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“La letteratura è un tesoro accumulato dall’uomo nella ricerca di se stesso.” e ancora….” le parole, i racconti, i libri ci fanno compagnia…”
Queste parole sono inserite nel lungo discorso che O. Pamuk tenne a Stoccolma nel 2006 quando fu insignito del premio Nobel per la letteratura, parole che condivido profondamente e che dovrebbero sottendere ogni progetto di tipo letterario.
Conoscere “i grandi “ della letteratura (e, non mi riferisco soltanto alla letteratura italiana), infatti, è avere il privilegio non solo di assaporare la lettura di alcune pagine straordinarie, ma di conoscere l’ anima dei loro autori per intraprendere poi, attraverso questa conoscenza, un nostro personale percorso di ricerca interiore che ci aiuta nella crescita come individui.
Perché Leopardi?
Leopardi è un autore che tutti conoscono, un poeta che si studia a scuola; quando si parla di Leopardi viene immediatamente in mente la sua visione pessimistica dell’esistenza umana, ma Leopardi non è solo questo.
E’ un intellettuale che vive in un periodo particolare della nostra storia, è un’anima complessa, isolata dal contesto culturale del suo tempo che, per certi aspetti, si pone controcorrente e che per questo, pur nelle evidenti diversità, può ricordare l’uomo del nostro tempo; è, per concludere, un intellettuale nella cui vita è evidente un “percorso”, non solo intellettuale, puntualmente registrato nello Zibaldone.
Gli anni in cui si consuma la breve vita di Giacomo Leopardi (fine Settecento, primi decenni dell’Ottocento)sono densi di avvenimenti che daranno una svolta alla storia della penisola italiana: politicamente sono gli anni delle vittorie di Napoleone, vittorie che durano pochi anni; alla fine della epopea napoleonica cadranno, coi governi restaurati, le speranze e gli ideali rivoluzionari. Le potenze europee vincitrici di Napoleone, infatti, aboliranno tutte le libertà conquistate e schiacceranno con la forza delle armi i moti rivoluzionari guidati dalla borghesia o dall’aristocrazia illuminata.
L’Italia, sottomessa alla dominazione austriaca, intraprende nel primi decenni dell’Ottocento, una stagione di lotte che porteranno alla proclamazione del Regno italiano sotto i Savoia. (1861)
Leopardi dà un giudizio durissimo sulla civiltà di suoi anni ( la Restaurazione), vede il suo tempo dominato dall’inerzia e dal tedio. L’Italia è decaduta rispetto al passato, né possono sollevarla le tendenze progressiste dei liberali che esaltando il progresso , profetizzano un miglioramento della vita dell’uomo o quelle spiritualistiche che si affermano in quegli anni ; alle prime Leopardi contrappone il suo pessimismo che esclude ogni miglioramento nella sua concezione della vita umana (l’infelicità è un dato di natura , eterno ed immodificabile), alle seconde oppone il suo materialismo che nega ogni speranza in un’altra vita bollando quelle credenze come vane e sciocche favole.
Dal punto di vista culturale , la prima metà dell’Ottocento è interessata da due importanti movimenti culturali, il Neoclassicismo e il Romanticismo in opposizione tra loro.
Il Neoclassicismo , un movimento artistico culturale affermatosi in Europa negli ultimi decenni del Settecento e prolungatosi per qualche decennio dell’Ottocento, tende ad esaltare e a riproporre nell’arte i valori del mondo classico e in particolare il mito dell’antica Grecia come modello di armonia e compostezza. Il gusto neoclassico ripristina forme semplici , fedeli alla natura e guidate dalla ragione e cerca nella letteratura e nell’arte l’equilibrio formale e la simmetria attraverso regole definite; i frequenti riferimenti alla mitologia fanno rivivere lo spirito dell’epoca con i suoi valori etici e morali come la sobrietà o il senso della misura.
Alla base del movimento romantico, invece , c’è la crisi degli ideali dell’Illuminismo. La ragione e la fiducia nelle possibilità dell’uomo che avevano dominato il Settecento non hanno garantito la felicità. la giustizia, le libertà promesse.
Anzi, l’affermarsi della Restaurazione e il ripristino delle monarchie assolute smentiscono gli ideali rivoluzionari e napoleonici. La riflessione che ne deriva fu quindi accompagnata da una rivalutazione del sentimento, in opposizione alla ragione, sentimento inteso come libertà creativa , passionalità , istinto, fantasia.
Il sentimento è personale, quindi si valorizza l’individuo rappresentato dall’eroe romantico che aspira a grandi imprese che è mosso da grandi ideali come l’amor di patria e la gloria.
Tra i vari temi del movimento romantico ampio spazio acquista la natura,spesso intesa come specchio dell’animo umano, vissuta come preziosa confidente da cui l’uomo può trarre motivi di conforto o elementi di disperazione
Premesso, come vedremo, che la formazione di Leopardi è stata rigorosamente classicistica, nella polemica tra classici e romantici, il poeta prende decisamente posizione contro le tesi romantiche.
Lo fece in due scritti che rimasero ignoti ai contemporanei : il primo del 1816 “Lettera ai compilatori della biblioteca italiana” il secondo del 1818 “ Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica”; in realtà lesua posizione è fortemente originale rispetto a quella dei classicisti.Leopardi intervenendo nella polemica tra Classici e Romantici, ribadisce la sua adesione al Classicismo contestando però di questo movimento letterario l’ adesione al principio di imitazione dei modelli classici, le rigide regole imposte ai generi letterari, l’abuso della mitologia.
Dei romanticismo invece, apprezza l’idea della poesia intesa come spontaneità, come espressione di un mondo interiore immaginoso e fantastico, proprio degli antichi e dei fanciulli e contemporaneamente rimprovera ai romantici italiani il predominio della logica sulla fantasia , l’aderenza al” vero” che spegne ogni immaginazione. Anzi, in queste esaltazione di ciò che è spontaneo e originale, non contaminato dalla ragione, appare più romantico degli stessi romantici italiani e più vicino alla cultura romantica europea.
Si può parlare perciò per Leopardi di un classicismo romantico
La vita di Leopardi appare singolarmente appartata e spoglia di eventi.
