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UNIVERSITA’ DELLE TRE ETA’
ANNO ACCADEMICO 2010/11
STORIA D’ITALIA: dall’unita’ ai giorni nostri
TEMATICHE: Cavour e la volontà di arrivare all’Unità d’Italia;
Piero Gobetti, lucido intellettuale del 900; giudizio sull’azione di Cavour sino all’Unità; Daniele Manin e la Società Nazionale; Garibaldi ed i Mille.
Dai tempi dell’Impero Romano, gli Italiani sono sempre esistiti e gli invasori, che ci sono sempre stati, sono diventati presto indistinguibili dagli Italiani originali.
Partiamo dal concetto di Stato e di Nazione: questi due eccellenti sostantivi hanno significati diversi e pertanto vanno distinti:
“Stato” è “persona giuridica territoriale sovrana, costituita dalla organizzazione politica di un gruppo sociale stanziato stabilmente su un territorio”.
“Nazione” è “il complesso di individui legati da una stessa lingua, storia, civiltà, interessi, aspirazioni, specie quando hanno coscienza di questo patrimonio comune”.
Per trovare uno Stato unitario e ripercorrendo la Storia è necessario risalire ai tempi dell’imperatore romano d’oriente, Giustiniano,
Nel 568, dopo l’invasione dei Longobardi, si ruppe l’unità politica e ci furono 1300 anni di divisioni che generarono nazioni diverse, ognuna delle quali ebbe storia, cultura, usi e costumi propri. Ancora oggi due regioni italiane ci ricordano quella prima divisione: la Lombardia, che deriva da Longobardia, cioè la parte conquistata dai Longobardi e la Romagna, che deriva da Romània, cioè la parte che rimase ai Romani.
Nel 1800 l’idea di un unico Stato Italiano, come Patria comune in Italia, era assente e tutti, o quasi, consideravano “patria” il proprio stato italiano d’appartenenza. Non esisteva una lingua comune, gli italiani italofoni nel 1861 erano solo una sparuta minoranza, e solo in Toscana si parlava una lingua, che, a parte certe particolarità fonetiche, somigliava alla lingua italiana. Ogni regione o paese aveva il proprio dialetto e solo pochissimi italiani sapevano leggere e scrivere. Tutti o quasi consideravano “patria” il proprio stato italiano d’appartenenza.
Nella prima metà dell’Ottocento l’idea di un’Italia unita era del tutto assente, non si era formata una coscienza nazionale ed indipendente; le “spontanee insurrezioni popolari unitarie” che si manifestarono nei vari stati italiani erano notoriamente organizzate da agenti sabaudi e nessuna mente intellettualmente onesta può definire i risultati dei “plebisciti”, che si tennero dopo l’unità d’Italia, come libera espressione della volontà popolare.
Il nostro paese ancora oggi mostra come l’Italia sia un mosaico di gruppi, differenziati dal punto di vista genetico e linguistico e nei vari dialetti della Penisola ritroviamo da una parte relitti delle lingue pre-latine e dall’altra vocaboli dei vari popoli che hanno invaso e conquistato, nel corso dei secoli, parti più o meno estese dell’Italia. Intanto in quasi tutta la penisola serpeggia l’idea di costituire della Nazione italiana uno Stato unitario.
I progetti politici, molto diversi ed in palese contraddizione tra loro, sono:
-il progetto monarchico-federale a guida papale di Gioberti;
-il progetto monarchico-centralistico guidato dai Savoia che, per forza propria e degliaccadimenti storici succeduti nel tempo, prevalse alla fine sugli altri.
Di questi quattro progettiper l’Italia rimane in piedi solo quello monarchico-centralista dei Savoia che ebbe in Cavour un formidabile esecutore.
A questo progetto si convertirono molti aderenti delle altre correnti di pensiero; il Risorgimento perse in questo modo gran parte della sua idealità e dello spirito democratico.
Lo scenario politico europeo di quegli anni precedenti all’Unità era dominato dalle superpotenze Inghilterra, Francia, Austria, Russia e la emergente Prussia, tutte in lotta tra loro per la supremazia. L’evoluzione italiana verso l’unità politica è da inquadrarsi nel contesto geopolitico europeo degli anni che vanno dal 1848 al 1861.
Essa non sarebbe avvenuta, almeno nei tempi e modalità in cui si è concretizzata, senza il benestare di Francia e Inghilterra, le due superpotenze che avevano rispettivamente l’esercito e la marina più potenti del mondo: l’Inghilterra con il suo impero controllava addirittura un quinto delle terre emerse.
Camillo Benso, conte di Cavour, “uocchie ‘e cane e vocca ‘e lupo”(occhio di cane e bocca di lupo: sarcastica definizione coniata da Ferdinando II di Borbone), andò al potere nel 1852 e cominciò l’opera di grande tessitore per rompere l’isolamento internazionale del piccolo Piemonte.
Cavour non poteva ostentare altre supremazie, considerato che il livello economico e culturale del regno sabaudo non era certo tra i primi d’Italia.
Con lo Statuto Albertino , cioè la Costituzione di Carlo Alberto, re del Piemonte, era stato introdotto il sistema costituzionale, ma la gran parte dei poteri rimase del re:
-l’articolo 5 recita: al Re appartiene solo il potere esecutivo;
-l’articolo 65 dispone: il Re nomina e revoca i ministri.
L’estensione dei diritti politici ai cittadini era limitatissima: gli aventi diritto al voto erano una esigua minoranza e scarsissima la centralità legislativa del Parlamento.
Comunque con la Costituzione il suddito acquisiva sia la dignità di cittadinanza civile, libertà personale, di stampa, di associazione, di proprietà, sia quella di cittadinanza politica.
Al Re si affiancava il Parlamento composto da due Camere, una di 164 deputati eletti dal popolo, l’altra di 50 “Pari” nominati dal sovrano.
Questa Costituzione decade dopo il Referendum repubblica- monarchia del 1946, nel quale gli Italiani scelsero la repubblica, anche se il sud votò massicciamente per quest’ultima, cioè la monarchia.
Cavour è stato un abile statista, giocò in modo spregiudicato e su due tavoli, sfruttando a suo vantaggio l’appoggio sia della Francia che dell’Inghilterra; il suo obiettivo immediato era l’unificazione dell’Italia settentrionale e centrale sotto i Savoia: era oramai divenuto a pieno titolo “dittatore parlamentare”.
L’Inghilterra aveva interesse che si creasse uno stato italiano più grande in modo da limitare l’influenza francese sul Piemonte e chiese alla Casa Regnante di nominare Cavour inviato ufficiale piemontese all’assise internazionale. Il Conte ottenne immediatamente l’incarico.
Cavour, capo del governo, presidente del Consiglio, ottenne anche la carica di ministro della Marina; riallacciò i rapporti con Napoleone III e cedette alla Francia la città di Nizza e la Savoia (regione d’origine della casata regnante).
Giuseppe Mazzini così definisce Cavour: “Politico della giornata; corruttore del giovane popolo; sostituisce una politica d’artificio e di menzogne alla severa, franca, leale politica di chi vuol risorgere; insegna il machiavellismo in secoli nei quali la coscienza è mutata; tenero con la monarchia più assai che con la Patria”.
Vincenzo Gioberti a sua volta così si esprime: “Il Cavour, per i sensi, gli istinti, le
cognizioni, è quasi estraneo all’Italia: anglico, cioè inglese, nelle idee, gallico,cioè francese, nella lingua”.
Piero Gobetti nei confronti di Cavour dice: “Ha saputo incominciare il processo moderno di una rivoluzione liberale; educatore e diplomatico ha trovato l’adesione del popolo senza corromperlo; il capolavoro di Cavour fu la politica ecclesiastica”. “Libera Chiesa in libero Stato”: una astuzia di politica internazionale.
Cavour comunque era migliore della propria fama.
DANIELE MANIN E LA SOCIETÀ’ NAZIONALE
In origine il cognome di Manin era Fonseca: egli nasce da una famiglia israelita: suo padre era un Ebreo Catecumenizzato, ossia battezzato; chi aderiva alla religione cattolica doveva prendere il cognome del padrino che lo teneva a battesimo. Il suo padrino è stato il fratello del Doge Ludovico Manin, Antonio, dal quale prese il cognome.
Avvocato come il padre fu il fautore della cosiddetta “lotta legale” per favorire lo sviluppo della società in senso nettamente liberale.
Imprigionato nelle carceri austriache per la sua attività patriottica, fu liberato a furor di popolo assieme all’altro patriota Nicolò Tommaseo.
Daniele Manin, eroe della Repubblica veneziana, poneva al di sopra di ogni ideologia la necessità di unificare il paese e nella dichiarazione costitutiva della “Società Nazionale” veniva anche affermata la necessità dell’azione popolare, veniva ribadito il principio dell’indipendenza italiana e si identificava il mezzo per raggiungere questi obiettivi nell’appoggio alla casa Savoia. Unione di tutte le parti d’Italia in un solo corpo politico.
