Comte, Popper, Khun, Lakatos, Feyerabend

Comte, Popper, Khun, Lakatos, Feyerabend

 

 

 

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Comte, Popper, Khun, Lakatos, Feyerabend

 

VII. LA CRISI DEI FONDAMENTI SCIENTIFICI
E LA FILOSOFIA DELLA SCIENZA
(Comte, Popper, Khun, Lakatos, Feyerabend)
Questo tratto della filosofia, nello specifico, della filosofia della scienza parte dalla rivoluzione scientifica e ci porta con il postpositivismo fino alla contemporaneità. Il percorso tratteggiato privilegia sostanzialmente il rapporto tra scienza e verità: la parabola che il concetto di verità evidenzia.
~ LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA
~ IL POSITIVISMO DI COMTE
~ La dottrina della scienza
~ La legge dei tre stadi
~ LA CRISI DEI FONDAMENTI
~ IL FALSIFICAZIONISMO DI POPPER
~ Il falsificazionismo
~ L’induttivismo
~ Scienza e verità
~ Il realismo dell’ultimo Popper
~ IL POSTPOSITIVISMO DI KHUN, LAKATOS E FEYERABEND
~ Khun: La struttura delle rivoluzioni scientifiche
~ Lakatos: La metodologia dei programmi di ricerca
~ Feyerabend: Contro il metodo
~ CONCLUSIONI
LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA
E’ qui il caso di accennare, per sommi capi, la definizione che abbiamo dato di filosofia e di avvertire della profonda differenza che si produce con la rivoluzione scientifica operata dai filosofi della natura, nome con cui venivano chiamati gli scienziati fino al XIV secolo.
La verità è, ad un tempo, alétheia cioè ciò che ‘sta in luce’, ed epistéme cioè ciò che ‘sta sopra’. La verità così caratterizzata è sapere assoluto, incontrovertibile, eterno, immutabile che né uomo né Dio possono mettere in discussione. Il mezzo che la filosofia sceglie per giungere a questo sapere è il Lógos, la ragione, la logica. Ancora, fin dall’inizio la verità viene concepita all’interno del Tutto. Il Tutto è la dimensione della verità. Il Tutto è ciò di cui non è possibile pensare altro e oltre. Ogni cosa è parte del Tutto e solo la comprensione del Tutto può portare alla luce e ‘fermare’ ogni singola cosa. Aristotele dirà che un braccio staccato dal corpo è un “braccio dipinto” ad intendere che un elemento, staccato dalla relazione con la totalità, non può essere inteso veramente; perché è un elemento a cui mancano, appunto, le relazioni con il Tutto. Un braccio staccato dal corpo, per intenderci, non può restituirci più la funzione all’interno del sistema corpo, la relazione con il cervello, ecc. al massimo è, sotto la lama, non più braccio, ma pezzo di carne sanguinolenta di nervi senza relazione, muscoli senza comandi, ecc. carne morta ,“dipinta”. Detto in altri termini un elemento in un sistema è altro che lo stesso elemento fuori da un sistema.
Lo sguardo della filosofia al suo nascere è uno sguardo che guarda al Tutto. L’albero, la nuvola, l’unghia non ha una sua verità se non all’interno del Tutto. Lo sguardo della filosofia è a 360°, mai si sofferma su ciò che è il particolare. Non è certo un caso che Talete, con cui si vuole far iniziare questo viaggio di folli, pone in maniera ‘cristallina’ la domanda sull’identità dei diversi.
Altro tratto caratteristico del fare filosofico è il Lógos come mezzo per arrivare alla verità. Il greco pensa che la evidenza razionale, logica è essa stessa prova della verità. Il Lógos, portando le cose dal buio indistinto alla luce, le recupera all’epistéme. La verità è la evidenza con cui le cose si presentano al Lógos. Per il greco basta che attraverso il Lógos si mostri, in maniera chiara e distinta, una cosa perché essa sia vera.
Proprio come aveva detto Hegel, questa identità di certezza e verità viene meno in quel movimento del pensiero che da Cartesio arriva a Kant: non siamo sicuri che al Lógos, al pensiero spetti una verità assoluta.
Ora, proprio all’inizio di questo movimento, avviene ciò che chiamiamo rivoluzione scientifica attraverso l’opera di Galileo, Bacone, Newton, Cartesio, ecc.
Dal punto di vista squisitamente filosofico, questa rivoluzione complessivamente produce una rottura epistemologica col fare filosofico precedente.
L’inizio, come in ogni rivoluzione, fu flebile: si voleva solo aggiustare qualche canna dell’organo di Aristotele. Si finì con il mandarlo in soffitta!
I filosofi della natura operano innanzitutto una riduzione dello sguardo. L’occhio ora si concentra sui particolari: albero, nuvola, unghia. Se Aristotele ammoniva contro il “braccio dipinto” Bacone farà l’apologia della scienza come “dissezione della natura”. Dunque, riduzione o isolamento! La rivoluzione scientifica opera, dunque, una prima riduzione: dal Tutto al particolare.
Non basta! L’albero, la nuvola, l’unghia è unione di aspetti qualitativi e quantitativi. In fondo lo stesso grande Democrito, ora certo più attuale di Aristotele, aveva insegnato questa duplicità. Democrito aveva distinto gli aspetti quantitativi o qualità primarie, che poteva essere oggetto di verità perché comuni, dagli aspetti qualitativi o qualità secondarie, che avevano carattere soggettivo. La conoscenza vera era la conoscenza degli aspetti quantitativi, oggettivamente sperimentabili da chiunque.
La rivoluzione scientifica guarda al materialismo di Democrito nel tentativo di scrollarsi dal groppone la “sillogistica aristotelica”. In ciò la rivoluzione scientifica opera la seconda riduzione: dal particolare alla sola quantità.
Dunque la rivoluzione scientifica opera una doppia riduzione:
1) dal Tutto al particolare;
2) dal particolare alla sola quantità.
Con quale strumento possiamo cogliere, al di la dell’aspetto sensibilepercettivo, la struttura quantitativa delle cose? Quantità, dunque, misura, ergo, matematica! La matematica è il passepartout del libro dell’universo. Ecco che Galileo può di dire senza indugio che “Egli [l’universo] è scritto in lingua matematica...". (Il Saggiatore)
Non basta la scienza opera sostanzialmente attraverso l’induzione: lo strumento per scoprire le cause prime. La scienza si muove nella convinzione che, partendo dall’osservazione, sia possibile formulare leggi e ipotesi predittive.
La filosofia della natura parte dalla convinzione che bisogna rovesciare l’impostazione metafisica precedente: dal Tutto al particolare. Bisogna partire dal particolare per poi assemblare, sommare i pezzi e ricostruire la Totalità. Dal particolare al Tutto. Per la scienza bisogna partire dal “braccio dipinto”, per poi legarlo al torace, e scoprirne le funzioni, nella relazione ‘viva’ con il corpo.
L’incedere filosofico è messo sottosopra!
Parallelamente alla doppia riduzione, la scienza avanza una doppia strumentazione per giungere alla verità che è, ad un tempo, anche doppio controllo o verificazione, fare scientifico.
Il Lógos, la ragione rimane lo strumento indispensabile che governa e tiene unito il procedimento conoscitivoscientifico, dalla ipotesi all’esperimento, ma ora la dimostrazione meramente logica non può più essere considerata la ‘dimostrazione’, ma solo una sua parte.
La verità dell’ipotesi scientifica è imbrigliata o saldata in una serie di operazioni pratiche che, isolando le parti, le osserva per confermare o meno la previsione dell’ipotesi. L’ipotesi è, dunque, resa vera o falsa attraverso l’esperimento, il “cimento”. Alla evidenza razionale ora si affianca l’esperimento. Il Lógos raddoppia con l’esperimento!
Dunque, la rivoluzione scientifica trova il modo per accedere e dimostrare la verità attraverso un raddoppio dello strumento del controllo:
1) Lógos;
2) esperimento
Un circolo che propone teoria e prassi e tale da legare l’uno all’altra in maniera che il Lógos non possa involarsi nelle regioni della metafisica.
La rivoluzione scientifica infine, si situa all’interno della filosofia e con la filosofia condivide il problema della verità. La scienza è verità seppur limitata ad elementi particolari, ma che si ampliano sempre più. La scienza inscrive la sua attività nella dimensione della verità, seppur decurtata. Ciò che essa afferma corrisponde alla verità fuori di noi: rispecchia la verità della natura.
IL POSITIVISMO DI COMTE
Auguste Comte (Montepellier, 1798 – Parigi, 1857) è il positivismo, o buona parte di esso!
Comte è l’espressione filosofica della grande industria, della borghesia in ascesa di metà Ottocento e dei suoi interessi rivoluzionari; rivoluzionari in quanto, pur essendo decisamente di classe, finiscono per diventare storicamente generali, globali: coincidenti con gli interessi generali di un processo storico gravido di portentosi sviluppi.
La borghesia e il positivismo, che in Comte ha una plastica raffigurazione, ripone nella scienza l’unica chance di salvezza dalle catene della metafisica, della religione e della tradizione.
La scienza è, ancora, l’unico strumento capace di porre uno sviluppo senza limiti, nel mentre spiana la strada verso un controllo sempre maggiore della natura. Il positivismo identifica senz’altro lo sviluppo con il progresso. La scienza è il metodo scientifico, è l’unica modalità che ci permette uno sviluppo costante in campo culturale e materiale, dunque, davanti a noi si erge sicuro un progresso storico senza pari: sorti progressive!
I testi più importanti di Comte sono: Corso di filosofia positiva (1830) e Discorso sullo spirito positivo (1844). Il “bisogno fondamentale”, la molla che ha spinto la riflessione di Comte è la costruzione di una filosofia della storia, l’individuazione di una legge di sviluppo dell’umanità. Tuttavia la parte della sua riflessione che ebbe più risonanza è sicuramente quella che concerne la dottrina della scienza.
Per Comte la scienza è “garante del consorzio umano”, poiché essa è l’unica fonte di sapere libero e soprattutto condivisibile, universale, che sfugge alle secche della dóxa e, ancor più, della metafisica e del suo involversi in pure e semplici, astruse e insensate fantasticherie.
Il positivismo è caratterizzato da una fiducia assoluta, incondizionata nella ragione e nel sapere come mezzi principali per il progresso, versus qualsiasi ingerenza irrazionale o dimensione religiosa o che si appelli alla autorità della tradizione. Per certi versi, quindi, essa è simile all’Illuminismo settecentesco, ma se ne distacca, tuttavia, per la minore carica polemica e per l’intento più rilevante di assolutizzazione e riordinamento del quadro scientifico e delle modalità del procedere scientifico.
La dottrina della scienza
La scienza è l’arma attraverso cui l’uomo potrà esercitare il proprio predominio.
Comte si inserisce in quella lunga linea di pensiero che da Bacone a Cartesio aveva presagito il dominio dell’uomo sulla natura attraverso la scienza. Rammentiamo che, in maniera chiara e cristallina, in Bacone il sapere, nella fattispecie la scienza, aveva perso il candore di un sapere disinteressato, un sapere per il mero sapere ed era, ora, potenza: capacità di penetrare la natura per porla al servizio dei propri bisogni.
La scienza per Comte ha carattere essenzialmente speculativoteoretico, da non confondere con la scienza tecnicopratica. La scienza ha una base razionale e teorica che permette di prevedere i fenomeni per poter, solo successivamente, modificarli a proprio piacimento e vantaggio. Il suo scopo è quindi formulare delle leggi attraverso l’attenta osservazione dei fatti, in modo da comprenderli ed esplicarli completamente.
Dunque, la scienza è formulazione di leggi che permettono la previsione e questa, a sua volta, permette l’azione:
scienza, donde previsione; previsione, donde azione.
Osservazione dei fatti e formulazioni di leggi. Formulazione di leggi al fine della previsione che garantisce la possibilità di potersi servire dei fatti per la soddisfazione dei propri bisogni.
Da ciò è evidente l’impostazione empiristica del pensiero di Comte, che infatti fa proprio il principio che da Tommaso a Locke recita che Nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu (Nell’intelletto non vi è niente che non sia già stato nei sensi). Tuttavia, in contrasto col pensiero del filosofo inglese, egli è fermamente convinto che al di sotto del fenomeno, l’oggetto di indagine dell’esperienza, non vi sia affatto un noumeno, una realtà nascosta e più stabile.
Tuttavia si possono notare anche alcuni spunti razionalistici condivisi da Comte, come l’adozione del principio di regolarità nell’analisi della realtà: non si ha conoscenza senza una previa concettualizzazione del mondo, senza che ogni singolo evento venga ricondotto attraverso la scienza ad una teoria generale ed astratta. Inoltre, le teorie stesse devono essere il più concise e universali possibili, in quanto se vi fosse una legge specifica per ogni accadimento della realtà, questa finirebbe col diventare un duplicato della realtà stessa, che vanificherebbe l’utilità della scienza: tale obiettivo viene definito da Comte come “principio di economia”.
Infine, la scienza per Comte è avalutativa, in quanto non crea valori e non ne fa uso. Ciò non significa però che la morale non necessiti della scienza, in quanto senza quest’ultima essa risulterebbe illogica e ingiustificabile.
Partendo dalle suddette influenze, Comte si preoccupa di distinguere ciò che è pura scienza dal ciarpame pseudoscientifico, creando una enciclopedia generale di tutte le conoscenze scientifiche.
La legge dei tre stadi
La legge dei tre stadi: sulla base di considerazioni storiche e antropologiche Comte afferma che ogni ambito del sapere umano si articola attraverso tre fasi teoricamente, ma anche socialmente, differenti: lo stadio teologico, lo stadio metafisico e lo stadio positivo.
• Nello stadio teologico, che è il necessario punto di partenza dell’intelligenza umana, l’uomo, ricercando le cause prime e la natura delle cose, finisce per attribuire ai fenomeni un’origine sovrannaturale, il cui intervento spiega tutte le anomalie dell’universo. A questa forma di pensiero corrisponde la monarchia teocratica del Medioevo;
• Nello stadio metafisico, che non funge nient’altro che da tramite verso il sapere positivo, l’elemento sovrannaturale viene sostituito da forze astratte, come le essenze, capaci anche stavolta di giustificare da sole l’andamento della natura. Lo stadio metafisico è tipico del mondo moderno, governato dalla sovranità popolare, che si trova in una fase di crisi e transizione;
• Nello stadio positivo, infine, l’uomo rinuncia ad indagare l’origine dell’universo; per scoprirne piuttosto le leggi che lo governano, ovvero le relazioni di successione e somiglianza. Com’è ovvio, il positivismo si addice all’organizzazione scientifica che assume la società industriale e borghese.
Il problema principale della conoscenza umana è ora, secondo Comte, l’assenza di un sapere positivo in alcuni campi fondamentali, ed in particolare nelle scienze sociali:
Infatti, mentre esistono allo stadio positivo una fisica celeste, che studia gli astri e i loro moti, una fisica terrestre, che si occupa della meccanica e della chimica e finanche una fisica organica, che tratta scientificamente gli esseri viventi, non vi è alcuna fisica sociale e tale mancanza provoca una condizione di anarchia intellettuale, a cui consegue la crisi politica e morale che affligge la società contemporanea.
La fisica sociale è tuttavia, almeno per ora, irrealizzabile, in quanto in essa coesistono i tre stadi del sapere, e ciò non permette di ottenere un ordine prestabilito che porti al superamento della crisi.
Proprio per questo Comte, riprendendo il percorso già cominciato da Cartesio, Galileo e Bacone, tenta di tratteggiare i principi generali ed universali della filosofia positiva, delineando i tratti della già citata enciclopedia.
In essa Comte racchiude non le scienze pratiche, le arti o la tecnica, ma piuttosto le scienze speculative; egli si limita, inoltre, ad affrontare solo quelle generali ed astratte, rifuggendo dalle analisi più specifiche, concrete e particolari.
Il criterio con le quali le suddette scienze vengono classificate è l’ordine decrescente di semplicità, in modo che la loro disposizione coincida con la successione con cui esse sono entrate nella loro fase positiva.
Secondo questo parametro, in primo luogo si possono distinguere i fenomeni che interessano gli enti più semplici, cioè i corpi inorganici, che sono appunto oggetto di studio da parte della fisica inorganica; vi è poi l’analisi dei fenomeni che interessano i corpi più complessi, organizzati, gli esseri viventi, attraverso la fisica organica.
A sua volta la prima può essere divisa, nuovamente, in base alla complessità della materia trattata, nello studio dei corpi celesti, l’astronomia, o fisica celeste, e nella fisica terrestre, che si occupa delle interazioni tra i corpi (nella fisica propriamente detta) e della loro composizione (nella chimica).
La seconda, invece, viene suddivisa anch’essa in due parti, in quanto essa ha, sì, un campo di analisi individuale, ma anche uno collettivo, relativo all’intera specie: si parla quindi, nel primo caso, di biologia, ovvero una fisica organica fisiologica, e di sociologia, ovvero di fisica organica sociale, nel secondo.
Le cinque scienze fondamentali, che vanno a costituire l’enciclopedia, sono: l’astronomia, la fisica, la chimica, la biologia e la sociologia.
Comte esclude quindi dall’enciclopedia discipline quali la matematica, la logica e la psicologia.
Per quanto riguarda la matematica, essa viene esclusa non perché Comte non la consideri una scienza vera e propria, ma piuttosto poiché essa è ritenuta la base di tutte le altre scienze, un fondo sul quale poggiano tutte le scienze.
La logica, invece, viene considerata come concreta e particolare, in quanto essa non è un sapere generale, ma un metodo con cui ogni branca del sapere stesso sussiste e prende forma.
Infine, la psicologia viene esclusa poiché non è una vera e propria scienza, in quanto il suo campo d’analisi, similmente a come dirà più tardi Popper, non è tangibile, poiché la ragione non può essere in alcun modo osservata dall’esterno mentre agisce.
La sociologia, invece, rappresenta il fine ultimo di tutte le scienze positive, in quanto da essa dipendono i concetti, fondamentali per l’uomo, di ordine e progresso.
Questi due concetti fanno capo a due compartimenti della sociologia, complementari l’uno con l’altro.
L’ordine viene analizzato dalla statica sociale, che mette in luce le relazioni necessarie tra le varie parti della società, mentre il progresso e lo sviluppo sono prerogativa della dinamica sociale. Quest’ultima spiega anche la presenza degli “uomini di genio”, che vengono hegelianamente interpretati come uno strumento, un’espressione della volontà di affinamento del genere umano attraverso, appunto, il progresso.
Per questo Comte auspica l’avvento di quella che egli chiama “sociocrazia”, ovvero di un regime pressoché perfetto, fondato proprio sulle scienze sociali: culla ideale di un’umanità volta sempre più verso il perfezionamento di sé stessa.
Infine, va rilevato come l’esaltazione della scienza positiva diventa in Comte, alla fine, una sorta di apologia quasi religiosa della scienza che ben trova nell’idea di un “calendario positivista” la sua figura più esplicita ed esaltata.
LA CRISI DEI FONDAMENTI
Alla fine dell’Ottocento quelle che si pensavano fossero le solide basi della scienza tremano, meglio, franano e con esse le verità che la scienza ci aveva abituato a considerare ferme: epistéme. E’ la crisi dei fondamenti!
Le categorie fondamentali della scienza, spazio, tempo, causa, si ritrovano al centro di una vera tempesta in cui non sembra esservi nulla di solido e stabile ma tutto è fluttuante e relativo. Le basi della matematica e della fisica si ritrovano ricacciate nell’incertezza e tutto sembra essere costruito non sulla solida roccia, ma su fango molle, cedevole.
Matematica
La matematica era stata considerata a partire da Euclide e fino a Kant la scienza per eccellenza: un sapere perfetto. Non è certo un caso che Kant nella Critica aveva ammesso al consesso scientifico la matematica e la fisica e aveva risolutamente escluso qualsiasi volo della colomba metafisica denunciandone l’astrazione come fabula.
Ora la matematica, che aveva nella geometria la sua radice più profonda, vacilla perché è lo stesso grattacielo della geometria euclidea a vacillare a flettere al vento di altre geometrie. La geometria di Euclide (323285 a. C.) dopo duemila anni sembrano vacillare con l’irrompere delle geometrie non euclidee.
Gauss e Lobacevskkij (inizio 1800) misurano la crosta terrestre, prendendo in considerazione il triangolo avente per vertici Terra, Sole, Sirio e rilevano che la somma degli angoli è meno di 180°. Lobacevskij e Bolyai, indipendentemente, costruiscono una geometria iperbolica a somma angoli minore di 180° e, dato una retta r e un punto P esterno a essa, esistono almeno due rette (e non una come voleva Euclide) passanti per P e parallele a r.
Riemann costruisce una geometria ellittica, dove la somma degli angoli di un triangolo è maggiore di 180° e dove, in generale, non esistono rette tra loro parallele.
La geometria euclidea che aveva costituito la base sicura della matematica non è la sola possibile, dunque, da qui si cercherà, attraverso vari tentativi, una rifondazione epistemologia della matematica:
a) sull’aritmetica (Peano);
b) sulla logica (Frege, Russell);
c) sull’intuizione (Brouwer).
Un’altra importante spallata alla certezza matematica viene da un giovanotto di appena venticinque anni: Kurt Gödel. Gödel con il suo teorema di completezza (1930) dimostra che la logica è un sistema coerente e completo: da assiomi, attraverso regole, si possono derivare tutte e sole verità logiche.
Lo stesso Gödel, l’anno successivo, con il teorema di incompletezza (1931) dimostra, invece, l’impossibilità di fondare la matematica come sistema coerente: se non vogliamo avere antinomie dobbiamo avere incompletezza; se vogliamo completezza dobbiamo convivere con le antinomie riprendendo, dunque, quanto Kant aveva affermato in sede gnoseologica nella sua Critica della ragion pura.
Fisica
A partire dall’inizio del Novecento anche la fisica mostra vari spazi critici che, tuttavia, possiamo sintetizzare in due punti che danno il senso di veri e propri cambi di paradigma. cioè di cambio del modello scientificoculturale:
1. Einstein: teoria della relatività: la meccanica newtoniana non da risultati corretti se applicata a oggetti molto grandi che si muovono a grande velocità;
2. Plank: meccanica quantistica: la teoria newtoniana non è corretta se si applica ad oggetti molto piccoli, particelle subatomiche.
Il FALSIFICAZIONISMO DI POPPER
Il falsificazionismo
Karl Popper (Vienna, 1902 – Londra 1994) è il filosofo del falsificazionismo!
Falsificazionismo che Popper elabora a partire dalla influenza che su di lui avrà il grande Albert Einstein e le sue teorie scientifiche. Popper fin dall’inizio rimase colpito dal fatto che Einstein avesse formulato le proprie teorie non tanto in vista di facili verifiche, quanto di rischiose previsioni e, dunque di possibili smentite (o falsificazioni). Insomma, le teorie di Einstein potevano essere falsificate a differenza ad es. del marxismo o della psicanalisi. La psicanalisi poteva spiegare un evento o la mancanza di un evento con una facilità estrema senza mai contraddirsi. Ugualmente, la teoria della storia di Marx faceva si che si giustificasse e spiegasse con eguale eleganza sia che una cosa accadesse che non accadesse. Insomma nulla a che fare con l’impostazione della teoria di Einstein, che faceva previsioni molto definite e precise: i raggi luminosi provenienti da stelle lontane sarebbero stati deviati dal campo gravitazionale del sole: cosa che venne confermata dalle osservazioni.
Inoltre, come Einstein, Popper elabora la propria rivoluzione epistemologica a partire dalla convinzione che le teorie scientifiche non sono verità assolute ma semplici ipotesi, congetture destinate ad essere superate.
Se la teoria di Newton, che era stata controllata nel modo più rigoroso era stata confermata meglio di quanto uno scienziato si sarebbe mai potuto sognare, era poi stata smascherata come ipotesi malsicura e superabile, allora era cosa disperata l’aspettarsi che una qualsiasi altra teoria fisica potesse raggiungere qualcosa di più che lo stato di ipotesi. (I due problemi fondamentali della conoscenza)
Il falsificazionismo è, dunque, il metodo attraverso cui è possibile distinguere il grano dalla pula, la scienza dal semplice racconto. Tale problema viene definito demarcazione, e Popper vi trova una soluzione appunto nel principio di falsificabilità: a differenza del verificazionismo, che intendeva elevare a scienza tutto ciò che fosse stato, appunto, verificato dall’esperienza, egli introduce il criterio della validità di una teoria in virtù della sua possibilità di essere smentita dalla stessa esperienza.
Per questo motivo risultano, quasi paradossalmente, scientifiche solo quelle teorie che possono essere falsificate, o quantomeno quelle che presentano potenzialmente un elemento falsificatore in loro stesse.
Perciò la metafisica, secondo Popper, sicuramente non è una scienza, ma egli non la ritiene come un qualcosa privo di senso, in quanto riconosce la sua funzione propulsiva nei confronti della scienza. Infatti, le idee “dogmatiche” al suo fondamento rappresentano la fonte “da cui rampollano le teorie delle scienze empiriche”.
Da quanto detto sopra risulta che non sarà mai possibile definire come certa e assolutamente vera anche una singola teoria, poiché servirebbero infinite conferme ad essa, mentre basta una semplice asserzione contraria per smontare un impianto apparentemente scientifico. Questo principio esprime l’assoluta superiorità epistemologica del falsificazionismo sul verificazionismo, che tuttavia lascia la scienza senza un fondamento assoluto, ma piuttosto con delle convenzioni. La scienza risulta cioè costruita non sulla solida roccia, ma su “fragili palafitte”, decise dagli scienziati stessi che ne fanno uso in un determinato periodo storico per i loro scopi:
La base empirica delle scienze oggettive non ha in sé nulla di assoluto. La scienza non posa su un solido strato di roccia. L’ardita struttura delle sue teorie si eleva, per così dire, sopra una palude. E’ come un edificio costruito su palafitte. Le palafitte vengono conficcate dall’alto, giù nella palude: ma non in una base naturale o data; e il fatto che desistiamo dai nostri tentativi di conficcare più a fondo le palafitte non significa che abbiamo trovato un terreno solido. Semplicemente, ci fermiamo quando siamo soddisfatti e riteniamo che almeno per il momento i sostegni siano abbastanza stabili da sorreggere la struttura. (La logica della scoperta scientifica)
La superiorità epistemologica della falsificabilità, secondo Popper, sta anche nella evidente asimmetria logica tra verificabilità e falsificabilità. Basta un solo fatto negativo per confutare una teoria rispetto a miliardi di conferme.
La scienza è, quindi, non il mondo delle verità ma l’universo delle ipotesi.
Tuttavia, alcune teorie sono ritenute più affidabili di altre. Popper spiega questo meccanismo con il concetto di corroborazione.
Una teoria si dice infatti corroborata quando essa ha superato il confronto con un’esperienza che si riteneva potenzialmente falsificante.
Vi è quindi un criterio di preferenza verso la verità, che, in certi casi, risulta più forte persino della falsificabilità stessa: in primo luogo, anche le esperienze falsificanti devono essere ritenute valide, e quindi sottoposte allo stesso criterio di cui sono strumenti, il quale potrebbe smentirle a loro volta, ridando validità scientifica alla teoria attaccata; inoltre, qualora una teoria venisse falsificata definitivamente (anche se a questo punto di falsificazione definitiva non si può più parlare), essa non potrebbe essere sostituita fino alla costruzione di una teoria migliore.
Per questo, Popper elabora un modello flessibile, diremmo pluriteorico, nel quale vi è un confronto non solo tra teoria ed esperienza, ma anche tra teorie rivali.
Tale modello si basa su una procedura specifica alla base della scienza, che egli definisce procedimento per congetture e confutazioni, il quale consiste nel rispondere ai problemi attraverso delle ipotesi sottoposte alla critica dell’esperienza. In questo senso Einstein e una semplice ameba adottano lo stesso metodo per sopravvivere in un ambiente: la differenza sta nel fatto che il signor Einstein ha la capacità di imparare dai suoi errori!
Vi è quindi un trittico “problemiteoriecritica” alla base del tutto, il quale finisce con lo stabilire l’importanza, paradossalmente, dell’errore, all’interno della scienza, che è perciò non più epistéme, sapere immutabile, ma disciplina che si costruisce e si corrobora man mano, imparando dai propri sbagli, che sono un passaggio necessario verso il miglioramento.
L’induttivismo
La deduzione o inferenza deduttiva è una modalità del nostro ragionamento che si esplica ad es. nel modo seguente: Tutti gli italiani amano il vino rosso. Antonio è un italiano. Antonio ama il vino rosso.
I primi due enunciati sono premessa della inferenza deduttiva. Se le premesse sono vere la conclusione deve essere vera.
Nella inferenza induttiva, invece, possiamo partire da premesse vere e arrivare a conclusioni false. Ci muoviamo da premesse su oggetti che abbiamo esaminato a conclusioni su oggetti che non conosciamo affatto: dal particolare al generale. Nonostante ciò il ragionamento induttivo è indispensabile nella vita di tutti i giorni.
Il grande Hume poneva il problema: se il sole è sorto fino ad oggi ciò non significa che sorgerà domani! Per Hume il principio induttivo non può essere affatto dimostrato razionalmente. Esso è semplicemente una abitudine animale, una fede cieca.
Noi presupponiamo la uniformità della natura, ma non possiamo dimostrarla. Per dimostrare che la natura è uniforme dovremmo fare degli esempi che concluderebbero con il ribadire che fino ad oggi si sono comportati così e finiremmo, con ciò, con il creare un circolo. Il sole, domani, potrebbe non sorgere!
L’idea di fondo dell’induttivismo è che la scienza parta da osservazioni, fa delle generalizzazione e predice gli avvenimenti.
Uno scienziato osserva attentamente una quantità enorme di uccelli e inferisce che:
1) Tutti i corvi sono neri;
2) Tutti i cigni sono bianchi.
Le preposizioni sono, entrambe, il frutto di un attento e duro lavoro, ma solo la prima é vera! La seconda è stata vera in Europa solo fino al diciottesimo secolo, quando, i primi esploratori dell’Australia, osservarono cigni neri. Il prossimo corvo osservato potrebbe essere rosso?
Si capisce che le inferenze scientifiche non producono mai verità ma, magari, solo alti gradi di probabilità. E’ quanto sostiene anche B. Russell dopo le riflessioni sul tacchino induttivista: “la probabilità è tutto ciò che dobbiamo cercare”. Per quanto riluttanti, per Russell bisogna credere nel principio di induzione come in una cieca fede.
Popper si scaglia contro l’induzione, ovvero quella linea di pensiero che da Bacone in poi sosteneva di poter derivare dall’esperienze particolari delle teorie generali ed universalmente valide.
La tradizione induttivista, come aveva già rilevato Hume, non ha alcun valore poiché anche numerose prove a favore di una teoria non bastano a renderla vera immutabilmente. Non sappiamo se domani il sole sorgerà o non sorgerà! (Hume)
A tal proposito, in tono brioso quanto arguto, Bertrand Russell spiegava l’impotenza dell’induttivismo con il racconto del ‘tacchino induttivista’:
Fin dal primo giorno questo tacchino osservò che, nell’allevamento dove era stato portato, gli veniva servito il cibo alle 9 del mattino. E da buon induttivista non fu precipitoso nel trarre conclusioni dalle sue osservazioni e eseguì altre in una vasta gamma di circostanze: di mercoledì e di giovedì, nei giorni caldi e nei giorni freddi, sia che piovesse che splendesse il sole. Così, arricchiva ogni giorno il suo elenco di una proposizione osservativa in condizioni più disparate. Finché la sua coscienza induttivista fu soddisfatta ed elaborò un’inferenza induttiva come questa: ‘Mi danno il cibo alle 9 del mattino’. Purtroppo, però, questa conclusione si rivelò incontestabilmente falsa alla vigilia di Natale, quando, invece di venir nutrito, fu sgozzato. (in A. F. Chalmers, Che cos’è questa scienza?)
Scienza e verità
Il rifiuto dell’induttivismo porta Popper anche al rifiuto dell’osservazionismo cioè di quella concezione che vuole lo scienziato come un neutrale e asettico osservatore di fatti. Per Popper lo scienziato non è affatto un osservatore neutro. La nostra mente non è una tabula rasa o contenitore vuoto ma, al contrario, un “faro” che illumina cioè un fascio di ipotesi, consce o inconsce, con cui vediamo il mondo. Insomma, come aveva detto anche se in altro contesto Heidegger, “l’uomo non è un occhio puro sul mondo” o se si vuole, Nietzsche: “non esistono fatti ma interpretazioni”!
Quando ci accingiamo ai fatti i fatti sono già “impregnati” di teoria. L’osservazione è “carica di teoria”! (theoyi laden)
La metafora del “faro” che illumina si presta ad un parallelo con Kant e la sua rivoluzione copernicana che sposta il problema della conoscenza dai fatti al soggetto. Concordemente con Kant Popper ritiene che la nostra mente impone delle leggi alla natura ma diversamente da Kant che afferma la validità oggettiva, necessaria e universale di tali leggi, Popper ritiene che le leggi non sono affatto necessariamente valide ma che, al contrario la natura si mostra assai refrattaria ad accoglierle e più spesso le rigetta. (Congetture e confutazioni)
Dunque, per Popper la scienza non epistéme ma dóxa, opinione, semplice ipotesi di lavoro, congettura. Le teorie scientifiche sono solo corroborate il che significa momentaneamente nonfalsificate. Quelle che chiamiamo verità scientifiche non hanno nessun fondamento su cui poggiare in maniera stabile e sicura. Al contrario, il sapere scientifico è strutturalmente problematico e incerto e a nulla vale la domanda se se possiamo giustificare o meno il nostro sapere: essa è priva di senso. All’uomo compete la ricerca non la verità! Dunque, dal punto di vista filosofico Socrate aveva ragione! Dal punto di vista epistemologico Popper riprende dunque Socrate.
Il fallibilismo [falsificazionismo] non è altro che il nonsapere socratico. In breve abbiamo: 1) Socrate: io so di non sapere nulla (e nessuno sa più di questo); 2) Kant: la teoria di Newton è scienza che può essere giustificata, e perciò sapere certo. (Dunque Socrate vien contraddetto dal fatto dell’esistenza del sapere scientifico.) […] 3) Einstein: il sapere scientifico riguardante la realtà è incerto. […] Dunque il fallibilismo di Socrate continua ad esser dalla parte della ragione. (I due problemi fondamentali della teoria della conoscenza)
Per Popper lo scopo della scienza non è la verità, come sapere assoluto, immutabile, ecc, quanto il raggiungimento di teorie sempre più verosimili, cioè che “appare più vicina alla realtà”. Se non possiamo dimostrare che una teoria è definitiva possiamo, tuttavia, dimostrare che una teoria è da preferire ad un’altra, cioè che rappresenti un progresso verso la verità.
Innanzitutto, tra una teoria scientifica e una nonscientifica è sicuramente da preferire quella scientifica perchè può essere falsificata, cioè sottoposta al controllo empirico.
Tra teorie entrambe scientifiche è da preferire quella in cui il contenuto di verità, cioè la corrispondenza ai fatti, è superiore all’altra e il contenuto di falsità è minore.
In effetti lo stesso Popper ammise repentinamente che la rappresentazione della verosimiglianza era errata. Tuttavia il criterio di scelta tra teorie rimane, per Popper, inscritto nell’ambito di una analisi razionale e, ovviamente, di una comparabilità delle teorie.
Lo sviluppo della nostra conoscenza è il risultato di un processo strettamente rassomigliante a quello chiamato da Darwin “selezione naturale”; cioè la selezione naturale delle ipotesi.
Il realismo dell’ultimo Popper
L’ultimo Popper prende posizione, a fianco di Galileo, contro lo strumentalismo ovvero quella concezione secondo cui le teorie scientifiche non sarebbero che utili strumenti di previsione. Per Popper le teorie sono anche enunciati descrittivi e non solo strumenti di previsione e di calcolo. In questo senso è possibile parlare di una ripresa del realismo nella riflessione filosofica di Popper che stronca una possibile deriva relativistica che pure era immaginabile non avendo fatti ma interpretazioni, non avendo verità ma ipotesi, congetture.
L’ultimo Popper muove verso l’ipotesi realistica semplicemente perché è l’unica posizione che può “rammentarci che le nostre idee possono essere errate”. Proprio l’errore ci permette di distinguere nettamente tra la realtà e la teoria e coglierne la corrispondenza o meno. Ciò significa pure sottolineare una realtà esterna alla teoria.
Chiamiamo “vera” una asserzione se coincide con i fatti, se corrisponde ai fatti, o se le cose sono tali quali l’asserzione le presenta. E’ questo il concetto cosiddetto assoluto o obiettivo di verità.
Anche se il realismo nei suoi fondamenti teorici è “non dimostrabile, nè confutabile”, in definitiva nessuno è stato ancora capace di opporre una teoria migliore. Perché una teoria venga messa da parte occorre che se ne abbia a disposizione una migliore!
Il POSTPOSITIVISMO DI KHUN, LAKATOS E FEYERABEND
Il postpositivismo ha tre figure ormai classiche a cui far riferimento e che ben rappresentano la critica al neo positivismo sia nella versione del Circolo di Vienna sia nella versione del falsificazionismo popperiano.
La critica dei tre filosofi, pur nella loro differenza, si concentra a) nella assoluta convinzione che i fatti non esistono come realtà obiettiva ma solo nel loro essere all’interno di un sistema, di un quadro teorico; b) non è possibile alcuna verificazione di una teoria o falsificabilità proprio perché non esistono fatti obiettivi; c) il sapere scientifico è un sapere che si muove all’interno di una configurazione storicoconcreta; d) nella elaborazione scientifica confluiscono elementi assolutamente extrascientifici ; e) il Lògos, la Ragione è ormai solo un mito che va rifiutato come strumento che ci porta alla verità; f) le teorie non hanno nulla a che vedere con la verità quanto, piuttosto, con il consenso.
Khun: La struttura delle rivoluzioni scientifiche
Secondo Thomas Samuel Kuhn (192296) lo sviluppo storico della scienza si snoda attraverso un ‘alternarsi di periodi “scienza normale” e periodi di “rotture rivoluzionarie”.
Il periodo di scienza normale è caratterizzato da determinati paradigmi, ovvero insiemi complessi e organizzati di teorie, modelli di ricerca e di sperimentazioni.
Il quadro complessivo di un periodo è caratterizzato non solo da questioni scientifiche in senso specifico, ma da un complesso di elementi culturali: religiosi, etici, estetici, politici, ecc. che incidono pesantemente su una determinata teoria favorendola o screditandola.
Lo stesso Kuhn cercherà di chiarire cosa si debba intendere per paradigma nella sua opera più importante, La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962):
Con tale termine voglio indicare conquiste scientifiche universalmente riconosciute, le quali, per un certo periodo, forniscono un modello di problemi e soluzioni accettabili a coloro che praticano un certo campo di ricerche. (La struttura delle rivoluzioni scientifiche)
Un paradigma è una conquista scientifica (come la grande teoria geocentrica di Tolomeo o il copernicanismo, la meccanica di Newton o la teoria evolutiva di Darwin...) che per un certo periodo costituisce la base della ulteriore ricerca. Ricerca ulteriore consistente in quella che Kuhn chiama “scienza normale”. La scienza normale è cumulativa; lo scienziato normale non cerca la novità; egli è un risolutore di “rompicapi”, cioè di problemi emergenti dal paradigma e risolvibili con i mezzi del paradigma stesso.
La scienza normale entra in crisi per effetto di un sommarsi di anomalie che rompono il paradigma esistente fino a quel momento così si opera una vera rottura rivoluzionaria.
Aumentando il contenuto informativo della teoria, lo scienziato “normale” espone il paradigma alle “anomalie”, a problemi che resistono agli assalti dei sostenitori del paradigma. I dogmi vengono messi in dubbio; gli scienziati perdono la fiducia nella teoria finora abbracciata: siamo in piena crisi del paradigma. E’ un periodo, di solito breve, di “ricerca sgangherata”; è la “scienza straordinaria”, dalla quale poi emerge un nuovo paradigma attorno al quale si articolerà di nuovo la scienza normale, e così all’infinito. Gli scienziati, che fino ad allora si erano mossi nella conservazione del paradigma che garantiva stabilità, ora si avventurano per sentieri inesplorati e vedono cose nuove guardando le stesse cose di prima. Il noto diventa ignoto!
Cambiano completamente i quadri o sistemi concettuali. Cambiano i paradigmi!
Per Khun, d’accordo con Popper, i fatti sono “carichi di teoria”. I fatti non esistono se non all’interno di una teoria che, dunque, li determina come fatti.
Diversamente da Popper, però, Khun è più radicale nella conseguenza che ciò comporta cioè che non è possibile confrontare, paragonare due diverse teorie. Per Popper due teorie per quanto diverse, l’astronomia di Tolomeo e quella di Aristotele, sono commensurabili. Per Khun, invece, esiste una vera e propria incommensurabilità tra teorie perché esiste una incommensurabilità tra paradigmi.
Su che basi dunque si può accettare un nuovo paradigma?
I singoli scienziati abbracciano un nuovo paradigma per ogni genere di ragione, e di solito per parecchie ragioni allo stesso tempo. Alcune di queste ragioni […] si trovano completamente al di fuori della sfera della scienza. Altre possono dipendere da idiosincrasie autobiografiche e personali. Persino la nazionalità o la precedente reputazione dell’innovatore e dei suoi maestri. (La struttura delle rivoluzioni scientifiche)
La risposta è davvero spiazzante e ci riporta ad una dimensione tutt’altro che razionale. La scelta del paradigma non è affatto, secondo Khun, una scelta logica e/o sperimentale ma inscritta in una dimensione storicosociologicopersonale. Giustamente Lakatos dirà che per Khun “la rivoluzione scientifica è irrazionale, è una questione di psicologia di massa”. Insomma, al di fuori di ciò che siamo abituati a pensare come scienza.
È per questo che quindi Khun vede il passaggio a un nuovo paradigma non come un avvicinamento progressivo alla verità, ma una semplice “conversione delle comunità scientifiche”. Insomma conversioni religiose!
E’ chiaro che se i paradigmi non sono commensurabili non è neanche pensabile un progresso della scienza. Infatti, Khun pensa che la scienza si muova non tanto verso un progressivo avvicinamento alla verità quanto, semplicemente, ci allontaniamo da stadi primitivi di ricerca nel senso che siamo sempre più bravi nell’articolare i problemi.
Lakatos: la metodologia dei programmi di ricerca
Imre Lakatos (19221974) offre un fitto contronto con Khun e Popper di cui è un ammiratore considerandolo come l’esponente più importante della filosofia del ventesimo secolo che regge il confronto con Hume e Kant.
Le opere più importanti sono: La falsificazione e la metodologia dei programmi di ricerca scientifici (1970) e La storia della scienza e le sue ricostruzioni razionali (1971).
Innanzitutto Lakatos, in polemica con Khun, contesta che si possa passare da un paradigma ad un altro come con una conversione religiosa: un “irrazionale cambiamento di fede”. In questo modo Lakatos mantiene la sua riflessione in un alveo sicuramente più razionale o razionalista di Khun.
Lakatos spiega il passaggio da un paradigma ad un altro non tanto per il presentarsi di “esperimenti cruciali” che contraddicono o confutano una teoria quanto per la presenza di una teoria rivale. Con ciò Lakatos è distante sia da Khun che intende lo sviluppo della scienza come continue ‘conversioni’, sia da Popper secondo cui si procede per congetture ed errori.
Lakatos ritiene che si proceda attraverso una serie di programmi di ricerca in razionale confronto tra loro.
La storia della scienza confuta sia Popper, sia Khun: a un esame accurato, sia gli esperimenti cruciali di Popper, sia le rivoluzioni di Khun risultano essere dei miti: ciò che di solito accade è che un programma di ricerca progressivo ne rimpiazza un altro.
Nello specifico Lakatos definisce un programma di ricerche come un insieme di teorie scientifiche coerenti tra loro e che obbediscono ad alcune regole metodologiche.
In un programma di ricerca è possibile scorgere un “nucleo” ovvero asserzioni inconfutabili “in virtù di una decisione metodologica dei suoi sostenitori”, e una “cintura protettiva” ovvero una serie di ipotesi ausiliarie che hanno la funzione di proteggere il nucleo.
Un programma di ricerca è “progressivo” se continua a “predire fatti nuovi”, altrimenti è “regressivo” ovvero si limita a dare spiegazioni post hoc.
Dunque, i programmi di ricerca si susseguono non in base a strane conversioni o in base a confutazioni quanto a decisioni razionali che sostituiscono programmi ormai regressivi.
Feyerabend: Contro il metodo
Contro il metodo (1980) di Paul Feyerabend è il testo ormai classico di una “epistemologia anarchica“ o “dadaista”, non a caso il sottotitolo recita: Per una conoscenza anarchica del sapere.
l’anarchismo, pur non essendo forse la politica più attraente, è senza dubbio una eccellente medicina per l’epistemologia e per la filosofia della scienza. (Contro il metodo)
Feyerabend è estremamente radicale nella sua impostazione epistemologica: non esiste la verità, non esiste un “metodo scientifico” non esiste una “regola”, non esiste un “criterio di eccellenza”.
Gli uomini intelligenti non si lasciano limitare da norme, regole, metodi, neppure da metodi “razionali”, ma sono degli opportunisti, ossia utilizzano quei mezzi mentali e materiali che, all’interno di una determinata situazione, si rivelano i più idonei al raggiungimento del proprio fine. (La scienza in una società libera)
En passant notiamo come questa ‘tirata’ faccia pendant con quella vena anarchica individualistica di Nietzsche. Opportunismo e scienza, ovvero volontà di potenza e mancanza di regole. Insomma, “tutto può andar bene” (anything goes)!
Secondo Feyerabend, occorre abbandonare la chimera stando alla quale le regole “ingenue e semplicistiche” proposte dagli epistemologici possano render conto di quel “labirinto di interazioni” offerto dalla storia reale:

la storia in generale, la storia delle rivoluzioni in particolare, è sempre più ricca di contenuto, più varia, più multilaterale, più viva, più astuta, di quanto possano immaginare anche il miglior storico e il miglior metodologo.
Ne deriva che
l’idea di un metodo che contenga principi fermi, immutabili e assolutamente vincolanti come guida nell’attività scientifica si imbatte in difficoltà considerevoli quando viene messa a confronto con i risultati della ricerca storica. (Contro il metodo)
E questo, secondo Feyerabend, appare con tutta chiarezza quando questi principi (per esempio quelli formulati da Popper) vengono messi a confronto con l’effettiva storia della scienza.
Progressi significativi si sono avuti solo perché le norme metodologiche furono violate consapevolmente o inconsapevolmente:
Troviamo infatti che non c’è una singola norma, per quanto plausibile e per quanto saldamente radicata nell’epistemologia, che non sia stata violata in qualche circostanza. Diviene evidente anche che tali violazioni non sono eventi accidentali, che non sono il risultato di un sapere insufficiente o di disattenzioni che avrebbero potuto essere evitate. Al contrario, vediamo che tali violazioni sono necessarie per il progresso scientifico. In effetti, uno fra i caratteri che più colpiscono delle recenti discussioni sulla storia e la filosofia della scienza è la presa di coscienza del fatto che eventi e sviluppi come l’invenzione dell’atomismo nell’antichità, la rivoluzione copernicana, l’avvento della teoria atomica moderna, il graduale emergere della teoria ondulatoria della luce si verificarono solo perché alcuni pensatori o decisero di non lasciarsi vincolare da certe norme metodologiche ovvie o perché involontariamente le violarono. (Contro il metodo)
La lotta contro il metodo vuole essere, dunque, una lotta per la libertà di metodo: l’anarchismo metodologico è la libertà di non aver metodi e di avere una idea e di poterla sconfessare subito dopo per una contingenza qualsiasi.
Sbaglia, Lakatos a pretendere che delle teorie o dei programmi di ricerca possano essere confrontati: non ci sono criteri per giudicare una teoria se non pure quelli psicologici, sociologici e culturali.
Per Khun i fatti, come aveva già registrato Popper, non esistono al di fuori della teoria ovvero di un sistema di “quadri mentali”. Tuttavia in Feyerabend tale assunzione viene portata alle estreme conseguenze relativistiche e irrazionalistiche diversamente dall’ultimo Popper.
Recuperando Khun contro Popper, Feyerabend ritiene che, non solo le teorie possono essere comparate, ma neanche i termini più semplici come ad es. il termine massa in Newton e in Einstein.
Se la verità non esiste, se la scienza non ha un criterio in base al quale scegliere una teoria piuttosto che un’altra in quanto incommensurabili, allora non rimane che un criterio di tipo pragmatico cioè di efficienza o se si vuole di capacità di persuasione, di momentaneo potere, ecc.
Ora questo criterio impone che quando si valuta le teorie dal punto di vista storico bisogna farlo assumendo un metro di valutazione interno alla teoria stessa. Ad es., non è possibile smontare la fisica di Aristotele con la fisica degli ultimi due secoli giacchè si dovrebbe dimostrare che la scienza moderna è migliore di quella aristotelica.
Feyerabend cerca conferme della sua concezione nel caso Galileo ribaltando l’ormai acclarato giudizio storico sull’errore della Chiesa.
La chiesa all’epoca di Galileo si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali delle dottrina galileiana. La sua sentenza contro Galileo fu razionale e giusta. (in Corriere della Sera, 25/01/2008)
Una lettura simile era stata avanzata negli anni Trenta da Husserl nella Crisi delle scienza europee tuttavia Feyerabend autonomamente sostiene, appunto, che la condanna delle dottrine galileiane fu emessa sulla base non tanto di ragioni teologiche, quanto delle conoscenze diffuse nel contesto scientifico dell’epoca. Insomma, la Chiesa applicò al caso Galileo una ‘razionalità’ più ampia di quella galileana. Anzi, deve essere dimostrato che gli standard scientifici sono più sicuri, e soprattutto più utili di quelli religiosi!
Le conclusioni, paradossali, sono perfettamente in linea con la metodologia storiografica di Feyerabend: la plausibilità di una teoria scientifica dev’essere valutata in relazione all’epoca.
CONCLUSIONI
Il percorso che si è dipanato in questo capitolo, dalla rivoluzione scientifica al postpositivismo, sembra consegnarci, attraverso la riflessione in atto nella filosofia della scienza, la perdita, l’oblio di qualsiasi relazione tra scienza e alétheia ovvero con quel concetto, inaudito, da cui tutto era partito e aveva, d’incanto, aperto nuovi orizzonti e fondato, nientemeno, l’Occidente.
Sicuramente a partire, all’ingrosso, dall’inizio del Novecento la filosofia della scienza, sia sotto la pressione della crisi dei fondamenti, che con l’avanzare dell’irrazionalismo e del nichilismo ha fatto registrare una vera parabola del concetto di verità fino ad annichilirlo completamente. La verità decurtata, che la rivoluzione scientifica aveva di fatto elaborata, finisce per essere anch’essa vaporizzata, sublimata, addirittura, in probabilità, in consenso. Del concetto di alétheia non rimane più niente!
Ma iniziamo dall’inizio!
La rivoluzione scientifica segna una differenza all’interno del fare filosofico. La filosofia della natura, (la scienza) si distingue sempre più e prepotentemente dal fare metafisico per imboccare una strada che cerca ancora la verità assoluta ma con una modalità tutta nuova.
La rivoluzione scientifica è la filosofia che decisamente riperimetra il concetto di verità e lo riduce doppiamente dal Tutto al particolare e, ancora, il particolare lo riconduce a solo ciò che può essere comune a tutti: alla quantità. E’ chiaro che questa doppia riduzione ridefinisce il concetto stesso di verità che non ha più i contorni della pienezza, non ha più le forme parmenidee della perfetta rotondità, ma, pur limitata al solo aspetto parziale e quantitativo, essa ha comunque le caratteristiche della necessità e universalità.
La Totalità, il Tutto è al di là da venire nell’infinita sommatoria di verità singole e parziali.
La modalità per arrivare a questa verità decurtata è ancora il Lògos ora diversamente modulato con il cimento, con l’esperimento.
Dal punto di vista propriamente filosofico la rivoluzione scientifica si presenta, dunque, come doppia riduzione della natura e raddoppio del controllo. Il raddoppio del controllo permetterà di evitare di involarsi nelle asfittiche aree iperuraniche della metafisica come più tardi ci suggerirà la colomba di Kant. .
