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Karl Raimund Popper (1902-1994)
L’opera di riferimento:
Popper Karl Raimund 1934, 19592, Logica della scoperta scientifica. Il carattere autocorrettivo della scienza, Einaudi, Torino 1970
e inoltre:
Popper Karl Raimund, 1969, Congetture e confutazioni. Lo sviluppo della conoscenza scientifica, Paravia, Torino 1988
Popper Karl Raimund, 1944, Miseria dello storicismo, Feltrinelli, Milano 1975
Popper Karl Raimund, 1945, La società aperta e i suoi nemici, Armando, Roma 1973-1974
Popper Karl Raimund, 1973, La razionalità delle rivoluzioni scientifiche, in Hacking Ian (a cura) 1981, Rivoluzioni scientifiche. Feyerabend, Hacking, Kuhn, Laudan, Popper, Putnam, Shapere (prefazione di Giulio Giorello), Laterza, Roma-Bari 1984, pp. 129- 159
Popper Karl Raimund, 1974, La ricerca non ha fine. Autobiografia intellettuale, Armando, Roma 1976
1. Come prende forma una consapevolezza epistemologica e i suoi tratti essenziali
2. filosofia storica della scienza bilanci e proposte di metodo in quattro mosse
2.1. critica dei criteri di fondazione scientifica definitiva empirica e razionalistica
2.2. falsificabilità contro verificabilità (o verificazionismo)
2.3. la logica della scienza, la relazione tra teoria, esperienza, convenzione
2.4. la teoria dei tre mondi
3. L’istanza etica della scoperta scientifica dal metodo della scienza e dalla vita delle teorie.
«Sir Karl Popper è un filosofo la cui opera ha influenzato e stimolato quella di pressoché tutti gli studiosi di filosofia della scienza.» (Putnam Hilary 1974 La «corroborazione» delle teorie, in Hacking Ian (a cura) 1981, Rivoluzioni scientifiche, Laterza, Roma-Bari 1984, p. 99)
«Credo che dovremo abituarci all’idea che non si deve guardare alla scienza come a un corpo di conoscenze, ma piuttosto come a un sistema di ipotesi; cioè a dire, come a un sistema di tentativi di indovinare, o di anticipazioni, che non possono essere giustificati in linea di principio, ma con i quali lavoriamo fintanto che superano i controlli e dei quali non abbiamo mai il diritto di dire che sappiamo che sono veri o più o meno certi o anche probabili» (Popper 1959, Logica della scoperta scientifica, 351)
Questo invito a prendere le distanze da ogni ingenua fiducia nella definitiva verità dei risultati della ricerca scientifica costituisce il nucleo centrale della filosofia dell’epistemologo austriaco Karl Raimund Popper (1902-1994). La riflessione critica sui metodi e sulla dinamica delle scoperte scientifiche che egli conduce proprio negli stessi anni in cui l’epistemologia neopositivistica domina la scena culturale europea lo persuade del carattere aperto e infinito della ricerca scientifica: le teorie restano sempre ipotetiche e congetturali; nessuna di esse può porsi come sistema definitivo o trasformarsi in ideologia.
1. Come prende forma una consapevolezza epistemologica e i suoi tratti essenziali
Alla maturazione di questa nuova concezione del sapere contribuiscono molteplici apporti culturali ed esperienze personali che Popper rievoca in un'opera autobiografica pubblicata nel 1974 con il titolo La ricerca non ha fine.
1.1. esperienze ed incontri determinanti.
Nella pagine, a carattere autobiografico, dell’opera La ricerca non ha fine, Popper assegna particolare rilievo ad alcune esperienze, da lui vissute nel 1919, che hanno contribuito a orientare la sua riflessione sulla politica, sulla psicoanalisi e sulla scienza, conducendolo a elaborare una teoria epistemologica completamente nuova e critica nei confronti della tradizione.
1.1.1. Nel 1919, in seguito a una dimostrazione operaia che si chiude tragicamente con l’uccisione, da parte della polizia, di alcuni giovani operai socialisti e comunisti, Popper avvia un personale esame critico delle dottrine (come il marxismo, l’ebraismo, il cristianesimo) e dei sistemi politici (quello sovietico prima, quello fascista e nazista poi) che, convinti di possedere, con certezza scientifica, le leggi dello sviluppo storico dell’umanità, progettano grandi cambiamenti della società. L’impressione che queste dottrine mirino a trasformare la loro pretesa di governare gli eventi e il corso della storia in strumento di sopraffazione e di dominio, conduce Popper a interrogarsi sui criteri di analisi di cui si avvale chi afferma di conoscere con certezza quali siano i destini dell’uomo; dall’ambito politico la riflessione di Popper si allarga così a quesiti epistemologici concernenti temi come la certezza scientifica, i metodi di conoscenza, i criteri di verità, l’uso delle diverse teorie.
1.1.1.1. Piuttosto ironicamente Imre Lakatos mette in evidenza come il marxismo, considerato qui inconfutabile perché capace di trarre conferma dagli elementi che potrebbero confutarlo, in realtà è stato confutato…; forse non andrebbe preso in considerazione in un contesto dedicato alla riflessione scientifica di carattere epistemologico in quanto non si classifica come “scientifico” e non si affida ai criteri di confutazione che la teoria di Popper intende proporre: «Il marxismo è inconfutabile perché il marxismo non è scientifico, questo era l’assioma originario. Ma sfortunatamente, il marxismo è stato confutato dalla mancanza di impoverimento dei paesi capitalisti e dal fatto che la rivoluzione è scoppiata nel paese meno industrializzato. Perciò il marxismo, inconfutabile, è stato confutato! In Popper ci sono entrambe le cose. Insomma, è un casino tremendo.» (Lakatos Imre, Feyerabend K. Paul, 1995, Sull’orlo della scienza. Pro e contro il metodo, Raffaello Cortina, Milano 1995, 130)
1.1.2. Nello stesso 1919, Popper inizia a studiare la teoria psicoanalitica di Freud e la «psicologia individuale» di Adler. Vi riscontra una sorprendente analogia di metodo con le teorie globali della storia e del mondo: queste dottrine si proclamano capaci di fornire una risposta a qualsiasi comportamento o scelta dell’uomo, quasi avessero raggiunto una completa e definitiva conoscenza delle dinamiche che regolano i moti interiori e le azioni umane. Anziché proporsi come ipotesi che si offrono alla discussione critica e sono disposte a essere smentite, le teorie psicologiche di Freud e Adler sembrano porsi come depositarie di certezze definitive, estranee al dubbio e alla falsificazione.
1.1.3. Ancora nel 1919, Popper assiste a Vienna a una conferenza di Albert Einstein che lo pone a confronto con un nuovo modo di intendere la ricerca scientifica. Popper esce da quella conferenza profondamente colpito: «Quel che più mi impressionò — ricorda nell’autobiografia — fu la chiara affermazione di Einstein che avrebbe considerato la sua teoria insostenibile ove avesse dovuto fallire in certe prove [...] Qui c'era un atteggiamento completamente differente dall'atteggiamento dogmatico di Marx, Freud, Adler, e quello ancor più dogmatico dei loro seguaci. Einstein era alla ricerca di esperienze cruciali, il cui accordo con le sue predizioni avrebbe senz’altro corroborato la sua teoria; mentre un disaccordo, come fu egli stesso a ribadire, avrebbe dimostrato che la sua teoria era insostenibile. Sentivo che era questo il vero atteggiamento scientifico. Era completamente differente dall’atteggiamento dogmatico che continuamente affermava di trovare verificazioni delle sue teorie preferite. Giunsi così, sul finire del 1919, alla conclusione che l’atteggiamento scientifico era l’atteggiamento critico che non andava in cerca di verificazioni, bensì di prove cruciali; prove che avrebbero potuto confutare la teoria messa alla prova pur non potendola mai confermare definitivamente». Stimolato da queste personali esperienze e in particolare dalle aperture offerte dall'esposizione di Einstein, Popper avvia, a partire dal 1919, un ampio e articolato itinerario di studi che spazia dalle nozioni di scienza, verità, metodo, progresso, per interrogarsi sulla storia della scienza, sui modelli epistemologici dell’età moderna e contemporanea; pur non partecipando direttamente alle riunioni del Circolo di Vienna si confronta con le posizioni che emergono all’interno di esso, sui fondamenti di una società «aperta», capace di fare propri i principi della critica e dell’autocritica, preservando l’umanità dai pericoli dell’ideologia e del dogmatismo.
Una ripresa del tema e delle esperienze citate da parte di Imre Lakatos nelle sue Lezioni sul metodo del 1973: « Inoltre, il freudismo e il marxismo hanno qualcosa che la relatività di Einstein e l’elettrodinamica quantistica non hanno. Se parlate con una persona che lavora sull'elettrodinamica quantistica di solito scoprirete che è afflitta da grandi mal di testa perché ha molti problemi da risolvere, nutre dubbi sull’intera teoria e davvero non sa che pesci pigliare perché ci sono rompicapo ovunque. Poi guardate un freudiano o un marxista impegnato. Vive felice, può spiegare tutto ed è in uno stato mentale rilassato e “onnicomprensivo”. Se andate da un fisico teorico normalmente vi dirà: “Non capisco cosa stia accadendo nell’universo, ma ho qualche teoria e ogni tanto gli esperimenti riescono, ma davvero non capisco che cosa intendesse fare Dio con questo caos”. Dall’altra parte, con un marxista o un freudiano ogni cosa va al suo posto. Ricordo quanto fossi stato colpito dalla frase di Karl Popper che “le teorie onnicomprensive hanno un effetto irresistibile sulle menti deboli”. Anche se la battuta ovviamente è sarcastica, queste sono le ragioni che adduceva Popper. Ed è certo che alcune teorie, alcune credenze, rendono la gente più felice di altre. […] L’influenza intellettuale, secondo questa scuola, è proporzionale all’energia vocale, alla fede e alla capacità di propaganda dei gruppi in competizione.» (Lakatos Imre, Feyerabend K. Paul, 1995, Sull’orlo della scienza. Pro e contro il metodo, Raffaello Cortina, Milano 1995, 35-36)
1.2. l’atteggiamento scientifico
L’impresa scientifica, spiega Popper nel suo più ampio e specifico studio dedicato alla Logica della scoperta scientifica (edito nel 1934 e ripubblicato, con note e ampliamenti successivi, nel 1959), non consiste nella ricerca continua di prove e verifiche, nella strenua difesa delle proprie posizioni, ma al contrario nell’indagine critica, nella disponibilità a confrontare le ipotesi, a metterle in discussione per trovare gli errori e porvi rimedio.
1.2.1. Se vuole ampliare il campo delle proprie conoscenze, l’uomo di scienza non deve lavorare nella direzione della verifica delle teorie (che si traduce in una sterile conservazione), ma in quella della falsificazione, della smentita di quelle false. Rimproverando ai positivisti e ai neopositivisti di aver rovesciato la corretta prospettiva, Popper segnala come nessuna induzione possa garantire una certezza definitiva: nessuna teoria scientifica può infatti essere definitivamente verificata; milioni di conferme lasciano sempre un insanabile margine a eventuali smentite.
1.2.2. Più sicuro è il criterio della falsificabilità: basta infatti trovare un solo caso che smentisce l’ipotesi scientifica per accertare la falsità della teoria e accelerare la scoperta di un’ipotesi migliore (che cioè riconosca e corregga quell'errore); l’asimmetria tra l'inesauribile numero di verifiche che non offre mai una certezza assoluta e la forza definitiva di un’unica smentita dimostra che il criterio della falsificazione è ben più praticabile e produttivo di quello della verificazione. L’impresa scientifica, se ha veramente a cuore la ricerca della verità, non deve temere il gli errori; deve certo favorirne l’individuazione; e ciò è possibile solo con la falsificazione: quanto prima una teoria sarà smentita, tanto prima sarà corretta e migliorata. Il progresso della scienza non risiede dunque nel difendersi dagli errori (evitandone la ricerca o correggendo le teorie con ipotesi ad hoc), ma nel trovarli (mediante la falsificazione) e nel risolverli proponendo nuove ipotesi: la verità, mito e ossessione dei filosofi e degli scienziati del passato, è un ideale regolatore, misurabile in base alla capacità di superare controlli sempre più precisi e rigorosi.
1.2.3. L’atteggiamento scientifico implicito generale: una doppia diffida e un invito. Diffida 1: prendi le distanze da ogni ingenua fiducia nella definitiva verità dei risultati della ricerca scientifica contro l’ingenua fiducia riposta [dai positivisti] nel linguaggio dei fatti). Diffida 2: diffida di coloro che giocano con la “crisi della scienza” e, parlandone, provocano la crisi della ragione per ben altri fini. Invito: scopri e rispetta il carattere aperto e infinito della ricerca scientifica. La ricerca non ha fine. Fai tua la massima «Il meraviglioso e continuo progresso della scienza indica quanto è vasta la nostra ignoranza» (da una intervista televisiva); in altri termini: «Quanto più progrediamo nel sapere, tanto più chiaramente possiamo discernere l’immensità della nostra ignoranza.» (Popper Raimund Karl 1973 La razionalità delle rivoluzioni scientifiche, in Hacking Ian (a cura) 1981, Rivoluzioni scientifiche, Laterza, Roma-Bari 1984, 135) ( La stessa tesi in Infeld Leopold 1957, Introduzione alla fisica moderna, Editori Riuniti, Roma 1972, 49: «Lo sviluppo della scienza ci costringe spesso ad una riduzione della sfera d’azione della nostra conoscenza. Comprendiamo ora meglio e più profondamente quanto grande sia la nostra ignoranza.»)
2. filosofia storica della scienza bilanci e proposte di metodo in quattro mosse
2.1. critica dei criteri di fondazione scientifica definitiva empirica e razionalistica
2.2. falsificabilità contro verificabilità (o verificazionismo)
2.3. la logica della scienza, la relazione tra teoria, esperienza, convenzione
2.4. la teoria dei tre mondi
2.1. prima mossa: critica dei criteri di fondazione scientifica definitiva empirica e razionalistica
Nell’opera di Popper sia il proposito di dare un fondamento empirico definitivo alle teorie scientifiche sia il progetto di un loro controllo logico totale vengono sottoposti a una serrata critica che sembra quasi decretare la fine di un movimento ancora in formazione nei primi del ‘900, come quello neopositivistico.
2.1.1. critica dell’empirismo e dell’empirismo ingenuo (il “problema Hume”) punto di metodo fondante del “verificazionismo”. «Le teorie non sono mai verificabili empiricamente». «Non credo sia possibile produrre una teoria soddisfacente di quella che tradizionalmente viene chiamata “induzione”. Al contrario, credo che qualsiasi teoria di questo genere — sia che usi la logica classica, sia che usi una logica della probabilità — debba, per ragioni puramente logiche, condurre a un regresso all'infinito o operare con un principio aprioristico dell’induzione: con un principio, cioè, che non può essere sottoposto a controlli empirici.» Con questa aperta e decisa critica al metodo induttivo, Popper anticipa in una lettera, scritta nel 1933, il tema centrale della polemica che sta alla base della Logica della scoperta scientifica, l’opera con cui egli intende mettere in crisi il metodo scientifico fondato sui procedimenti dell’inferenza induttiva.
2.1.1.1. Secondo il paradigma scientifico imposto dalla tradizione, la scienza ha come propria base materiale le osservazioni empiriche; da esse ricava i propri contenuti e, attraverso un procedimento astrattivo, gli strumenti concettuali che le consentono di raccogliere i dati in relazioni e in leggi; a queste attribuisce la capacità di esprimere la struttura del mondo fisico, mentre all’esperimento affida il compito di provare definitivamente l’oggettività della teoria. Questo modello scientifico, che si pone a fondamento delle scienze empiriche è, secondo Popper, incapace di garantire quel rigore che proclama di realizzare. Oltre a disattendere ai propositi di verifica definitiva delle teorie, il metodo induttivo è incapace di costruire sistemi scientifici di osservazione empirica. Dopo aver ribadito che il primo compito della logica è quello di formulare un concetto di scienza empirica, Popper rivoluziona così la nozione tradizionale di empirismo e la logica induttiva che su di essa si fondava.
2.1.1.2. L’attacco sferrato da Popper al verificazionismo matura all’interno di un più ampio contesto di revisione critica che coinvolge tutti i capisaldi dell’empirismo: i principi di induzione, obiettività della mente e neutralità dei fatti su cui la filosofia moderna ha fondato il proprio metodo e la propria definizione di scienza vengono sottoposti a un attento esame critico. Per quanto numerose siano le osservazioni su cui lo scienziato pretende di fondare l’inferenza induttiva, afferma Popper, resta sempre una distanza incolmabile tra le molte esperienze che lo scienziato può condurre e l’universalità dei casi che la legge pretende di regolare: «nessun numero di osservazioni di cigni bianchi riesce a stabilire che tutti i cigni sono bianchi (o che la probabilità di trovare un cigno che non sia bianco è piccola)». La pretesa universalità dell’induttivista è sproporzionata rispetto alle limitate possibilità di esperire e verificare che gli sono concesse.
