Rapporti di famiglia

Rapporti di famiglia

 

 

 

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Rapporti di famiglia

 

I RAPPORTI DI FAMIGLIA

 

TRASFORMAZIONI SOCIALI E RIFORMA DEL DIRITTO DI FAMIGLIA

 

501  La famiglia e la riforma

 

Il c.c. non definisce la famiglia e l’art.29 della Costituzione proclama che la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale.
Con il processo di industrializzazione e la conseguente concentrazione dei luoghi di lavoro all’esterno delle famiglie, si è avviato il processo di disgregazione della famiglia antica, sul piano della composizione numerica, della contrazione dei poteri del capo famiglia, della riduzione delle funzioni svolte all’interno della famiglia.
Con la Legge 19/05/75 n°151, tutto il vecchio diritto di famiglia ha subìto una profonda opera di riforma.
La legge, infatti, ha provveduto a sostituire con nuovi testi numerosi articoli del c.c..
Le principali novità riguardano:

  1. l’innalzamento dell’età per contrarre matrimonio;
  2. profonde modifiche alle cause di invalidità delle nozze;
  3. l’integrale parificazione dei coniugi nel governo della famiglia e sulla potestà dei figli;
  4. l’abolizione della separazione personale dei coniugi “per colpa”;
  5. l’introduzione della comunione degli acquisti;
  6. il divieto di costituzione di beni in “dote”;
  7. l’attribuzione dell’azione di disconoscimento di paternità pure alla madre e al figlio;
  8. la riconoscibilità dei figli naturali procreati in costanza di matrimonio (figli c.d. adulterini);
  9. l’ammissibilità di una illimitata ricerca giudiziale della paternità naturale;
  10. la sostanziale equiparazione della posizione dei figli naturali e dei figli legittimi;
  11. il profondo miglioramento dei diritti successori del coniuge superstite e dei figli naturali.

502  Famiglia legittima e famiglia di fatto

La famiglia legittima è quella fondata sul matrimonio (art.29 Carta costituzionale).
Anche i figli si dicono legittimi in quanto concepiti da genitori uniti in matrimonio (art.231 e ss. c.c.).
La famiglia di fatto è quella costituita da persone che, pur non essendo legate tra loro dal vincolo matrimoniale, convivono insieme agli eventuali figli nati dalla loro unione.
Il riconoscimento dei diritti della famiglia contenuto nell’art.29 Cost. si rivolge solo alla famiglia fondata sul matrimonio. 

        

MATRIMONIO: LA FORMAZIONE DL VINCOLO

 

IL MATRIMONIO CIVILE

 

  1. Nozioni generali

 

Il matrimonio è un istituto che assume rilievo sia dal punto di vista religioso che da quello dell’ordinamento giuridico dello Stato (c.d. matrimonio civile).
Per il diritto italiano il termine matrimonio è adoperato tanto per indicare l’atto (le nozze) mediante il quale viene fondata la società coniugale, quanto il rapporto che ne deriva per gli sposi.
Il rapporto che così si costituisce è il rapporto coniugale, che determina l’acquisizione automatica, per la prole, dello status di figli legittimi.
Fine essenziale del matrimonio civile è la costituzione di una comunione di vita spirituale e materiale tra i coniugi. Il matrimonio si limita a produrre delle conseguenze giuridiche, e cioè la costituzione di un vincolo tra gli sposi. Questo vincolo ha cessato fin dal 1970 di essere indissolubile, a seguito dell’introduzione del divorzio; esso, pertanto, rimane esclusivo (monogamico), indisponibile e di durata indeterminata.
La celebrazione dell’atto può aver luogo con due forme diverse: con la celebrazione davanti ad un ufficiale dello stato civile, oppure con la celebrazione davanti ad un ministro del culto cattolico, secondo le regole del diritto canonico, purchè seguita da trascrizione dell’atto nei registri dello stato civile.

La promessa di matrimonio

 

Il matrimonio è di solito preceduto dal fidanzamento. I fidanzati si promettono reciprocamente di celebrare il matrimonio, ma le parti sono libere fino al momento della perfezione del matrimonio.
Perciò la promessa non obbliga a contrarre il matrimonio né ad eseguire ciò che si fosse convenuto in caso di inadempimento.
Se la promessa è fatta per iscritto da un maggiorenne o da un minore ammesso a contrarre matrimonio a norma dell’art.84 c.c., il promittente, qualora senza giusto motivo ricusi successivamente di dare esecuzione alla promessa e di contrarre le nozze, è tenuto ai danni (qualora una delle parti abbia contratto delle spese ai fini del matrimonio). In ogni caso di rottura del fidanzamento, inoltre, può essere chiesta la restituzione dei doni fatti a causa della promessa di matrimonio.
Tali sono i c.d. regali d’uso tra fidanzati, di valore adeguato alle condizioni sociali ed economiche del donante.
La restituzione può essere chiesta a prescindere dai motivi della rottura del fidanzamento, e quindi ad essa è tenuto anche il promittente incolpevole.
L’azione per il risarcimento dei danni e quella per la restituzione dei doni sono soggette ad un breve termine di decadenza: un anno dal giorno del rifiuto di celebrare le nozze oppure, per la restituzione dei doni, da quello della morte di uno dei promittenti.

Capacità e impedimenti

 

Per contrarre matrimonio occorre per un verso che ciascuno dei nubendi abbia la piena capacità di sposarsi e per altro verso che non sussistano impedimenti relativi alla coppia.
Sotto il primo profilo sono necessari, per ciascuno degli sposi:
a) la libertà di stato: non può contrarre nuovo matrimonio chi è legato da vincolo di nozze precedenti;
b)l’età minima: per entrambi è necessaria la maggiore età;

  1. la capacità di intendere e di volere: non può contrarre matrimonio l’interdetto per infermità di mente o la persona che, sebbene non interdetta, sia incapace di intendere o di volere;

In particolare per la donna che sia già stata sposata è poi necessaria: e) non può contrarre nuove nozze se non dopo che siano trascorsi 300 gg. dallo scioglimento o dall’annullamento del precedente matrimonio concordatario, eccetto il caso in cui il matrimonio sia dichiarato nullo per impotenza di uno dei coniugi.
Dopo la riforma, non costituisce più condizione necessaria per celebrare matrimonio la capacità di intrattenere rapporti sessuali.
Difatti, mentre l’art.123 c.c., ora totalmente modificato, disponeva che l’impotenza costituiva causa di nullità del matrimonio, purchè anteriore alle nozze, con la riforma l’impotenza non ha più alcun rilievo autonomo, ma può essere adotta quale causa di invalidità del vincolo soltanto quando sia stata ignorata dall’altro coniuge, e purchè si accerti che questi non avrebbe prestato il suo consenso se avesse conosciuto l’anomalia del partner.
La mancata consumazione del matrimonio, peraltro, legittima la domanda di divorzio, qualunque ne sia stata la causa, e perciò pure quando sia conseguenza di impotenza di uno dei coniugi.
Sotto secondo profilo (impedimenti), non possono contrarre matrimonio tra loro:
1) gli ascendenti e i discendenti in linea retta, legittimi o naturali;
2)i fratelli e le sorelle germani (figli degli stessi genitori), consanguinei (figli dello stesso padre ma di madre diversa) o uterini (figli della stessa madre ma di padre diverso);

  1. lo zio e la nipote, la zia e il nipote;
  2. gli affini in linea retta (suocero e nuora, genero e suocera): il divieto sussiste anche nel caso in cui l’affinità derivi da matrimonio sciolto o dichiarato nullo;
  3. gli affini in linea collaterale in secondo grado (cognati);
  4. l’adottante; l’adottato e i suoi discendenti;
  5. i figli adottivi della stessa persona;
  6. l’adottato e i figli dell’adottante;
  7. l’adottato e il coniuge dell’adottante, l’adottante e il coniuge dell’adottato;
  8. l’affiliante, l’affiliato e il coniuge dell’affiliante, l’affiliante e il coniuge dell’affiliato.

Non possono inoltre contrarre matrimonio tra loro le persone delle quali l’una è stata condannata per omicidio consumato o tentato e l’altra sia il coniuge della vittima.

Pubblicazione e celebrazione

 

La celebrazione del matrimonio deve essere preceduta dalla pubblicazione, salva autorizzazione giudiziale ad ometterla.
La pubblicazione consiste nell’affissione di un atto, contenente le generalità degli sposi, alla porta del comune ed è fatta a cura dell’ufficiale dello stato civile.
Essa serve a rendere noto il proposito che i nubendi hanno di contrarre nozze e a mettere così ogni interessato in grado di fare le eventuali opposizioni.
La celebrazione deve avvenire pubblicamente nella casa comunale davanti all’ufficiale di stato civile al quale fu fatta richiesta di pubblicazione: questi, alla presenza di due testimoni, anche se parenti, dà lettura agli sposi degli artt.143, 144, 147 c.c.; riceve da ciascuna delle parti personalmente, l’una dopo l’altra, la dichiarazione che esse si vogliono prendere rispettivamente in marito e in moglie, e di seguito dichiara che esse sono unite in matrimonio; immediatamente dopo la celebrazione deve essere compilato l’atto di matrimonio, che verrà poi iscritto nel registro di stato civile.
È ammessa la celebrazione per procura per i militari in tempo di guerra, o quando uno degli sposi risieda all’estero e concorrano gravi motivi, da valutarsi dal tribunale nella cui circoscrizione risiede l’altro coniuge.
La procura deve essere rilasciata per atto pubblico; deve indicare il nome dell’altro sposo ed è soggetta ad un breve termine (180 gg.) di efficacia.

  1. Invalidità del matrimonio

 

Le cause di invalidità possono essere fatte valere da chiunque vi abbia interesse (annullabilità assoluta), altre possono essere fatte valere soltanto dai coniugi o dal pubblico ministero (annullabilità relativa), talune possono essere fatte valere in qualunque tempo (annullabilità insanabile e imprescrittibile), altre sono suscettibili di rapida sanatoria. Sinteticamente le cause di invalidità del matrimonio civile sono:

  1. vincolo di precedente matrimonio di uno dei coniugi. In particolare, se uno dei coniugi scompare (assenza), le nuove  nozze che l’altro coniuge ha eventualmente contratto non possono essere impugnate finchè dura l’assenza. Se viene dichiarata la morte presunta dello scomparso, il coniuge può liberamente contrarre nuovo matrimonio, ma qualora la persona di cui sia stata dichiarata la morte presunta ritorni o ne sia accertata la sopravvivenza, le seconde nozze del coniuge sono considerate nulle e l’invalidità è assoluta e imprescrittibile;
  2. sussistenza dell’impedimentum criminis: anche in questo caso l’invalidità è assoluta e insanabile;
  3. interdizione giudiziale di uno dei coniugi: il matrimonio può essere impugnato dal tutore dell’interdetto, dal pubblico ministero e da chiunque vi abbia un interesse legittimo;
  4. incapacità naturale di uno dei coniugi;
  5. difetto di età: l’azione di annullamento proposta da un genitore o dal pubblico ministero deve essere respinta qualora il minore raggiunga la maggiore età o vi sia stato concepimento o procreazione e vi sia accertata la volontà del minore di mantenere in vita il vincolo matrimoniale;
  6. vincolo di parentela, affinità, adozione o affiliazione; il vizio è insanabile;
  7. c.d. vizi del consenso: il matrimonio può essere impugnato per difetti relativi alla volontà dei nubendi, i casi sono:
  8. violenza, ossia quando il consenso di uno dei coniugi sia stato estorto con minacce. L’azione non può più essere proposta (e, ove proposta, va respinta) se vi sia stata coabitazione per un anno dopo che sia cessata la violenza;
  9. b) timore di eccezionale gravità, derivato da cause esterne allo sposo (es. il caso di chi teme che la fidanzata, in caso di rifiuto alle nozze, attenti alla propria vita). Questa causa di invalidità è anch’essa sanabile quando la coabitazione sia continuata per un anno dopo la cessazione delle cause che hanno determinato il timore;
  10. errore sull’identità dell’altro coniuge. Si può chiedere l’annullamento del matrimonio anche per un errore su qualità personali dell’altro coniuge. Anche l’impugnativa per errore non può più essere proposta se vi sia stata coabitazione per un anno dopo la scoperta dell’errore;
  11. simulazione: il matrimonio può essere impugnato da ciascuno dei coniugi quando questi abbiano contratto le nozze con l’accordo di non adempirne gli obblighi e di non esercitare i diritti che ne derivano.

In pendenza del giudizio di annullamento può essere disposta la separazione dei coniugi.

508  Il matrimonio putativo        

Se i coniugi sono in buona fede (ossia ignoravano, al momento della celebrazione, il vizio che inficiava le loro nozze), il matrimonio si considera valido fino alla pronunzia della sentenza di annullamento, la quale, dunque, opera ex nunc (quasi fosse una causa di scioglimento del vincolo), anzicchè ex tunc (perciò si parla di matrimonio putativo, ossia credere: matrimonio, cioè, che i coniugi credevano valido).
Se in buona fede è uno solo dei coniugi, gli effetti del matrimonio putativo si verificano soltanto in favore suo e dei figli.
Se entrambi i coniugi sono in mala fede, i figli si considerano egualmente legittimi, a meno che la nullità dipenda da bigamia o incesto: in queste due ipotesi, ai figli spetta lo status di figli naturali riconosciuti.
Non può ricorrere la figura del matrimonio putativo nel caso in cui il matrimonio sia addirittura inesistente.