L’isolamento in uno sperduto borgo marchigiano,nella provinciale arretratezza dello Stato Pontificio escluso ed ostile ad ogni novità, un fervore di studi e meditazioni coltivate in privato, nell’assorta solitudine della biblioteca paterna, l’estraneità polemica verso tutte le tendenze dominanti del Risorgimento liberale, questi sono i dati più appariscenti della sua biografia.
A Recanati il 29 giugno 1798 dal conte Monaldo e da Adelaide Antici nasce Giacomo, il primogenito di dieci figli di una famiglia dell’aristocrazia terriera economicamente in declino.
Il padre, indolente e pigro, frustrato nelle sue aspettative culturali e nella gestione del patrimonio,fin dall’adolescenza aveva avuto una brama ardentissima di conoscere: non riuscendo a diventare un dotto come avrebbe voluto, cercò una strada diversa dando vita a una ricchissima biblioteca che divenne il cuore di Recanati, il centro della vita della famiglia e dei suoi figli, della loro educazione, il simbolo della sua autorità.
La madre, la contessa Adelaide Antici, donna bellissima, generò 10 figli, uno dopo l’altro vivo o morto, per la gloria di Dio; a differenza del marito , lei non usciva mai di casa, non c’era ragione di uscire dal palazzo,
“ tanto è già grande casa nostra” diceva. La grande casa diventò così un grande carcere di cui Adelaide fu insieme la carceriera e la vittima.
Adelaide era avara, di un’avarizia grandiosa, sordida, meschina come attesta un episodio che la vede protagonista con la nuora Cleofe molto malata; quest’ ultima , prima di morire avrebbe voluto rivedere i suoi figli ed in particolare uno che era in Collegio. A lei Adelaide scrisse una lettere crudele :” E poi toglierlo per tenerlo con voi!con voi sempre malata! Con voi che con la vostra somma debolezze e bontà di cuore avete fatto vedere a tutto il mondo che non vi riesce affatto educare i figli com’ è dovere!... Non disturbate la sua educazione con vani e puerili timori”
Nei ricordi del padre, il piccolo Giacomo era “sommamente inclinato alla devozione”, giocava con la sorella Paolina agli altarini, serviva messa, mentre la sorella recitava la orazioni.
Nei ricordi dei fratelli, Giacomo ci appare in un’altra condizione: gioia, furia, allegrezza pazza. Amava le battaglie eroiche , faceva rivivere i duelli epici dell’Iliade, costringeva il fratello a fargli da cavallo e lo conduceva in battaglia; nei giochi Giacomo combatteva i tiranni come Cesare o Napoleone scegliendo le parti di Ettore o Pompeo.
Nelle mattine di festa disteso sul letto nella camera del fratello Carlo improvvisava per settimane un lungo poema eroicomico; decenni dopo il fratello Carlo ricordava quella lunga saga mattutina .
Di primo mattino, Giacomo, Carlo, Paolina , il conte Monaldo e don Sebastiano Sanchini entravano nella biblioteca ; ognuno occupava il suo tavolino; con le sue poesie e prose o i testi degli esami, Giacomo fabbricava dei libretti : quaderni rettangolari con la data e il luogo di composizione, con una grafia pulita e ordinatissima. Monaldo adorava queste pagine ed anche Giacomo ne parlava con simpatia e favore. Però contemporaneamente poteva esprimere anche che l’istruzione era una tortura, una fatica immane, somma infelicità , la distruzione della giovinezza.
Fuori dalla biblioteca c’era il mondo, tutto lo coinvolgeva, le piante, gli animali, il vento, il sole: tutto era bello, , tuo aveva sembianza umana.
Ma in Leopardi vi erano anche delle ombre: non sopportava i temporali, temeva la notte con le sue ombre, le sue visioni, le sue lugubri immaginazioni
Intorno ai dieci anni non ebbe più nulla da imparare dai precettori che com’era uso educavano i figli delle famiglie nobili, pertanto continuò da solo i suoi studi chiudendosi per sette anni di “studio matto e disperatissimo” ( sono parole di Leopardi) durante il quale impara il latino, il greco, l’ebraico, l’inglese, il francese lo spagnolo)
Nel periodo che va tra il 1809 e il 1816 , tradusse i classici latini e greci, ( Omero, Virgilio, Orazio), fece lavori filologici che stupirono i dotti del tempo e scrisse contemporaneamente tragedie, odi,
canzoni , una produzione sbalorditiva per un adolescente.
Questa immensa attività minò il suo fisico già fragile tanto che il marchese Filippo Solari di Spoleto, familiare di casa Leopardi che aveva lasciato Giacomo sano e dritto attorno ai sedici anni, quando lo rivide, qualche anno dopo, lo trovò “consunto e scontorto”
Apriamo una breve parentesi sullo stato di salute di Leopardi, condizione la sua che lo porterà a morte prematura, non ancora quarantenne.
Che cosa era successo al poeta negli anni dal ’14 al ’17 trascorsi nella biblioteca?
Il fratello Carlo raccontò che di notte, quando si svegliava, vedeva Giacomo in ginocchio, davanti al tavolino per poter scrivere fino all’ultimo momento, mentre il piccolo lume si spegneva.
Con l’amico Giordani, lo stesso Leopardi disse che quegli anni passati studiando, lo avevano fortemente provato.
In realtà, Giacomo non diventò gobbo a causa del rachitismo: la sua malattia era infinitamente più grave e complicata. Era tubercolosi ossea: il suo corpo cominciò a non crescere più, la parte alta rimase esilissima e due grosse gibbosità si formarono sia nella parte anteriore sia nella parte posteriore del corpo.
Le complicazioni non mancarono: disturbi dell’apparato digerente, lacrimazione, bronchiti e dolori addominali, debolezza cardiocircolatoria e molto altro.
Ma la ripercussione più grave fu che Leopardi si sentiva colpevole della sua malattia. Attribuì allo studio tutti i suoi mali. Ma non era così. Passata l’adolescenza, Leopardi fu torturato da un altro male, molto più misterioso: la depressione. Come è possibile fare queste diagnosi sulla base di lettere che risalgono a quasi due secoli fa?