2.1.1.3. Contro il metodo empiristico, che dall’osservazione delle realtà particolari pretende di ricavare leggi fisiche dotate di validità universale, Popper rinnova critiche formulate già nel passato, come quelle mosse da Hume, secondo cui dal principio cardine dell’empirismo (non affermare mai niente che non sia direttamente ricavato dall’esperienza) consegue l’impossibilità di enunciare proposizioni universali. A queste critiche Popper affianca osservazioni ancor più puntuali: la regola dell’induzione empirica non si fonda sull’induzione, ma si presenta come un postulato a priori («Certamente la nostra fiducia nell’esperienza non si può fondare sull’esperienza medesima perché altrimenti cadremmo in un circolo vizioso» Mario De Caro, Che cosa sanno gli scienziati? in Ferraris Maurizio (a cura di) 2012 Scienza. Che cosa sanno gli scienziati?, Gruppo editoriale l’Espresso, Roma, 21); in qualsiasi enunciato singolare di esperienza (come «questo è un albero») compaiono inevitabilmente termini che, seppur riferiti a realtà individuali, hanno significato universale (come ad esempio «albero», come del resto gli altri termini); ogni generalizzazione dell’esperienza, espressa nella forma della legge, presuppone il postulato, non empirico ma metafisico, della regolarità della natura.
2.1.1.4. La critica di Popper al metodo induttivo mette in crisi anche le garanzie epistemologiche tradizionalmente riconosciute alla metodologia empiristica assunta dai filosofi del Circolo di Vienna come fondamento della ricerca scientifica: proprio nel richiamo all’esperienza, alla verifica empirica, gli studiosi di Vienna avevano trovato il criterio di demarcazione tra scienze e pseudoscienze, quali ad esempio la metafisica. La logica induttivistica, in quanto mira a riportare, nella fase della verifica, enunciati universali a dati di esperienza, consentiva ai neopositivisti di Vienna di «distinguere tra asserti che appartengono alla scienza e asserti che si possono designare come “metafisici”», e forniva un valido criterio per decidere del significato di ogni affermazione distinguendo tra enunciati «dotati di senso» (in quanto formulati con coerenza ed empiricamente verificabili) e pseudo-asserzioni (prive di rigore logico e di fondamento empirico). L’applicazione rigorosa del metodo induttivo, osserva Popper, impone di considerare come vera e oggettiva solo una legge confermata e verificata da tutti i possibili dati d’esperienza; ma in tal caso, come già aveva notato Hume, solo un’indagine che avesse percorso l’intero campo dell’esperienza esaminandone gli innumerevoli casi particolari (e ciò è manifestamente impossibile) potrebbe legittimamente aspirare a produrre un enunciato «scientifico»: un’osservazione parziale, limitata nel tempo e nello spazio, non può garantire il carattere universale e necessario di un asserto.
2.1.1.4.1. La critica può essere ancor più articolata. Il continuo richiamo dei neopositivisti all’esperienza, attuato (nella forma di enunciati protocollari) allo scopo di fornire una base empirica alla teoria, si espone, secondo Popper, a nuove aporie: se le asserzioni empiriche cui ci si arresta si riferiscono a contenuti della conoscenza sensibile immediata, allora si offre alla scienza un fondamento puramente soggettivo; se i postulati della teoria derivano da una scelta, priva di motivazioni, allora la scienza risulta essere frutto di una convenzione arbitraria, fondata su un criterio che rende possibili tutte le teorie e toglie utilità alla verifica empirica; se, infine, il processo di verifica intende arrestarsi solo a enunciati empirici univocamente decidibili, allora, secondo Popper, esso non si arresterà mai: i dati di esperienza, sono infatti individuati e definiti in forza di concetti e di teorie e nessuna esperienza potrà quindi, nella sua nuda empiricità, essere definita in modo univoco.
2.1.1.5. in sintesi: [1] le difficoltà del rigido criterio empirista: non permette enunciati universali, non è empiricamente fondato, presuppone l’omogeneità della natura; [2] il bivio insopprimibile di fronte a cui si trova la ricerca scientifica: nulla di infondato (senza richiamo all’esperienza) può essere ammesso nella scienza, ma nessuna asserzione può essere empiricamente fondata in modo definitivo, non è disponibile alcuna proposizione empirica conclusiva, la logica induttiva non fornisce criteri di demarcazione scientifica inoppugnabili; [3] cade qui una delle due coordinate di demarcazione dell’empirismo logico: dunque non è vero che la scienza si possa ridurre definitivamente a proposizioni empiriche (enunciati protocollari) e proposizioni logiche (logica formale; quest’ultimo aspetto è ripreso nell’ambito della critica alle tesi del razionalismo).
2.1.2. critica del razionalismo, della fondazione logica degli enunciati scientifici (il “problema Kant”).
2.1.2.1. Lo stesso destino riservato al mito dell’induzione e della verificazione è applicato da Popper a quello dell’obiettività della mente come risulta sia dall’impostazione empirista, che svuota la mente per renderla un recettore passivo dell’esperienza, sia dall’impostazione razionalista, che presenta in modo “definitivo” la mappa universale delle forme a priori che la definiscono nelle sue capacità e nei suoi limiti. La mente non è una tabula rasa (come sostengono gli empiristi) destinata a essere arricchita dalle conoscenze sensibili, ma è una tabula plena (tesi dei razionalisti), segnata però da presupposizioni e aspettative. L’ingenuità degli empiristi impedisce loro di comprendere come ogni osservazione presupponga un insieme di conoscenze, attese, pregiudizi: lo studioso vede ciò che cerca, registra i fatti che le sue aspettative lo inducono a selezionare: «tutte le osservazioni di fatti sono compiute alla luce di questa o di quella teoria». Le difficoltà in cui si è trovata la metodologia rigorosamente empirista hanno condotto a rilanciare, nella storia della filosofia, metodologie che affermano il carattere a priori (quindi non derivato dall’esperienza) dei concetti mediante i quali l’uomo organizza scientificamente l’informe contenuto dell’esperienza; ma una simile concezione del metodo scientifico non si mostra in grado di risolvere le contraddizioni in cui la scienza cade quando domanda all’esperienza una convalida dei propri enunciati universali e non si mostra in grado di rispettare le enormi capacità di orientamento che la mente umana, educata alla libertà, può intraprendere (procedendo per congetture e confutazioni).
2.1.2.2. Del razionalismo Popper mette sotto critica anche la eventuale pretesa di un controllo logico totale in termini di dimostrazione (e un simile attacco è già aristotelico: dimostrare tutto è andare all’infinito). Il progetto di attuare un controllo logico-formale su tutti gli enunciati di una teoria conduce, secondo Popper, alla necessità di una fondazione logica di tali enunciati che porta a un vicolo cieco: o apre un regresso all’infinito (in quanto anche i principi della dimostrazione devono essere dimostrati) o porta a tautologie prive di contenuto empirico (in quanto le conclusioni sono implicite nelle premesse) o, ancora, si arresta a postulati indimostrati contravvenendo al proposito di dimostrazione totale (in quanto i principi sono adottati per convenzione).
2.1.2.3. in sintesi: la pretesa di una fondazione logica totale (= la traduzione formale) degli enunciati scientifici: apre un processo all’infinito, porta a tautologie (giudizi analitici = giudizi tautologici cfr. Wittgenstein), termina a postulati indimostrati e magari consegna la mente ad a priori formali considerati certo strumenti formali di conoscenza ma irrigiditi in presupposti universali e eterni di cui non si coglie la frequentazione storica e linguistica.
2.1.3. La revisione critica cui Popper sottopone precedenti analisi epistemologiche, nelle quali costata il fallimento del progetto di fondare definitivamente, da un punto di vista logico ed empirico, la scienza, potrebbe dar luogo a un atteggiamento di sfiducia nei confronti della ragione scientifica. Popper invece prende le mosse da questa crisi per rilanciare l’impegno scientifico sulla base di un atteggiamento non dogmatico, ma anzi critico. I sistemi delle teorie empiriche devono la propria scientificità, afferma Popper, all’intreccio di teoria, esperienza e decisione (con quest’ultimo termine egli indica l’atto con cui lo scienziato sceglie le proprie asserzioni-base).
2.2. seconda mossa: falsificabilità contro verificabilità (il falsificazionismo)
«Le leggi scientifiche sono falsificabili, non verificabili.» (Putnam 1974, 101)
«… giunsi così, sul finire del1919, alla conclusione che l’atteggiamento scientifico era l’atteggiamento critico che non andava in cerca di verificazioni ma di prove cruciali, prove che avrebbero potuto confutare la teoria…» ( Popper 1974, La ricerca non ha fine); di contro, la verificabilità: non ha fondamento né empirico, né logico; è alla continua ricerca di conferme, ma selezionando opportunamente ciò che conferma e collocando le smentite nella zona delle anomalie, ricorre a modifiche ad hoc per salvare la teoria. «Il fatto che le teorie non sono verificabili è stato spesso trascurato. Spesso si dice che una teoria è verificata quando sono state verificate alcune delle predizioni derivate da essa.» (Popper 1959, 276) Il problema è ben noto nella storia della filosofia ed è ben presente soprattutto nella filosofia inglese come nelle opere di Newton e di Hume. Le scienze giungono ad enunciati universali, ma gli enunciati universali non sono verificabili in quanto tali se non immaginando un ricorso all’infinito (agli infiniti casi cui fa riferimento in quanto sono enunciati universali) e quindi per essi fallisce anche una legittimazione che si dichiara fondata sul principio di induzione; questa fondazione infatti deve ammettere come implicito presupposto e postulato «il principio dell’uniformità della natura» (Popper 1959, 278), affermazione di natura metafisica. Gli enunciati universali non sono nemmeno falsificabili in senso stretto e generale, in quanto il riferimento della loro falsificabilità è affidato alle asserzioni-base e queste delimitano il campo rinunciando ad una pretesa impossibile di universalità. «Non sono verificabili perché sono asserzioni universali, e non sono strettamente falsificabili perché non potranno mai essere contraddette logicamente da un’asserzione-base. […] possono essere «confermate» meglio o meno bene, e ciò vuol dire che possono concordare, più o meno, con asserzioni-base accettate» (Popper 1959, 287)
Occorre dunque non dimenticare la evidente asimmetria che esiste tra verificabilità (per essa occorrono tutte le osservazioni possibili) e falsificabilità (controllate e sensate in relazione alle asserzioni-base) e agire di conseguenza per conservare significato e contenuto agli enunciati scientifici corroborandone la relazione con la realtà. «Solo se si tiene conto dell’asimmetria tra verificazione e falsificazione — cioè dell’asimmetria che risulta dalla relazione logica fra teorie e asserzioni-base — è possibile evitare le trappole del problema dell’induzione.» (Popper 1959, 292)
2.2.1. l’atteggiamento scientifico e il criterio che lo garantisce: la falsificabilità. «Il primo compito della logica della conoscenza è quello di formulare un concetto di scienza empirica allo scopo di rendere l’uso linguistico, ora piuttosto incerto, il più possibile definito; di tracciare una netta linea di demarcazione tra la scienza e le idee della metafisica, anche se queste idee possono avere favorito il progresso della scienza durante tutta la sua storia.» (Popper 1959, 20)
Nella ripresa di Imre Lakatos: «… a quali regole, secondo Popper, dovrebbero obbedire gli scienziati? Prima di tutto, perché una teoria sia scientifica deve avere dei falsificatori potenziali. In pratica ciò significa che dovremmo essere in grado di specificare un esperimento che la contraddice. Bisogna pertanto decidere che cosa accetteremmo come proposizione sperimentale.» (Lakatos Imre, Feyerabend K. Paul, 1995, Sull’orlo della scienza. Pro e contro il metodo, Raffaello Cortina, Milano 1995, 111)
Si tratta della posizione che Popper elogia in Einstein e che trova un ulteriore esempio nell’opera di James Clerk Maxwell (1831-1879) alle cui equazioni si sente vincolata tutta la fisica del ‘900. «Con il primo lavoro, egli [Maxwell] spiega, era riuscito a trovare il significato geometrico dello «stato elettrotonico» e a mostrare come dedurre le relazioni matematiche tra lo stato elettrotonico, il magnetismo, le correnti elettriche e le forze elettromotrici, facendo uso di illustrazioni meccaniche per aiutare l’immaginazione, ma non per dar conto dei fenomeni descritti. «Ora — prosegue Maxwell — mi propongo di esaminare i fenomeni magnetici da un punto di vista meccanico, e di determinare quali tensioni in, o moti di, un mezzo siano in grado di produrre i fenomeni meccanici osservati. Se, per mezzo della stessa ipotesi, possiamo collegare i fenomeni dell'attrazione magnetica con i fenomeni elettromagnetici e con quelli delle correnti indotte, avremo trovato una teoria che, anche se non vera, potrà essere dimostrata erronea solo con esperimenti che allarghino grandemente le nostre conoscenze di questa parte della fisica.».» (Glashow Sheldon Lee, Maxwell. Elettricità, magnetismo e luce, una sola famiglia, Gruppo editoriale l’Espresso, Roma 2012, 62-63)
2.2.1.1. Le scienze non hanno il fine di condurre indagini sull’esperienza allo scopo di giungere a una propria fondazione logica definitiva, ma sono sistemi di ipotesi e di teorie che «gettano reti» nel mare dell’esperienza e che possono considerarsi scientifici se formulati in modo da poter essere controllati ed eventualmente falsificati dall’esperienza. Una proposizione, dunque, non viene considerata scientifica perché è verificabile, ma perché è falsificabile, in quanto cioè viene formulata in modo da indicare le condizioni della sua possibile smentita o falsificazione, in modo che basti una semplice smentita da parte dell’esperienza per determinarne la non verità. Fin dal primo capitolo della Logica della scoperta scientifica, Popper confuta il criterio della verificabilità e vi contrappone la falsificabilità come sbocco risolutivo per distinguere, tra i vari enunciati dotati di significato (tra i quali Popper include anche le proposizioni metafisiche), quelli che appartengono alle scienze empiriche e quelli che ne sono esclusi (le proposizioni metafisiche hanno significato ma non sono scientifiche; non sono falsificabili).
2.2.1.2. Popper considera inattuabili sia l’obiettivo della logica induttiva di fornire agli enunciati teorici una verifica empirica conclusiva, sia quello dell’analisi formale di tradurre in passaggi logici l’intera struttura della conoscenza scientifica. La prima cade nell’illusione di pensare che vi siano enunciati empirici originari, assoluti, neutri e indipendenti da ogni teoria, sui quali costruire la scienza; la seconda implica che lo scienziato possegga una trama logica scientifica, preliminare alla ricerca empirica, e non tiene conto che tale presupposto non è che una riedizione in veste logica del tradizionale atteggiamento metafisico. Secondo Popper il lavoro dello scienziato non consiste nel compiere indagini empiriche, inevitabilmente infinite, e neppure nel presentare strutture a priori (in senso stretto) della conoscenza scientifica, ma «nel produrre teorie e nel metterle alla prova». 2.2.1.3. Escluso l’«empirismo ingenuo», resta il problema della fondazione empirica della teoria; Popper riconosce infatti che si possa definire «certamente come empirico, o scientifico, soltanto un sistema che possa essere controllato dall’esperienza». A garanzia di un costante legame della teoria con la realtà Popper vede sempre nella base empirica della scienza un irrinunciabile sistema di controllo della teoria; il legame con l’esperienza è tuttavia diversamente formulato. Una teoria è scientifica non in quanto ricavata dall’esperienza, ma in quanto è possibile il controllo dei suoi enunciati sulla base dell’esperienza (termine che attende una definizione a partire dalle “asserzioni-base”); è scientifica non perché verificata o verificabile, ma in quanto falsificabile. Le ipotesi e le teorie possono dirsi scientifiche quando soddisfano due condizioni: sono falsificabili (in quanto le loro asserzioni di base sono formulate in modo da poter eventualmente essere falsificate), resistono alla falsificazione (in quanto sino a quel momento nessuna osservazione empirica ha potuto smentirle). Tali condizioni escludono che l’approvazione o il rifiuto di una teoria possano essere definitivi; essi dipendono dalla logica dei controlli che definiscono la teoria stessa.
