioè non può essere convalidato, né confermato o ratificato. La convalida non va, però, confusa con la “conversione” del negozio nullo, né con una “rinnovazione” dell’atto, effettuata evitando di ricorrere nuovamente nella stessa causa di nullità;
  3. l’azione di nullità è di mero accertamento, in quanto la sentenza che accoglie la domanda non modifica la situazione giuridica preesistente, limitandosi ad accertare, in modo non più controvertibile, che il negozio è nullo;
  4. la legittimazione attiva a far valere la nullità di un negozio è riconosciuta a chiunque vi abbia interesse (art.1421 c.c., la c.d. assolutezza dell’azione di nullità);
  5. la nullità di un atto può essere rilevata d’ufficio dal giudice (art.1421 c.c.).

157  La conversione del negozio giuridico
Il negozio nullo non può, appunto stante la sua nullità, produrre gli effetti per realizzare i quali era stato posto in essere. La legge, però, ammette che, talvolta, possa attuarsi un fenomeno automatico di trasformazione/limitazione di quanto pattuito, denominato conversione.
Sebbene la conversione si realizzi in casi davvero rari, l’art.1424 c.c. richiede a tal fine i seguenti presupposti:

  1. che sia stato stipulato un negozio nullo;
  2. che il negozio nullo presenti tutti i requisiti, sia di sostanza (contenuto) che di forma, di un diverso negozio ( che peraltro non è stato posto in essere);
  3. che sia possibile che le parti, qualora al momento della conclusione del negozio nullo fossero state consapevoli della nullità, avrebbero allora accettato di concludere, in luogo del primo, quel diverso negozio che sarebbe stato idoneo a produrre i suoi effetti.
  1. Conseguenze della nullità

 

Se il negozio nullo sia stato eseguito, si può pretendere la restituzione delle prestazioni eseguite. Si applicano, al riguardo, le regole sulla ripetizione di ogni pagamento indebito (art.2033 c.c.). Tuttavia non è ammessa la ripetizione nel caso di prestazione eseguita in adempimento di un negozio immorale, se l’immoralità riguarda anche colui che ha eseguito la prestazione (art.2035 c.c.).

  1. L’ANNULLABILITA’

 

  1. Nozione

 
L’annullabilità deriva  dall’inosservanza delle regole che, pur dettate nell’interesse generale, mirano a proteggere particolarmente uno dei soggetti (art.1425 c.c.).Il negozio annullabile produce tutti gli effetti a cui era diretto (c.d. efficacia precaria del negozio annullabile), ma questi effetti vengono meno se viene proposta ed accolta l’azione di annullamento. L’annullabilità del negozio presenta i seguenti aspetti:

  1. l’azione di annullamento è un’azione costitutiva, in quanto non si limita a far accertare la situazione preesistente, ma mira a modificarla: il negozio aveva prodotto i suoi effetti, la sentenza di annullamento li elimina;
  2. salvo diversa disposizione di legge, la legittimazione a chiedere l’annullamento dell’atto spetta (art.1441.1 c.c.) solo alla parte nel cui interesse l’invalidità è prevista dalla legge;
  3. l’annullabilità di un atto non può essere rilevata d’ufficio dal giudice;
  4. l’azione di annullamento è soggetta a prescrizione: di  regola il termine di prescrizione è di 5 anni, ma spesso sono stabiliti termini diversi. La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui è cessata la causa che ha dato luogo al vizio;
  5. l’annullabilità è sempre sanabile, o attraverso la prescrizione dell’azione di annullamento o attraverso la convalida del negozio.
  1. Effetti dell’annullamento

 

Se l’azione dell’annullamento viene accolta dal giudice, l’annullamento ha effetto retroattivo: si considera  come se il negozio non avesse prodotto alcun effetto. Tuttavia, se il negozio è annullato per incapacità di uno dei contraenti (art.2039 c.c.), l’incapace è tenuto a restituire la prestazione ricevuta solo nei limiti in cui essa è stata rivolta a suo vantaggio (art.1443 c.c.). Il principio dell’efficacia retroattiva  dell’annullamento derivante da incapacità legale è applicato anche di fronte ai terzi.

