Dispensa origine lingua italiana

Dispensa origine lingua italiana

 

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

 

 

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

 

 

 

Dispensa origine lingua italiana

 

SULL’ORIGINE DELLA LINGUA ITALIANA

PARTE I

Dalle prime forme di comunicazione verbale, alle migrazioni dei popoli indoeuropei verso l’Italia nel secondo millennio  a.C.

 

1.1 Nascita del linguaggio verbale

Nelle prime fasi del proprio percorso evolutivo “l’animale uomo” comunicava con i propri simili mediante segnali simili a quelli usati dagli altri animali. Solo nelle fasi successive del proprio percorso evolutivo, parallelamente allo sviluppo di altre abilità, si svilupparono notevolmente anche le capacità1.

Certo è impossibile definire l’esatto momento in cui i suoni prodotti dall’uomo primitivo si  sono trasformati in linguaggio verbale. Alcuni studiosi ipotizzano che già l’Homo erectus, circa un milione di anni fa, avesse sviluppato forme comunicative notevolmente più evolute rispetto a quelle usate dagli animali; tuttavia dobbiamo arrivare all’Homo sapiens per poter parlare di un vero  e  proprio  linguaggio  verbale,  si  pensa  infatti  che  l’uomo  di  Neanderthal,  vissuto  tra i

120.000 e 40.000 anni fa, fosse in grado di produrre un linguaggio articolato. Solo però con l’imporsi, circa 30.000 anni fa, dell’Homo sapiens sapiens (che presenta organi vocali e forma del cranio più adatti al linguaggio) si ebbe un netto sviluppo della capacità linguistica. Il tipo umano che si diffuse in tutta Europa in questo periodo è l’uomo di Cro-Magnon2 di cui sono state trovate tracce anche in Liguria Occidentale ai confini con la Francia. L’uso di  indumenti, l’ornarsi con conchiglie marine, e altri segni, ci portano a considerare come sicuro che questi

uomini non potevano esprimersi solo mediante mugolii animaleschi, ma possedevano un linguaggio che ormai possiamo definire verbale, per quanto limitato.

 

    • Famiglie linguistiche in Europa e nell’area attorno al Mediterraneo

Prima d’iniziare questo paragrafo è necessario fare una considerazione che dobbiamo tenere ben presente durante tutto il percorso:

La lingua parlata da un popolo è un sistema dinamico che muta in continuazione. La lingua che si parla in un determinato momento storico è il risultato di un insieme di componenti aventi origine diversa, e tra queste componenti ha una notevole importanza le migrazioni dei popoli che spostandosi da un territorio ad un altro portano nel luogo in cui si insediano una nuova lingua che si mescola con la lingua dei residenti.

 

Per avere delle informazioni attendibili in merito allo sviluppo di quelle che possiamo definire “famiglie linguistiche” delle zone attorno al Mediterraneo e in Europa dobbiamo arrivare al IV millennio a.C..

1 Probabilmente il potenziamento delle capacità comunicative è stato il fattore che più di altri ha consentito la sopravvivenza alla nostra specie rispetto a molte altre simili.

2 L’uomo di Cro-Magnon è il rappresentante di una tappa cruciale nell'evoluzione dell'Homo sapiens sapiens, viveva nell'Europa occidentale e meridionale alla fine del periodo glaciale (circa 20.000 anni or sono) . Il nome Cro-Magnon deriva dalla località del sud-est della Francia, in cui furono scoperti i primi resti di uno scheletro nel 1868. Le caratteristiche fisiche che distinguono gli uomini di Cro-Magnon da quelli di Neanderthal (estinto tra i 40.000 e i 50.000 anni fa) sono il mento pronunciato e la fronte alta. Manufatti attribuiti al primo periodo della cultura Cro-Magnon testimoniano che questi uomini conoscevano la lavorazione della pietra, dell'osso e dell'avorio, portavano abiti e si decoravano il corpo con ornamenti di conchiglia e osso e, come dimostrano varie pitture rupestri, erano cavernicoli. I Cro-Magnon sono ritenuti, da alcuni studiosi, gli antenati delle popolazioni dell'Europa meridionale e occidentale.