Manin contribuì a fondare la “Società nazionale italiana” in cui entrarono tutti i nomi di maggior prestigio dell’emigrazione italiana, che diffusero la convinzione che da Torino sarebbe partita l’iniziativa della riscossa nazionale. Anche molti mazziniani aderirono alla società e fra essi Giuseppe Garibaldi.
Convinto che anzitutto bisognava fare l’Italia, egli da Parigi, attraverso una dichiarazione ad un giornale torinese, dice alla casa Savoia: “fate l’Italia, e sono con voi”; e ai costituzionalisti: “pensate a fare l’Italia e non ad ingrandire il Piemonte, e sono con voi”.
Manin morirà il 22 settembre 1857 a Parigi, ma la salma rientrò a Venezia il 22 marzo 1868, circa due anni dopo la liberazione della città al termine della Terza guerra diindipendenza. La salma venne salutata con una festa funebre in Piazza S. Marco.
GARIBALDI ED 1 MILLE
Garibaldi nasce a Nizza il 4 Luglio del 1807, il padre avrebbe voluto che seguisse una carriera di medico o quella ecclesiastica, ma Giuseppe amava il mare e i viaggi.
E’ indubbiamente una delle figure dominanti del Risorgimento Italiano; è affiliato della Giovine Italia, la società segreta fondata da Mazzini, alla quale si iscrive con il nome di Borel. Per evitare la sua condanna a morte, inseguito ad alcuni moti mazziniani in Savoia ed una insurrezione a Genova, parte per l’America e si unisce ai ribelli repubblicani del Rio Grande. Incontra Anita che sposa nel 1842.
A Montevideo costituisce la Legione Italiana, adottando la famosa camicia rossa ed offre la sua legione al neo Papa Pio IX che rifiuta.
Ritorna in Italia sbarcando a Nizza quando le truppe di Carlo Alberto marciano contro gli Austriaci. Viene eletto deputato e generale comandante delle truppe della città. Nel Febbraio 1849 fu proclamata la Repubblica Romana e nello stesso anno Garibaldi rimane vedovo: Anita, che per sostenere la famiglia fa la lavandaia, muore tra le braccia di Giuseppe.
Il 1859 è una data importante per Garibaldi perché assunse, con il grado di generale dell’esercito sardo, il comando di un corpo di volontari con il nome dei Cacciatori delle Alpi.
Scoppia la Seconda Guerra d’Indipendenza e Garibaldi partecipa con vigore alle battaglie, fino alla famosa spedizione dei Mille, la vittoria a Calatafimi, la conquista di Palermo e quindi la liberazione di tutta la Sicilia.
Il Piemonte aveva iniziato a concretizzare un piano politico per la conquista del resto dell’Italia, approfittando della Conferenza per la pace fissata in febbraio del 1856 a Parigi. Il 27 marzo il governo piemontese emise una nota al governo di Francia ed Inghilterra lamentando la condizione “deplorevole” dello Stato Pontificio e di quello delleDue Sicilie.
Garibaldi fu convocato in Inghilterra per organizzare una decisa azione contro le Due Sicilie: si trattava di plasmare l’opinione pubblica, screditare i governi dell’Austria, del Papa, del Re delle Due Sicilie e degli altri piccoli Stati italiani per annettere tutta l’Italia al Piemonte.
L’Inghilterra aveva vari motivi per eliminare il governo borbonico: il primo era l’eccessivo clericalismo di quel governo, così fedele al Papa; poi vedeva con preoccupata apprensione l’avvicinamento dei Borbone all’Impero russo che stava tentando di avere uno sbocco nel Mediterraneo.
L’armistizio con l’Austria, firmato da Napoleone III a Villafranca l’11 Luglio 1859, produsse i seguenti effetti:
Il 13 aprile 1860 all’arrivo di Garibaldi in Sicilia, nelle campagne palermitane, vi furono moti insurrezionali. I “mille” provenivano per la metà dal Lombardo-Veneto, ma vi erano toscani, parmensi, modenesi e tra costoro anche avvocati, medici, farmacisti, ingegneri e possidenti. Quasi tutti stavano scappando da qualcuno o da qualcosa, spinti soltanto dal desiderio di avventura.
Vittorio Emanuele non aveva alcuna simpatia per Garibaldi e subito dopo il presunto incontro di Teano, indica chiaramente il personaggio in modo sprezzante. Scrive in francese a Cavour : “... come avrete visto, ho liquidato rapidamente la sgradevolissima faccenda Garibaldi, sebbene, siatene certo, questo personaggio non è affatto docile, né così onesto come lo si dipinge e come voi stesso ritenete. Il suo talento militare è molto modesto”.
La cessione alla Francia di Nizza e della Savoia avevano screditato la politica sabauda presso l’opinione italiana, per cui nella primavera del ‘60 sembrava più facile una iniziativa democratico-repubblicana, che trovava il suo centro nel “partito d’azione” il quale aveva il vantaggio di poter agire al di fuori di ogni impedimento diplomatico e contava sull’enorme popolarità di Garibaldi.
Il “partito d’azione” non era un gruppo omogeneo di persone che avevano le stesse finalità e idealità politiche; era un organismo di agitazione e propaganda cui facevano capo sia i repubblicani mazziniani sia i democratici decisi all’azione, come Pisacane e Garibaldi.
A dare l’avvio a una ripresa rivoluzionaria furono gli eventi siciliani quando, contro il giovane e inesperto sovrano Francesco II, nell’aprile del ‘60 esplose l’ennesima rivolta a Palermo. Garibaldi agì direttamente in Sicilia perché Vittorio Emanuele era disposto ad aiutale i volontari contro il parere di Cavour il quale, come primo ministro, non poteva compromettersi agli occhi di Napoleone. Mazzini poi esortava tutti ad agire concordemente al fine di realizzare l’unità della penisola.
Garibaldi ai primi di maggio del ‘60 passava all’azione con i suoi Mille volontari, assume la dittatura in nome di Vittorio Emanuele e marcia verso l’interno con i suoi Mille che rivestivano l’ormai leggendaria camicia rossa, rinforzati da “picciotti” cioè dai giovani contadini e braccianti che speravano in una riforma agraria che, una volta per tutte, eliminasse tanti soprusi ed ingiustizie.
Ma l’entusiasmo dei contadini che miravano a impossessarsi delle terre demaniali, promesse dallo stesso Garibaldi, fu deluso, perché Garibaldi ed i politici della sinistra garibaldina e mazziniana volevano il successo militare della spedizione.
Tra giugno e luglio il generale, per il successo della spedizione, cominciò a stringere rapporti con i grandi proprietari terrieri, i quali, perché non cambiasse niente per loro, erano disposti ad assumere atteggiamenti liberali e favorevoli a Casa Savoia.
I contadini cominciarono a guardare con diffidenza alla politica di Garibaldi, soprattutto dopo che i garibaldini repressero i moti rurali, anche quando i contadini, in perfetta legalità, richiedevano la divisione dei terreni demaniali a suo tempo promessi dal “generale”.
Il 15 maggio Garibaldi occupa Palermo e nel luglio batte ancora le truppe regie a Milazzo, mentre il sovrano di Napoli tenta disperatamente di fermarlo, concedendo una tardiva Costituzione e affidando il governo a Liborio Romano.
Garibaldi, superato lo stretto di Messina, risale liberamente la Calabria, mentre l’esercito borbonico si disfaceva e il 7 settembre entra in Napoli; Francesco II si rifugiava a Gaeta. L’Italia meridionale é libera.
Mazzini raggiunge Garibaldi a Napoli e preme perché si eviti il solito plebiscito a favore della monarchia sabauda e insiste sul progetto di una “Assemblea Costituente” che possa decidere il nuovo assetto da dare all’Italia, anche se egli avvertiva chiaramente che ormai il principio monarchico aveva avuto partita vinta. Garibaldi proclama l’Unità d’Italia.
Cavour si rendeva conto della gravità della situazione, era consapevole che tra le fila garibaldine i democratici ed i repubblicani erano molto forti e decisi a realizzare riforme sociali molto ardite, come l’assegnazione di terre ai combattenti meridionali e lo scorporo del latifondo anche a danno degli ordini religiosi. Temeva anche, a ragione, che l’invasione garibaldina del Lazio, oltre a suscitare in tutta la penisola un’ondata di entusiasmo democratico e anticlericale, avrebbe indotto l’imperatore francese a intervenire con le anni. Ma ancora una volta fu abilissimo a trasformare in vantaggio la propria debolezza: ancora una volta seppe agire abilmente su Napoleone.
Con la battaglia del Volturno, Garibaldi stroncava un estremo tentativo di riscossa dei borbonici, che erano costretti a rinchiudersi a Gaeta. L’incontro del 26 ottobre, a Teano, tra Garibaldi e Vittorio Emanuele, poneva fine alla spedizione di Garibaldi e di fatto assicurava alla dinastia sabauda il Regno delle due Sicilie.