2.2.2. la falsificabilità e il criterio di demarcazione. «Il criterio di demarcazione inerente alla logica induttiva — cioè il dogma positivistico del significato — è equivalente alla richiesta che tutte le asserzioni della scienza empirica (ovvero tutte le asserzioni «significanti») debbano essere passibili di una decisione conclusiva riguardo la loro verità e falsità; diremo che devono essere «decidibili in modo conclusivo». Ciò significa che la loro forma dev’essere tale che sia il verificarle sia il falsificarle debbano essere logicamente possibili. Così Schlick dice: «... un’asserzione autentica deve essere passibile di verificazione conclusiva»; e Waismann afferma ancor più chiaramente: «Se non è in alcun modo possibile determinare se un’asserzione è vera, allora l’asserzione non ha alcun significato. Infatti il significato di un’asserzione è il metodo della sua verificazione». Ora, secondo me, non esiste nulla di simile all’induzione. È pertanto logicamente inammissibile l’inferenza da asserzioni singolari «verificate dall’esperienza» (qualunque cosa ciò possa significare) a teorie. Dunque le teorie non sono mai verificabili empiricamente. Se vogliamo evitare l’errore positivistico, consistente nell’eliminare per mezzo del nostro criterio di demarcazione i sistemi di teorie delle scienze della natura, dobbiamo scegliere un criterio che ci consenta di ammettere, nel dominio della scienza empirica, anche asserzioni che non possono essere verificate. Ma io ammetterò certamente come empirico, o scientifico, soltanto un sistema che possa essere controllato dall’esperienza. Queste considerazioni suggeriscono che, come criterio di demarcazione, non si deve prendere la verificabilità, ma la falsificabilità di un sistema. In altre parole: da un sistema scientifico non esigerò che sia capace di esser scelto, in senso positivo, una volta per tutte; ma esigerò che la sua forma logica sia tale che possa essere messo in evidenza, per mezzo di controlli empirici, in senso negativo: un sistema empirico deve poter essere confutato dall’esperienza. (Così l’asserzione «Domani qui pioverà o non pioverà» non sarà considerata un’asserzione empirica, semplicemente perché non può essere confutata, mentre l’asserzione «Qui domani pioverà» sarà considerata empirica).» (Popper 1959, 21-22)
Il criterio resta: un sistema empirico deve poter essere controllato dall’esperienza; a tale scopo, due sono le condizioni di validità scientifica di un enunciato: 1. è falsificabile (= vengono indicate le operazione che ne permettono la confutazione); 2. non è falsificato (= vale fino a quando non è falsificato). Il criterio di demarcazione tra un asserto scientifico e uno non scientifico è dunque la falsificabilità: è scientifico quell'enunciato che offre, in via teorica, la possibilità di essere smentito dai fatti (ad esempio: l’atomo è la particella più piccola dell’universo); non è scientifico quello che non è possibile falsificare (ad esempio: Dio governa l’universo).
2.2.2.1. Il tema della demarcazione, cioè dell’individuazione dei criteri che permettono di distinguere tra enunciati scientifici e pseudoscientifici, occupa un posto centrale nell’epistemologia di Popper, come del resto in tutta la filosofia della scienza del Novecento. Anche in Congetture e confutazioni Popper affronta esplicitamente questo tema con riferimento al metodo della «falsificabilità», mettendo in particolare luce, a bilancio, come esso consenta: a) la critica e il definitivo abbandono della metodologia empiristica; b) il superamento dell’empirismo (che vincola l’accettazione e il rifiuto di una teoria scientifica all’esperienza, all'osservazione e all'esperimento) grazie ai procedimenti della controllabilità e della falsificabilità; c) un confronto critico con le posizioni neopositivistiche del Circolo di Vienna. In particolare Popper introduce la distinzione tra significato e demarcazione: il significato riguarda la coerenza logica di un enunciato e non la sua scientificità empirica (pertanto un enunciato può essere significativo, cioè logicamente corretto, senza essere scientifico); la demarcazione delimita invece il campo degli asserti scientifici agli enunciati che si riferiscono all’esperienza (gli enunciati metafisici, ad esempio, sono pseudoscientifici, ma non privi di significato). L’assenza di questa distinzione è all’origine della condanna e della conseguente scarsa attenzione riservata agli asserti metafisici da parte del positivismo e del neo-positivismo; condanna che risponde forse all’esigenza di disporre di criteri di demarcazione, ma che non ha permesso di cogliere la funzione che essi hanno svolto nella storia delle teorie scientifiche. Ricorda, in proposito, Imre Lakatos: «Val la pena di citare qui un passo di questo Postscriptum [Epilogo metafisico sui “programmi di ricerca metafisici” al suo Postcriptum: After twenty years che era in bozza fin dal 1957] “L’atomismo è un [...] esempio eccellente di una teoria metafisica non controllabile la cui influenza nella scienza supera quella di molte teorie controllabili. [...] L’ultimo e più grandioso è stato finora il programma di Faraday, Maxwell, Einstein, de Broglie e Schrödinger di concepire il mondo [...] in termini di campi continui. [...] Ciascuna di queste teorie metafisiche ha funzionato molto prima di diventare controllabile, ha funzionato da programma per la scienza. Ha indicato la direzione in cui si potevano trovare teorie della scienza adeguatamente esplicative e ha reso possibile una valutazione della profondità di una teoria. In biologia, la teoria dell’evoluzione, la teoria della cellula e la teoria dell’infezione batterica hanno tutte svolto un ruolo simile, almeno per qualche tempo. In psicologia, il sensismo, l’atomismo (ossia la teoria secondo la quale tutte le esperienze sono composte da elementi ultimi, come, per esempio, i dati sensoriali) e la psicanalisi dovrebbero essere ricordate come programmi di ricerca metafisici. [...] Anche asserzioni puramente esistenziali si sono dimostrate talvolta ispiratrici e fruttuose nella storia della scienza, anche se non ne sono mai divenute parte. Anzi, poche teorie metafisiche hanno esercitato maggior influenza sullo sviluppo della scienza, di quella puramente metafisica: ‘Esiste una sostanza che può tramutare i vili metalli in oro (cioè una pietra filosofale)’, anche se non è falsificabile, non è mai stata verificata, e non è più creduta da nessuno.”» (Imre Lakatos, 1970, La falsificazione e la metodologia dei programmi di ricerca, in Lakatos Imre, Musgrave Alan (a cura di) 1970 Critica e crescita della conoscenza, Feltrinelli, Milano 1986, 261)
2.2.3. Nella falsificabilità Popper trova non solo il primo principio di metodo, e non solo il criterio essenziale per decidere della scientificità o meno di una teoria, di un asserto, ma anche la possibilità di misurare la quantità di informazione di una teoria e dei suoi enunciati: «…la quantità di informazione intorno al mondo fornita da un’asserzione scientifica è tanto più grande quanto maggiore è la possibilità che essa entri in conflitto, in virtù del suo carattere logico, con possibili asserzioni singolari. (Non per nulla chiamiamo «leggi» le leggi di natura: quanto più vietano, tanto più dicono).» «Si può dunque dire che l’ammontare di informazione empirica fornito da una teoria, ossia il contenuto empirico della teoria, cresce col crescere del suo grado di falsificabilità.» (Popper 1959, 110) Dunque esiste una stretta relazione tra l’alto grado di falsificabilità e l’alto contenuto empirico: «Pertanto considero il confronto tra il contenuto empirico di due asserzioni equivalente al confronto tra i loro gradi di falsificabilità. Questo rende la nostra regola metodologica, secondo cui si deve dare la preferenza a quelle teorie che possono essere sottoposte ai controlli più severi … equivalente a una regola che favorisce le teorie dotate del più alto contenuto empirico possibile.» (Popper 1959, 120)
«Parafrasando e generalizzando una ben nota osservazione di Einstein, si potrebbero perciò caratterizzare le scienze empiriche nel modo che segue: Nella misura in cui parla della realtà, un’asserzione scientifica dev’essere falsificabile; nella misura in cui non è falsificabile, non parla della realtà.» (Popper 1959, 348)
2.2.3.1. La radice e la ragione (logica [viene richiamato il “quadrato degli opposti” di memoria aristotelica e della scolastica medievale] ed empirica) della adozione del criterio della falsificabilità è da individuare nella asimmetria tra verificabilità e falsificabilità, sulla conseguente impraticabilità del verificazionismo e praticabilità del falsificazionismo. «La mia proposta si basa su un’asimmetria tra verificabilità e falsificabilità, asimmetria che risulta dalla forma logica delle asserzioni universali. Queste, infatti, non possono mai essere derivate da asserzioni singolari, ma possono venir contraddette da asserzioni singolari. Di conseguenza è possibile, per mezzo di inferenze puramente deduttive (con l’aiuto del modus tollens della logica classica), concludere dalla verità di asserzioni singolari alla falsità di asserzioni universali. Un tale ragionamento, che conclude alla falsità di asserzioni universali, è il solo tipo di inferenza strettamente deduttiva che proceda, per così dire, nella «direzione induttiva»; cioè da asserzioni singolari ad asserzioni universali.» (Popper 1959, 23)
2.2.3.2. Una ragione di opportunità (e di onestà) epistemologica offerta dal criterio della falsificabilità: si tratta di uno strumento per scongiurare o arginare o gestire con cautela il ricorso ad “ipotesi ad hoc”. Popper guarda cioè con attenzione critica la prassi, secolare, che porta lo scienziato ad introdurre modifiche opportune allo scopo di salvare la teoria nonostante i dati d’esperienza che la possono mettere in difficoltà [sono proverbiale quelle adottate contro Copernico e Galilei allo scopo di negare le teorie eliocentriche e conservare la visione aristotelica del mondo: da una superficie cristallina perfetta avvolge la luna e la restituisce al ruolo storico di corpo celeste perfetto, fino alla recenti sostanze imponderabili ma ritenute necessarie per spiegare ciò che si intende sostenere (la fisica newtoniana), come l’etere]. «Si può dire che anche ammettendo l’asimmetria, è ancora impossibile, per varie ragioni, che un qualsiasi sistema teorico possa mai essere falsificato in modo conclusivo. Infatti è sempre possibile trovare qualche scappatoia per sfuggire alla falsificazione: per esempio, introducendo ad hoc un’ipotesi ausiliaria oppure trasformando, ad hoc, una definizione. È anche possibile adottare la posizione che consiste, semplicemente, nel respingere qualsiasi esperienza falsificante, senza che ciò conduca a contraddizioni. […] … proporrò infatti che il metodo empirico venga caratterizzato come un metodo che esclude precisamente quei modi di sfuggire alla falsificazione che, come giustamente insiste il mio critico immaginario, sono logicamente ammissibili. Secondo la mia proposta, ciò che caratterizza il metodo empirico è la maniera in cui esso espone alla falsificazione, in ogni modo concepibile, il sistema che si deve controllare. Il suo scopo non è quello di salvare la vita a sistemi insostenibili, ma, al contrario, quello di scegliere il sistema che al paragone si rivela più adatto, dopo averli esposti tutti alla più feroce lotta per la sopravvivenza.» (Popper 1959, 23-24)
2.2.4. le asserzioni-base. Attenersi ai fatti è stata la massima cardine usata dal positivismo per scardinare sistemi idealistici che sacrificavano agni aspetto della realtà (dalla storia alla natura) alla manifestazione dello Spirito Assoluto. Ma, i fatti che i positivisti hanno reso oggetto di culto non sono tuttavia mai puri, neutri, “in sé” come i positivisti lasciano intendere, essi sono definiti e colti sempre e solo nelle trame delle teorie, dei giudizi che guidano le ricerche. È necessario dissolvere l’illusione che porta l'induttivista ingenuo a credere all’esistenza di una esperienza neutra dalla quale si possano ricavare teorie: non vi è nessuna percezione del mondo che non sia supportata, in forma più o meno esplicita e consapevole, da una teoria del mondo. «Una scienza esige punti di vista, e problemi teorici», osserva Popper; non è possibile trovare alcunché se non si sa cosa si cerca, non è possibile osservare nulla senza un orientamento concettuale intorno a ciò che va notato.
2.2.4.1. È impossibile rinunciare ai due aspetti: l’esperienza e i concetti; a soddisfare questa esigenza si muovono le “asserzioni-base” di cui parla Popper. Elemento primo, di metodo e di contenuto, della scienza non sono i fatti (come fatti in sé), ma le asserzioni-base, i giudizi formulati mediante osservazioni compiute alla luce di una teoria. La ricerca scientifica, sostiene Popper, non muove da osservazioni pure e disinteressate, ma da teorie, o meglio, dai problemi che si pongono allo scienziato quando una teoria viene smentita, quando l'aspettativa che essa ha suggerito viene delusa. All’esperienza va attribuito il compito sia di far sorgere l’osservazione e alimentare il cammino di scoperta (osservazione e scoperta che fanno dunque sempre capo a strumenti culturali del soggetto, di svariata natura, dal mito ai sistemi scientifici), sia di esercitare il controllo di ammissibilità degli enunciati nel contesto della cultura scientifica.
«Dunque la situazione effettiva è piuttosto differente da quella prospettata dall'empirista ingenuo, o da chi crede nella logica induttiva. Costui pensa che si incominci raccogliendo e ordinando le nostre esperienze, e che in questo modo si salga per la scala della scienza. O, per usare un modo di parlare più formale, che quando desideriamo costruire una scienza dobbiamo raccogliere, prima di tutto, enunciati protocollari. Ma se qualcuno mi comanda: «Registra quello che stai esperendo ora», molto difficilmente saprò come obbedire a un comando così ambiguo. Devo registrare che sto scrivendo? Che sento un campanello suonare? Uno strillone gridare? Un altoparlante tuonare? O devo forse registrare che questi rumori mi irritano? E anche se potessi obbedire al comando, la collezione di asserzioni che posso mettere insieme, per quanto ricca, non potrà mai formare una scienza. Una scienza esige punti di vista, e problemi teorici. Di regola, l’accordo circa l’accettazione o il rifiuto di asserzioni-base si raggiunge quando si ha occasione di applicare una teoria; di fatto l’accordo fa parte di un’applicazione che sottopone a controllo la teoria. Pervenire a un accordo sulle asserzioni-base equivale, come altri tipi di applicazione, a compiere un’azione tendente a uno scopo, guidati da varie considerazioni teoriche.» (Popper 1959, 101)
2.2.4.2. «Ci arrestiamo ad asserzioni base che possono essere controllate facilmente». La natura logica e il fondamento empirico di una teoria scientifica sembrano richiedere una condizione impossibile da soddisfare: la sua totale controllabilità. Nella scienza infatti non sono accettabili asserzioni che non siano dimostrabili e controllabili dall’esperienza (ci si troverebbe altrimenti nell’arbitrio totale); non si può del resto neppure pensare che il procedimento dei controlli vada all’infinito, e quindi non venga mai definitivamente attuato: esso dovrà trovare un punto di arresto in asserzioni controllabili dette «asserzioni-base». Ma lo stesso principio che impone di sottoporre a controllo gli enunciati scientifici deve condurre, osserva Popper, a escludere che possano esistere asserzioni definitive alle quali arrestarsi: un’asserzione definitiva, infatti, è un enunciato che si sottrae a controlli e, pertanto, non può essere considerato scientifico. È necessario dunque, comporre due imprescindibili esigenze: che la teoria non costringa «ad arrestarci a questa particolare asserzione—base», e non sia tale da «costringerci a rinunciare al controllo».
2.2.4.3. Il coordinato funzionale di teoria ed esperienza. L'esperienza è possibile solo in forza di sistemi teorici che funzionano come selettori di esperienza; tali sistemi tendono tuttavia a trasformarsi, per esigenze di autodifesa e con l’aiuto di modifiche strategiche (come le modifiche ad hoc), in sistemi dogmatici inattaccabili da qualsiasi controllo empirico, in grado di assorbire e spiegare le esperienze addotte per la loro confutazione. [Un esempio di modifica ad hoc, ma giudicato metodologicamente corretto, richiamato da Hilary Putnam: «Si potrebbe sostenere che sia stato cruciale in proposito il fatto che il nuovo pianeta fosse osservabile, ma non è così. Certe stelle, per esempio, presentano un comportamento irregolare, che è stato spiegato postulando l’esistenza di stelle compagne. Quando queste compagne non sono visibili al telescopio, si aggira la difficoltà facendo l’ipotesi che le stelle abbiano compagne oscure, ossia compagne che non possono essere osservate al telescopio. Il fatto è che molti fra gli assunti che si fanno nella scienza non possono essere controllati direttamente: nella teoria scientifica ci sono molte «compagne oscure».» (Putnam 1974, 109] Allo scopo di evitare questi esiti dogmatici, di origine empiristica o razionalistica, destinati a porre in crisi la fiducia nella ragione e il progresso della scienza, è necessario ridefinire il rapporto tra esperienza e teoria, in modo che la prima adempia al compito di impostare le direzioni della ricerca scientifica, la seconda quello di fornire criteri di controllo empirico degli enunciati. Secondo Popper la teoria rende possibile l'indagine empirica e quest'ultima esercita un potere di controllo sulla teoria solo in quanto la scienza pone in evidenza ed esplicita preliminarmente le proprie scelte di indagine. I quesiti che una teoria affronta, le ipotesi che formula sono in stretta dipendenza dalle asserzioni-base alle quali essa si arresta e che intende assumere a proprio fondamento: il controllo dell’intero sistema teorico è affidato alla falsificabilità delle asserzioni-base.
