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LE PROCEDURE CONCORSUALI
Sono: il fallimento - il concordato preventivo - il concordato fallimentare - la liquidazione coatta amministrativa.
Per quanto riguarda, invece, l’amministrazione controllata, vedasi note a pagina 34
Si chiamano "procedure", perché richiedono una serie di atti. Si chiamano "concorsuali", perché questi atti vengono gestiti da più persone. Queste procedure si applicano su tutti i beni del fallito e nell’interesse di tutti i creditori, ai quali la legge assicura uguaglianza di trattamento (questa regola viene chiamata, con una espressione latina,: “par condicio creditorum”).
Nota
la forte esigenza di regolamentare gli aspetti relativi alle procedure di insolvenza, che possono coinvolgere imprese che hanno sedi e beni in più stati dell’unione europea, è stata alla base dell’emanazione del “regolamento” numero 1346/2000 del consiglio dell’unione europea, pubblicato sulla gazzetta ufficiale della comunità europea del 30/6/2000.
Il “regolamento” si compone di 47 articoli, suddivisi in 5 capitoli e le linee guida possono essere così determinate:
⦁ competenza per l’apertura delle procedure di insolvenza,
⦁ individuazione della legge applicabile,
⦁ decisioni relative alle predette procedure,
⦁ riconoscimento ed esecuzione delle decisioni negli altri stati.
Viene introdotto il nuovo concetto di “procedura secondaria di insolvenza”, che è quella che può aprirsi in un altro stato membro, in cui esiste una dipendenza del debitore, successivamente all’apertura della procedura d’insolvenza principale. Le procedure secondarie possono essere solo di tipo liquidatorio e quindi, per l’Italia, il fallimento e la liquidazione coatta amministrativa.
Vige tra i curatori il dovere di cooperazione reciproca, nonché di trasmissione, da parte del curatore della procedura secondaria, a quello della procedura principale, delle notizie utili alla liquidazione dei beni.
Per controllare l’esatta applicazione del “regolamento”, è stato previsto che la commissione europea presenti al parlamento europeo, al consiglio ed al comitato economico e sociale una relazione, con scadenza ogni cinque anni, sullo stato dell’applicazione del “regolamento” nell’unione europea.
I CREDITORI VENGONO CLASSIFICATI IN DUE CATEGORIE
⦁ creditori privilegiati: sono coloro che hanno il vantaggio, sugli altri creditori, di aver ipotecato o pignorato uno o più beni del fallito o che hanno comunque una particolare preferenza (lo Stato, ad esempio, deve essere pagato per primo, se deve ricevere dal fallito il pagamento di tributi),
⦁ creditori chirografari: sono tutti gli altri creditori, che non hanno quindi alcun diritto di precedenza, né alcun privilegio. Fra di loro vale il principio, comunque, della “par condicio”.
IL FALLIMENTO
La riforma del diritto fallimentare è arrivata finalmente in porto, dopo ben 63 anni dal testo del regio decreto del 16 marzo 1942, n. 267. Sulla “Gazzetta Ufficiale” n. 12 del 16/1/2006 (supplemento ordinario n. 13) è stato infatti pubblicato il testo del decreto legislativo n. 5 del 9/1/2006, che dispone la “riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali, a norma dell’articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80”.
Ricordiamo che il governo era stato delegato ad adottare uno o più decreti legislativi per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali. Con l’espressione “fallimento”, dunque, si indica lo stato patrimoniale di un soggetto che non ha più la capacità oggettiva di far fronte puntualmente alle proprie obbligazioni. Il motivo di fondo della riforma è il recupero, ove possibile, dell’imprenditore sfortunato, il cui fallimento non viene più visto sempre infamante, come invece avveniva prima.
La riforma, infatti, vuole prendere atto che il fallito ha corso il rischio del mercato e non gli è andata bene, ma che per questo non deve essere per forza criminalizzato, se la sua condotta è stata corretta.
L’impressione complessiva che se ne ricava, leggendo il testo della riforma è in genere positiva, infatti:
⦁ vengono potenziati i poteri del comitato dei creditori;
⦁ il curatore ha maggiori poteri di iniziativa;
⦁ viene ribadito che la funzione del giudice è quella di risolvere le controversie;
⦁ vengono introdotte importanti novità per quanto riguarda gli effetti del fallimento per il fallito: vengono abrogati il registro dei falliti, l’inoltro automatico della corrispondenza al curatore (rimanendo solo l’obbligo di consegnare la corrispondenza riguardante il fallimento), il divieto di allontanamento dalla residenza (rimanendo il fallito obbligato a comunicare al curatore i cambi di residenza o domicilio) e l’incapacità all’elettorato attivo;
⦁ le novità su residenza e corrispondenza riguardano anche le società: agli stessi obblighi e divieti deve sottostare il legale rappresentante;
⦁ viene data al debitore la possibilità di collaborare per il buon esito della procedura;
⦁ vengono introdotti “paletti” ben precisi per l’applicazione della normativa concorsuale e così si spera che i Tribunali non vengano più ingolfati, come avveniva prima della riforma (infatti, il capitale deve essere superiore a 300.000 euro ed i ricavi lordi annui nell’ultimo triennio devono essere superiori a 200.000 euro);
⦁ quando la procedura viene chiusa, viene introdotto il nuovo istituto della “esdebitazione”, con la quale, come meglio si vedrà ancora più avanti, il fallito meritevole viene liberato dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali;
⦁ è stata abrogata la procedura di amministrazione controllata;
⦁ è stato modificato il concordato preventivo, che ora può essere avviato anche prima dell’insolvenza, quando la situazione è solo di crisi, e può prevedere provvedimenti di risanamento aziendale;
⦁ anche il concordato fallimentare è stato rivisto in forma migliorativa rispetto al passato;
⦁ vengono anche riconosciuti ufficialmente, al di fuori quindi della prassi, gli accordi stragiudiziali.
Lo svolgimento della procedura fallimentare comporta una serie di fasi, collegate l’una all’altra, e precisamente:
⦁ accertamento dei presupposti previsti dalla legge per la dichiarazione del fallimento stesso;
⦁ identificazione, acquisizione e conservazione di tutti i beni del fallito;
⦁ accertamento di tutti i suoi creditori;
⦁ liquidazione dei beni;
⦁ riparto del ricavato tra i vari creditori;
I caratteri, pertanto, della procedura fallimentare sono i seguenti:
⦁ universalità, perché vengono colpiti tutti i beni del creditore;
⦁ concorsualità, perché la procedura è predisposta nell’interesse di tutti i creditori;
⦁ ufficialità, perché può essere iniziata anche d’ufficio dal giudice, proprio per il fatto della tutela di un interesse collettivo.
Ogni persona potrebbe trovarsi in condizioni da non poter adempiere le proprie obbligazioni alle relative scadenze, ma nel caso di un debitore comune, che non sia cioè un imprenditore commerciale, le conseguenze sono limitate e non si parla di fallimento, perché la legge lascia all’iniziativa di ciascun creditore la possibilità di agire sui singoli beni del debitore nelle forme previste dal codice di procedura civile; e pertanto tale inadempimento diventa un fatto isolato e ben circoscritto.
Un aspetto ben più grave assume, invece, la crisi economica dell’imprenditore commerciale, perché si ripercuote sull’economia generale e non è più un fatto isolato e circoscritto tra privato e privato.
La legge, pertanto, non consente in questi casi azioni legali individuali, ma sottopone alla esecuzione l’intero patrimonio dell’impresa in modo tale da assicurare un trattamento uguale tra i creditori che si trovano nella stessa condizione (si dice, tecnicamente, per assicurare la “par condicio”).
Tale particolare forma di esecuzione si chiama “procedura esecutiva concorsuale”, e può essere, come abbiamo visto sopra, o il fallimento, o la liquidazione coatta amministrativa, o il concordato preventivo, o l’amministrazione controllata, o l’amministrazione straordinaria.
Quando la sentenza di fallimento colpisce una società, si producono le seguenti conseguenze:
⦁ per le società di persone, il fallimento della società comporta il fallimento dei singoli soci a responsabilità illimitata,
⦁ per le società di capitali, il fallimento della società non comporta il fallimento dei soci, la responsabilità dei quali è limitata alla quota sociale,
⦁ per le società cooperative a responsabilità illimitata, il fallimento della società non comporta il fallimento dei soci, ma il giudice può autorizzare il curatore a richiedere ai soci il versamento delle somme necessarie per l’estinzione dei debiti sociali e può ordinare il sequestro dei beni dei soci.
Non possono fallire
Il piccolo imprenditore
ai fini del primo comma dell’articolo 1 della nuova legge fallimentare, sono piccoli imprenditori gli esercenti un’attività commerciale in forma individuale o collettiva, che anche alternativamente hanno effettuato investimenti nell’azienda per un capitale di valore inferiore a 300 mila euro; oppure hanno realizzato, in qualunque modo risulti, ricavi lordi calcolati sulla media degli ultimi tre anni o dall’inizio dell’attività, se di durata inferiore, per un ammontare complessivo annuo non superiore a 200 mila euro.
Gli enti pubblici
lo Stato, la Regione, la Provincia, il Comune,
L’imprenditore agricolo
ma è allo studio del parlamento il fallimento anche per gli agricoltori; si vuole in sostanza far contare solo la dimensione dell’impresa e non l’attività svolta.
Articolo 1
(della nuova legge fallimentare)
Imprese soggette al fallimento ed al concordato preventivo
Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano un’attività commerciale, esclusi gli enti pubblici ed i piccoli imprenditori.
Ai fini del primo comma, non sono piccoli imprenditori gli esercenti un’attività commerciale in forma individuale o collettiva che, anche alternativamente:
⦁ hanno effettuato investimenti nell’azienda per un capitale di valore superiore ad euro trecentomila;
⦁ hanno realizzato, in qualunque modo risulti, ricavi lordi calcolati sulla media degli ultimi tre anni o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, per un ammontare complessivo annuo superiore a euro duecentomila.
I limiti di cui alle lettere a) e b) del secondo comma possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del ministro della giustizia, sulla base della media delle variazioni degli indici Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, intervenute nel periodo di riferimento.
Presupposto per dichiarare un fallimento
l’insolvenza, cioè l'incapacità sistematica e grave di far fronte a tutti i propri impegni di pagamento; mentre l’incapacità momentanea od occasionale si chiama invece "inadempimento". Quindi l’insolvenza non si riferisce ad una singola obbligazione, ma a tutta la situazione patrimoniale del debitore.