Le truppe garibaldine, non furono incorporate nell’esercito regolare, come era stato richiesto, e il re si rifiutò perfino di passarle in rivista, tanto che Garibaldi, deluso e sdegnato, si ritirò a Caprera.
Tra i più lucidi protagonisti del dibattito per l’Unità d’Italia fu Carlo Pisacaneche seppe indicare alcuni problemi reali da risolvere: “Io credo al socialismo...esso è l’avvenire inevitabile e prossimo dell’Italia e fors’anche dell’Europa intiera.
Il socialismo di cui parlo può definirsi in queste due parole: LIBERTÀ ed ASSOCIAZIONE….
Il 17 marzo 1861 il nuovo Parlamento italiano riunito a Torino poteva ratificare l’avvenuta unificazione, attribuendo a Vittorio Emanuele IIil titolo di “re d’ltalia”e quindi la proclamazione del Regno d’Italia;
il 26 marzo il Parlamento approvava un voto solenne che auspicava Roma capitale d’Italia.
GOBETTI
Gobetti nasce a Torino il 19 giugno 1901 da una ricca famiglia di commercianti di origine contadina. E’ stato un liberale molto attivo politicamente, ma in Lui confluiscono la lezione di Salvemini, i contatti con Gramsci e l’esperienza torinese dei consigli di fabbrica.
Gobetti vede la necessità di un profondo ed improrogabile rinnovamento attuabile con una mediazione tra mondo borghese e mondo operaio.
Si appassiona ai problemi del proletariato e alle esperienze dei Consigli di Fabbrica a Torino, avvicinandosi ad Antonio Gramsci, che dirige la rivista “Ordine nuovo” e fa parte della minoranza comunista del Partito Socialista Italiano nella quale militano anche Palmiro Togliatti ed Umberto Elia Terracini.
La lotta di classe è per Gobetti strumento di formazione di una nuova elite, una via di rinnovamento popolare, per cui la lotta politica deve essere lotta sociale.
In seguito ad una aggressione subita a Parigi muore nella notte ria il 15 e il 16 febbraio 1926, senza aver compiuto ancora 25 anni.
Gramsci, su Gobetti ha scritto: “non era un comunista e probabilmente non lo sarebbe mai diventato, ma aveva capito la posizione storica e sociale del proletariato e non riusciva più a pensare astraendo da questo elemento”.
LO STATUTO ALBERTINO
L’8 febbraio 1848 il re Carlo Alberto di Sardegna emana un proclama in 14 articoli, in cui sono enunciati i principi fondamentali del nuovo sistema di governo rappresentativo. Tale ordinamento trova la sua formale e solenne consacrazione in un documento, denominato STATUTO e non Costituzione, per sottolineare la differenza con le altre Carte, strappate dai sudditi ai sovrani e non concesse loro da questi
Lo STATUTO è caratterizzato dal fatto di essere:
una Costituzione concessa: cioè non è frutto di una collaborazione con il popolo, anche se è stato concesso dal sovrano su impulso del movimento liberale che ha toccato l’Europa e ha coinvolto gli Stati della penisola italiana;
una Costituzione flessibile: lo Statuto può essere modificato con leggi ordinarie, non è prescritto alcun procedimento aggravato. La sua elasticità permette il passaggio da una forma di governo costituzionale pura ad una parlamentare affermatasi nelle prassi e un graduale adattamento alle profonde evoluzioni politiche e sociali che si verificano tra il XIX e gli inizi del XX secolo, ma non garantisce le libertà democratiche e consente il passaggio al regime fascista in modo formalmente legale;
una Costituzione monarchica: la struttura dello Stato delineata dallo Statuto è di tipo monarchico. Il sovrano è titolare di “regia autorità” e di poteri specifici;
una Costituzione rappresentativa: la Camera dei Deputati è un’assemblea eletta. In un primo tempo il diritto di voto è limitato dalla cultura, dalla ricchezza e dal sesso; gradualmente le limitazioni vengono meno fino ad arrivare, nel 1912, all’introduzione del suffragio universale maschile (solo nel 1945, con la fine del regime fascista, il diritto di voto sarà esteso alle donne)
una Costituzione confessionale: nella fase iniziale lo Statuto prevede come sola religione di Stato quella cattolica e stabilisce una discriminazione nei confronti delle altre confessioni religiose, privilegiando i rapporti con la Chiesa cattolica.
Solo successivamente vi sarà una maggiore apertura verso gli altri culti.
II° incontro 9 Dicembre 2010
Tema storico “La questione italiana dal 1861 ai nostri giorni…”
Introduzione al tema storico: Garibaldi ed i Mille; La Società Nazionale; La nascita della questione meridionale ed il senso dell’epoca; Il clientelismo e la politica del trasformismo; Il decollo industriale e l’emigrazione; La nuova classe sociale: gli imprenditori, la crescita democratica e lo sviluppo culturale.
Premessa Sintetica
Il 1848 è stato un anno denso di eventi sia a livello italiano sia a livello europeo. Con l’elezione a Pontefice di Pio IX, per l’Italia sembra sia iniziata una nuova stagione in quanto il Papa apre nei confronti dei liberali avviando un dibattito tra correnti di pensiero repubblicane e moderate liberali in virtù di una possibile strategia di unificazione d’Italia.
I Regni di Napoli, Piemonte e la Chiesa concedono delle Costituzioni; in Francia scoppia una rivoluzione che infiamma i movimenti di opposizione europei; Milano si rivolta agli austriaci e il Piemonte corre in suo aiuto. Scoppia la prima guerra d’Indipendenza e gli austriaci sconfiggono i piemontesi. La guerra è persa con la disfatta di Novara il 23 Marzo 1849. Tutte le rivolte sono soffocate nel sangue.
Giuseppe Garibaldi, figura importante del Risorgimento Italiano, conobbe un affiliato della Giovine Italia, società segreta fondata da Mazzini e si iscrive sotto il nome di Borel. Praticamente l’Italia meridionale era libera, nonostante che a Gaeta si raccogliessero ancora forti contingenti di truppe borboniche e le piazzeforti di Civitella del Tronto e di Messina non si fossero arrese. Era il momento di prendere decisioni definitive, che avrebbero pesato sul destino di tutta la penisola.
Mazzini, che aveva raggiunto Garibaldi a Napoli, premeva perché si evitasse il plebiscito a favore della monarchia sabauda e insisteva sul progetto di una “Assemblea Costituente” che decidesse del nuovo assetto da dare all’Italia, anche se egli avvertiva chiaramente che ormai il principio monarchico aveva avuto partita vinta.
Garibaldi per suo conto proclama l’Unità d’Italia.
Il Cavour si rendeva perfettamente conto della gravità della situazione; egli era consapevole che tra le fila garibaldine, i democratici ed i repubblicani erano molto forti e decisi a realizzare riforme sociali molto ardite, come l’assegnazione di terre ai combattenti meridionali e lo scorporo del latifondo anche a danno degli ordini religiosi.
Temeva anche, a ragione, che l’invasione garibaldina del Lazio, oltre a suscitare in tutta la penisola un’ondata di entusiasmo democratico e anticlericale, avrebbe potuto indurre l’imperatore francese a intervenire con le armi.
Ancora una volta fu abilissimo a trasformare in vantaggio la propria debolezza: ancora una volta seppe agire abilmente su Napoleone.
Prospettatogli lo spettro della formazione di una repubblica mazziniana e anticlericale nell’Italia centro meridionale, lo stesso Imperatore sollecitò il Cavour a fare intervenire l’esercito regolare piemontese, che, al comando dei generali Fanti e Cialdini, penetrò nelle Marche e batté l’esercito papale, che tentava di sbarrargli il passaggio il 18 settembre 1860 a Castelfidardo.
Nel frattempo, con la battaglia del Volturno, Garibaldi stroncava un estremo tentativo di riscossa dei Borbonici, che erano costretti a rinchiudersi a Gaeta.
L’incontro del 26 ottobre a Teano, tra Garibaldi e Vittorio Emanuele poneva fine alla spedizione di Garibaldi e di fatto assicurava alla dinastia sabauda il Regno delle due Sicilie.
Le truppe garibaldine non furono incorporate nell’esercito regolare, come era stato richiesto, e il re si rifiutò perfino di passarle in rivista. In conseguenza di questo atteggiamento, Garibaldi, deluso e sdegnato, si ritirò a Caprera.
Il 17 marzo 1861 il nuovo Parlamento italiano riunito a Torino poteva ratificare l’avvenuta unificazione, attribuendo a Vittorio Emanuele II il titolo di “re d’Italia”e quindi la proclamazione del Regno d’Italia;
il 26 marzo il Parlamento approvava un voto solenne che auspicava Roma capitale d’Italia.
Il processo risorgimentale e unitario era praticamente compiuto, anche se il Lazio e le Venezie rimanevano in quel momento escluse.