Il positivismo non è altro che la rivoluzione scientifica che, ormai matura, è brandita dalla borghesia storicamente ancora rivoluzionaria che ha, nella grande industria e nella sua capacità egemonica, la sua immensa forza motrice. La grande industria, che fagocita il globo, nello stridore dei macchinari e nei pennacchi di fumo onnipresenti, crea il suo inno alla scienza. Questo incedere tumultuoso non può che far scrivere sulla bandiera: Keine Metaphisik mehr! (Niente più metafisica!).
Il positivismo e il neopositivismo anche se in maniera più articolata e disincantata, soprattutto con il Circolo di Vienna e il Circolo di Berlino rimangono nella scia dell’illuminismo, del razionalismo antimetafisico e, infine, della corrispondenza delle teorie ai fatti: la conoscenza come corrispondenza adaequatio.
Viceversa il falsificazionismo di Popper e il postpositivismo incarnano in ambito epistemologico l’irrazionalismo che avanza diremmo da Schopenhauer e che, in Nietzsche trova la sua più larga e cosciente formulazione con il nichilismo.
La crisi dei fondamenti scientifici che, sostanzialmente, apre il Novecento apre altresì, materialmente, il problema della verità in ambito filosofico riproponendo criticamente il problema della corrispondenza tra teoria e fatti: il rapporto tra scienza e verità.
Popper legge la scienza come la dimensione che esclude la verità assoluta; la scienza è costruzione precaria eretta su palafitte. Le asserzionibase di una teoria scientifica per Popper sono nient’altro che decisioni dei ricercatori in un determinato periodo storico. Esplicitamente Popper legge la scienza non come alétheia ma come dóxa.
Il falsificazionismo di Popper, ma soprattutto il postpositivismo di Khun e Feyerabend arrivano ad una vera e propria concezione relativistica che fa pendant con il nichilismo nietzschiano ovvero con quella espressione della borghesia, ormai decadente, che riduce qualsiasi certezza a semplice ipotesi di lavoro.
Khun, ad es., con più vigore irrazionalista legge l’intera vicenda scientifica come un movimento mosso da semplici conversioni da parte della comunità scientifica.
Feyerabend, poi, porta alle estreme conseguenze una impostazione irrazionalista e sfocia risolutamente in una posizione relativistica in cui ‘tutto va bene’: siamo alla notte in cui tutte le vacche sono nere! Feyerabend è, forse, l’esempio classico che dimostra come la filosofia della scienza si nutra di nichilismo. La sua conoscenza anarchica sembra essere la versione, in ambito epistemologico, della filosofia nichilista di Nietzsche letto assieme allo Stirner de L’Unico e la sua proprietà.
Insomma, tutta la riflessione da Popper al postpositivismo rileva come, nell’ambito della filosofia della scienza, vengano ripresi molti argomenti e suggestioni nichilistiche e irrazionali: esistono interpretazioni e non fatti; la scienza è volontà di potenza; non c’è alcuna verità, ecc.
L’esito del dibattito, soprattutto in ambito postpositivistico, ci porta alla chiara esplicitazione di una visione irrazionale della scienza dove tutto e provvisorio e, soprattutto, dove tutto è ammesso e non c’è modo di marcare, definire metodi e risultati più veritieri di altri. Insomma, siamo al relativismo puro e semplice.
In effetti, come abbiamo visto, l’ultimo Popper aveva curvato la sua riflessione filosofica verso il realismo, ovvero quell’atteggiamento filosofico per cui esiste una realtà fuori di noi e le nostre teorie colgono effettivamente la realtà. Le teorie per l’ultimo Popper sono descrittive e non semplici convenzioni o strumenti pragmatici.
Popper fa valere, sostanzialmente, la posizione realista o materialista su due argomenti:
a) è l’unica posizione che può “rammentarci che le nostre idee possono essere errate” proprio perché “cozzano” contro la realtà. Dunque, proprio quando una teoria è errata io posso dedurre che è respinta da una realtà esterna alla mia formulazione;
b) pur se non dimostrabile nei suoi fondamenti teorici non esiste una teoria migliore con cui sostituirla.
Dunque, convenzionalismo, strumentalismo, ecc. vengono sconfessati con la riproposizione della ‘vecchia’ adaequatio rei et intellectus che fu già di Aristotele, Tommaso, ecc.
Tralasciando Popper ci compete dire che a favore del realismo c’è ben altro!
Innanzitutto, in sede di filosofia della scienza propriamente, il progresso scientifico, tanto criticato dai postpositivisti a noi sembra indubitabile per tre ordini di ragioni:
1. la storia ci consegna un continuo accrescimento e successo del patrimonio tecnicosperimentale;
2. la storia confuta singole teorie, ma dall’altro, ci offre teorie sempre più ampie capaci di includere le precedenti. Apparenti antinomie vengono riassorbite in teorie più ampie e includenti. Dunque, abbiamo un accrescimento del sapere teorico della scienza;
3. la storia ci insegna un continuo consolidamento reciproco che ogni ramo della scienza offre agli altri.
Abbiamo teorie sempre più estese, ampie, includenti, capaci di assorbire le precedenti e ciò conferma nella verifica i principi. Le tre geometrie (euclidea, iperbolica, ellittica), che sembravano portare sicuramente ad antinomie, sono state riprese nella più ampia geometria proiettiva. Assistiamo continuamente alla convergenza di molte discipline su alcuni risultati particolari. Ad es. la teoria della evoluzione viene confermata autonomamente dalla zoologia, paleontologia, genetica, geologia, ecc. Nella fisica delle particelle constatiamo una convergenza dei vari metodi di rilevamento utilizzati (emulsioni fotografiche, camera a bolle, acceleratori, ecc..).
Infine non possiamo sottostimare i successi nelle applicazioni tecnologiche delle scoperte scientifiche.
Questo aumento del patrimonio tecnicosperimentale e teorico non è cosa da poco rispetto alla presa di posizione realista. Esso conferma, non tanto che singole teorie non sono rivedibili, ma testimonia una presa graduale e sicura sulla realtà prima inusitata. Pur prendendo in considerazioni quadri concettuali rivedibili, correggibili e integrabili, la direzione di marcia sembra essere chiara. Risulta evidente che il procedere scientifico non è il risultato di una operazione del ricercatore, solipsistico, onanistico, irriducibile al soggetto, quanto, piuttosto, di un rapporto storicodialettico tra soggetto e oggetto leggibile, – a nostro avviso alla luce di quanto Marx diceva in quella stenografia intellettuale che erano le Tesi su Feuerbach, sicuro capolavoro di materialismo non metafisico. Basterebbe rileggere il richiamo antimetafisico, appunto, della tesi n° 1:
Il difetto principale d'ogni materialismo fino ad oggi (compreso quello di Feuerbach) è che l'oggetto [Gegenstand], la realtà, la sensibilità, vengono concepiti solo sotto la forma dell'obietto [Objekt] o dell'intuizione; ma non come attività sensibile umana, prassi; non soggettivamente.
Rileggere il quadro generale entro cui va posto il problema della verità (tesi n° 2):
La questione se al pensiero umano spetti una verità oggettiva, non è questione teoretica bensì una questione pratica. Nella prassi l'uomo deve provare la verità cioè la realtà e il potere, il carattere immanente del suo pensiero. La disputa sulla realtà o nonrealtà del pensiero iso¬lato dalla prassi è una questione meramente scolastica.
BIBLIOGRAFIA
Opere:
Geymonat, Galileo Galilei, Einaudi, 1981
Popper, La logica della scoperta scientifica, Einaudi, 2010
Feyerabend, Contro il metodo, Feltrinelli 2002
Okasha, Il primo libro di filosofia della scienza, Einaudi, 2006

Fonte: http://manualedifilosofia.altervista.org/alterpages/files/cap._7.doc

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