IL MATRIMONIO CONCORDATARIO

 

509  Nozioni generali

Accanto al matrimonio celebrato civilmente, può aversi il c.d. matrimonio concordatario, ossia quello religioso che, in base agli accordi tra Stato e Chiesa, può produrre effetti non soltanto religiosi, ma anche civili. Condizioni:

  1. subito dopo la celebrazione, il parroco spieghi ai contraenti gli effetti civili del matrimonio e dia loro lettura degli articoli del c.c. riguardanti i diritti e i doveri dei coniugi;
  2. dell’atto di matrimonio, siano redatti, a cura del celebrante, due originali;
  3. uno dei due originali sia trasmesso, sempre a cura del parroco, all’ufficiale dello stato civile per essere trascritto nei registri dello stato civile;
  4. della validità del vincolo è competente a decidere l’autorità giurisdizionale ecclesiastica, le cui sentenze diventano efficaci di fronte all’ordinamento dello Stato previa delibazione della Corte d’appello.
510  Le modalità per il riconoscimento dell’efficacia civile del matrimonio canonico

 

Anche la celebrazione del matrimonio canonico deve essere preceduta dalle pubblicazioni, mediante affissione di un avviso con le generalità degli sposi alle porte della chiesa parrocchiale, per la durata di almeno 8 gg. comprese due domeniche successive, e dopo che il parroco si sia accertato che non esistono impedimenti.
Ma perché il matrimonio consegua gli effetti civili occorrono anche le pubblicazioni alla porta della casa comunale.
L’ufficiale di stato civile deve rifiutare le pubblicazioni se accerta che il matrimonio canonico non potrebbe essere trascritto.

511  La trascrizione del matrimonio canonico

 

L’Accordo di revisione del Concordato ha previsto la intrascrivibilità del matrimonio canonico nei seguenti casi:

  1. quando gli sposi non rispondano ai requisiti della legge civile circa l’età richiesta per la celebrazione;
  2. quando sussiste fra gli sposi un impedimento che la legge civile considera inderogabile.

La Corte costituzionale ha stabilito che la scelta del matrimonio concordatario, e quindi la trascrizione del matrimonio canonico, è impugnabile qualora sia stata effettuata da persona in stato di incapacità naturale.
Se la trascrizione del matrimonio canonico sia stata omessa, può essere chiesta in ogni tempo la trascrizione tardiva, purchè la richiesta sia fatta da entrambi i coniugi, o anche da uno solo di essi purchè l’altro ne sia a conoscenza e non faccia opposizione.
È peraltro necessario che entrambi abbiano conservato ininterrottamente lo stato libero dal momento della celebrazione a quello della richiesta di trascrizione.
Anche la trascrizione tardiva ha effetto retroattivo: cioè gli effetti civili del matrimonio decorrono dal momento della celebrazione.
Perciò i figli nati dopo tale celebrazione, ma prima della trascrizione, si considerano egualmente legittimi.

512  La giurisdizione ecclesiastica in materia matrimoniale

 

L’Accordo del 1984 per la revisione del Concordato ha stabilito che, affinchè le sentenze di nullità di matrimonio pronunciate dai Tribunali ecclesiastici siano dichiarate  efficaci nella Repubblica, occorre che la Corte d’appello competente per territorio accerti:

  1. che il giudice ecclesiastico era competente a conoscere la causa;
  2. che nel procedimento davanti ai Tribunali ecclesiastici sia stato assicurato alle parti il diritto di agire e resistere in giudizio in modo non difforme dai princìpi fondamentali dell’ordinamento italiano;
  3. che ricorrano le altre condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere.

Peraltro ogni questione relativa alla validità della trascrizione di un matrimonio canonico è rimasta di competenza dell’autorità giudiziaria italiana.

513  Il matrimonio celebrato davanti a ministro di un culto acattolico

 

Il matrimonio celebrato davanti ad un ministro di un culto diverso da quello cattolico produce gli stessi effetti civili del matrimonio celebrato davanti all’ufficiale dello stato civile.
Questo matrimonio, a differenza di quello celebrato davanti ad un ministro del culto cattolico, è integralmente regolato dal c.c., anche per quanto riguarda i requisiti di validità.
Anche tale matrimonio deve essere trascritto nei registri dello stato civile italiano, perché produca effetti civili.

 

Capitolo 70: IL MATRIMONIO: IL REGIME DEL VINCOLO

  1. Diritti e doveri personali dei coniugi

 

Per l’art.29 Cost. il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi. Gli artt.143-148 c.c. sono dedicati ai diritti e doveri che nascono dal matrimonio (con il matrimonio, il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono gli stessi doveri). La famigli non ha più, oggi, un capo ed una struttura gerarchica, ma impegna i coniugi a concordare l’indirizzo della vita familiare e la residenza della famiglia.
Costituisce eccezione alla rigida regola dell’eguaglianza tra i coniugi, la norma che prevede l’aggiunta del cognome maritale a quello della moglie, così come i figli assumono il cognome paterno.
Dal matrimonio derivano l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza, alla collaborazione e alla coabitazione.
C’è parificazione tra i coniugi, anche sul piano dei rapporti patrimoniali; essi sono tenuti entrambi, in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia.

  1. Scioglimento del matrimonio. Il divorzio

 

Oltre al divorzio, altra causa di scioglimento del matrimonio è la morte di uno dei coniugi. In questo caso, il matrimonio, sebbene sciolto, continua a produrre i suoi effetti (successione, diritto alla pensione di reversibilità, divieto di nuove nozze durante il lutto vedovile, conservazione della cittadinanza italiana da parte dello straniero che aveva sposato un italiano, conservazione da parte della vedova, del diritto all’uso del nome del marito).
In materia di divorzio, il  nostro ordinamento non ammette né il divorzio consensuale, né il c.d. divorzio sanzione, ossia giustificato come reazione ad una colpa di un coniuge verso l’altro. Il divorzio, quindi, è ammissibile solo quando la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostruita. L’accertamento di tale mancanza è ammissibile esclusivamente quando ricorra la separazione personale dei coniugi, protrattasi ininterrottamente per almeno 3 anni. Le altre cause che rendono ammissibile il divorzio sono: una condanna penale, passata in giudicato, di particolare gravità; una condanna penale per reati in danno del coniuge o di un figlio; l’assoluzione per vizio totale di mente da uno dei delitti per i quali la condanna comporterebbe causa sufficiente a giustificare la domanda di divorzio; l’annullamento del matrimonio o il divorzio ottenuti all’estero dal coniuge straniero; la mancata consumazione del matrimonio; il passaggio in giudicato della sentenza che rettifichi l’attribuzione del sesso di uno dei coniugi (transessualismo).
In tutti i casi il giudice deve esprimere pregiudizialmente un tentativo di conciliazione. Se la conciliazione non riesce, il giudice deve accertare la sussistenza di una delle cause di divorzio indicate dell’art.3. con la sentenza di divorzio il Tribunale dispone l’obbligo per un coniuge (di regola il marito) di corrispondere all’altro un assegno periodico (di regola mensile), purchè quest’ultimo non abbia mezzi adeguati. L’obbligo di corresponsione dell’assegno cessa se il coniuge beneficiario passa a nuove nozze. L’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengano affidati i figli o con il quale i figli maggiorenni convivono. Il Tribunale deve decidere sull’affidamento dei figli, avendo come esclusivo riferimento l’interesse morale e materiale degli stessi.

  1.   La separazione dei coniugi

 

Il c.c. si occupa solo della separazione legale: si può però anche avere una separazione di fatto, ossia un’interruzione della convivenza coniugale non sanzionata da alcun provvedimento giudiziale, ma voluta ed attuata deliberatamente, sulla base di un previo accordo informale dei coniugi, o per il rifiuto unilaterale di uno di essi a proseguire la vita in comune. La separazione di fatto non determina conseguenze giuridiche. La separazione legale può essere giudiziale. Si può chiedere la separazione per il solo fatto  che la prosecuzione della convivenza sia diventata intollerabile o tale da arrecare grave pregiudizio alla educazione della prole. Con la sentenza di separazione il giudice dichiara a quale dei coniugi vengono affidati i figli. Tale coniuge ha l’esercizio esclusivo della potestà sui figli, ma deve concordare le decisioni di maggior interesse per i figli con l’altro coniuge; ha il diritto e il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione. Sia per l’abitazione che per il mantenimento valgono gli stessi principi che per il divorzio. L’assegno però, non può essere attribuito al coniuge cui sia stata addebitata la responsabilità della separazione, al quale può semmai essere riconosciuto solo il diritto agli alimenti. Il giudice può vietare alla moglie l’uso del cognome del marito, quando tale uso sia a lui gravemente pregiudizievole. La separazione legale può anche essere consensuale che necessita, per la validità della separazione, dell’omologazione del tribunale.
Capitolo 71: IL REGIME PATRIMONIALE DELLA FAMIGLIA

518  Obbligo di contribuzione per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia
Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia (art.143 c.c.). inoltre ciascun coniuge deve adempiere all’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole in proporzione delle rispettive sostanze e secondo la sua capacità di lavoro professionale o casalingo (art.148 c.c.). Ciascun coniuge, quando abbia correttamente adempiuto all’obbligo di concorrere in modo adeguato a sostenere gli oneri familiari, è libero di destinare come preferisce l’eventuale eccedenza che abbia guadagnato. Se la coppia non ha mezzi sufficienti a provvedere al mantenimento dei figli, la legge impone ai loro ascendenti di fornire i mezzi necessari affinchè possano essere adempiuti i doveri nei confronti della prole. Inoltre, qualora uno dei coniugi non contribuisca adeguatamente al soddisfacimento dei bisogni familiari, il tribunale può imporre che una quota dei redditi del coniuge inadempiente sia versata direttamente all’altro coniuge o a chi provvede al mantenimento dei figli.

519  Regime patrimoniale legale. Le convenzioni matrimoniali.
Con la riforma, il regime patrimoniale legale della famiglia è costituito dalla comunione dei beni. La nuova disciplina ha trovato applicazione automatica soltanto per le coppie sposatesi dopo l’entrata in vigore della legge di riforma (20.09.75). Per le coppie già unite in matrimonio a quella data una norma transitoria ha previsto un periodo di pendenza di 2 anni a partire dall’entrata in vigore della riforma (periodo poi prorogato fino al 15.01.78): se durante questo periodo uno qualsiasi dei coniugi, con atto unilaterale ricevuto da notaio o dall’ufficiale dello stato civile del luogo in cui fu celebrato il matrimonio, ha dichiarato di non volere il regime  di comunione legale, la coppia è rimasta assoggettata, come prima, al regime di separazione dei beni. Qualora, invece, nessuno dei due coniugi abbia preso, entro il 15.01.78, l’iniziativa di un simile atto, la coppia è stata automaticamente assoggettata al regime di comunione legale. Per quelle coppie unite in matrimonio successivamente all’entrata in vigore della riforma, che volessero la separazione dei beni, devono convenire in un accordo stipulato per atto pubblico o farlo risultare dall’atto di matrimonio.

  1. La comunione legale

La comunione legale, non è una comunione universale, cioè di tutto quanto appartiene a ciascuno dei coniugi.
In base al c.c. riformato cadono automaticamente in comunione:

  1. Gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali. Fanno parte della comunione, i mobili di casa, l’auto, l’appartamento,…
  2. Le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio.
  3. Gli utili e gli incrementi di aziende gestite da entrambi i coniugi, ma appartenenti ad uno solo di essi anteriormente al matrimonio.

Sono invece esclusi dalla comunione e rimangono beni personali di ciascun coniuge:

  1. i redditi personali;
  2. i beni di cui il coniuge era già titolare prima del matrimonio;
  3. i beni da lui acquistati successivamente al matrimonio per effetto di donazione o successione in suo favore;
  4. i beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge;
  5. i beni che servono all’esercizio della professione del coniuge, tranne quelli destinati alla conduzione di una azienda facente parte della comunione;
  6. i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno nonché la pensione attinente alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa;
  7. i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento di altri beni personali o col loro scambio.

Se uno dei coniugi è minore o non può amministrare, per lontananza o per impedimenti, o ha male amministrato, l’altro coniuge può chiedere al giudice di escluderlo dall’amministrazione. I beni della comunione rispondono:

  1. di tutti i pesi ed oneri gravanti su di essi al momento dell’acquisto;
  2. di tutti i carichi dell’amministrazione;
  3. di ogni obbligazione contratta dai coniugi, anche se separatamente, nell’interesse della famiglia;
  4. di ogni obbligazione contratta congiuntamente dai coniugi.

521  Scioglimento della comunione   
La comunione legale si scioglie per effetto di una delle seguenti cause:

  1. morte di uno dei coniugi;
  2. sentenza di divorzio;
  3. dichiarazione di assenza o di morte presunta di uno dei coniugi;
  4. annullamento del matrimonio;
  5. separazione personale legale tra i coniugi (non basterebbe una separazione di fatto);
  6. fallimento di uno dei coniugi;
  7. convenzione tra i coniugi per abbandonare il regime di comunione, sostituendo con un altro dei regimi patrimoniali ammessi;
  8. separazione giudiziale dei beni. A sua volta, la separazione giudiziale dei beni può essere pronunciata dal tribunale, a richiesta di uno dei coniugi, quando ricorra una delle seguenti cause: interdizione di uno dei coniugi; inabilitazione di uno dei coniugi; cattiva amministrazione della comunione; disordine negli affari personali di un coniuge, tale da mettere in pericolo gli interessi dell’altro o della comunione o della famiglia; condotta tenuta da uno dei coniugi nell’amministrazione della comunione tale da creare la situazione di pericolo di cui al punto precedente; mancata o insufficiente contribuzione da parte di uno dei coniugi al soddisfacimento dei bisogni familiari, in relazione all’entità delle sue sostanze e alle sue capacità di lavoro. Verificatasi una causa di scioglimento della comunione, occorre procedere alla divisione dei beni comuni, da effettuare sempre in parti eguali tra moglie e marito o loro eredi.
  1.   Comunione convenzionale

In mancanza di apposita convenzione matrimoniale, il regime patrimoniale legale che si applica ai coniugi è quello della comunione automatica degli acquisti. Il legislatore ha previsto che i coniugi possano convenire, con apposita stipulazione matrimoniale, di non escludere il regime di comunione, ma soltanto di disciplinarlo diversamente, dando luogo ad una comunione, per l’appunto, convenzionale. In concreto, la stipulazione di un accordo tra i coniugi per dar vita ad una comunione convenzionale può soprattutto mirare o a ricomprendere nella comunione anche beni personali.

