I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore
Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
Sui rapporti genitori – figli circolava anni fa una sferzante vignetta di Quino, il geniale “inventore” di Mafalda. Durante un litigio tra Mafalda e sua madre, quest’ultima, per troncare la discussione ricorrendo a un principio di autorità, apostrofava la figlia dicendole: “… e ricordati che sono tua madre!” Al che, prontamente, Mafalda replicava: “E allora? Io sono tua figlia. Ci siamo diplomate lo stesso giorno…”
La battuta serve per ricordarci un concetto di basilare importanza: essere genitori non è un “già dato” acquisito una volta e per sempre all’atto del mettere al mondo una nuova creatura, ma una conquista da inserire quotidianamente nella dinamicità del crescere e del perfezionarsi. Che è sempre un crescere e un perfezionarsi individuale, che chiama tuttavia in causa anche il contesto sociale nel quale siamo inseriti.
È cosi che, in concomitanza con la diffusione sempre maggiore che assumono, nelle scienze umane e sociali, i concetti di integrazione sociale e di lavoro di rete, cominciano a diffondersi anche riflessioni sulla genitorialità intesa come estensione della responsabilità educativa e contestuale nei confronti dei minori. Questa estensione comporta l’elaborazione di un concetto che ingloba e supera quello tradizionale di famiglia ristretta, stimolando un cambiamento di prospettiva.
L’idea che sottende la nozione di genitorialità condivisa è quindi duplice:
In casa, i padri sanno fare anche le madri e viceversa; sul territorio e nella società i genitori si incontrano, si confrontano, si organizzano, dialogano e prendono insieme comuni decisioni educative. La genitorialità socialmente condivisa è così in grado di ricostruire una responsabilità collettiva che si oppone alla privatizzazione della famiglia e produce alleanze e legami di rete con ogni altra risorsa educativa. Così, con la loro intesa e il loro lavoro comune, le famiglie organizzate ricostruiscono per così dire “dal basso” nuovi valori solidaristici e nuovi orientamenti comunitari.
Due elementi della società complessa sembrano oggi rivestire, più di altri, una funzione determinante per la strutturazione della famiglia: la frammentazione e la privatizzazione.
È noto come, da un punto di vista sociologico, uno slittamento importante sia stato quello che ha portato da una società rigida ad una fortemente differenziata. La società odierna è diventata la “società del frammento”. Ciò ha comportato e comporta notevoli conseguenze sulla vita della famiglia. Infatti, tre elementi basilari dell’organizzazione della vita sociale e relazionale – l’àmbito della produzione-consumo (e dunque del lavoro), quello dello svago e del tempo libero, quello dell’istruzione e dell’addestramento professionale – vengono sganciati dall’àmbito familiare.
Ora, questa frammentazione o segmentazione ha interessato e interessa sempre più il piano etico dell’esistenza: esiste un’etica per il lavoro e l’economia, una per lo svago ed i week-end, un’etica per l’istruzione e la trasmissione culturale; leggi ed etiche scollegate tra loro, non facenti più parte di un continuum (geometricamente: un cerchio, una retta), ma appunto “frammenti”, “segmenti”. Questi segmenti della vita vanno avanti seguendo ognuno una propria direzione, spesso entrando tra loro in conflitto, in rotta di collisione. Non esiste più un punto fermo che si ponga come regolatore delle diverse istanze, che sappia indicare soluzioni unitarie e conseguenti. Il regolatore diventa, in qualche misura, l’esperienza. Tutto è esperienza. E la famiglia diventa autopoietica, vale a dire si crea le norme al suo interno, si configura cioè, per usare un’espressione del sociologo tedesco Niklas Luhmann, come un sottosistema societario.
Schematicamente, la frammentazione si caratterizza dunque per i seguenti sette parametri, inevitabilmente provvisori:
L’uomo e la donna si scoprono frammentati, divisi: e questo non solo sul piano della vita quotidiana, o a livello sociale, ma proprio sul piano psicologico. Lo psichiatra inglese Ronald Laing definisce questa condizione con il termine di “io diviso”. Questa divisione o frammentazione dell’io determina spesso, dal versante psicologico, l’insorgenza di meccanismi di difesa. Restando nell’orizzonte della psicologia sociale, si potrebbe avanzare la seguente ipotesi di lavoro: la privatizzazione funziona come meccanismo di difesa contro l’ansia depressiva derivante dalla frammentazione e dal decentramento etico. Analizziamo un po’ più nello specifico tale ipotesi.
