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Baudrillard e la società simulacro
Gonçal Mayos Solsona (Professore di Filosofia. UB)
Barcelona METROPOLIS Revista d’informació i pensament urbans
Núm. 78, Primavera 2010, pp. 36-40
(Tradotto da Mosè Cometta e supervisionato da Federico Sanguinetti)
Il filosofo francese Jean Baudrillard sostenne che il destino e la condizione delle società avanzate attuali è che qualsiasi fatto tende a degradarsi in quanto tale e a diventare uno spettacolo o un oggetto di consumo, a prescindere della sua veridicità o falsità. Informazioni ed interpretazioni, emesse e ricevute, si eguagliano in quanto meri simulacri della realtà.
La società avanzata attuale è caratterizzata da una doppia concentrazione umana: la concentrazione fisica in grandi città o enormi zone metropolitane e, parallelamente, la connessione telematica in grandi reti comunicative che potenzialiamente connettono tutto il pianeta in una sola “globalizzazione”. Questa doppia e intensissima interazione umana nelle città moderne e nella “telepolis” o “cosmopolis” globale che chiamiamo Internet è la chiave della condizione umana contemporanea e provoca fenomeni significativi.
Da una parte, oggi si constata l’ideale umanista che Terenzio formulò: “Sono umano, e niente dell’”umano” mi è estraneo”, se non altro perchè niente del “carattere umano” (o che riguarda gli altri esseri umani) ci è veramente estraneo, cioè, non ci riguarda o ci lascia indifferenti. Dalle nuove pandemie fino all’attuale crisi economica globale, si constata il rischio (come dice il sociologo Ulrich Beck) che qualsiasi cosa - anche quella che sembra più lontana - ci riguarda, oltretutto, con una gran velocità e conseguenze imprevisibili. Che piaccia o no, siamo più che mai “una umanità”, senza compartimenti stagni, siamo un “villaggio globale” (Mc Luhan) tanto telematicamente quanto fisicamente.
Senza dubbio, l’enorme concentrazione umana in pullulanti metropoli e in un’unica rete non sempre ha facilitato la comprensione intraumana né, tantomeno, l’intellezione di quel che possiamo denominare “realtà”, né un vincolo empatico con una “verità” che si emani da quella. Paradossalmente, la globalizzazione telematica, economica, tecnologica o turistica sembra allontanarci violentemente dal “mondo”, dalla “realtà” o “verità delle cose”, più che avvicinarci delicatamente a loro. Questo è forse il più grande paradosso della società avanzata centrata nelle tecnologie della comunicazione della “società della conoscienza”, della “società postmoderna”...
Questo è, in altri termini, quello che affascinava il filosofo francese Jean Baudrillard. Oggi si celebrano gli ottant’anni della sua nascita. Molto più radicale e conseguente della maggior parte dei suoi coetanei, Baudrillard definì l’interferenza costante di qualsiasi traccia di “verità” come la caratteristica chiave delle società avanzate. La circolazione sempre più accelerata di informazioni e lo scontro costante delle infinite interpretazioni (e anche delle manipolazioni coscienti) tendono a eguagliarle in forma di “simulacri”. Svanisce la distinzione tra il veridico e il falso; come nella caverna platonica ci sono solo immagini tra immagini, opinioni contro altre opinioni, informazioni diverse, ma non “La Verità”.
E ancora, Baudrillard insiste nel fatto che nelle società avanzate attuali qualsiasi fatto, “realtà” o “verità”, tende a degradarsi, sia già come spettacolo o come consumo, sia, indistintamente, come entrambe le cose. Per questo, attualmente, tanto la città come Internet cadono sotto il segno del consumo e dello spettacolo; addirittura la cultura si vive necessariamente come un fatto spettacolare e un processo consumistico, con i suoi modi, i suoi miti, i suoi brevi istanti di gloria - Warhol - che assegna gratuitamente con la stessa velocità con cui consegna all'oblio.
Secondo la teoria del simulacro di Baudrillard, questo è il destino e la condizione dell’attuale società simulacro. In essa domina una mera apparenza di verità che, oltretutto, nasconde il fatto di essere una semplice apparenza e, così, distoglie l’attenzione dall’unica “realtà” o “verità” possibile, che è precisamente il simulacro. Baudrillard dice: “Il simulacro non è ciò che occulta la verità. È la verità ciò che occulta che non esiste una verità”. Il simulacro - quando sa di esserlo - non inganna, è ciò che è (nella propria epifania, come direbbe la Religione). L’inganno ha luogo quando si vuol far passare un simulacro per una verità; più radicalmente, quando si dice che esiste la verità, e non il simulacro.