523  La separazione dei beni 
Il regime patrimoniale legale è quello della comunione degli acquisti, ma resta salva la facoltà dei coniugi di convenire che ciascuno di essi conservi la titolarità esclusiva dei beni acquistati durante il matrimonio. Quando si applica il regime di separazione ciascun coniuge conserva il godimento e l’amministrazione dei beni di cui è titolare esclusivo.
524  Il fondo patrimoniale
La riforma prevede la possibilità che venga costituito un fondo patrimoniale per far fronte ai bisogni della famiglia. Il fondo patrimoniale può essere costituito da ciascuno dei coniugi, da entrambi, o anche da un terzo. La costituzione deve avvenire con un atto pubblico o, se il costituente è un terzo, anche mediante testamento. Possono far parte del fondo solo beni immobili, mobili registrati o titoli di credito. La proprietà dei beni che costituiscono il fondo, salva diversa disposizione nell’atto costitutivo, spetta ad entrambi i coniugi. L’amministrazione del fondo è regolata dalle stesse norme che disciplinano l’amministrazione della comunione legale. I frutti dei beni del fondo non possono essere utilizzati che per i bisogni della famiglia. I beni del fondo, non possono essere alienati, concessi in garanzia, se non con il consenso dei coniugi e, qualora vi siano figli minori, previa autorizzazione giudiziale da concedersi solo per necessità evidente della famiglia 
525  L’impresa familiare
Una novità della riforma del 1975 è stato l’art.230-bis c.c. dedicato alla impresa familiare. La norma mira a tutelare i familiari dell’imprenditore che prestino in modo continuativo la loro attività di lavoro nell’impresa del loro congiunto. I familiari tutelati con la norma, sono il coniuge, i parenti entro il 3°grado, gli affini entro il 2°grado. A costoro viene riconosciuto il diritto al mantenimento ed il diritto a partecipare agli utili dell’impresa ed agli incrementi dell’azienda. In caso di cessazione della prestazione del lavoro e in caso della cessazione dell’azienda il diritto di partecipazione spettante ai familiari dell’imprenditore può essere liquidato in danaro e il pagamento può essere dilazionato in più annualità. I partecipanti hanno diritto di prelazione sull’azienda in caso di cessione o di divisione ereditaria.
526  La dote
La dote era rappresentata da quei beni che, mediante un atto solenne, la moglie apportava al marito per sostenere i
pesi del matrimonio. Essa presupponeva, quindi, che sul marito ricadesse l’onere di mantenere la moglie. Introdotto il regime di assoluta uguaglianza tra i coniugi, l’istituto della dote ha perso ogni significato. Infatti, la riforma ha stabilito un divieto rigoroso di costituzione della dote. Le doti costituite anteriormente all’entrata in vigore della riforma, continuano ad essere disciplinate dalle norme anteriori.
Capitolo 72: LA FILIAZIONE LEGITTIMA

 

527  Filiazione legittima

Il figli è legittimo quando è stato concepito da genitori uniti in matrimonio. È invece naturale quando è stato concepito da genitori che non sono sposati tra loro.
Perché ad una persona possa attribuirsi lo status di figlio legittimo occorre, in primo luogo, che sia nato da madre coniugata; in secondo luogo occorre che sia stato concepito ad opera del marito della madre.
La presunzione di paternità, non opera se il figlio, pur essendo stato concepito in circostanza di matrimonio, sia nato decorsi 300 gg. dalla pronuncia di una separazione giudiziale tra i coniugi o dalla omologazione di una tra loro separazione consensuale, o dalla data in cui i coniugi sono stati autorizzati dal giudice a vivere separati in pendenza di un giudizio di separazione, di divorzio o di annullamento del matrimonio.
Il figlio che nasce dopo le nozze, ma prima che siano trascorsi 180 gg. dalla celebrazione del matrimonio, è egualmente reputato legittimo.
Se il figlio nasce dopo che siano trascorsi 300 gg. dall’annullamento del matrimonio, dal divorzio, dalla morte del padre o dalla separazione legale tra i coniugi, non gli spetta lo status di figlio legittimo.

528  Prova della filiazione legittima

Lo status di figlio legittimo si prova, di regola, con l’atto di nascita iscritto nei registri dello stato civile.
L’atto di nascita deve essere redatto entro 10 gg. dalla nascita a cura dell’ufficiale di stato civile che raccoglie la dichiarazione di coloro che sono obbligati per legge a denunciare la nascita.
L’atto di nascita indica le generalità dei genitori e, se i genitori sono uniti in matrimonio, costituisce il titolo dello stato di figlio legittimo.
Se la madre non vuole che il figlio sia considerato legittimo deve opporsi a che sia menzionato il suo nome e deve fare redigere l’atto di nascita in modo che il bimbo risulti figlio di madre che non desidera essere nominata o di genitori ignoti.
Lo stato di figlio legittimo potrà essere dimostrato, ove eccezionalmente manchi l’atto di nascita, mediante il possesso continuo dello stato di figlio legittimo.
Ad integrare il possesso di stato di figlio legittimo devono concorrere i seguenti elementi: nomen, ossia la persona deve aver sempre portato il cognome del padre che pretende di avere; tractatus, ossia deve essere sempre stata trattata da costui come figlio e, come tale, mantenuta, educata ed istruita; fama, ossia deve essere stata costantemente considerata come figlio nei rapporti sociali e nell’ambito della famiglia.

529  L’azione di disconoscimento della paternità

La riforma del diritto di famiglia del 1975 ha concesso la legittimazione ad esperire l’azione di disconoscimento di paternità anche alla madre ed al figlio che abbia raggiunto la maggiore età.
L’azione di disconoscimento di paternità è consentita soltanto nei seguenti casi:

  1. se i coniugi non hanno coabitato nel periodo in cui deve aver avuto luogo il concepimento;
  2. se durante tale periodo il marito era affetto da impotenza;
  3. se nel detto periodo la moglie ha commesso adulterio o ha tenuto celata al marito la propria gravidanza e la nascita del figlio.

Mentre i primi due casi sono sufficienti per ottenere una pronuncia di disconoscimento della paternità, l’ultimo caso, non è sufficiente.
L’azione di disconoscimento deve essere proposta, a pena di decadenza:

  1. dal marito nel termine di un anno dal giorno della nascita; se si trovava lontano dal luogo in cui è nato il figlio, entro un anno dal giorno del suo ritorno; se comunque prova di aver ignorato la nascita, entro un anno dal giorno in cui ne ha avuto notizia;
  2. dalla madre nel termine di 6 mesi dalla nascita del figlio;
  3. dal figlio nel termine di un anno dal compimento della maggiore età o dal momento in cui venga successivamente a conoscenza dei fatti che rendono ammissibile il disconoscimento.

In tema di filiazione legittima  sono previste altre due azioni di stato:

  1. azioni di contestazione della legittimità: dall’atto di nascita un figlio può risultare legittimo senza esserlo. L’azione è imprescrittibile e richiede la presenza in giudizio di entrambi i genitori e del figlio;
  2. azione di reclamo della legittimità: se manchi un titolo che documenti lo stato di figlio legittimo di determinati genitori, il figlio può chiedere di far accertare giudizialmente tale status. L’azione è imprescrittibile; se l’interessato non l’ha promossa ed è morto in età minore o prima che siano trascorsi 5 anni dal raggiungimento della maggiore età, può essere promossa dai suoi discendenti.

530  Rapporti tra genitori e figli

Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole, tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. Tale dovere non cessa allorchè i figli raggiungano la maggiore età.
A loro volta i figli devono rispettare i genitori e devono anch’essi contribuire al mantenimento della famiglia, fin quando vi convivono, in proporzione alle proprie sostanze e al proprio reddito.
La riforma ha soppresso la patria potestà, sostituendola con la potestà dei genitori, cui il foglio è soggetto fino al raggiungimento della maggiore età o al matrimonio, qualora si sposi prima di diventare maggiorenne.
La potestà deve essere esercitata dai genitori di comune accordo: in caso di contrasti, purchè si tratti di questioni di particolare importanza, ciascuno dei genitore può ricorrere senza formalità al giudice, il quale, sentiti i genitori, ed anche il figlio se ha raggiunto i 14 anni, suggerisce le determinazioni più utili nell’interesse del figlio e della unità familiare.
I genitori rappresentano i figli minori in tutti gli atti civili e ne amministrano i beni. Gli atti di ordinaria amministrazione possono essere compiuti disgiuntamente da ciascun genitore.
Ai genitori spetta l’usufrutto legale sui beni del figlio, tranne quelli specificatamente esclusi dall’art.324 c.c.. I frutti dei beni del minore devono essere destinati dai genitori al mantenimento della famiglia e all’istruzione ed educazione dei figli.
L’usufrutto legale, a differenza de quello ordinario, non può essere alienato, né costituito in garanzia, né sottoposto ad azione esecutiva da parte dei creditori.
Quando il patrimonio del minore è male amministrato, il tribunale può stabilire le condizioni a cui i genitori devono attenersi nell’amministrazione; può rimuovere dall’amministrazione stessa uno di essi o entrambi, sostituendoli con un curatore o privarli, in tutto o in parte, dell’usufrutto legale.

531  La tutela

Se entrambi i genitori sono morti o non possono esercitare la potestà sui figli, si apre la tutela.
Organi della tutela sono il giudice tutelare, che è istituito presso ogni pretura per sopraintendere alle tutele e alle cautele; il tutore e il protutore, nominati dal giudice tutelare.
Il tutore ha la cura della persona del minore, lo rappresenta in tutti gli atti civili e ne amministra i beni; il protutore rappresenta il minore nei casi in cui l’interesse di questo è in opposizione con l’interesse del tutore e, in via provvisoria, per gli atti conservativi ed urgenti, quando il tutore è venuto a mancare o ha abbandonato l’ufficio.
Il tutore deve procedere all’inventario dei beni del minore, provvedere circa l’educazione e l’istruzione di costui, investirne i capitali.
Il tutore non può compiere atti di straordinaria amministrazione senza l’autorizzazione del giudice tutelare e gli atti di alienazione senza l’autorizzazione del Tribunale. Quando cessa dalle funzioni il tutore deve rendere conto.

 

Capitolo 73: L’ADOZIONE

  1. L’adozione. Premesse

La disciplina dell’adozione dei minori, si trova oggi, in una legge speciale fuori dal c.c., mentre nel c.c. è conservata , sebbene priva di applicazione pratica, l’adozione tradizionale riservata però soltanto a persone maggiori di età.
533  L’adozione dei minori
L’adozione ha ora come fine primario procurare una famiglia ai minori che ne siano privi o che non ne abbiano una idonea. L’adozione è consentita, anche in un numero plurimo e con atti successivi, solo ai coniugi, uniti in matrimonio da almeno 3 anni, non separati, idonei ad educare, istruire ed in grado di mantenere i minori che intendono adottare. L’età di entrambi gli adottanti deve superare di almeno 18 anni l’età dell’adottando; la legge stabilisce, inoltre, che l’età degli adottanti non deve superare di più di 40 anni l’età dell’adottando. Dichiarato in stato di adottabilità, il minore viene collocato in affidamento preadottivo, con cui si instaura una specie di adozione provvisoria, che deve durare almeno un anno. In caso di esito favorevole della prova, il Tribunale pronuncia il decreto di adozione. L’adozione ha per effetto l’acquisto, da parte del minore, dello status di figlio legittimo degli adottanti, dei quali assume e trasmette il cognome, mentre cessa ogni rapporto con la famiglia di origine. Talvolta, pur se il minore non sia abbandonato o quando l’adozione piena sia irrealizzabile, può farsi egualmente luogo all’adozione, ricorrendo i seguenti casi particolari:

  1. caso di minore orfano. Il minore orfano di padre e di madre, che sia unito o da vincolo di parentela fino al 6°grado o da rapporto stabile e duraturo preesistente alla perdita dei genitori con coniugi non separati o anche con persona singola, può essere adottato da questa;
  2. caso del minore figlio del coniuge dell’adottante. L’ipotesi si verifica quando il minore sia già figlio legittimo, naturale o adottivo di persona coniugata, e gli si vuole attribuire come genitore adottivo il coniuge di chi già riveste lo status di genitore;
  3. caso di minore per il quale risulti impossibile l’affidamento preadottivo, come ad es. quando il minore sia affetto da un grave handicap.

In questi casi con l’adozione il minore non acquista, come nell’adozione piena, lo stato di figlio legittimo degli o dell’adottante, ma gli spettano tutti i diritti propri del rapporto di filiazione, e quindi innanzitutto il diritto al mantenimento, all’educazione e all’istruzione. Non cessano invece i rapporti con la famiglia d’origine, anche se occorre, ovviamente, tenere conto pure dei nuovi rapporti con l’adottante.
Per l’adozione di un bimbo straniero, valgono le stesse condizioni richieste per l’adozione di un bimbo italiano.

534  L’adozione di persone maggiori di età
L’adozione di persone maggiorenni è permessa a coloro che non hanno discendenti legittimi o legittimati, che hanno compiuto i 35 anni di età e che superano almeno di 18 anni l’età di coloro che intendano adottare (art.291 c.c. e ss.). Ma la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.291 c.c., nella parte in cui non consente l’adozione a persone che abbiano discendenti legittimi o legittimati maggiorenni e consenzienti. Non esiste, invece, alcun limite massimo di età né per adottare, né per essere adottato. Chiunque può essere adottato. L’unico divieto riguarda i figli naturali dell’adottante: se questi sono stati riconosciuti il divieto è chiaro, perché mira ad evitare la sovrapposizione di status incompatibili; ma se si tratta di minori non riconosciuti e non dichiarati la norma non autorizza il Tribunale a svolgere indagini in un rapporto di filiazione legalmente non risultante. Per l’adozione si richiedono il consenso dell’adottante e dell’adottando, nonché l’assenso dei genitori dell’adottando e del coniuge dell’adottante e dell’adottando. L’adottato assume il cognome dell’adottante e lo antepone al proprio. L’adottato conserva tutti i diritti e i doveri verso la sua famiglia di origine; mentre nei confronti dell’adottante, egli assume gli stessi diritti di successione che spetterebbero ai figli legittimi dell’adottante. L’adozione può essere revocata quando l’adottato abbia attentato alla vita dell’adottante e del coniuge o dei discendenti o ascendenti di quest’ultimo, ovvero si sia reso colpevole verso di loro di delitto punibile con pena restrittiva della libertà personale non inferiore a 3 anni.