E’ insolvente non soltanto chi non può pagare tutti i suoi creditori, ma anche chi può pagarne solo alcuni, o può pagare solo parzialmente i suoi debiti; oppure può pagare tutti, ma in tempo successivo rispetto alla scadenza; ovvero, ancora, può continuare a pagare i debiti, ma svendendo ad un prezzo irrisorio i propri beni, aggravando così la situazione economica complessiva con pregiudizio degli altri creditori.
L’insolvenza acquista rilevanza giuridica solo quando si manifesta all’esterno e solo allora si può considerare realizzato il presupposto oggettivo richiesto dalla legge, che non è l’insolvenza in quanto tale, ma la sua manifestazione. Ma quando lo stato di insolvenza si può dire manifesto?
Ovviamente quando si verificano reiterati inadempimenti, che costituiscano un grave e serio indizio delle difficoltà finanziarie dell’imprenditore. Inoltre, accanto ad essi, la legge fallimentare prevede altre ipotesi sintomatiche, quali la fuga o la latitanza dell’imprenditore, la chiusura dei locali, il trafugamento, la sostituzione o la diminuzione fraudolenta dell’attivo.
Altri modi di manifestazione considerati dalla dottrina o dalla giurisprudenza sono: il suicidio o il tentato suicidio dell’imprenditore, truffe o appropriazioni indebite da esso commesse, rovinose svendite dei beni dell’impresa.
I fatti sintomatici, comunque, sono praticamente illimitati, potendo ritenersi tali tutti quegli eventi che, per il loro carattere di gravità, precisione e concordanza, consentono quel giudizio tipicamente presuntivo nel quale consiste l’accertamento dello stato di insolvenza.
Infine, occorre tenere presente che lo stato di insolvenza manifestatosi deve avere carattere permanente; non deve cioè consistere in una temporanea difficoltà di adempiere, che legittimerebbe solo una amministrazione controllata, ma non un fallimento.
Articolo 5
(della nuova legge fallimentare)
Stato d’insolvenza
L’imprenditore che si trova in stato d’insolvenza è dichiarato fallito. Lo stato d’insolvenza si manifesta con inadempimenti o altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.
ORGANI DEL FALLIMENTO
Articolo 9
(della nuova legge fallimentare)
Competenza
Il fallimento è dichiarato dal Tribunale del luogo dove l’imprenditore ha la sede principale dell’impresa.
Il trasferimento della sede intervenuto nell’anno antecedente all’esercizio dell’iniziativa per la dichiarazione di fallimento non rileva ai fini della competenza.
L’imprenditore, che ha all’estero la sede principale dell’impresa, può essere dichiarato fallito nella Repubblica anche se è stata pronunciata dichiarazione di fallimento all’estero.
Sono fatte salve le convenzioni internazionali e la normativa dell’Unione europea.
Il trasferimento della sede dell’impresa all’estero non esclude la sussistenza della giurisdizione italiana, se è avvenuto dopo il deposito del ricorso di cui all’articolo 6 (vedi più avanti: “chi può chiedere la dichiarazione di fallimento”) o la presentazione della richiesta di cui all’articolo 7 (che parla dell’iniziativa del pubblico ministero).
Il Tribunale fallimentare
Dichiara aperto il fallimento ed è l’organo supremo dell’amministrazione fallimentare; competente alla dichiarazione di fallimento è il Tribunale del luogo ove l’imprenditore ha la sede principale dell’impresa (tale competenza è inderogabile).
Se il Tribunale riscontra l’esistenza dei presupposti previsti dalla legge, dichiara il fallimento con sentenza provvisoriamente esecutiva, che contiene:
⦁ la nomina dei principali organi della procedura (giudice delegato e curatore);
⦁ l’ordina al fallito di depositare il bilancio e le scritture contabili;
⦁ la fissazione di un termine ai creditori per presentare domande di ammissione al passivo;
⦁ la fissazione della prima udienza di verifica dei crediti;
⦁ eventualmente, l’ordine di cattura del fallito e degli altri responsabili, ove esistano reati fallimentari.
⦁
Articolo 16
(della nuova legge fallimentare)
Sentenza dichiarativa di fallimento
La sentenza dichiarativa di fallimento è pronunciata in camera di consiglio. Con la sentenza il Tribunale:
⦁ nomina il giudice delegato per la procedura;
⦁ nomina il curatore;
⦁ ordina al fallito il deposito dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie, nonché dell’elenco dei creditori, entro tre giorni, se non è stato ancora eseguito a norma dell’articolo 14;
⦁ stabilisce il luogo, il giorno e l’ora dell’adunanza in cui si procederà all’esame dello stato passivo, entro il termine perentorio di non oltre 120 giorni dal deposito della sentenza;
⦁ assegna ai creditori e ai terzi, che vantano diritti reali o personali su cose in possesso del fallito, il termine perentorio di trenta giorni prima dell’adunanza di cui al numero precedente per la presentazione in cancelleria delle domande di insinuazione.
La sentenza produce i suoi effetti dalla data della pubblicazione, ai sensi dell’articolo 133, primo comma, del codice di procedura civile. Gli effetti nei riguardi dei terzi si producono dalla data di iscrizione della sentenza nel registro delle imprese, ai sensi dell’articolo 17, secondo comma .
Nota = Il primo comma dell’articolo 133 del codice di procedura civile stabilisce che: “la sentenza è resa pubblica mediante deposito nella cancelleria del giudice che l’ha pronunciata”. Invece, il secondo comma dell’articolo 17 della nuova legge fallimentare stabilisce che: “la sentenza è altresì annotata presso l’ufficio del registro delle imprese ove l’imprenditore ha la sede legale e, se questa differisce dalla sede effettiva, anche presso quello corrispondente al luogo ove la procedura è stata aperta”.
La sentenza:
⦁ è affissa per estratto, a cura del cancelliere, alla porta del Tribunale;
⦁ è pubblicata, per estratto, nel Foglio Annunci Legali della Provincia;
⦁ va comunicata, per estratto, al debitore, al curatore, ai creditori ricorrenti, al pubblico ministero ed alla cancelleria del Tribunale del luogo di nascita del fallito;
⦁ va registrata nel certificato del Casellario giudiziale.
Contro la sentenza che dichiara il fallimento possono proporre opposizione il debitore e qualunque interessato, cioè chiunque abbia interesse non solo patrimoniale ma anche morale ad ottenere la revoca del fallimento, quale ad esempio potrebbe essere il coniuge del fallito.
L’opposizione va proposta nei confronti del curatore e dei creditori istanti; il Tribunale vaglia nuovamente i presupposti per la dichiarazione di fallimento, ed in questo secondo esame può tener conto di nuovi elementi, purchè però non siano sopravvenuti.
L’opposizione è comunque decisa con sentenza, che può essere appellata da coloro che sono stati parte nel giudizio.
Nel caso che venga revocata la sentenza di fallimento, questa è soggetta alla stessa pubblicità della sentenza dichiarativa e, a seguito della revoca della sentenza di fallimento, restano salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi del fallimento, nonché le spese della procedura ed il compenso al curatore, che vengono liquidati dal Tribunale con decreto non impugnabile, su relazione del giudice delegato.
Il Giudice delegato
Nominato dal Tribunale fallimentare, con la sentenza dichiarativa di fallimento ed è l’organo direttivo e di controllo della procedura stessa. In particolare:
⦁ riferisce al Tribunale circa ogni questione su cui deve pronunciarsi il Tribunale stesso;
⦁ emette i provvedimenti necessari ed urgenti in materia di amministrazione dei beni del fallimento;
⦁ convoca, ogni qual volta lo ritiene opportuno, il comitato dei creditori per sentirne il parere;
⦁ nomina lo stesso comitato dei creditori;
⦁ autorizza il curatore a nominare tutti quegli ausiliari (ad esempio: periti, stimatori, avvocati, eccetera), che siano necessari nel corso della procedura;
⦁ decide sui reclami presentati contro gli atti di amministrazione compiuti dal curatore;
⦁ autorizza il curatore a stare in giudizio nelle cause riguardanti il fallito o il fallimento, nonché a compiere gli atti di straordinaria amministrazione necessari per lo svolgimento della procedura;
⦁ sorveglia l’opera prestata nell’interesse del fallimento dagli ausiliari e ne liquida le competenze;
⦁ provvede, con la cooperazione del curatore, all’esame preliminare dei crediti, dei diritti reali vantati da terzi e della relativa documentazione;
⦁ appone i sigilli o ne delega l’apposizione;
⦁ è giudice istruttore in tutte le cause di opposizione insorte nel corso della procedura fallimentare;
⦁ dispone le vendite dei mobili e provvede direttamente alla vendita degli immobili.
È bene ricordare, infine, che tutti i provvedimenti del giudice delegato sono dati con decreto, e contro di essi è ammesso il ricorso al Tribunale, da parte di qualunque interessato.
Il Curatore
Viene pure nominato dal Tribunale, ed è l’organo esecutivo con mansioni complesse e varie; il suo compito principale, tuttavia, consiste nell’amministrazione dei beni del fallito.
Possono essere chiamati a svolgere le funzioni di curatore: avvocati, commercialisti, ragionieri e ragionieri commercialisti; studi professionali associati o società tra professionisti, coloro che abbiano svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in SpA, dando prova di adeguate capacità imprenditoriali e purchè non sia intervenuta nei loro confronti una dichiarazione di fallimento.
Il curatore, in sede di adunanza per l’esame dello stato passivo, può essere sostituito dai creditori; può inoltre essere revocato in ogni tempo, con decreto, dal Tribunale, su proposta del giudice delegato, su richiesta del comitato dei creditori, oppure d’ufficio, sentiti il Pubblico Ministero ed il curatore medesimo.