Come arrivò Jean Baudrillard a queste idee così radicali e nichiliste? Certamente, teorizzando a proposito del fatto che le società avanzate sembrano sempre più legate all’esperienza del simulacro, ad essere società simulacro. Però anche traendo le conseguenze più estreme e nichiliste dalla ricca, sovversiva e radicale generazione filosofica alla quale appartenne. Tutti nati un’ottantina di anni fa, nei frivoli ma anche oscuri anni Venti e all’inizio degli anni Trenta, tutti segnati dal crac del 1929 e dalla nascita del nazismo, del gulag stalinista, dalla Guerra civile spagnola.
Era un’epoca abbastanza simile all’attuale: la “camuffata” ma già relativamente antica crisi sociale irrompe spettacolarmente nelle coscienze attraverso il profondo crac economico e i fatti mondiali come l’attentato contro le Torri Gemelle; a partire da questo momento, un panico generalizzato sembra disposto a sacrificar tutto in cambio di “sicurezza”, “stabilità economica”... o un simulacro credibile di queste idee.
Maestri del pensiero della gioventù radicale
Queste esperienze marcarono profondamente la generazione di Jean Baudrillard (1929-2007). Tra i più prossimi, menzioneremo i geniali analisti della condizione contemporanea (di poco più vecchi): Jean-François Lyotard (1924-1998), Gilles Deleuze (1925-1995), Michel Foucault (1926-1984) e il nordamericano Andy Warhol (1928-1987), e i poco più giovani: Jacques Derrida (1930-2004), Pierre Bourdieu (1930-2002) e Guy Debond (1931-1994).
Significativamente, tutti loro sono morti relativamente poco fa e senza dubbio continuano ad essere tra gli analisti più citati della critica alla società avanzata , alla cultura di massa, alla condizione contemporanea... e continuano ad essere “maestri del pensiero” della gioventù radicale.
Apparentemente a due anni dalla propria morte, Jean Baudrillard sembra il più dimenticato, nonostante il fatto che incarnò la critica più radicale, iconoclasta e nichilista. Ricordiamo che Baudrillard aveva scelto il ruolo - tanto difficile quanto riconosciuto e transitato nel mondo culturale francese - di diventare un radicale “critico dei critici”. Egli prese nota delle analisi della propria generazione, già radicali, per trarre da loro conclusioni ancora più radicali. Insisteva nell'invocare il sospetto sui molti sospetti della sua generazione. Questo tentativo non era per niente facile; se già era difficile assumere critiche di pensatori come Lyotard, Warhol, Debond o Foucault, le radicalizzazioni iperboliche di Baudrillard sembravano deliranti.
Oltretutto, Baudrillard proveniva da una famiglia di condizioni umili, si muoveva ai margini del mondo intellettuale francese e possedeva una formazione apparentemente più eclettica che solida. Mischiava studi letterari, semiotici, strutturalisti, marxisti, di teoria della comunicazione, addirittura del teatro dell’assurdo (Alfred Jerry) o del teatro della crudeltà di Antonin Artaud. Poco a poco, senza dubbio, Baudrillard riuscì a incarnare il modello dell’outsider che conquista un posto centrale nel dibattito intellettuale grazie al coraggio e alla polemica.
Si consacrò giocando a denunciare i grandi nomi della propria generazione come compagni di viaggio che erano rimasti a metà del cammino, o come critici inconseguenti che finivano tremando e cedendo di fronte alla logica del propri pensieri. Come un alter ego di Nietzsche, anche se più mondano e meno solitario, Baudrillard utilizza una critica generalizzata molto simile, nichilista e radicale. Soprattutto adatta la critica nietzscheana alla società del consumo e dei mass media, che considera come una “società simulacro”. Baudrillard affronta un radicale “scambio simbolico” che vuole sovvertire il sistema mediante la “sistematica radicalizzazione di tutte le ipotesi” e imponendo a tutti i “modelli” o “simulacri” una reversibilità minuziosa (Lo scambio simbolico e la morte, 1976).
Affrontando tanto i conservatori come i progressisti, Jean Baudrillard diventò sociologo a Nanterre contro l’onnipresente e dominante Bourdieu. Partecipò nell’Internazionale Situazionista nel maggio ‘68 insieme a Debond, ma andò oltre e sviluppò un’opera più completa. Nonostante la dalla propria vicinanza, sfiderà il marxismo proclamando che la nuova base dell’ordine sociale è il consumo e non la produzione (La società dei consumi, 1970, e Per una critica dell’economia politica del segno, 1972).
In un gesto spettacolare che, oltretutto, intuisce la fine dello strutturalismo francese, identifica e attacca con acutezza il pensatore più radicale, sistematico e potente del momento: Michel Foucault. Baudrillard si fa conoscere al grande pubblico con il libro Dimenticare Foucault (1977). Una volta ancora, cerca di superare il critico (Foucault), denunciando il fatto che costui ha falsificato o tagliato la propria critica, e che lo ha fatto in base al vecchio idolo della “volontà di verità”. Baudrillard denuncia Foucault perchè costui tuttavia - dice - nella “Verità” come assoluto, identificandola con le relazioni di potere e con il potere configuratore del potere (se mi si permette il gioco di parole).