Storicamente l’uomo e la donna, e la famiglia, vivono due passaggi. Il primo è quello della riscoperta della libertà. Nei confronti dei vari attori sociali non ci sono più quelle piccole comunità (famiglia estesa, villaggio) che da un lato fornivano una sicurezza di appartenenza, ma dall’altro lato erano vissute, per le pressioni psicologiche che esercitavano, come un’autentica “camicia di forza”. Liberati da queste costrizioni, gli uomini e le donne inseriti in un contesto di modernità hanno sperimentato l’ebbrezza del sentirsi liberi: liberi soprattutto di poter organizzare la propria vita, e liberi da norme morali rigidamente prefissate e socialmente vincolanti.
Ma subentra presto – ed è il secondo passaggio – una scoperta. Questa libertà è solo apparente in quanto dall’esterno del vissuto individuale dell’uomo e della donna di oggi provengono domande con un peso spesso superiore alle possibilità personali di risposta. Da ognuno dei “segmenti” indicati – lavoro, scuola, tempo libero ecc. – giungono pressanti richieste di impegno: una carriera fonte di angoscia sempre crescente, con la necessità di salvaguardare dei pesanti status-symbol; i week-end sempre più faticosi; le relazioni di amicizia sempre più coinvolgenti; la necessità di studi sempre più lunghi, approfonditi, costosi; all’uomo e alla donna si chiede spesso di appartenere ad un sindacato, ad un partito politico, ad un gruppo ecclesiale, ad un’organizzazione culturale, a un club sportivo, a un comitato di quartiere o di genitori; e poi bisogna fare palestra, portare i figli a nuoto, a scherma, a pallavolo, a inglese, a danza... Impegni non alternativi, ma concomitanti. Ernest Henau, sociologo olandese, parla di sirene sociali.
Qual è l’esito dell’irruzione di queste “sirene sociali”, con il loro canto coinvolgente, nella vita degli individui? Si stabilisce una reazione. L’uomo e la donna prendono le distanze, si ritirano nel privato, cercano delle “zone rifugio”. La famiglia, ma anche talune relazioni amicali, possono rappresentare queste zone rifugio.
Schematizzando, le transizioni descritte potrebbero in conclusione essere sintetizzate nel modo seguente:
FINE DELLA PRESSIONE SOCIALE DA PARTE DELLA FAMIGLIA ESTESA O DEL VILLAGGIO
PRIMA FASE: RISCOPERTA DELLA LIBERTA’
SECONDA FASE: SIRENE SOCIALI
RITIRO (RIFLUSSO) NEL PRIVATO
FAMIGLIA = ZONA RIFUGIO
INDIVIDUALISMO – PRIVATIZZAZIONE – ISOLAMENTO
Il modello educativo proposto dalla nozione di genitorialità condivisa è quindi quello di puntare sulla qualità delle relazioni interpersonali per tentare di uscire dalla morsa della privatizzazione dell’esistenza, che acuisce l’ampiezza delle situazioni problematiche in quanto rende più difficile intravedere, al loro interno, possibili vie di uscita. Emerge al riguardo un apparente paradosso: se, rispetto alle situazioni di maggior fatica, è negli ultimi anni notevolmente cresciuta, pur ancora all’interno di molte difficoltà, una cultura dei servizi di assistenza e tutela alla persona, sembra però diminuire la qualità delle relazioni individuali, con l’aumento, favorito anche dal meccanismo collettivo della delega sociale, delle sacche di solitudine. Così, il problema del nostro tempo sembra consistere sempre meno nelle strutture carenti, nelle scuole che mancano, nei servizi insufficienti e sempre più invece nei rapporti interpersonali, poveri di umanità.