  1. La convalida

 

Il negozio annullabile può essere sanato, oltre che per effetto della prescrizione, con la convalida (sanabilità del negozio annullabile). La convalida è un negozio con il quale la parte legittimata a proporre l’azione di annullamento si preclude la possibilità di far valere il vizio. Essa non deve essere affetta dallo stesso vizio che ha determinato l’annullabilità del negozio che si vuol sanare. La convalida può essere espressa, cioè deve contenere la menzione del negozio annullabile, del motivo di annullabilità, e la dichiarazione che s’intende convalidare il negozio; e tacita, cioè che si verifica qualora venga data esecuzione volontaria al negozio annullabile.

  1. L’INEFFICACIA

 

  1. Nozione

L’inefficacia può essere originaria (rispetto alle parti è sempre transitoria), e successiva (può dipendere dall’impugnativa di una delle parti o di terzi).
La cessazione degli effetti può anche derivare da appositi atti negoziali che si distinguono in: revoca, negozio successivo che toglie il negozio originario e determina l’eliminazione della situazione effettuale derivante dal negozio originario; e recesso, negozio che è invece diretto a sciogliere immediatamente il rapporto determinato dal contratto (art.1373 c.c.).

SEZIONE SECONDA: LA TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI

 

Capitolo 23: LA TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI

 

  1. Cenni sui tipi di azione

Chi esercita l’azione proponendo la domanda giudiziale si chiama attore (perché agisce), colui contro il quale l’azione si propone convenuto (perché è invitato nel suo interesse a presentarsi, se lo crede, nel giudizio e ad esporre le sue ragioni). Il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti non può essere soppresso o limitato nei confronti di nessuno e per nessuna ragione.
Se tra me e un’altra persona sorge controversia circa la sussistenza di un diritto soggettivo a mio favore, s’instaura un processo di cognizione che ha il compito di individuare il comando contenuto nella norma di diritto sostanziale applicabile al caso concreto. Se io ho ottenuto la sentenza con cui Tizio viene condannato a pagarmi i danni e, ciò nonostante, egli non ottempera a quest’obbligo, io posso instaurare contro di lui un processo di esecuzione, la cui finalità consiste nel realizzare il comando contenuto nella sentenza (in questo caso, mediante l’espropriazione dei beni di Tizio e la loro vendita; sul danaro ricavato io soddisferò il mio credito). Per impedire che, nel corso del processo di cognizione, Tizio si spogli dei suoi beni, io posso avvalermi del processo cautelare (per es. posso chiedere ed ottenere il sequestro conservativo di quei beni), infatti, la finalità di tale processo è quella di conservare lo stato di fatto esistente per rendere possibile l’esecuzione della sentenza.
L’azione di cognizione può tendere ad una di queste tre finalità:
1) all’accertamento dell’esistenza o dell’inesistenza di un rapporto giuridico incerto e controverso ( se Tizio sia o meno proprietario di una cosa: azione e sentenza di mero accertamento);
2) all’emanazione di un comando, che il giudice rivolgerà alla parte soccombente di eseguire la prestazione che egli stesso riconosce dovuta all’attore (azione e sentenza di condanna);
3) alla costituzione, modificazione o estinzione di rapporti giuridici (art.2908 c.c.).

  1. La cosa giudicata

 

L’efficacia del giudicato concerne anzitutto il processo, esso preclude ogni ulteriore riesame ed impugnazione della sentenza. La cosa giudicata ha anche un valore sostanziale: non solo non si può impugnare la sentenza, ma, se in essa è stato riconosciuto il mio diritto di proprietà o di credito, ciò non può formare più oggetto di riesame tra me e l’altra parte in futuri processi.

  1. Il processo esecutivo e il pignoramento

 

 Se non viene adempiuto il comando contenuto nella sentenza, colui a cui favore è stato emesso può iniziare il processo esecutivo. Esso può avere per oggetto la consegna di una cosa mobile o il rilascio di un immobile (art.2930 c.c.), se non è adempiuto l’obbligo di consegnare l’una o l’altro. Se, invece, non è adempiuto un obbligo di fare, l’avente diritto può ottenere solo che esso sia eseguito a spese dell’obbligato, tranne che si tratti di un facere  infungibile, nel qual caso può soltanto ottenere il risarcimento del danno.
Se non è stato adempiuto un obbligo di non facere, l’avente diritto può ottenere la distruzione a spese dell’obbligato (art.2933 c.c.).
La forma più importante di processo esecutivo è l’espropriazione dei beni del debitore, nel caso che egli non adempia l’obbligazione di pagare una somma di danaro (espropriazione forzata).
Il pignoramento, invece, è l’atto con il quale si assoggetta il bene all’azione esecutiva. L’art.2913 c.c. stabilisce che non hanno effetto, in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell’esecuzione, gli atti di alienazione dei beni sottoposti a pignoramento.