Contro gli atti di amministrazione del curatore, il fallito ed ogni altro interessato possono reclamare al giudice delegato, che decide con decreto motivato, poi soggetto a reclamo al Tribunale
Ma vediamo, meglio, l’elenco dei suoi compiti:
⦁ redigere la prima relazione informativa sulle cause del dissesto; in tale relazione egli deve riferire anche circa la condotta del fallito anteriore al fallimento, nonché il suo stato patrimoniale, la sua attuale situazione economica, le residue possibilità di sussistenza;
⦁ redigere il bilancio dell’ultimo esercizio del fallito, se questi abbia omesso di farlo o, se esso è stato fatto, revisionarlo ed eventualmente completarlo;
⦁ assistere il giudice delegato nelle operazioni di predisposizione dello stato passivo, ragguagliando lo stesso sulla fondatezza e sul contenuto delle singole domande;
⦁ presenziare all’udienza di discussione dello stato passivo, ed intervenire nelle eventuali contestazioni insorte fra debitore e creditori, o creditori fra loro, circa l’ammissione al passivo;
⦁ redigere periodiche relazioni, per tenere informato il giudice delegato circa l’andamento della procedura di amministrazione dei beni del fallito;
⦁ esaminare le domande di ammissione al passivo proposte tardivamente ed eventualmente, ricorrendone le condizioni, opporsi ad esse, instaurando il giudizio di opposizione in cui egli assume veste di parte;
⦁ presentare domanda di revocazione avverso il decreto, o la sentenza, del giudice di ammissione di un credito o di una garanzia, allorché si sia scoperto che questa sia stata effetto di falsità, dolo o errore essenziale di fatto, ovvero si rinvengano documenti decisivi prima ignorati. Doveri uguali il curatore ha anche per le domande di rivendicazione, restituzione e separazione di cose mobili possedute dal fallito, proposte da terzi;
⦁ procedere alla liquidazione delle attività fallimentari, dopo esserne stato autorizzato dal giudice delegato, vendendo i beni al miglior offerente e depositando immediatamente il ricavato sul conto corrente intestato al fallito, e naturalmente bloccato;
⦁ presentare ogni due mesi un prospetto delle somme disponibili depositate su tale conto ed, insieme, un progetto di riparto di tali somme fra i creditori ammessi definitivamente, riservando le somme occorrenti per la procedura;
⦁ presentare il rendiconto particolareggiato della sia gestione, dopo avere compiuto la liquidazione dell’attivo e prima del riparto finale. Tale conto, se non è contestato, viene approvato dal giudice; altrimenti, se vi è contestazione, si instaura un giudizio innanzi al Tribunale, che porterà all’approvazione giudiziale del conto stesso;
⦁ promuovere la chiusura del fallimento, o quando non sono state proposte domande di ammissione al passivo, o quando le ripartizioni ai creditori raggiungano l’intero ammontare dei crediti ammessi, o quando i crediti sono estinti e sono pagati tutti i debiti, o quando si accerta che non si possono soddisfare i creditori;
⦁ provvedere agli adempimenti necessari, in caso di concordato giudiziale.
Il Comitato dei Creditori
E’ una piccola rappresentanza dei creditori, composta da un minimo di tre membri e fino ad un massimo di cinque membri; vengono nominati dal giudice delegato ed hanno il compito principale di fornire pareri allo stesso.
Il Comitato dei Creditori è pertanto l’organo consultivo e di controllo della procedurafallimentare.Il Comitato dei creditori vigila, inoltre, sull’operato del curatore, ne autorizza gli atti ed esprime pareri nei casi previsti dalla legge, dal giudice e dal Tribunale.
In sede di adunanza per l’esame dello stato passivo, i creditori presenti, che rappresentino la maggioranza dei crediti allo stato ammessi, possono effettuare nuove designazioni in ordine ai componenti del Comitato, nonché chiedere la sostituzione del curatore, indicando al Tribunale le ragioni della richiesta ed un nuovo nominativo.
Per quanto riguarda la funzione consultiva, il comitato dei creditori deve essere ascoltato in tutti i casi previsti dalla legge, e si parla allora di attività consultiva necessaria; e tutte le volte che il Tribunale o il giudice delegato lo ritengano opportune, e si parla allora di attività consultiva eventuale. I pareri del comitato dei creditori non sono di regola vincolanti.
Ma vediamo, meglio, quando la richiesta del parere è obbligatoria:
⦁ per la nomina dei coadiutori del curatore;
⦁ per il compimento degli atti di cui all’articolo 35 della legge fallimentare e precisamente se il curatore deve provvedere a riduzioni di crediti, a transazioni, a compromessi, a rinunce alle liti, a ricognizioni di diritti di terzi, a cancellazione di ipoteche, a restituzione di pegni, a svincolo delle cauzioni, ad accettazione di eredità e donazioni e ad atti di straordinaria amministrazione;
⦁ per la concessione di un sussidio al fallito;
⦁ per il subentro del curatore in un contratto di appalto;
⦁ per l’autorizzazione alla realizzazione dei crediti garantiti da pegno o assistiti da privilegio;
⦁ per la continuazione dell’esercizio dell’impresa;
⦁ per la liquidazione dell’attivo;
⦁ per la formazione del progetto di ripartizione dell’attivo;
⦁ per l’esame delle proposte di concordato;
⦁ per l’autorizzazione all’esercizio dell’azione di responsabilità contro gli amministratori della società fallita.
Abbiamo visto che il comitato dei creditori ha pure una funzione di controllo. Infatti, il comitato o singoli suoi membri possono, di propria iniziativa, ispezionare le scritture contabili ed i documenti del fallimento, nonché chiedere notizie e chiarimenti. Essi hanno diritto di essere informati specificamente su tutte le vicende del procedimento.
A tale funzione può ricollegarsi la legittimazione a proporre reclamo contro gli atti del curatore e contro i decreti del giudice delegato, nonché a chiedere la revoca del curatore medesimo
Chi può chiedere
la dichiarazione di fallimento
Il creditore
che deve fornire la prova dello stato di insolvenza del debitore, il quale deve essere convocato dal Tribunale ed ascoltato, per dargli modo di contrastare il ricorso;
Lo stesso debitore
tenendo presente che spetta sempre al Tribunale accertare la esistenza oggettiva dello stato di insolvenza, essendo considerata insufficiente la semplice affermazione del debitore, che deve tra l’altro presentare le scritture contabili, il bilancio, lo stato patrimoniale e l’elenco dei creditori;
Il PM (pubblico ministero)
può proporre istanza di fallimento quando ravvisi un interesse generale di tutti i creditori e riesca a provarlo.
Inoltre, il P.M. deve proporre istanza di fallimento qualora, nel corso di un procedimento penale, risulti l’insolvenza dalla fuga o dalla latitanza dell’imprenditore, dalla chiusura dei locali dell’impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione dell’attivo;
Il giudice in un processo civile
se nel corso del giudizio risulta l’insolvenza di un imprenditore che sia parte nel giudizio stesso
Il curatore del fallimento di una società
può, infine, chiedere che venga esteso il fallimento stesso al socio occulto o di fatto.
Articolo 6
(della nuova legge fallimentare)
Iniziativa per la dichiarazione di fallimento
Il fallimento è dichiarato su ricorso del debitore, di uno o più creditori o su richiesta del pubblico ministero. Nel ricorso di cui al primo comma, l’istante può indicare il recapito telefax o l’indirizzo di posta elettronica presso cui dichiara di voler ricevere le comunicazioni e gli avvisi previsti dalla presente legge.
Effetti del fallimento
per il fallito
Ogni fallimento provoca una serie di conseguenze, più o meno gravi; vediamo dunque le più importanti, che riguardano appunto per primo chi fallisce:
⦁ il fallito viene privato dell'amministrazione e della disponibilità dei propri beni e questa è una incapacità relativa, che passano all’amministrazione del curatore. Lo spossessamento, tuttavia, non si estende a tutti i beni del fallito, rimanendone esclusi: i beni ed i diritti strettamente personali, gli assegni avente carattere alimentare, i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli minori e dai beni costituiti in dote o in patrimonio familiare, le cose non soggette a pignoramento (ai sensi dell’articolo 514 del codice di procedura civile);
⦁ qualsiasi atto legale compiuto dal fallito è inefficace di fronte ai creditori;
⦁ il fallito perde la legittimazione processuale (al suo posto starà in giudizio, in un eventuale processo, il curatore fallimentare);
⦁ il fallito ha l’obbligo della residenza e deve presentarsi al giudice delegato o al curatore o al comitato dei creditori, quando ne è richiesto;
⦁ il fallito non può più iniziare un'attività commerciale;
⦁ il Tribunale può revocare concessioni governative;
⦁ il fallito non può essere elettore e neppure eletto a cariche pubbliche;
⦁ deve sempre consegnare la propria corrispondenza al curatore, che trattiene quella riguardante gli interessi patrimoniali e conserva il segreto sull’altra;
⦁ non può esercitare né la tutela e né la curatela di inabilitati ed interdetti;
⦁ non può ricoprire cariche nella società per azioni;
⦁ non può essere nominato curatore di fallimento;
⦁ non può frequentare i locali della borsa valori;
⦁ viene abrogato il registro dei falliti;
⦁ la riabilitazione è concessa dal Tribunale su domanda dello stesso fallito o dei suoi eredi. Non è chiaramente possibile se il fallito abbia riportato una condanna penale per bancarotta o per altri reati fallimentari. Per ottenere la riabilitazione, bisogna aver dato prova effettiva e costante di buona condotta per almeno cinque anni dopo la chiusura del fallimento.
In caso di fallimento di un imprenditore collettivo, gli effetti personali, sopra delineati per l’ipotesi di imprenditore individuale, assumono aspetti particolari, e così, in caso di fallimento di società:
⦁ restano in carica gli organi sociali, che esercitano quei poteri che la legge concede al debitore fallito;
⦁ ugualmente si verifica la limitazione del segreto epistolare;
⦁ le limitazioni al diritto di locomozione e soggiorno si verificano nei confronti degli amministratori o dei liquidatori, nonché dei direttori generali;
⦁ non possono, naturalmente, verificarsi tutte le incapacità che colpiscono la persona fisica, tuttavia sono ipotizzabili alcune incapacità per le società, quale l’esclusione dagli appalti per le opere pubbliche.
Articolo 47
(della nuova legge fallimentare)
Alimenti al fallito e alla famiglia
Se la fallito vengono a mancare i mezzi di sussistenza, il giudice delegato, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, può concedergli un sussidio a titolo di alimenti per lui e per la famiglia.
La casa di proprietà del fallito, nei limiti in cui è necessaria all’abitazione di lui e della sua famiglia, non può essere distratta da tale uso fino alla liquidazione delle attività.
Effetto del fallimento
sui creditori
Anche i creditori, diretti interessati, non sono immuni da alcune conseguenze, che il fallimento produce; vediamole:
⦁ nessuno può iniziare azioni legali individuali contro il fallito, senza avvisare gli altri creditori, che devono operare assieme fra loro;
⦁ i debiti in denaro si considerano scaduti nel giorno della dichiarazione del fallimento e dal quel dì non producono più interessi;
⦁ parità di trattamento dei creditori chirografari.