Collegato a questo vi è da rimarcare un altro fenomeno che interessa sociologicamente la famiglia odierna, vale a dire il declino sociale dell’immagine paterna. Lo spazio paterno, infatti, è stato travolto dalle trasformazioni sociali e culturali più di ogni altro ruolo familiare ed è stato seriamente messo in discussione da una molteplicità di cause. Ci avviamo sempre più verso una società senza padre: “la nostra società, in preda ad una crisi di autorevolezza, tende a sopprimere la figura paterna piuttosto che a modificarne l’immagine e il ruolo stereotipato”. Il passaggio dalla famiglia etica, impostata sui valori da trasmettere, alla famiglia affettiva, basata sul dialogo e sulla tenerezza, ha certamente enfatizzato il ruolo della figura materna. Anche il padre si è, per così dire, “maternizzato”, non reprime più la tenerezza, non ne prova vergogna, conosce e apprezza il contatto fisico (le “coccole”). In tal maniera, l’orizzonte della paternità si è fatto più ampio e differenziato. Ciò che un tempo si chiedeva al padre, in termini per esempio di autorità, è ora cercato e trovato altrove. E tuttavia, se è vero che, da una parte, la paternità è spesso presentata in termini di assenza, di distanza, di mancanza di autorità, dall’altra parte la ricerca specializzata mette in evidenza il valore insostituibile della funzione paterna nella maturazione psicologica e sociale dei minori, e degli adolescenti in particolare.
Molta bibliografia sulla genitorialità sottolinea infatti l’importanza della funzione paterna nel percorso della crescita dell’autonomia e, contestualmente, il ruolo della capacità della madre di riconoscere, agli occhi del figlio, la parola del padre. Nel generale clima di disorientamento odierno si è offuscato il riferimento alla legge e il concetto di obbedienza sembra essere entrato in crisi. Nella società senza padre è più difficile riconoscersi figli, la maturazione dell’identità sessuale è più lenta e più difficile, aumentano le forme di dipendenza. Senza il sostegno del padre è più difficile accettare e aderire alla realtà distinguendola dall’immaginario e più potente è il fascino dei mondi virtuali.
Lo spazio paterno e quello materno, più che ruoli di genere, precisi e definiti, vanno però considerati come due atteggiamenti complementari che, in qualche modo, devono coesistere in ogni atteggiamento autenticamente genitoriale. Tale atteggiamento si concretizza, per fare taluni esempi, in azioni come le seguenti:
Il padre debole è una realtà educativa diffusa: a volte non si sa neanche più riconoscerne il linguaggio e individuarne lo spazio e le qualità. Il padre che non riesce a farsi obbedire per amore e non intende pretendere obbedienza con l’imposizione, può essere tentato di farsi seguire per ammirazione, percorrendo la strada della seduzione o della complicità, ricorrendo all’antico modello dell’onnipotenza. I grandi temi della genitorialità sono quindi l’autonomia, la responsabilizzazione, l’introduzione attiva nella società. La crisi del padre va messa in relazione con un mutato rapporto tra famiglia e società. Oggi la famiglia non è più generalmente considerata la cellula della società, ossia alla stregua di elemento essenziale del più generale rapporto sociale, ma è piuttosto trattata, come già si accennava sopra, alla stregua di sottosistema particolare, al quale sono affidati i compiti specifici che la società riconosce alla famiglia. Questi sono, schematicamente, riconducibili a due:
Gli scenari possibili di una genitorialità condivisa portano a ipotizzare il sorgere di forme inedite di organizzazione come, per esempio, la genitorialità di comunitàe la genitorialità di vicinato. Vediamole in sintesi:
Nella genitorialità di comunità, genitori che frequentano una medesima comunità territoriale si conoscono, si parlano e si confrontano, fino a giungere anche a prendere insieme alcune decisioni che riguardano i figli. Il confronto reciproco e il mutuo sostegno rendono più autorevoli le loro decisioni, più motivati e convinti i loro interventi. Il compito genitoriale si alleggerisce di fatica e di ansia;
Nella genitorialità di vicinato, invece, i genitori, vicini di casa, vincono la diffidenza e la paura del confronto avviando uno scambio di idee e di esperienze educative. In questo modo, rinvigoriscono quel buon vicinato che, da sempre, quando inteso come solidarietà e non come controllo, ha costituito un’ottima occasione di mutuo sostegno, nonché un’esperienza di famiglia allargata e di codice paterno rinforzato. Ammettere le proprie insicurezze, raccontare anche le perplessità e i fallimenti, in un contesto di solidarierà, di empatia e di partecipazione affettiva, può rappresentare l’occasione per riflettere ed elaborare, offrendo stimoli per nuove domande e ulteriori impegni.