Il poeta scrive all’amico Giordani e (lettera del 30 aprile 1817) e parla di “una notte fittissima e orribile, di un veleno che lo tortura, di un’ostinata e barbara malinconia che mi lima e mi divora”
Questa depressione ebbe dopo il ’17 una pausa , una tregua che sarebbe durata qualche tempo, ma non una guarigione.
Tra il ’15 e il ’16 si attua quella che Leopardi stesso chiama la conversione “ dall’erudizione al bello”: abbandona gli studi filologici, legge Omero, Dante, Virgilio e autori moderni come Alfieri, Parini, Foscolo, Goethe.
Un momento fondamentale della sua formazione è l’amicizia con Pietro Giordani; questo letterato, strenuo difensore della letteratura classica e diffusore di istanze di libertà e di unità nazionale, lo avvicinò a idee politiche liberali allontanandolo dalle posizioni reazionarie in cui lo aveva educato il padre.
Nella corrispondenza con Giordani, Leopardi non solo trovò quell’affetto di cui era stato privato nell’ambiente familiare, ma anche una guida intellettuale e nello stesso tempo la possibilità di un’apertura verso il mondo esterno cui ambiva per sfuggire all’ambiente retrogrado, gretto, malsano di Recanati.
Come abbiamo già visto, è di questo periodo il” Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica” e nel 1817 inizia a scrivere lo Zibaldone ( concluso nel 1832 e pubblicato postumo da Carducci nel 1898).
Sotto l’influenza di Giordani nascono le prime Canzoni scritte tra il 1818 e il 1823: “All’Italia “nel 1818, seguono quindi “Sopra il monumento di Dante”, “Ad Angelo Mai” Nelle nozze della sorella Paolina” ;si tratta di componimenti ad impostazione decisamente classicistica espresse con un linguaggio aulico e sublime.
Lo Zibaldone invece è una sorta di diario intellettuale a cui Leopardi affida i suoi appunti letterari, filosofici, morali e i suoi ricordi ; per noi è un prezioso strumento per ricostruire il precorso filosofico e letterario del poeta marchigiano
Nell’estate del 1919 Giacomo tenta la fuga dalla casa paterna, ma il tentativo è scoperto e fallisce; ciò provoca in Leopardi un grande senso di frustrazione acuito da un’infermità agli occhi.
Ed è proprio in questi anni che elabora un sistema filosofico che è necessario conoscere almeno per sommi capi per comprendere l’opera di Leopardi.
In questo periodo inizia la stagione più originale della sua poesia, “I piccoli idilli”, si infittiscono le note sullo Zibaldone e prosegue la serie delle Canzoni
Al centro della meditazione leopardiana, si pone subito un motivo pessimistico: l’infelicità dell’uomo. In alcune pagine dello Zibaldone cerca di individuare la causa prima di tale infelicità. Per leopardi la felicità coincide con il piacere sensibile e materiale.
Fedele alla filosofia sensista del Settecento, secondo cui la conoscenza si raggiunge solo attraverso i sensi , Leopardi sostiene che lo scopo della vita dell’uomo è quello di raggiungere il piacere; tuttavia questo piacere cui tende la mente umana è un piacere infinito, mentre tutto ciò che ci circonda è limitato, finito. Di conseguenza il piacere è destinato per sua natura a rimanere perennemente insoddisfatto e a creare quindi un senso di vuoto incolmabile nell’animo umano.
Da questa tensione inappagabile verso un piacere infinito che non si può raggiungere, nasce per Leopardi l’infelicità dell’uomo, il senso di nullità di tutte le cose. Va precisato che la tensione cui si riferisce Leopardi non è da intendersi come tensione al divino, verso qualcosa che va al di là delle cose contingenti, ma in senso puramente materiale (materialismo).
Con l’approfondirsi del pessimismo l’unica realtà umana si rivela essere costituita dal dolore e dal destino di morte: gli intervalli momentanei tra un dolore e l’altro non si caratterizzano più come piacere, ma come noia.
L’uomo è dunque necessariamente infelice per sua stessa costituzione, ma la natura , in questa prima fase del pensiero leopardiano, è concepita come madre benigna che , attenta al bene delle sue creature, ha voluto sin dalle origini offrire un rimedio all’uomo: l’immaginazione e le illusioni grazie alle quali ha nascosto agli occhi delle sue creature la loro triste condizione.
Per questo, i primitivi, gli uomini antichi, greci e romani, e i fanciulli che erano più vicini alla natura e quindi capaci di illudersi e immaginare, erano felici in quanto ignoravano la loro reale infelicità.
Il progresso e la civiltà, opera della ragione ha allontanato l’uomo da quella condizione privilegiata, gli ha messo davanti agli occhi il vero e lo ha reso infelice.
La prima fase del pensiero leopardiano è tutta centrata sull’antitesi natura / ragione, antichi/ moderni.
Gli antichi, nutriti di illusioni, erano capaci di grandi imprese, erano forti fisicamente e moralmente. Perciò essi erano migliori di noi, sia nella vita civile, ricca di esempi gloriosi, sia nella vita culturale.
Il progresso della civiltà e della ragione , spegnendo le illusioni, ha spento ogni slancio, ha reso i moderni incapaci di grandi imprese, ha generato meschinità, corruzione ed egoismo.
L’infelicità dell’uomo dipende quindi dall’uomo stesso che si è allontanato dalla via tracciata dalla natura benigna. Leopardi dà un giudizio durissimo sul suo tempo, che vede dominato dal tedio e dall’inerzia,
Quale può essere l’atteggiamento del poeta di fronte a questa situazione? Il poeta, unico depositario delle virtù antiche, si eleva solitario a sfidare il destino maligno e sferza “codesta codarda età” (Atteggiamento titanico e temi patriottici delle sue prime canzoni)
Questa fase è stata definita “pessimismo storico”: la condizione negativa del tempo presente è vista come effetto di un processo storico , come decadenza e allontanamento da una condizione di originaria felicità. (Non bisogna dimenticare che si trattava di felicità relativa , frutto solo di illusioni)
La teoria del piacere porta il poeta a formulare una nuova concezione di poesia.