Uno dei più lucidi protagonisti del dibattito per l’Unità d’Italia, Carlo Pisacane, seppe indicare alcuni problemi reali da risolvere:
“Io credo al socialismo…esso è l’avvenire inevitabile e prossimo dell’Italia e fors’anche dell’Europa intiera. Il socialismo di cui parlo può definirsi in queste due parole: LIBERTÀ ed ASSOCIAZIONE…..”
Hanno detto di Cavour
Vincenzo Gioberti: “Il Cavour, per i sensi, gli istinti, le cognizioni, è quasi estraneo all’Italia: anglico, cioè inglese, nelle idee, gallico,cioè francese, nella lingua.
Metternich: “La diplomazia tramonta; non c’è in Europa che un solo diplomatico, ma disgraziatamente egli è contro di noi: è il conte di Cavour”.
Giuseppe Mazzini: “Politico della giornata; corruttore del giovane popolo; sostituisce una politica d’artificio e di menzogne alla severa, franca, leale politica di chi vuol risorgere; insegna il machiavellismo in secoli nei quali la coscienza è mutata; tenero con la monarchia più assai che con la Patria”.
Piero Gobetti: “La virtù di Cavour è piuttosto nella franchezza della sua astuzia; ha saputo incominciare il processo moderno di una rivoluzione liberale; educatore e diplomatico ha trovato l’adesione del popolo senza corromperlo; il capolavoro di Cavour fu la politica ecclesiastica”.
“Cavour è uomo che media per raggiungere degli obiettivi, ha mire di lungo periodo”. Ciò che urgeva ai suoi tempi non consentiva giudizi pacati; nonostante tutto fu un uomo politico di così “sottile, geniale ed ambiguo” talento da attirarsi contraddittorie opinioni.
Egli comprese la vanità di ogni lotta contro il cattolicesimo in un paese cattolico e la necessità di combattere la Chiesa non su un terreno dogmatico ( = delle verità affermate, non dimostrate), ma sul problema formale della libertà di coscienza:
“Libera Chiesa in libero Stato”, una astuzia di politica internazionale.
Ma come spesso succede, anche Cavour era migliore della propria fama.
Il risorgimento di Cattaneo è sconfitto, non quello di Cavour; entrambi, però, hanno instillato nella società italiana lo spirito della competizione e l’ideale di assunzione di responsabilità.
La società italiana si regge su ruoli e cariche già predefiniti, è statica e stagnante: il proletariato, però, si ribella a ciò, rifugge situazioni già prestabilite per costruire una società nuova in cui ciascuno sarà libero di esprimersi.
Per non dimenticare, ricordiamo che:Lo Statuto Albertino del 4 marzo 1848, rimase Dettato Costituzionale fino al 1948, passando indenne attraverso l’Unità d’Italia ed il fascismo.
Il 17 marzo 1861 con la fondazione del Regno d’Italia, divenne la carta fondamentale della nuova Italia Unita e rimase formalmente tale, pur con modifiche, fino al biennio 1944/1946, valido fino all’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica italiana, il 1º gennaio 1948.
Ma la sua creatura più longeva rimane l’Editto sulla stampa, promulgato nel lontano 26 febbraio 1848; un insieme di leggi, liberali considerata l’epoca, che hanno accompagnato la storia dell’informazione di questo Paese, fino ad oggi.
OBIETTIVO: LE DUE SICILIE
Il Piemonte aveva iniziato a concretizzare un piano politico per la conquista del resto dell’Italia, approfittando della Conferenza per la pace fissata in febbraio del 1856 a Parigi.
Il 27 marzo il governo piemontese emise una Nota al governo di Francia ed Inghilterra lamentando la condizione “deplorevole” dello Stato Pontificio e di quello delle Due Sicilie.
Garibaldi fu convocato in Inghilterra per organizzare una decisa azione contro le Due Sicilie: si trattava di plasmare l’opinione pubblica, screditare i governi dell’Austria, del Papa, del Re delle Due Sicilie e degli altri piccoli Stati italiani per annettere tutta l’Italia al Piemonte.
L’Inghilterra aveva vari motivi per eliminare il governo borbonico: un primo motivo era l’eccessiva fede cattolica di quel governo, così fedele al Papa; poi, e forse, il più importante motivo, era che vedeva con preoccupata apprensione l’avvicinamento dei Borbone all’Impero russo che stava tentando di avere uno sbocco nel Mediterraneo.
L’armistizio con l’Austria, firmato da Napoleone III a Villafranca, produsse i seguenti effetti:
-l’Austria cedeva la Lombardia alla Francia, che la donò al Piemonte, mantenendo il possesso del Veneto.
-Alla Francia il Piemonte dovette rimborsare una parte delle spese di guerra per circa 50 milioni di franchi.
-Fu dichiarato decaduto il potere del Papa sulle Romagne.
Pio IX inviò numerose proteste alle potenze europee, chiedendo la nullità degli atti dell’Assemblea Nazionale, ma rimase inascoltato e le truppe francesi, che erano nello Stato Pontificio per “proteggerlo”, non si mossero.
Il 24 gennaio 1860 Garibaldi, mentre stava per sposarsi con la contessina Giuseppina Raimondi, fu informato, poco prima della cerimonia, dal conte Giulio Porro Lambertenghi che la contessina era rimasta incinta dal garibaldino Luigi Càroli. L’eroe, che aveva deciso di sposarsi per “riparare” una “sua” presunta paternità, avuta conferma dalla stessa sposina che era stato “cornificato”, se ne scappò immediatamente a Genova. A quell’epoca Garibaldi, di bassa statura e con le gambe arcuate, era pieno di reumatismi e per salire a cavallo aveva bisogno dell’aiuto di due persone che lo sollevassero.
Il giorno 11 marzo con plebisciti truccati, l’Emilia e la Toscana vennero ufficialmente annesse al Piemonte.
Le Romagne erano state già annesse con l’occupazione militare, nonostante la protesta del Papa, al quale venne proposto da Napoleone III di prendere in cambio gli Abruzzi, che erano territorio napoletano.
Napoleone III intanto manteneva 50.000 uomini in Lombardia per costringere il Piemonte a cedere Nizza e Savoia, che furono annesse alla Francia.
La situazione politica stava cambiando anche per la prossima apertura del canale di Suez e i porti meridionali avrebbero avuto una posizione strategica, tenuto conto anche del fatto che gli inglesi avevano dei forti interessi in Sicilia, non ultimi quelli riguardanti l’estrazione dello zolfo.
Marsala sembrava quasi una colonia inglese, tanto che la stessa popolazione era più numerosa di quella locale. E fu in quei giorni che Garibaldi ricevette dagli inglesi di Edimburgo del danaro in piastre turche, pari a una somma equivalente a circa 3 milioni di franchi, che riferito ad oggi avrebbero un valore di molti milioni di dollari.
L’oro ben custodito sarebbe servito per “convertire” i generali borbonici alla causa carbonara.
A Messina sbarcarono Rosolino Pilo e Francesco Crispi per preparare favorevolmente la popolazione al prossimo sbarco di Garibaldi, per prendere contatti con i notabili di Carini, Cinisi, Terrasini, Montelepre, S. Cippirello, S. Giuseppe Jato, Piana degli Albanesi, Corleone, Partinico, Alcamo, Castellammare del Golfo e Trapani, perché accorressero spontaneamente a dare un aiuto alle camicie rosse dopo lo sbarco.
All’arrivo di Garibaldi vi furono altri moti insurrezionali nelle campagne palermitane. I “mille” provenivano per la metà dal Lombardo-Veneto, poi vi erano toscani, parmensi, modenesi e tra costoro vi erano 150 avvocati, 100 medici, 20 farmacisti, 50 ingegneri e 60 possidenti. Quasi tutti stavano scappando da qualcuno o da qualcosa, spinti anche dal desiderio di avventura.
Senza entrare nei dettagli, è necessario ricordare le false vittorie di Garibaldi in Sicilia, dovute più ai tradimenti dei comandanti militari borbonici che all’eroismo garibaldino e poi le violenze, le rapine e gli assassini commessi dai garibaldini, soprattutto emblematici quelli di Bronte, di cui il Garibaldi fu il principale responsabile. Da ricordare anche lo sbarco avvenuto in Sicilia, subito dopo quello dei “mille” di circa 22.000 soldati piemontesi fatti disertare e che l’unica vera battaglia fatta dai garibaldini fu quella sul Volturno, dove solo l’insipienza del comandante borbonico impedì che la teppaglia fosse spazzata via.
Del resto lo stesso savoiardo Vittorio Emanuele, subito dopo il presunto incontro di Teano, indica chiaramente qual era il personaggio, quando scrisse, in francese al Cavour: “... come avrete visto, ho liquidato rapidamente la sgradevolissima faccenda Garibaldi, sebbene, siatene certo, questo personaggio non è affatto docile, né così onesto come lo si dipinge e come voi stesso ritenete.
Il suo talento militare è molto modesto, come prova l’affare di Capua, e il male immenso che è stato commesso qui, ad esempio l’infame furto di tutto il danaro dell’erario, è da attribuirsi interamente a lui che s’è circondato di canaglie, ne ha eseguito i cattivi consigli e ha piombato questo infelice paese in una situazione spaventosa”.