⦁ il curatore può rinunciare all’acquisto dei beni che pervengono al fallito durante il fallimento, qualora i costi da sostenere per il loro acquisto e la loro conservazione risultino superiori al presumibile valore di realizzo dei beni stessi.
Effetti del fallimento
sui rapporti preesistenti
Viene prevista una regola generale, secondo la quale la decisione, in ordine alla sorte dei rapporti giuridici in corso di esecuzione alla data di apertura del fallimento, e quindi la scelta tra subingresso della procedura nel rapporto e scioglimento, sono rimesse alla decisione del curatore, previa autorizzazione da parte del comitato dei creditori e non più, come prima, del giudice delegato.
Quindi si dispone in sostanza che il contratto resti sospeso fino a quando il curatore abbia effettuato tale scelta, rimanendo fermo il principio che l’eventuale subingresso dovrà avvenire con l’assunzione in capo alla procedura di tutti gli obblighi relativi:
⦁ viene anche ampliato il termine assegnato al curatore per decidere se sciogliersi o meno dal vincolo contrattuale;
⦁ in relazione, infine, all’uso corrente di clausole contrattuali, che prevedono la risoluzione dei contratti in corso, a seguito dell’apertura di una procedura liquidatoria, si è ritenuto che dovesse essere privilegiato l’interesse della procedura ad operare la scelta tra subingresso e scioglimento, disponendosi così l’inefficacia di tali clausole.
Occorre ricordare che il fallimento non determina mai la risoluzione dei contratti in corso di esecuzione tra le parti, ma solo lo scioglimento del rapporto in determinati casi. Pertanto, in tali casi, la dichiarazione di fallimento non risolve il contratto con effetto retroattivo, ma ne fa soltanto cessare l’efficacia con effetto “ex nunc”, fermi restando gli effetti già conseguiti e l’efficacia già spiegata per il tempo anteriore all’intervento della causa di scioglimento (così la Corte di Cassazione con sentenza n. 1986 del 23/7/1964).
L’imprenditore defunto o
che ha cessato l’attività
Articolo 10
(della nuova legge fallimentare)
Fallimento dell’imprenditore che ha cessato l’esercizio dell’impresa
Gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo.
In caso di impresa individuale o di cancellazione di ufficio degli imprenditori collettivi, è fatta salva la facoltà di dimostrare il momento dell’effettiva cessazione dell’attività da cui decorre il termine del primo comma.
Articolo 11
(della nuova legge fallimentare)
Fallimento
L’imprenditore defunto può essere dichiarato fallito quando ricorrono le condizioni stabilite nell’articolo precedente.
L’erede può chiedere il fallimento del defunto, purchè l’eredità non sia già confusa con il suo patrimonio; l’erede che chiede il fallimento del defunto non è soggetto agli obblighi di deposito di cui agli articoli 14 e 16, secondo comma, numero 3.
Con la dichiarazione di fallimento cessano di diritto gli effetti della separazione dei beni ottenuta dai creditori del defunto a norma del codice civile.
Nota
l’articolo 14 elenca i documenti che l’imprenditore, che chiede il proprio fallimento, deve depositare.Invece l’articolo 16, secondo comma, numero 3, stabilisce che il Tribunale, quando emette la sentenza di fallimento, ordina al fallito il deposito dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie, nonché dell’elenco dei creditori, entro tre giorni, se non è stato ancora eseguito a norma del citato articolo 14
Articolo 12
(della nuova legge fallimentare)
Morte del fallito
Se l’imprenditore muore dopo la dichiarazione di fallimento, la procedura prosegue nei confronti degli eredi, anche se hanno accettato con beneficio d’inventario.
Se ci sono più eredi, la procedura prosegue in confronto di quello che è designato come rappresentante. In mancanza di accordo nella designazione del rappresentante entro quindici giorni dalla morte del fallito, la designazione è fatta dal giudice delegato.
Nel caso previsto dall’art. 528 del c.c., la procedura prosegue in confronto del curatore dell’eredità giacente e nel caso previsto dall’art. 641 del c.c. nei confronti dell’amministratore nominato a norma dell’art. 642 dello stesso codice.
Nota
l’art. 528 del codice civile parla della nomina del curatore dell’eredità giacente. L’articolo 641 del codice civile dice che, qualora l’erede sia istituito sotto condizione sospensiva, finchè questa condizione non si verifica o non è certo che non si può più verificare, è dato all’eredità un amministratore. Infine, il successivo articolo 642 del codice civile parla delle persone a cui spetta per legge tale amministrazione.
Gli articoli 10 e 11 della legge fallimentare stabiliscono che, entro l’anno dalla morte o dal ritiro dal commercio, l’imprenditore può ugualmente essere dichiarato fallito quando il presupposto dell’insolvenza si è determinato durante l’esercizio dell’impresa. Da ciò deriva la necessità di fissare esattamente il momento in cui l’imprenditore si ritira dal commercio:
⦁ per l’impresa individuale occorre guardare alla chiusura dell’esercizio o alla cessazione dell’attività; importa conoscere, cioè, il momento in cui l’imprenditore non compie più atti di commercio;
⦁ per le società commerciali, la cessazione, invece, non coincide con l’inizio della fase di liquidazione, ma con l’estinzione della società, che, per le società di persone, coincide con la chiusura della liquidazione, e per le società di capitali, con la cancellazione dal registro delle società.
Svolgimento
della procedura fallimentare
1) apposizione dei sigilli su tutti i beni del fallito (meno gli oggetti strettamente personali del fallito stesso e delle persone della sua famiglia, nonché i mobili e l’arredamento indispensabile);
2) compilazione dell’inventario da parte del curatore, in presenza del fallito e del comitato dei creditori;
3) accertamento del passivo, con l’elenco dei creditori interessati, con la preparazione, da parte del giudice delegato, del così detto “stato passivo” (elenco definitivo, cioè, dei creditori riconosciuti e dei crediti ammessi);
4) vendita di tutti i beni (procedura di liquidazione) e ripartizione dell’attivo fra tutti i creditori;
5) chiusura del fallimento.
La conservazione del patrimonio
La prima fase, dunque, della procedura fallimentare è diretta all’approvazione ed alla conservazione del patrimonio del fallito.
Le attività caratteristiche di tale fase sono:
⦁ l’apposizione dei sigilli sui beni del fallito, eseguita dal giudice delegato, nonché la descrizione in un processo verbale di tutti quei beni per i quali non è possibile l’apposizione dei sigilli;
⦁ l’inventario dei beni, da effettuarsi a cura del curatore ed in presenza eventuale del fallito, previa rimozione dei sigilli e presa in consegna dei beni da parte del curatore stesso, ed ovviamente la funzione dell’inventario non è solo quella di individuare i beni del fallito, ma anche quella di farli prendere in consegna dal curatore;
⦁ l’adozione dei provvedimenti necessari ad evitare il deterioramento o la perdita dei beni, ivi compreso l’esercizio provvisorio dell’impresa:
L’amministrazione del patrimonio
Con la presa in consegna, il curatore subentra nell’amministrazione dei beni del fallito,
e pertanto:
⦁ può compiere liberamente tutti gli atti di ordinaria amministrazione. Il giudice delegato può impartire direttive, ma la loro inosservanza non comporta nullità o annullabilità degli atti, bensì soltanto la possibilità di revoca del curatore;
⦁ può compiere atti di straordinaria amministrazione solo a seguito di autorizzazione del giudice delegato o del Tribunale. La mancanza di autorizzazione rende l’atto annullabile ad istanza degli organi fallimentari.
L’accertamento del passivo
Tale fase serve ad individuare i creditori ammessi al concorso; ammessi, cioè, a partecipare, in ragione dei propri crediti ed alla pari, salvo le cause legittime di prelazione, al riparto dei beni del debitore.
Ha inizio con le domande di ammissione al passivo, che i creditori debbono presentare nel termine fissato dalla sentenza che dichiara il fallimento.
Sulla base delle domande, il giudice delegato predispone lo stato passivo del fallimento, ammettendo i singoli crediti con l’indicazione delle relative cause di prelazione riconosciute.
Se il giudice ritiene di non dover ammettere, in tutto od in parte, un credito, dovrà sommariamente indicare le ragioni; i crediti condizionati o quelli per i quali non è stata esibita la relativa documentazione giustificativa possono essere ammessi con riserva.
In tale fase si accerta pure se vi sono atti assoggettabili alla revocatoria fallimentare, in quanto la relativa azione deve essere promossa dal curatore prima della chiusura della verifica, previa la necessaria autorizzazione del giudice.
Il passivo così predisposto viene poi verificato nell’adunanza di verifica dei crediti, con la presenza del curatore e l’intervento del fallito; viene quindi definito dal giudice con decreto, che lo dichiara esecutivo e ne ordina il deposito in cancelleria.
Ai creditori non ammessi o ammessi con riserva, il curatore deve dare immediato avviso del deposito; entro 15 giorni tali creditori possono fare opposizione allo stato passivo.
Opposizioni allo stato passivo
Sono legittimati all’opposizione allo stato passivo reso esecutivo dal giudice:
⦁ i creditori non ammessi, o ammessi con riserva, o per i quali è stata esclusa una causa legittima di prelazione, per essere ammessi al passivo, o per vedersi riconoscere un diritto di prelazione che è stato escluso dal giudice delegato;
⦁ i creditori ammessi, per contestare i crediti ammessi con diritto di prelazione.
Le opposizioni aprono un vero e proprio giudizio di cognizione, nel quale giudice istruttore è lo stesso giudice delegato e che si conclude con sentenza provvisoriamente esecutiva, che va affissa alla porta esterna del Tribunale ed è impugnabile nei 15 giorni dalla comunicazione avanti la Corte di Appello, la cui sentenza è ulteriormente ricorribile in Cassazione.
Contro l’ammissione definitiva, in seguito cioè a decreto non opposto o a sentenza definitiva, è possibile il solo rimedio della revocazione, che va proposto con ricorso al giudice delegato, qualora, prima della chiusura del fallimento:
⦁ si scopra che l’ammissione di un credito o di una garanzia è stata determinata da falsità, dolo o errore essenziale di fatto;
⦁ si rinvengano documenti decisivi prima ignorati.
Le domande tardive
La definitività dello stato passivo non pregiudica i creditori che non abbiano proposto domanda di ammissione al passivo nei termini di legge; infatti possono presentare una domanda tardiva.
In tal caso, però, partecipano solamente alla ripartizione dell’eventuale residuo dopo il riparto fra i creditori intervenuti tempestivamente, salvo che abbiano un diritto di prelazione. Sulle domande tardive di ammissione pronuncia ugualmente il giudice delegato su parere del curatore.