Se nella realtà il piacere è irraggiungibile, l’uomo può con l’immaginazione creare dei piaceri infiniti attraverso i quali trova una sorta di compensazione per la realtà, quella vissuta che è infelicità e noia.
Ciò che stimola l’uomo a costruire questa realtà parallela è tutto ciò che è vago e indefinito, lontano, ignoto.
Nella pagine dello Zibaldone, Leopardi dalla teoria filosofica elabora una vera e propria teoria poetica,
la poetica del vago e dell’indefinito.
E’ piacevole per le idee vaghe ed indefinite che suscita, la vista impedita da un ostacolo( siepe, albero, torre…)
Sono piacevoli dei suoni suggestivi perché vaghi come un canto che vada a poco a poco spegnendosi, un canto che giunge da una stanza chiusa.
Allora:il bello poetico è nel vago e nell’indefinito e si manifesta essenzialmente in immagini di cui abbiamo parlato , per le idee indefinite che suscitano: lontano, notte, antico, eterno….
E, continua Leopardi, queste immagini evocano per lo più sensazioni che ci hanno affascinato da fanciulli per cui la rimembranza, ( il ricordo) è essenziale del sentimento poetico.
Poetica del vago e dell’indefinito e poetica della rimembranza si fondono.
La poesia non è che il recupero delle visioni immaginose della fanciullezza attraverso la memoria. Gli antichi, a differenza dei moderni che hanno perso la capacità di immaginare perché vinti dal progresso, erano maestri della poesia vaga ed indefinita, perché più vicini alla natura come i fanciulli.
I moderni possono solo produrre poesia sentimentale , poesia cioè che nasce da idee filosofiche e dalla ragione che ormai ha reso l’uomo consapevole del dolore e dell’infelicità.
Questa stagione poetica dura fino al 1830 quando sarà sostituita o accompagnata da una nuova poetica risultato di un cammini filosofico. Ma leopardi non rinuncerà mai alle illusioni, ma pur consapevole della loro vanità, continuerà a vagheggiarle, facendole espressione della sua poesia.
Questo idillio 1) risale al 1819: è uno dei frequenti dialoghi leopardiani con la luna, un corpo celeste che ha sempre esercitato la sua fascinazione sul poeta : motivo centrale è il ricordo,”la rimembranza” di una situazione identica più volte vissuta nel passato recente, quando pieno d’angoscia il poeta si fermava a contemplare la luna.
O graziosa luna,1 io mi rammento
che, or volge l’anno ,2 sovra questo colle 3
io venia pien d’angoscia a rimirarti:
e tu pendevi 4 allor su quella selva
siccome 5 or fai, che tutta la rischiari. 5
Ma nebuloso 6 e tremulo dal pianto 7
che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci 8
il tuo volto apparìa, che9 travagliosa 10
era la mia vita: ed è , né cangia stile 11 10
o mia diletta luna. E pur mi giova 12
la ricordanza, e il noverar l’etate 13
del mio dolore. Oh come grato occorre 14
nel tempo giovanil, quando ancor lungo
la speme e breve ha la memoria il corso, 15
il rimembrar delle passate cose , 15
ancor che triste , e che l’affanno duri .
.
Da “Piccoli Idilli” G. Leopardi
Gli idilli fu il termine con cui Leopardi designò delle liriche composte tra il 1818- 1819. Ne compose precisamente cinque tra cui il più famoso è certamente “L’infinito” . Gli idilli erano già diffusi nella poesia classica il cui contenuto tuttavia si rifaceva alla vita pastorale e bucolica.
Per Leopardi, gli idilli sono altro: sono espressione di sentimenti, affetti, avventure del suo animo; la rappresentazione del paesaggio ed ella realtà esterna è in funzione dello stato d’animi del poeta.
NOTE:
ANALISI
La lirica si apre con un’apostrofe alla luna che rischiarava la selva un anno prima, così come la rischiara adesso e il poeta è tornato a rimirarla (V, 1-5
Qui il ritmo è piano, lento dovuto anche ai segni di interpunzione (due punti e punto)
Le parole rivolte alla luna hanno il tono di una lunga consuetudine e assumono il carattere di un lungo dialogo con essa. Questo atteggiamento di familiarità crea l’illusione di una partecipazione della luna agli affanni del poeta.
Ma ai miei occhi( luci) il tuo volto appariva velato e tremolante a causa delle lacrime che mi sgorgavano perché la mia vita era tormentata e lo è ancora , e non cambia il suo carattere.(v 6-9)
La marcata cesura (v9) sottolinea la forza che l’infelicità umana continua e non cambia col passare del tempo.
In questi versi dove si afferma la continuità del dolore nel passato e nel presente, il movimento sintattico si inarca con l’uso di enjambements più decisi( (pianto /che v 6-7 , travagliosa / era v 8-9) e con una maggiore frammentazione del verso(V9 diviso dai due punti e dalla virgola)
Viene infine sviluppato il tema della rimembranza (v 12-16) : il poeta si rivolge ancora alla luna e le dice che lo conforta il ricordo e il misurare la durata del suo dolore e conclude asserendo che è gradito nel tempo giovanile, quando il precorso della speranza è ancora lungo e quello della memoria è breve, ricordare gli eventi passati , anche se sono tristi e il dolore dura ancora. cose passate
Qui il ritmo si placa ancora nei versi in cui si esprime il piacere della ricordanza (v 9 e 10), seppur dolorosa.
Al centro tematico della lirica ci sono due motivi:
La luna cui il poeta si rivolge con epiteti dolci e confidenziali (diletta, graziosa) è silenziosa ma partecipe del dolore umano.
La lirica si sviluppa intorno a due piani temporali: il presente e il passato, piani che però hanno in comune la sofferenza del poeta e la sua visione della luna.
Gli ultimi 5 versi acquistano il carattere di una sentenza di valore universale, ma va tenuto presente che gli ultimi due versi sono stati aggiunti più tardi, quando il pensiero di Leopardi aveva avuto un ulteriore sviluppo
Il paesaggio ,( il colle, la selva ) appena accennato nei suoi aspetti essenziali ,è funzionale alla situazione emotiva: l’angoscia del poeta è tanto evidente nella sua manifestazione (pien d’angoscia ) quanto oscure ne sono le cause.