«Tutti i controlli di una teoria, sia che mettano capo alla corroborazione, sia che abbiano come risultato la falsificazione della teoria stessa, devono arrestarsi a qualche asserzione-base o a altre asserzioni che decidiamo di accettare. Se non perveniamo a nessuna decisione, e non accettiamo l’una o l’altra delle asserzioni-base, il controllo non ci avrà condotto da nessuna parte.» (Popper 1959, 98) È in funzione qui l’intreccio: esperienza (asserzioni base), teoria (controllo logico), convenzione (scelta) [di cui al punto 2.3.].
2.2.4.4. il criterio della individuazione delle asserzioni base è dato dal vincolo empirico e dalla scelta della falsificabilità come metodo: «…ammettiamo come empiriche soltanto quelle asserzioni che sono decidibili in un unico senso — unilateralmente decidibili e, più specificamente, falsificabili — e possono essere controllate per mezzo di tentativi sistematici di falsificarle...» (Popper 1959, 24)
2.2.4.5. a loro volta (di converso) le asserzioni- base: 1. costituiscono la base empirica di una teoria; 2. indicano le condizioni di falsificabilità; 3. chiariscono la natura della teoria come intreccio di teoria, esperienza, convenzione. «Proprio come una prova logica ha raggiunto una forma soddisfacente quando il lavoro difficoltoso è terminato e tutto può essere riscontrato facilmente, così, dopo che la scienza ha compiuto il suo lavoro di deduzione o di spiegazione, ci arrestiamo ad asserzioni-base che possono essere controllate facilmente.» (Popper 1959, 99)
In sintesi: la falsificabilità 1. è criterio di demarcazione tra enunciati scientifici e enunciati non scientifici; 2.definisce il contenuto di esperienza di una teoria (più un enunciato è falsificabile, più parla di esperienza); 3. segnala la natura congetturale di ogni teoria; 4. è in rapporto alle asserzioni-base di una teoria.
2.3. terza mossa: la logica della scienza, la relazione tra teoria, esperienza, convenzione
2.3.1. La scienza dunque [come da passaggi e citazioni precedenti] è intreccio di teoria (rigore logico), esperienza (asserzioni base), convenzione (scelta).
L’intreccio di esperienza, teoria, decisione poiché «Una scienza esige punti di vista e problemi teorici». È convinzione diffusa che il lavoro dello scienziato cominci dall’osservazione, ricavi da essa delle ipotesi, le rielabori in relazioni costanti utilizzando modelli teorici matematici, dimostri, infine, per mezzo di esperimenti, che le relazioni necessarie individuate si presentano come leggi della natura. Questo modo di procedere è tipico dell’«empirista ingenuo»: egli ritiene che l’esperienza sia in sé univocamente determinata, e che allo scienziato spetti il compito di osservare, registrare e trasformare in enunciati teorici le leggi della natura. Popper osserva di contro come anche enunciati elementari e singolari che descrivono fatti ed esperienze immediate e semplici (ad es. questo è un bicchier d'acqua) e che quindi si presentano come oggettivi e univoci, si avvalgano in realtà di termini il cui significato è universale (bicchiere, acqua) e non relativo alla singola osservazione, di espressioni che si applicano a tutti i casi simili e che acquistano senso all’interno di una teoria. «Il mio punto di vista — precisa Popper — è che il nostro linguaggio ordinario è pieno di teorie; che l’osservazione è sempre osservazione alla luce delle teorie e che soltanto il pregiudizio induttivistico può farci pensare che possa esistere un linguaggio dei fenomeni, privo di teorie e distinguibile da un linguaggio teorico; e, infine, che il teorico è interessato alla spiegazione come tale, cioè alle teorie esplicative che possono essere controllate: le applicazioni e le predizioni lo interessano soltanto per ragioni teoriche; lo interessano perché possono essere usate come controlli delle teorie.» In nessun momento della ricerca scientifica è possibile distinguere e contrapporre esperienza e teoria. Secondo Popper le posizioni estremistiche del dogmatismo, dello scetticismo, del convenzionalismo puro, del soggettivismo affondano tutte le proprie radici nella rigida e immotivata separazione tra esperienza e teoria; separazione che si può sostenere solo se si esclude un processo di scelta su base di conoscenze condivise, ma una simile esclusione della decisione, scelta, convenzione annulla la scienza. Il fare scienza è dunque incontro di teoria, esperienza, convenzione.
2.3.1.1. esperienza: la falsificabilità è legata ad asserzioni di controllo, dette asserzioni base, che costituiscono la base empirica della teoria. È dalla domanda e dall’attenzione del soggetto, con la batteria di strumenti concettuali e linguistici che possiede, ad avviare il progetto di una teoria, ma è solo l’esperienza a legittimare il cammino; è così recuperata la funzione dell’esperienza della tradizione empiristica: controllo e fondamento della scienza. «E sebbene io creda che nella storia della scienza è sempre la teoria e non l’esperimento, sempre l’idea e non l’osservazione, ad aprire la strada a nuove conoscenze, credo però anche che è sempre l’esperimento a impedirci di seguire un sentiero che non porta da nessuna parte: che ci aiuta a uscire dalla routine e ci sfida a trovare nuove strade.» (Popper 1959, 296).
2.3.1.2. convenzione: le asserzioni base non si presentano come basi definitive ma come quelle a cui si decide di arrestare la ricerca sulla base di un progetto di ricerca. «Si noti inoltre che la creazione dell'ordine umano dipende dallo stesso duplice modo di procedere, che è arbitrario ma logico.» (Augé Marc, 2013, L’antropologo e il mondo globale, Raffello Cortina editore, Milano 2014, 32)
2.3.1.2.1. La convenzione fa spazio alle molte strade che possono alimentare la ricerca e la scoperta scientifica. Un’attenzione particolare è rivolta da Popper, oltre che al momento della falsificazione delle ipotesi, a quello della loro invenzione; la falsificazione di una teoria stimola infatti la ricerca di una nuova ipotesi capace di correggere l’errore e, in tal modo, di migliorare il livello delle conoscenze. A suggerire queste nuove prospettive è l’immaginazione creativa che Popper non circoscrive all’ambito razionale: nel contesto della scoperta possono agire proficuamente intuizioni metafisiche, sogni, creazioni della fantasia, suggestioni di natura non definibile in termini scientifici. A differenza di quanto avviene nel contesto della giustificazione (che Popper tiene distinto da quello della scoperta), nel momento creativo lo scienziato non deve precludersi alcuno stimolo, alcuna fonte di ispirazione: l’impulso metafisico che il positivista Comte aveva collocato nello stadio originario e pre-scientifico dei saperi viene riabilitato da Popper e considerato un elemento ineliminabile dalla ricerca scientifica.
2.3.1.2.2. La convenzione permette di evitare il rimando all’infinito. Convenzione non è arbitrio: le asserzioni base – punto di arresto contengono le procedure di controllo di una teoria (ai diversi gradi della sua controllabilità).
2.3.1.2.3. La convenzione ancora, a chiarirne il senso e la portata scientifica, si applica all’intera teoria e si collega necessariamente con il concetto di semplicità e con la funzione centrale che, nel cap. VII, Popper assegna alla semplicità. L’applicazione della convenzione alla teoria si fonda su di una esperienza generale dello scienziato e si ripercuote sul suo cammino di ricerca. «L’idea centrale del convenzionalista, il suo punto di partenza, è che nessuna teoria sia determinata dall’esperienza in modo non ambiguo, e su questo punto sono d’accordo con lui. Egli crede di dover scegliere, per questa ragione, la teoria più semplice.» (Popper 1959, 148) La rilevanza dell’idea di semplicità e la sua scelta resa possibile dal principio e dal ruolo della convenzione nella scienza, è anche quella «che ci vieta di indulgere alla ipotesi ad hoc e alle ipotesi ausiliarie: al principio di parsimonia nell’uso delle ipotesi.» (Popper 1959, 148)
2.3.1.3. teoria (regole logiche): l’accettazione delle asserzioni base avviene all’interno di regole e concetti; le stesse asserzioni base hanno senso in quanto sono interne a una teoria logicamente costruita, l’osservazione ha senso e possibilità sulla base di idee; riprendendo il passaggio di Popper: «Una scienza esige punti di vista, e problemi teorici. Di regola, l’accordo circa l’accettazione o il rifiuto di asserzioni-base si raggiunge quando si ha occasione di applicare una teoria; di fatto l’accordo fa parte di un’applicazione che sottopone a controllo la teoria.» (Popper 1959, 101) È necessario non dimenticare, osserva Popper che «Siamo sempre noi a formulare le questioni da porre alla natura… E alla fine, siamo ancora noi a dare la risposta.» (Popper 1959, 310)
2.3.2. Il movimento della scienza: dalla teoria ai fatti. Non si va dall’esperienza alla teoria, ma dalla teoria all’esperienza (ai fatti); è la teoria (i concetti di cui è costituita e con cui osserva la realtà) a individuare e selezionare l’area di ciò che è “fatto” e che può considerarsi reale. Ad esempio: sono oggettivi/reali solo i fatti quantitativi, perché il mondo è scritto matematicamente, perché ho deciso di guardare il mondo matematicamente (Galilei, cfr. Husserl)
Contrariamente a quanto credono empiristi e positivisti non è vero che la conoscenza scientifica proceda dall’esperienza alle teorie: per compiere anche la più elementare induzione è necessario sapere che cosa si cerca, quale frammento di realtà la mente debba selezionare e trattenere nella memoria. La mente dello scienziato è ricca di conoscenze (teorie di altri autori, leggi, ipotesi, dati ecc.): da esse egli muove sempre la sua indagine, da esse non può prescindere completamente. L’indagine procede dunque (esattamente al contrario di come ritenevano i positivisti) dalle teorie ai fatti. La teoria si presenta come un’ipotesi di lavoro; da essa il ricercatore è portato a prevedere determinati accadimenti: sarà l'esperienza a confermare o smentire le aspettative: nel primo caso l'ipotesi si dirà falsificata, nel secondo corroborata. La metodologia della falsificabilità si basa sulla stessa direzione di movimento: non si procede infatti induttivamente (dai fatti agli enunciati generali e alla teorie) ma all’inverso, deduttivamente dalle teorie ai fatti empirici che possono falsificarle e, se non vengono falsificate, vengono corroborate. «Anzi, nessuna teoria — nemmeno le migliori che abbiamo — è in grado di produrre previsioni assolutamente accurate; quindi ogni teoria è in un certo senso falsificata (sebbene possa poi essere ben corroborata da altre osservazioni). » (Mario De Caro, Che cosa sanno gli scienziati? in Ferraris 2012 Scienza, 24)
2.3.2.1. Perciò: non esistono i fatti “bruti”, neutri, in sé; i fatti sono sempre impregnati di teoria. In questo contesto prende forma il “circolo della scienza”, la circolarità scientifica: i fatti sono individuati dai concetti di una teoria, la teoria è scientifica in quanto fondata sui fatti. Un circolo problematico: la teoria è fonte delle asserzioni-base alle quali affida il proprio controllo / falsificabilità. «Tutte le osservazioni sono impregnate di teoria: non esiste alcuna osservazione pura, disinteressata, svincolata dalla teoria. […]… per raggiungere l’obiettività non possiamo confidare sulla mente vuota: l’obiettività riposa sulla critica, sulla discussione critica, e sull’esame critico dell'esperimento.» (Popper 1973 La razionalità delle rivoluzioni scientifiche, 140)
2.3.3. Congetture e confutazioni: la scienza non è sistema del mondo, descrizione del mondo né in senso logico, né in senso metafisico, né in senso fisico-empirico. È congettura, che resta valida fino alla confutazione.
Riflettendo sulla propria vicenda, l’umanità tende a registrare con orgoglio il progresso delle attitudini conoscitive via via acquisite: strumenti teorici sempre più avanzati e competenze tecniche sempre più sofisticate migliorano progressivamente la comprensione che l’uomo ha del mondo e incrementano la sua capacità di disporne ai propri fini. Tale consapevolezza, osserva Popper, anziché stimolare l’orgoglio e la sete di dominio, anziché generare sistemi dogmaticamente certi delle proprie verità, dovrebbe piuttosto sollecitare alla riflessione e alla cautela: il continuo, meraviglioso progresso delle scienze e delle tecniche mostra che la nostra ignoranza è senza limiti e che tutte le teorie di cui l'uomo si serve per orientarsi nel mondo sono soltanto congetture. Una spiccata attenzione rivolta ai processi di apprendimento porta Popper a osservare che in ogni attività conoscitiva, non solo nella ricerca scientifica, l’uomo si muove per congetture. Come già Kant aveva rilevato, la percezione stessa è possibile solo a partire da punti di vista e quesiti teorici, senza i quali non sapremmo mai quali dati registrare; la conoscenza che precede l’osservazione e la avvia non è oggettiva, dunque, ma congetturale. Conoscere è procedere per tentativi; attese e domande si pongono sempre a priori ma, a differenza di quanto riteneva Kant, queste non costituiscono un sistema formale rigido di archiviazione dei dati d'esperienza, sono soltanto congetture. L’osservazione interagisce continuamente con le aspettative, ne confuta l’impostazione e ne corregge i quesiti. Poiché le teorie scientifiche restano sempre ipotetiche e congetturali, nessuna di esse dovrà trasformarsi in ideologia o in dogma; l’umanità deve sempre conservare l’uso della ragione: «solo la ragione può aiutare l’umanità e solo la scienza può mantenerci ragionevoli».
2.3.3.1. La teoria, i concetti, i termini, l’a-priori sono da intendere come congettura: ciò che è congetturale è a priori ciò che è a priori è congetturale. In questo contesto diventa opportuno non far ricorso a termini quali “vero” e “falso” visto il peso semantico, quasi di sentenza definitiva e atemporale che questi termini portano con sé per abitudine e lascito storico; non sono termini in grado di esprime l’impresa scientifica come intreccio di esperienza, teoria e convenzione. «Nella logica della scienza delineata qui è possibile evitare l’uso dei concetti «vero» e «falso». Il loro posto può essere preso da considerazioni logiche intorno alle relazioni di derivabilità. Pertanto non è necessario che diciamo; «La predizione p è vera purché siano vere la teoria t e l’asserzione-base b». Possiamo dire, invece, che l’asserzione p segue dalla congiunzione (non-contraddittoria) di t e di b. La falsificazione di una teoria può essere descritta in modo simile. Non è necessario che diciamo che la teoria è «falsa»: possiamo dire, invece, che è contraddetta da un certo insieme di asserzioni-base accettate. E neppure delle asserzioni-base è necessario che diciamo che sono «vere» o «false», perché possiamo interpretare la loro accettazione come il risultato di una decisione convenzionale e le asserzioni accettate come i risultati di questa decisione.» (Popper 1959, 302-303) Al vero e al falso si riserva un valore formale: «Sono concetti non-empirici, concetti logici.» (Popper 1959,304) «Ma non potremo mai dire semplicemente che un’asserzione come tale, o in se stessa, è «corroborata» (allo stesso modo che possiamo dire che è «vera»). Possiamo solo dire che è corroborata relativamente a qualche sistema di asserzioni-base, sistema accettato fino a un particolare momento.» (Popper 1959, 304)
[come chiarificazione e approfondimento è utile richiamare la distinzione tra veridicità e verità, e i problemi che tale distinzione comporta, espressa nell’opera di Williams Bernard 2002 Genealogia della verità. Storia e virtù del dire il vero (Fazi editore, Roma 2005).
«Nella cultura moderna, due correnti di pensiero occupano un posto di assoluto rilievo. Da un lato, c’è un impegno profondo nei confronti della veridicità o, comunque, un sospetto diffuso nei confronti dell’inganno, una pronta contrarietà ad esso, un certo zelo nell’andare al di là delle apparenze, fino a giungere alle strutture e alle motivazioni reali che vi si celano dietro. Da sempre familiare in politica, tutto ciò si estende anche alla comprensione della storia, alle scienze sociali e persino all’interpretazione delle scoperte e delle ricerche nel campo delle scienze naturali.