Se il curatore non le contesta, il giudice le ammette; se invece il curatore le contesta, allora si apre un vero e proprio giudizio di cognizione, che prosegue normalmente e si conclude con la sentenza che decide sull’ammissibilità o meno del credito.
L’accertamento dell’attivo
Lo stato attivo del fallimento è costituito da tutti i beni del fallito e da quei beni che, per effetto della domanda di revocatoria, sono ritornati, ai soli fini della procedura fallimentare, nel patrimonio del fallito.
L’accertamento di tale stato avviene mediante la redazione dell’inventario e la presa in consegna dei beni inventariati da parte del curatore.
L’attivo diventa definitivo dopo che si sono esaurite le azioni revocatorie e le azioni di rivendica sui beni del fallito, proposte eventualmente dai terzi proprietari.
La liquidazione dell’attivo
Con la liquidazione dell’attivo, i beni del fallito vengono tramutati in denaro, per poter soddisfare i creditori. La liquidazione ha inizio dopo il decreto che rende esecutivo lo stato passivo, poiché è tale decreto che determina l’ammontare dei crediti da soddisfare e la misura della liquidazione.
senza l’approvazione di tale piano non è possibile procedere alla realizzazione dell’attivo, a meno che non lo si autorizzi a farlo, da parte del giudice delegato, dopo aver sentito il comitato dei creditori, ma solo quando dal ritardo si presume possa derivare pregiudizio all’interesse dei creditori.
Il programma di liquidazione obbligatorio deve essere effettuato entro 60 giorni dalla redazione dell’inventario e sottoposto all’approvazione del giudice delegato, dopo aver acquisito previamente il parere favorevole del comitato dei creditori. Il curatore sarà tenuto ad indicare, per ogni singola fattispecie operativa, le modalità ed i termini previsti per la realizzazione dell’attivo.
Dovrà inserire:
⦁ l’indicazione delle azioni risarcitorie verso gli amministratori, i sindaci, i liquidatori ed i terzi in genere, nonché le azioni recuperatorie o revocatorie da esercitare;
⦁ la possibilità di cessione unitaria dell’azienda, dei singoli rami, di beni o di rapporti giuridici individuali in blocco;
⦁ condizioni di vendita dei singoli cespiti.
Per i beni mobili
è il giudice che stabilisce le modalità di vendita, che si può fare o all’incanto, ed in questo caso l’asta è diretta dal giudice, oppure a trattativa privata, ed allora il giudice può farla eseguire dal curatore. Il giudice può anche disporre la vendita in massa di tutti i beni mobili, per motivi di necessità o anche di utilità.
Per i beni immobili
la vendita viene disposta con ordinanza, notificata, a cura del curatore, per estratto a tutti i creditori ammessi. La vendita di solito avviene all’incanto; ma il giudice delegato, su proposta del curatore e sentito il comitato dei creditori, può ordinare la vendita senza incanto: in tale caso il consenso dei creditori, ammessi con diritto di prelazione sugli immobili, è richiesto a pena di nullità.
Per la realizzazione dei crediti
si applicano le comuni norme del diritto civile. Il curatore, quindi, deve fare tutto il possibile per ottenere l’adempimento spontaneo, altrimenti dovrà agire in giudizio con l’autorizzazione scritta del giudice delegato. Nei giudizi che riguardano la contestazione dei crediti, il curatore agisce in sostituzione del fallito e pertanto è considerato parte e non terzo estraneo.
Il riparto finale
Effettuata la liquidazione, si provvede ad attribuire il ricavato ai singoli creditori. Le somme disponibili devono essere ripartite secondo il seguente ordine:
⦁ le spese incontrate nel corso della procedura ed i debiti contratti dal curatore per la procedura stessa hanno preferenza assoluta;
⦁ vanno poi soddisfatti i creditori privilegiati, secondo l’ordine previsto dal codice civile;
⦁ infine, si provvede a soddisfare i creditori chirografari.
Il curatore deve, periodicamente, a partire dalla data del decreto esecutivo dello stato passivo, redigere un prospetto delle attività esistenti nel fallimento, con un progetto di riparto delle attività stesse fra i vari creditori, accantonate le somme necessarie alla procedura.
Il giudice, sentito il comitato dei creditori, lo esamina e lo approva, eventualmente modificandolo, e ne ordina il deposito in cancelleria, disponendo che ne sia data comunicazione ai creditori, affinché gli stessi possano fare le loro osservazioni, dopodiché il giudice, scaduto il termine di legge, e sulla base delle eventuali osservazioni, stabilisce con decreto il piano di riparto e lo rende esecutivo.
Compiuta la liquidazione dell’attivo e prima del riparto finale, il curatore presenta al giudice delegato il conto della gestione.
Il giudice ne ordina il deposito in cancelleria e fissa l’udienza in cui ogni interessato può presentare le sue osservazioni.
Il fallito ed i creditori vengono naturalmente avvisati della fissazione di tale udienza. Se all’udienza stabilita non sorgono contestazioni e si raggiunge l’accordo, il giudice approva il conto; altrimenti rimette la controversia al Collegio, davanti al quale si svolge un normale giudizio di rendiconto, che si chiude con sentenza.
Approvato il conto e liquidato il compenso al curatore, il giudice delegato, sentite le proposte del curatore, ordina il riparto finale, che viene eseguito dal curatore medesimo.
Il fallimento si chiude
⦁ o quando sono stati venduti all'asta tutti i beni del fallito,
⦁ se non ci sono beni da vendere (si parla allora di “insussistenza di attivo”),
⦁ o per intervenuto accordo tra fallito e creditori,
⦁ o per rinuncia da parte dei creditori,
⦁ se nessun creditore si è presentato nel termine utile deciso dal tribunale,
⦁ se sono stati pagati tutti i debiti,
⦁ o per concordato fallimentare.
La chiusura del fallimento fa cessare gli effetti sul patrimonio del fallito ed i creditori, quindi, riacquistano la possibilità di esercitare le proprie azioni verso il debitore, per la parte non soddisfatta del loro credito, sia per il capitale che per gli interessi e gli organi del fallimento decadono dal loro incarico.
L’articolo 2043 del codice civile stabilisce, oltretutto, che il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.
ESDEBITAZIONE DEL FALLITO
Esdebitazione significa che, al termine del fallimento, l’imprenditore viene liberato dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali rimasti insoddisfatti.
Prima della riforma valeva la regola contraria e cioè i creditori, con la chiusura del fallimento, riacquistavano la libertà delle loro azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta dei loro crediti.
Non tutti i falliti, però, potranno beneficiare dell’esdebitazione, che in pratica è un beneficio, con lo scopo evidente di recuperare il più possibile l’attività economica dell’imprenditore sfortunato, in modo da consentirgli un nuovo inizio, non appena conclusa la procedura fallimentare.
Anzitutto:
⦁ potranno cancellare i propri debiti, alla chiusura del fallimento, solo gli imprenditori persone fisiche, mentre non ne potranno beneficiare le società;
⦁ l’esdebitazione, inoltre, non potrà essere concessa se i creditori concorsuali non saranno stati soddisfatti almeno in parte;
⦁ sarà ammesso, inoltre, alla liberazione dei debiti solo il fallito che abbia collaborato con gli organi della procedura, e che non abbia commesso determinati illeciti;
⦁ infine, il fallito non deve aver ottenuto altra esdebitazione nei dieci anni precedenti.
Occorre precisare che alcune categorie di debiti vengono escluse dalla esdebitazione. Si tratta dei debiti derivanti da obblighi di mantenimento ed alimentari, e comunque derivanti da rapporti non compresi nel fallimento, ed i debiti per il risarcimento dei danni da fatto illecito extra contrattuale, nonché le sanzioni penali ed amministrative di natura pecuniaria.
Articolo 142
(della nuova legge fallimentare)
Esdebitazione
Il fallito persona fisica è ammesso al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti a condizione che:
⦁ abbia cooperato con gli organi della procedura, fornendo tutte le informazioni e la documentazione utile all’accertamento del passivo e adoperandosi per il proficuo svolgimento delle operazioni;
⦁ non abbia in alcun modo ritardato o contribuito a ritardare lo svolgimento della procedura;
⦁ non abbia violato le disposizioni di cui all’articolo 48;
⦁ non abbia beneficiato di altra esdebitazione nei dieci anni precedenti la richiesta;
⦁ non abbia distratto l’attivo o esposto passività insussistenti, cagionato o aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito;
⦁ non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, e altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa, salvo che per tali reati sia intervenuta la riabilitazione. Se è in corso il procedimento penale per uno di tali reati, il tribunale sospende il procedimento fino all’esito di quello penale.
L’esdebitazione non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali. Restano esclusi dall’esdebitazione:
⦁ gli obblighi di mantenimento e alimentari e comunque le obbligazioni derivanti da rapporti non compresi nel fallimento ai sensi dell’articolo 46;
⦁ i debiti per il risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale nonché le sanzioni penali e amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti.
Sono salvi i diritti vantati dai creditori nei confronti di coobbligati, dei fideiussori del debitore e degli obbligati in via di regresso.
Nota
l’articolo 48 citato stabilisce che:
“l’imprenditore del quale sia stato dichiarato il fallimento, nonché gli amministratori o i liquidatori di società o enti soggetti alla procedura di fallimento sono tenuti a consegnare al curatore la propria corrispondenza di ogni genere, inclusa quella elettronica, riguardante i rapporti compresi nel fallimento”.
Il citato articolo 46, invece, elenca i beni non compresi nel fallimento, quali ad esempio beni e diritti di natura strettamente personale, assegni aventi carattere alimentare, stipendi, pensioni, salari e ciò che il fallito guadagna con la sua attività entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia, eccetera.
Riapertura del fallimento
E’ possibile, con sentenza del Tribunale, su istanza (cioè su richiesta) del fallito o di qualunque creditore, quando si verificano le seguenti condizioni:
⦁ il fallimento sia stato chiuso per insufficienza di attivo o per ripartizione dell’attivo,
⦁ non siano trascorsi più di cinque anni dalla chiusura del fallimento,
⦁ nel patrimonio del fallito esistano attività di entità tale da rendere utile il provvedimento,
⦁ il fallito offra garanzia di pagare almeno il 10 % ai creditori vecchi e nuovi.