 

 

 

Capitolo 24: LA PROVA DEI FATTI GIURIDICI

  Nozioni generali

 

Tutte le volte che su una circostanza vi sia divergenza tra le parti, il giudice è tenuto, per poter arrivare a definire la lite, a scegliere tra le contrapposte versioni.
Nel giudizio civile, sono le parti che devono preoccuparsi di indicare quali siano i mezzi di prova, ossia gli elementi in base ai quali ciascuna di esse ritiene che la propria versione dei fatti litigiosi risulti più convincente di quella della controparte. Al giudice spetta valutare anzitutto se i mezzi di prova che le parti offrono siano ammissibili, cioè conformi alla legge; e rilevabili, cioè abbiano ad oggetto fatti che possano influenzare la decisione della lite. Dopo aver ammesso e assunto le prove, egli valuterà, con la sentenza, la loro concludenza, ossia la loro idoneità o meno a dimostrare i fatti sui quali vertevano.
In ogni caso, comunque, il giudice deve motivare la sua decisione, spiegando le ragioni del suo convincimento.

  L’onere della prova

 
Può darsi che, riguardo ai fatti oggetto di opposte versioni delle parti, nel processo siano del tutto mancanti mezzi di prova. In questo caso, il giudice, non potendo rifiutarsi di decidere, dovrà per forza scegliere una soluzione.
La regola do giudizio che il legislatore gli offre si chiama “onere della prova” (art.2697 c.c.): in ordine a ciascun fatto grava sempre su una sola delle parti l’onere di persuadere il giudice, ossia, se il giudice non considera convincente o provata la versione offerta dalla parte gravata dall’onere, dovrà dare ragione, su quel punto, alla controparte, anche se consideri parimenti non convincente la versione che a quel fatto è stata data da quest’ultima. L’onere della prova, quindi, è una regola da applicare al termine del giudizio, risolvendosi nel rischio che sia accolta la versione sostenuta dalla controparte, se il soggetto gravato dall’onere non riesce ad offrire al giudice elementi di prova sufficientemente convincenti.

  I mezzi di prova

 

 Per mezzo di prova s’intende qualsiasi elemento idoneo ad influenzare la scelta che il giudice deve fare per stabilire quale tra le contrapposte versioni di un fatto sostenute dalle parti in lite sia più convincente.
Il principio fondamentale è quello della loro libera valutazione da parte del giudice. Ci sono però, anche prove legali, la cui rilevanza è già predeterminata dalla legge, cosicchè il giudice non ha alcuna discrezionalità nel valutarle. I mezzi di prova si distinguono in due specie: prova precostituita o documentale(atto pubblico, scrittura privata), detta precostituita perché esiste già prima del giudizio; e prova costituenda (prova testimoniale, confessioni, presunzioni, giuramenti), detta costituenda perché deve formarsi nel corso del giudizio.

  1.   La prova documentale

 

Per “documento” s’intende ogni cosa idonea a rappresentare un fatto, in modo da consentirne la presa di conoscenza a distanza di tempo.
Importanza preminente tra i documenti, rivestono l’atto pubblico e la scrittura privata:
L’atto pubblico è il documento redatto, con particolari formalità stabilite dalla legge, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuire all’atto quella particolare fiducia nella sua veridicità che si chiama “pubblica fede” (art.2699 c.c.). L’atto pubblico fa piena prova della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha sottoscritto e di tutto quanto egli attesta essere avvenuto alla sua presenza (art.2700 c.c.). Con ciò significa che il giudice è vincolato a considerare senz’altro vere le circostanze, senza che siano possibile alternative, dubbi o controprove. Se una parte intende contrastare tale speciale forza probatoria privilegiata deve fare necessariamente ricorso ad un particolare procedimento che si avvia mediante una querela di falso: ossia mediante la richiesta che il giudice accerti, invia separata rispetto al processo in cui il documento è prodotto e se ne chiede l’utilizzazione, che quel documento è in realtà oggettivamente falso.
Scrittura privata è qualsiasi documento che risulti sottoscritto da un privato. Quest’ultimo, con la sua firma, si assume la paternità del testo e, quindi, la responsabilità in quanto in esso sia dichiarato. La scrittura privata, proprio perché non proviene da un pubblico ufficiale, non ha la stessa efficacia probatoria dell’atto pubblico. Essa, infatti, fa prova soltanto contro chi ha sottoscritto il documento e non a suo favore. Se, invece, la sottoscrizione è autenticata o è riconosciuta, essa, come l’atto pubblico fa piena prova legale fino a querela di falso, ma della sola provenienza delle dichiarazioni di chi ha sottoscritto. Elemento importante della scrittura privata è la data, ossia l’indicazione del giorno in cui la scrittura è stata sottoscritta.