  1. L’affidamento di minori

Con l’affidamento il minore viene dato in custodia a qualcuno che deve prendersi cura di lui, provvedendo al suo mantenimento, alla sua educazione e istruzione; inoltre egli deve agevolare i rapporti fra il minore e i suoi genitori e favorirne il reinserimento nella famiglia di origine. Possono essere affidati ad un’altra famiglia, possibilmente con figli minori, i minori che siano temporaneamente privi di un ambiente familiare idoneo. Trascorso il periodo per cui l’affidamento è stato disposto, o si rende possibile il ritorno del minore preso i genitori o deve avviarsi la procedura di adozione.   
Capitolo 74: LA FILIAZIONE NATURALE

536  Il riconoscimento dei figli naturali

I figli procreati da genitori non uniti in matrimonio tra loro si chiamano figli naturali. Il figlio naturale concepito da genitore che, all’epoca del concepimento, era legato da matrimonio con persona diversa dall’altro genitore, si chiama figlio adulterino; il figlio naturale concepito da persone tra le quali esiste un rapporto di parentela, anche soltanto naturale, in linea retta o in linea collaterale di 2°grado, o un vincolo di affinità il linea retta, si chiama figlio incestuoso. Il riconoscimento di un figlio naturale è un atto solenne mediante il quale uno o entrambi i genitori trasformano il fatto della procreazione, insufficiente a creare un rapporto giuridico, in uno status di filiazione (figlio riconosciuto), rilevante per il diritto. La legge del 1975 ha cancellato il divieto di riconoscimento dei figli adulterini. Per quanto riguarda i figli incestuosi, invece, è stato conservato il divieto del riconoscimento, salvo per i genitori in buona fede. In nessun caso può essere validamente effettuato il riconoscimento quale proprio figlio naturale di una persona che risulti già figlio legittimo di altri. Il riconoscimento potrebbe diventare ammissibile solo in quanto lo status di figlio legittimo sia stato prima eliminato attraverso un disconoscimento di paternità o un’azione di contestazione di legittimità. La capacità di effettuare il riconoscimento di un figlio naturale si acquista con il compimento del 16°anno di età. Se la persona riconosciuta ha già compiuto a sua volta i 16 anni, ne occorre l’assenso affinchè il riconoscimento produca i suoi effetti. Il riconoscimento può essere fatto sia da entrambi i genitori che da uno solo di essi. Ovviamente il riconoscimento produce i suoi effetti in quanto si presume che chi procede ad un riconoscimento dichiari un fatto vero. L’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità può essere intentata sia dall’autore del riconoscimento, sia da colui che è stato riconosciuto, sia da chiunque vi abbia interesse. L’impugnazione per difetto di veridicità può essere accolta solo in quanto si dia la prova, con qualsiasi mezzo, che il rapporto di filiazione non sussiste.

537  Lo status di figlio naturale riconosciuto

La riforma si è preoccupata di equiparare la posizione dei figli naturali riconosciuti a quella di figli legittimi: mentre il figlio legittimo ha uno status che gli garantisce un rapporto giuridico con la coppia dei genitori e quindi appartenente ad una famiglia, il figlio naturale assume uno status soltanto nei confronti di ciascun genitore, ed anche quando sia riconosciuto da entrambi, la mancanza di un rapporto coniugale tra i genitori determina la costituzione di due rapporti, indipendenti tra loro, con ciascuno dei genitori. Se il figlio naturale viene riconosciuto contemporaneamente da entrambi i genitori assume il cognome del padre, altrimenti assume il cognome del genitore che lo ha riconosciuto per primo. Se il riconoscimento da parte del padre segue quello effettuato dalla madre, il figlio può assumere il cognome paterno aggiungendolo o sostituendolo a quello della madre. Al genitore che ha riconosciuto il figlio naturale spetta la patria potestà su di lui. Se il riconoscimento è fatto da entrambi i genitori, l’esercizio della potestà spetta congiuntamente ad entrambi qualora siano conviventi; se invece non convivono, l’esercizio della potestà spetta al genitore con il quale il figlio convive, o, se non convive con alcuno di essi, al primo che ha fatti il riconoscimento.

  1. La dichiarazione giudiziale della paternità o della maternità naturale

 

Se i genitori non hanno provveduto al riconoscimento, il figlio può anche agire in giudizio per ottenere lo status che spetta al figlio naturale riconosciuto. L’azione che tende a questo fine si chiama azione di dichiarazione giudiziale della paternità o della maternità naturale. Tale azione può essere sempre esperita, tranne quando si tratti di figli incestuosi o di persone che risultano figli legittimi o legittimati di altri genitori. L’azione deve essere preliminarmente ammessa dal tribunale, valutando con inchiesta sommaria se concorrono circostanze tali da farla
apparire giustificata. La prova può essere data con ogni mezzo.

  1. I figli naturali non riconosciuti o non riconoscibili

Il figlio naturale non riconosciuto, e la cui filiazione non sia stata neppure dichiarata giudizialmente, non è, per il diritto, figlio dei suoi genitori naturali, rispetto ai quali è un estraneo. Il figlio naturale può anche non essere riconoscibile (caso di figli incestuosi). Tuttavia, anche questi può agire in giudizio, previa la stessa autorizzazione prevista dall’art.274 c.c. per l’azione di dichiarazione giudiziale della filiazione naturale. Se il figlio naturale non riconoscibile è maggiorenne e in stato di bisogno, può agire per ottenere gli alimenti. Inoltre gli spettano diritti successori , ovviamente in quanto sia stata data la prova del rapporto di filiazione col defunto.

  1. La legittimazione

 

Con la legittimazione il figlio nato fuori dal matrimonio acquista la qualità di figlio legittimo. Non possono essere legittimati i figli che non possono essere riconosciuti, mentre possono essere legittimati pure i figli premorti, a favore dei loro discendenti. La legittimazione può avvenire per susseguente matrimonio dei genitori naturali o per provvedimento del giudice. La legittimazione per susseguente matrimonio si verifica automaticamente nel caso che si sposino tra loro i genitori che abbiano entrambi riconosciuto il figlio, ovvero che lo riconoscano dopo essersi sposati. La legittimazione può essere concessa anche se vi siano figli legittimi o legittimati del genitore che ha chiesto di far luogo alla legittimazione, ma questi devono previamente sentiti, se hanno già compiuto 16 anni.
La legittimazione giudiziale può essere richiesta pure dal figlio, qualora il genitore sia morto dopo aver espresso in un testamento o in un atto pubblico la volontà di legittimarlo. In questo caso la domanda deve essere comunicata agli ascendenti , discendenti e coniuge del genitore premorto, nei cui confronti si chiede la legittimazione, affinchè questi possano esporre le eventuali ragioni in contrario. Se mancano ascendenti, discendenti e coniuge, la domanda deve essere comunicata a due tra i parenti entro il 4°grado.

Capitolo 75: L’OBBLIGAZIONE DEGLI ALIMENTI

541  Fondamento e natura
L’obbligazione legale degli alimenti ha il presupposto dello stato di bisogno del creditore. L’obbligazione non sorge, infatti, se la persona non si trova in tale stato. Peraltro, il diritto agli alimenti è condizionato all’obbligo del lavoro, ed è quindi legato alla prova, da parte di chi chiede gli alimenti, dell’impossibilità di provvedere al proprio mantenimento. L’avente diritto non è però tenuto ad un lavoro non confacente alla sua posizione sociale. L’obbligazione incontra, in ogni caso, un limite: non deve superare le esigenze della vita dell’alimendando.
Siccome tra i soggetti tenuti agli alimenti figura pure chi abbia in precedenza ricevuto, dalla persona che si trova ora in stato di bisogno, delle donazioni, in tal caso per l’obbligato è previsto un ulteriore limite, che ben s’intende, se si ha riguardo al fondamento del suo obbligo: egli non è tenuto oltre il valore della donazione ricevuta, tuttora esistente nel suo patrimonio. Appunto perché gli alimenti devono adeguarsi al bisogno dell’alimentando e alle condizioni economiche dell’alimentante, l’obbligazione non ha una durata prestabilita ed una misura determinata: essa, invece, può cessare, se cessa lo stato di bisogno o mutano le condizioni economiche, può essere ridotta o aumentata con il mutare dei due coefficienti. L’obbligazione alimentare ha carattere strettamente personale: cessa con la morte di uno dei due soggetti; il creditore non può cedere ad altri il proprio credito né questo può formare oggetto di pignoramento. L’obbligato ha la facoltà di scelta circa le modalità delle prestazioni alimentari: o può pagare un assegno anticipato o può accogliere e mantenere in casa sua l’alimentando. Questa facoltà di scelta non è assoluta: il giudice può anche disporre diversamente.    

542  Ordine tra gli obbligati
Vi è una gerarchia tra gli obbligati agli alimenti; la legge stabilisce una graduatoria tenendo conto dell’intensità del vincolo e l’alimentando deve seguire quest’ordine oppure dimostrare che si è rivolto all’obbligato ulteriore (per es. al figlio anziché al coniuge), perché quello precedente non si trova in condizioni economiche tali da soddisfare l’obbligo stesso. Nel caso di concorso di coobbligati di pari grado, ciascuno è tenuto in proporzione delle proprie condizioni economiche. L’ordine è indicato nell’art.433 c.c.: bisogna in proposito ricordare che l’obbligo degli alimenti tra i coniugi è diverso da quello del mantenimento e rilevare che tra fratelli e sorelle gli alimenti sono dovuti nella misura dello stretto necessario. Con la riforma l’obbligo alimentare dei figli naturali e dei genitori naturali è stato parificato a quello dei figli legittimi e dei genitori legittimi. La mancata prestazione degli alimenti costituisce causa di revoca della donazione che la persona, la quale si trova in stato di bisogno, abbia precedentemente fatto alla persona obbligata agli alimenti.

543  L’obbligazione volontaria degli alimenti 
L’obbligazione degli alimenti, oltre che dalla legge, può derivare da negozio giuridico. In questo caso, essa trova giustificazione nella volontà delle parti o del testatore. L’obbligazione volontaria degli alimenti non si distingue dagli altri rapporti obbligatori se non per il fatto che la misura della prestazione non è determinata: le parti, il testatore, non stabiliscono la quantità o la somma dovuta, ma l’indicano, genericamente con il termine “alimenti”. Salva diversa volontà delle parti, anche per la misura degli alimenti negoziali si applica il principio della proporzionalità al bisogno dell’alimentando e alle condizioni economiche dell’alimentante.  
LA SUCCESSIONE PER CAUSA DI MORTE

Capitolo 76: PRINCIPI GENERALI

 

544  Premesse

Il sistema successorio è oggi così disciplinato: lo Stato interviene in tutte le successioni mortis causa che superino certi valori minimi, assoggettando ad appositi tributi sia l’intero compendio ereditario sia i trasferimenti di ricchezza a favore dei singoli beneficiari; l’intera eredità si devolve invece allo Stato soltanto quando nessun altro soggetto risulti chiamato, ex lege o ex testamento, alla successione. Escluso, quindi, almeno di solito, un intervento pubblico, se non in forma di prelievo fiscale, la sorte del patrimonio ereditario è lasciata alle decisioni dello stesso ereditando, che può disporre dei propri beni mediante testamento. Per la parte disponibile del suo patrimonio l’ereditando può provvedere come preferisce, anche a favore di persone estranee alla cerchia dei familiari e di quanti hanno avuto con lui, in vita, rapporti più intensi.

545  Eredità e legato

Il complesso dei rapporti patrimoniali trasmissibili, attivi e passivi, facenti capo al de cuius al momento della sua morte, costituisce la sua eredità, intesa in senso oggettivo.
La successione mortis causa può avvenire a “titolo universale” ed allora si parla di erede, (o, in caso di pluralità di successori, di coeredi), oppure a “titolo particolare”, ed allora si parla di legatario.
La disciplina delle due forme di successione si differenzia notevolmente: l’erede succede nel possesso del defunto, mentre per il legatario si ha solo il fenomeno dell’accessio possessionis; l’erede è tenuto ipso iure al pagamento dei debiti e pesi ereditari , a differenza del legatario; al solo erede è concessa la hereditatis petitio per ottenere la restituzione dei beni ereditari posseduti da altri a titolo di erede o senza titolo; solo l’erede subentra in ogni rapporto come se ne fosse stato parte ab initio e perfino in quelli in via di formazione al momento della morte del de cuius; soltanto l’erede succede nel possesso in cui era parte il defunto.
Per quanto riguarda le situazioni giuridiche non patrimoniali, essendo in genere intrasmissibili, non si verifica la successione; tuttavia in alcune ipotesi la legge riconosce la trasmissione all’erede della legittimazione attiva o passiva in relazione ad interessi non patrimoniali.
Intrasmissibile è anche il c.d. diritto morale d’autore: mentre i diritti di utilizzazione economica si trasferiscono agli eredi, la legge attribuisce ai parenti, e non agli eredi, il diritto di rivendicare la paternità dell’opera e di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione o altra modificazione dell’opera.

546  Apertura della successione

Quando una persona muore, il suo patrimonio, per effetto della morte, resta privo di titolare: un’altra persona subentra al posto di quella che è defunta. Questo fenomeno si chiama apertura della successione. L’art.456 c.c. stabilisce che la successione si apre al momento della morte, nel luogo dell’ultimo domicilio del defunto.

547  Patti successori

Aperta la successione, occorre vedere a chi spettano il patrimonio ereditario o i singoli beni. Si parla allora di vocazione ereditaria, che significa indicazione di colui che è chiamato alla eredità. Il c.c. preferisce parlare di delazione all’eredità e, cioè, di offerta dell’eredità ad una persona che, se vuole, la può acquistare (art.457 c.c.). La delazione può avvenire in due modi: per legge (successione legittima) o per testamento (successione testamentaria). È esclusa la successione per contratto.
Sono altresì vietati i patti successori. Si distinguono tre specie di patti successori: confermativi o istitutivi (con cui Tizio conviene con Caio di lasciargli la propria eredità); dispositivi (vendo a Caio i beni che dovrebbero pervenirmi dall’eredità di X); rinunciativi (convengo con Caio di rinunciare all’eredità di X non ancora devoluta).
Tali patti sono vietati per il votum captandae mortis che essi determinano. Inoltre, i patti istitutivi, vincolando il de cuius, gli toglierebbero quella libertà di disporre, che la legge riconosce ad ogni persona fino al momento della morte; quanto ai patti rinunciativi e dispositivi, il legislatore ha voluto impedire che un soggetto possa disporre con leggerezza di sostanze che non gli appartengono ancora e di cui, l’acquisto non può essere mai sicuro. È vietata anche la donazione mortis causa. È invece valida, la donazione fatta sotto la condizione sospensiva “se il donante morirà prima del donatario” (condizione di premorienza del donante), perché, retroagendo la condizione al momento della conclusione della donazione, l’attribuzione patrimoniale dipende da un atto inter vivos e non mortis causa. 
Alla successione legittima si ricorre quando manca qualsiasi testamento o, pur essendovi un testamento, questo dispone soltanto per una parte dei beni: in tal caso, per la parte restante si provvede con la successione legittima.