Il fallimento viene pure riaperto nel caso di risoluzione o annullamento del concordato fallimentare. Con la riapertura del fallimento, gli organi fallimentari riprendono le loro funzioni ed il fallito viene nuovamente privato dei propri beni; inoltre, i nuovi creditori, ammessi al passivo dal giudice delegato, concorrono alle eventuali ripartizioni dell’attivo assieme ai creditori di prima.
AZIONE
REVOCATORIA FALLIMENTARE
E’ l'annullamento automatico di determinati atti, compiuti prima del fallimento, perché la legge presume che siano stati fatti intenzionalmente per frodare i creditori.
Per tutti i normali pagamenti di debiti, occorre la dimostrazione che sono stati eseguiti deliberatamente, per far sparire più denaro possibile e danneggiare, quindi, gli altri creditori.
Anche i pagamenti compiuti dal coniuge del fallito nei cinque anni prima del fallimento si considerano sospetti (fenomeno chiamato, con una denominazione, tramandataci dall’antico diritto romano: "presunzione muciana ").
Con il decreto legge 14 marzo 2005, convertito nella legge 14 maggio 2005 nr. 80, è stato riscritto l’articolo 67 della legge fallimentare, a proposito della revocatoria. Con la nuova disposizione si è cercato di fare maggiore chiarezza, fornendo pure una indicazione delle fattispecie esenti. Vediamo dunque il contenuto del nuovo testo, che recita in questo modo:
Sono revocati, salvo che l’altra parte provi che non conosceva lo stato di insolvenza del debitore:
⦁ gli atti a titolo oneroso, compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso;
⦁ gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con denaro o con altri mezzi normali di pagamento, se compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento;
⦁ i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie, costituiti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, per i debiti preesistenti non scaduti;
⦁ i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie, costituiti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento, per debiti scaduti. Sono altresì revocati, se il curatore prova che l’altra parte conosceva lo stato di insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento.
Non sono soggetti all’azione revocatoria:
⦁ i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività di impresa nei termini d’uso;
⦁ le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purchè non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca;
⦁ le vendite a giusto prezzo di immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente e dei suoi parenti ed affini entro il terzo grado;
⦁ gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore, purchè posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia attestata ai sensi dell’art. 2501/bis, quarto comma, del codice civile;
⦁ gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata, nonché dell’accordo omologato ai sensi dell’art. 182/bis;
⦁ i pagamenti di corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuati da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito;
⦁ i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla scadenza, per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso di procedure concorsuali di amministrazione controllata e di concordato preventivo. Le disposizioni di questo articolo non si applicano all’Istituto di emissione, alle operazioni di credito su pegno e di credito fondiario; sono salve le disposizioni delle leggi speciali:”
Nota
è da tenere presente che la nuova disposizione si applica alle procedure concorsuali aperte dopo il 17 marzo 2005.
Balzano subito agli occhi, quindi, le novità più importanti della riforma, che sono la riduzione del tempo del periodo sospetto ed il lungo elenco degli atti esclusi dall’azione revocatoria. Molto importante, per ovvii motivi sociali, è anche la novità della esclusione dalla revocatoria delle vendite a giusto prezzo di immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti od affini entro il terzo grado.
NORMATIVA PENALE
Reati commessi dal fallito
(regio decreto 16/3/1942 n° 267)
Delitto di “bancarotta fraudolenta”
(articolo 216 della legge fallimentare)
E’ punito con la reclusione da 3 a 10 anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore che:
⦁ ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato, in tutto od in parte, i suoi beni, ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;
⦁ ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto od in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.
La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti previsti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.
E’ punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.
Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo, importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.
Nota
dal quotidiano "Il Sole 24 Ore" del 22/12/2000 n. 343.
La bancarotta fraudolenta "travolge" anche il commercialista che ha omesso il controllo. Esiste concorso di reato per il professionista che, su incarico dell’amministratore di una società, rediga una contabilità non veritiera.
Una simile omissione di controllo, infatti, implica l’accettazione del rischio che le annotazioni contabili richieste possano mascherare operazioni penalmente illecite ed è sufficiente a configurare l'elemento psicologico del reato previsto dalla legge fallimentare.
Lo ha stabilito la cassazione penale, con la sentenza n. 13115 della quinta sezione, depositata il 18 dicembre 2000, rigettando il ricorso di un commercialista pugliese.
Quest'ultimo era stato riconosciuto responsabile, in primo grado, di non aver verificato l’esattezza dei dati forniti dai clienti, ai fini delle necessarie annotazioni nelle scritture contabili e della successiva redazione del bilancio fallimentare.
La sua difesa puntava sul fatto che l'omissione di controllo non è una circostanza idonea a rilevare l'elemento psicologico del delitto di bancarotta fraudolenta e che, nell’ordinamento, manca una norma positiva che imponga al professionista di verificare la rispondenza al vero degli elementi riportati nelle scritture.
Nessuna delle due tesi ha convinto i giudici di legittimità che, anzi, hanno colto l'occasione per motivare l'indirizzo.
In primo luogo, si sono soffermati sulla natura del dolo necessario alla configurabilità del reato previsto dall'articolo 223 della legge fallimentare.
Il dolo è specifico, hanno ribadito, e consiste nella fraudolenta esposizione di fatti non corrispondenti al vero, con la volontà di indurre i soci o i terzi in errore sull’effettiva situazione patrimoniale della società, allo scopo di procurare un ingiusto profitto a sé o ad altri.
Perciò, ad avviso della Cassazione, perché sia integrato l'elemento psicologico del reato, non è necessario il proposito di cagionare un danno, ma basta la semplice previsione del suo verificarsi.
E così, nel caso in esame, sia la conoscenza, da parte del commercialista, della dichiarazione di fallimento, che lo svolgimento del mandato sulla base di mere indicazioni, costituiscono elementi sufficienti a configurare il necessario profilo psicologico, se non altro in chiave di pura previsione o prevedibilità del carattere illecito o fraudolento delle annotazioni che gli erano state richieste.
Infine, secondo la corte, non è vero che nell’ordinamento manca la norma impositiva dell'obbligo di controllo a carico del professionista.
A parte il rispetto della deontologia professionale, per i giudici, il dovere di controllo scaturisce dall’applicazione delle norme del codice penale in tema di concorso di persone nel reato (articoli 110 e 117 del codice penale).
Delitto di “bancarotta semplice”
(articolo 217 della legge fallimentare)
E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore che, fuori dei casi previsti nell’articolo precedente:
⦁ ha fatto spese personali, o per la famiglia, eccessive rispetto alla sua condizione economica,
⦁ ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti,
⦁ ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento,
⦁ ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa,
⦁ non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare.
La stessa pena si applica al fallito che, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento ovvero dall'inizio dell'impresa, se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta.
Salvo le altre pene accessorie di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna importa l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a due anni .
Ricorso abusivo al credito
(articolo 218 della legge fallimentare)
Salvo che il fatto costituisca un reato più grave, è punito con la reclusione fino a due anni l'imprenditore esercente un'attività commerciale che ricorre o continua a ricorrere al credito, dissimulando il proprio dissesto.
Salve le altre pene accessorie di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna importa l'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a tre anni .
Nota
Il codice penale, poi, agli articoli 223 e seguenti della legge fallimentare citata (regio decreto 16/3/1942 n. 267) prevede i reati commessi da persone diverse dal fallito e le relative pene (amministratori, direttori generali, sindaci, liquidatori, curatore, coadiutori del curatore, pubblici ufficiali, creditori ed altri).
Altri reati del fallito
(articolo 220 della legge fallimentare)
- l’omessa dichiarazione di beni da comprendere nell’inventario;
- la denuncia di creditori inesistenti;
- l’inottemperanza all’ordine di presentare, nelle 24 ore dalla sentenza dichiarativa, il bilancio e le scritture contabili;
- l’inottemperanza all’ordine di presentarsi al giudice delegato, al curatore o al comitato dei creditori;
- l’allontanamento, senza permesso, dalla residenza.
La pena prevista è della reclusione da sei a diciotto mesi; se il fatto, invece, è avvenuto per colpa, si applica la reclusione fino ad un anno.
Reati commessi dal curatore
Oltre ai reati che il curatore, come pubblico ufficiale, può commettere secondo le norme comuni (peculato, corruzione, abuso d’ufficio), la legge fallimentare prevede alcune ipotesi speciali di reato che possono essere commessi dallo stesso:
Interesse privato del curatore negli atti del fallimento
il curatore che persegue interesse privato in un qualunque atto del fallimento, direttamente o per interposta persona o con atti simulati, è punito, salvo che nel fatto non sia configurabile uno dei reati di cui agli articoli 315 a 321 del codice penale, con la reclusione da due a sei anni e con la multa. La condanna importa l’interdizione dai pubblici uffici.
Accettazione di retribuzione non dovuta
il curatore che riceve o pattuisce una retribuzione, in denaro o in altra utilità, in aggiunta a quella che gli spetta, è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa; nei casi più gravi può aggiungersi l’inabilitazione temporanea all’ufficio di amministratore per la durata non inferiore a due anni.
Omessa consegna o deposito di cose del fallimento
il curatore che non ottempera all’obbligo impostogli dal giudice di consegnare o depositare somme o altra cosa del fallimento, che detiene a causa del suo ufficio, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa; se il fatto avviene per colpa, la reclusione è fino a sei mesi, più una multa.
Reati commessi dai creditori
Rispetto ai creditori, la legge fallimentare considera come reato, oltre all’ipotesi di concorso nel reato di bancarotta, anche:
⦁ la presentazione di domanda di ammissione, anche per interposta persona, di un credito fraudolentemente simulato;
⦁ la sottrazione, distrazione, ricettazione o dissimulazione di beni del fallito, avvenute dopo la dichiarazione di fallimento;
⦁ la distrazione, la ricettazione e l’acquisto a prezzo notevolmente inferiore a quello corrente dei beni del fallito, compiuti antecedentemente alla dichiarazione di fallimento, ma con la consapevolezza dello stato di dissesto;
⦁ il cosiddetto mercato di voto, cioè la stipulazione di un vantaggio a proprio favore per dare il voto in un determinato senso nel concordato o nelle deliberazioni del comitato dei creditori.
IL CONCORDATO FALLIMENTARE
Il concordato fallimentare è una forma particolare di chiusura del fallimento, con la quale si realizza la soddisfazione paritaria dei creditori, senza ricorrere alla fase della liquidazione dell’attivo.
