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Che cos'è una spiritualità?
Innanzitutto cos'è una spiritualità? Potremmo dire, semplicemente, che è un modo di vivere il vangelo, quasi uno "stile di vita" cristiana. La vita cristiana, pur essendo una, viene infatti sperimentata in modalità diverse, dando luogo a í molteplici spiritualità. Tale diversità di espressione è data da un insieme di fattori riconducibili, fondamentalmente, a due ordini di valori: uno evangelico-ecclesiale, l'altro storico-culturale.
La prima serie di motivazioni della molteplicità delle spiritualità è nella linea della mai compiuta comprensione, del vangelo. Lo Spirito di Verità introduce gradatamente la chiesa nella verità tutta intera - come afferma il Concilio Vaticano II - con una comprensione che progredisce «sia con la riflessione e lo studio dei credenti... sia con l'esperienza data da una più profonda intelligenza delle cose spirituali» (DV 8).
Le spiritualità ci appaiono così come la progressiva esperienza del mistero cristiano, la partecipazione sempre più piena, libera e cosciente alla vita di Cristo nella chiesa, la graduale assimilazione dei valori evangelici. Lo Spirito introduce in quella "più profonda intelligenza delle cose spirituali" che permette di cogliere il mistero cristiano da una particolare angolatura. Sorgono così, per iniziativa dello Spirito. uomini e donne che si collocano all'inizio di movimenti carismatici e che offrono alla chiesa nuove spiritualità. Lo Spirito apre loro l'intelligenza perché comprendano le Scritture (cf. Lc 24, 25). Si fa loro interprete ed esegeta dell'insegnamento di Cristo.
La seconda serie di motivazioni della molteplicità delle spiritualità è data dal contesto culturale e sociale nel quale esse appaiono. La parola di Dio è infatti "efficace ed opera nella vita personale e dei popoli. Per questo le spiritualità, che nascono dalla Parola di Dio e a servizio di essa, non rimangono astratte , e infeconde, ma interpretano le esigenze umane, permeano il tessuto sociale, rispondendo alle sue carenze e illuminandone le conquiste. carismi spirituali appaiono come interventi dello Spirito volti a guidare la storia. Egli, che scruta e conosce i segreti di Dio ( Co1 2, 11), scruta e conosce anche i segreti del cuore dell'uomo e i bisogni dei tempi. Lui sa l'anelito e i gemiti insiti in ogni generazione. Ed ecco che fa brillare. in modo nuovo, quelle dimensioni evangeliche che maggiormente rispondono ai tempi, venendo così incontro alle situazioni e ai problemi della chiesa e del mondo, anche se i valori evangelici di cui le spiritualità si fanno apportatrici sono perenni. In ogni momento storico di crisi, di difficoltà, di trasformazioni, lo Spirito ripropone, con la propria creatività, la vitalità feconda del vangelo e Cristo continua, in forma sempre nuova, ad essere luce che illumina ogni essere umano che viene nel mondo.
Le spiritualità appaiono vangelo inculturato, ossia vangelo che si fa storia, che si incarna in una cultura determinata, in un determinato popolo, in una concreta situazione politica ed economica.
Nel nome stesso di "spiritualità" è indicato l'autore di queste modalità di vivere il vangelo: lo Spirito Santo. È lui che, lungo la storia della chiesa, mette in luce una ad una le parole del vangelo, le fa comprendere in modo sempre più profondo e insegna a viverle. È uno dei suoi compiti. Ricordiamo la promessa che Gesù ha fatto ai suoi discepoli: «Quando verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera... prenderà del mio e ve l'annunzierà" (Gv 16, 13-15).
Vorrei qui mostrare, molto brevemente, come nella chiesa ci sono stati tanti modi di vivere il vangelo, tanti stili di vita cristiana, tante spiritualità.
L'esperienza della prima comunità
La chiesa inizia a Pentecoste e si visibilizza nella prima comunità di Gerusalemme. Più che una spiritualità, quella dei primi cristiani potremmo dire che è la spiritualità. A Gerusalemme, nel giorno di Pentecoste, lo Spirito Santo è sceso infatti in pienezza introducendo direttamente i primi cristiani nella dimensione più profonda del vangelo: il comandamento nuovo, l'unità. Egli insegna loro lo "stile di vita" che il Verbo ha voluto portare in terra: lo "stile di vita", se così possiamo esprimerci, proprio della Trinità che è Amore, Unità, Comunione.
Anche se non mancarono fin dagli inizi difficoltà e tensioni, la vita di quella comunità era subito caratterizzata dall'unità. Ricordiamo bene quello che raccontano gli Atti degli Apostoli. credenti si ritrovavano insieme a pregare, stavano uniti nell'ascolto dell'esperienza che gli apostoli narravano di quando erano con Gesù, avevano un cuor solo, un'anima sola e mettevano in comune i beni.. Lo Spirito Santo a Pentecoste li aveva fusi in unità. La vita della prima comunità, nella descrizione idealizzala che ne fa Luca, è come il bozzetto, il modello per la vita di sempre della chiesa: è la vita cristiana nel suo più alto momento carismatico, la Pentecoste.
Nella chiesa della Pentecoste sono racchiuse, quasi in forma incandescente, tutte le parole del vangelo. La possiamo paragonare alla teoria del "Big Bang", secondo la quale all'origine dell'universo tutta l'energia, che poi si sprigionò dando vita alle galassie, alle stelle, ai pianeti, era tutta condensata... Anche la pienezza di vita della Pentecoste doveva poi spandersi lungo il corso dei secoli e, a contatto con la storia, dare origine a molteplici spiritualità.
Ed ecco lo Spirito all'opera, che dispiega lungo tutta la vita della chiesa ognuna delle parole del vangelo. Lo Spirito "apre", per così dire, l'unità iniziale e via via ne fa sprigionare tutta la ricchezza in essa contenuta. È un cammino sofferto ed insieme entusiasmante. In una crescita graduale, porta la chiesa a raggiungere la pienezza di vita e la densità carismatica iniziale. La consumazione finale sarà ancora più bella del principio. Le parole del vangelo torneranno infatti tutte all'unità iniziale da cui si sono sprigionate, ma dopo essere state tradotte in vita ed aver compiuto le opere di Dio. E così, tra l'altro, che si può capire come tutti i carismi, tutte le spiritualità, nascono dall'unica fonte dello Spirito, dalla Pentecoste, e tutti sono destinati a tornare all'unità.
La ricerca di Dio nella solitudine
Una delle prime parole che lo Spirito rivela alla sua chiesa è il comandamento: «Ama Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze». Così, alcuni anni dopo l'esperienza dei primi cristiani, vediamo nascere un modo particolare di vivere il vangelo, una spiritualità.
Alcuni cristiani si sentono spinti dallo Spirito Santo a ritirarsi nella solitudine, nel deserto: sono gli anacoreti, (in greco anachórein significa appartarsi, allontanarsi). L'apparire della spiritualità del deserto è comprensibile se teniamo presente che la radicalità evangelica che caratterizzava gli inizi della vita cristiana si era via via allentata. È quasi una sostituzione del martirio che per ragioni storiche si fa sempre più raro.
Il primo che ha scelto questo stile di vita è stato - almeno idealmente - sant'Antonio Abate, vissuto nel terzo secolo nel Medio Egitto. Aveva 18-20 anni quando una domenica in chiesa sentì leggere gli Atti degli Apostoli, dove si narra che i primi cristiani vendevano quello che avevano e lo portavano agli apostoli. Ne rimase profondamente impressionato. La domenica seguente si leggeva il passo del vangelo dove Gesù dice: «Se vuoi essere perfetto va, vendi quello che hai, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi». Antonio sente che quelle parole sono proprio per lui. Vende tutto quello che ha, lo dà ai poveri, affida la sorella che sarebbe rimasta sola a delle donne cristiane, e si dona completamente a Dio.