  Prova testimoniale

 

 La testimonianza (detta anche prova orale) è la narrazione fatta al giudice di una persona estranea alla causa in relazione a fatti controversi di cui il teste abbia conoscenza.
La prova testimoniale incontra limiti legali di ammissibilità:

  1. essa non è ammissibile quando sia invocata per provare il perfezionamento o il contenuto di un contratto avente un valore superiore alle 5000 lire;
  2. essa non è ammissibile se tende a dimostrare che anteriormente, contemporaneamente o successivamente alla stipulazione di un accordi scritto siano stati stipulati altri patti, non risulti però dal documento (art.2722, 2723);
  3. non è ammissibile se tende a provare un contratto che, per volontà delle parti o per espressa disposizione di legge, deve essere provato per iscritto.
  Forma ad substantiam e forma ad probationem

 
Quando la forma (atto scritto o atto pubblico) è richiesta ad substantiam, essa costituisce un elemento essenziale del negozio, cosicchè ove il requisito formale non sia osservato l’atto è irrimediabilmente nullo.
Il legislatore impone alla parte l’onere di custodire il documento onde poterlo in qualsiasi momento, esibire al giudice: altrimenti, mancando il documento o, in alternativa, la prova della sua perdita incolpevole, il giudice deve presumere che esso non sia mai stato formato.
Diversa è la situazione, invece, quando l’osservanza di una forma sia stabilita ad probationem tantum. In tal caso, infatti, l’atto compiuto senza l’osservanza della forma stabilita dalla legge non è nullo l’unica conseguenza della inosservanza della forma è il divieto della forma testimoniale.

  La prova della simulazione

 

Le parti che pongono in essere un contratto simulato si premuniscono: quando fanno il contratto per iscritto, si scambiano una controdichiarazione scritta, nella quale si dichiarano reciprocamente che il contratto apparente non è da esse  effettivamente voluto e che esse o non hanno voluto concludere alcun contratto (simulazione assoluta) oppure hanno voluto concludere un contratto diverso (simulazione relativa). Supponiamo che questa dichiarazione non sia stata fatta o sia andata perduta, è ammissibile che si chieda di provare la simulazione mediante testimoni e presunzioni in due casi: che la simulazione sia dedotta da terzi; o in cui essa sia fatta valere da una delle parti contro l’altra. I terzi non sono soggetti alle restrizioni che sono stabilite per la prova testimoniale e per le presunzioni, sia perché essi non si potevano procurare la prova scritta della simulazione, sia perché le restrizioni alla prova testimoniale si riferiscono ai contratti e non ai fatti e valgono, perciò, di fronte ai contraenti per i quali il contratto assume valore soltanto di semplice fatto. Per quanto riguarda l’ammissibilità della prova tra i contraenti, bisogna distinguere tra l’ipotesi in cui la prova sia diretta a far valere l’illiceità del contratto dissimulato e quella in cui quest’ultimo non sia illecito. Nel primo caso la prova per testimoni e per presunzioni è ammessa senza limiti, nella seconda ipotesi valgono le limitazioni stabilite dalla legge per la prova testimoniale.

  Le presunzioni

 