E in ogni angolo delle Due Sicilie sono stati eretti monumenti e dedicate piazze e strade ...
III Incontro 14 Dicembre 2010
Temi: Il clientelismo, Baronaggio, Conquiste Sociali e Civili, I nuovi problemi dello Stato unitario e la riforma degli ordini amministrativi.
Lo Stato, ancora feudale, presentava molti e gravi problemi ereditati dai sovrani spodestati: baroni e alti prelati possedevano gran parte delle terre nelle quali esercitavano una propria giurisdizione penale e civile; lo Stato era ancora feudale, pieno di uomini chiamati “eccellenza” e “don”, riportati anche negli atti ufficiali.
Il Sud era uno Stato vassallo ed il potere del baronaggio e di alti prelati, che possedevano gran parte delle terre, esercitavano addirittura una propria giurisdizione penale e civile.
Il potere del baronaggio si fondava specialmente sulla grande potenza economica
Il Sud era considerato dal Papa uno stato vassallo e Re Carlo, re di Spagna, coadiuvato nel governo dal Ministro Bernardo Tanucci (1698-1782 per 40 anni Ministro e non ha mai aumentato le tasse), cominciò un’opera di affrancamento da questa secolare sudditanza. Realizzò un Catasto che permise la tassazione dei beni ecclesiastici, stipulò un Concordato col Papa in cui venivano ridotti alcuni privilegi del clero, estromise i gesuiti dal regno, confiscando i loro beni e trasformando in pubbliche le loro scuole.
Venne limitato l’esorbitante numero di ecclesiastici (un rapporto di 1 ogni 48 abitanti) che tra l’altro controllavano l’anagrafe, cioè lo stato civile (nascita, matrimonio, morte), e avevano la funzione di pubblica istruzione.
Rimase intatta la comune azione tra le istituzioni e il clero nei riguardi del mondo culturale, dell’istruzione e dell’assistenza.
Conquiste Sociali e Civili
Nelle Due Sicilie ci fu l’istituzione del primo sistema pensionistico in Italia, con ritenute del 2 % sugli stipendi degli impiegati. Vi era la più alta percentuale di medici per abitanti in Italia ed il minor tasso di mortalità infantile d’Italia. Il Regno possedeva i maggiori edifici per l’assistenza ai poveri (a Napoli e Palermo) e il Cimitero delle 366 fosse a Poggioreale, creato per dare degna sepoltura ai poveri: invece delle fosse comuni, vi erano grandi lapidi, una per ogni giorno dell’anno.
Lo Statuto della seteria di S.Leucio, dettato personalmente da Ferdinando I, rifinito dai suoi giuristi nel 1789, risentiva fortemente delle idee illuministe di Rousseau e fu magnificato in tutta Europa.
A fronte di una forza tendenza filo sabauda che esaltava l’unificazione d’Italia come missione nazionale assunta dai Savoia, si contrappose una corrente che vedeva nella stessa azione un progressivo allargamento dello Stato Piemontese secondo le ambizioni secolari della casa regnante.
Nel 1851 il nonno del famoso giornalista Montanelli in “Appunti storici sulla rivoluzione d’Italia”, dopo aver additato nel papato il nemico principale della causa italiana, affermava che “l’errore principale del ‘48’ era stato quello di aver ridotto la rivoluzione a una questione di confini, mentre il problema centrale era invece quello della libertà interna, insolubile se non si colpiva al cuore il perno della reazione europea, vale a dire la lega degli interessi capitalistici, la feudalità del denaro”,per cui era necessario che i democratici italiani si collegassero strettamente con i rivoluzionari, con l’iniziativa “socialista” della Francia.
Gramsci, per cui il Risorgimento sorto popolare nell’animo dei patrioti, si trasformò, strumentalizzandolo e usandolo a proprio uso, in una semplice conquista regia a causa dell’incapacità dei pensatori più aperti a coinvolgere le masse nella lotta liberatrice formulando programmi sociali tali da interessare il popolo.
Ricordiamo che il 28 gennaio 1915 Mussolini, socialista, sul Popolo d’Italia, riscopre il “verbo” mazziniano, la politica delle masse e usa il popolo per la conquista dello Stato.
Le critiche della corrente storica marxista seguita da Gramsci sono di natura sociale, le valutazioni negative dei cattolici nei riguardi del Risorgimento invece si rivolgono all’insufficienza con cui in quel periodo si affrontarono i problemi morali e religiosi anche con l’insegnamento nelle scuole.
Da entrambe le parti si é guardato al Risorgimento come ad un fenomeno puramente politico che portò alla costituzione di uno Stato cui la comunità era legata da rapporti soprattutto formali e giuridici.
La nuova Italia realizzata da Cavour fu assai più piccola di quella auspicata da Mazzini, che per Cavour era una eresia e che Smith sarcasticamente la definì una “corbelleria”.
In luogo della “Italia del Popolo”, destinata a una missione civile e religiosa di portata universale, diretta a rinnovare la grandezza dell’Italia e a promuovere la liberazione di tutte le nazionalità oppresse, si aveva un Paese incapace di portare a fondo il grande conflitto con la cattolicità e la nobiltà.
A fronte di una Italia che doveva essere la patria di tutti gli italiani, si aveva uno Stato che consacrava il privilegio politico e sociale di una minoranza e nel quale presto si profilò il problema gravissimo derivante dalla estraneità alla vita politica delle masse contadine. L’Italia apparirà presto con il duplice volto delle “due Italie” e molti parleranno di “conquista” operata dall’una ai danni dell’altra. Nei territori conquistati la legislazione piemontese, soppresse usi e istituti delle regioni “sottomesse” e significativa è la lapide affissa a Venezia che recita il Veneto è “sotto i Savoia”.
Il 27 GENNAIO 1861 quando si svolsero le prime elezioni politiche per il primo Parlamento italiano, votarono solo 239.000 persone, su una popolazione di 25.756.000 e cioè lo 0,9 % dei cittadini: quindi si era ancora ben lontani dalla democrazia.
In Parlamento i Principi, costretti a cedere le loro terre e a rinunciare ai loro privilegi, non si fecero di certo mancare il cosiddetto foraggio ai loro feudi: -le casupole furono addebitati agli italiani come palazzi, -i terreni incolti e sassosi furono fatti passare al rimborso come paradisi terrestri, e fu inutile lo sfogo e la ripugnanza del deputato Garibaldi che tuonava contro “un governo che è la negazione di Dio, che non fa altro che l’esattore di tasse, il dilapidatore del denaro pubblico” e infine, con tanto opportunismo e ipocrisia, l’agente di un tiranno straniero (il riferimento é all’ingerenza di Pio IX).
La legge elettorale dello Statuto Albertino, fondata sul censo il 4 marzo 1848, riuscì a sopravvivere 100 anni, fino al 1946.
Il problema grave per una Italia unificata è stato che l’armistizio di Villafranca e la cessione alla Francia di Nizza e della Savoia: questi due punti avevano screditato la politica sabauda presso l’opinione italiana. Una iniziativa democratico-repubblicana, che trovava il suo centro nel “partito d’azione”, aveva il vantaggio di poter agire al di fuori di ogni impedimento diplomatico, contando sulla popolarità di Garibaldi.
Il “partito d’azione” non era un gruppo omogeneo di persone che avevano le stesse finalità e idealità politiche; era un organismo di agitazione e propaganda cui facevano capo sia i repubblicani mazziniani sia i democratici decisi all’azione come Pisacane e lo stesso Garibaldi. Mazzini esortava tutti ad agire concordemente al fine di realizzare l’unità della penisola. Garibaldi, assunta la dittatura in nome di Vittorio Emanuele, marciò verso l’interno con i suoi Mille, che rivestivano l’ormai leggendaria camicia rossa, rinforzati da “picciotti” cioè dai giovani contadini e braccianti che speravano in una riforma agraria che, una volta per tutte, eliminasse tanti soprusi ed ingiustizie. L’entusiasmo dei contadini che miravano a impossessarsi delle terre demaniali, promesse dallo stesso Garibaldi, fu deluso perché Garibaldi e i politici della sinistra garibaldina e mazziniana volevano il successo militare della spedizione.
Tra la fine di giugno e di luglio il generale, per il successo della spedizione, cominciò a stringere rapporti con i grandi proprietari terrieri, i quali, perché non cambiasse niente per loro, erano disposti ad assumere atteggiamenti liberali e favorevoli a Casa Savoia.
I contadini cominciarono a guardare con diffidenza alla politica di Garibaldi, soprattutto dopo che i garibaldini repressero i moti rurali. In perfetta legalità i contadini, richiedevano la divisione dei terreni demaniali a suo tempo promessi dal “generale”.