Un contesto a misura di bambino?
Abbiamo detto che ci troviamo, oggi, in un mondo per lo più disorientato. La condizione di paradossale contraddizione nella quale si trovano a vivere i bambini, contesi da sollecitazioni contrastanti, ne è forse la testimonianza più eloquente.
Mai forse come oggi i genitori sono stati convinti di considerare importanti i loro figli, mai forse li hanno circondati di tanta cura ed affetto, eppure a molti bambini manca ancora la possibilità di un sufficiente attaccamento emotivo nella loro famiglia.
Risulta quindi legittimo interrogarsi: quanto viviamo effettivamente in un contesto a misura di bambino? Pensare “contesti a misura di bambino” significa progettare e vivere luoghi in cui i bambini possano crescere serenamente, avere spazi per giocare, sperimentare e sperimentarsi: ma quanto le nostre città, sempre più a misura di automobili e centri commerciali, sempre più simili a quelli che l’antropologo e sociologo Marc Augé chiama significativamente i non-luoghi, sono in grado di organizzarsi e modificarsi in tal senso? Del resto, comincia a diffondersi, in vari àmbiti della pedagogia, della psicologia dell’età evolutiva, della sociologia urbana, la convinzione che se l’organizzazione delle città prenderà in considerazione anche solo alcune delle esigenze vitali dei bambini (per esempio con l’allestimento di spazi gioco, luoghi di incontro nel verde, percorsi pedonali e ciclabili protetti ecc.) migliorerà, per conseguenza, anche la vivibilità degli spazi urbani, con conseguente minore congestione del traffico, migliore sicurezza delle strade, più controllata salubrità dell’aria…
I servizi per il sostegno della genitorialità stanno sperimentando il beneficio che arrecano anche al mondo degli adulti la vivacità, la spensieratezza e l’affetto dei piccoli. Occorre quindi progettare interventi educativi che offrano al bambino la possibilità di una socializzazione ampia e diversificata, rinunciando alla frenesia di organizzare sistematicamente il suo tempo e agevolandone piuttosto il contatto con i problemi della quotidianità, fatta di persone prima ancora che di cose. Interventi educativi che, soprattutto, non si facciano allarmare più di tanto dalla normale esuberanza infantile e non dimentichino che condizione essenziale per una relazione con i più piccoli è di non censurare in noi stessi quella curiosità di significato e di senso che osserviamo così spontanea nelle loro domande.
Le riflessioni di questa dispensa sono largamente ispirate a D. Cravero, Genitori che crescono. Servizi professionali e iniziative di volontariato a tutela della coppia e della genitorialità in situazioni problematiche. Segreti e consigli utili a tutti i genitori, Cantalupa (To) 2004, cui si rimanda per ulteriore bibliografia.