Va a vivere da solo, fuori del villaggio e passa alcuni anni in preghiera. Poi va più lontano, nel deserto egiziano, sempre più lontano, per essere sempre più solo con Dio. Altri, attirati dalla fama della sua santità, lo imitano. Il deserto - ossia i luoghi solitari - "fiorisce", come si diceva allora, per la presenza viva di uomini e poi di donne. Tanti di loro raggiungono la santità nella profonda unione con Dio.
«Nulla mi sembra più grande di questo - scrive Gregorio di Nazianzo -: far tacere i propri sensi, uscire dalla carne del mondo, raccogliere se stesso, non occuparsi più delle cose umane, se non di quelle strettamente necessarie; parlare con se stesso e con Dio, condurre una vita che trascende le cose visibili; portare nell'anima immagini divine sempre pure, senza mescolanza di forme terrene ed erronee; essere veramente uno specchio immacolato di Dio e delle cose divine, e divenirlo sempre più...; godere, nella speranza presente, il bene futuro e conversare con gli angeli; avere già lasciato la terra, trasportati in alto con lo spirito».
Gli anacoreti vanno a Dio nella solitudine. A differenza dei primi cristiani la loro è una spiritualità che sottolinea maggiormente il momento "individuale", anche se rimane sempre una spiritualità ecclesiale" poiché il monaco è, per definizione, «colui che, separato da tutti, è unito a tutti», come dice Evagrio Pontico.
Grazie a questa loro apertura ecclesiale amano i fratelli. Per esempio, con i frutti del loro lavoro spesso aiutano i poveri. Pregano per tutta la chiesa, ospitano i viandanti, consigliano le persone che vanno da loro per essere aiutati a crescere nella vita spirituale.
Però il loro stile di vita non è centrato sull'amore e sul servizio dei fratelli. Esso è basato soprattutto sulla preghiera, sulla penitenza, sulla solitudine con Dio. La loro vita di unione con Dio irraggia all'esterno, ma il loro centro di gravità è dentro, motivati dall'amore di Dio, dal desiderio di vivere solo per lui. Si ispirano all'esempio di Elia, del Battista, ma soprattutto a quello di Gesù che si ritirò nel deserto per quaranta giorni e che spesso, di notte, andava a pregare da solo sulla montagna.
L'amore per la solitudine è tale che per alcuni anacoreti il fratello può diventare un ostacolo alla ricerca di Dio. Chiara Lubich nel suo tema cita uno di questi padri del deserto, 'Apa' Arsenio, che diceva: «Non posso essere contemporaneamente con Dio e con gli uomini».
Egli amava i discepoli che gli si erano radunati attorno, attratti dalla sua santità. Infatti in questo stesso "detto" confida: «Dio sa quanto vi amo». Però non sapeva come conciliare l'amore di Dio e l'amore dei fratelli. Gli sembra che per stare con Dio debba lasciare i fratelli. Arsenio, come gran parte dell'anacoresi, è fortemente influenzato dalla cultura dualistica, proveniente dal mondo pagano. Si pensava che lo spirituale e l'umano fossero due realtà inconciliabili tra loro.
Nel cenobitismo
Presto si scopre che la via di santità è più facile se ci si aiuta l'un l'altro. Nascono allora i cenobi, le "laure", i monasteri, dove i monaci si mettono assieme per camminare più speditamente verso Dio. E l'esperienza di Pacomio e Basilio in Oriente, di Agostino e Benedetto in Occidente. E l'esperienza di gran parte del monachesimo del primo millennio dell'era cristiana.
I monaci sono persone che, unite dall'amore fraterno, si aiutano ad entrare nell'intimità con Dio, a tu per tu, pronti poi a comunicare la propria esperienza..
Significativo il cammino di san Basilio, vissuto nel quarto secolo in Asia Minore. Attratto dalla fama di santità dei monaci del deserto era andato in pellegrinaggio nei più famosi luoghi dell'anacoresi: in Egitto, in Siria, in Palestina. Fortemente colpito dalla loro testimonianza di vita vuole seguirne l'esempio. Ma ben presto, grazie anche al profondo rapporto di comunione con i suoi antichi amici, che diventeranno santi come lui, comprende l'importanza dell'aiuto reciproco. Quando i suoi discepoli ali domanderanno se è meglio vivere da soli o insieme, spiega loro la superiorità della vita in comune. Basilio ha infatti capito che la persona umana, così come Dio l'ha voluta, è capace di relazione e quindi è abilitata a vivere il comandamento dell'amore. La naturale socialità umana è già un segno della vocazione all'unità, Egli spiega poi ai suoi discepoli perché mettendosi assieme è più facile vivere il vangelo.
«I comandamenti vengono facilmente compiuti in maggior numero da molti riuniti insieme, mentre ciò non accade per chi è solo, perché mentre ne compie uno, per ciò stesso è impedito nel compimento dell'altro. (...) Nella vita comunitaria il carisma proprio di ciascuno diviene comune a tutti quelli che ! vivono con lui. (... ) [Il solitario] non conosce i suoi difetti, né si accorge i del progresso fatto nelle opere, perché ha eliminato la materia stessa per il compimento del comando. In che cosa infatti manifesterà l'umiltà se non ha nessuno di cui mostrarsi più umile? In che cosa manifesterà viscere di misericordia, se è tagliato fuori dalla comunione con gli altri? E come si eserciterà nella pazienza, se non ha nessuno che si oppone alle sue volontà?». E ancora: secondo il vangelo occorre mettersi all'ultimo posto, ma se sono solo dietro a chi mi metto? Dobbiamo lavarci i piedi li uni gli altri, ma se sono i solo a chi li lavo?
Se gli anacoreti mettevano in luce il primo comandamento, si potrebbe dire che ai cenobiti lo Spirito Santo fa scoprire il secondo: «ama il prossimo tuo come te stesso». Con Basilio e soprattutto con Agostino viene in evidenza anche il comandamento nuovo dell'amore scambievole. «Il motivo essenziale per cui siete insieme riuniti - scrive Agostino all'inizio della Regola per la piccola comunità che vive con lui, vicino a Cartagine - è che viviate unanimi nella casa e che abbiate un'anima sola e un cuore solo protesi verso Dio».
Occorre tuttavia notare che anche l'esperienza dei cenobiti non fa nascere una "spiritualità collettiva", nel senso inteso oggi da Chiara Lubich. Ci si mette insieme per aiutarsi a progredire nella via della santità, ma la via rimane prevalentemente individuale. Il comandamento nuovo, della cui importanza i monaci sono ben consapevoli, non si traduce in uno stile di vita, non informa l'intero progetto del cammino spirituale.
Nell'anacoresi come nel cenobitismo vengono infatti in rilievo strumenti di santificazione che mostrano chiaramente che si tratta di una spiritualità che possiamo chiamare "individuale". Chiara Lubich li accenna nel suo tema: la solitudine e la fuga dalle creature, il silenzio, il velo e la clausura, le penitenze, i digiuni, le veglie, la povertà, la castità, l'obbedienza, il ritirarsi nella propria cella a pregare e meditare. Un tale modo di vivere ha il suo fascino ed esercita una forte attrattiva su molti a causa dei valori che offre e della profonda ricerca di Dio a cui conduce.
Negli ordini mendicanti
Perciò questi strumenti della "spiritualità individuale" li ritroviamo in tutte le altre spiritualità che nascono successivamente nella chiesa, a cominciare da quelle dei cosiddetti Ordini mendicanti: francescani, domenicani, carmelitani, agostiniani.
Li ritroviamo nel cammino di santità di san Francesco e di san Domenico, anche se il loro stile di vita è modellato sulle parole del vangelo che spingono verso il dono di sé, particolarmente nella predicazione della buona novella.