Accanto a quest’esigenza di veridicità, o (per usare una formulazione meno positiva) questa reazione contro l'inganno, tuttavia, è egualmente diffuso un sospetto nei confronti della verità stessa: ci si chiede se una cosa del genere ci sia per davvero; e se c’è, ci si chiede se possa essere qualcosa di più che una materia relativa o soggettiva, o simili; e ci si chiede se, nel complesso, dovremmo preoccuparcene nel portare avanti le nostre attività o nel darne una descrizione. Queste due cose, la devozione nei confronti della veridicità e il sospetto diretto verso l’idea di verità, sono connesse fra loro. Il desiderio di veridicità conduce a un processo critico che indebolisce la certezza che ci sia una verità stabile o formulabile senza eccezioni. […] Siamo in grado di comprendere come l’esigenza di veridicità e il rifiuto della verità possano andare insieme. Tuttavia, ciò non vuol dire che esse possano coesistere felicemente e che la situazione sia stabile. […] Ma io sosterrò che, al pari dei negatori più radicali, costoro debbano prendere sul serio l’idea che, se si perde il senso del valore della verità, di certo si perde qualcosa ed è possibile che si perda tutto. […] La veridicità implica il rispetto per la verità. […] Il valore della veridicità include la necessità di scoprire la verità, di attenersi ad essa e di proclamarla, in particolare a se stessi. […] La veridicità come ideale mantiene il suo potere e, lungi dal vedere la verità come malleabile o superflua, il suo problema principale era come renderla sopportabile.» (Williams Bernard 2002, 7-20 passim)
Interpretando: la relazione tra veridicità e verità si può ulteriormente illustrare attraverso la considerazione della verità come una funzione analoga a quella esercitata dalle idee secondo la dialettica trascendentale di Kant: il concetto o il contenuto di verità è irraggiungibile, diventa però un punto prospettico fondamentale, fondante e necessario per sostenere un percorso di veridicità Restano evidenti qui due affermazioni: l’impossibilità di affermare di aver raggiunto la verità, la necessità di un percorso e valore di veridicità come condizione di libertà e di cultura.
Del resto, osserva ancora Williams: «In un senso assai stretto, parlare del «valore della verità» è senza dubbio un errore categoriale: la verità, in quanto proprietà delle proposizioni o degli enunciati, non è il genere di cosa che può avere un valore. Il partito del senso comune negherà che ci sia un valore della verità in senso stretto e questo si può accettare con facilità. La formula «valore della verità» va presa come abbreviazione per il valore di vari stati e attività associate con la verità.» (Williams Bernard 2002, 12)]
2.3.3.2. La scienza è fondata su palafitte, non su solida roccia. Le nuove metafore della scienza.
L’impresa scientifica ha definito il suo progetto complessivo, le sue finalità e le sue procedure ricorrendo a metafore tratte dai più svariati contesti. Espressioni quali «macchina vivente del mondo», «edificio di questo universo», «selva dell’esperienza», «cammino della conoscenza», «via praticabile alla mente umana», così come i termini «labirinto», «orologio», «libro», «disegno», «sviluppo», «progresso», di volta in volta presentate dagli scienziati moderni (da Francesco Bacone sino al positivismo) sono diventate elementi costitutivi irrinunciabili delle teorie scientifiche; non è possibile tradurre in espressioni non metaforiche tali termini senza che l'intero progetto scientifico venga a perdere parte del suo significato. L’evoluzione stessa e il succedersi storico delle teorie e degli obiettivi scientifici, possono essere ricostruiti seguendo il mutare delle espressioni metaforiche con cui è stato espresso via via l’intero programma della scienza. Le metafore presenti nella scienza «classica» esprimono ad esempio l’ordine rassicurante del mondo o gli strumenti per ordinare in modo sistematico e definitivo l’esperienza. La stessa verificabilità, il criterio di demarcazione di cui si fa promotore il neopositivismo del Circolo di Vienna, contiene la promessa di una fondazione univoca e conclusiva degli enunciati scientifici. Popper pone in discussione le certezze espresse dalle metafore della scienza classica contrapponendo loro immagini nuove: le leggi oggettive e immutabili della fisica sono ora «verdetto di una giuria», peraltro impugnabile; le asserzioni-base presentate come «enunciati protocollari» e come dati di partenza definitivamente verificati, «pietra di paragone con la quale si doveva giudicare qualsiasi asserzione di una scienza empirica», diventano semplici «decisioni che segnano il destino delle teorie»; il cammino della scienza che procedeva costruendo dal basso verso l’alto, dalla base empirica alle strutture teoriche, è presentato ora come un «conficcare dall’alto» nella base empirica (come le palafitte nel fango); al «solido strato di roccia», al «terreno solido», base della scienza precedente, Popper contrappone la «palude dell’esperienza»; le teorie scientifiche rappresentano ancora una «ardita struttura», un «maestoso edificio», ma «costruito su palafitte».
«Dunque la base empirica delle scienze oggettive non ha in sé nulla di «assoluto». La scienza non posa su un solido strato di roccia. L’ardita struttura delle sue teorie si eleva, per così dire, sopra una palude. È come un edificio costruito su palafitte. Le palafitte vengono conficcate dall’alto, giù nella palude: ma non in una base naturale o «data»; e il fatto che desistiamo dai nostri tentativi di conficcare più a fondo le palafitte non significa che abbiamo trovato un terreno solido. Semplicemente, ci fermiamo quando siamo soddisfatti e riteniamo che almeno per il momento i sostegni siano abbastanza stabili da sorreggere la struttura.» (Popper 1959, 107-108)
Quindi, per illustrare il rovesciamento di prospettiva che la sua epistemologia propone nei confronti di quella positivistica Popper si serve dell’efficace metafora della palafitta: all’immagine tradizionale della scienza come edificio che lo scienziato-architetto eleva dalle solide fondamenta al tetto, Popper oppone la provocatoria immagine della palafitta costruita piantando dei pali dall’alto, le teorie, nel terreno sabbioso della palude, l’esperienza; l’arresto nella ricerca di fondamento è determinato dal livello di stabilità dell’edificio costruito.
2.3.3.3. La scelta di una teoria, di conseguenza, è legata al confronto con le altre, non è in diretto rapporto con la realtà. È doveroso e scontato, oltre che strumento per un perenne controllo della teoria, il fondamento nell’esperienza, ma l’arresto nella ricerca del fondamento è legato alla stabilità della teoria, è provvisorio, in perenne confronto di stabilità con altre teorie, punti di vista, strumenti di osservazione, risposte a domande sempre nuove. Per “congetture e confutazioni”.
2.3.4. L’impianto della riflessione epistemologica di Popper a partire dalla falsificabilità. La presentazione della teoria e prassi falsificazionista, degli elementi che la rendono possibile (le asserzioni base e il rigore logico), degli effetti che essa garantisce (criterio di demarcazione delle scienze e processi di corroborazione scientifica) sorregge lo sviluppo analitico complessivo dell’opera di Popper Logica della scoperta scientifica. Uno sviluppo che si basa sulla connessione tra 1. Gradi di falsificabilità o gradi di controllabilità (capitolo VI), 2. Problema della semplicità, della sua definizione e del suo ruolo (capitolo VII), 3. Problema della probabilità o della corroborazione, i loro significati e il loro ambito (capitolo VIII e capitolo X).
«Concludo con ciò la mia esposizione dei metodi per confrontare i gradi di falsificabilità. Credo che questi metodi possano aiutarci a chiarificare questioni epistemologiche come il problema della semplicità, di cui ci occuperemo nel capitolo successivo. Ma, come vedremo, ci sono altri problemi che il nostro esame dei gradi di falsificabilità presenta sotto nuova luce: specialmente il problema della cosiddetta «probabilità delle ipotesi», o della corroborazione.» (Popper 1959, 136)
2.4. quarta mossa: la teoria dei tre mondi (dei livelli di significato)
La filosofia, nella propria produzione storica, con il progetto di analisi che la caratterizza, ha colto ed evidenziato distinzioni e livelli allo scopo di portare a chiarezza i vari aspetti della realtà affrontata, la loro complessità e il loro divenire. Un distinguere che non si è fermato a indicare aspetti plurimi, ma si è spinto fino a creare dualismi spesso opposti e conflittuali. Le componenti distinte sono state accentuate nella loro dinamica e nella loro separazione attraverso il concetto di sostanza e, in tal modo, da aspetti o tratti o livelli sono diventati realtà, enti o, appunto, sostanze autonome. La distinzione, giunta così a livelli di carattere metafisico e talora fisico, ha reso le relazioni impossibili e le opposizioni inconciliabili. Si tratta di una tendenza dell’analisi verso dualismi metafisici che si è manifestata e si manifesta in tutti gli ambiti culturali, in forme e terminologie consegnate sia a visioni definite scientifiche che ai discorsi comuni; alcuni settori e dualismi in esempio: ontologia (essere e non essere), logica (vero e falso), etica (bene e male, virtù e vizio), antropologia (corpo e anima), teologia (dio e demonio), psicologia (ragione e sentimento), fisica (estensione e forza, energia e materia, onda e corpuscolo).
Altrettanto accorato, nella storia della filosofia, è lo sforzo teso a conciliare i molti dualismi sostanziali, spesso con l’introduzione di un terzo elemento (ora immanente, ora trascendente) e l’avvio di un gioco a tre; ma, e in forme più radicali, anche attraverso la negazione dei dualismi o, per lo meno e soprattutto, attraverso la negazione del loro statuto sostanziale; uno statuto che è scoperto e spiegato appunto come frutto della trasformazione di una distinzione conoscitiva analitica in una creazione di enti dotati di realtà autonoma. Negare i dualismi è riportare la mente a cogliere la complessità del reale senza rinunciare a due esperienze imprescindibili: la capacità di lettura analitica della realtà, l’esperienza dell’unità complessa e dinamica della realtà stessa.
La proposta filosofica contemporanea che rimette in luce la densità del vivere e percepire la realtà nella sua indistinta forma, prima delle separazioni specialistiche, dei dualismi concettuali e “reali” creati dai diversi ambiti culturali, è formulata da Edmund Husserl attraverso la presentazione del concetto di “mondo della vita” o “mondo vitale” (Lebenswelt) contesto primo e insuperato di una fenomenologia di carattere analitico e trascendentale. La proposta di Popper nella forma di una “teoria dei tre mondi” (oggetto di attenzione di molti filosofi contemporanei, come, in particolare, Jürgen Habermas) trova le proprie radici in quel concetto primo e generale di “mondo vitale”.
2.4.1. Husserl e il “mondo-della-vita” (mondo vitale, Lebenswelt)
La nozione di «mondo della vita» viene presentata da E. Husserl, nell’opera La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale (1937, 1954), come presupposto e fondamento inespresso dei progetti e dei comportamenti cui la ragione dà vita, nei vari campi della sua presenza.
«Nella sua trattazione su La crisi delle scienze europee, Husserl ha introdotto il concetto di mondo della vita dal punto di vista di una critica della ragione. Al di sotto della realtà che le scienze naturali fanno valere come unica, Husserl porta invece alla luce il contesto previo all’esperienza di mondo e alla prassi naturale di vita, quale fondamento di senso che è stato rimosso. Il mondo della vita rappresenta a tale riguardo il controconcetto di tutte quelle idealizzazioni che costituiscono in primo luogo l’ambito oggettuale delle scienze naturali. Contro le idealizzazioni della misurazione, della sottomissione alla causalità e della matematizzazione, ma anche contro un’attiva tendenza alla tecnicizzazione, Husserl rivendica invece il ritorno al mondo della vita come sfera immediatamente presente delle prestazioni originarie; in tale prospettiva, egli critica le idealizzazioni, dimentiche di se stesse, dell’oggettivismo delle scienze naturali. Ma poiché la filosofia del soggetto è cieca di fronte alla caparbietà (Eigensinn) dell’intersoggettività linguistica, per questo anche Husserl non riesce a riconoscere come già il terreno della stessa prassi comunicativa quotidiana poggi su presupposti idealizzanti.» (Habermas Jürgen 1990, Il pensiero post-metafisico, ed. Laterza Bari 1991 p. 85)
Definito da Husserl come «mondo spazio-temporale delle cose così come noi le sperimentiamo nella nostra vita pre- ed extrascientifica e così come noi le sappiamo esperibili al di là dell’esperienza attuale», il mondo della vita si presenta come orizzonte universale di una qualsiasi esperienza possibile. Husserl non intende in tal modo riportare le nostre facoltà agli oggetti quali appaiono nella visione e nelle definizioni quotidianamente condivise, ma invita a cogliere il mondo della vita prima del momento in cui schemi di categorie oggettivamente formalizzate si sovrappongano al plenum della vita e vi si sostituiscano. Perché, quando teorie oggettive e sistematiche si autopresentano come totalità compiute, assolute e originarie, allora il mondo della vita viene condannato a essere un «dimenticato fondamento di senso della scienza naturale»; le definizioni sistematiche e oggettive del mondo, formulate secondo categorie logiche, si presentano quindi come formalizzazioni particolari dell’esperienza immediata del mondo (del contesto mondo della vita). Più in generale, il mondo della vita si pone come orizzonte e fondamento delle direzioni di senso con cui il soggetto dà particolari forme logico-scientifiche all'esperienza; esso costituisce quindi il tema di una nuova filosofia trascendentale. La filosofia che riflette sul mondo della vita pone al centro della propria attenzione e affida ad una indagine di carattere fenomenologico il fondamento dei processi culturali che tendono a definire razionalmente e oggettivamente il mondo.
2.4.2. Popper e la “teoria dei tre mondi”: cultura, società, persona.
Nei suoi studi Popper osserva come il termine mondo, proprio del linguaggio quotidiano, possa venire formalizzato in tre diverse accezioni: il mondo oggettivo dei fatti, cui corrispondono le forme scientifiche della cultura linguisticamente formulate, universalmente condivise e divenute perciò terreno comune di intesa di un’epoca (cultura, mondo oggettivo, fatti oggettivi, fatti); il mondo sociale delle norme, cui corrispondono i processi che indagano e regolano le relazioni interpersonali, dall’etica alla politica (società, mondo sociale, norme); il mondo soggettivo dell’esperienza individuale, in cui si collocano le scelte che definiscono le singole personalità (persona, mondo soggettivo, esperienze vissute). «Questi modelli o concetti sociologici d’azione sono introdotti da una «teoria dei tre mondi» (ripresa da Popper) molto semplice. Secondo questa, infatti c’è un mondo oggettivo di fatti, un mondo sociale di norme e un mondo soggettivo di esperienze. A ciascun mondo corrisponde un livello di sapere e una pretesa di validità: livello e pretesa di verità proposizionale, di giustezza normativa, di veridicità e autenticità soggettiva. Ciascun mondo dà luogo ad un particolare rapporto o riferimento attore-mondo, cui corrispondono i tipi di agire.» (Habermas 1981, Teoria dell’agire comunicativo, Il Mulino, Bologna 1986, Introduzione di Gian Enrico Rusconi, 12-13).
Popper non crea distinzioni cosmologiche o metafisiche, ma attiva sguardi analitici. La complessità del concetto di mondo, individuata attraverso la «teoria dei tre mondi», difende il mondo della vita e le procedure comunicative che genera dalla loro riduzione al solo sapere formalizzato, alle sole istituzioni socialmente riconosciute, alla dimensione puramente psicologica e individualistica della vita; lo difende dal rischio di una sua razionalizzazione strumentale. Collocato nel triplice mondo della cultura, della società e della persona, lo studio delle strategie con cui il linguaggio, la prassi argomentativa ed ermeneutica, le produzione scientifica sviluppano le potenzialità del mondo della vita, attuano l’intesa sociale e svolgono il ruolo di medium sia della comunicazione sia del suo insuccesso, entra a far parte della nuova teoria della comunicazione sia nel campo del vivere civile generale che nel campo della produzione e della ricerca scientifica.
2.4.3. La logica della scoperta scientifica, la sua natura congetturale, il carattere infinito della scienza trovano spiegazione e fondamento nella teoria dei tre mondi. Popper trasferisce quindi nel campo della operazione scienza i concetti di Husserl: il mondo-della-vita e la sua articolazione nelle tre sedi e forme della cultura, della società e della persona. Da questo contesto prende risalto il fare scienza nella sua complessa articolazione.
[1] mondo uno: cultura; il mondo oggettivo dei fatti e delle forme scientifiche che ne danno una definizione univoca e “oggettiva” (il termine cultura contiene quindi e si abbina al termine natura [ma l’interpretazione e l’individuazione dei tre mondi non sempre è univoca; ad esempio Imre Lakatos così la riprende: «il "primo mondo" è il mondo fisico; il "secondo mondo " è il mondo della coscienza, degli stati mentali e, in particolare, delle credenze; il "terzo mondo " è il mondo platonico dello spirito oggettivo, il mondo il delle idee» (HackingIan, La filosofia della scienza di Lakatos in Hacking Ian (a cura) 1981, Rivoluzioni scientifiche, Laterza, Roma-Bari 1984, 177)]
[2] mondo due: società; il mondo delle relazioni sociali e delle convenzioni che le supportano (linguaggio, leggi valori…)
[3] mondo tre: persona; il mondo soggettivo delle esperienze individuali e delle abilità disciplinari (del mondo uno) divenute competenze
L’espressione “tre mondi” non è un indicatore di realtà, è lettura che si applica ad ogni realtà e aiuta a comprendere e impostare l’impresa scientifica. I “tre mondi” sono tra loro in relazione: il mondo oggettivo dei fatti scientificamente definiti (mondo uno), è accessibile alla nostra conoscenza/esperienza personale (mondo tre), sulla base di decisioni/convenzioni condivise (mondo due). Una tripartizione in grado di rilanciare l’impresa scientifica come progetto di scoperta attento alle dimensioni plurime del reale, quindi ancor più aperto alla sua natura congetturale e alla propria concreta falsificabilità. Qui prende risalto l’istanza etica della scoperta scientifica.
3. L’istanza etica della scoperta scientifica dal metodo della scienza e dalla vita delle teorie.
3.1. la scienza come cammino di scoperta nasce ed è sorretta dalla libertà, e ha di mira la promozione della libertà.
Nel ridefinire la scienza come impresa critica, Popper è mosso, oltre che da interessi strettamente epistemologici, da profonde motivazioni etiche e politiche. In quanto ci libera da preconcetti e da convinzioni accreditate, invitandoci a mutare opinione, a falsificare le nostre tesi quando esse mostrano i loro limiti, l’impresa scientifica induce l’umanità a combattere ogni fedeltà a pregiudizi (siano essi di natura etica, culturale, politica), favorendo il realizzarsi di una società aperta, libera da ogni dogmatismo e intolleranza. L'ideale metodologico della falsificazione e la strategia del procedimento per «congetture e confutazioni», trasferiti dall’ambito epistemologico a quello politico, si rivelano efficaci strumenti di educazione al confronto e al dialogo, di costruzione di una società pluralista e tollerante: la nuova visione della scienza sollecita infatti ogni uomo ad accettare la propria fallibilità, a ricercare nel confronto con gli altri i propri errori, a correggerli e migliorare le proprie posizioni, se stessi, la società in cui vive. In questa direzione si muovono convinzioni generali sulla natura del sapere scientifico e sulla logica della scoperta scientifica.
3.2. La ricerca è senza fine: è caratteristica richiesta dallo statuto teorico della scienza; è caratteristica che svela l’essenza etica della scienza: la scienza si basa e richiede come condizione della sua esistenza la scelta e la libertà.
«Ammettiamo di esserci deliberatamente imposti di vivere in questo nostro mondo sconosciuto; di adeguarci ad esso meglio che possiamo; di trarre vantaggio dalle occasioni che possiamo trovarvi; e di spiegarlo, se è possibile, e per quanto possibile, benché non sia necessario assumerlo, con l’aiuto di leggi e teorie con potere di spiegazione. Se è questo il compito che ci siamo imposti, allora non vi è procedimento più razionale del metodo per prova ed errore, per congetture e confutazioni, che consiste nell’audace formulazione di teorie, nel tentativo di mostrare che tali teorie sono erronee e nella loro provvisoria accettazione, se i nostri sforzi critici non hanno successo. Dal punto di vista qui sviluppato, tutte le leggi, tutte le teorie, restano essenzialmente provvisorie, congetturali, o ipotetiche, anche quando non ci sentiamo più in grado di dubitare di esse. Non possiamo mai sapere in qual modo debba essere modificata una teoria, prima che sia stata confutata. Che il sole sorgerà e tramonterà sempre nel corso di ventiquattro ore è ancora proverbiale come legge “stabilita dall’induzione al di là di ogni ragionevole dubbio”. È curioso che questo esempio sia usato tuttora, benché convenisse meglio ai tempi di Aristotele e di Pizia di Massalia, il grande viaggiatore che per secoli fu considerato bugiardo a causa dei suoi racconti di Thule, la regione del mare ghiacciato e del sole di mezzanotte. Il metodo di prova ed errore, naturalmente, non equivale direttamente all'atteggiamento scientifico e critico, cioè al metodo per congetture e confutazioni. Il metodo per prove ed errori non viene applicato soltanto da Einstein, ma anche, in maniera più dogmatica, dall’ameba. La differenza non sta tanto nelle prove, quanto in un atteggiamento critico e costruttivo di fronte agli errori. Lo scienziato, infatti, cerca consapevolmente, e con cura, di scoprire tali errori, al fine di confutare le proprie teorie con argomenti rigorosi e con il ricorso ai più severi controlli sperimentali che la teoria e la sua ingegnosità gli consentono di escogitare.» (Popper K. Raimund, 1969, Congetture e confutazioni, Paravia, Torino p. 91-92) Con queste parole Popper riassume, in un convegno svoltosi nel 1953 a Cambridge, la sua posizione sulla natura delle teorie scientifiche e il metodo che il ricercatore deve seguire. Giunto al convegno con il proposito di stilare un bilancio complessivo della sua opera di filosofo della scienza e «presentare una sintesi del lavoro svolto nel campo della filosofia della scienza», egli riprende, illustra e precisa in questa conferenza le posizioni che quasi trent'anni prima aveva esposto nella Logica della scoperta scientifica (il suo primo scritto, pubblicato nel 1934 e riedito poi nel 1959). A Cambridge Popper, riprendendo i temi centrali di quell’opera alla luce del dibattito che essa ha successivamente generato, introduce puntualizzazioni e precisazioni che si sono rese, a suo dire, nel frattempo necessarie.
Il carattere aperto e senza fine della ricerca scientifica non è un proposito etico che venga dall’esterno della scienza, ma è scritto nella logica stessa del sapere scientifico e della sua costruzione; è proprio della “logica della scoperta scientifica”.
3.2.1. È la logica della “falsificabilità”.
Con un avvio autobiografico, Popper ricorda gli eventi politici e gli impegni di studio grazie ai quali ha maturato la sua convinzione epistemologica: una teoria non è giustificata dal suo potere esplicativo, ma dalla sua disponibilità alla falsificazione. Una teoria che si dimostri capace di fornire una risposta a tutti i casi della realtà, anche quelli che vengono addotti per contraddirla, non può essere confutata e dunque non è scientifica; una teoria è scientifica invece quando i suoi enunciati possono «risultare in conflitto con osservazioni possibili, o concepibili» e quindi possono essere controllati e confutati; «il criterio dello stato scientifico di una teoria è la sua falsificabilità, confutabilità, controllabilità». La falsificabilità è un sicuro criterio di demarcazione capace di decidere della scientificità di una teoria; consente alla scienza di tornare a essere mezzo di orientamento nel mondo infinito dell'esperienza, imprime alla ricerca i tratti di un compito senza fine destinato a presentarsi come la più alta espressione della libertà individuale e sociale.
3.2.2. È la logica delle “Congetture e confutazioni”. Presentata come criterio di demarcazione tra teorie scientifiche e pseudoscienze, la falsificabilità comporta una nuova definizione delle teorie e del lavoro dello scienziato: le teorie sono sempre ipotesi; lo scienziato procede per congetture, corroborate non da un processo di difesa delle teorie, ma dalla capacità di superare continui tentativi di confutazione, di controllo empirico. Al riesame di questi temi Popper dedica l'intervento presentato al convegno di Cambridge, pubblicato successivamente, nel 1962, con il titolo La scienza: congetture e confutazioni.
3.2.3. È la logica delle “palafitte” e della convenzione che essa storicamente e socialmente comporta. L’impegno filosofico che Popper dimostra, rivolgendosi ai problemi di carattere epistemologico con l'obiettivo di indicare criteri di distinzione tra proposizioni di natura scientifica e affermazioni che appartengono ad altri ambiti, è legato alla doppia convinzione suggerita dalla metafora delle “palafitte”: la scienza è una «ardita struttura» (qui la meraviglia va all’ingegno dell’uomo che emerge se difende le proprie condizioni di libertà), ma si tratta di un «maestoso edificio… costruito su palafitte» (non per questo è instabile, ma non è definitivo). Da qui nasce il continuo impegno epistemologico intorno ai temi: a. il criterio di demarcazione tra scienza e pseudoscienza; b. il metodo scientifico; c. la vita delle teorie; ripresi, come bilancio, anche in Congetture e confutazioni.
3.3. Il metodo scientifico in sintesi complessiva. Popper si impegna per mostrare l’impraticabilità e l’assurdità logica del modo d’intendere il lavoro dello scienziato proprio dell'empirismo «ingenuo»: «la convinzione — osserva Popper — che la scienza proceda dall'osservazione alla teoria è ancora così ampiamente e fermamente sostenuta che la mia negazione di questo fatto è accolta spesso con incredulità». L’abbandono dell’impostazione induttivistica, cui Popper esplicitamente invita in Congetture e confutazioni, apre nuovi fondamentali orientamenti della riflessione epistemologica.
3.3.1. Avvia il riesame del rapporto tra esperienza e teoria: l’osservazione è attuabile a partire da punti di vista, domande, bisogni, interessi, «presuppone cioè un quadro di riferimenti, un insieme di aspettazioni e di teorie». La teoria è dunque un selettore di esperienze, sia perché consente di fissare l’attenzione su dati osservabili, sia perché comporta la scelta delle esperienze che vengono assunte come asserzioni-base, in grado cioè di controllare e consentire l’eventuale falsificazione della teoria.
3.3.2. Impone di ridefinire i postulati che la tradizione filosofica razionalista ha presentato come affermazioni metafisiche o come strutture a priori della mente, allo scopo di spiegare e garantire la regolarità dell’esperienza. La convinzione della regolarità dei comportamenti naturali (ad es.: il sasso lanciato terminerà il suo moto) e delle forme logiche (ad es.: lo spazio è una forma a priori) consente di spiegare l’attesa e la sicurezza del ripetersi costante dei fenomeni, giustifica la convinzione che «è ragionevole credere che il futuro sarà simile al passato». In ambito scientifico le regolarità metafisiche e a priori assumono la forma di presupposti e di congetture la cui validità, osserva Popper, «è assicurata dal fallimento dei tentativi diretti a confutarla».
3.3.3. Chiarifica che la teoria, nella sua globalità e non solo nei suoi postulati di partenza, ha natura ipotetica. La scienza, come del resto l’intera conoscenza, non parte dai fatti per scoprire leggi, ma procede per tentativi e formula «congetture» che devono essere sottoposte a severi controlli critici. Solo in questo modo è possibile denunciare l’arroganza intellettuale dei sistemi teorici dotati di certezza scientifica e smascherare l’arte degli stratagemmi (delle modifiche ad hoc) con cui una teoria tende a rendersi immune da ogni genere di controllo e di confutazione. Riflettere sugli stratagemmi cui ricorre un sistema scientifico per salvare se stesso significa estendere lo sguardo sull’intera storia della scienza al fine di scoprire sia la dinamica del suo sviluppo sia le resistenze e gli opportunismi cui ricorre lo scienziato allo scopo di prolungare artificialmente la vita di una teoria.
3.3.4. Segna il ritorno alle origini del pensiero scientifico filosofico greco (occidentale) e segna il recupero del tema della verosimiglianza come tratto specifico della scienza. Dal Timeo di Platone, la nota affermazione di metodo e di consapevolezza epistemologica: «[29c] Se dunque, o Socrate, dopo che molti han detto molte cose intorno agli dei e all’origine dell’universo, non possiamo offrirti ragionamenti in ogni modo con se stessi pienamente concordi ed esatti, non ti meravigliare; ma, purché non ti offriamo discorsi meno verosimili di quelli di qualunque altro, dobbiamo essere contenti, ricordandoci che io che parlo a voi, giudici miei,[c] abbiamo natura umana: sicché intorno a queste cose conviene accettare una favola verosimile, né cercare più in là.» (Platone, Timeo 29c,d)
3.4. La vita delle teorie. Se l'adesione a una teoria è «soltanto provvisoria» e «tutte le leggi e le teorie sono congetture, o ipotesi provvisorie», su quali basi logiche (e non psicologiche) una teoria può essere accettata o abbandonata? Popper conduce la riflessione attorno al problema della scelta e dell’abbandono di una teoria, prendendo le distanze dall’arte delle «modifiche ad hoc» e illustrando l’intero arco della vita di una teoria (nascita, corroborazione, morte, sopravvivenza); egli spiega così la dinamica dell’alternanza tra i sistemi scientifici.
3.4.1. La nascita della teoria:
[1] è legata al criterio di demarcazione adottato (quello neopositivistico della verificabilità o quello della falsificabilità);
[2] dipende dal quadro delle attese e dei bisogni, dalla disponibilità dei punti di vista e dei quesiti;
[3] si presenta, a volte, con le caratteristiche di un’adozione: adottiamo la teoria più adatta a orientarci nell’osservazione, a rispondere a determinati bisogni, a resistere alle confutazioni.
3.4.2. La teoria si irrobustisce:
[1] non per conferma e verifica (così pensa l’induttivista ingenuo, positivista e neopositivista), ma in quanto resiste ai controlli continui e ai tentativi di falsificazione. L’atteggiamento dogmatico è alla ricerca di verifiche e di conferme, l’atteggiamento critico è aperto al controllo, alla confutazione e al cambiamento.
3.4.3. La teoria si estingue:
[1] per confutazione, falsificazione;
[2] per selezione naturale: la teoria più adatta elimina quelle meno idonee.
3.4.4. La teoria sopravvive:
[1] perché nessuna confutazione può avere il carattere della definitiva smentita empirica;
[2] perché dispone di stratagemmi di adattamento tali da resistere alla confutazione; in quest’ultimo caso però la sorte della teoria è segnata: il criterio della falsificabilità infatti la esclude dal campo delle scienze: quando la strategia degli adattamenti trasforma le teorie in sistemi onniesplicativi e sempre confermabili, esse perdono la propria presa sulla realtà; in quel momento non proibiscono nulla, tutto per loro è possibile e quindi non dicono più nulla circa l’esperienza.
I criteri suggeriti da Popper fin dall’inizio delle proprie riflessioni intendono scongiurare la continua e sterile riproposizione di una stessa teoria: «La critica delle congetture è di importanza decisiva: mettendo in evidenza i nostri errori, essa ci fa comprendere le difficoltà del problema che stiamo cercando di risolvere. È in questo modo che prendiamo meglio conoscenza del problema e ci mettiamo in grado di proporre soluzioni più avanzate: la stessa confutazione di una teoria — cioè, di qualsiasi serio tentativo di soluzione del problema — è sempre un passo avanti, che ci porta più vicino alla verità. E questo è il modo in cui possiamo imparare dagli errori».
3.4.5. La teoria “non muore mai”. La riflessione epistemologica suscitata da Popper e a lui successiva si concentra sul criterio della falsificabilità e sui problemi della demarcazione delle teorie e degli enunciati scientifici, come sul problema delle asserzioni base che renderebbero gli enunciati falsificabili demarcandoli quindi come scientifici. Un campo in cui le critiche, le riserve, le distanze e anche le clamorose denunce (vedi Lakatos, Putnam e Feyerabend) sono ricorrenti e rischiano di mettere in crisi il criterio di falsificazionismo e di falsificabilità, al centro del pensiero di Popper. La stretta correlazione tra fatti (osservazione), concetti (teoria, contesto, congettura come un nuovo apriori), convenzione (scelta che dà vita alla prassi scientifica condivisa) ha l’effetto di eliminare l’idea di un fatto in sé (di un’asserzione-base di carattere empirico, positivisticamente neutra oggettiva universale e, di fatto, metafisica) e l’idea di criteri universali di demarcazione di ciò che è scientifico. Una teoria non muore per se stessa, ma perché ne subentra un’altra dotata di caratteristiche considerate migliori dal punto di vista della portata esplicativa; la teoria abbandonata non è distrutta o smentita, non viene per ora usata; quindi nessuna teoria è definitivamente né verificabile (questa la tesi di Popper) ma nemmeno falsificabile (questa la tesi in allontanamento da Popper ma sulla base delle sue annotazione epistemologiche. Osserva, per esempio, Hilary Putnam: «La teoria — la GU [Gravitazione universale], o qualsiasi altra — è non falsificabile nel contesto. Essa non è neppure suscettibile di «conferma» più di quanto sia suscettibile di «falsificazione»; non funziona in un ruolo ipotetico. Gli insuccessi non falsificano una teoria, perché l’insuccesso non è una predizione sbagliata fatta sulla base di una teoria con fatti noti e sicuri, ma il mancato ritrovamento di qualcosa, di fatto il mancato ritrovamento di una PA [Proposizione Ausiliare]. Le teorie, nel periodo in cui rimangono in vigore, sono altamente sottratte al rischio della falsificazione; il loro periodo di regno ha termine quando sulla scena appare una teoria migliore (o un’intera nuova tecnica esplicativa), non per mano di una proposizione-base. E i successi non «confermano» una teoria, una volta che essa è divenuta paradigmatica, perché la teoria non è un’«ipotesi» che abbia bisogno di conferma, ma la base di un’intera tecnica di spiegazione e di predizione, e forse anche di una tecnologia.» (Putnam Hilary 1974 La «corroborazione» delle teorie, in Hacking 1981, p. 120)
3.5. La società aperta e i suoi nemici, la Miseria dello storicismo; la relazione delle tesi delle due opere con la concezione del metodo scientifico.
In questo contesto di riflessione epistemologica attenta e critica, nasce l’avversione sia allo storicismo e ai suoi teorici (Platone, Hegel), filosofia inevitabilmente fatalistica, sia ai sistemi ideologici-politici, nemici della società aperta; ad essi Popper contrappone il modello liberale – democratico occidentale europeo.
Concetti che trovano ampio sviluppo nell’opera del 1945 La società aperta e i suoi nemici, e nell’opera del1957: Miseria dello storicismo.
È sufficiente trasferire nell’ambito della convivenza civile e del governo politico i principi dell’epistemologia, spiega Popper, per porre un decisivo contributo alla realizzazione della «società aperta». Con questa espressione (che dà il titolo a un'ampia trattazione del 1945 La società aperta e i suoi nemici) Popper intende una società in cui vi sia l’effettiva possibilità di un controllo pubblico dell’attività di governo e la licenziabilità dei governanti; l’essenza della democrazia non consiste infatti, secondo Popper, solo nella partecipazione dei cittadini all’elezione dei suoi rappresentanti, quanto nell’allontanabilità (senza violenza) di coloro che, per i più diversi motivi, si rivelino incapaci di provvedere all’interesse della collettività. Mentre la società chiusa è immodificabile, se non con la violenza, la società aperta è disposta al miglioramento: ha il coraggio di riconoscere i propri errori e di riprogettarsi creando nuovi programmi, confrontandoli, mettendoli alla prova (come per congetture e confutazioni).
3.5.1. Le radici epistemologiche delle tesi per una società aperta. Le considerazioni politiche storiche ed etiche di Popper sulla società sono in stretta relazione con le sue teorie riguardanti il metodo scientifico e trovano la propria base nei criteri fondamentali che lo definiscono e lo costruiscono: la falsificabilità, il problema della base empirica della scienza, i gradi di controllabilità di una teoria, il concetto e la funzione della semplicità, la logica e il metodo della probabilità; il legame tra i due ambiti può essere ricostruito attraverso il richiamo diretto delle posizioni espresse nella Logica della scoperta scientifica.
Si rende di nuovo necessario un confronto. Bisogna richiamare le convinzioni di metodo e di teoria (gli assiomi, i postulati, le regolarità) su cui si fondano la ricerca e la produzione scientifica dominanti, riportarle alla luce come postulati espliciti e coglierne la fondatezza e la praticabilità per la scienza. In particolare, l’attenzione va a due convinzioni: 1. semplicità, 2. regolarità e parallele affermazioni di probabilità.
3.5.1.1. La dinamica ricorrente nella nascita storica di una legge scientifica fa leva su di un primo assioma o convinzione: la semplicità. Popper, in proposito, richiama una annotazione di M. Schlick: «anche se non fossimo in grado di spiegare che cosa realmente si intenda, qui, per “semplicità”, dovremmo tuttavia riconoscere che tutti gli scienziati che sono riusciti a rappresentare una serie di osservazioni mediante una formula molto semplice (per esempio, mediante una funzione lineare, quadratica o esponenziale) si sono immediatamente convinti di aver scoperto una legge». (Popper 1959, 139). La semplicità e il carattere estetico di una formula possono stare alla radice del suo diventar legge; la soddisfazione che ne ricava la teoria rischia però, in tal caso, di andare a discapito della sua base empirica e della sua stessa componente logica. La base empirica è scarsamente considerata nel suo ruolo di infinito falsificatore potenziale (occorre ricordare la relazione tra l’alto grado di falsificabilità e l’altro grado di contenuto empirico; più una teoria è falsificabile più parla del mondo), nel suo “disordine” e nella sua causalità. La componente logica e la sua presentazione secondo le forme della geometria e della matematica non affrontano e non portano a chiarezza l’ambivalenza che le caratterizza, la propria doppia natura e funzione, cioè non tematizza la differenza tra la funzione figurativa della matematica e quella simbolica: «Naturalmente il procedimento dovrà essere differente secondo che la teoria, come quella di Keplero, faccia effettivamente asserzioni di tipo geometrico intorno al mondo, o sia «geometrica» solo in quanto può essere rappresentata mediante un grafico, quale ad esempio il grafico che rappresenta la dipendenza della pressione dalla temperatura. Sarebbe improprio esigere da quest’ultimo genere di teoria, o dall’insieme di curve corrispondente, che la sua definizione debba essere invariante rispetto, poniamo, alle rotazioni del sistema di coordinate…» (Popper 1959, 135-136). «Configurazione geometrica e forma funzionale. La nostra teoria del concetto di semplicità ci mette in grado di risolvere un certo numero di contraddizioni che finora hanno reso dubbio se questo concetto avesse una qualsiasi utilità. Pochi considererebbero particolarmente semplice la configurazione [shape] geometrica, ad esempio di una curva logaritmica; ma di solito si considera semplice una legge che possa essere rappresentata per mezzo di una funzione logaritmica. Analogamente, si dice che è semplice una funzione seno, anche se forse la configurazione geometrica di una sinusoide non è poi così semplice.» (Popper 1959, 145)
3.5.1.2. Un secondo assioma e concetto ricorrente è espresso dalle formule: regolarità naturali e conseguenti gradi di probabilità. Le affermazioni sulla regolarità naturali (fisiche e sociali) e la definizione delle regolarità secondo leggi e, tendenzialmente, secondo formule matematiche, così come le affermazioni sulla probabilità, possono far riferimento a una doppia sede di attenzione: [1] una convinzione o il senso comune, [2] il ragionamento o un atteggiamento di carattere logico; di entrambi occorre mettere in evidenza i postulati per lo più impliciti.
3.5.1.2.1. il senso comune e la sua base empirica, nella generica sede del “buon senso” e dei discorsi di prammatica cortesia sociale (formule su cui campano sia profeti e santoni, sia l’infinito mondo delle lotterie e dell’azzardo [insomma, il mondo della truffa; ma anche quello della consolazione: «vedrai che tutto si sistemerà»…»]); Popper si chiede «In che modo possiamo spiegare il fatto che dall’incalcolabilità — cioè, dall’ignoranza — possiamo trarre conclusioni che siamo in grado di interpretare come asserzioni intorno alle frequenze empiriche.» (Popper 1959, 155). Chiarita una distinzione tra le “impostazioni soggettivistiche e interpretazioni oggettivistiche” (Popper 1959, 151) di una teoria della probabilità, nel senso comune tutto prende avvio, osserva Popper, da una impostazione soggettivistica della probabilità: «La più importante applicazione della teoria della probabilità è l’applicazione a quelli che possiamo chiamare eventi, o accadimenti, «casuali» [chance-like] o «a casaccio» [random]. Essi sembrano caratterizzati da un genere particolare di incalcolabilità che ci dispone a credere — dopo molti tentativi falliti — che nel loro caso tutti i metodi razionali noti debbano fallire. Abbiamo, per così dire, la sensazione che soltanto un profeta, e non uno scienziato, sia in grado di prevederli. E tuttavia proprio quest’incalcolabilità ci fa concludere che a questi eventi si può applicare il calcolo della probabilità. È ben vero che questa conclusione un tantino paradossale, dall’incalcolabilità alla calcolabilità (cioè all’applicabilità di un certo calcolo) cessa di essere paradossale se accettiamo la teoria soggettivistica, ma questo modo di evitare il paradosso è estremamente insoddisfacente. Infatti esso trascina con sé la teoria secondo cui, contrariamente a tutti gli altri metodi della scienza empirica, il calcolo della probabilità non è un metodo per calcolare predizioni. Secondo la teoria soggettivistica esso è semplicemente un metodo per compiere trasformazioni logiche di ciò che conosciamo già; o, piuttosto, di ciò che non conosciamo: infatti, compiamo queste trasformazioni proprio quando ci manca la conoscenza. È vero che questa concezione dissolve il paradosso, ma non spiega in qual modo un’asserzione d’ignoranza, interpretata come un’asserzione frequenziale, possa essere controllata e corroborata empiricamente. Questo, però, è proprio il nostro problema. In che modo possiamo spiegare il fatto che dall’incalcolabilità — cioè, dall’ignoranza — possiamo trarre conclusioni che siamo in grado di interpretare come asserzioni intorno alle frequenze empiriche, e che, alla fine, troviamo brillantemente corroborate in pratica?» (Popper 1959, 154-155).
Il tema è indicato con una espressione efficacemente lapidaria in una lettera che Popper invia ad Albert Einstein nel 1935: «il problema della probabilità soggettiva e del trarre conclusioni statistiche dalla nescienza.» (Popper 1959, 519) È qui preso in considerazione il vasto mondo delle conversazioni a conforto o di rassicurazione (e del loro contrario), affidato ad espressioni ricorrenti varie: “vedrai che tutto si risolve”, “mi auguro che…”, “abbi fiducia che prima o poi”, “prego Dio che…”, fino allo stesso educato “buongiorno” e “buonasera” o al fatidico “te l’avevo detto”; frasi indubbiamente augurali e di conforto (o di sconforto) ma che si reggono proprio sull’assenza o sulla ignoranza (dimenticata e magari opportunamente camuffata, visto il vasto mondo del malaugurio) di una probabilità di carattere oggettivo (e di carattere numerico o comunque quantificabile) e almeno statistico sul tema in oggetto.
«Soltanto una sequenza infinita di eventi — definita intensionalmente mediante una regola — potrebbe contraddire una stima probabilistica. Ma, alla luce delle considerazioni fatte nel § 38 (cfr. § 43) ciò significa che le ipotesi probabilistiche non sono falsificabili, perché la loro dimensione è infinita. Dovremmo perciò realmente descriverle come non-informative dal punto di vista empirico, come vuote di contenuto empirico.» (Popper 1959, 202) «Questi argomenti mostravano che, quando se ne permetta l’applicazione illimitata, le ipotesi probabilistiche perdono tutto il loro contenuto informativo. Il fisico non le userebbe mai così.» (Popper 1959, 213) «Una delle ragioni per cui non attribuiamo un grado positivo di corroborazione alle profezie tipiche dei salmisti e degli indovini è che le loro predizioni sono così caute e imprecise che la probabilità logica che siano corrette è estremamente alta.» (Popper 1959, 297). «… chi tiene la probabilità in alto pregio deve dire molto poco, o, meglio ancora, non deve dire nulla affatto: le tautologia manterranno sempre la probabilità più alta.» (Popper 1959, 299 nota).
3.5.1.2.2. il ragionamento logico e la sua base teorica probabilistica nella legge dei grandi numeri nel principio (o assioma o teorema) della convergenza che vi si collega. Per delineare un Progetto di una nuova teoria della probabilità (Popper 1959, 159), Popper si confronta in particolare (tra i molti richiamati) con le posizioni espresse da Richard von Mises (La teoria frequenziale di von Mises, Popper 1959, 156) e quelle di Jakob Bernoulli (La legge dei grandi numeri (teorema di Bernoulli), Popper 1959, 187, e il problema (l’assioma) della convergenza, Popper 1959, 192, legato al teorema di Bernoulli), per proporre, in forma conclusiva la propria tesi di metodo, critica e propositiva nei confronti del teorema della convergenza.
«Il teorema di Bernoulli asserisce che i segmenti brevi di sequenze «assolutamente libere» o casuali presenteranno spesso deviazioni relativamente grandi, e quindi fluttuazioni relativamente grandi, da p, mentre i segmenti più lunghi presenteranno, nella maggior parte dei casi, deviazioni da p sempre più piccole a misura che cresce la loro lunghezza. Di conseguenza, la maggior parte delle deviazioni nei segmenti sufficientemente lunghi diventeranno piccole a piacere; o, in altre parole, le grandi deviazioni diventeranno rare, a nostro piacere. […] Dunque, il teorema di Bernoulli asserisce che i segmenti più piccoli delle sequenze casuali presentano spesso larghe fluttuazioni, mentre i segmenti grandi si comportano sempre in un modo che suggerisce costanza o convergenza; in breve, che troviamo disordine e irregolarità nel piccolo, ordine e costanza nel grande. Proprio a questo comportamento si riferisce la «legge dei grandi numeri».» (Popper 1959,189-190) «…secondo il teorema di Bernoulli, solo quasi tutti i segmenti molto lunghi sono statisticamente stabili, cioè, si comportano come se fossero convergenti.» (Popper 1959, 212)
3.5.2. L’analisi critica di Popper e le segnalazioni sull’incontro possibile tra le due direzioni: senso comune e logica sono molto vicini nel condividere la fallacia dell’assioma della convergenza, che si rivela come una massima dell’ovvietà e come una tautologia empirico-logica. In altri termini: la critica all’attesa o all’ipotesi che «una sequenza matematica si approssimi a una sequenza empirica» o viceversa; «… ci occuperemo soltanto di quelle sequenze matematiche da cui ci aspettiamo (o intorno alle quali congetturiamo) che si approssimino, dal punto di vista delle frequenze, a sequenze empiriche aventi carattere casuale o a casaccio; queste, infatti, ci interessano di più. Ma l’aspettarsi (o il congetturare) che, per quanto riguarda le frequenze, una sequenza matematica si approssimi a una sequenza empirica, non è altro che formulare un’ipotesi — un’ipotesi intorno alle frequenze della sequenza empirica.» (Popper 1959, 175)
«Spesso si pretende di «derivare» stime probabilistiche – cioè predizioni di frequenze – da accadimenti passati che sono stati classificati e computati (quali le stime della mortalità). Ma da un punto di vista logico questa pretesa è del tutto ingiustificata. Non si sono fatte derivazioni logiche di nessun genere. Al massimo si è avanzata un’ipotesi non-verificabile, che nulla potrà mai giustificare logicamente: la congettura che le frequenze rimarranno costanti, e pertanto consentiranno l’estrapolazione. Anche le ipotesi di chances eguali sono ritenute «derivabili empiricamente» o «empiricamente esplicabili», da alcuni sostenitori della logica induttiva, che le credono basate sull’esperienza statistica, cioè su frequenze osservate empiricamente. Per parte mia, comunque, io credo che spesso, nel fare questa specie di stime ipotetiche di frequenza, siamo guidati soltanto dalle nostre riflessioni sul significato della simmetria, e da considerazioni simili. Non vedo nessuna ragione perché queste congetture debbano essere ispirate soltanto dall’accumulazione di una gran massa di osservazioni induttive; ma in ogni caso non annetto molta importanza a queste questioni, riguardanti le origini o «fonti» delle nostre stime. Quello che secondo me è più importante, è l’avere le idee ben chiare sul fatto che tutte le stime predittive di frequenza, compresa quella che possiamo ottenere da un’estrapolazione statistica — e certamente tutte quelle che si riferiscono a sequenze empiriche infinite — rimarranno sempre allo stato di mera congettura, perché oltrepasseranno sempre di molto tutto ciò che siamo autorizzati ad affermare sulla base delle osservazioni.» (Popper 1959,176-177) «…il fatto che le sequenze «assolutamente libere» sono statisticamente stabili potrebbe essere considerato come una conseguenza immediata della loro convergenza, che è stata assunta in forza di un assioma, se non implicitamente.» (Popper 1959, 192)
3.5.3. L’urgenza e la proposta: come conciliare regolarità e caso, matematica e disordine, ordine e libertà. Se, in generale, «Compito dello scienziato della natura è il cercare leggi che lo mettano in grado di dedurre predizioni.» (Popper 1959, 269) e «fa parte della nostra definizione delle leggi di natura il postulare che esse devono essere invarianti rispetto a spazio e tempo, ed anche il postulare che non devono avere eccezioni» (Popper 1959, 278), tuttavia occorre ricordare che «Le leggi che scopriamo sono sempre ipotesi: e ciò significa che possono sempre essere soppiantate, e possono essere dedotte da stime di probabilità.» (Popper 1959, 271). È certo che «negare la causalità sarebbe lo stesso che tentar di persuadere il teorico a rinunciare alla sua ricerca» ma «La credenza nella causalità è metafisica. Non è nient’altro che una tipica ipostatizzazione metafisica di una regola metodologica ben giustificata: la decisione dello scienziato di non abbandonare mai la ricerca di leggi.» (Popper 1959, 271). La tesi nuova, per conciliare l’esigenza della legge e l’esigenza della libertà (estremi di una “tensione essenziale” in cui si colloca il fare scienza) è che «è possibile dare regole matematiche per costruire sequenze che sono «assolutamente libere» nel nostro senso» (Popper 1959, 180), e ciò senza evocare leggi naturali costruite secondo un principio di convergenza, anch’essa naturale (magari asintotica ma necessaria e “inesorabile”, come evidenziano i “grandi numeri”), tra esperienza e ragione; leggi sulle quali finiscono per trovare le proprie basi di costruzione le prospettive dello storicismo e i nemici di una società aperta; qui infatti si riscontrano le radici dei nemici della società aperta: i sostenitori della teoria/legge della convergenza necessaria e indubitabile tra esperienza e ragione nella forma delle teorie costruite e dominanti. In modo esplicito le tesi e il progetto: «L’assioma di convergenza non è una parte necessaria dei i fondamenti del calcolo della probabilità.» (Popper 1959, 201). «La lezione che possiamo ricavare da tutto ciò è che dovremmo tentar di scoprire leggi rigorose — proibizioni — che possano fondarsi sull’esperienza. Tuttavia, dovremmo astenerci dall’emettere proibizioni che pongano limiti alle possibilità di ricerca.» (Popper 1959, 274)