Battuti i borbonici nella difficile battaglia di Calatafimi, il 15 maggio Garibaldi occupava Palermo e nel luglio batteva ancora le truppe regie a Milazzo, mentre il sovrano di Napoli tentava disperatamente di fermarlo, concedendo una tardiva Costituzione e affidando il governo a Liborio Romano.
Una speranza vana e una fiducia mal riposta: Liborio Romano, d’accordo con Cavour cercò di provocare in Napoli un moto di moderati monarchici, allo scopo di precedere Garibaldi alla liberazione del napoletano. Garibaldi, superato lo stretto di Messina, risaliva liberamente la Calabria, mentre l’esercito borbonico si disfaceva, e il 7 settembre 1860 entrava in Napoli.
Praticamente l’Italia meridionale era libera. Mazzini, che aveva raggiunto Garibaldi a Napoli, chiedeva che si prendesse atto del progetto di una “Assemblea Costituente” al fine di decidere del nuovo assetto da dare all’Italia, anche se egli avvertiva chiaramente che ormai il principio monarchico aveva avuto partita vinta. Garibaldi per suo conto proclama l’Unità d’Italia.
Il Regno d’Italia nasce ufficialmente il 17 Marzo 1861: subito si trovò ad affrontare molti e gravi problemi
Dopo la morte di Cavour, energico Presidente del Consiglio, avvenuta improvvisamente il 6 Giugno 1861, vi fu un vuoto politico: era difficile trovare un uomo che potesse sostituirlo, dotato di grande abilità diplomatica, di ampiezza di vedute e di capacità di resistere alle oscure trame di Vittorio Emanuele.
Alcuni uomini politici proposero di dare ampia autonomia ai nuovi organismi amministrativi da istituire: regioni, province, comuni, ma il progetto non fu approvato dalla maggioranza dei deputati, in quanto temevano che il giovane Stato si indebolisse ulteriormente, anche per gli avvenimenti che agitavano il Mezzogiorno. La nascita del clientelismo, della mafia e del brigantaggio hanno origine dalla impostazione della piemontesizzazione dell’Italia intera, che ha prodotto in molte regioni italiane la gelosia delle loro tradizioni a cominciare dalla Sicilia. Nel settembre 1866 l’insurrezione espressa nella drammatica rivolta palermitana del 7 e mezzo, passata alla storia dal numero dei giorni della sua durata, vide coinvolte le classi povere, la piccola borghesia ed i renitenti alla leva.
Da quel momento le autorità di polizia intrecciarono un ambiguo rapporto con alcuni settori della malavita locale, la cosiddetta mafia che turberà non poco la vita sociale e politica: non ci fu la nascita di una classe di contadini proprietari.
Il clientelismo era l’unica possibilità di uscire dalla fatalità di una condizione umana di miseria che ha portato ad una deformazione delle istituzioni ed il brigantaggio era la sola guerra che la classe contadina potesse condurre lottando da sola per vendicare la sopraffazione ed il tradimento dei “galantuomini”.
Gobetti in “La rivoluzione liberale”, del 1924 è singolare in quanto individua nel Risorgimento, una rivoluzione fallita che, impedendo al liberalismo di farsi democrazia, aveva determinato l’estraneità delle masse popolari dalla lotta politica e aveva portato alla formazione di uno stato che era rimasto un congegno amministrativo nelle mani di pochi privilegiati.
I concetti di libertà, democrazia e repubblica devono essere strettamente legati tra loro.
16 Dicembre 2010
Temi politici e storici; Concetto di libertà; la nuova classe sociale: gli imprenditori e la crescita democratica; l’emigrazione.
Le istituzioni democratiche e la libertà devono essere concepibili esclusivamente nell’ambito di una repubblica. “Il contenuto della storia come una forma incessante di progresso” ed il concetto di “libertà umana”sono l’elemento principe in grado di spiegare le cause degli eventi storici. Libertà è passione, sentimento, é sacrificio, come hanno dimostrato soldati e volontari che hanno sacrificato la propria vita di comuni esseri viventi per la libertà, quella libertà che non è solo un concetto.
Diceva Hegel: l’uomo non è libero una volta per tutte, per sempre: “L’uomo è una inquietudine dialettica assoluta”. E ancora: “La libertà non risiede in alcuna forma di governo, ma vive nel cuore dell’uomo libero, che in ogni luogo la porta con sé”.
Marx ed Engels sostenevano che “la libertà è coscienza storica della necessità”, il che implica che non riguarda individui isolati, bensì inseriti attivamente in un determinato contesto storico e sociale. A Parigi Engels aveva allacciato uno stretto legame con Karl Marx e dal loro sodalizio intellettuale nacquero La Sacra Famiglia (1845), L’ideologia tedesca (pubblicata solo nel 1932 in URSS) e “Il Manifesto del partito Comunista”, scritto su commissione per la Lega dei Comunisti.
Engels fu celebrato dai comunisti russi che dedicarono alla sua memoria la città di Pokrovsk, chiamata Engels dal 1931.
Per Engels “la libertà è il riconoscimento della necessità: la libertà non consiste nel sognare l’indipendenza dalle leggi della natura, ma nella conoscenza di queste leggi e nella possibilità, legata a questa conoscenza, di farle agire secondo un piano, per un fine determinato…..consiste dunque nel dominio di noi stessi e della natura esterna fondato sulla conoscenza delle necessità naturali”. Egli scoprì “il carattere di classe”e individuò nel proletariato cosciente “la forza più progressista”.
Scrive negli Annali che “il sistema delle fabbriche e la schiavitù moderna non è per nulla inferiore all’antica, per inumanità e crudeltà...” e il suo é senza dubbio un giudizio etico incontestabile.
A proposito della democrazia Engels scrisse, in una lettera dell’11 dicembre 1884, che la “democrazia, in tutte le rivoluzioni, è l’ultimo bastione della reazione” o, quanto meno, che “le rivendicazioni sociali del proletariato vengono sempre smussate nella forma democratica”.
Le istituzioni democratiche e la libertà erano divenute concepibili esclusivamente nell’ambito di una repubblica.
Il proletariato cosciente, cioè “la forza più progressista”, ha“il carattere di classe” che si evidenzia sia nei partiti politici sia nello Stato ed i conflitti che nascono dividono il popolo in due classi: sfruttamento della classe più povera, da parte di quella che detiene la proprietà dei mezzi di produzione: proprietà privata in contrapposizione alla proprietà comune preesistente. Le rivendicazioni sociali del proletariato vengono sempre smussate nella forma democratica.
I due strumenti di democrazia diretta, il referendum e l’iniziativa popolare sono frutto di un impegno collettivo di un popolo”.
Sonnino Sidney, un politico italiano ebreo, presidente del Consiglio dei ministri del Regno, un conservatore illuminato, ma irrimediabilmente astratto, ha avuto una moderna attenzione alle questioni della politicizzazione delle masse e alla costruzione della nazione e dello Stato. Il miglioramento progressivo delle condizioni delle classi lavoratrici si sostanziava in una serie di energiche elargizioni, che comprendevano interventi di razionalizzazione fiscale e detassazione favorevoli a tutte le classi subalterne, ma in particolare a quelle contadine.
Gli uomini, che avevano dominato e formato l’antica Destra, cioè schieramento conservatore ebbero il torto di non preoccuparsi sufficientemente delle condizioni delle Province più povere ed arretrate, specie nel Mezzogiorno. La Destra cadde a ragione per certe sue deficienze: rappresentava un gruppo sociale troppo ristretto per poter continuare a governare la Nazione e richiamava il popolo ad una rigorosa riscossione delle imposte. La rivoluzione persegue gli interessi economici, ma l’interesse è conservatorementre l’ideale è rivoluzionario e pertanto i sindacati sono considerati riformisti, mai realmente rivoluzionari.
Ricordiamo che quanto più un uomo acquista un ruolo nella società, tanto più diviene responsabile di ciò che fa di fronte agli altri che lo chiamano a rispondere delle sue azioni.
Ricollegandoci al concetto di Libertà, nella vita ciascuno di noi compie delle scelte e deve assumersi delle responsabilità.
Lo scontro tra Chiesa e Stato italiano è un prodotto di un processo rivoluzionario, le cui relazioni di conflitto tra Regno d’Italia e Stato Pontificio si inquadrano nei primi tentativi di comporre la Questione Romana, almeno con una certa diplomazia.
V Incontro 21 Dicembre 2010
Il sistema autoritario nasce da un clima economico debole e lo Stato deve essere il promotore della perequazione sociale e del progresso civile del Paese nel suo complesso. Deve rifiutare in modo deciso patteggiamenti di centro destra e di centro sinistra, modalità tipica del trasformismo.
A metà degli anni cinquanta, con la fine degli anni ottanta e del terrorismo si conclude un’epoca. Con tangentopoli e la svolta politica degli anni novanta si apre il XXI secolo.
Gli anni cinquanta sono segnati da una cesura economica, politica, culturale e sociale e registrano profondi cambiamenti sul terreno dell’organizzazione e della distribuzione dei beni, della gestione delle imprese, del rapporto tra padronato e movimento operaio. I lavoratori dell’industria aumentano del 33%, le 15 aziende italiane quadruplicano il capitale, mentre gli investimenti triplicano.