Lo Spirito Santo fa infatti scoprire loro il compito affidato da Gesù ai suoi, quando li manda a due a due ad annunciare il vangelo, chiedendo loro di non portare niente per il viaggio e di vivere in povertà. I frati di Francesco e di Domenico vanno come i discepoli verso i quattro angoli del mondo per proclamare il Regno di Dio. Testimoniano
quella fraternità che spezza tutte le barriere, tutte le gerarchie feudali e aristocratiche così forti nella società di allora. Lo stile di vita itinerante inaugurato dai Mendicanti è il più adatto ai nuovi tempi. Se infatti nel periodo di Benedetto era necessaria la stabilità come freno alla troppa mobilità dei popoli, ora è tempo di una nuova agile elasticità che faciliti il contatto con la gente. Il loro andare di luogo in luogo a testimoniare il vangelo vuole essere un invito ai Comuni allora nascenti a non rinchiudersi su se stessi nella egoistica difesa del proprio particolare, ma ad aprirsi alla fratellanza universale.
Francesco e Domenico sanno interpretare le nuove sensibilità e le nuove esigenze popolari espresse dal vasto "movimento pauperistico" sorto in Europa che, nella ricerca di una chiesa povera e semplice, arriva fino all'esasperazione e all'eresia. Francesco e Domenico vivono e insegnano ai loro frati una povertà vera, tutta impregnata di motivazioni evangeliche, che si contrappone di per sé all'avidità di denaro propria del loro tempo. L'altissima povertà di spirito diventa il loro stile di vita.
La ricerca della povertà, si interiorizza sempre più ì e porterà Francesco, negli ultimi anni della sua vita, ad una solitudine anche fisica, quella della Verna, nella quale lo Spirito lo configura a Cristo povero e crocifisso. «Io, frate Francesco piccolo, - scrive a S. Chiara come sua ultima volontà - voglio seguire la vita e la povertà dell'altissimo Signor nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre, e perseverare in essa fino alla fine».
Nella mistica renana
Gli strumenti tipici della spiritualità individuale li ritroviamo anche nelle grandi spiritualità fiorite nei Paesi Bassi e , nella Germania, un secolo dopo, tra il 1300 e il 1400. Esse sono rappresentate da nomi famosi: . Maestro Eckhart, Giovanni Taulero, Enrico Suso, Jan van Ruvsbroec... E la spiritualità della mistica detta "renana" - perché fiorita nelle vallate del Reno - e quella chiamata ! devotio moderna", legata alla scuola fiamminga. Contemporaneamente sorge un analogo movimento spirituale in Inghilterra, la cui dottrina è sintetizzata in una famosa opera: "La nube della non conoscenza".
Anche se in modi diversi queste grandi spiritualità cercano Dio nel "fondo dell'anima", secondo l'espressione di Maestro Eckhart. Poiché in quella parte più intima del proprio essere avviene la generazione del Figlio e il movimento dell'amore trinitario, questi mistici si sentono chiamati ad entrare in se stessi per trovare al di là di se stessi l'unione più profonda con Dio e partecipare della sua vita. Scrive Ruysbroec: «La nostra vita è sempre essenziale e tende all'origine del nostro essere creatura, dove noi viviamo da Dio e per Dio, e Dio in noi, e noi in lui... Questa vita è nascosta in Dio e nella sostanza della nostra anima».
Per arrivare a questa unione con Dio occorre rinunciare interamente a se stessi, svuotarsi di tutto, perché il "fondo dell'anima" sia pienamente disponibile a Dio. «Vuoi che Dio riesca a entrare? - si chiede Taulero -. Allora le cose create e tutto quello che è in tuo possesso deve fare spazio a lui». Si prende sempre più coscienza del valore del nostro nulla: «Quando Dio decise di creare le cose - è ancora Taulero che scrive -, esisteva soltanto il Nulla... Egli creò tutte le cose dal nulla. Se Dio deve operare nel suo modo speciale, Egli chiede solo che sia presente esclusivamente questo Nulla».
Da qui il bisogno, per questa corrente mistica, di staccarsi anche da tutte le creature. Chiara nel suo tema cita in proposito un brano dell'Imitazione di Cristo: «I santi più grandi evitavano, quando potevano, la compagnia degli uomini, e preferivano servire Dio nella solitudine».
Nell'umanesimo cristiano
Siamo negli anni che vanno dal 1400 al 1600. A mano a mano che dal Medioevo entriamo nell'epoca moderna, con il diversificarsi delle culture si diversificano anche le spiritualità. Nasce una spiritualità spagnola (Teresa d'Avila e Giovanni della Croce), una spiritualità italiana (Antonio Maria Zaccaria, Gaetano da Thiene, Filippo Neri, ...), una spiritualità francese ' (Francesco di Sales, Lallemant, Bérulle, Olier ... ). Possiamo notare come i cosiddetti secoli d'oro, dal punto di vista economico, artistico, culturale, dell'Italia, della Spagna e della Francia coincidono con le espressioni più felici della spiritualità e della mistica.
Sempre in questo periodo vediamo svilupparsi una spiritualità russa, che acquisterà piena coscienza di sé nell'Ottocento.
Accanto poi alle spiritualità cattoliche, la Riforma protestante, accelerando un fenomeno di identità nazionale, dà il via alla nascita di uno stile di vita protestante e anglicano.
Queste spiritualità risentono tutte del nuovo clima culturale portato dall'Umanesimo e dal Rinascimento. Se nel Medioevo si sentiva che il mondo era dominato dalla presenza di Dio, con l'Umanesimo viene in rilievo che Dio ha affidato il mondo all'essere umano, che si ritrova al centro del cosmo.
La spiritualità si fa ora più attenta alla persona, alla sua, alla sua interiorità psicologica. Vengono analizzati con una profondità prima sconosciuta i vari moti dell'anima. Si elaborano le leggi per il discernimento degli spiriti. Si sviluppano la psicologia spirituale e la direzione spirituale. Basterà ricordare gli Esercizi spirituali di sant'Ignazio, il Castello interiore di santa Teresa d'Avila, la Salita al monte Carmelo di san Giovanni della Croce.
Si tratta di spiritualità centrate sull'esperienza vissuta dell'inabitazione della Trinità nell'anima del cristiano. La Trinità abita nella dimora più profonda del "castello interiore", direbbe santa Teresa, e si entra in intimità con essa soprattutto attraverso la preghiera, sperimentata (sono parole di santa Teresa) come «un rapporto amichevole, ripreso e voluto ripetute volte, attuato da solo a solo con colui dal quale ci sappiamo amati». E un cammino esigente, che richiede la più completa spoliazione di sé, il "nada", direbbe san Giovanni della Croce, il nulla, il passaggio attraverso le notti più oscure, per arrivare alla piena unione, con Cristo e alla trasformazione in Lui.
Le spiritualità del servizio
Nei secoli che seguono il Concilio di Trento sorgono nuove spiritualità frutto di un'attenzione concreta ai quotidiani bisogni della gente, soprattutto dei poveri e degli ultimi.
I santi si sentono chiamati a rispondere alle grandi necessità sociali: ammalati da curare, ragazzi da istruire, poveri da aiutare... Lo Spirito li porta a dedicarsi al servizio dell'umanità in tutte le sue miserie. E l'epoca di san Camillo de Lellis di san Giovanni di Dio di san Vincenzo de' Paoli, di san Giovanni Battista de la Salle, di san Giovanni Bosco... Lo Spirito svela le parole del vangelo che ruotano attorno al giudizio finale: «Ero ammalato e mi avete visitato, affamato e mi avete dato da mangiare... Ogni volta che avete fatto qualcosa al più piccolo di questi miei fratelli l'avete fatto a me».
Sono spiritualità del servizio, dell'amore concreto che avranno un nuovo incremento nel XIX secolo e all'inizio del XX secolo, con lo straordinario fiorire delle Congregazioni religiose, attraverso le quali la chiesa davvero appare «attrezzata per ogni opera buona» ! (LG 12). Sollevare le povertà più diverse è «entrare nei suoi (di Gesù) sentimenti - diceva san Vincenzo de' Paoli interpretando tutti i santi della carità - far quello che lui fece ed eseguire quello che egli ha comandato...