Con la riforma del fallimento, la proposta di concordato può essere presentata da uno o più creditori o da un terzo, anche prima del decreto che rende esecutivo lo stato passivo, purchè i dati contabili e le altre notizie disponibili consentano al curatore di predisporre un elenco provvisorio dei creditori del fallito da sottoporre all’approvazione del giudice.
La proposta di concordato fallimentare può prevedere che i creditori muniti di diritto di prelazione non siano soddisfatti integralmente, purchè il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato di vendita, avuto riguardo al valore di mercato indicato da una perizia giurata di un esperto o di un revisore contabile o una società di revisione designati dal Tribunale.
E’ un accordo tra il fallito ed i suoi creditori, fin che la procedura fallimentare è in corso, per far chiudere il fallimento prima del tempo (cioè prima che tutti i beni sequestrati vadano venduti all’asta).
Il fallito, cioè, cerca in questo modo di salvare il salvabile ed i creditori ritengono, dopo aver fatto una attenta valutazione, che sia più conveniente per loro, sia pur rinunciando ad una parte dei loro diritti (in sostanza che sia meglio “un uovo sicuro oggi, che un gallina incerta domani”).
Il concordato fallimentare si attua in questo modo:
⦁ il fallito presenta al giudice delegato la domanda di concordato, nella quale indica la percentuale offerta ai creditori, secondo i criteri fissati dal nuovo articolo 124 della legge fallimentare. La nuova disciplina prevede la possibilità che i creditori privilegiati non siano interamente pagati, purchè il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile sul ricavato dei beni in garanzia (e tale disposizione sembra applicabile, per analogia, anche al concordato preventivo);
⦁ la proposta di concordato fallimentare presentata, invece, da un terzo può prevedere anche la cessione delle azioni revocatorie. In base alla nuova disciplina, il terzo può limitare gli impegni concordatari ai soli creditori ammessi al passivo, anche provvisoriamente, ed a quelli che hanno proposto opposizione o insinuazione tardiva (in tal caso, verso gli altri creditori, che non hanno fatto valere alcuna pretesa in sede concorsuale, continua a rispondere il fallito, salvo quanto disposto in caso di esdebitazione);
⦁ il giudice sente il parere del curatore e del comitato dei creditori e ordina che vengano avvisati tutti i creditori con lettera raccomandata. Se la proposta di concordato prevede, invece, condizioni differenziate per singoli creditori, dovrà essere sottoposta al giudizio del Tribunale, che dovrà verificare il corretto utilizzo della divisione in classi e della previsione di trattamenti differenziati;
⦁ per l’approvazione occorre il voto favorevole della maggioranza dei crediti ammessi al voto, oppure, quando vi sono classi di creditori, della maggioranza dei crediti di ciascuna classe. Il silenzio del creditore, poi, vale come assenso. Alla votazione possono partecipare i creditori privilegiati, a patto che rinuncino alla prelazione. Il Tribunale può omologare il concordato fallimentare anche in presenza del dissenso di una o più classi di creditori, a condizione che sia favorevole la maggioranza dei creditori e la maggioranza delle classi e che il Tribunale ritenga che la soddisfazione proposta ai dissenzienti non sia inferiore rispetto alle alternative in concreto praticabili.
Il concordato fallimentare, dunque, nasce come strumento proposto dai creditori o da un terzo, e solo in via residuale dal fallito, che può presentare una proposta solo sei mesi dopo la dichiarazione di fallimento, allo scopo evidente di evitare usi strumentali dell’insolvenza, e comunque non oltre due anni dal decreto di esecutività dello stato passivo. Occorre ricordare, infine, che, in caso di inadempimento, il concordato fallimentare può essere risolto su istanza del curatore, o del comitato dei creditori, o di ciascun creditore, o d’ufficio.
LA RIFORMA DEL
CONCORDATO PREVENTIVO
Il nuovo articolo 160 della legge fallimentare prevede ora che l’imprenditore in crisi può proporre ai creditori un concordato preventivo, presentando un apposito piano con proposte che prevedano:
⦁ la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche cedendo beni, o ricorrendo all’accollo, o ad altre operazioni particolari (come ad esempio la consegna ai creditori, o a loro società, di azioni, quote, obbligazioni, o altri titoli);
⦁ la attribuzione di attività delle imprese, interessate dalla proposta di concordato, ad un assuntore, che può benissimo essere anche il creditore o i creditori;
⦁ la divisione dei creditori secondo la loro posizione ed interessi economici simili, e quindi il diverso modo di trattarli;
Nota
Occorre tenere presente anche che l’articolo 35 del decreto legge 273/2005, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 303 del 30 dicembre 2005 e già quindi in vigore, modifica in parte l’articolo 160 della legge fallimentare, che detta le condizioni per l’ammissione al concordato preventivo, che apre dunque le porte alle imprese insolventi, in quanto la proposta di concordato può ora essere presentata tanto dall’imprenditore in stato di crisi, quanto da quello insolvente.
Articolo 160
(della nuova legge fallimentare)
Condizioni per l’ammissione alla procedura
L’imprenditore che si trova in stato di crisi può proporre ai creditori un concordato preventivo sulla base di un piano che può prevedere:
⦁ la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie, ivi compresa l’attribuzione ai creditori, nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito;
⦁ l’attribuzione delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato a un assuntore; possono costituirsi come assuntori anche i creditori o società da questi partecipate o da costituire nel corso della procedura, le azioni delle quali siano destinate a essere attribuite ai creditori per effetto del concordato;
⦁ la suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei;
⦁ trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse.
La gestione del concordato diventa così, ora, più semplice e più snella rispetto al passato.
Non è più richiesta, fra l’altro, la iscrizione al Registro delle Imprese da almeno due anni, o comunque dall’inizio dell’attività, se la durata risulta minore; come non sono più richieste né la tenuta di una regolare contabilità in questo periodo e neppure il non aver avuto procedure concorsuali nei cinque anni precedenti o condanne per bancarotta o reati contro l’economia pubblica.
Non viene nemmeno più richiesto che il debitore offra il pagamento integrale ai creditori privilegiati ed almeno il 40 % a quelli chirografari, come invece avveniva prima della riforma.
La domanda per la ammissione alla procedura di concordato preventivo deve essere proposta dal debitore al Tribunale del luogo in cui l’impresa ha la propria sede principale, allegando al ricorso la documentazione prevista.
Il Tribunale, dopo aver verificato che i documenti presentati siano completi e regolari, dichiara aperta la procedura di concordato preventivo, delega un giudice a seguire tutte le fasi del concordato stesso, convoca entro 30 giorni i creditori, nomina un commissario giudiziale, e stabilisce un termine non superiore a 15 giorni entro il quale il debitore deve depositare nella cancelleria del Tribunale la somma che si presume necessaria per l’intera procedura.
Se non viene eseguito tale deposito in tempo utile, il commissario dovrà per forza chiedere la dichiarazione di fallimento.
Il concordato è approvato se riporta il voto favorevole dei creditori, che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Nel caso in cui siano previste diverse classi di creditori, il concordato è approvato se riporta il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto nella classe medesima.
Non si parla quindi più, come prima della riforma, di maggioranza di due terzi, ma di maggioranza semplice. Infine, i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, non hanno diritto al voto se non rinunciano al diritto di prelazione; e comunque tale rinuncia ha effetto ai soli fini del concordato preventivo.
La procedura di concordato preventivo si chiude con il decreto di omologazione, che deve intervenire nel termine di sei mesi dalla presentazione del ricorso; e tale termine, poi, può essere prorogato per una sola volta di sessanta giorni dal Tribunale.
L’articolo 182/bis, infine, della legge fallimentare regola gli accordi di ristrutturazione dei debiti con i vari creditori, che rappresentino comunque insieme almeno il sessanta per cento del totale dei crediti. Si tratta in sostanza di accordi stragiudiziali per cercare di evitare l’aggravamento dello stato di crisi, o addirittura per scongiurare il fallimento.
Tali accordi vengono poi pubblicati nel registro delle imprese, per consentire ai creditori e a chiunque altro interessato di poter proporre opposizione entro trenta giorni dalla pubblicazione. Sarà poi il Tribunale a decidere, con decreto motivato, sulle eventuali opposizioni, procedendo all’omologazione in Camera di consiglio. Il decreto del Tribunale è reclamabile presso la Corte di Appello entro quindici giorni dalla sua pubblicazione nel registro delle imprese.
Le transazioni fiscali nel concordato preventivo ordinario
Con il piano di cui all’articolo 160, il debitore può proporre il pagamento, anche parziale, dei tributi amministrati dalle agenzie fiscali e dei relativi accessori, limitatamente alla quota di debito avente natura chirografaria, anche se non iscritti a ruolo, ad eccezione dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea.
LA LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA
Articolo 2
(della nuova legge fallimentare)
Liquidazione coatta amministrativa e fallimento
La legge determina le imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa, i casi per i quali la liquidazione coatta amministrativa può essere disposta e l’autorità competente a disporla.
Le imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa non sono soggette al fallimento, salvo che la legge diversamente disponga.
Nel caso in cui la legge ammette la procedura di liquidazione coatta amministrativa e quella di fallimento, si osservano le disposizioni dell’articolo 196.
Articolo 3
(della nuova legge fallimentare)
Liquidazione coatta amministrativa, concordato preventivo
Se la legge non dispone diversamente, le imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa possono essere ammesse alla procedura di concordato preventivo, osservate per le imprese escluse dal fallimento le norme del settimo comma dell’articolo 195.
La liquidazione coatta amministrativa è una procedura concorsuale attuata dalla Pubblica Amministrazione, e non dalla giustizia ordinaria. Tale provvedimento è impugnabile davanti all’autorità giurisdizionale amministrativa.
Si applica:
⦁ alle imprese di assicurazione in genere contro i danni e sulla vita, nonché alle imprese di capitalizzazione e gestione fiduciaria (D.P.R. 13/2/1959 n.449);
⦁ alle imprese di credito (legge 7/3/1938 n.141);
⦁ alle società cooperative (art. 2544 del codice civile);
⦁ ai consorzi di cooperative ammessi ai pubblici appalti ed alle associazioni di cooperative erette in enti morali (R.D.L. 13/8/1926 n.1554);
⦁ agli istituti per le case popolari (R.D. 28/4/1938 n.1165);
⦁ ai consorzi obbligatori (art. 2619 del codice civile);
⦁ ai monti di pietà ed alle casse di risparmio (legge 10/5/1938 n.745 e T.U. 25/4/1929 n.967);
⦁ alle società controllate dall’I.R.I. (R.D. 15/6/1933 n. 859);
⦁ alle società per azioni debitrici dello Stato per un ammontare superiore al quadruplo del capitale sociale (R.D. 17/1/1935 n.2);
⦁ alle società fiduciarie e di revisione (legge 1/8/1986 n.430).
