I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore
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Anno Accademico 2011/2012
“Sentimento del Tempo” (di Ungaretti)?
B) 1947
C) 1931
D) 1950
B) 1989
C) 1891
D) 1900
B) 1581
C) 1583
D) 1584
B) 1813
C) 1815
D) 1816
A) 1805
B) 1803
C) 1809
D) 1810
B) 1548
C) 1448
D) 1748
A) 1934-1935
B) 1936-1937
C) 1943-1944
D) 1938-1939
A) 121 a.C.
B) 112 a.C.
C) 78 a. C. D) 223 a.C.
Testo 1
Ciò che colpì subito gli interpreti della poesia pascoliana fu l’ottica totalmente rovesciata della rappresentazione oggettiva: sono cancellate radicalmente le norme tradizionali di ordine, regolarità, prospettiva, rispetto dei rapporti e delle proporzioni, ed è loro sostituito uno sguardo inquieto e irregolare, che privilegia nella situazione i particolari senza una motivazione ragionevole e una logica che intenda esattamente rendere il quadro e anche senza che si riesca immediatamente a comprendere il movente di tale scelta. Di colpo, appaiono in primo piano oggetti e dati, senza preparazione e senza effettiva presentazione, in una sorta di continua dichiarazione di esistenza, dove l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande, il filo di paglia e il sole, gli astri o il sasso, si presentano l’uno dopo l’altro, senza gerarchie di valore o di significato o d’importanza. In questo modo, si assiste a una dissoluzione totale del quadro, scomposto nei particolari e nei singoli elementi che lo costituiscono: e il Pascoli appare decisamente al di fuori sia della regola tradizionale, sia delle istanze positiviste di una composizione chiara e distinta e oggettivamente scrupolosa e giustificata nell’elencazione degli oggetti.
L’ottica pascoliana non ha un centro oggettivo e razionalmente chiaro e coerente su cui fare presa, bensì opera come se non esistesse nulla di definito, di incorniciato, di determinato nel quadro, anzi come se il quadro, come complesso ordinato di oggetti, non esistesse neppure, ed esistesse soltanto la decisione, perfettamente arbitraria e immotivata, di dichiarare l’esistenza di una serie di oggetti, l’uno autonomo rispetto all’altro, e, per questo, enormemente ingrandito fino a occupare l’intero orizzonte della descrizione. Scadono, così, del tutto le indicazioni dei rapporti fra gli oggetti pur raccolti (sembrerebbe) in un unico ambito di visione: e nasce, per contrasto, l’impressione di un procedimento visionario, per il quale ogni presenza appare determinata unicamente dalla fissità e dall’assolutezza dello sguardo, che si assorbe integralmente ogni volta nell’oggetto che ha messo a fuoco.
Giorgio Barberi Squarotti, Pascoli, in Dizionario critico della letteratura italiana, Utet, Torino 1973.
Testo 2
Può capitare al filologo quel che capita spesso al detective: che si imbatta in indizi che lo portano su piste inattese rispetto a quelle previste.
Prendiamo il caso di Beatrice Barbiellini Amidei, ricercatrice di Filologia romanza alla Statale di Milano. Aveva cominciato, qualche anno fa, a studiare la novella di Griselda per verificare in che misura il capolavoro di Boccaccio fosse debitore di un famoso trattatello in latino del XII secolo, il De Amore di Andrea Cappellano, una sorta di vademecum laico sul comportamento amoroso. Su questa pista, la Barbiellini si è casualmente imbattuta in un manoscritto cartaceo vergato prima del 1372 e conservato alla Biblioteca Riccardiana di Firenze.
Questo manoscritto contiene un volgarizzamento dei primi due libri del De Amore e altri materiali molto interessanti: due letterine amorose; quattro sonetti anonimi; una ballata (la cui prima stanza è attribuita a Dante) accompagnata da una prosa in forma di lettera amorosa alla donna; una lode alla donna, sempre in forma di lettera, scritta sul modello del linguaggio mistico; la conclusione in cui l’autore dell’intero codice parla al lettore, facendo riferimento al libro come a un organismo unitario. Bisogna tener presente che i codici coevi di questo genere sono di solito meno eleganti nella forma e soprattutto raccolgono materiali eterogenei senza avere nessuna pretesa di unità tematica e stilistica. In questo caso, trovandosi di fronte a un vero e proprio libro (così come dichiarato dall'anonimo autore nella chiusa) in cui la parte finale richiama esplicitamente il testo d'apertura, la Barbiellini è andata oltre ponendosi la domanda cruciale: chi l'ha compilato? Il tutto (risposta compresa) è consegnato a un saggio apparso nell'ultimo numero della rivista Medioevo romanzo. La tematica erotica che percorre il codice, la notevole qualità stilistica, l'elegante uniformità grafica, le rubriche in rosso e i capilettera pure in rosso fanno pensare a questo libro come al progetto di un autore non sprovveduto: «Un letterato ardito e abile - scrive la Barbiellini -, in grado di padroneggiare diverse tipologie testuali». Un letterato che scrive poco prima del 1372, unica data presente nella nota di possesso in fondo al codice, e che dimostra di conoscere a menadito la poesia del Duecento e le opere di Dante, avventurandosi persino a completare una ballata frammentaria dell’Alighieri senza sfigurare. Al che si aggiunge l'ampia gamma di citazioni (da «l'ardente fiamma di Dido» a Tristano e Isotta, da Lancillotto e Ginevra allo scrittore di exempla Valerio Massimo). A questo punto, la Barbiellini si ricorda dell’importanza che ha il De Amore per l’ultima novella del Boccaccio e del riferimento (presente nella chiusa) al tema del mezzano, tanto caro all’autore del Decameron (definito Galeotto). Ma, come l’investigazione poliziesca, anche la filologia richiede molta cautela e piedi di piombo. Si trattava dunque di andare alla ricerca di spie e microspie, facendo ulteriori verifiche: stilistiche, tematiche, lessicali, linguistiche, grafiche e chi più ne ha più ne metta. Ecco, in breve, questa verifica. I motivi ricorrenti nelle opere di Boccaccio ben presenti nel codice Riccardiano sono diversi: la lettera, l’umana fragilità, le donne pietose e misericordiose, le donne come angelo, la fiamma d’amore, l’«assoluta fedeltà» dell’amante (che compare in Griselda), e poi il motivo principe del mezzano d’amore. […] L'ipotesi, insomma (ma a questo punto, con tutte le possibili cautele filologiche, è più che un'ipotesi, anche se la Barbiellini cela le sue certezze dietro un «attribuibile a Boccaccio» che ricorda il Contini alle prese con il Fiore di Dante), è che ci troviamo di fronte a un manoscritto autografo con testi inediti di ser Giovanni. Anzi, a un vero e proprio libro amoroso, probabilmente destinato a un giovane amico che ne aveva fatto richiesta allo scrittore ormai anziano, perfettamente padrone dei vari codici della letteratura erotica. E forse anche conscio che per lui il passaggio dalla teoria alla pratica era ormai superato per motivi banalmente anagrafici. Ma queste sono faccende che non riguardano la filologia.
Paolo Di Stefano, Svelato il mistero del codice: è Boccaccio, in “Corriere della Sera”, 23 giugno 2006.
L’espressione “la filologia richiede molta cautela e piedi di piombo” significa che:
In tutti i quesiti proposti la soluzione è la risposta alla lettera A) o con il numero 1)
Fonte: https://tfa.cineca.it/compiti/ A....pdf
Sito web da visitare: https://tfa.cineca.it/
Autore del testo: Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca
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