E lui stesso ha voluto nascere povero, avere poveri nella sua compagnia, ' servire i poveri, mettersi al posto dei poveri, sino a dire che il bene e il male, che noi faremo ai poveri, lo riterrà fatto alla sua persona divina" .
L'ansia di comunione del XX secolo
E siamo a questo nostro secolo. Una caratteristica tipica della spiritualità del nostro tempo j è la valorizzazione degli aspetti positivi del mondo, il superamento dell'ecclesiocentrismo: è nel mondo dove deve realizzarsi il progetto di Dio, e i cristiani sono a servizio di ciò: l'impegno sociale è parte essenziale della spiritualità cristiana. Allo stesso tempo sappiamo come dalla fine dell'Ottocento siano state forti le esigenze di comunione e di unità. Molteplici fenomeni di ordine politico, culturale, economico, religioso dicono il bisogno di comunione e la tensione verso un mondo unito.
Basti pensare al fenomeno dei socialismi e al nascere di istituzioni quali la Società delle nazioni e poi le Nazioni Unite. La scienza e la tecnica hanno incrementato l'interscambio culturale e ravvicinato i popoli. In campo ecclesiale si è avvertita, in modo mai prima conosciuta, l'esigenza del dialogo ecumenico tra le chiese e di quello tra le religioni. All'interno della chiesa cattolica l'approfondimento ecclesiologico, che trova i suoi momenti culmine nell'enciclica Mistici Corporis e soprattutto nel Concilio Vaticano II, ha fatto nascere un bisogno nuovo di comunione a tutti i livelli.
È come se dall'umanità e dalle stesse chiese di oggi si levasse una richiesta di unità, quasi un grido.
Nel campo civile si passa dalla collettivizzazione violenta al liberalismo sfrenato, dalla massificazione politica al separatismo nazionalistico. Tutti fenomeni aberranti, che sono però indice del bisogno di una comunione autentica capace di portare all'unità nella libertà e nel rispetto delle identità.
Anche nell'ambito ecclesiale tutti parlano ormai di chiesa-comunione, ma spesso non si sa come attuarla.
Occorre che sia lo Spirito Santo a dare una risposta a tali esigenze, anche perché è Lui che le ha messe nel cuore degli uomini e delle donne di oggi. Occorrono insomma nuovi "carismi".
In questo contesto lo Spirito ha scelto - come sempre - una persona concreta Chiara Lubich.
Attraverso di lei lo Spirito che per sua natura è sempre creativo, ha fatto una cosa nuova nella chiesa donandoci la "spiritualità collettiva".
Leggendo il suo tema su questo argomento, mi è sembrato di percepire l'avvento di una rivoluzione copernicana. Come si era scoperto che non era il sole a girare attorno alla terra ma la terra attorno al sole, così con la spiritualità collettiva, si sperimenta che la vita di ognuno di noi ruota attorno alla Trinità e a Gesù presente in mezzo a noi, e in questo nuovo stile di vita si ritrova la Trinità e Gesù dentro di noi. È una vera rivoluzione nella chiesa e nell'umanità.
Vi sono stati dei momenti nel cammino della chiesa in cui la spiritualità si è espressa in senso comunitario. Basta pensare ai citati san Basilio, a sant'Agostino o a quell'esperienza così singolare di san Francesco quando in un momento di particolare unità tra i suoi frati Gesù apparve in mezzo ad essi. Ma erano episodi, intuizioni, che non arrivavano a proporre una spiritualità tutta incentrata sulla comunione, sull'unità, da vivere quotidianamente ì Queste esigenze e intuizioni non hanno portato alla reciprocità dell'amore e all'unità come tipico e costante modo di vivere il cristianesimo. Il vivere cristiano non veniva centrato sull'ut omnes unum sint come sul suo elemento caratteristico e determinante.
Oggi invece, con la "spiritualità collettiva", mi sembra di vedere realizzato il sogno che ha costantemente accompagnato le chiese in tutti questi secoli: far rifiorire la vita cristiana dei primi tempi. Dopo che in questi secoli di storia si sono vissute ad una ad una tante parole del vangelo, ora, nella Pentecoste di oggi, j sembra che lo Spirito voglia riportare la chiesa a vivere con più pienezza il vangelo, a ritrovare la sua forma primitiva in una sintesi nuova in cui tutto il passato viene assunto, valorizzato ma anche trasceso.
Da Unità e Carismi n. 3-4/95 pagg. 4-11
La lunga storia della spiritualità giovanile
Giovanni Fedrigotti
(NPG 96-9-8)
Riflettendo sulla ricerca La religiosità in Italia, presentata al convegno ecclesiale di Palermo e pubblicata da Mondadori, c'è stato chi ha sottolineato una strana contraddizione: davanti ad un ritorno rampante del sacro (espresso nelle forme più svariate, ortodosse e... non), si nota una perdurante, diffusa difficoltà degli italiani a rapportarsi con la Chiesa, con alcuni punti sostanziali della dottrina cattolica, con la norma morale che essa predica. Per questo il sociologo Garelli ha potuto parlare di grande freddo dei cattolici...
E' come se qualche cosa si fosse ingrippato nel duplice circuito che porta dall'appartenenza alla fede, da una parte, e dalla fede alla vita (e, quindi, alla cultura), dall'altra. Per questo, nello stesso contesto, si è potuto affermare che gli italiani sembrerebbero più cattolici che cristiani, più religiosi che credenti.
Mi domando se tutto questo non abbia a che fare col tema spiritualità. E' suo compito, infatti, dare all'«appartenenza» quell'interiorità profonda che viene dalla fede. Ed esprimere quella energia, che è vita nello Spirito, per cui il creduto si traduce in vissuto, e il dogma suggerisce ed accompagna, con spirituale spontaneità, atteggiamenti etici conseguenti. Suo è il compito di curare il soggettivismo etico investendolo con quella libertà nello Spirito che genera la soggettività spirituale matura, segno dell'uomo e della donna nuovi, risorti in Cristo.
Quel grande Maestro di spirito che è stato Antonio Rosmini vagheggiava di creare una «Enciclopedia Cattolica» da contrapporre alla Enciclopedia degli illuministi (Diderot e compagni, i cui volumi fanno ancora bella mostra di sé nel Palazzo Rosmini di Rovereto). All'amico friulano Sebastiano De Apollonia aveva commissionato una voce, il cui contenuto era: «Come far passare al cuore le verità percepite dall'intelletto». In questo passaggio, il grande Roveretano vedeva un nodo perenne della vita cristiana, che occorre sciogliere, per procedere sulla via della fede. Sciogliere il nodo è compito di una spiritualità, che si fa coscienza, vita, testimonianza.
Se è vero che la spiritualità è «su» nella considerazione delle comunità religiose e dei movimenti laicali più impegnati, essa sembra restare «giù» presso molti giovani e cristiani comni. Quale la ragione? Forse, questa: la spiritualità viene percepita come cosa estranea alla vita, una specie di lusso da monasteri se non proprio una «alienazione» da secoli bui. Fare le «nozze» fra spiritualità e vita appare la condizione necessaria per celebrarle fra spiritualità e popolo di Dio, fra spiritualità e nuove generazioni di giovani.
Ciò suppone la capacità di tracciare un itinerario spirituale equidistante dagli opposti estremi: quello dell'«integrismo», che per una malintesa identità non riesce a fare i conti con la vita; quello del qualunquismo che, preso dall'ansia di non perdere il passo coi tempi, perde... l'appuntamento col Vangelo.
La spiritualità è chiamata ad inserirsi - integrandolo e perfezionandolo evangelicamente - nel processo di realizzazione continua di sé così caro all'uomo d'oggi, che si vede come un sistema aperto, capace di assimilazione e sintesi continua, in vista di una più matura umanità. La spiritualità è vita vera da figlio di Dio, che ha la sua sorgente nello Spirito di Cristo. Ma è anche sempre vera vita da figlio dell'uomo, che conosce ed accetta tutti i rischi della città terrestre.
Attraverso una spiritualità il giovane impara ad esprimere un modo nuovo di essere credente nel mondo, e organizza la vita attorno ad alcune percezioni di fede, scelte di valori e atteggiamenti evangelici.
Fra i pregiudizi che, forse, attardano alquanto l'assunzione decisa di un impegno di spiritualità giovanile c'è, da una parte, quello che vede in essa una novità, che distoglierebbe l'attenzione dalla ben più urgente e fruttuosa pastorale degli adulti. Dall'altra parte, essa rischierebbe di distogliere l'attenzione dei giovani e dei loro pastori dalla grande e complessiva spiritualità della chiesa - biblica e liturgica specialmente - distraendoli in sortite poco fruttuose, nei campi improbabili e sempre cangianti di un mondo giovanile di impossibile definizione.
Per questo non è inutile dare un'occhiata alla storia, per meglio cogliere e valutare la robusta continuità, che caratterizza lo sforzo di individuare una spiritualità giovanile.
UNA STORIA DELLA SPIRITUALITÀ GIOVANILE
Ricercando in tale direzione, non è difficile cogliere una serie di splendidi frammenti, che chiedono di essere collegati, contestualizzati, integrati da una ricerca storica più organica, che potrebbe diventare una vera e propria Storia della spiritualità giovanile.
Data la novità di questo campo di ricerca (la prima cattedra universitaria di spiritualità - come «cattedra di ascetica e mistica» - è solo del 1917), è naturale aspettarsi ancora molti approfondimenti, alcuni dei quali dovrebbero andare in direzione della spiritualità giovanile.
Non mancano, comunque, strumenti che permettono, attraverso la considerazione di singole tessere, di apprezzare il colore e la bellezza dell'intero mosaico, del quale si attende una ricostruzione meno frammentaria. Mi riferisco, ad esempio, al Dizionario di pastorale giovanile (a cura di Midali e Tonelli, LDC), e ad alcune sue parti - come quella dei «medaglioni, che disegnano i profili di una serie di grandi maestri spirituali - che aiutano a percorrere, in certo modo, alcune sequenze di storia della spiritualità giovanile.
E' da questa lettura che i pastori di giovani e i cultori della spiritualità giovanile potranno trarre la convinzione di essere in «buona compagnia», ispirandosi ad illustri predecessori.
I giovani come categoria pastorale
E' chiaro che la struttura della società moderna ha dato al mondo dei giovani una identità e una visibilità inedita e del tutto sconosciuta alle società dei secoli precedenti.
Fra i fattori che vi hanno contribuito, si può ricordare: il prolungamento dell'età scolare, il crescente ritardo dell'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro e delle responsabilità familiari, l'anomalo indugiare fra le mura di casa, un processo più lento e faticoso nell'acquisire la propria identità, l'accentuazione ecclesiale dell'impegno laicale anche giovanile e della formazione vocazionale, la nascita di strutture civili ed ecclesiali direttamente mirate ai giovani, ecc.
Ma l'impressione che si trae - percorrendo a volo d'uccello la storia dei secoli passati - è che «i giovani», considerati come categoria pastorale, non sono una scoperta dei secoli a noi più vicini, ma rappresentano una «costante storica», che - anche se non in modo generalizzato, dato che in alcune epoche rappresenta una vera eccezione - è sempre stata presente.
Basterebbe accostare con quest'ottica, ad esempio, gli scritti di S. Agostino o di S. Giovanni Crisostomo per averne conferma. E dove i giovani ricevono una specifica attenzione pastorale, non è difficile individuare alcuni tratti di quella che oggi chiamiamo spiritualità giovanile.
E' a partire dal mondo biblico - e dall'attenzione dedicata ai giovani, ad esempio, dai libri sapienziali, in forza della loro natura educativa - che vediamo precisarsi - in Israele non meno che nella chiesa primitiva - la presenza de «i giovani».
«Scrivo a voi giovani: voi avete sconfitto il diavolo (...). Giovani, io vi dico che siete forti, che la parola di Dio è radicata in voi, e che avete vinto il diavolo» (1 Gv 1, 13-14): la lettera di Giovanni ci aiuta ad intravvedere una speciale attenzione dell'apostolo per i giovani, come viene anche attestato da un famoso racconto di Eusebio di Cesarea.
I giovani e gli adolescenti, che incontriamo nella storia della Chiesa e negli Atti dei martiri - Lucia ed Agnese, Tarcisio e Pancrazio, Blandina ed altri innumerevoli - ci ricordano che, nella compatta comunione della chiesa primitiva, essi si sono meritati un posto di rilievo.
Giovani in cerca di spiritualità sono spesso coloro che si accostano ad un maestro spirituale, ricercandolo fra i Padri del deserto o, più tardi, presso la nascente vita monastica. S. Basilio si preoccupa di coloro che venivano educati presso i monasteri, in vista di un discernimento vocazionale, che fosse serio, così da dare garanzia di perseveranza.
Sant'Agostino - che del giovane, cristiano o catecumeno, dell'epoca sua ci ha lasciato un impressionante ritratto autobiografico nelle sue Confessioni - non esitava ad entrare in comunità e in corrispondenza coi giovani.
Giovanni Crisostomo scrive - guardando a loro e ai problemi culturali e educativi che più direttamente li toccavano - alcuni dei suoi trattati. S. Benedetto chiede per loro speciale attenzione ed ascolto da parte dell'Abate, e Gregorio Magno li introduce volentieri come protagonisti dei suoi Dialoghi. Essi emergono ed attirano l'attenzione della Chiesa, nel Medio Evo, come allievi delle Scuole Cattedrali o delle nascenti Università degli Studi, movimentate dalle loro tenzoni accademiche, dagli eccessi goliardici, non meno che dai loro generosi propositi di santità. Di giovani, specialmente, vediamo circondato Francesco di Assisi e Chiara.
Francesco di Sales non lesina i consigli ai genitori su una buona educazione spirituale dei loro figli.
La sua esperienza in Savoia, i quasi dieci anni passati presso i Gesuiti del Collegio di Clermont a Parigi, la permanenza alla Univerisità di Padova, il perdurante impegno catechistico al servizio dei ragazzi e dei giovani, mantennero sempre Francesco singolarmente aperto a comprendere e interpretare il loro mondo.
Questo gli consentiva di dare uno stile giovane sia alla sua scrittura, sia alle accentuazioni teologiche, sia allo stile relazionale.
Spigolando qua e là, nel gran campo seminato da questi maestri, raccogliamo alcuni tratti caratteristici di una spiritualità giovanile.
LINEAMENTI DI SPIRITUALITÀ GIOVANILE
Spiritualità della gioia e della speranza
Il giovane vive della propria speranza e la gioia rappresenta l'ambiente ecologico ideale ove la speranza può essere seminata, attecchire, crescere e donarsi.
Piace al Crisostomo sottolineare il contrasto che egli nota fra l'atmosfera di gioia, che segna la celebrazione del battesimo dei giovani, e il clima di tristezza, che aleggia su coloro che - troppo pavidi, insicuri di sé, o timorosi di perdere i piaceri della vita - si fanno battezzare solo sul letto di morte.
L'austero S. Gerolamo, che riceveva sull'Aventino matrone romane e le loro giovani figlie, voleva che l'atmosfera fosse di gioia e di serenità, che si desse spazio al giuoco e alla distensione, oltre che a lavori e intrattenimenti tipicamente femminili.
Agostino non concepisce altro clima per la catechesi che quello della gioia. Al giovane Dioscoro, che gli presenta i suoi problemi di giovane studente, Agostino - proponendogli un coraggioso colpo d'ala - dice, fra l'altro: «Chi infatti cerca come arrivare alla felicità, in realtà non cerca altro che dove risiede la somma perfezione del bene».
Chi accostava Filippo Neri usciva contagiato dalla sua straripante letizia: «Scrupoli e malinconia fuori di casa mia»; «Figlioli state allegri, state allegri: voglio che non facciate peccati».
C'è una straordinaria somiglianza di «stili educativi» fra questi pastori innamorati della salvezza dei loro giovani. Il Crisostomo promuove assemblee catecumenali intense, pellegrinaggi e celebrazioni ricche di musica e di canto, un culto ai martiri e alle reliquie che ha dello spettacolare (come quando organizza il trasporto notturno delle reliquie attraverso il mare). Filippo Neri scandalizza i benpensanti di Roma col suo fare brioso e, ma solo all'apparenza, scanzonato (da buon toscano!). Francesco di Sales non disdegna di farsi piccolo coi piccoli: «Ho terminato or ora la scuola di catechismo - scrive alla Chantal - dove mi sono abbandonato un poco all'allegria, mettendo alla berlina le maschere e i balli per far ridere l'uditorio; ero in un momento di buon umore, e un grande uditorio mi invitava coi suoi applausi a continuare a fare il bambino coi bambini. Mi si dice che, in questo, riesco bene, e io ci credo».
Don Bosco organizza grandi passeggiate, goliardiche e rumorose - un singolare incrocio di happening, festival e gita - e non si vergogna di far la sua parte in gruppi di giovani che rumoreggiano, con schiamazzi, trombe e tamburi.
Spiritualità relazionale
Il passo previo ad ogni cammino educativo e comunicazione di spiritualità è l'impostazione di una relazione accogliente e promozionale che apre la strada alla profondità e alla educazione delle motivazioni. Una positiva relazione educativa opera il contatto profondo dei cuori e fa scattare la scintilla della comunicazione spirituale. Di una tale esperienza Agostino - che certo ebbe doni relazionali straordinari oltre ad una sociale simpatia per la giovinezza - scrive: «I giovani pronunciano per così dire per bocca nostra le cose che ascoltano e noi apprendiamo da essi, in certo modo, le cose che insegniamo». Oggi si parla di «stile feriale» e della capacità di «far compagnia» ai giovani. Agostino lo intuiva, quando scriveva a Florentina, sua giovane interlocutrice: «Io, infatti, non sono un dottore perfetto, ma un dottore che si va perfezionando insieme a quelli ai quali insegna». Ed aggiunge: «Ti risponderò per dirti a chi dobbiamo tutti e due rivolgerci, per imparare ciò che tutti e due ignoriamo». Per Agostino, infatti, la relazione educativa ha solo il compito propedeutico di agevolare l'incontro e il dialogo con il Maestro, conducendo il giovane a diventare discepolo della Luce. Non si tratta solo di una «relazione-mezzo», ma soprattutto di una «relazione-segno».
Una particolare relazione è quella che si esprime nello stile epistolare - del quale oggi, sventuratamente, abbiamo perso l'abitudine - che permette di accompagnare le stagioni della vita e la maturazione dei cammini spirituali, con suggerimenti meditati, mirati e puntuali.
Dove il rapporto è davvero carico di spiritualità, si vede la «grazia relazionale» trasformarsi, per così dire, e diventare segno di una grazia sacramentale: così operavano S. Filippo Neri e don Bosco. Era loro stile creare continuità fra la relazione di amicizia e la esperienza sacramentale, attraverso la carità pastorale, che animava ambedue. I discorsi cominciavano lungo le strade di Roma o di Torino, o dentro i cortili di Valdocco, ma la loro conclusione era sigillata dal dialogo sacramentale.
Spiritualità educativa
Occorre educare a misura di ragazzo e di giovane - riconoscendo ad essi il diritto di essere ciò che sono, senza bruciare impazientemente le tappe - sapendo che anche la spiritualità conosce uno sviluppo e una crescita graduale, e delle frenate improvvise.
In una delle sue opere giovanili, all'indomani del suo Battesimo, Agostino scrive, rivolgendosi a Dio: «Tu guidi e istruisci i fanciulli con semplicità, con forza i giovani, con serenità gli anziani, tenendo conto dello sviluppo non solo fisico, ma anche spirituale di ciascuno».
«L'anima del giovane è la statua più preziosa di tutte», scrive il Crisostomo. Preziosità e fragilità si sposano insieme in quella delicata stagione della vita che è l'adolescenza: «All'infanzia segue il mare dell'adolescenza, dove i venti soffiano violenti, come nell'Egeo...». Per questo il grande Vescovo si dedica a neutralizzare le insidie che maggiormente rischiano di sgretolarla: «Né il desiderio di denaro, né di gloria, né nessun altro tormenta questa età quanto l'attrattiva dei corpi». Al genitore dice: «Alleva un atleta per Cristo». E quando i giovani sono sufficientemente maturi per le nozze: «Chiamiamo qui Cristo: ormai lo sposo è degno di lui». Verginità e castità sono virtù «controculturali» nel mondo antico - ed altrettanto nel moderno - fatte apposta, si direbbe, per far crescere il giovane, accettando la pienezza della sfida e della novità cristiana.
«State fermi, se potete», esclamava Filippo Neri, il quale chiedeva serio impegno per diventare cristiani - sono rimaste famose, per la loro estrosità, le pubbliche penitenze, che egli imponeva ai suoi seguaci -, ma lasciava anche tutto lo spazio per essere giovani del proprio tempo, col gusto dei propri passatempi. Ma a chi può dare di più occorre chiedere di più. C'è nei giovani il rischio, non solo teorico, di fermarsi alle tappe più comode, orientandosi verso adolescenze lunghe che, spiritualmente, potrebbero essere soltanto adolescenze pigre. Occorre che il giovane viva il senso del cammino, dell'itinerario, delle tappe successive, per non perdere il duplice appuntamento della sua maturazione umana e dell'incontro col suo Signore.
Il giovane Dioscoro aveva chiesto a S. Agostino di rispondergli «senza indugio» (ah, questi giovani!) su certi quesiti, riguardanti I dialoghi di Cicerone, perché temeva, sennò, di fare una figuraccia. S. Agostino gli spiega che un Vescovo non ha tempo per «spiegare le questioncelle dei Dialoghi di Cicerone ad uno studentello», ma, tuttavia, gli risponde per «strappare da un legame infelice la tua felicità, che tu fai dipendere dal giudizio malsicuro e instabile degli uomini, e per legarla ad un cardine assolutamente stabile e inconcusso». Il Vescovo Agostino, che «una volta vendeva coteste ciance ai ragazzi», non desidera «che tu sia ancora un ragazzo», né gli si addice più «di essere né venditore, né largitore di bagatelle puerili». Una bella lavata di capo, non c'è che dire! Per far comprendere a quel giovane che era ormai tempo di «alzarsi e camminare» verso nuovi appuntamenti.
S. Filippo Neri aveva l'Oratorio grande, che si caratterizzava per la sua capacità di ampia accoglienza, e poi l'Oratorio piccolo, quello in cui confluivano i più impegnati, per un di più di preghiera, di formazione e di servizio. Anche don Bosco aveva articolato il suo Oratorio in compagnie o gruppi: al loro vertice stava la compagnia dell'Immacolata, cui si davano responsabilità maggiori, ma si chiedeva anche maggior impegno, fino a maturare nelle più impegnative vocazioni di speciale consacrazione. Non è un caso che i membri della prima compagnia della Immacolata - quella di S. Domenico Savio - siano diventati, tutti meno uno, i fondatori della Congregazione Salesiana.
Spiritualità dell'umanesimo planetario
E' noto l'impegno dei santi educatori di giovani per dare spazio alle attività in cui si esprime la vitalità propria della loro età. Il giuoco, le passeggiate, le esplosioni delle bellezze naturali, la musica e il canto non sono di cornice, ma fanno parte della sostanza di un mondo in cui lo spirito non rinnega il corpo, ma si sforza di crescere in sua compagnia.
Palestrina ed Animuccia - grandi della polifonia del Cinquecento - erano assidui frequentatori dell'Oratorio di «Pippo buono», e venivano da lui incoraggiati a dare il meglio di sé nell'arte loro, fino ad inventare - lì su due piedi, si direbbe - le loro splendide laudi, che annunciavano quel genere musicale che, qualche decennio più tardi, sarebbe diventato famoso sotto il nome di «Oratorio».
Francesco di Sales lascia scritto: «A Parigi ho imparato parecchie cose per piacere a mio padre e la teologia per far piacere a me stesso». «Far piacere al padre» è un valore che Francesco non disprezza, tutt'altro, visto che si tratta di diventare un «gentiluomo», anche attraverso la equitazione, la scherma, la danza, il canto, ecc. A Padova, il primogenito dei conti di Sales, allievo del celebre Possevino, si laurea in utroque iure e non disdegna di darsi una «base professionale». Da tutto questo verrà spontanea per lui quella sintesi di cristianesimo e di umanesimo, di fede e di professionalità squisita, che rappresenta il fascino più profondo della sua persona e della sua spiritualità.
Spiritualità cristocentrica ed ecclesiale
E' presente, in tutti i santi educatori di giovani, le preoccupazioni di informarli ad una serie dimensione ecclesiale.
E' nota la passione di Agostino per costruire - ovunque si trovasse, da laico, da prete, da Vescovo - comunità coi suoi compagni di strada, fino a farne un «seminario di vescovi». Il Crisostomo si batte, in uno scritto della sua giovinezza, per un serio tirocinio comunitario, realizzato dalla permanenza dei giovani in monastero. E già abbiamo accennato alla forte esperienza comunitaria di altri santi educatori.
Con insistenza vengono invitati alle «due mense»: quella dell'Eucaristia e quella della Parola di Dio. Presso i Padri antichi, come presso i Fondatori dell'Oratorio (S. Filippo Neri e don Bosco), la Parola di Dio gode di indiscussa centralità. La «storia sacra» ha per tutti un peso notevole (ma in Gregorio Magno pressoché esclusivo), nella formazione del cuore dei giovani uditori, per la qualità dei modelli che essa può rappresentare. Di seguito si svilupperà poi - specie nell'esperienza dell'Oratorio - l'uso narrativo della storia della Chiesa e della vita dei santi. «Viva lectio est vita bonorum», esclamava S. Gregorio Magno, «la miglior lezione è l'esempio dei buoni».
Chiesa, Eucaristia, Scrittura: tutte portano a Cristo, perché da Lui derivano. Non c'è esperienza migliore della lettura degli antichi Padri - si pensi alle lettere di Ignazio di Antiochia o alle infuocate esortazioni che Ambrogio rivolgeva alle vergini - per aiutare i giovani ad equilibrare la vita cristiana sul suo baricentro, che è Cristo.
Il sodo realismo di questi Pastori li porta a misurarsi con il dramma del male, che lambisce la vita di tutti. Il senso del peccato e del suo drammatico influsso sui giovani è ben presente alla loro coscienza. Agostino si vede «ancor ragazzino e così gran peccatore» e mette in guardia dalla cecità, che porta ad identificare giovinezza ed innocenza. «Purché non facciano peccati, nel resto sopporterei che mi tagliassero la legna addosso», esclama S. Filippo Neri. Una autentica pedagogia della confessione si sviluppa, nei secoli a noi più vicini, per sostenere i giovani nel lento cammino della loro maturazione umana e cristiana.
Brilla davanti a loro la figura della Vergine Maria, «segno di sicura speranza» e di una bellezza, umana e soprannaturale, che stimola i giovani a crescere, colmandoli di gioia.
Spiritualità apostolica
Giovani per i giovani
Giovanni Crisostomo vuole che ogni categoria si interessi dei propri membri: «i giovani dei giovani». La drammatica conversione di Agostino è accompagnata da alcuni amici e ha come effetto di contagiarne altri. E' nota l'avventura di Bernardo di Chiaravalle, che trascina con sé una intera generazione di fratelli, parenti, giovani amici. Sulle sue giovani compagne punta Angela Merici per salvare le ragazze a rischio, nell'Europa sconvolta del primo Cinquecento.
Ignazio di Lojola, non più giovane oramai, crea tuttavia un feeling profondo e impegnativo, denso di carica apostolica, fra i suoi giovani amici, che da studenti all'Università di Parigi si trasfigureranno, gradualmente, in fondatori della Compagnia di Gesù.
Bartolomea Capitanio, morta giovanissima all'età di 26 anni, ha lasciato scritto: «Cercherò (...) di non acquietarmi mai, finché non le venga tutte dedicate al servizio di Dio». A tale scopo ella istituisce ed anima Compagnie e Pie Unioni delle quali poteva affermare: «Avvi fra varie buonissime giovani una santa lega, mediante la quale vicendevolmente si animano a far del bene».
A Domenico Savio in cerca di sentieri di santità, don Bosco indica subito quello dell'impegno coraggioso e generoso verso i coetanei. E Maria Mazzarello coinvolge nella sua splendida avventura le giovani amiche che, con lei, formavano il gruppo delle Figlie dell'Immacolata.
Al servizio dei poveri
S. Filippo Neri spingeva i suoi verso «le opere di misericordia» (oggi parleremmo di volontariato e di promozione umana). Ai membri dell'Oratorio piccolo ogni domenica venivano affidate le visite agli ospedali, che essi dovevano compiere nel corso della settimana successiva.
S. Vincenzo De' Paoli contemplava Cristo evangelizzatore dei poveri e visse l'unità di vangelo e carità con una tale limpidezza di coscienza da farne un magnifico candidato a patrono del decennio Cei su «Vangelo e testimonianza della carità».
Egli creò le charités - vere progenitrici delle moderne Caritas - che erano gruppi di laici che si impegnavano al servizio dei poveri. Da tali gruppi vennero le Figlie della Carità, che realizzarono, per così dire, l'antico sogno dell'amico Francesco di Sales e anticiparono il progetto che Federico Ozanam sviluppò, più tardi, nella S. Vincenzo.
In un paragrafo classico della Regola delle Figlie della Carità, citato da tutte le antologie, Monsieur Vincent abbatte le barriere di separazione col mondo, trasformando la tradizionale fuga dal mondo in una autentica immersione nel mondo, operata da cuori temprati dalla carità. «Non avendo, ordinariamente per monasteri che le case degli infermi; per celle, stanze di affitto; per cappelle, le parrocchie; per chiostri, le strade della città o le corsie d'ospedale; per clausura l'obbedienza; per grate il timor di Dio e per velo la santa modestia, devono in forza di questo condurre una vita altrettanto religiosa, come se fossero professe in un ordine religioso» (cap. 1, art. 2). Ed aggiungeva: «Saranno come i raggi del sole, che passano continuamente attraverso l'immondizia e, nonostante questo, non si sporcano» (art. 8 e 18). Si trattava di una rivoluzione apostolica, di una ennesima riscoperta del volto di Cristo sotto i lineamenti del povero, che avrebbe lasciato il segno su ogni forma di impegno laicale e religioso successivo.
Don Bosco non esitava a mandare i suoi ragazzi a soccorrere i colerosi, mentre altri giovani si impegnavano, a due passi da lui, a dare continuità alla miracolosa invenzione del Cottolengo.
Ed è ancora sui campi delle più estreme povertà che Madre Teresa provoca e tempra, oggi, la generosità delle sue giovani figlie.
Gli «ospedali degli incurabili» (erano i sifilitici), in cui facevano il loro tirocinio i giovani di ieri, anticipavano le ultime frontiere di oggi: malati terminali, morenti di Aids, agonizzanti abbandonati sui marciapiedi...
La missione ad gentes
La passione missionaria propriamente detta ha sempre appassionato i giovani, in ogni epoca storica. La storia della Chiesa, degli Ordini e delle Congregazioni religiose è piena dei martìri eroici di giovani generosi. Fra le principali letture che Filippo Neri propone ai suoi seguaci, ci sono le folgoranti lettere che giungono a Roma da parte dei missionari della Compagnia di Gesù. Giovani entusiasti si offrono a S. Vincenzo De Paoli e se ne vanno a morire coraggiosamente, di stenti e malaria, in Madagascar. Le prime spedizioni missionarie di don Bosco fanno fare un salto di qualità ai ragazzi del suo Oratorio, e si espande in essi la coscienza di essere cittadini del mondo e responsabili del Vangelo.
STILI E MAESTRI
Abbiamo accennato ad una serie di lineamenti comuni a numerosi maestri e discepoli. Essi vennero però proposti e vissuti con stili e tonalità alquanto diverse, con quella flessibilità che è propria dello Spirito di Dio, che è spirito di libertà. Ed è appunto per servire la libertà dei giovani che la chiesa propone ad essi una ricca gamma di singole spiritualità.
Abbiamo parlato, finora, di spiritualità al singolare. Ma la Chiesa conosce, da sempre, anche le spiritualità, al plurale. Anzi, a ben vedere esistono solo le spiritualità. La spiritualità è solo il nome collettivo, che le indica tutte insieme, così come la vita intende riferirsi a tutte le vite, con le loro irriducibibili originalità e bellezze.
Quando spiego ai giovani il concetto di spiritualità, mi piace fare riferimento a due analogie, che servono per comunicare l'idea.
La prima è quella degli stili architettonici. Parlando di stile gotico o romanico, rinascimentale o barocco, neoclassico o moderno, applicato, ad esempio, ad una cattedrale, ci rendiamo conto di tre elementi sostanziali.
Anzitutto, appare chiaro che lo stile si adatta ai gusti e, in parte, li crea. Esso provoca la libertà e la seduce attraverso una particolare forma di bellezza. C'è una misteriosa affinità fra gli stili artistici ed architettonici e le disposizioni spirituali, per cui uno stile che immette un amico immediatamente in una atmosfera di preghiera («non mi stancherei mai di pregare e di contemplare in questo luogo», lo si sente esclamare!), lascia del tutto indifferente un altro (che giudica tutto questo un noioso archeologismo romantico). In secondo luogo, pur salvando gli elementi architettonici essenziali di una cattedrale, ogni stile li esprime in contesti e modalità diversificate, ora evidenziando di più la serena armonia delle masse, ora intrecciando insieme le forze che, con spinte e controspinte, anelano alla luce, ora ricercando l'armonia e la misura, ora arabescando ogni spazio con l'onnipresenza trasformante della fantasia dell'uomo.
In ogni cattedrale, infine, di qualsivoglia stile, si troveranno - diversamente articolati contestualizzati ed espressi - gli stessi elementi fondamentali: altare e sede episcopale, pulpito e battistero, navata e presbiterio, ecc.
Non meno espressiva è l'analogia del volto umano: quale varietà nei gusti di chi sceglie il volto che lo innamora! Quale inesauribile galleria di bellezza! Eppure ogni volto ben riuscito è costituito dagli stessi elementi strutturali: occhi, bocca, naso, orecchi... Così è delle spiritualità cristiane: i medesimi elementi fondamentali (sacramenti e liturgia, virtù teologali e morali, parola di Dio e sapienza dei Padri e preghiera, croce e testimonianza e carità, ecc.) si intrecciano fra loro in modo diverso e si collocano in contesti differenti, vengono diversamente accentuati e formano «un linguaggio spirituale», col quale entriamo in dialogo in modi diversi ed originali.
Dietro le grandi cattedrali c'erano «scuole» e «maestri», che percorrevano tutte le vie d'Europa, che si inchinava al loro genio. Dietro il volto della Pietà o della Vergine delle Rocce c'è la forza creativa di Michelangelo e di Leonardo.
Lo stesso accade per le grandi spiritualità, spesso legate a carismi personali di autentici capiscuola e testimoni, che ci guidano al Regno: «Mentre infatti consideriamo la vita di coloro che hanno seguito fedelmente Cristo, per un motivo in più ci sentiamo spinti a ricercare la città futura (cf Eb 13, 14 e 11, 10) e insieme ci è insegnata la via sicurissima per la quale, tra le mutevoli cose del mondo, potremo arrivare alla perfetta unione con Cristo, cioè alla santità, secondo lo stato e la condizione propria di ciascuno» (Lg 50).
Penso a santi che hanno profondamente influenzato la vita spirituale cristiana ed italiana, come Benedetto e Domenico, Chiara e Francesco, Caterina da Siena e Teresa d'Avila, Francesco di Sales, don Bosco, Maria Mazzarello, Teresina del Bambin Gesù. O a «scuole»: come la benedettina e la carmelitana, la francescana e la domenicana, quella gesuita, salesiana o sulpiziana...
Essere spiritualmente amico d'uno di questi santi (di quell'amicizia che si esprime nell'assidua frequentazione), il farsi discepolo di qualcuna di tali scuole (dove, a chiunque entra, la «promozione» è sempre assicurata) è «grazia» da saper riconoscere e coltivare.
Ci sono coloro cui scuola e maestro sono stati indicati dalla Provvidenza, attraverso la loro stessa vocazione. Penso, ad esempio, agli Istituti religiosi legati ai loro Fondatori, da cui prendono il nome - del quale la spiritualità è parte essenziale - per un misterioso disegno di Dio. Penso ai numerosi laici, che si nutrono essi stessi dello spirito delle grandi Famiglie religiose.
E ci sono quelli che - nello splendido firmamento della Santa Chiesa di Dio - docili ad una ispirazione interiore, potranno scegliere la stella (o la costellazione) a cui ancorare il proprio tragitto spirituale.
Evangelizzando giovani italiani, non mi parrebbe fuori luogo prevedere un itinerario che li metta a contatto con quello «zoccolo duro» di spiritualità che segna la nostra storia e fermenta la nostra cultura. In esso è sedimentata l'esperienza di Francesco di Assisi: attenzione amorosa all'umanità di Cristo, povertà di vita e stile di servizio (minorità), riconciliazione con gli uomini (pace, programma del terzo millennio) e col creato...
Esso porta ancora il segno di Caterina da Siena, della sua audacia «laica» e profetica nel richiamare Roma alla sua libertà, e gli uomini alla conversione, e principi e popoli alla riconciliazione...
Vi ritroviamo la mistica semplicità di Filippo Neri, la sua relazionalità contagiosa e feriale, la voglia di valorizzare arte e bellezza del Rinascimento al servizio di Dio, un'ascesi severa rivestita di umorismo e di sorriso...
Vi è incorporata la sapienza pastorale di Sant'Alfonso e la sua fedeltà al popolo di Dio, che accostava con una affettività tutta mediterranea. Vi si trova l'allegra diaconia di don Bosco e il suo poema dell'amore educativo... e... paese che vai, santi che trovi.
Nella pietà del popolo italiano si è condensata una autentica spiritualità che, se a volte ha bisogno di purificazione, non per questo perde la sua efficacia. Quanti «santuari» italiani sono diventati vera scuola di spiritualità ecclesiale! E quante regioni italiane sono connotate - magari senza esserne del tutto coscienti - dal clima spirituale creato dai santi, cui esse diedero (e da cui ricevettero) vita.
Comunicare una spiritualità incarnata nella storia e radicata in un territorio significa aiutare i giovani a sentirsi protagonisti di una storia di salvezza che li interpella e li avvolge e dà loro strumenti, risorse e modelli per tracciare il proprio itinerario spirituale ed andare incontro al Signore Gesù, con la serena fierezza dei giovani del 2000.
Fonte: http://www.teologiamarche.it/public/File/DISPENSA%204.doc?phpMyAdmin=1bda0d24f6e1daadaf3a40378f938e5d
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Autore del testo: Panoramica di Fabio Ciardi, o.m.i. nel inquadrare la Spiritualità di Chiara Lubich
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