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Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
Anno Accademico 2011/2012
A) 7,8 T/m3
B) 6,4 T/m3
C) 2,5 T/m3
D) 1,6 T/m3
A) 0,001
B) 0,01
C) 0,1
D) 0,000001
A) 2,06%
B) 6,67%
C) 0,001%
D) 4,50%
A) 6,67%
B) 2,06%
C) 4,50%
D) 0,08%
C) 30° 60° 90°
D) Possono essere qualunque. Basta che la loro somma dia 180°
A) 45°
B) 30°
C) 60°
D) 90°
A) 330mm × 480mm B) 210mm × 297mm C) 297mm × 420mm D) 420mm × 594mm
Per millenni la previsione del tempo si é affidata alla magia, alla religione, alla tradizione popolare: inutile dire con quali risultati.
A metà Seicento, la spinta all’osservazione dei fatti naturali introdotta da Galileo e dalla fiorentina Accademia del Cimento, traghetterà la meteorologia nel dominio della scienza. Grazie ai primi strumenti, dal barometro di Torricelli ai termometri fiorentini, le impressioni soggettive verranno via via trasformate in grandezze fisiche oggettive. Nel corso del Settecento nasceranno i primi osservatori meteorologici, alcuni dei quali ancora in attività, e a metà Ottocento l’apparato strumentale per l’osservazione del tempo era impostato in gran parte del mondo occidentale e coloniale. Il telegrafo permetteva di scambiare i dati quasi in tempo reale e il sogno di elaborare le previsioni meteo sembrò per un attimo a portata di mano.
Nel novembre 1854, durante la guerra di Crimea, una tempesta causò 400 vittime tra la flotta militare e mercantile che incrociava sul Mar Nero. Napoleone III incaricò allora il celebre astronomo Le Verrier di allestire un primo servizio meteorologico. Negli stessi anni l’ammiraglio FitzRoy perfezionava il barometro navale e metteva le basi del servizio meteorologico inglese, il MetOffice, ancora oggi riconosciuto tra i migliori al mondo. In Italia padre Francesco Denza, dall’osservatorio di Moncalieri, raccoglieva dati da un’Italia appena unita e li disseminava urbi et orbi. Ma nonostante le biblioteche si riempissero di dati, il traguardo della previsione rimaneva lontano.
Nel 1904 fu il meteorologo norvegese Vilhelm Bjerknes a rivoluzionare l’approccio: non serve solo osservare, per prevedere bisogna calcolare il comportamento dell’atmosfera attraverso le equazioni della fluidodinamica, della termodinamica che nel frattempo erano state enunciate.
Ma i calcoli che restavano da fare restavano troppi per il cervello umano. Ci provò il matematico inglese Lewis Fry Richardson nel 1922, ma alla fine desistette e tra il serio e il faceto sostenne che per eseguire in tempo utile le migliaia di operazioni necessarie, si sarebbero dovuti ospitare
64.000 matematici in una sorta di teatro e delegare a ciascuno una parte dei calcoli sullo scacchiere terrestre, con un «direttore di calcolo» incaricato di diffondere il risultato finale ai servizi meteorologici. Fu un progetto di computer umano mai realizzato ma premonitore.
Alla fine della seconda guerra mondiale gli Stati Uniti mettono infatti a punto il primo calcolatore elettronico; grazie al genio di John von Neumann, che insieme al matematico e meteorologo Jule Charney e alla sua équipe il 4 marzo 1950, nei laboratori di Aberdeen, nel Maryland, otterranno la prima previsione numerica del tempo. La strada era ancora lunga, ma era ormai tracciata, e nei decenni successivi i miglioramenti arrivarono di pari passo con l’incremento delle capacità informatiche, dell’osservazione e della modellizzazione del complesso sistema atmosferico.
Nel 1960 la Nasa lancia T'iros-1, il primo satellite meteorologico che permetterà di osservare il movimento delle nubi dall’alto. Oggi per elaborare una previsione il punto di partenza è l’osservazione dei dati atmosferici sull’intero pianeta, grazie alle stazioni sinottiche installate sulla terraferma e sui mari - circa 15 mila su tutto il globo - ma anche ai palloni-sonda che eseguono un profilo verticale dell’atmosfera fino a circa 40 km di altezza
Un’enorme massa di informazioni che viene continuamente trasmessa ai centri di calcolo, dove viene elaborata da alcuni tra i più potenti super- computer oggi disponibili, capaci di migliaia di miliardi di operazioni al secondo. Grafici e carte che ne derivano vengono diramate ai centri di previsione, dove il meteorologo le studia apportandovi il suo contributo di esperienza locale. Un sistema che vede al lavoro decine di migliaia di operatori in tutto il mondo, coordinati dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale con sede a Ginevra.
Oggi il successo delle previsioni ha raggiunto il ragguardevole livello del 95 per cento per le 24 ore successive. Fino a cinque giorni si può contare su una previsione attendibile, un traguardo tra i più avvincenti della storia della scienza, che i pionieri ottocenteschi hanno tenacemente perseguito senza però riuscire a vederne i frutti.
Anche grazie al loro lavoro oggi si pianificano quasi tutte le attività umane e si salvano delle vite.
Ridotto e adattato da L. Mercalli, I 150 anni della meteorologia. "Adesso siamo precisi al 95%”, “La Stampa”, 7 settembre 2010
L’aut-aut tra avere ed essere non è un’alternativa che si imponga al comune buon senso. Sembrerebbe che l’avere costituisca una normale funzione della nostra esistenza, nel senso che, per vivere, dobbiamo avere oggetti. Inoltre, dobbiamo avere cose per poterne godere. In una cultura nella quale la meta suprema sia l’avere – e anzi l’avere sempre più – e in cui sia possibile parlare di qualcuno come una persona che “vale un milione di dollari”, come può esserci un’alternativa tra avere ed essere? Si direbbe, al contrario, che l’essenza vera dell’essere sia l’avere; che, se uno non ha nulla, non è nulla.
Pure, i grandi Maestri di Vita hanno fatto proprio dell’aut-aut tra avere ed essere il nucleo centrale dei rispettivi sistemi. Il Buddha insegna che, per giungere allo stadio supremo dello sviluppo umano, non dobbiamo aspirare ai possessi. E Gesù: “Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la propria vita per me, colui la salverà. Infatti che giova all’uomo l’aver guadagnato il mondo intero, se poi ha perduto o rovinato se stesso?” (Luca, IX, 24-25). Maestro Eckhart insegnava che non avere nulla e rendersi aperti e “vuoti”, fare cioè in modo che il proprio io non ostacoli il cammino, costituisce la condizione per il raggiungimento di ricchezza e forza spirituali. Marx affermava che il lusso è un vizio esattamente come la povertà e che dovremmo proporci come meta quella di essere molto, non già di avere molto.
Per molti anni sono rimasto profondamente colpito da questa differenziazione, e quel che ho visto mi ha indotto alla conclusione che la differenza in questione, in una con quella tra amore per la vita e amore per la morte, costituisce il problema assolutamente fondamentale dell’esistenza. […] “Avere” è un’espressione ingannevolmente semplice. Ogni essere umano ha qualcosa: un corpo, indumenti, un ricovero, fino all’uomo o alla donna d’oggi che hanno un’auto, un televisore, una lavatrice, e via dicendo. Vivere senza avere alcunché è virtualmente impossibile. Perché mai, dunque, l’avere può costituire un problema? D’altro canto, la vicenda linguistica dell’“avere” sta a indicare che la parola costituisce davvero un problema. Per coloro i quali ritengono che l’avere sia una categoria assolutamente naturale dell’esistenza umana, potrà risultare sorprendente apprendere che molte lingue non hanno un termine equivalente ad “avere”. Così a esempio, in ebraico “io ho” deve essere espresso mediante la forma indiretta jesh li (“è a me”, è mio). In effetti, le lingue in cui il possesso viene espresso in questa forma anziché con l’“io ho”, sono la maggioranza. Val la pena di notare che, nello sviluppo di molte lingue, è accaduto che l’espressione “è a me” sia stata in un secondo tempo accompagnata e sostituita dall’espressione “io ho”; ma non accade mai che l’evoluzione si verifichi in senso contrario, fatto questo che induce a ritenere che la parola designante l’avere si sviluppi in rapporto allo sviluppo della proprietà privata, mentre è assente in società in cui la proprietà è prevalentemente funzionale, in cui è cioè un possesso d’uso.
E. Fromm, Avere o essere?, trad. it. di Francesco Saba Sardi, Mondadori, Milano 1977.
In tutti i quesiti proposti la soluzione è la risposta alla lettera A) o con il numero 1)
Fonte: https://tfa.cineca.it/compiti/ A....pdf
Sito web da visitare: https://tfa.cineca.it/
Autore del testo: Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca
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"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco
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