Un tempo la famiglia era, in gran parte, luogo di produzione e di consumo: si consumava ciò che si produceva. La società industriale ha prodotto una prima frantumazione: la famiglia è diventata luogo di consumo di prodotti provenienti dall’esterno. Un tempo ci si divertiva in famiglia: i nostri nonni o bisnonni ci hanno tramandato il racconto dei balli nelle cascine; oggi i luoghi di svago sono in genere lontani dalle nostre abitazioni. Anche l’istruzione, rudimentale, era spesso impartita nella stessa abitazione: i nonni e i padri erano coloro che “insegnavano il mestiere” ai propri nipoti e figli. Oggi il pendolarismo studentesco è un fenomeno diffusissimo. In sostanza, i nuclei vitali erano il villaggio e la famiglia: oggi, le megalopoli. E la famiglia, non più luogo di lavoro, di svago, di istruzione, sta trasformandosi in luogo di parcheggio o di scarico delle tensioni accumulate all’esterno. Così, non a caso, scaricare è diventato il leit-motiv di un’epoca che sembra quasi non riuscire a fare più adeguatamente i conti con l’accumulo di stress che la percezione della rischiosità del nostro mondo ci procura. La televisione? La guardo per scaricarmi. In discoteca? Ci vado per scaricarmi. Ho bisogno di una vacanza: devo scaricarmi… Scaricare equivale a non pensare a niente. Il pensiero ci opprime, la paura di ciò che può accadere ci paralizza: ecco allora la necessità di svuotarsi, di trovare delle specie di purganti sociali che aiutino a purificarci, a illudere di levarci di dosso il peso della chimera che ci avvinghia. Senza accorgerci che stordirsi non equivale a liberarsi, che rimuovere i nostri problemi non equivale a risolverli, ma solo a differirli nel tempo…
Che cosa significa affermare che la famiglia è un sottosistema societario? La definizione, che si riallaccia appunto alla teoria dei sistemi di Luhmann, implica il riconoscimento del fatto che la famiglia assolve funzioni sociali insostituibili a vantaggio dell’intera società. L’organizzazione (sistema) sociale, infatti, per poter funzionare ed essere efficiente, si avvale, secondo Luhmann, di almeno quattro sottosistemi. Il primo è il governo politico, o l’amministrazione statale; c’è poi l’economia con i relativi mercati (mobiliari, immobiliari, delle varie merci ecc.); ci sono inoltre le diverse associazioni (per esempio i sindacati) che si presentano come organizzazioni autonome rispetto agli altri organismi elencati e che per questo assumono anch’esse la caratteristica di sottosistemi societari. Un tempo questa elencazione si fermava qui. Oggi si riconosce invece che la famiglia è il quarto sottosistema societario, condividendo con gli altri uno specifico codice simbolico, i mezzi materiali per sopravvivere, uno statuto giuridico composto da diritti e doveri. In più la famiglia ha un proprio e originale mezzo simbolico di comunicazione: la reciprocità.
Nella prima intensa fase dello sviluppo psichico infantile, quella della diade madre-bambino, il padre, ovvero lo “spazio paterno”, rappresenta l’alterità e il superamento di se stessi, più in generale, il valore dell’autonomia, il significato della norma e di quanto “trascende” l’àmbito del singolo (il super io).
A. Mitscherlich, Verso una società senza padre, Milano 1977, p. 128.
A ciò si aggiunga anche il fatto che la pratica del divorzio e l’ingresso di nuovi partner in famiglie con figli avuti da precedenti legami propongono ai minori una molteplicità di volti della paternità spesso disorientante. Naturalmente, insieme con l’autorità paterna, anche l’identità maschile subisce trasformazioni radicali. Da una parte l’avanzare convinto del protagonismo femminile, dall’altra parte pratiche e condizioni inedite che sembrano rendere inutile o superfluo l’intervento paterno: le nuove possibilità di procreazione assistita, l’esclusione dalla decisione sull’aborto, il regime degli affidamenti e delle adozioni, l’aumento delle famiglie monoparentali, l’attribuzione dei figli alla madre in caso di separazione, la delega di funzioni educative ad esperti…
Vediamo, a solo titolo di esempio, alcune antinomie palesi: diminuzione del numero delle nascite vs. esaltazione dell’infanzia; valorizzazione delle esigenze emotive vs. organizzazione esasperata dei tempi dei bambini; esaltazione del pensiero magico e misterico vs. mancanza di spazi vitali nelle case e nelle città; enfatizzazione dell’affetto materno vs. restrizione dei tempi di contatto e di condivisione con gli adulti; predicata esigenza di un ritorno alla natura vs. dominio dell’artificiale nei consumi di massa; rifiuto dell’autoritarismo in favore di una maggiore parità nella comunicazione intima familiare vs. iperspecializzazione sempre più esasperata della genitorialità, con tanto di esperti e di formule pronte all’uso…
Fonte: http://www.metodologieoperative.it/wp-content/uploads/2013/05/PSICOLOGIA-genitorialit%C3%A0-dispensa.rtf
Sito web da visitare: http://www.metodologieoperative.it
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.
I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore
Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco
www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve