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Baruch Spinoza (di origini ebraiche, nato ad Amsterdam, 1632 – 1677)
Il pensiero di S. è caratterizzato da una forte concezione meccanicistica e panteistica della realtà che lo ha portato ad essere accusato di blasfemia e ateismo sia dai cattolici che dai protestanti. Egli trova assurdo il dualismo res cogitans – res extensa di Cartesio, essendo convinto che alla base dell’esistenza vi sia una sola sostanza, cioè Dio, che è principio generatore di tutte le cose, ma non è il dio creatore antropomorfo della tradizione cattolica, bensì un dio/tutto immanente (come per Bruno). Questa dio/sostanza è causa di se stesso, è necessario, unico, infinito, indivisibile. Coincide totalmente con la natura (Deus sive natura). Pensiero ed estensione, le due res cartesiane, sono le uniche manifestazioni (o attributi) che l’uomo, creatura limitata, può cogliere tra gli infiniti attributi che il dio/tutto possiede.
Ogni attributo a sua volta si manifesta tramite determinazioni particolari, cioè i “modi” (del pensiero sono i concetti, dell’estensione sono gli oggetti concreti). S. reputa il mondo una creazione necessaria e deterministica del dio/tutto, che non lo genera per un atto di volontà, come nella concezione cattolica, o per un’azione razionale/intellettiva, ma perché, autocreandosi, genera necessariamente come conseguenza diretta, matematica, meccanica anche il mondo, che è l’unico mondo possibile, sottomesso alle leggi di causalità e necessità. Per S. tutto ciò che esiste non potrebbe esistere o essere diversamente perché egli ha una visione completamente deterministica dell’esistenza.
Tra i modi del pensiero e quelli dell’estensione vi è un perfetto parallelismo basato sulla concezione meccanica e deterministica di S., fatto non sempre comprensibile agli uomini che, essendo semplici modi della sostanza, non possono esercitare effetti incisivi particolari sul determinismo della natura, né possono capire mai completamente il dio/sostanza perché è infinito, mentre si comprende solo ciò che è finito (omnis determinatio negatio, ogni determinazione è negazione). L’accordo a priori (armonia) tra pensiero e estensione fa sì che ciò che noi captiamo tramite la nostra conoscenza corrisponda pienamente a ciò che accade nella realtà (nessun tipo di dubbio come in Cartesio).
Tutto accade all’interno del dio/sostanza (ciò che sta sotto) ed è dunque perfettamente connesso e corrispondente in quanto il dio/tutto non è altro che l’ordine e la connessione geometrica/matematica che si manifesta negli attributi e nei modi. In pratica il dualismo cartesiano è risolto con un rigoroso monismo meccanicistico geometrico-matematico.
Il concetto divino di S. è totalmente diverso da quello in auge ai suoi tempi: dio non è persona, ma l’impersonale ordine geometrico che regge l’universo. Anzi: dio è l’universo. L’idea di un dio che crea volontariamente, per certi suoi fini imperscrutabili, non è altro, per S., che un gratuito travestimento antropomorfico del divino, cioè superstizione e pregiudizio. Dio non è prima del mondo, non ha fini da raggiungere, né è giusto o ingiusto (che sono punti di vista prettamente umani): ogni cosa è come deve essere per la sua appartenenza all’armonia dell’universo, ovvero all’armonia del dio/sostanza in quanto dio è pura necessità meccanicistica ed in lui nulla è contingente e accidentale.
Con questa logica S. condanna tutte le religioni come interpretazioni culturali erronee. L’unica possibilità che l’uomo possiede per conoscere dio è la scienza, che libera dalle passioni e dalle interpretazioni soggettive.
Vi sono tre tipologie di conoscenza per l’uomo, ed ogni tipologia dà origine ad un preciso comportamento morale:
Se si riesce con la propria ragione ad andare al di là dei “modi” finiti, cioè della conoscenza parziale e limitata tipica della sensibilità, e quindi a cogliere intuitivamente il dio/sostanza, che è alla base di tutto e che si può captare solo con l’intuito, si riesce a comprendere “sub specie aeternitatis” (dal punto di vista dell’eternità), ovvero che tutto ciò che avviene (ogni “modo”) succede perché deve necessariamente accadere nella maniera in cui avviene.
La comprensione di questa necessità universale è l’adesione dell’intelletto umano all’ordine divino che governa il mondo (“amor Dei intellectualis”). L’uomo che riesce a raggiungerla si libera dalla sua visione parziale e contingente dell’esistenza, ottenendo una sorta di purificazione che lo porta ad accettare con felicità l’esistenza sentendosi come parte necessaria del tutto. Infatti per S. bene e male non esistono in sé, ma sono i desideri dell’uomo a determinare ciò che è bene e ciò che è male, così come non esiste la libertà individuale, che è frutto solo di una credenza dovuta ad ignoranza. Solo dio è libero, anche se in lui libertà e necessità coincidono. Questo, però, non toglie nulla agli uomini, purché riescano a capire il divenire non solo soggettivamente, ma dal punto di vista dell’eternità. Il saggio è colui che giustifica, non giudica, cioè accetta tutto ciò che accade come necessità assoluta e irreversibile.
Il pensiero politico di S. si rifà a quello di Hobbes, pur con differenze peculiari. Infatti ritiene che il fine principale dell’uomo, che è una particella del divino e quindi vuole continuare ad esistere, sia l’autoconservazione: lo Stato sorge, quindi, come patto sociale stipulato dagli uomini per salvaguardarsi contro gli egoismi e le prepotenze altrui (che mirano sempre alla propria autoconservazione) e per assicurarsi pace e tranquillità.
Tuttavia per S. l’individuo non deve abdicare ad ogni sua libertà, né lo Stato può sopprimere la libertà di pensiero, di parola, di coscienza e religiosa dei sudditi, perché non può annientare l’autonomia dei cittadini, ma solo disciplinare la libertà di ciascuno affinché gli uomini possano convivere in armonia tra loro. Occorre governare gli uomini con tolleranza e libertà mirando a garantire la salute pubblica come bene supremo.
La religione, inoltre, deve sempre essere subordinata alle regole imposte dallo Stato.
Per S. l’uomo deve mirare sempre a comportarsi virtuosamente, ovvero deve vivere per liberarsi dalla sottomissione alle passioni per lui negative, come l’odio e l’ira. Un uomo diventa tanto più potente quanto più riesce a vivere senza odio e con tolleranza. Se si riesce a liberare dalle passioni più distruttive per sé e per gli altri, riesce anche a liberarsi dalla paura della morte perché diventa consapevole di appartenere a quel disegno necessario che è il creato, cioè il dio/sostanza. Si sente, insomma, partecipe di un progetto ben superiore alla sua individualità.
Fonte: http://imparoqualcosa.altervista.org/Spinoza.doc
Sito web da visitare: http://imparoqualcosa.altervista.org
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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