In un clima di forte competizione, alle imprese capitalistiche private, si affiancano quelle a partecipazione statale, l’IRI e in particolare l’ENI, fondata da Enrico Mattei, discusso imprenditore, il 10 Febbraio 1953, personaggio di grande carisma e di vasta influenza nel mondo politico degli ambienti democristiani.
Il settore privato sviluppava il mercato dei beni di consumo: nascevano nuovi gruppi industriali gestiti da grandi famiglie: Agnelli, Olivetti, Pirelli.
Gli anni cinquanta sono l’epoca del centrismo, la Democrazia Cristiana aveva vinto le elezioni nel 1948 e poté governare il paese con la benedizione della Chiesa.
Nel 1956 le sinistre si dividono definitivamente: la divergenza politica tra Palmiro Togliatti, segretario del PCI, e Pietro Nenni, segretario del PSI, segnò la spaccatura definitiva fra le sinistre, con il PCI, visto sempre più estremista contro un PSI che, al contrario, si avvicinava all’area centrista di governo.
Nel 1958 si spacca il centro e la DC ha dovuto cercare delle alleanze per governare. Amintore Fanfani fu l’uomo giusto della sinistra DC che, oltre ad essere Presidente del Consiglio, era Segretario della Democrazia Cristiana.
Nel 1959 si dimette Fanfani e viene eletto Antonio Segni, mentre alla Segreteria della DC viene eletto Aldo Moro, che prende il posto di Fanfani.
Successivamente sono stati eletti quali Presidenti del Consiglio al Governo: Tambroni, Gronchi; Pertini.
Il PSI entra al Governo con le elezioni politiche del 1963
L’impegno culturale-letterario è stato molto intenso: il neorealismo è in crisi, il neosperimentalismo e la neoavanguardia sono alle porte con grandi scrittori come Carlo Emilio Gadda, Tomasi di Lampedusa, Cassola, Bassani, Fellini, Modugno.
Ma si avvicinano le voci del pessimismo e del disimpegno, vi sono radicate resistenze al cambiamento.
I partiti di maggioranza stentano ancora oggi a cogliere “il nuovo che avanza”
Le due maggiori forze parlamentari, la Democrazia Cristiana, (42.3%, 273 seggi, elezioni del 1958), e il Partito Comunista Italiano, (22,7%, 140 seggi, elezioni del 1958), sono intenti a conservare la quota di consenso conquistato e faticano a sganciarsi dai vincoli della propria tradizione ideologica e culturale.
Dopo la sconfitta della Democrazia Cristiana nelle elezioni del 1953 (7 Giugno, è la sconfitta della cosiddetta legge truffa) e dopo la morte di Alcide De Gasperi (19 Agosto 1954) si espande la corrente di “Iniziativa democratica” e il professore di Pieve S. Stefano, Fanfani (ha 45 anni), al 5° Congresso del partito democristiano (26-29 Giugno 1954, Napoli) viene eletto Segretario Politico.
Da questo momento inizia il lungo periodo di egemonia fanfaniana nel partito cattolico e nella politica italiana che culmina nel 1958, ritenuto a ragione l’anno del trionfo di Fanfani, che occupa nel contempo la poltrona di segretario della DC e quella di presidente del Consiglio dei ministri.
C’è un episodio emblematico a questo proposito: il 7 Dicembre 1958 Fanfani, Presidente del Consiglio dei ministri, inaugura il primo tratto di 100 km, da Milano a Parma, dell’Autostrada del Sole, i cui lavori avevano preso il via a San Donato Milanese il 19 Maggio 1956.
Amintore Fanfani ha segnato con il suo dinamismo e il suo fervore riformatore non solo la vita interna del maggior partito italiano, ma la vita politica italiana nel decennio 1953-1963.
La DC in quegli anni è diventata un vero partito di massa (i tesserati nel 1955 furono 1.341.000), si è radicata nella società, si è collegata ad una serie di organizzazioni collaterali (Coldiretti, Federconsorzi, ACLI, CISL) ed ha costruito (certo, anche attraverso diffuse pratiche clientelari) il consenso popolare che, coniugato sapientemente con il sostegno determinante della Chiesa cattolica, le ha garantito una egemonia per quasi mezzo secolo.
Oggi veramente possiamo scrivere C’ ERA UNA VOLTA LA DC riferendoci soprattutto agli anni della transizione, dai governi centristi ai governi cosiddetti di centro-sinistra (Fanfani IV, Moro I), e possiamo riconoscere che il primo centro- sinistra, diretto da Amintore Fanfani (22 febbraio 1962- 25 Maggio 1963 ), pur tra contrasti interni ed esterni alla maggioranza (tripartito DC-PSDI-PRI con l’astensione del PSI), fu “il più dinamico e realizzatore” (Santarelli1996,p. 123). Basta ricordare, tra le realizzazioni, la nazionalizzazione dell’energia elettrica e la nascita dell’ENEL, l’attuazione della quinta regione autonoma (Friuli Venezia- Giulia) e, soprattutto, la istituzione della nuova scuola media unica, obbligatoria secondo il dettato costituzionale.
Non tutto il programma concordato con Pietro Nenni e con Riccardo Lombardi fu portato a termine: le regioni non furono varate: si dovrà aspettare il 1970; la legge urbanistica, preparata con scrupolo da Fiorentino Sullo, fu osteggiata da chi lucrava con la speculazione edilizia e non fu sostenuta dalla segreteria della DC rappresentata da Aldo Moro.
Il 16 Maggio del 1962, con i voti determinanti del Movimento Sociale Italiano e del PDIUM, fu eletto presidente della Repubblica italiana Antonio Segni, voluto dalla corrente dorotea della DC, nata il 14 Marzo 1959, nel Convento di Santa Dorotea a Roma, dal seno della corrente fanfaniana e in alternativa alla linea politica e alle prospettive indicate dal leader aretino.
Le elezioni del 28 Aprile 1963 segnano la fine dell’esperienza riformista voluta tenacemente da Fanfani. Nel decennio 1963-73 si succedono, intervallati da qualche monocolore, governi, pur sempre di centro-sinistra, ma depurati (i socialisti entrano direttamente nelle cosiddette “stanze dei bottoni”, come amava dire Nenni).
Alla guida della alleanza tra democristiani e socialisti non è più Amintore Fanfani, ma direttamente il segretario della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, massimo esponente, fin dal Congresso di Firenze (23 Ottobre 1959), della maggioritaria corrente dorotea.
Un ritorno alla segreteria del partito si verifica nel 1974 con il referendum del 12 Maggio. In questa occasione, Amintore Fanfani, in sostanziale isolamento, conduce, contro la legge sul divorzio con la solita pervicacia, una battaglia appassionata e difficile, che si rivela anacronistica rispetto all’evoluzione della società civile. Il leader aretino ritorna al governo nel 1982 (5° Governo Fanfani con DC-PSI-PSDI- PLI, dal 1° Dicembre 1982 al 3 Agosto 1983), ma senza più la carica riformatrice dei primi anni Sessanta. La sua corrente, per quanto determinata ed incisiva, resta minoritaria nella DC.
Intanto le stragi e il terrorismo producono le prime ferite sul tessuto della vita politica e sociale del paese: dal 1969 al 1982 si sono avuti in Italia 6153 attentati non rivendicati, 2712 rivendicati, 351 morti, 768 feriti. All’orizzonte si delinea la concreta minaccia dei cosiddetti anni di piombo e l’elettorato italiano, nella tornata amministrativa del 15-16 Giugno 1975 e in quella politica del 1976 (20-21 Giugno), dà precisi, ma inascoltati segnali di sostegno alla richiesta di rinnovamento politico, morale e civile del paese.
Amintore Fanfani, che aveva direttamente contribuito alla stesura della Carta Costituzionale, leader riformatore negli anni della transizione dal centrismo al centro-sinistra, protagonista della prima stagione dell’alleanza tra socialisti e democristiani, è ormai settantenne. Da questo momento rimane piuttosto defilato e si dedica a quelle attività istituzionali, creative e di studio, nell’attesa forse di ricevere il riconoscimento dell’elezione alla massima carica repubblicana: carica certamente molto ambita, ma non immeritata dall’uomo politico di Pieve S. Stefano, provincia Arezzo.
Sandro Pertini
Sandro Pertini, settimo Presidente della Repubblica dal 1978 al 1985, è stato un politico, giornalista e antifascista italiano. Contribuì a ricostruire il vecchio Partito Socialista fondando insieme a Pietro Nenni il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria.
Nel dopoguerra aderì al Partito Socialista Italiano e si distinse per la sua energica opposizione al fascismo. Perseguitato per il suo impegno politico contro la dittatura di Mussolini, nel 1925 fu condannato ad otto mesi di carcere,
Ostile fin dall’inizio al regime fascista, per la sua attività politica fu spesso bersaglio di aggressioni squadriste: il suo studio di avvocato a Savona fu devastato diverse volte.