Anche il linguaggio rimanda alla poetica del vago e dell’indefinito (graziosa, nebulosa, tremulo, etate, del mio dolor…)
Composto a Recanati nel 1819, questo idillio apre la poetica del vago e dell’indefinito. E’ un componimento in endecasillabi sciolti che pongono in primo piano la figura del poeta intento ad ascoltare i moti del proprio cuore (Fubini).
Sempre caro mi fu quest’ermo 1 colle,
e questa siepe , che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. 2
Ma sedendo e mirando 3 interminati
Spazi di là da quella , e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo 4 ; ove 6 per poco
Il cor non si spaura. 6 E come 7 il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce 7
Vo comparando 8: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
E viva , e il suon di lei. 9Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio: 10
E il naufragar m’è dolce in questo mare.
NOTE
Secondo la tradizione il colle è il monte Tabor, vicino a Recanati
La lirica si sviluppa su due distinte sensazioni:la prima di carattere visivo v 1-8 ( mirando) , la seconda di carattere uditivio v 9 -12 (odo)
La presenza di una siepe impedisce al poeta di vedere concretamente l’orizzonte del paesaggio e ciò lo porta ad immaginare uno spazio che non ha più limiti, quindi infinito.
Esso è dominato da sovrumani silenzi e profondissima quiete
Nella seconda parte, il debole stormire delle foglie al vento, si confronta con i sovrumani silenzi ; attraverso il suono, nell’immaginazione del poeta l’ idea di uno spazio infinito genera quella di un tempo infinito; nasce il pensiero dell’eternità di fronte alla quale il tempo umano si annulla: la azioni passate, il presente è destinato a disperdersi.
Nella conclusione dell’idillio, (v 13-15 ) Leopardi esprime il suo smarrimento di fronte all’infinito spaziale e temporale e il piacere che ne deriva .
Le due parti sono distinte anche da una forte cesura ( v8); tutta la poesia è basata sulla coordinazione (ripetuta più volte è la congiunzione e ) che è estremamente funzionale per esprimere il susseguirsi di vari stati psicologici all’interno di una medesima esperienza , oltre che a produrre anche legami di tipo fonico. L’idea del legame e della continuità è data anche dai frequenti enjambement che rendono la lirica molto fluida.
Massiccia è la presenza di parole vaghe e indefinite come colle, orizzonte, spazio tempo, eterno immensità…
Questo idillio esprime un’esperienza mentale e psicologica straordinaria: la percezione dell’infinito e lo smarrimento che ne deriva; il questo superamento della realtà fisica prende avvio da un’esperienza quotidiana cui il poeta era abituato e viene rappresentato con un linguaggio semplice, essenziale.
Nella lirica è sempre presente l’io soggettivo del poeta che si colloca in uno spazio fisico, come da dati fisici e sensibili ( filosofia del sensismo) approda all’infinito.
L’eternità spazio-temporale per Leopardi non sono da identificarsi con il divino, ma sono proiezioni dell’immaginazione
17.1. 2011
II LEZIONE:
: “ A Silvia “
Nel 1922 finalmente Leopardi ottiene dal padre il permesso di lasciare Recanati e di recarsi a Roma , ospite dello zio materno. Roma lo delude molto: i circoli letterari lo annoiano monumenti lo deludono. Ritorna nel borgo natio e inizia per lui un periodo di grande sofferenza. Abbandonato dall’ispirazione poetica , si dedica alla prosa e compone le Operette morali in cui si manifesta compiutamente una nuova fase del suo pessimismo.
E’ incominciato un periodo nuovo per la poetica di Leopardi, quello in cui esprime l’acerbo vero e le Operette morali sono espressione di questa nuova fase.
Che cosa è successo nel percorso filosofico del poeta?
In lui muta la concezione di madre natura: non è più la madre benevola che ha dotato i suoi figli delle illusioni per compensare il dolore che caratterizza la loro vita, ma è una madre malvagia che, per nulla attenta al bene dell’uomo, mira solo alla conservazione della specie,
Ne consegue che i mali che colpiscono la nostra vita non sono semplici accidenti, ma fanno parte di un ampio progetto della natura; Leopardi è passato da una concezione filosofica finalista ( la natura opera consapevolmente per un fine, il bene dell’uomo ) a una concezione materialistica ( i mali esterni a cui nessuno può sfuggire come la morte, la sofferenza fisica e spirituale, i cataclismi, la vecchiaia affliggono l’uomo) e meccanicistica ( la natura è spietata nella cieca necessità delle sue leggi meccaniche ed è indifferente al dolore che strazia tutti gli essere viventi)
Ma allora , se causa dell’infelicità dell’uomo è la natura, tutti gli uomini, ovunque e da sempre , quindi anche gli antichi, sono infelici: il suo pessimismo è diventato cosmico, cioè l’infelicità non è legata a un periodo, ma ad una condizione assoluta, il dolore è universale ed eterno. L’approdo a questa concezione filosofica informerà tutta l’opera di Leopardi a partire dal 1824
Quale ruolo può avere il poeta in questa situazione? Inizialmente l’abbandono del titanismo e della lotta
( non si può nulla contro un dato di natura) successivamente Leopardi assume un atteggiamento distaccato, ironico, contemplativo.
Il suo ideale diventa il saggio antico che, prendendo atto della realtà, se ne distacca in un atteggiamento chiamato atarassia
Le Operette morali sono una raccolta di 24 brevi prose satiriche di argomento filosofico che a volte si presentano sotto forma di dialogo, a volte di racconto, a volta fondono le due tipologie , altre ancora di riflessione in cui Leopardi mette in scena il suo pensiero presentando situazioni che mostrano l’irrimediabile infelicità umana.
Attraverso questa raccolta, il poeta vuole opporsi a tutte le teorie filosofiche progressiste e religiose del tempo: l’infelicità, componente inalienabile dell’esistenza umana , non può svanire con il progresso né la religione può consolarlo perché è una bella favola.
Vorrei brevemente legger vi poche righe, tratte dal :” Dialogo tra la natura e un Islandese” che esplicitano il concetto nuovo di natura che il poeta ha elaborato.