548  Giacenza dell’eredità 

Con la morte del de cuius colui che è chiamato all’eredità, sia per legge che per testamento, non acquista senz’altro la qualità di erede né la titolarità dei beni e dei diritti. Per questo occorre una sua dichiarazione di volontà (accettazione o adizione all’eredità). L’accettazione, pur verificandosi successivamente alla apertura della successione, retroagisce a tale momento, ossia opera in modo che non si verifichi soluzione di continuità tra il de cuius e l’erede: l’erede si considera come titolare del patrimonio ereditario fin dal momento dell’apertura della successione (efficacia retroattiva dell’accettazione). Può darsi che l’erede si decida immediatamente ad accettare l’eredità, ma può darsi anche che lasci passare qualche tempo per riflettere se gli convenga o meno accettare. Nell’intervallo tra la morte dell’ereditando e l’accettazione del chiamato il patrimonio ereditario rimane senza un titolare attuale dei rapporti attivi e passivi che di esso fanno parte. Secondo una vecchia concezione tale situazione andrebbe sempre qualificata come di “giacenza” dell’eredità.
La specifica figura dell’eredità giacente ricorre soltanto quando concorrono tutte le seguenti condizioni:

  1. non sia ancora intervenuta l’accettazione da parte del chiamato;
  2. il chiamato non si trovi in possesso dei beni ereditari;
  3. sia stato nominato un curatore. Tale nomina è indispensabile perché abbia inizio un fenomeno di eredità giacente. Il curatore non è un rappresentante del chiamato o del futuro erede o dei creditori del de cuius e neppure della stessa eredità: si tratta di un amministratore di un patrimonio, con funzioni prevalentemente conservative, anche se non sono esclusi poteri dispositivi. Le funzioni del curatore cessano quando il chiamato all’eredità o i chiamati all’eredità accettano. Se non sia stato nominato un curatore, il chiamato all’eredità, anche se non abbia materialmente appreso i beni, può esercitare le azioni possessorie. Il chiamato all’eredità durante la giacenza può anche compiere atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea.

549  La capacità di succedere

Qualunque persona fisica che sia già nata e sia ancora in vita, è senz’altro capace di succedere. Ma il legislatore concede la capacità di succedere anche a coloro che al tempo dell’apertura della successione erano soltanto concepiti, presumendo, salvo prova contraria, che fosse già concepito chi sia nato entro i 300 gg. dalla morte della persona della cui successione si tratta. Naturalmente la chiamata è subordinata alla nascita: ma già il fatto del concepimento, quand’anche poi il soggetto non venga ad esistenza, determina una situazione di pendenza, che regola l’amministrazione dell’eredità in quel periodo.
Se alla successione è chiamato un concepito, il periodo di incertezza circa la definitiva attribuzione dei beni a lui devoluti è breve: in tal periodo, perciò, l’amministrazione dei beni spetta al padre e, in mancanza di questo, alla madre. Se invece alla successione sono chiamati i nascituri non ancora concepiti, il periodo di incertezza circa la sorte dei beni ad essi destinati può durare anche a lungo: il tal periodo, l’amministrazione dei beni è affidata a coloro cui l’eredita sarebbe devoluta qualora i nascituri chiamati alla successione non dovessero venire ad esistenza, salvo il diritto della persona indicata nel testamento di rappresentare i nascituri e tutelarne le aspettative.

  1. L’indegnità

 

L’incapacità di succedere consiste nella inidoneità del soggetto a subentrare nei rapporti che facevano capo al defunto; l’indegnità, invece, si basa sull’incompatibilità morale del successibile: ripugna alla coscienza collettiva che chi si è reso colpevole di atti gravemente pregiudizievoli verso il de cuius possa succedergli.
L’indegnità può essere rimossa con la riabilitazione.
Le cause d’indegnità sono indicate nell’art.463 c.c.. Esse sono così raggruppate:

  1. atto compiuto contro la persona fisica (omicidio) o contro la persona morale (calunnia) del de cuius, oppure del coniuge, del discendente o dell’ascendente di lui;
  2. atto diretto con violenza o dolo contro la libertà di testare del de cuius.

La sentenza che pronuncia l’indegnità ha effetto retroattivo: l’indegno è considerato come se non fosse mai stato erede ed è perciò obbligato a restituire i frutti che gli sono pervenuti dopo l’apertura della successione. L’indegno può essere riabilitato con dichiarazione espressa (atto pubblico) o testamento (riabilitazione totale) o mediante la contemplazione nel testamento (riabilitazione parziale); nel qual caso è ammesso a succedere nei limiti della disposizione, ma non può ricevere niente come successore legittimo e neppure può agire per lesione di legittima, se quanto ha ricevuto è inferiore alla quota di riserva.

551  La rappresentazione  
Si dice rappresentazione, l’istituto in forza del quale i discendenti legittimi o naturali (c.d. rappresentanti) subentrano al loro ascendente nel diritto di accettare un lascito qualora il chiamato (c.d. rappresentato) non può o non vuole accettare l’eredità o il legato (art.468 c.c.). Peraltro, la rappresentazione può aver luogo soltanto quando il chiamato che non può o non vuole accettare sia o un figlio o un fratello o una sorella del defunto; sono quindi esclusi sia gli estranei che gli altri parenti. La rappresentazione è inoltre esclusa, nel caso di successione testamentaria, quando il testatore abbia già provveduto con una sostituzione per l’ipotesi in cui il primo chiamato non possa o non voglia accettare. Infine è esclusa quando si tratti di legato di usufrutto o di altro diritto di natura personale, in quanto costituiscono attribuzioni strettamente legate alla persona indicata dal testatore.
La rappresentazione opera sia quando la chiamata a favore del rappresentato non può più verificarsi, sia quando vi sia stata una prima vocazione, ma quest’ultima sia caduta. Mentre in quest’ultima ipotesi può essere accettabile la definizione della rappresentazione come vocazione indiretta, in quella precedente il rappresentante è in realtà, fin dall’apertura della successione, l’unico chiamato alla successione.
Quando si applica la rappresentazione, la divisione si fa per stirpi: ossia i discendenti subentrano tutti in luogo del capostipite, indipendentemente dal loro numero e lo stesso criterio si applica anche qualora uno stipite abbia prodotto più rami.
I rappresentanti succedono direttamente al de cuius, cosicchè hanno diritto di partecipare alla successione di quest’ultimo anche nell’ipotesi che abbiano rinunciato all’eredità del loro ascendente (c.d. rappresentato) o che siano indegni o incapaci nei suoi confronti.

  1.   L’accrescimento

L’istituto dell’accrescimento può aversi solo nel caso di chiamata congiuntiva: in tal caso, qualora uno dei chiamati non possa o non voglia accettare, ove non ricorrano le condizioni per farsi luogo alla rappresentazione, la quota devoluta al chiamato che non abbia potuto o voluto accettare si devolve a favore degli altri beneficiari della chiamata congiuntiva. La vocazione (o chiamata) congiuntiva si verifica:

  1. nella successione legittima, quando più persone sono chiamate nello stesso grado;
  2. nella successione testamentaria:

1) se si tratta di istituzione di erede, quando gli eredi siano stati chiamati con uno stesso testamento e il     testatore non abbia fatto determinazione di parti. Qualora manchino pure i presupposti dell’accrescimento, la porzione dell’erede mancante si devolve agli eredi legittimi;
2)se si tratta di legato, basta che sia stato legato lo stesso oggetto a più persone.
L’accrescimento opera di diritto, senza bisogno di accettazione da parte di colui a cui profitta.

  1.   Le sostituzioni

Può darsi che il testatore abbia preveduto l’ipotesi che il chiamato non possa o non voglia accettare l’eredità o il legato, designando altra persona in sua vece (sostituzione ordinaria o volgare). Dalla sostituzione volgare si distingue la sostituzione fedecommissaria (il testatore istituisce erede, per es. il figlio, vincolando i beni affinchè, alla morte di questo, possano automaticamente passare ad un’altra persona indicata dal testatore. Perciò si ha sostituzione fedecommissaria quando ricorrono le seguenti condizioni: 1) doppia istituzione: il testatore nomina erede Caio e vuole che, alla morte di Caio, l’eredità passi a Sempronio; 2) ordo successivus: occorre che il passaggio dell’eredità dal 1°istituito al 2°sostituito si verifichi in conseguenza della morte del 1°; 3) vincolo di conservare per restituire: il 1° chiamato non ha la titolarità dei beni trasmessigli e non può disporne, ma ne ha soltanto l’usufrutto. La riforma del diritto di famiglia ha totalmente modificato l’art.692 c.c., che obbedisce ormai unicamente a specifiche finalità di protezione dell’incapace, essendo ammissibile soltanto se l’istituto è un interdetto o un minore di età in condizioni di abituale infermità di mente. Difatti il nuovo testo della norma esclude la validità di una sostituzione fedecommissaria in tutti i casi, con la sola eccezione che sia disposta dai genitori, dagli ascendenti in linea retta o dal coniuge dell’interdetto o del minore incapace, a favore della persona o degli enti che, sotto la vigilanza del tutore, hanno avuto cura dell’istituito.
Capitolo 77: L’ACQUISTO DELL’EREDITA’ E LA RINUNCIA

  1.   L’accettazione dell’eredità

Il chiamato all’eredità potrebbe avere un interesse a non diventare l’erede di una certa persona. Perciò la legge fa dipendere l’acquisto dell’eredità da una decisione del chiamato, dalla accettazione dell’eredità (art.459 c.c.).
Vi sono due tipi di accettazione: pura e semplice, o con beneficio d’inventario. Per effetto della prima si verifica la confusione tra i due patrimoni: quello del defunto e quello dell’erede, essi diventano un patrimonio solo. L’erede succede sia nell’attivo che nel passivo. Egli perciò è tenuto al pagamento dei debiti del de cuius, anche se superino l’attivo che gli perviene dall’eredità. Se, invece, il chiamato all’eredità accetta con beneficio d’inventario, non si produce la confusione e, quindi, l’erede non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni a lui pervenuti. Sotto la comune denominazione di accettazione dell’eredità, sono ricomprese varie fattispecie che non implicano tutte una consapevole decisione del chiamato:

  1. Accettazione espressa. Essa può essere pura e semplice o col beneficio d’inventario. Mentre in quest’ultimo caso l’accettazione deve essere fatta mediante dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere della pretura del mandamento in cui si è aperta la successione, l’accettazione pura e semplice può essere fatta in un atto pubblico o in una scrittura privata, dichiarando di accettare l’eredità o assumendo il titolo di erede.

L’accettazione delle eredità devolute alle persone giuridiche, non può farsi che col beneficio d’inventario. Lo stesso principio vale per i minori e gli incapaci. Il contenuto dell’atto deve implicare la manifestazione di una scelta consapevole da parte del chiamato, diretta all’acquisto dell’eredità.

  1. Accettazione tacita. L’accettazione è tacita quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede.
  2. Accettazione presunta. In altre ipotesi, l’acquisto dell’eredità avviene automaticamente o per il solo fatto che non si è provveduto ad uno specifico atto imposto dalla legge o, al contrario perché si è tenuto un determinato comportamento (ad es. sottrazione o occultamento di beni creditari).

Il diritto di accettare l’eredità è soggetto alla prescrizione ordinaria. Ma può darsi che qualcuno abbia interesse a che il chiamato si decida entro uno spazio più limitato di tempo a dichiarare se intende o no accettare l’eredità. In tal caso si può far ricorso ad una speciale azione con cui si chiede all’autorità giudiziaria fissi un termine, trascorso il quale il chiamato perde il diritto di accettare (decadenza dal diritto all’accettazione).         L’accettazione si può impugnare per violenza o dolo, ma non per errore. Inoltre, non può farsi carico all’erede dell’omissione dell’accettazione col beneficio d’inventario, se, dopo l’accettazione pura e semplice, si scopre un testamento la cui esistenza era ignorata al tempo dell’apertura della successione, e che contenga legati che esauriscano o superino il valore della quota o oltrepassino la legittima, se l’erede è un legittimario. In questo caso, l’erede non è tenuto a soddisfare i legati scritti nel testamento oltre il valore dell’eredità, o se è un legittimario, oltre i limiti della quota disponibile. Data l’importanza dell’atto è prevista, a pena di nullità, la forma scritta, anche se il complesso ereditario non contenga beni immobili.

555 Accettazione con beneficio d’inventario 
L’accettazione con beneficio d’inventario impedisce la confusione del patrimonio del de cuius con quello dell’erede. Perciò:

  1. l’erede che ha accettato con beneficio d’inventario conserva verso l’eredità tutti i diritti e tutti gli obblighi che aveva verso il defunto, invece, nell’ipotesi di accettazione pura e semplice, i rapporti obbligatori tra defunto ed erede si estinguono in proporzione della quota spettante all’erede;
  2. l’erede non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari e dei legati ultra vires, oltre al valore dei beni a lui pervenuti;
  3. i creditori del defunto ed i legatari hanno preferenza sul patrimonio ereditario di fronte ai creditori dell’erede.