 

 

Sappiamo che dal 3000 al 2000 a.C. in Europa e nei territori intorno al Mediterraneo esistevano sei grandi famiglie linguistiche di popoli:

Camiti (Nord Africa)

      • Semiti (Medio Oriente)
      • Mediterranei (fascia territoriale che si estende dalla Spagna al Caucaso)
      • Indoeuropei (Europa centrale)
      • Altàici e Uralici (al di là della Catena degli Urali e quindi in Asia)

 

Nella cartina (fig. 1) possiamo notare come alcune famiglie linguistiche hanno una scarsa propensione alla diffusione (probabilmente per la debolezza intrinseca delle popolazioni stesse), ad esempio i Camiti e i Mediterranei, mentre altre famiglie hanno una notevole propensione alla diffusione come i Semiti (che iniziarono per primi le loro migrazioni verso il 2500 a.C.) e gli Indoeuropei. La nostra lingua, come quella dei francesi, degli inglesi, dei greci, degli spagnoli, risentirà moltissimo delle migrazioni degli Indoeuropei, anzi sarà questa famiglia che darà l’impronta linguistica ai paesi europei e non solo, come possiamo comprendere dal seguente organigramma:


Che tutti questi popoli abbiano una stessa matrice linguistica è confermato anche dalla somiglianza di alcune parole usate nelle diverse lingue:

Italiano

Latino

Germanico

Celtico (irlandese)

Slavo

Baltico

Greco

Irannnico

Indiano (sanscrito)

Madre

Màter

Muòtar

Màthir

Mati

Motè

Mèter

Màdar

Màtar

Tre

Tres

Dri

Tri

Trije

Trys

Trèis

Thrayo

Trayas

 

La situazione linguistica in Italia nel II millennio a.C.

Dalla cartina (fig. 1) possiamo notare la presenza in Italia già dal III millennio a.C. di Etruschi, di Liguri e di Piceni, queste popolazioni sono originarie della famiglia linguistica mediterranea; dal 1500 a.C. avviene che anche l’Italia è interessata dal movimento migratorio dei popoli INDOEUROPEI come possiamo osservare nella cartina indicata, ebbene tali migrazioni sono di fondamentale importanza per comprendere l’origine della lingua italiana.

 

L’espansione della famiglia linguistica indoeuropea

I popoli che nel loro insieme chiamiamo Mediterranei, appaiono piuttosto fermi nelle loro terre. Dai mediterranei si sono sviluppate anche delle notevoli civiltà: i Cretesi, i Troiani, e quella, a noi più vicina, degli Etruschi.

Così come i popoli Mediterranei non hanno propensione allo spostamento, all’opposto i popoli Indoeuropei compirono spostamenti notevoli partendo dalle loro terre d’origine situate nell’Europa centrale e orientale.

Primi a compiere le migrazioni furono i popoli degli Ittiti e dei Greci, verso il 2000 a.C.. Questi popoli spostandosi verso sud vennero in contatto con popolazioni più progredite, come i Fenici e i Cretesi e ciò contribuì a sviluppare anche la loro civiltà. Gli Ittiti fondarono un vasto impero nell’Asia Minore. Mentre i Greci si diffusero ad ondate successive nella penisola che poi prese il loro nome (Grecia) e nelle isole del mar Egeo, fondando città quali Micene e dando origine alla civiltà greca.

Una seconda ondata migratoria di gruppi Indoeuropei si mosse verso Oriente, arrivando in India e in Persia (oggi Iran), dando origine alla civiltà indiana e persiana (i Persiani fondarono un impero molto potente che combatté per diversi decenni contro i Greci).

Una terza ondata migratoria (che interessa la nascita della nostra lingua), oltrepassando il Danubio e il Reno, si diresse verso l’Europa occidentale e meridionale; questo spostamento,  che


 

avvenne vero il 1400 a.C., vede quali protagonisti i popoli Veneti, Latini, Osco-Umbri, Illiri e Celti; tutti questi popoli nella loro migrazione arrivarono in Italia.

La lingua italiana deriva alcuni vocaboli dalla famiglia linguistica originaria dei Mediterranei, e altri vocaboli dalla famiglia indoeuropea. La presenza di alcuni vocaboli derivanti dalla famiglia linguistica presente nei territori, e di altri derivanti dalla famiglia linguistica portata dai nuovi arrivati non è casuale, gli studiosi infatti, hanno scoperto che quando due popolazioni vengono in contatto, e quindi vi è mescolanza delle lingue, nella formazione linguistica che ne deriva i vocaboli hanno solitamente questa diversa origine:

  • dal popolo residente derivano i vocaboli che fanno riferimento al territorio e agli elementi del territorio (ad esempio alla nozione di riparo, ai rilievi del terreno, alle varietà di piante e di frutti, agli animali);
  • dal popolo nuovo arrivato derivano quei vocaboli che fanno riferimento a nozioni elementari (ad esempio i numeri, le quantità, le misure), essendo concetti astratti, e quindi diffusi presso tutti i popoli, non vengono modificati dai popoli nuovi arrivati.

 

Nella lingua derivata dall’incontro tra i Mediterranei e gli Indoeuropei (che poi è la base della nostra lingua), abbiamo vocaboli derivanti dalla famiglia linguistica mediterranea:

Alpi (derivante da “sasso”)

      • Bratta (“fango” lo troviamo nel verbo imbrattare)
      • Kroda (“roccia”, forma dialettale veneta)
      • Bakka (“bacca”)
      • Ampa (“lampone”)
      • Talpa (“talpa”)
      • Tarma (“tarma”)
      • Kasa (“casa”)
      • Wòino (“vino”)
      • Elàiwo (“olio”)

e vocaboli appartenenti alla famiglia linguistica indoeuropea:

alcune radici verbali (Es di “essere”, Do di “dare”, Stha di “stare”, Geus di “gustare”)

      • i numeri (uno, due, tre, quattro, ecc.)
      • Yem (“immagine”)
      • Vakka (“mucca”)
      • Peku (gregge di “pecore”)
    • L’Italia e i primi contatti con le popolazioni indoeuropee

Nel periodo in cui iniziano i primi contatti con i popoli indoeuropei (come abbiamo visto verso il 1500 a.C) le popolazioni residenti in Italia erano divise in cinque aree o “focolai di attrazione”:

 

area ligure (nell’Italia nord-occidentale)

  • area euganea o reto-euganea (nell’Italia nord-orientale)
  • area tirrenica (nell’Italia peninsulare-occidentale)
  • area picena (nell’Italia peninsulare-orientale)
  • Sicilia e Sardegna (sono influenzate sia dall’area tirrenica e ligure, sia dall’Africa)

 

Le popolazioni che vivevano in Italia nel secondo millennio avanti Cristo erano già in contatto, per gli scambi commerciali, con le altre popolazioni esistenti nel continente europeo. I primi capisaldi della presenza indoeuropea in Italia si trovano in Puglia (questa presenza indica la facilità degli scambi via mare); solo successivamente troviamo nella zona vicino ad Este (in provincia di Padova) un secondo centro che attesta l’influsso della cultura indoeuropea. In particolare la cultura atestina3 mostra d’avere preso dalle popolazioni centroeuropee l’uso della fibula4 e il rito di bruciare i cadaveri (incinerazione).

Il rapporto tra popolazioni residenti in Italia e popolazioni indoeuropee non deve essere visto come uno scontro, l’annientamento di una civiltà da parte della più forte, al contrario dobbiamo pensare ad un completamento e un arricchimento: le nuove strutture, le nuove unità lessicali provenienti dal mondo indoeuropeo non hanno cancellato il patrimonio linguistico originario dell’Italia. Non vi è mai stata nemmeno l’imposizione di una egemonia culturale da parte della civiltà nuova arrivata rispetto a quella residente (il mondo mediterraneo era superiore, come civiltà  a quello centroeuropeo).

L’egemonia linguistica indoeuropea in Italia si spiega con il fatto che le tribù indoeuropee che arrivarono in Italia erano solide, compatte, ben organizzate, dove arrivavano costituivano una forza di attrazione e di confronto con le popolazioni indigene, e così diventarono, anche linguisticamente, dei modelli da imitare.

 

 

3 Atestina, ossia di Este.

4 Dal latino fibula, significa spilla, fermaglio.


PARTE II

La lingua latina

    • Il formarsi della lingua latina

Riprendendo quando si diceva nel capitolo precedente, verso il 1400 a.C. iniziarono delle migrazioni di genti dal centro Europa verso l’Italia, queste genti si fermarono in zone diverse d’Italia: i Veneti nel territorio che ora corrisponde, indicativamente alla regione Veneto, gli Osco- Umbri nell’Italia centro-meridionale, i Latini sulle coste del Mar Tirreno vicino al fiume Tevere.

Proprio da una delle tribù indoeuropee meno numerose, quella che occupava inizialmente solo la pianura a sud del fiume Tevere, ebbe origine il popolo dei Latini5, popolo destinato a dar  forma al più grande regno dell’antichità.

Nel periodo in cui il popolo dei latini fondava la città di Roma (Roma per tradizione è stata fondata il 753 a.C.) in Italia erano presenti popoli di tre stirpi:

gli antichi Mediterranei (Reti, Liguri, Piceni, Etruschi, Sardi, Sicani)

      • gli Indoeuropei (Celti, Veneti, Osco-Umbri, Latini, Musoni, Siculi, Jàpigi, Messapi)
      • i Semiti (Punici provenienti da Cartagine)

 

5 Dal latino “Latium”, Lazio.


 

 

Per il formarsi della lingua latina dobbiamo pensare che la lingua dei primi abitanti di Roma era una lingua già molto modificata dai contatti con le altre lingue, man mano che i Romani estendevano il loro dominio su territori limitrofi se da un lato imponevano la loro lingua dall’altro subivano un’influenza culturale dai popoli conquistati vediamo alcuni esempi:

Etruschi

Gli Etruschi influirono molto sulla vita civile e politica dei Romani, dalla lingua etrusca i romani presero vocaboli come persona, popolo, cisterna, dagli stessi etruschi appresero anche il sistema che prevedeva di dare tre nomi alle persone (il prenome, riferito alla singola persona, il nome riferito alla gens, ossia l’insieme di parenti, e il cognome che si riferiva alla familia, ossia al ramo più vicino della gens, abbiamo così dei nomi quali Marcus Tullis Cicero).

 

Osco-Umbri

Dalla lingua di queste popolazioni passarono al latino vari nomi di animali (spesso tipici della loro regione): lupo, bufalo, bue.

Galli

Alla lingua dei Galli risalgono le parole camicia, carro, betulla.

 

Greci

Il maggior influssi culturale i Romani lo ricevettero dai Greci (d’altra parte i Greci erano molto più progrediti in molti campi: nelle arti, nella cultura, nella produzione di beni di consumo). Della lingua greca moltissimi termini passarono al latino ne indichiamo solo alcuni: pietra, macchina, bottega, camera, carta, scuola, cattedra, governare, piazza, poesia, teatro, filosofia, ecc. Si noti quanti termini sono legati alla organizzazione della società e allo sviluppo del pensiero, era proprio vero quanto affermato dal poeta romano Orazio: “Abbiamo conquistato la Grecia, ma questa con la sua civiltà ha conquistato noi rozzi vincitori”.

Da osservare come le parole ricevute da altre popolazioni e passate nella lingua latina hanno avuto la possibilità, grazie alla estensione dell’impero romano, di diffondersi in tutto il mondo (la civiltà greca è sopravvissuta anche grazie ai Romani).

 

Il successo della lingua latina

Per comprendere il successo, inteso come diffusione, che ebbe la lingua latina nell’antichità dobbiamo ricordare che i Romani in soli cinque secoli, dal 390 a.C. al 117 d.C., conquistarono un territorio immenso che si estendeva dal Mare del Nord ai confini del Sahara, dall’Oceano Atlantico alla Mesopotamia, fu il più vasto, il più ricco e più popolato impero dell’antichità, 80 milioni di abitanti. Ebbene la lingua usata per comunicare tra popoli così diversi era il latino, metà della popolazione che si trovava all’interno dell’impero romano (quindi circa 40 milioni di persone) parlava latino, nessuna lingua nell’antichità aveva mai avuto tanta diffusione.


Il Latino degli scrittori classici e il latino delle masse

Probabilmente proprio a causa della vastità dell’impero la lingua latina assunse due  fisionomie distinte:

un latino, detto latino classico, definito in modo rigido in determinate forme per la grammatica, la costruzione sintattica, i tipi di parole, è il latino degli scrittori, il latino dei classici, il latino studiato a scuola

      • un secondo tipo di latino, detto latino parlato o “volgare” del popolo, usato nelle conversazioni di ogni giorno

 

se il latino classico era rigido, fissato nelle forme ritenute le più valide e quindi non modificabili, al contrario il latino parlato subiva continue trasformazioni, fu proprio il latino parlato alla fine a prevalere è questo il latino che gradualmente si trasformerà nelle lingue che chiamiamo neolatine.

PARTE III

Dal latino alle lingue neolatine

    • Quali furono le cause che portarono al formarsi di un latino “parlato”, diverso da quello usato dagli scrittori classici

Partiamo dalla seguente riflessione: una lingua è un sistema che muta in continuazione, tutti

i tentativi fatti per mantenere in vita una forma statica, quella che si ritiene essere la forma perfetta, sono destinati a fallire.

Se cerchiamo il momento in cui il latino parlato dalle masse inizia a distinguersi dal latino dei

classici resteremo delusi, non esiste infatti un momento in cui la lingua del popolo inizia a distinguersi da quella degli autori classici; probabilmente la maggior parte del popolo non ha mai parlato il latino nella forma considerata “classica”.

Grazie ad alcuni documenti rinvenuti abbiamo la possibilità di confrontare dei vocaboli usati dal popolo in Italia nel 300 d.C. con le corrispondenti voci del latino classico:

Latino classico

Latino parlato in Italia (circa 300 d. C.)

Italiano

Columna

Colomna

Colonna

Màsculus

Masclus

Maschio

Càlida

Calda

Calda

Vìridis

Virdis

Verde

Àuris

Oricla

Orecchia

Ignis

Fòcus

Fuoco

 

I motivi principali che hanno portato al formarsi della distinzione tra latino scritto e latino parlato  sono   i    seguenti: a. Scarso livello d’istruzione che solo in rari casi andava oltre l’elementare

Dobbiamo pensare che l’istruzione scolastica delle masse, quando esisteva, non andava oltre il livello elementare, e così pochi avevano la possibilità di conoscere il latino usato dagli scrittori classici, la cultura era innanzitutto una cultura orale.

b. Uso delle antiche lingue locali

La vastità dell’impero romano fece si che le province acquistassero una discreta autonomia da Roma, in queste province le masse popolari tendevano ad usare le lingue locali, precedenti il latino. c. Uso del latino parlato per diffondere il Cristianesimo

Il cristianesimo da subito si propone come una religione rivolta al popolo, ai più poveri e agli

incolti, per poter far arrivare a loro il messaggio di Cristo non si poteva usare il latino degli scrittori classici, sconosciuto ai più, bisognava usare il latino parlato dal popolo; gli stessi Vangeli furono tradotti dal greco non nel latino classico, ma nel latino popolare.

 

La disgregazione dell’impero romano d’Occidente e il formarsi delle lingue neolatine

Per comprendere come sia avvenuto il formarsi delle lingue neolatine dobbiamo considerare

quanto è avvenuto nei secoli in cui l’impero romano d’Occidente si è disgregato lasciando lo spazio per la formazione di nuove realtà politiche–istituzionali.

Fin dal III secolo d.C. la debolezza dei confini dell’impero, e i conseguenti frequenti contatti con le popolazioni straniere, chiamate in modo generico barbare  (il termine barbaro deriva dal latino bàrbaru e a sua volta dal greco bàrbaros, indica gli stranieri, ossia coloro che non sanno parlare la “nostra lingua” ma si esprimono con una specie di balbettio), portò alla trasformazione della lingua. Non dobbiamo però pensare a un rapporto conflittuale sempre e comunque tra romani e barbari, i romani usarono le tribù barbare amiche per difendere i confini dell’impero dalle invasioni di barbari nemici. Negli ultimi anni dell’impero d’Occidente (che ricordo finisce nel


476 d.C. con la deposizione dell’imperatore Romolo Augustolo), man mano che le invasioni barbariche portavano ad una disgregazione sempre maggiore, il latino parlato si mescola con le lingue degli invasori (Visigoti, Ostrogoti, Arabi, ecc.) iniziando un processo che porterà alla formazione di lingue diverse nelle diverse zone d’Europa.

Quello che per molti secoli era rimasto un territorio compatto sotto il dominio di Roma si trasformerà dal VI secolo in un insieme di regni detti romano-barbarici. In alcuni di questi territori (Africa, Medio Oriente, Gran Bretagna ed Europa centrale) le lingue dominanti furono quelle barbariche e il latino scomparve del tutto; mentre nei territori in cui la dominazione romana era stata più lunga e aveva inciso in maggior profondità (Spagna, Francia, Portogallo, Romania) gli elementi della lingua latina rimasero dominati e portarono al formarsi delle nuove lingue chiamate neolatine o romanze ( ossia derivanti dalla lingua dei romani).

Vediamo la distribuzione delle lingue neolatine in Europa nella cartina che segue:

La lingua latina dopo il crollo dell’impero romano d’Occidente

Con la caduta dell’impero romano d’Occidente la lingua latina non è scomparsa. Il latino classico era la lingua studiata dalle persone istruite, in ogni corso scolastico superiore di qualsiasi paese europeo era previsto lo studio del latino (nei nostri liceii, classico e scientifico, si studia ancora oggi il latino, e fino a qualche decennio fa si studiava anche nelle scuole medie), ecco quindi che questa lingua divenne lo strumento ideale per lo scambio di informazioni tra persone istruite appartenenti a paesi diversi.

Nei secoli successivi alla caduta dell’impero romano d’Occidente il latino continuò ad essere usato per scopi diversi:

per mantenere le relazioni diplomatiche tra Stati

      • come lingua per diffondere le informazioni di natura scientifica6 e giuridica (almeno fino a tutto il XIX secolo)
      • per l’organizzazione della Chiesa e della religione cristiana7

 

6 Ad esempio Copernico, polacco, divulga la sua teoria sul moto della Terra attorno al Sole in lingua latina. Anche la classificazione degli esseri viventi iniziata dai biologi nel XVII secolo è in lingua latina. Oggi la comunità scientifica usa l’inglese quale lingua ufficiale per lo scambio di informazioni.

7 Verso il 350 dopo Cristo la Chiesa cattolica scelse il latino classico come propria lingua ufficiale per la messa, per le preghiere e per i propri documenti, Solo in epoca recente, dal 1963, la Chiesa ha disposto l’uso della lingue moderne per recitare la messa nei diversi paesi, i messaggi del papa, le cosiddette encì cliche sono ancora oggi scritte in latino


PARTE IV

L’imporsi del “volgare” fiorentino

    • Dal latino parlato ai dialetti regionali

Quando l’impero romano d’Occidente cadde, l’Italia fu sconvolta dall’arrivo dei nuovi popoli (in particolari i Germani, ma anche i Greci dell’impero Bizantino) le condizioni economiche e politiche della popolazione mutarono profondamente. Ogni regione, ogni vallata cominciò a vivere una vita per conto proprio, perdendo per lunghi periodi i contatti con le regioni vicine. Rovine, paludi, terre incolte erano molto diffuse nel territorio italiano durante il periodo medioevale; la popolazione si raccoglieva allora nei posti che riteneva più sicuri, in particolare sui monti e nelle vallate più isolate (è in questo periodo che molti abitanti di Aquileia e delle pianure venete si rifugiano nelle isolette della laguna fondando Venezia). Si formarono così tante piccole comunità isolate che dovettero organizzarsi per provvedere a loro stesse.

In questa situazione anche la lingua latina usata dal popolo si frantumò in tante parlate diverse e da queste nacquero i tanti dialetti d’Italia.

L’insieme dei dialetti che si sono sviluppati in Italia, potrebbe essere suddiviso, in base al tipo di parlata, in quattro gruppi:

dialetti settentrionali

      • dialetti centro-meridionali
      • sardo
      • ladino

tutti derivanti dal latino parlato.

Le principali differenze tra i diversi dialetti

I dialetti dei quattro gruppi indicati presentano forti differenze tra loro, e questo significa che dopo la caduta dell’impero romano per molti secoli gli abitanti d’Italia rimasero profondamente divisi.

La differenza tra i dialetti parlati al nord e quelli del  centro-sud è così netta che potremmo parlare di due blocchi diversi separati da una linea ideale di divisione abbastanza netta che unisce la città di La Spezia a Rimini.


I dialetti che sono a nord della linea La Spezia-Rimini hanno la caratteristica di ridurre i suoni delle parole, non pronunciando le consonanti doppie (tera “terra”, caro “carro”) e perdendo molte vocali e consonanti (cavéi “capelli”, crea “creta”). I dialetti che sono a sud della linea conservano le doppie, le diverse consonanti e le vocali, pur usando in alcuni casi forme diverse.

 

Prime testimonianze d’uso della lingua “volgare” nei testi scritti

L’uso della lingua volgare (il termine volgare non ha nessun significato spregiativo, significa solamente lingua usata dal volgo, dal popolo) nei documenti scritti al posto del latino è documentata dal IX-X d.C.. Uno dei primi documenti che testimonia l’uso del volgare in forma scritta è un indovinello scritto in un misto di latino e Veneto nel IX sec. a Verona: “Se pareba boves, alba pratalia araba, et albo versorio teneba, et negro semen seminaba.” (Si spingeva avanti i buoi – le  dita -, arava i bianchi prati –la pergamena-, e teneva un bianco aratro –la penna  d’oca-  e seminava un nero seme –l’inchiostro-).

Nei secoli successivi le condizioni economiche e politiche dell’Italia migliorarono sempre più. Si svilupparono in ogni regione attività nuove e si avvertì sempre di più la necessità di usare una lingua scritta più semplice, comprensibile anche a quanti non avevano studiato il latino. Le opere dotte e di carattere scientifico si scrivevano ancora in latino, mentre i contratti commerciali, alcune leggi, i canti religiosi (si pensi al Cantico delle creature scritto in umbro da san Francesco), le opere letterarie si scrivevano sempre più spesso in volgare.

 

L’affermarsi del volgare fiorentino

Nel XIII secolo tra gli scrittori e i notai la pratica di usare il dialetto nativo per i testi scritti era ormai molto diffusa. Uno sviluppo particolare nell’uso della lingua volgare, per la composizione artistica, si ebbe nel XIII secolo presso la corte siciliana di Federico II. Attorno all’imperatore si formò una schiera di poeti che scelsero di usare il dialetto per comporre le loro opere, in tal modo per mezzo secolo la lingua dei poeti siciliani fu considerata la più importante d’Italia. Alla fine del XIII secolo la situazione mutò radicalmente, stava crescendo rapidamente la potenza di una città destinata a diffondere il proprio idioma (dialetto) in tutta la penisola, si tratta della città di Firenze.

Il dialetto fiorentino si impose come lingua di tutti gli italiani per due principali motivi:

perché era molto simile al latino

      • perché Firenze, negli anni in cui si manifestò l’esigenza di una lingua comune, produsse una civiltà di altissimo livello che divenne modello per il resto d’Italia
  • Perché il dialetto fiorentino era molto simile al latino

In Toscana il latino si era modificato meno che in altre regioni d’Italia, cosicché i dialetti toscani, e in particolare il fiorentino, appaiono molto simili al latino stesso. La somiglianza con il Latino fece si che le persone istruite che già conoscevano il latino (notai, giudici, medici, religiosi, scrittori, ecc.) non dovevano faticare per imparare il fiorentino.

 

Perché Firenze, negli anni in cui si manifestò l’esigenza di una lingua comune, produsse una civiltà di altissimo livello che divenne modello per il resto d’Italia

L’Italia dal Duecento al Quattrocento vide una grande fioritura di civiltà in tutte le sue regioni; tra queste Firenze ebbe il maggior sviluppo economico e culturale.

La forza economica e politica di Firenze alla fine del Duecento favorì lo sviluppo della cultura, pittori, scultori, scrittori trovarono l’ambiente ideale per produrre le loro opere.

Tuttavia il fattore che maggiormente favorì il volgare fiorentino rispetto agli altri  volgari d’Italia, è dato dalla quasi contemporanea produzione in questa lingua di tre scrittori che sono tra i più famosi al mondo: Dante Alighieri (1265-1321), Francesco Petrarca (1304-1374), Giovanni Boccaccio (1313-1375). Le loro opere scritte in volgare si diffusero rapidamente in tutta l’Italia, e divennero un modello per gli altri scrittori, che iniziarono a comporre in fiorentino.


PARTE V

Unità politica e unità linguistica

    • L’italiano nello scritto e il dialetto nel parlato

Nei secoli XVI, XVII, XVIII e XIX il fiorentino si impose sempre più come lingua unitaria, usata come mezzo di comunicazione da scrittori e scienziati appartenenti alle diverse  regioni d’Italia; tale lingua era però conosciuta soltanto dalle persone colte che la imparavano sui libri e se ne servivano solo per scrivere le loro opere, spesso nemmeno loro sapevano usarla con facilità nel parlato. Solo in Toscana si parlava quella che diverrà la lingua italiana, in tutte le altre regioni persone di ogni condizione sociale parlavano in dialetto (le opere letterarie che intendevano rappresentare lo svolgersi della vita quotidiana sono scritte in dialetto, si pensi alle commedie di Carlo Goldoni, autore del XVIII secolo, in dialetto veneziano).

L’esigenza di una lingua comune comprensibile da tutti gli italiani si manifestò nei primi decenni dell’Ottocento quando iniziò a diffondersi l’idea di un’Italia unita. Fu proprio l’esigenza di una lingua unitaria comprensibile da tutti che spinse il milanese Alessandro Manzoni a scrivere la sua opera più famosa I promessi Sposi nella lingua fiorentina parlata.

 

Unificazione politica ed esigenze linguistiche

“Fatta l’Italia ora bisogna fare gli italiani” con questa famosa frase Massimo D’Azeglio esprimeva benissimo quello che era il sentimento dominante negli anni successivi all’unità d’Italia, ossia la difficoltà di fare degli italiani, così diversi per usi, costumi, modi di pensare un unico popolo. Per risolvere il problema dell’unificazione linguistica nel 1877 la Sinistra al potere emanò una legge (la legge Coppino) che rendeva obbligatoria la frequenza scolastica dai sei ai nove anni (fino alla terza elementare); lo studio obbligatorio dell’italiano consentì il diffondersi dell’uso della lingua in tutto il territorio, anche se bisogna sottolineare come tale uso fosse limitato allo scritto, la lingua parlata, almeno tra il popolo, rimase il dialetto locale fino a qualche decennio or sono.

 

L’italiano oggi

Solo lo straordinario diffondersi dei mezzi di comunicazione di massa avvenuto nel Novecento ha consentito all’italiano parlato di diventare patrimonio comune. Il cinema, la radio e negli ultimi decenni la televisione (presente in tutte le case) hanno permesso alla lingua italiana di diventare il codice linguistico usato dalla maggioranza della popolazione.

Oltre ai mezzi di comunicazione di massa anche l’istruzione obbligatoria fino ai quattordici anni, del 1963, ha fatto si che la lingua di Dante diventasse la lingua di tutti gli italiani.

 

Fonte: http://www.insegnareitaliano.it/documenti/Laboratorio%20docenti/italiano/Martignon/riflessione_sulla_lingua/Origini_lingua.PDF

Sito web da visitare: http://www.insegnareitaliano.it

Autore del testo: Martignon

Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.

 

Dispensa origine lingua italiana

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

Dispensa origine lingua italiana

 

"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco

www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve

 

Argomenti

Termini d' uso, cookies e privacy

Contatti

Cerca nel sito

 

 

Dispensa origine lingua italiana