Scritto nel maggio del 1824, in questo dialogo in cui parla prevalentemente l’Islandese, Leopardi pone i temi centrali del suo pensiero:
Siamo in un remoto angolo d’Africa mai raggiunto dagli uomini e un viaggiatore Islandese incontra la Natura che ha forma di donna gigantesca con il volto tra bello e terribile ( aggettivi tipici della concezione romantica della natura sublime) Dopo aver enumerato i mali che affliggono l’umanità, l’islandese scopre gradualmente che il dolore nasce dalla violenza che c’è tra gli uomini, poi dall’ambiente esterno ,
ma si accorge infine che la sofferenza è ineliminabile dalla vita , fusa con essa fin dalla nascita.
Ma questa conclusione pessimistica viene ulteriormente aggravata dalla natura che così replica:”Quando io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me ne avveggo , se non rarissime volte, come , ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so;…… e se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie io non me ne avvederei.
Tu non mostri di aver posto in mente che la vita di quest’universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione , collegate ambedue tra sé di maniera che ciascheduna serve continuamente all’altra, ed alla conservazione del mondo…”
Nel 1825 il poeta si allontana ancora da Recanati e ha modo di lavorare per un editore milanese, Stella , che gli commissiona alcuni lavori che gli garantiscono l’indipendenza economica. Leopardi si trasferisce a Milano, poi Bologna, a Firenze , conosce gli intellettuali di fama di quel tempo e tra il 1827 e1828 lo troviamo a Pisa dove ricomincia a comporre poesia .
Inizia la stagione dei “Grandi idilli “; il poeta scopre che il periodo di aridità interiore è finito e scrive liriche sublimi quali :” A Silvia; Il sabato del villaggio, Le ricordanze, la quiete dopo la tempesta, canto notturno di un pastore errante dell’Asia” Queste riprendono i temi e linguaggi dei “Piccoli idilli”: le illusioni e le speranze giovanili, i ricordi, immagini e suoni vaghi e indefiniti, , ma a ben guardare accanto a questi temi, appare anche la consapevolezza “ dell’arido vero” e la presenza di quel pessimismo diventato cosmico cui il poeta era approdato negli anni immediatamente precedenti.
La grandezza di queste liriche è data dal fatto che illusioni e acerbo vero si confondono in un mirabile equilibrio, il linguaggio è più misurato e pacato; il poeta dopo l’esperienza delle Operette morali assume, di fronte alla consapevolezza dell’arido vero, un atteggiamento contemplativo e lucido.
Composto nel 1829, il canto affronta il motivo del piacere : per Leopardi, il piacere è assenza di dolore o, come in questa lirica, aspettativa di un bene che svanirà non appena raggiunto.
La donzelletta 1 vien dalla campagna
in sul calar del sole,col suo fascio dell’erba; e reca in mano
un mazzolin di rose e viole,
onde, siccome suole2
ornare ella si appresta,
dimani, al dì do festa, il petto e il crine.3
Siede con le vicine
Su la scala a filar la vecchierella,
incontro là dove si perde il giorno; 4
e novellando vien del suo buon tempo,5
quando ai dì della festa elle si ornava,
ed ancor sana e snella
solea danzar la sera intra di quei 6
ch’ebbe compagni dell’età più bella.
Già tutta l’aria imbruna,
torna azzurro il sereno 7, e tornan l’ombre
giù dai colli e dai tetti
al biancheggiar della recente 8,lunaq
Or la squilla 9dà segno
Della festa che viene:ed a quel suon diresti
che il suon si riconforta.
I fanciulli gridando
su la piazzola in frotta,
e qua e là saltando.
fanno un lieto romore:
e intanto riede alla sua parca mensa 10
fischiando lo zappatore,
e seco 11 pensa al dì del suo riposo.
Poi quando intorno è spenta ogni altra face12
e tutto l’altro tace,
odi il martel picchiare , odi la sega
del legnaiuol , 14 che veglia
nella chiusa bottega alla lucerna,
e s’affretta , e s’adopra
di fornir l’opra anzi il chiarir dell’alba. 15
Questo di sette è il più gradito giorno,
pien di speme 15 e di gioia
diman tristezza e noia
recheran l’ore, ed al travaglio usato 16
ciscuno in suo pensier farà ritorno.
Garzoncello scherzoso,
codesta età fiorita 17
è come un giorno d’allegrezza pieno,
giorno chiara, sereno,
che precorre alla festa di tua vita.18
Godi, fanciullo mio; stato soave,
stagion lieta è codesta.
Altro dirti non vo’19; ma la tua festa
Ch’anco tardi a venir non ti sia grave 20
NOTE
La lirica è suddivisa in due parti: la prima sostanzialmente descrittiva, (v 1-37), la seconda riflessiva (v 38- 51). Nella prima sono presentate scena di via paesana, nella sera di un sabato primaverile: la contadinella torna dalla campagna al villaggio; essa rappresenta la speranza giovanile in quanto sogna il dì di festa, mentre la vecchierella, che siede sulla casa a rimembrar il buon tempo passato, è simbolo della memoria: giovinezza e memoria sono immagini strettamente collegate nel sistema leopardiano.
La scena si sviluppa nella descrizione dei bambini che giocano sul piazzetta del paese e, nel prolungamento della notte, si sposta su un falegname che, nel chiuso della sua bottega , deve finire il lavoro prima che giunga il giorno.
La seconda parte, è una riflessione sulla vanità di tanta attesa della festa: il piacere non verrà, ma la domenica porterà solo “tristezza e noia”.
Il Canto si conclude con l’apostrofe a un “garzoncello” attraverso cui il poeta estende la riflessione dell’arco della giornata a quello della vita.
La giovinezza corrisponde al sabato ed è una stagione felice perché si vive nell’attesa del giorno di festa, ma il dì di festa che corrisponde all’età adulta non porterà gioia.
Dal punto di vista stilistico, non vi è opposizione tra le due parti; l’ultima strofa, quella “sentenziosa” è leggera, scorrevole e musicale, e anche il gioco delle rime è simile a quello della prima parte.