La facoltà di accettare con beneficio d’inventario ha carattere personale.
L’accettazione con beneficio d’inventario, disposta nell’interesse dei minori, vale a limitare la responsabilità intra vires hereditatis e, quindi, se non sia eseguita, il minore può, entro l’anno dal raggiungimento della maggiore età, redigere utilmente l'inventario stesso e accettare con il beneficio. Se il chiamato è nel possesso dei beni ereditari, deve fare l’inventario entro 3 mesi dall’apertura della successione ed entro i 40 gg. successivi deve deliberare se accetta o rinunzia all’eredità. Trascorso il termine di 3 mesi senza aver compiuto l’inventario, il chiamato è considerato erede puro e semplice. Invece, il chiamato che non sia in possesso dei beni può fare la dichiarazione di accettazione con beneficio d’inventario fino a quando non sia prescritto il diritto di accettazione, a meno che non sia stata esercitata contro di lui l’actio interrogatoria, nel qual caso deve fare nel termine fissato, salvo proroga dell’autorità giudiziaria, tanto l’inventario che la dichiarazione. All’erede che abbia accettato con beneficio d’inventario è vietata l’alienazione dei beni ereditari senza autorizzazione del giudice: se viola questo divieto, decade dal beneficio e diventa erede puro e semplice.
La decadenza è comminata anche per omissioni e infedeltà nell’inventario.
Accettata l’eredità con beneficio d’inventario, il pagamento dei creditori del defunto può avvenire in tre modi:

  1. l’erede paga i creditori e i legatari. In questo caso, esaurito l’asse ereditario, i creditori rimasti insoddisfatti possono rivalersi contro i legatari, nei limiti del valore legato;
  2. se vi è opposizione dei creditori, si può procedere alla liquidazione dei beni ereditari;
  3. l’erede può anche rilasciare i beni ereditari a favore dei creditori e dei legatari.
  1.   La separazione del patrimonio del defunto

Per venire incontro ai creditori del defunto, i quali hanno fatto affidamento sul patrimonio di quest’ultimo nel fargli credito, ed ai legatari, che non è giusto che siano danneggiati dal concorso dei creditori dell’erede, è apprestato un altro rimedio: la separazione del patrimonio del defunto da quello dell’erede. Anche la separazione impedisce la confusione dei due patrimoni, ma opera a favore dei creditori del defunto e dei legatari, i quali si assicurano il soddisfacimento sui beni del defunto, a presenza dei creditori dell’erede. Ora, però, questa separazione assoluta non c’è più: i creditori dell’erede si possono anch’essi soddisfare sui beni del defunto, dopo che sono stati soddisfatti i creditori del defunto medesimo. Inoltre, la separazione non impedisce ai creditori e ai legatari, che l’hanno esercitata, di soddisfarsi anche sui beni propri dell’erede. Infine, la separazione ha carattere particolare e non universale: vale a dire che essa opera non sull’intera massa del patrimonio ereditario, ma sui singoli beni per i quali sia stata fatta valere specificatamente.
Il diritto alla separazione deve essere esercitato entro 3 mesi dall’apertura della successione. Sono prescritte forme particolari: per i mobili occorre una domanda giudiziale; per gli immobili l’iscrizione del credito o del legato sopra ciascuno dei beni ereditari per i quali il creditore o il legatario separatista faccia valere il suo diritto. Le iscrizioni a titolo di separazione richieste dai singoli creditori e legatari separatisti prendono tutte lo stesso grado e prevalgono sulle trascrizioni o iscrizioni contro l’erede o il legatario, anche se anteriori.

557  L’azione di petizione ereditaria
Acquistata l’eredità, l’erede può rivolgersi contro chiunque possegga (affermando di essere colui l’erede) beni ereditari per farsi riconoscere la qualità di erede e farsi consegnare i beni. L’azione che è diretta a questo scopo è l’azione di petizione ereditaria.

558  L’erede apparente  
L’erede può agire non soltanto contro il possessore, ma anche contro le persone a cui costui abbia alienato le cose possedute. La legge, in questa materia, dà importanza all’apparenza della qualità di erede e alla buona fede del terzo acquirente. Sono perciò salvi i diritti acquistati per effetto di convenzione con l’erede apparente, purchè ricorrano delle condizioni: che si tratti di convenzioni a titolo oneroso e che il terzo sia in buona fede. Non ha invece importanza che l’erede apparente abbia o non abbia un titolo e che sia o non sia in buona fede.

  1. La rinuncia all’eredità

La rinuncia all’eredità consiste in una dichiarazione unilaterale non recettizia, con la quale il chiamato all’eredità manifesta la sua decisione di non acquistare l’eredità. La dichiarazione deve essere ricevuta da un notaio o dal cancelliere della pretura del mandamento in cui si è aperta la successione. È soggetta anche a pubblicità.
Gli effetti della rinuncia sono diversi secondo che si tratti di successione legittima o testamentaria. Nel primo caso, se non ha luogo la rappresentazione, la parte di colui che rinuncia va a favore di coloro che avrebbero concorso con il rinunciante. Se la successione è per testamento, si deve distinguere tra l’ipotesi in cui il testatore abbia previsto il caso della rinuncia ed abbia disposto una sostituzione e quella in cui il testatore non abbia disposto nulla. Nel primo caso la quota del rinunciante va a favore della persona indicata dal testatore (sostituto); nel secondo, se ricorre uno dei casi previsti per la rappresentazione, si applicano le norme già considerate. Se mancano i presupposti per la rappresentazione, la parte del rinunciante va a favore dei suoi coeredi, altrimenti va a favore degli eredi legittimi.
La rinuncia è revocabile: chi ha rinunciato può tornare sulla decisione presa ed accettare l’eredità, ma non deve essere trascorso il termine di 10 anni per la prescrizione della facoltà di accettazione e l’eredità non deve essere già stata accettata nel frattempo da un altro chiamato. La rinunzia può essere impugnata solo per violenza o per dolo, ma non per errore.

Capitolo 78: LA SUCCESSIONE LEGITTIMA

  1. Le categorie di successibili

Le categorie successibili, nella successione legittima, sono le seguenti: il coniuge; i discendenti legittimi, naturali, legittimati e adottivi (con i rispettivi discendenti, che escludono sia gli ascendenti che i collaterali); gli ascendenti legittimi, i fratelli e le sorelle (nonché i loro discendenti); i collaterali dal 3° al 6° grado (hanno diritto di venire alla successione solo quando non vi siano altri successibili, e per i quali vale il principio che il più vicino in grado esclude il più remoto, mentre quelli di pari grado concorrono per quote eguali); i genitori del figlio naturale, gli altri parenti, lo Stato (art.565 c.c.). Al coniuge spetta la metà del patrimonio del defunto, se in concorso un solo figlio, 1/3 se concorre alla successione con più figli, 2/3 se concorre con ascendenti legittimi o con fratelli e sorelle. In mancanza di tali soggetti al coniuge si devolve l’intera eredità. In caso di separazione, il coniuge conserva i diritti ereditari, tranne che nell’ipotesi che sia a lui addebitata la separazione. In tal caso ha diritto soltanto ad un assegno vitalizio se, al momento dell’apertura della successione, godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto. Ai figli naturali non riconoscibili spetta, invece, un assegno vitalizio pari all’ammontare della rendita della quota di eredità alla quale avrebbe diritto, se la filiazione fosse stata dichiarata o riconosciuta. Su loro richiesta, è prevista la capitalizzazione di detto assegno in danaro o, a scelta degli eredi legittimi, in beni ereditari.

  1.   La successione dello Stato

In mancanza di altri successibili l’eredità è devoluta allo Stato (art.586 c.c.). L’acquisto si opera di diritto senza bisogno di accettazione e non può farsi luogo a rinuncia. Inoltre lo Stato non risponde mai dei debiti ereditari e dei legatari oltre il valore dei beni acquistati.

Capitolo 79: LA SUCCESSIONE NECESSARIA

  1.   Fondamento e natura

La quota dei beni del de cuius che deve essere attribuita ai successibili si chiama quota di legittima o riserva; i successibili che vi hanno diritto si chiamano legittimari o riservatari o successori necessari. Il complesso degli istituti che riguarda la determinazione delle categorie dei legittimari, le quote ad essi spettanti vanno sotto il nome di successione necessaria. Il fondamento di questi principi hanno carattere inderogabile.

  1.  La quota legittima   

Quando all’apertura della successione vi sono dei legittimari, il patrimonio ereditario si distingue idealmente in due parti: disponibile, della quale il testatore era libero di disporre attribuendola a chiunque avesse voluto, e legittima, o riserva, della quale non poteva disporre, perché spettante per legge ai legittimari. Il legittimario ha diritto ad ottenere la propria quota in natura ed il testatore non può imporre alcuna condizione sulla legittima (intangibilità della legittima). Il legato in sostituzione di legittima si distingue dal legato in conto di legittima. Con il primo il testatore intende escludere il legittimario da ogni partecipazione alla divisione dell’eredità. Con il secondo, il testatore fa, invece, al legittimario un’attribuzione di beni, che deve essere calcolata ai fini della legittima, con la conseguenza che il legittimario può chiedere il supplemento, se i beni attribuitigli non raggiungono l’entità della legittima.

  1.   La riunione fittizia

Per poter stabilire se il testatore abbia leso i diritti spettanti a qualcuno dei legittimari, occorre calcolare l’entità del suo patrimonio all’epoca dell’apertura della successione. Questa operazione si chiama riunione fittizia. Si calcolano i valori dei beni che appartenevano al defunto al tempo dell’apertura della successione. Dalla somma stessa si detraggono i debiti. Al risultato così ottenuto si aggiungono i beni di cui il testatore abbia eventualmente disposto in vita a titolo di donazione secondo il valore che avevano al tempo dell’apertura della successione.

  1.   L’azione di riduzione

Se dai calcoli risulta che le disposizioni testamentarie o le donazioni eccedono la quota di cui il testatore poteva disporre, ciascun legittimario può agire per la riduzione delle une e delle altre con la c.d. azione di riduzione. Questa azione è irrinunciabile dai legittimari finchè il donante è in vita. Se il legittimario agisce contro estranei per la riduzione di donazioni o di legati, la legge stabilisce l’accettazione con beneficio. Con la riduzione, sono colpite per prime le disposizioni testamentarie; se questa non vale ad integrare la legittima, si procede alla riduzione delle donazioni (partendo dall’ultima). Se la riduzione è accolta, il donatario o il beneficiario della disposizione testamentaria deve restituire in tutto o in parte il bene. Se il bene è stato alienato a terzi, il legittimario, prima di rivolgersi contro costoro, ha l’onere di escutere i beni del donatario, per ottenere il rimborso del valore del bene. Se il donatario o il beneficiario può pagare, l’acquisto è rispettato: in caso diverso, il legittimario avrà diritto di rivolgersi contro il terzo chiedendo il rilascio del bene.
Capitolo 80: LA SUCCESSIONE TESTAMENTARIA

568  Il testamento
Il testamento è un atto con il quale taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, delle proprie sostanze (art.587 c.c.). Esso è revocabile fino all’ultimo momento di vita del testatore. Il testamento è un tipico negozio unilaterale, non recettizio. Esso è inoltre un atto strettamente personale; per questo non è consentito il testamento congiuntivo (fatto da due o più persone nel medesimo atto) né a vantaggio di un terzo, né con disposizione reciproca. Diverso dal testamento congiuntivo è il testamento simultaneo che consta di due atti distinti, ciascuno firmato da una sola persona, ma scritti su uno stesso foglio. I testamenti simultanei non sono nulli: possono soltanto far sorgere il sospetto che uno dei due testatori abbia influenzato la volontà dell’altro.
Il testamento è inoltre un negozio solenne, in quanto è richiesta ad substantiam una forma determinata.

569  Il testamento come negozio giuridico 
Circa la capacità di testare, non è ammessa una sostituzione per rappresentanza, neppure legale, trattandosi di un atto personalissimo. Sono incapaci: i minorenni; gli interdetti per infermità di mente; gli incapaci naturali. Il testamento fatto da un incapace è annullabile; l’impugnativa può essere proposta da chiunque vi abbia interesse (annullabilità assoluta): l’azione si prescrive in 5 anni dall’esecuzione del testamento. Per l’art.624.1 c.c. sono applicabili anche al testamento le norme sull’impugnabilità dei negozi giuridici a causa del c.d. vizio di volontà, e cioè per violenza, per dolo e per errore. L’errore sul motivo è causa di annullamento della disposizione testamentaria, ma subordinatamente a due condizioni: che il motivo erroneo risulti dal testamento; che il motivo erroneo sia il solo che ha determinato il testatore a disporre.
Anche in caso di motivo illecito rende nulla la disposizione testamentaria se quel motivo risulta dal testamento ed è il solo che ha determinato il testatore a disporre.

  1. Forme di testamento

Essendo, il testamento un atto solenne, esso richiede la forma ad substantiam. Il testamento orale non è ammesso nel nostro ordinamento. Si distinguono forme ordinarie e forme speciali; il testamento ordinario dà luogo a due figure: olografo e testamento per atto di notaio; il testamento per atto di notaio è pubblico o segreto.

571  Il testamento olografo
Il testamento olografo deve essere iscritto per intero, datato e sottoscritto di pugno dal testatore. I requisiti di forma sono pertanto tre: autografia, data, sottoscrizione. Anche una lettera che contenga i requisiti indicati, può valere come testamento. Sono validi anche i fogli sui quali il testatore aveva scritto appunti per le sue disposizioni di ultima volontà, se vengono aggiunte espressioni le quali rivelino la volontà di imprimere all’atto il carattere di testamento. L’autografia viene meno nel caso di collaborazione grafica di un terzo, il quale sorregga e guidi la mano del testatore, impedito nei suoi movimenti da paralisi. Invece, non produce nullità la preparazione della minuta dell’atto da parte di un terzo, semprecchè l’atto stesso sia ricopiato dalla mano del testatore. La data consiste nell’indicazione del giorno, del mese e dell’anno in cui il testamento fu scritto. La data serve ad accertare se il testatore era capace nel giorno in cui il testamento fu formato e, nel caso di più testamenti successivi della stessa persona, quale sia il testamento posteriore che revochi le disposizioni incompatibili contenute nei testamenti anteriori. Se la data risulti cancellata o interlineata, il testamento è nullo. La sottoscrizione serve ad individuare il testatore: essa, di solito, comprende il nome e il cognome, ma può comunque essere costituita da qualsiasi indicazione che designi con certezza la persona del testatore. La sottoscrizione deve essere posta in calce alle disposizioni: l’inosservanza di questa regola conduce all’invalidità dell’atto.