3.5.3.1. ripresa critica. «Secondo me il grande risultato raggiunto da Bernoulli e Poisson nel campo della teoria della probabilità consiste precisamente nella scoperta di un modo per mostrare che questo supposto «fatto di esperienza» è una tautologia, e che dal disordine nel piccolo (purché questo soddisfi una condizione di libertà n opportunamente formulata) segue logicamente una specie di ordine stabile nel grande. Se riusciremo a dedurre il teorema di Bernoulli senza assumere un assioma di convergenza, avremo ridotto il problema epistemologico della legge dei grandi numeri a un problema di indipendenza assiomatica, e perciò a una questione puramente logica. Questa deduzione spiegherebbe anche perché l’assioma di convergenza funzioni piuttosto bene in tutte le applicazioni pratiche (nei tentativi di calcolare il comportamento approssimato di sequenze empiriche). Perché, anche se la restrizione a sequenze convergenti dovesse rivelarsi superflua, l’uso di sequenze matematiche convergenti per calcolare il comportamento approssimato di sequenze empiriche che, su basi logiche, sono statisticamente stabili non può certo essere improprio.» (Popper 1959, 195)
3.5.3.2. invito all’“epoché”. Disordine soggettivo e disordine oggettivo; casualità e causalità. Nella riflessione di Popper, almeno in questo passaggio, occorre abbandonare la tentazione di ridurre il disordine e il caso alla impossibilità di trovare una spiegazione; si tratterebbe allora di una casualità di carattere soggettivo; riduco il problema del caso e del disordine ad una situazione soggettiva, cioè all’incapacità della mente umana e della scienza (per ora) a trovare le cause necessarie e certe, considerate (nella loro linearità e regolarità, come oggettive e proprie della realtà in sé; (in altri termini ancora: non buttiamola sul soggettivo, magari a causa o sotto l’influsso o per il riaffiorare di nostalgie metafisiche). «In nessun caso, comunque, possiamo affermare in modo definitivo che in un campo particolare non esistono leggi. (Questa è una conseguenza dell’impossibilità della verificazione). Ciò significa che secondo il mio punto di vista il concetto di caso diventa soggettivo» e precisa in nota: «Questo non significa che io faccia, qui, concessioni a un’interpretazione soggettivistica della probabilità, o del disordine o casualità.» (Popper 1959, 220) Se nella sua prima versione (1934) Popper appare critico nei confronti di una dottrina del “caso” in senso oggettivistico, in quanto la considera viziata dal suo carattere metafisico, rimandando invece, in nota, al Postscript (Postscript: After Twenty Years) e nell’appendice VI, Disordine oggettivo, o casualità, afferma: «Per una teoria oggettivistica della probabilità e per le sue applicazioni a concetti quali il concetto di entropia (o di disordine molecolare), è essenziale dare una caratterizzazione oggettiva del disordine o casualità [randomness] come di un tipo di ordine. […] In queste circostanze sembra seducente il dire che la casualità o disordine non è un tipo di ordine che possa essere descritto oggettivamente, e che deve perciò essere interpretata come la nostra mancanza di conoscenza nei confronti dell’ordine predominante, ammesso che prevalga un ordine qualsiasi. Credo che si debba resistere a questa tentazione, e che sia possibile sviluppare una teoria che ci permette effettivamente di costruire tipi ideali di disordine (e, naturalmente, anche tipi ideali di ordine, e di tutte le gradazioni fra questi due estremi).» (Popper 1959, 401, 402)
3.5.3.3. dunque, la proposta. Introdurre il concetto di disordine e prendere in considerazione la casualità, senza rinunciare agli obiettivi essenziali e imprescindibili della scienza, la ricerca di leggi. «Ora la mia tesi è che soltanto quello che possiamo chiamare il «costituente essenziale» delle stime probabilistiche, e perciò soltanto l’esigenza del disordine, stabilisce una relazione logica tra le stime probabilistiche e le asserzioni-base.» (Popper 1959, 206) «Propongo perciò di sostituire al principio dell’esclusione del sistema di scommesse di von Mises l’esigenza meno stretta di «libertà assoluta», nel senso di libertà n per ogni n, e di definire in conseguenza le sequenze matematiche casuali, come quelle sequenze che soddisfano quest’esigenza. […] … cosicché è possibile dare regole matematiche per costruire sequenze che sono «assolutamente libere» nel nostro senso, e di qui costruire esempi. […] Può forse sembrar strano che si debba tentar di tracciare la fisionomia altamente irregolare delle sequenze casuali ricorrendo a sequenze matematiche che devono conformarsi alle regole più rigorose.» (Popper 1959, 179-180) [Per una matematica del disordine]
«La richiesta di libertà n per ogni n — richiesta di «libertà assoluta» — sembra anche accordarsi piuttosto bene con quello che la maggior parte di noi, consapevolmente o inconsapevolmente, crede vero delle sequenze casuali; per esempio, che il risultato del lancio successivo di un dado non dipende dai risultati dei lanci precedenti. (La pratica di scuotere i dadi prima del lancio è destinata ad assicurare questa « indipendenza»). […] Sequenza casuali. Probabilità oggettiva. Tenendo presente quanto è stato detto, propongo ora la seguente definizione. Si dice che una sequenza-evento, o sequenza-proprietà, in ispecial modo un’alternativa, è «casuale», o «a casaccio», se e solo se i limiti delle frequenze delle sue proprietà primarie sono «assolutamente liberi», cioè refrattari a ogni selezione basata sulle proprietà di una qualsiasi n-upla di predecessori.» (Popper 1959, 181)
«Fin qui i limiti delle frequenze non hanno avuto, nella nostra ricostruzione della teoria della probabilità, altra funzione che quella di fornire un concetto non ambiguo di frequenza relativa applicabile a sequenze infinite, cosicché ci sia possibile, col suo aiuto, definire il concetto di «libertà assoluta» (da retroeffetti).» (Popper 1959, 195), e parla di «sequenze idealmente casuali» (Popper 1959, 405)
3.5.4. La posta in gioco nella scienza (ricostruibile con una nota storica intorno alle tesi di una convergenza, possibile o reale, tra teoria ed esperienza, matematica e realtà) e la sfida lanciata da Popper: «adesso è possibile dedurre la legge dei grandi numeri all’interno della teoria frequenziale, senza usare l’assioma di convergenza.» (Popper 1959, 199); e in generale sul tema che Popper chiama: «l’interpretazione della probabilità in termini di propensione» (Popper 1959,341). I progetti del “fare scienza”, fin dalle loro prime formulazioni, affrontano il problema dell’incontro, e magari della coincidenza, tra il dato dell’esperienza e il disegno del mondo formulato dalla teoria. Una priorità viene data solitamente ai concetti e alle regole che la teoria ha formulato e l’intera prassi degli esperimenti è messa in campo allo scopo di dimostrare la validità oggettiva delle teorie scientifiche. Per una rapida ricognizione: Platone delineava l’ipotesi di un incontro tra mondo ideale e mondo reale presentando quest’ultimo in termini di copia, imitazione, partecipazione delle idee; Aristotele e la tradizione fisica presenta la tendenza di un corpo alla sede naturale del proprio elemento “nisi impediatur”; Galilei mostra le leggi della natura definite secondo regolarità se vengono “difalcati gli impedimenti” che ne impediscono l’osservazione, cioè costruendo esperimenti ideali (cui la realtà visibile tenderebbe)… Come se fosse in atto una convergenza asintotica tra mondo ideale e mondo reale, convergenza che legittima la lettura e il disegno geometrico/matematico del mondo di contro al disordine dell’esperienza, restia a comportarsi secondo le leggi e le equazioni matematiche che le esprimono. Popper mette in discussione la fondatezza e la utilità di teoremi della convergenza e lancia la sfida della possibilità di un rapporto diretto tra sequenze empiriche libere, a casaccio, e sequenze matematiche. Una sfida di metodo scientifico sul cui sviluppo e sui sistemi di ordine che è in grado di evidenziare e produrre, si colloca, nella sua più ampia funzione, il postulato della libertà.
3.5.4.1. Rimane una tendenza verso l’ideale (una realtà o situazione di ordine ideale) presente storicamente in quasi tutte le teorie scientifiche, esplicitabile con il teorema della convergenza, criticata da Popper nelle riserve avanzate nei confronti del teorema della convergenza, ma che compare nello stesso Popper (Postscript) sia pur in altri termini e certamente con altre sfumature; Popper la indica con le parole «teoria della propensione degli eventi». «Ora non ho più obiezioni da fare alla teoria secondo cui un evento può rimanere completamente indeterminato, e credo addirittura che la teoria della probabilità possa essere meglio interpretata come teoria delle propensioni degli eventi ad accadere in un modo o nell’altro, (Si veda il Postscript cit.), Tuttavia obietterei ancora al punto di vista secondo cui la teoria della probabilità deve essere interpretata così. Vale a dire, considero l’interpretazione in termini di propensione come una congettura intorno alla struttura del mondo.» (Popper 1959, 228 nota3) «Il punto decisivo è connesso con l’interpretazione della probabilità in termini di propensione, che ho discusso esaurientemente nel mio Postscript.» (Popper 1959, 404)
3.5.5. Il corrispettivo politico sociale delle riflessioni sulla probabilità, della critica al teorema della convergenza, dell’affermazione del concetto di caso e di disordine oggettivo, della piena libertà che tali spunti della teoria e della prassi scientifica mettono a disposizione della ricerca e, in generale, dell’agire umano: la società aperta. In polemica con i teorici della politica che rifiutano in blocco i sistemi realizzati dalle democrazie moderne, Popper invita a una serena valutazione delle forme di democrazia attualmente realizzate nei paesi anglosassoni: se esse non sono ancora società «aperte», possono facilmente diventarlo con opportune riforme; una volta rafforzate le forme di controllo dell’operato di governo e migliorati i sistemi di ricambio della classe politica, le moderne forme di democrazia potranno infatti presentarsi come società «aperte». Non altrettanto si può dire delle società delineate dall’ideologia rivoluzionaria di Marx o dall’utopia totalitaria di Platone: esse rifiutano modifiche parziali (in altre parole: riforme) affermando la necessità di mutare (cioè rivoluzionare) la totalità, lo stato nella sua interezza.
3.5.6. La Miseria dello storicismo. Queste dottrine, totalitarie, sono un prodotto della «miseria dello storicismo»: in nome della presunta conoscenza delle ferree leggi di svolgimento della storia, entrambe rivendicano a sé sole la capacità di annunciare la forma perfetta dello stato nel quale sono pienamente realizzati i bisogni degli uomini e il loro destino. La loro presunta «perfezione» esige naturalmente che siano «chiuse», immodificabili, e pertanto neghino ogni possibilità di controllo e dissenso. In queste società chiuse il governante cerca solo verifiche della sua perfezione, la scienza politica è solo un insieme di dogmi che non ammette di essere messo in discussione; nelle società aperte invece l’abilità del governante consiste nell'arte della falsificabilità (il miglior politico, scrive Popper, è quello che trova il maggior numero di errori nella sua opera di governo e si dimostra capace di correggerli per non ripeterli): la scienza e l’etica della politica consiste nel proporre «congetture e confutazioni» a sostegno della libertà.
3.6. Come un manifesto per «fare scienza»
Dalle pagine conclusive della Logica della scoperta scientifica.
«…un ultimo sguardo comprensivo dell’immagine della scienza e della scoperta scientifica, che è emersa dalla nostra indagine. (Ho in mente, qui, non già un’immagine della scienza in quanto fenomeno biologico, in quanto strumento di adattamento, o in quanto metodo indiretto di produzione: ho in mente gli aspetti epistemologici della scienza).
La scienza non è un sistema di asserzioni certe, o stabilite una volta per tutte, e non è neppure un sistema che avanzi costantemente verso uno stato definitivo. La nostra scienza non è conoscenza (episteme): non può mai pretendere di aver raggiunto la verità, e neppure un sostituto della verità, come la probabilità.
E tuttavia la scienza ha qualcosa di più che un semplice valore di sopravvivenza biologica. Non è solo uno strumento utile. Sebbene non possa mai raggiungere né la verità né la probabilità, lo sforzo per ottenere la conoscenza, e la ricerca della verità, sono ancora i motivi più forti della scoperta scientifica. […]
Il progresso della scienza non è dovuto al fatto che, coll’andar del tempo, si accumulano esperienze percettive in numero sempre maggiore. E non è dovuto al fatto che facciamo un uso sempre migliore dei nostri sensi. Per quanto industriosamente le raccogliamo e le scegliamo, da esperienze sensibili non interpretate non potremo mai distillare la scienza. I soli mezzi a nostra disposizione per interpretare la natura sono le idee ardite, le anticipazioni ingiustificate e le speculazioni infondate: sono il solo organo, i soli strumenti di cui disponiamo. E per guadagnare il nostro premio dobbiamo azzardarci ad usarli. Quelli tra noi che non espongono volentieri le loro idee al rischio della confutazione non prendono parte al gioco della scienza. […] Invece, dobbiamo essere attivi: dobbiamo «fare» le nostre esperienze. Siamo sempre noi a formulare le questioni da porre alla natura: siamo noi a tentare sempre di nuovo di porre queste questioni, in modo da ottenere un «sì» o un «no» ben chiari (perché la natura non ci dà una risposta, se non facciamo pressione per ottenerla). E alla fine, siamo ancora noi a dare la risposta: siamo noi che, dopo esami severi, decidiamo la risposta alla domanda che abbiamo posto alla natura, dopo lunghi e seri tentativi di ottenere dalla natura un «no» non equivoco. […]
Il vecchio ideale scientifico dell’episteme — della conoscenza assolutamente certa, dimostrabile — si è rivelato un idolo. L’esigenza dell’oggettività scientifica rende ineluttabile che ogni asserzione della scienza rimanga necessariamente e per sempre allo stato di tentativo. È bensì vero che un’asserzione scientifica può essere corroborata, ma ogni corroborazione è relativa ad altre asserzioni che a loro volta hanno natura di tentativi. Possiamo essere «assolutamente certi» solo nelle nostre esperienze soggettive di convinzione, nella nostra fede soggettiva.
Con l’idolo della certezza (compreso quello dei gradi di certezza imperfetta, o probabilità) crolla una delle linee di difesa dell’oscurantismo, che sbarrano la strada al progresso scientifico. Perché la venerazione che tributiamo a quest’idolo è d’impedimento non solo all’arditezza delle nostre questioni ma anche al rigore dei nostri controlli. La concezione sbagliata della scienza si tradisce proprio per il suo smodato desiderio di essere quella giusta. Perché non il possesso della conoscenza, della verità irrefutabile, fa l’uomo di scienza, ma la ricerca critica, persistente e inquieta, della verità. […]
La scienza non persegue mai lo scopo illusorio di rendere le sue risposte definitive, e neppure probabili. Piuttosto il suo progresso tende sempre verso lo scopo infinito, e tuttavia raggiungibile, di scoprire problemi sempre nuovi, più generali e più profondi, e di sottoporre le sue risposte, sempre date in via di tentativo, a controlli sempre rinnovati e sempre più rigorosi.» (Popper 1959, 308-311)
[Risuonano le parole con cui Einstein e Infeld concludevano l’opera L’evoluzione della fisica: «La scienza è un libro nel quale la parola «fine» non è, né sarà mai scritta. Ogni importante progresso fa nascere nuovi quesiti. Alla lunga ogni sviluppo conduce a nuove e più profonde difficoltà.» (Einstein Infeld 1938, 299); problemi e difficoltà sembrano segnare in positivo la logica dell’evoluzione della scienza nel suo farsi storico.]
Fonte: http://www.terzauniversita.it/corsi_14-15/dispense/corso26_lez8.doc
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