Composta nel 1828 durante un sereno soggiorno a Pisa, la lirica interrompe il silenzio poetico ed inizia la stagione dei grandi idilli leopardiani
Il tema centrale della poesia è il crollo delle illusioni giovanili rappresentato da Silvia, morta in giovane età ed immagine stessa della caduta delle illusioni.
Silvia, rimembri 1 ancora
quel tempo di tua vita mortale 2
quando beltà spledea
nei tuoi occhi ridenti e fuggitivi 3
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di gioventù salivi? 4
Sonavan 5 le quiete
stanze, e le vie d’intorno
al tuo perpetuo 6 canto,
allor che all’opre 7 femminili intenta
sedevi, assai contenta
di quel vago 8 avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
così menar 9 il giorno
Io gli studi leggiadri
talor lasciando e le sudate carte,
ove il tempo mio primo
e di me si spendea la miglior parte, 10
d’in su i veroni del paterno ostello 11
porgea gli orecchi al suon della tua voce,
e alla man veloce
che percorrea la faticosa tela. 12
Mirava 13 il ciel sereno,
le vie dorate e gli orti,
e quinci il mar da lungi, e quindi il monte. 14
Lingua mortal non dice 15
quel ch’io sentiva in seno 16
Che pensieri soavi,
che speranze, che cori , 17 o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
la vita umana e il fato! 18
Quando sovviemmi di cotanta speme, 19
un affetto mi preme20
acerbo e sconsolato,
e tornami a doler di mia sventura. 21
O natura , o natura,
perché non rendi poi
quel che prometti allor? 22 Perché di tanto
inganni i figli tuoi?
Tu pria che l’erbe inaridisse il verno 23
Da chiuso 24 morbo combattuta e vinta,
perivi, o tenerella. E non vedevi
il fior degli anni tuoi;
non ti molceva il core25
la dolce lode or delle negre chiome,
or degli sguardi innamorati e schivi ;
né teco 26le compafgne ai dì festivi
ragionavan 27 d’amore.
Anche perìa 28 far poco
la speranza mia dolce agli anni miei
anche negaro i fati la giovinezza. Ahi come,
come passata sei,
cara compagna dell’età mia nova, 29
mia lacrimata speme!
Questo è il mondo? Questi
I diletti, l’amor , l’opre gli eventi
Onde 30 cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte delle umane genti?
All’apparir del vero
Tu, misera, cadesti; e con la mano
La fredda morte ed una tomba ignuda 31
Mostravi di lontano.
NOTE
Canzone libera, costituita da settenari ed endecasillabi, organizzati in sei raggruppamenti strofici, il motivo ispiratore di “A silvia “ non è l’amore ma la contemplazione della giovinezza.
Al centro della meditazione è l’analisi dell’Io soggetto di emozioni e ricordi, ma la dimensione si sposta , come abbiamo visto dal piano individuale a quello universale. Questo è possibile perché ormai il pessimismo leopardiano ha assunto dimensioni cosmiche : l’infelicità è un prodotto della natura che promette un futuro di felicità e non lo mantiene; la sua promessa genera illusioni destinate a cadere , l’acerbo vero si manifesta in tutta la sua crudeltà .
La composizione rapida ed armoniosa si apre con una strofa introduttiva (v 1- 6) in cui Silvia è resa viva dalla memoria del poeta;
Seguono le strofe due e tre ( v 7-14; 15 – 27) che sono due strofe parallele. Accanto all’adolescenza di Silvia c’è quella del poeta; le occupazioni dei due giovani sono tuttavia diverse
Dai v 28- 39 si crea nella lirica uno spartiacque ; si alterna la rimembranza con la caduta delle illusioni , il ricordo del passato e la dolorosa consapevolezza del presente. Il punto culminante è dato dall’apostrofe alla natura, qui madre malvagia di tutti gli uomini. Si passa dalla dimensione individuale a quella universale. Nella penultima strofa ( v 40- 48 ) la morte è per Silvia la fine delle speranze e della giovinezza; nell’ultima
( v 49 – 62 ) il dolore e la caduta delle illusioni accomuna Silvia al poeta.
Il linguaggio è mirabile espressione dalla poetica del vago e dell’indefinito (ridenti, fuggitivi, lieta e pensosa, vago avvenir, maggio odoroso vie dorate..)
Anche il paesaggio è tratteggiato vagamente con tratti generali e indeterminati. Si noti inoltre l’estrema semplificazione sintattica , l’assenza di artifici retorici.
I periodi brevi, collegati tra loro prevalentemente attraverso la paratassi,fluiscono in modo estremamente musicale.
III LEZIONE:
“ La ginestra “
1. Breve sintesi della lezione precedente
2. Fasi della vita, della produzione, del pensiero e della poetica leopardiana
I guadagni che gli erano stati prospettati non si realizzano e pertanto Leopardi è costretto a far ritorno al suo paese perché non è in grado di mantenersi.
Il rientro a casa è molto penoso per il poeta: si aggrava la sua malattia ed è immerso , lontano da tutti, nella più tetra malinconia.
Degli amici fiorentini generosamente lo aiutano con un assegno mensile per un anno e così Leopardi può nuovamente lasciare il tetro palazzo paterno per Firenze. Lì si immerge nella vita sociale, stringe rapporti con gli intellettuali entrando per la prima volta in contatto con il sociale e esprimendo con una certa veemenza le sue opinioni.
La sua polemica è rivolta soprattutto ai progressisti di cui condanna l’ottimismo ; a Firenze si innamora anche di Fanny Targioni Tozzetti , ma il sentimento non corrisposto genera in lui un grande dolore; questa esperienza trasfigurata letterariamente nella raccolta “ Il Ciclo di Aspasia” composta tra il 1833 e il 1835 . (Aspasia è il nome con cui il poeta designa il nome della donna amata dal nome di una cortigiana, Aspasia appunto, la donna di Pericle nel V secolo a.C.) in cui denuncia il crollo di ogni illusione e persino della speranza e del desiderio delle illusioni.
Ne “Il ciclo di Aspasia “ la poesia di Leopardi è lontanissima dalla poetica del vago e dell’indefinito: non ci sono più illusioni, non c’è linguaggio limpido e musicale; la poesia è cruda, priva di immagini, il linguaggio è aspro, antimusicale.