572  Il testamento pubblico
Il testamento pubblico è un documento redatto con le richieste formalità da un notaio. Esso risponde all’esigenza che la manifestazione di ultima volontà del soggetto sia a riparo da ogni evento naturale o umano che possa comprometterne l’integrità.
I requisiti specifici di forma richiesti per il testamento pubblico sono:

  1. Dichiarazione di volontà orale al notaio: il testatore dichiara al notaio la sua volontà. Quest’ultimo deve innanzitutto accertarsi dell’identità personale del testatore.
  2. Presenza di testimoni: il testamento pubblico è ricevuto dal notaio in presenza di due testimoni. La loro presenza garantisce che il notaio non ha influenzato la volontà del testatore e che questa è stata fedelmente riprodotta nell’atto del notaio.
  3. Redazione in scritto della volontà a cura del notaio: nel senso che al notaio spetta di redigere il testamento, ma la scritturazione può essere fatta, sotto la sua guida, da un amanuense, da uno dei testimoni o dal testatore..
  4. Lettura dell’atto al testatore e ai testimoni ad opera del notaio: quest’operazione serve a garantire il controllo diretto della parte sulla rispondenza dell’atto alla sua volontà.
  5. Sottoscrizione del testatore, dei testimoni e del notaio: se il testatore non può sottoscrivere o perché analfabeta, o per impedimento, o perché può farlo solo con grave difficoltà, deve dichiarare la causa dell’impedimento e il notaio deve menzionare questa dichiarazione prima della lettura dell’atto.
  6. La data: deve comprendere anche l’ora.
  7. La menzione dell’osservanza delle formalità enunciate: la menzione è richiesta perché l’atto possa far fede, fino a querela di falso, che le formalità menzionate sono state osservate. Se una delle formalità fosse stata adempiuta, ma mancasse la menzione, ossia la certificazione, da parte del notaio, l’atto sarebbe invalido e non varrebbe ad escludere l’invalidità la prova che la formalità è stata effettivamente osservata.

573  Il testamento segreto
Il testamento segreto ha, rispetto a quello pubblico, il vantaggio che il testatore può, se vuole, conservare completamente segreto il contenuto delle disposizioni e, rispetto al testamento olografo, una maggiore garanzia di conservazione. Il testamento segreto consta di due elementi: da un alto la scheda testamentaria, predisposta dal testatore e costituita da uno o più fogli su cui vengono scritte le volontà relative alla sua successione ereditaria; dall’altro, un atto di ricevimento, con cui il notaio documenta che il testatore, alla presenza di due testimoni, gli ha consegnato personalmente la scheda e gli ha dichiarato che ivi sono scritte le sue volontà testamentarie. La scheda viene sigillata dal notaio che poi fa sottoscrivere l’atto di ricevimento pure al testatore e ai due testimoni, oltre a sottoscriverlo anch’egli, che né è l’autore. La scheda può non essere autografa: può essere scritta, perciò, anche da un terzo o con mezzi meccanici.
Non occorre la data: data del testamento segreto è quella dell’atto di ricevimento. È essenziale, tuttavia, che il testatore sappia o possa leggere per poter controllare ciò che è stato scritto: chi non sa o non può leggere, non può fare testamento segreto e può servirsi solo della forma del testamento pubblico.

574  Il testamento “internazionale”  
Il testamento internazionale consiste nella consegna al notaio di un documento su cui risultano scritte le disposizioni testamentarie e nella dichiarazione, resa al notaio dal testatore in presenza di due testimoni, che il documento consegnato è il suo testamento e che egli è a conoscenza di quanto in esso contenuto.

575  testamenti speciali
le forme dei vari tipi di testamento ordinario non possono essere osservate in particolari circostanze, nelle quali non è consentito ricorrere al notaio; a bordo di navi  o di aereomobili, testamenti dei militari.
Questi testamenti perdono la loro efficacia 3 mesi dopo la cessazione della causa che ha impedito al testatore di valersi delle forme ordinarie o dopo che il testatore sia venuto a trovarsi in un luogo in cui è possibile fare testamento nelle forme ordinarie.

576  Invalidità del testamento
La mancanza di elementi senza i quali non v’è la certezza  della provenienza del testamento dalla persona a cui si vuole attribuirlo, non può essere la nullità assoluta ed imprescrittibile dell’atto.
L’inosservanza di tutte le altre ipotesi è comminata l’annullabilità deducibile da chiunque vi abbia interesse (annullabilità assoluta), soggetta a prescrizione quinquennale, decorrente dal giorno in cui è stata data esecuzione al testamento.

577  La revoca del testamento
Il testamento è revocabile fino all’ultimo momento di vita del testatore. La revocazione espressa può farsi soltanto o con un atto che abbia gli stessi requisiti formali richiesti per un valido testamento, indipendentemente, quindi, dal fatto che nell’atto sia manifestata solamente la volontà di revocare un testamento precedente oppure siano anche contenute nuove disposizioni testamentarie; o con un atto notarile, destinato esclusivamente alla revoca.
La revocazione tacita si verifica in vari casi: innanzitutto un testamento posteriore comporta la revoca tacita di tutte quelle disposizioni contenute in atti anteriori che siano incompatibili con le nuove volontà del testatore; per quanto riguarda il solo testamento olografo, la sua distruzione, lacerazione o cancellazione fa presumere la revoca delle disposizioni in esso contenute, salva agli interessati la possibilità di provare che la distruzione, lacerazione o cancellazione furono opera di persona diversa dal testatore o che il testatore non aveva intenzione di revocare il testamento. La revoca di un testamento può essere a sua volta revocata, determinando la reviviscenza delle volontà revocate, ma a condizione che la revoca della revoca sia fatta in forma espressa.

578  la pubblicazione del testamento
La pubblicazione del testamento ha luogo, su richiesta di chiunque vi abbia interesse, davanti ad un notaio. Anzi è fatto obbligo a chiunque sia in possesso di un olografo di presentarlo ad un notaio dopo la morte del testatore per la pubblicazione. Il procedimento per la pubblicazione consta di alcune formalità:

  1. presenza di due testimoni;
  2. verbale redatto nella forma degli atti pubblici e contenente la descrizione dello stato do testamento, la riproduzione del suo contenuto, l’eventuale menzione dell’apertura del testamento se sigillato;
  3. sottoscrizione della persona che presenta il testamento;
  4. allegati al testamento: la carta in cui è scritto il testamento vidimata in ciascun mezzo foglio dal notaio e dai testimoni; l’estratto dell’atto di morte del testatore o la copia del provvedimento che ordina l’apertura degli atti di ultima volontà dell’assente o della sentenza che dichiara la morte presunta.

579  L’esecuzione del testamento                                                      
Per l’esecuzione del testamento, il testatore può nominare uno o più esecutori. Questi hanno il compito di curare che siano esattamente eseguite le disposizioni di ultima volontà del defunto. Di regola hanno il possesso, per non oltre un anno, dei beni ereditari e devono amministrarli come un buon padre di famiglia. Alla fine devono rendere conto della loro gestione e consegnare i beni all’erede. La dottrina ritiene che essi esercitino un ufficio di diritto privato.

Capitolo 81: IL LEGATO

  1. Nozione

Il legato è una disposizione a titolo particolare, che, cioè, non comprende l’universalità o una quota dei beni del testatore. L’assenza del legato consiste in un’attribuzione patrimoniale relativa a beni determinati, e che normalmente importa un beneficio economico per la persona designata dal testatore. Il legato è, di regola, disposto con testamento, ma può anche derivare dalla legge. Si dice legatario la persona a cui favore la disposizione è fatta. egli, quale successore a titolo particolare, non risponde dei debiti ereditari. Il sublegato si distingue dal prelegato, che è il legato a favore coerede e a carico dell’eredità. Ciò significa che l’erede beneficiato dal prelegato risponderà dei debiti ereditari soltanto in proporzione della quota ereditaria e non anche del valore dei beni pervenutigli a titolo di prelegato. Oggetto del legato può essere o il diritto di proprietà o altro diritto reale su cosa determinata già appartenente al testatore, oppure di cose determinate solo nel genere.

581  Acquisto del legato
Il legato di genere dà luogo ad un rapporto obbligatorio: il legatario è un creditore dell’erede. Il legato si acquista di diritto, senza bisogno di accettazione; il legatario ha però facoltà di rinunciare. La rinuncia può essere espressa o tacita.

582  Tipi particolari di legati
Legato di cosa altrui. Presuppone che la proprietà o il diritto reale appartenesse al de cuius. Se, invece, apparteneva a terzi, o allo stesso legatario, bisogna distinguere. Se il testatore ignorava che la cosa non era sua, il legato è nullo. Se, invece, dal testamento o da altra dichiarazione scritta del testatore risulta che egli conosceva che la cosa apparteneva ad altri, allora il legato avrà effetti obbligatori.
Legato di genere. Esso è valido anche se nessuna cosa del genere considerato fa parte del patrimonio ereditario: il legatario sarà tenuto ad acquistare il numero o la quantità di cose stabilita dal testatore.
Nel legato alternativo (lascio a X il camion). Si applicano i princìpi stabiliti per le obbligazioni alternative: la scelta spetta al legatario.
Altre figure di legati sono:

  1. legato di credito;
  2. legato di liberazione da un debito;
  3. legato a favore del creditore;
  4. legato alimentare.

Capitolo 82: LA DIVIZIONE DELL’EREDITA’

 

  1. La comunione ereditaria

 

Se l’eredità è acquistata da più persone, si forma sui beni ereditari tra i coeredi medesimi una comunione.
Alla comunione ereditaria si applicano le regole stabilite in generale per la comunione (art.1100 c.c.).
Tuttavia, mentre nella comunione ordinaria ciascun partecipante può liberamente alienare la propria quota, nella comunione ereditaria, i coeredi hanno diritto di essere preferiti agli estranei, qualora uno di essi intenda alienare la sua quota o una parte di essa.
Se viene omessa la notificazione agli altri coeredi e il coerede procede alla vendita della sua quota, gli altri coeredi possono riscattare la quota per il prezzo pagato.

584  La divisione

Lo stato di comunione cessa con la divisione.
Ciascuno dei soggetti che partecipavano alla comunione medesima ottiene la titolarità esclusiva su una parte determinata del bene, o dei beni che erano comuni, corrispondente per valore alla quota spettante nello stato di indivisione.

585  Natura della divisione

La divisione ha natura dichiarativa ed effetto retroattivo.
Ciò significa che, se della comunione fanno parte un appartamento ed una bottega e l’appartamento viene assegnato nella divisione al coerede Tizio e la bottega al coerede Caio, Tizio si considera come se fosse stato proprietario esclusivo dell’appartamento e Caio della bottega fin dal momento in cui è sorta la comunione.

586  La divisione contrattuale

Se il contratto di divisione riguarda beni immobili, è richiesta ad substantiam la forma scritta.
Ed il contratto medesimo è soggetto, se riguarda beni immobili o mobili registrati, a trascrizione.
Il contratto di divisione può essere annullato per errore o dolo, ma non per errore.

587  La divisione giudiziale

Nel giudizio di divisione si procede dapprima alla stima dei beni, quindi alla formazione delle porzioni.
Ciascuno dei coeredi ha diritto alla sua parte in natura dei beni mobili ed immobili dell’eredità.
Tuttavia, non sempre questa norma può essere rigorosamente applicata: vi sono beni che non possono essere divisi, o perché indivisibili per natura, o perché la divisione non è opportuna nell’interesse della produzione. Allora questi beni sono venduti all’incanto e il danaro ricavato è diviso tra i coeredi.

588  Divisione fatta dal testatore

Se il testatore nel fare le porzioni lede la quota di legittima spettante ad alcuno dei coeredi, questi può sempre agire con l’azione di riduzione.
Secondo la dottrina, la divisione del testatore non è vera e propria divisione, perché non vi è in nessun memento una comunione ereditaria ed anzi questa viene impedita dal testatore prima che, con l’apertura della successione, possa sorgere.
In sostanza il testatore non fa che assegnare beni determinati.

  1. I debiti ereditari

 

I debiti e i pesi ereditari devono essere sopportati da ciascuno dei coeredi in proporzione della propria quota di eredità.
Questa regola vale non solo nei rapporti interni tra coeredi, ma pure nei rapporti esterni, di fronte al creditore: vale a dire che ciascun creditore del de cuius non può pretendere dal singolo coerede, a meno che si tratti di un’obbligazione indivisibile, più di quanto proporzionalmente è imputabile alla quota ereditaria.

590  La garanzia per evizione

Se un terzo assume che il de cuius non era proprietario di uno o più beni compresi nella porzione attribuita ad uno dei coeredi ed il coerede è costretto a rilasciare i beni richiesti, ecco che viene a mancare la corrispondenza della porzione con la quota ereditaria.
È giusto, pertanto, che il danno non sia subìto solo dalla persona a cui era stato assegnato proprio il bene oggetto della evizione, ma sia ripartito tra tutti i coeredi, i quali, perciò, come il venditore è tenuto a garantire il compratore, sono tenuti tra di loro alla garanzia per evizione.

  1. La collazione

 

La funzione della collazione consiste nel mantenere tra i discendenti e il coniuge del de cuius chiamati a succedergli la proporzione stabilita nel testamento o nella legge.
Alla collazione non si fa luogo quando il testatore ha disposto diversamente.
Non sono soggette a collazione le spese ordinarie fatte dal padre a favore del figlio; le donazioni di modico valore fatte al coniuge.
È invece soggetto a collazione ciò che il defunto ha speso a favore dei suoi discendenti per assegnazioni fatte a causa di matrimonio, per avviarli all’esercizio di un’attività produttiva o professionale, per soddisfare premi relativi a contratti di assicurazione sulla vita a loro favore o per pagare i loro debiti.
La collazione si distingue dalla riduzione, perché la collazione serve a mantenere tra gli aventi diritto la proporzione stabilita nel testamento o nella legge; la finalità della riduzione è, invece, quella di salvaguardare la quota di legittima.
La collazione si distingue, inoltre, dalla riunione fittizia, perché nella collazione la riunione delle donazioni con il patrimonio esistente alla morte del de cuius è reale e serve a formare la massa da dividere tra i coeredi, nella riunione fittizia, se non risulta lesa la legittima, l’operazione si riduce ad un calcolo che rimane sulla carta, senza produrre conseguenza: se vi è lesione, le donazioni non rientrano nella massa ereditaria, ma sono soltanto eventualmente esposte a riduzione.