Per presunzione (o prova indiretta) si intende ogni argomento, illazione, attraverso cui, essendo già provata una determinata circostanza (c.d. fatto base o indizio), si giunge a considerare provata altresì un'altra circostanza, sfornita di prova diretta (così ad es., dalla circostanza che sia decorso già un certo periodo di tempo dal momento in cui si poteva pretendere il pagamento di certi debiti, per i quali doveva avvenire entro breve tempo, si trae la presunzione che il debito sia già stato pagato o comunque si sia già estinto, sebbene manchino prove dirette del pagamento o del verificarsi di un'altra causa di estinzione dell’obbligo: prescrizione presuntiva).
Le presunzioni si dicono legali quando è la stessa legge che attribuisce ad un fatto, valore di prova in ordine ad un altro fatto, che quindi viene presunto (es. presunzione che chi ha il possesso di una cosa altrui sia in buona fede).
Le presunzioni legali, a loro volta, possono essere assolute e non ammettono prova contraria; o relative ed ammettono prova contraria.
Le presunzioni si dicono invece semplici quando non sonoprestabilite dalla legge, ma sono lasciate al prudente apprezzamento del giudice, il quale non deve ritenere provato un fatto, di cui manchino prove dirette, se non quando ricorrano indizi gravi, precisi e concordanti (art.2729 c.c.).

  La confessione

 

La confessione è la dichiarazione che la parte fa della verità di fatti a sé sfavorevoli e favorevoli all’altra parte. Essa è giudiziale, se resa in giudizio e, in questo caso, fa piena prova (artt.2730, 2732, 2733 c.c.).; stragiudiziale, se resa fuori dal giudizio. Se la confessione stragiudiziale è fatta alla parte o al suo rappresentante, ha lo stesso valore di quella giudiziale; se è fatta ad un terzo, può essere apprezzata liberamente dal giudice (art.2735 c.c.). A differenza della giudiziale, la confessione stragiudiziale deve essere, a sua volta, dimostrata.
La confessione si dice qualificata quando la parte riconosce la verità dei fatti a sé sfavorevoli, ma vi aggiunge altri fatti o circostanze tendenti ad infirmare l’efficacia del fatto confessato ovvero a modificarne o ad estinguerne gli effetti. In questo caso bisogna distinguere: a) se l’altra parte non contesta la verità dei fatti o delle circostanze aggiunte, le dichiarazioni fanno piena prova nella loro integrità; b) se l’altra parte contesta è rimesso al giudice di apprezzare, secondo le circostanze, l’efficacia probatoria delle dichiarazioni (art.2734 c.c.).

  Giuramento

 

Il giuramento è un mezzo di prova di cui si può chiedere l’acquisizione nel corso di un giudizio civile. Il c.c. prevede (art.2736) due tipi di giuramento: il decisorio e il suppletorio. Quello decisorio si chiama così perché deve riguardare circostanze che abbiano valore decisorio in ordine ad una quaestio facti su cui il giudice è chiamato a pronunciarsi, cosicchè l’esito del giuramento preclude ogni ulteriore accertamento al riguardo.
Il giuramento è ammissibile solo quando (art.2739 c.c.) sia relativo ad un fatto proprio della parte cui è definito, ovvero quando sia relativo alla conoscenza che essa ha di un fatto altrui..
Se la parte si rifiuta di giurare o non si presenta, senza giustificato motivo, all’udienza fissata, la sua versione del fatto non può più essere considerata vera dal giudice. Se invece presta il giuramento, il giudice deve definitivamenteconsiderare vera la sua affermazione e decidere in conformità la questione per la quale il giuramento è stato ammesso.
Il giuramento non è ammissibile quando si tratti: a) di diritti indisponibili (es. questioni di stato); b) di fatto illecito; c) di atto per cui sia richiesta la forma scritta ad substantiam; d) di contestare l’attestazione, contenuta in un atto pubblico, che un determinato fatto è alla presenza del pubblico ufficiale che lo ha firmato.
Il giuramento suppletorio può essere deferito in base ad un potere discrezionale dello stesso giudice, quando questi si trovi di fronte ad un fatto rimasto incerto, ma per il quale la parte che aveva l’onere di provarlo abbia fornito elementi abbastanza rilevanti, sebbene non definitivamente persuasivi: in tal caso il giudice può offrirle di perfezionare la prova, già quasi raggiunta, confermando con il giuramento che i fatti affermati sono veri.
Una particolare specie di giuramento suppletorio è il giuramento estimatorio, che può essere deferito per stabilire il valore di una cosa quando non sia possibile accertarlo diversamente.

 

Fonte: http://studiando.altervista.org/UNIVERITY/1anno/PRIVATO/riassunto%20del%20torrente.doc

Sito web da visitare: http://studiando.altervista.org

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.

 

Prescrizione e la decadenza

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

Prescrizione e la decadenza

 

"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco

www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve

 

Argomenti

Termini d' uso, cookies e privacy

Contatti

Cerca nel sito

 

 

Prescrizione e la decadenza