La procedura inizia con la dichiarazione dello stato di insolvenza dell’impresa da parte del Tribunale, e con la pubblicazione sulla “gazzetta ufficiale” dello Stato. Ma attenzione, che mentre per il fallimento l’unico presupposto oggettivo è lo stato di insolvenza, per la liquidazione coatta amministrativa possono essere previsti anche altri elementi, quali ad esempio:
⦁ violazioni di norme o di atti amministrativi che comportino irregolare funzionamento dell’impresa;
⦁ motivi di pubblico interesse che, a giudizio insindacabile della Pubblica Autorità, impongano la soppressione dell’ente.
Viene, quindi, nominato un commissario liquidatore ed un comitato di sorveglianza (da tre a cinque specialisti del ramo). Il commissario, quindi:
⦁ forma l’elenco dei creditori ammessi,
⦁ liquida l’attivo,
⦁ riparte il ricavato dell’attivo fra i creditori,
⦁ dichiara chiusa la procedura.
Regola generale è che la liquidazione coatta amministrativa esclude il fallimento. Vi sono, tuttavia, imprese per le quali le varie leggi speciali prevedono anche la possibilità, accanto alla liquidazione coatta, del fallimento; in tal caso vale il cosiddetto principio di prevenzione, e cioè la regola che fra i due istituti prevale quello che sia stato richiesto per primo. L’apertura della liquidazione coatta preclude quindi la dichiarazione di fallimento, e questa preclude la prima.
Articolo 196
(della nuova legge fallimentare)
Concorso fra fallimento e liquidazione coatta amministrativa
Per le imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa, per le quali la legge non esclude la procedura fallimentare, la dichiarazione di fallimento preclude la liquidazione coatta amministrativa e il provvedimento di liquidazione coatta amministrativa preclude la dichiarazione di fallimento.
AMMINISTRAZIONE CONTROLLATA
L’amministrazione controllata, pur condividendo con il concordato preventivo i presupposti soggettivi atti a dimostrare che l’imprenditore è meritevole di aiuto, ha come scopo principale il risanamento dell’impresa e non quello della liquidazione del patrimonio del debitore e del conseguente soddisfacimento dei creditori.
La condizione, quindi, che la legge richiede per l’ammissione all’amministrazione controllata non è uno stato di insolvenza, ma una difficoltà momentanea, che si possa oggettivamente sperare di risanare.
Per quanto riguarda, pertanto, l’amministrazione controllata, la procedura risulta semplificata ed è regolata nel titolo IV della nuova legge fallimentare e precisamente dagli articoli:
⦁ 187: domanda di ammissione alla procedura;
⦁ 188: ammissione alla procedura,
⦁ 189: adunanza dei creditori,
⦁ 190: provvedimenti del giudice delegato,
⦁ 191: poteri di gestione del commissario giudiziale,
⦁ 192: relazioni dell’amministrazione e revoca dell’amministrazione controllata,
⦁ 193: fine dell’amministrazione controllata.
Articolo 187
(della nuova legge fallimentare)
Domanda di ammissione alla procedura
l’imprenditore che si trova in temporanea difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, se ricorrono le condizioni previste dai numeri 1, 2 e 3 del primo comma dell’articolo 160 (vedi a pagina…..) e vi siano comprovate possibilità di risanare l’impresa, può chiedere al tribunale il controllo della gestione della sua impresa e dell’amministrazione dei suoi beni a tutela degli interessi dei creditori per un periodo non superiore a due anni. La domanda si propone nelle forme stabilite dall’articolo 161.
legge n. 445 del 13/8/1980
legge n. 119 del 31/3/1982
AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA
DELLE GRANDI IMPRESE IN CRISI
L’amministrazione straordinaria ha come finalità principale la conservazione in vita dell’impresa in crisi e, se possibile, il suo risanamento.
Riguarda, infatti, imprese che hanno un elevato numero di dipendenti ed il cui fallimento avrebbe effetti sociali molto pesanti.
Quindi, qui assume molta importanza, non solo la difesa degli interessi dei creditori, ma soprattutto la conservazione dei posti di lavoro ed il risanamento di attività commerciali o industriali, ancora in grado di fornire alla collettività beni e servizi. L’amministrazione straordinaria è un procedimento essenzialmente di natura amministrativa. L’intervento, infatti, dell’autorità giudiziaria è limitato ad alcuni momenti (ad esempio l’accertamento dell’insolvenza o l’esame di eventuali contestazioni).
Lo svolgimento della procedura avviene, infatti, sotto il controllo del ministro dell’industria e di uno o più commissari nominati dallo stesso; deve essere autorizzata dal Ministro dell’industria, su conforme parere del C.I.P.I. (comitato interministeriale per il coordinamento della politica industriale), fino quando non sia intervenuta tale esecutività, il commissario può compiere atti eccedenti l’ordinaria amministrazione soltanto dietro specifica autorizzazione addirittura del C.I.P.I..
Gli organi preposti all’amministrazione straordinaria sono:
il commissario, che è un organo individuale o collettivo cui spetta anzitutto il fondamentale compito di redigere un programma. Tale programma può anche contenere un piano di risanamento, che specifichi gli impianti da riattivare e da completare, quelli da trasferire, nonché gli eventuali nuovi assetti imprenditoriali. Sia il programma che il piano non sono soggetti all’approvazione dei creditori.
Il comitato di sorveglianza, che è composto da tre a cinque membri, di cui devono far parte uno o due creditori chirografari, scelti tra persone esperte nel ramo di attività esercitato dall’impresa. Le funzioni ad esso attribuite sono, in linea di massima, quelle del comitato di sorveglianza nella liquidazione coatta. Particolare è il potere di indirizzare, eventualmente, all’autorità amministrativa richieste di revoca, totale o parziale, dell’autorizzazione a continuare l’esercizio dell’impresa.
L’autorità amministrativa di vigilanza, che è il Ministro dell’industria, commercio ed artigianato.
Il C.I.P.I. (Comitato interministeriale per il coordinamento della politica industriale)
al comitato in questione è demandata la formulazione di pareri obbligatori e vincolanti in materia di:
- autorizzazione all’attuazione del programma predisposto dal commissario;
- revoca del commissario stesso;
- proroga della continuazione dell’esercizio dell’impresa al di là del biennio, per cui provvede automaticamente l’autorità amministrativa;
- revoca della concessa continuazione dell’esercizio dell’impresa.
Il decreto che dispone l’amministrazione straordinaria determina, immediatamente, per il debitore:
⦁ la perdita dell’amministrazione e della disponibilità dei beni esistenti, con conseguente inefficacia di ogni atto o pagamento successivamente compiuto o ricevuto;
⦁ il venir meno della capacità processuale per ogni controversia relativa a rapporti di diritto patrimoniale dell’impresa;
⦁ la cessazione delle funzioni delle assemblee e degli organi di amministrazione e di controllo delle società.
Invece, l’effetto più importante nei confronti dei creditori è il divieto di azioni esecutive individuali.
La procedura potrà concludersi:
⦁ con il raggiungimento del fine, e cioè con la ristrutturazione dell’impresa;
⦁ con la ripartizione ai creditori delle somme ricavate;
⦁ con un concordato proposto dagli amministratori e deliberato dall’assemblea.
Nuova normativa per
il leasing, la locazione, l’affitto di azienda e la compravendita
IL LEASING
Nell’ambito del contratto di leasing, la normativa, ai sensi dell’articolo 72/quater della legge fallimentare, stabilisce che il fallimento dell’utilizzatore consente al curatore di scegliere tra subentro e scioglimento, in base alle regole generali.
Se è stato disposto l’esercizio provvisorio dell’impresa, il contratto continua, a meno che il curatore non manifesti la volontà di sciogliersi dallo stesso.
In caso di scioglimento, il bene concesso in leasing va restituito al concedente; questi sarà tenuto a versare alla curatela l’eventuale differenza tra la somma ottenuta dalla vendita del bene o da altra sua collocazione rispetto al credito residuo.
Il concedente ha invece facoltà di insinuarsi nello stato passivo per la differenza tra il credito vantato alla data del fallimento e quanto ricavato dall’allocazione del bene.
Se fallisce il concedente, il contratto di locazione finanziaria continua e l’utilizzatore mantiene la facoltà di acquistare il bene alla scadenza prevista, secondo le modalità pattuite.
LA LOCAZIONE
Il fallimento del locatore non determina lo scioglimento del contratto, per cui il curatore subentra nello stesso.
Se fallisce, invece, il conduttore, il curatore può in qualunque momento recedere dal contratto, corrispondendo un equo indennizzo che, in caso di dissenso tra le parti, viene determinato dal giudice delegato. Il credito per l’indennizzo è inserito tra quelli prededucibili ed è regolato dall’articolo 111 n.1 della legge fallimentare e dall’articolo 2764 del codice civile.
L’AFFITTO DELL’AZIENDA
L’articolo 80/bis della legge fallimentare, di nuova introduzione, reca infine la disciplina del contratto di affitto di azienda, stabilendo che il fallimento non è causa di scioglimento dello stesso; entrambe le parti possono recedere entro 60 giorni, corrispondendo all’altra un equo indennizzo.
Qualora non vi sia accordo sull’ammontare, spetta al giudice delegato determinarlo, sentiti gli interessati.. L’indennizzo corrisposto dalla curatela è trattato come credito prededucibile.
LA COMPRAVENDITA
Molto spazio è dedicato ai contratti preliminari di compravendita immobiliare. Se l’immobile è già passato in proprietà del compratore, il contratto non si scioglie.
Se la proprietà non è passata, invece, il curatore può decidere di sciogliersi dal contratto, nel qual caso l’acquirente ha il diritto di insinuare al passivo privilegiato, ai sensi dell’articolo 2775/bis del codice civile, il proprio credito per gli acconti versati, senza diritto al risarcimento del danno, a condizione che il contratto sia stato trascritto ex articolo 2645/bis del codice civile e che gli effetti della trascrizione, che durano tre anni, non siano cessati prima del fallimento.
Stesura del testo terminata nel giugno del 2006
Fonte: http://www.bruzz.net/diritto/Proc-concorsuali/le%20procedure%20concorsuali.doc
Sito web da visitare: http://www.bruzz.net
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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