 

LE LIBERALITA’

 

Capitolo 83: LA DONAZIONE

 

  1. Natura

La donazione è definita nell’art.769 c.c. un contratto ed in verità essa richiede per la sua perfezione il consenso di due parti: non soltanto occorre la volontà del donante di arricchire l’altra parte senza corrispettivo, ma perché questo risultato si produca, è necessaria l’accettazione dell’altra parte. La donazione deve essere spontanea.
Elementi della donazione sono:

  1. Lo spirito di liberalità costituisce la causa del contratto. Pertanto rientra nello schema della donazione la c.d. donazione remuneratoria. Tale donazione è irrevocabile, non obbliga a prestare gli alimenti al donante, ma comporta a carico del donatario la garanzia per evizione.
  2. L’arricchimento, ossia l’incremento del patrimonio del donatario. L’arricchimento può realizzarsi o disponendo a favore di un altro di un diritto, o assumendo un’obbligazione verso il donatario (donazione obbligatoria), purchè non si tratti di un facere. La donazione rientra nella categoria dei negozi a titolo gratuito. Ma non tutti i negozi a titolo gratuito costituiscono una donazione.

593  La donazione indiretta

Lo scopo di arricchire un’altra persona si può raggiungere o mediante la via diretta del negozio di donazione o in altri modi indiretti e, cioè, avvalendosi di atti che hanno una causa diversa.
Esempio: se voglio aiutare uno studente povero e meritevole, gli pago le tasse universitarie, compio un atto la cui causa consiste nell’estinzione del debito, ma che avvantaggia lo studente allo stesso modo che se gli donassi la somma necessaria per il pagamento delle tasse.
Costituisce un caso di donazione indiretta pure la vendita a prezzo inferiore al valore della cosa.
Per aversi la figura del negozio misto con donazione, non basta che vi sia la sproporzione tra le due prestazioni, ma occorre ancora che questa sproporzione sia voluta da colui che la subisce allo scopo di attuare una liberalità e che questa finalità sia nota ed accettata dall’altra parte.
La donazione indiretta deve essere distinta dalla donazione simulata: nella prima il negozio apparente è quello effettivamente voluto e concluso, non esiste divergenza tra volontà e dichiarazione ed il contratto produce realmente l’effetto dichiarato: nella seconda, invece, il contratto apparente non corrisponde alla vera volontà delle parti, le quali danno parvenza di negozio oneroso alla loro volontà di stipulare un contratto gratuito.

594  Requisiti e disciplina

La capacità di donare è regolata dai princìpi generali: non possono fare donazioni i minorenni, l’interdetto, l’inabilitato, l’incapace naturale. Un’eccezione è fatta per le donazioni a causa di matrimonio.
Poiché per la donazione è richiesto l’atto pubblico ad substantiam, la procura a donare deve essere fatta ugualmente per atto pubblico e sempre con l’intervento dei testimoni.
A ragioni di protezione degli incapaci contro il rischio di abusi si ispira il divieto di donazione a favore del tutore o del produttore. Oggetto della donazione non può essere un bene futuro né un bene altrui.
Se la donazione ha per oggetto cose mobili, nell’atto deve essere contenuta la specificazione del loro valore. Inoltre, la donazione può avere per oggetto la nuda proprietà con riserva dell’usufrutto a favore del donante.
Questi può anche stabilire che dopo di lui l’usufrutto sia riservato ad un’altra persona o a più persone, ma non successivamente.
La donazione può essere sottoposta a condizione. Un particolare tipo di donazione, sottoposto a condizione sospensiva mista, è la donazione fatta in riguardo ad un futuro matrimonio.
Altra particolare condizione è quella di riversibilità. Si tratta, in sostanza, di una condizione risolutiva: si stabilisce che i beni ritornino al donante nel caso che il donatario muoia prima del donante stesso.
La donazione può essere gravata di un onere o modo (donazione modale), nella quale si esula l’idea di corrispettivo.
Le sostituzioni sono consentite nelle donazioni nei casi e nei limiti stabiliti per gli atti di ultima volontà. 

  1. Invalidità della donazione

L’errore sul motivo della donazione la rende annullabile se il motivo risulti dall’atto e sia il solo che ha determinato il donante a compiere la liberalità.
Il motivo, però, deve sì aver avuto efficacia determinante esclusiva, ma non è necessario che sia comune ad entrambe le parti, basta che risulti dall’atto.
La nullità non è sanabile e non è suscettibile di conferma.
Inoltre, la giurisprudenza ritiene applicabile l’art.799 c.c. non solo quando la liberalità manchi nelle forme speciali all’uopo prescritte, ma anche quando sia priva di qualsiasi forma.

596  La revoca della donazione

Come tutti i contratti, la donazione non può sciogliersi se non per le cause ammesse dalla legge.
Tuttavia, in presenza di due gravi ragioni la legge prevede che la donazione possa essere revocata.
Tali cause sono:

  1. ingratitudine del donatario;
  2. sopravvenienza dei figli.

È ovvio che se il donante avesse preveduto che la donazione da lui fatta gli avrebbe provocato l’ostilità e l’ingratitudine del donatario, non avrebbe certamente fatto la donazione.
Inoltre il donante se avesse saputo che egli aveva figli, il naturale amore verso la prole lo avrebbe probabilmente indotto a tutt’altro avviso.
Perchè la revoca sia efficace, basta che il donante proponga la domanda; non occorre alcuna dichiarazione del donatario.

 

LA PUBBLICITA’ IMMOBILIARE

Capitolo 84: LA TRASCRIZIONE

597  Premessa

La trascrizione è un mezzo di pubblicità che si riferisce agli immobili o ai mobili registrati. Essa serve a far conoscere ai terzi le vicende giuridiche di un immobile o di un mobile registrato.

598  La funzione originaria della trascrizione

Come potrebbe che intende acquistare diritti reali su un bene sapere se l’alienante non li abbia già trasferiti ad altri? Egli non sarebbe mai sicuro. A questo problema, l’ordinamento giuridico soccorre con l’adozione di due criteri diversi. Per i mobili non registrati, il conflitto tra più acquirenti dal medesimo titolare è risolto in base al principio del possesso vale titolo. Invece, il conflitto tra più acquirenti dello stesso diritto dal medesimo titolare, viene appunto risolto in base alla trascrizione: colui che per primo ha fatto trascrivere in pubblici registri il trasferimento è preferito rispetto a colui che non ha trascritto affatto o ha trascritto successivamente il suo titolo d’acquisto.

599  La natura dichiarativa della trascrizione

Appunto perché la trascrizione non è un elemento integrale della fattispecie negoziale, essa attua una forma di pubblicità dichiarativa. Eccezionalmente, in alcuni casi la trascrizione ha efficacia costitutiva. Tra di essi, il più importante è rappresentato dall’usucapione abbreviata. Perché tale usucapione si maturi occorrono la buona fede dell’acquirente e la trascrizione del titolo d’acquisto. In questo caso, se non ho trascritto il titolo, non posso vantare nei confronti di nessuno il mio diritto di proprietà.
Sotto un altro profilo, l’efficacia della trascrizione è duplice:

  1. efficacia negativa: gli atti non trascritti si presumono ignoti ai terzi e quindi l’atto non trascritto non spiega la sua efficacia verso i terzi;
  2. efficacia positiva: gli atti trascritti si presumono conosciuti e quindi l’atto trascritto è efficace contro qualunque terzo. Sappia o non sappia il soggetto che la trascrizione è stata effettuata, per la legge è come se lo sapesse.

600  La nozione di terzo   

Ai sensi dell’art.2644 c.c., sono terzi soltanto coloro che abbiano acquistato diritti sull’immobile oggetto di quegli atti “in base ad un atto trascritto o iscritto anteriormente” rispetto alla trascrizione di quegli atti medesimi. Dunque, ipotizzata la trascrizione di una compravendita da Primus a Secundus, si considera terzo, soltanto colui il quale abbia acquistato, a qualunque titolo, un diritto lesivo della proprietà acquista da Secundus e abbia già provveduto a trascrivere o iscrivere il suo titolo d’acquisto nel pubblico registro immobiliare.
Non può invece considerarsi terzo l’eventuale sub-acquirente, così come l’eventuale rappresentante, vuoi dell’alienante che dell’acquirente. Allo stesso modo, ovviamente, non è terzo il notaio o un creditore chirografario.

601  L’impostazione dei nostri registri immobiliari

Il nostro ordinamento si basa su un criterio personale con partite intestate nei registri al nome della singola persona interessata. Il Conservatore non deve fare, quando gli viene richiesto di procedere alla trascrizione di un atto, alcuna indagine in ordine alla validità ed efficacia sostanziale di tale atto, ma possa limitarsi a verificare che il titolo di cui gli si chiede la trascrizione sia un atto pubblico, o una scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente.

602  Il principio della continuità delle trascrizioni

Per cercare di indurre i soggetti a trascrivere, il legislatore introduce il principio della continuità delle trascrizioni. Difatti, ad evitare che chi consulta i registri controllando la posizione di un determinato soggetto non sia in grado di rendersi conto della trascrizione di un acquisto precedente nei confronti del dante causa del soggetto rispetto al quale la verifica viene condotta, il legislatore sanziona il comportamento di chi non provvede a trascrivere il proprio titolo di acquisto rendendo inopponibili al suo avente causa anche trascrizioni anteriori ove manchi la trascrizione di un anello della catena: e così le trascrizioni o iscrizioni a carico di un acquirente, quand’anche anteriori, sono inopponibili nei confronti di chi abbia (quand’anche successivamente) trascritto o iscritto atti di acquisto provenienti dal dante causa dell’alienante. Quindi, chi acquista diritti reali su beni immobili, per essere tranquillo, non ha soltanto l’onere di curare la trascrizione del proprio titolo d’acquisto, ma deve anche preoccuparsi di accertare se risulti trascritto il titolo di acquisto del suo dante causa e se ravvisa, a questo riguardo, una omissione e, pertanto, una lacuna nella serie di trascrizioni che lo devono proteggere, deve preoccuparsi, per rendere inattaccabile il suo acquisto, di fare in modo che venga ripristinata la continuità delle trascrizioni, e che quindi anche il titolo di acquisto del dante causa del suo dante causa venga anch’esso trascritto.

603  Atti soggetti a trascrizione   
Gli atti rispetto ai quali la trascrizione svolge la funzione di dirimere il conflitto tra due acquirenti dal medesimo titolare, sono indicati nell’art.2643 c.c. Gli atti soggetti a trascrizione si individuano in base ai beni cui si riferiscono (immobili, mobili registrati). Gli atti si suddistinguono in diverse categorie:

  1. contratti traslativi della proprietà, o costitutivi o traslativi o modificativi di diritti reali immobiliari; atti tra vivi di rinuncia alla proprietà e ai diritti reali;
  2. contratti relativi a diritti personali su beni immobili, soltanto, tuttavia, se superano una certa durata; o al conferimento del godimento di beni immobili in una società o in una associazione per un periodo superiore ai 9 anni;…;
  3. le transazioni quando abbiano per oggetto controversie sui diritti dei punti precedenti.;
  4. sono soggette a trascrizione pure le sentenze che operano la costituzione, il trasferimento o la modificazione di uno dei diritti dei punti precedenti, ossia le sentenze costitutive.

604 Trascrizione degli acquisti mortis causa  
L’art.2650 c.c. è applicabile anche all’acquisto mortis causa, cosicchè non ci si può avvalere della priorità della propria trascrizione fino a quando non siano stati trascritti tutti i precedenti acquisti facenti capo ai propri dante causa, sia pure remoti, appartenenti alla stessa catena, senza possibilità di distinguere tra acquisti inter vivos e acquisti dante causa. Quindi la trascrizione dell’acquisto mortis causa non giova direttamente all’acquirente, ma soltanto ai suoi aventi causa.

  1. Altre funzioni della trascrizione

Per quanto riguarda la trascrizione delle divisioni, dobbiamo tener presente l’art.1113 c.c. e l’elenco dei soggetti aventi diritto ad intervenire nella divisione. A questa, difatti, devono partecipare non solo tutti i comunisti, ma pure i creditori e gli aventi causa i quali, trattandosi di dividere beni immobili, abbiano non solo notificato un’opposizione anteriormente alla divisione, ma abbiano anche trascritta tale opposizione prima della trascrizione dell’atto di divisione e, se si tratta di divisione giudiziale, prima della trascrizione relativa domanda. Devono poi essere trascritti, se hanno per oggetto beni immobili, la costituzione del fondo patrimoniale, le convenzioni matrimoniali che escludono i beni stessi della comunione tra i coniugi, gli atti e i provvedimenti di scioglimento della comunione, gli atti di acquisto di beni personali.

  1. La trascrizione delle domande giudiziali

Il legislatore assoggetta all’onere della trascrizione anche numerose domande giudiziali (artt.2652-2653 c.c.). In questi casi la trascrizione serve a mettere in grado i terzi di conoscere che in ordine a quel bene è stata mossa una contestazione il cui esito, a seguito della trascrizione, diventa opponibile pure agli aventi causa dal convenuto. In questi casi, se la domanda trascritta verrà successivamente accolta, la stessa sentenza di accoglimento verrà considerata opponibile ai terzi aventi causa del convenuto.

607  Modalità per eseguire la trascrizione
La trascrizione deve essere richiesta presso l’ufficio dei registri immobiliari nella cui circoscrizione si trova il bene. Si può ottenerla soltanto in forza di sentenza oppure di atto pubblico o di scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente. Per la trascrizione di una domanda giudiziale, occorre presentare copia autenticata del documento che la contiene, munita della relazione di notifica alla controparte. Se nelle note vi sono omissioni o inesattezze, queste determinano la nullità della trascrizione soltanto se esse sono tali da indurre incertezza sulle persone o sul rapporto giuridico a cui l’atto si riferisce.

 

 

 

 

 

Fonte: http://studiando.altervista.org/UNIVERITY/1anno/PRIVATO/I%20RAPPORTI%20DI%20FAMIGLIA.doc

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