Gli ultimi anni della vita del poeta trascorrono a Napoli, ospite di un giovane napoletano, Antonio Ranieri.
Continua la sua polemica con i progressisti e gli spiritualisti ma, proprio in questi ultimi anni il poeta elabora una nuova teoria filosofica che trova espressione nella composizione de “La Ginestra”(1836 ), ritenuta il testamento spirituale del poeta.
E’ una poesia anti idillica questa, che continua il percorso del Ciclo di Aspasia , ma lo supera perché con la Ginestra il poeta si incammina verso le ultime e nuove riflessioni.
Per combattere la minaccia della Natura , madre malvagia, che non si cura degli uomini e del loro dolore, Leopardi ipotizza la realizzazione di una una “social catena “, di un legame fraterno tra gli uomini che può dar vita a “ un più onesto e retto conversar cittadino”
Leopardi non è mai stato un misantropo e seppur questa teoria sia da considerarsi un’ utopia, è vero anche che essa è un approdo “positivo” di tutta la sua meditazione filosofica.
A Napoli, alle falde del Vesuvio, il poeta muore nel 1837.
In questa lirica che fa parte de” Il ciclo di Aspasia”, pubblicata nel 1835, Leopardi abbandona la poetica del vago e dell’indefinito e si accosta ad una nuova poesia, cruda, priva di immagini, anti idillica.
Or poserai 1 per sempre,
stanco mio cor. 2 Perì l’inganno estremo
ch’eterno io mi credei. 3 Perì. Ben sento ,
in noi di cari inganni,
non che la speme, il desiderio è spento. 4
Posa per sempre. 5 Assai 6
palpitasti. Non val cosa nessuna
i moti tuoi, né di sospiri è degna
la terra. 7 Amaro e noia
la vita , altro mai nulla 8; e fango è il mondo.
T’acquieta ormai. Dispera
l’ultima volta. 9 Al gener nostro il fato
non donò che il morire. 10 Ormai disprezza
te , la natura, il brutto
poter che, ascoso, a comun danno impera,
è l’infinita vanità del tutto.11
NOTE
Il testo è un intimo colloquio del poeta con la parte più intima di se stesso, il suo cuore. La lirica che si sviluppa secondo un modulo metrico molto chiaro, un settenario, due endecasillabi, un settenario e un altro endecasillabo, può essere suddivisa in tre parti: v 1-5 ; v 6-10; v 12 -15; il v 16 è a parte come formula autonoma “ è l’infinita vanità del tutto.”
Ogni gruppo di versi si apre con versi martellanti quali: “Or poserai per sempre, posa per sempre,
t’ acquieta ormai.
Colpisce l’andamento del discorso, costituito da periodi brevi, anche una sola parola , senza legami sintattici.
Di conseguenza ci sono numerosissime pause ( v9) che insieme agli enjambement spezzano il discorso
Il lessico è spoglio, rari aggettivi, tanti verbi e sostantivi soprattutto questi ultimi densi di significato : terra, mondo natura , noia , morte..
Il tema centrale di questa lirica è la scomparsa dell’inganno estremo, l’amore cui però si associa l’affermazione eroica di sé contro tutti i valori della cultura dominante. Con il crollo dell’ultima illusione, Leopardi afferma con convinzione che nulla sulla terra abbia più valore e che la natura eserciti sull’uomo solo un malvagio potere.
Ma da questa consapevolezza, tuttavia non emerge un atteggiamento rassegnato: il disprezzo di quella parte di sé che si era abbandonato alla dolcezza dell’amore, emerge prepotentemente e si contrappone con lucidità al mondo e alla sua miseria.
Il poemetto “ la Ginestra” costituito da ben 317 versi e composto nel 1836, sviluppa diversi temi ben accordati tra loro, espressione dell’ultimo pensiero leopardiano.
Contro lo spiritualismo e le teorie progressiste, il poeta rivela il valore di una morale materialistica, consapevole della fragilità umana e della necessità di unirsi per far fronte comune alla naturra.
E tu, lenta 1 ginestra,
che di selve odorate2
queste campagne dispogliate 3 adorni,
anche tu presto alla crudel possanza
soccomberai del sotterraneo foco
che ritornando al loco
già noto,stenderà l’avaro lembo
sulle tue molli foreste 4 E piegherai
sotto il fascio mortal non renitente
il tuo capo innocente, 5
ma non piegato insino allora indarno
codardamente supplicando innanzi
al futuro oppressor ; 6 ma non eretto
con forsennato orgoglio inver le stelle
né sul deserto, dove
e la sede e i natali
non per voler ma per fortuna avesti;
ma più saggia, ma tanto
meno inferma dell’uom, quanto le frali
tue stirpe non credesti
o del fato o da te fatte immortali 7
NOTE
Il poemetto può essere suddiviso in 7 parti che sviluppano tre tematiche fondamentali: l’indifferenza della natura per l’uomo, la falsa fiducia nel potere del genere umano, la fede illusoria in un destino di progresso.
Leopardi si rivolge in apertura alla ginestra e conclude il poemetto affermando che questo fiore è un modello per l’umanità. L’umile fiore è destinato al fuoco del Vesuvio, eppure la ginestra continua a crescere, a fiorire senza lasciarsi abbattere dalla paura, ma è anche consapevole della sua fragilità e della sua fine.
La tenacia e la modestia di questo fiore che resiste alla natura, si oppone alla boriosa presunzione dell’uomo moderno che si sente onnipotente e che osa sfidare il fato. La ginestra è un modello di vita e di moralità per l’umanità. Dal punto di vista formale quest ‘ultima sezione si apre con un’apostrofe ed è ricca di richiami “anche tu… anche tu; ma non piegato…ma non eretto; ma più saggia… ma tanto meno inferma.”
Bibliografia
Fonte: http://www.lafilandacornaredo.org/2010-2011/TerzaEta/Dispense/Dispensa%20Conversando%20con%20Leopardi%20a%20cura%20di%20R.%20Rossini.doc
Sito web da visitare: http://www.lafilandacornaredo.org/
Autore del testo: R. ROSSINI UNIVERSITA’ DELLE TRE ETA’
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