Conobbe Antonio Gramsci, col quale strinse una grande amicizia, ne divenne confidente, amico e sostenitore; ebbe una grande ammirazione intellettuale e condivise le sofferenze della reclusione.
Dal 1953 al 1976 nell’Italia repubblicana fu eletto deputato all’Assemblea Costituente, quindi senatore nella prima legislatura e deputato in quelle successive; dal 5 giugno 1968 al 25 maggio 1976, ricoprì la carica di Presidente della Camera dei deputati.
L’8 luglio 1978 Pertini, fu eletto presidente della Repubblica italiana con 832 voti su 995, a tutt’oggi la più ampia maggioranza nella votazione presidenziale nella storia italiana.
Nella primavera del 1978, durante il sequestro Moro, Pertini, a differenza della maggioranza del partito socialista, fu un sostenitore della cosiddetta «linea della fermezza» nei confronti dei sequestratori, ovvero il rifiuto totale della trattativa con le Brigate Rosse.
Dopo il giuramento, nel suo discorso d’insediamento, Pertini ricordò il compagno di carcere ed amico Antonio Gramsci, e sottolineò la necessità di porre fine alle violenze del terrorismo ricordando la tragica scomparsa di Aldo Moro.
Violante di lui dice: “Sandro Pertini fu uomo di grande rigore morale, di pensiero lucido e lungimirante…. Per lui, socialista storico, i valori non possono che essere quelli dell’eguaglianza, della libertà, del progresso civile. Per questi valori egli sacrifica in carcere gli anni della sua giovinezza e della sua prima maturità”.
Definì la corruzione “nemica della Repubblica.” Nessun giustizialismo quindi, ma una lucida visione politica che guardava alla corruzione come fenomeno che corrompe la democrazia oltre che le persone.
Pertini seppe dirigere la Camera con fermezza ed equilibrio, valorizzando costantemente il ruolo del Parlamento, la cui vitalità egli considerava indispensabile per la ricchezza della vita democratica.
Pertini era un uomo per molti versi antico, nel senso nobile che ha questa parola, che ci ha però lasciato una concezione moderna della politica e dell’impegno politico. La politica deve intrecciare un dialogo permanente con le grandi figure del passato per costruire futuro, che é la sua fondamentale missione.
Introdusse il rito del “bacio alla bandiera” tricolore, che sarebbe divenuto usuale anche per i suoi successori.
Pertini fu particolarmente partecipe durante la scomparsa di Enrico Berlinguer, tanto da partire personalmente da Roma con un volo presidenziale per poter scortare la salma nella capitale.
Nel discorso di fine anno del 1982 parlò espressamente del problema mafioso, ricordando la figura di Pio La Torre e del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
“Vi sono altri mali che tormentano il popolo italiano: la camorra e la mafia. Quello che sta succedendo in Sicilia veramente ci fa inorridire. Vi sono morti quasi ogni giorno. Bisogna stare attenti a quello che avviene in Sicilia e in Calabria e che avviene anche con la camorra a Napoli. Bisogna fare attenzione a non confondere il popolo siciliano, il popolo calabrese ed il popolo napoletano con la camorra o con la mafia. Sono una minoranza i mafiosi. E sono una minoranza anche i camorristi a Napoli.” la libertà senza giustizia sociale può essere anche una conquista vana. Per me libertà e giustizia sociale, che poi sono le mete del socialismo, costituiscono un binomio inscindibile. Si può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha un lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli e educarli? Questo non è un uomo libero.”
Al termine del mandato presidenziale non svolse attività politica, né votò la fiducia ad un Presidente del Consiglio da lui precedentemente incaricato e non rinnovò la tessera del Partito Socialista: voleva essere al di sopra delle parti, pur senza rinnegare il suo essere socialista.
Luciano Violante nasce il 25 settembre 1941 a Dire Daua in Etiopia dove il padre, giornalista e comunista, dovette emigrare. La famiglia fu internata dagli inglesi in un campo di concentramento, dove Luciano Violante nacque e rimase sino a tutto il 1943.
Laureato in giurisprudenza a Bari nel 1963, entra in magistratura nel 1966.
É stato deputato dal 1979 al 2008, prima nelle liste del PCI, partito al quale si iscrive nello stesso anno, poi in quelle del PDS, dei Ds-l’Ulivo e dell’Ulivo.
Dal 1980 al 1987 è responsabile per le politiche della giustizia del PCI, di cui diviene poi vicepresidente del gruppo parlamentare.
Dal 1994 al 1996 è Vice Presidente della Camera dei Deputati.
Il 10 maggio 1996 viene eletto Presidente della Camera dei Deputati per la XIII Legislatura.
È professore ordinario di istituzioni di diritto e procedura penale presso l’Università di Camerino.
Nel discorso di insediamento quale Presidente della Camera così si esprime:
“Sarò il Presidente di tutta la Camera, della maggioranza e della opposizione. Rispetterò i diritti dei gruppi parlamentari e quelli dei singoli deputati…. La mia non breve vita parlamentare mi ha insegnato che fare politica significa prima di ogni altra cosa sforzarsi di capire le ragioni degli altri… il pensiero va al popolo italiano, che ha dato a noi la sua fiducia e nei confronti del quale abbiamo alti doveri e gravi responsabilità. Va agli uomini e alle donne uccisi dal terrorismo e dalla mafia,…. Va al Pontefice, guida spirituale per la grande maggioranza degli italiani… Va agli insegnanti, che nelle scuole italiane, dalle elementari all’università,….. adempiono con sacrificio e competenza alla fondamentale funzione della trasmissione del sapere, della formazione delle coscienze civili. Va alle ragazze ed ai ragazzi che in quelle scuole studiano e costruiscono il loro ed il nostro futuro. Ma il futuro sarà davvero migliore solo se investiremo di più e meglio nella scuola, se considereremo la formazione come un dovere dello Stato nei confronti dei cittadini e come la condizione indispensabile per lo sviluppo del paese…..
va, …a Nilde Iotti, severa ed impareggiabile conduttrice dei nostri lavori; a Giorgio Napolitano, alla cui efficienza ed al cui equilibrio dobbiamo una legislatura particolarmente densa di risultati; ad Irene Pivetti, giovane e determinato Presidente… Siamo una Repubblica parlamentare ed il Parlamento costituisce il cuore del sistema politico…. lo Stato, purtroppo, salve rare eccezioni, non funziona in modo adeguato, non dà servizi, non è amico, non aiuta a vivere, ma rende anzi la vita quotidiana più difficile e più faticosa….
Le 150 mila leggi sono diventate un onere insopportabile per i cittadini, per le imprese, per la stessa pubblica amministrazione,…. La politica non deve gridare; la politica deve risolvere…. C’è un malessere vero nel nord, determinato dalla differenza tra prelievo fiscale e qualità dei servizi, ma c’è un malessere vero anche nel sud, dove, per la prima volta dopo molti decenni, è ricominciato ad apparire lo spettro della povertà e persino della fame. ….. C’è un pezzo di Italia che viaggia in jet ed un altro che si sposta su zattere. … non funziona la sanità, non funziona la scuola, non funziona la pubblica amministrazione e funziona solo la giustizia penale. In questi casi il servizio giustizia viene colto dal cittadino non come garanzia dei diritti, ma, purtroppo, come pura oppressione……. La legalità non può essere solo quella giudiziaria; deve riguardare anche alcuni servizi essenziali….. I processi sono troppo lunghi, c’è troppe volte un improprio connubio tra giustizia e mezzi di informazione…. La mafia in molte aree del sud è fonte di miseria, impedimento allo sviluppo, sospensione della democrazia e delle regole di mercato. La nostra generazione ha il dovere di liberare il paese da questo condizionamento….. Oggi del Risorgimento prevale un’immagine oleografica e denudata dei valori profondi che lo ispirarono.
La Resistenza e la lotta di liberazione corrono lo stesso rischio e, per di più, non appartengono ancora alla memoria collettiva dell’Italia repubblicana… Mi chiedo se l’Italia di oggi - e quindi noi tutti - non debba cominciare a riflettere sui vinti di ieri; non perché avessero ragione… bensì perché occorre sforzarsi di capire, senza revisionismi falsificanti, i motivi per i quali migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando tutto era perduto, si schierarono dalla parte di Salò e non dalla parte dei diritti e delle libertà… Costruire, dunque, la liberazione come valore di tutti gli italiani, determinare i confini di un sistema politico nel quale ci si riconosce per il semplice e fondamentale fatto di vivere in questo paese, di battersi per il suo futuro, di amarlo, di volerlo più prospero e più sereno…”
Fonte: http://www.comune.cornaredo.mi.it/allegati/1793%5EDispensa%20Storia%20d'Italia%20a%20cura%20di%20M.G.%20Mamone.doc
Sito web da visitare: http://www.comune.cornaredo.mi.it/
Autore del testo: M.G.Mamone
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