Significativamente, Foucault non nega di disprezzare Baudrillard, accusandolo di polemizzare con l’unico scopo di cercare la fama, in un gioco completamente frivolo. In un certo senso, Foucault ha ragione; ma Baudrillard considera dimostrata la propria tesi e la propria superamento critica del critico più radicale che si è inginocchiato davanti all’idolo “Verità”. In tutti i casi, il mondo mediatico consacra il gesto di Baudrillard di sfidare il mostro intellettuale più grande del momento, addirittura riconosciuto nel mondo anglosassone.
Ora Baudrillard sembra più libero e sicuro nel generalizzare la propria analisi agli aspetti più vari e peculiari della cultura contemporanea e alle società avanzate, cioè alla società simulacro. Quindi, come un nuovo Tocqueville, affronta la grande sfida di analizzare la potenza mondiale (Stati Uniti) e la grande metropoli (New York), culmine delle contraddizioni e fel fascino della società attuale. In America (1986), Baudrillard teorizza con gran acutezza il mondo che Andy Warhol seppe vivere e plasmare in modo tanto geniale quanto intuitivo.
Baudrillard trova nel mondo nordamericano la manifestazione più scarna della minaccia che si occulta dietro le metropoli attuali, la metropoli fisica e la “cosmopolis” telematica: fuggire dal simulacro per cadere nell’”iperrealtà”. Così, afferma che una dialettica fatale segna la ricerca affannosa della perfezione corporale e l’eterna gioventù, della moda cool, addirittura nella “conoscenza” e nell’informazione, senza che importi a nessuno se si riesce a raggiungere un simulacro che non si riconosce come tale, una finzione, o, ancora peggio, qualcosa degradato a mero consumo e spettacolo.
Nella deriva verso analisi ogni volta più popolari e mediatiche, Baudrillard, insiste sul fatto che le società avanzate sono il mondo del simulacro per il simulacro. Solo questo è interessante e degno di esser teorizzato, e il metodo corretto è riconoscerlo così. Nell’apice della sua popolarità si arriva ad affermare che addirittura il popolare film Matrix (1999) sarebbe segnato dal suo pensiero. Baudrillard lo nega: la sua società del simulacro non è identificabile con l’inganno universale al quale condanna l’umanità la macchina “reale e veridica” Matrix, e la liberazione che si propone risulta francamente ridicola.
Dalla realtà al simulacro
Già perseguitato da un’interpretazione banale della propria teoria del simulacro, nel 1991 Baudrillard aveva pubblicato uno dei suoi interventi più polemici sull’attualità: il libro Guerra virtuale e guerra reale. Riflessioni sul conflitto del Golfo. Sviluppando un famoso aforisma di Canetti, approfondisce nell’inevitabile trasformazione a mero simulacro di tutto quello che è rivelato attraverso i mass media e le nuove tecnologie dell’informazione. Commenta la famosa “trasmissione in diretta” dei bombardamenti di Bagdad della CNN, che, sicuramente, finiva degradata a una specie di pessimo gioco del computer. Si pretendeva mostrare l’avvenimento storico in diretta tessendo delle sfumate traiettorie luminose in cielo, qualche fuoco lontano di ipotetici missili, ma nessun senso né “avvenimento umano”. La morte e i morti, il sangue e la sofferenza erano totalmente tagliati fuori; la vita e la morte erano state ridotte a un videogioco.
Fortemente criticato per questo libro, che pochi lessero, Baudrillard non diminuì la propria intensità nelle analisi mediatiche di impatto massificato. In parte per colpa sua, in parte per il personaggio nel quale si era trasformato e, in gran parte, perchè i tempi stavano cambiando drasticamente, le critiche alle sue analisi si accentuavano. Il momento politico era angoscioso, nuove forme di nichilismo radicale emergevano all’orizzonte e molta gente era stanca delle derive postmoderne. Tutto questo andava contro Baudrillard, che giocava a radicalizzare tutto nonostante la sua teoria del simulacro sembrasse - e in un certo senso lo era - la quintessenza della postmodernità, del nichilismo, del relativismo e del cinismo contemporanei.
È significativo che, quando analizzò l’11 settembre (nel quale si erano comunque sottratti i cadaveri e la sofferenza, non permettendo la circolazione di foto, ecc.), dovette riconoscere la malvagità del terrorismo internazionale.
In una svolta che sorprese molti dei suoi lettori, considerò quell’attentato come un “avvenimento assoluto” (Requiem per le Twin towers, 2002 e Lo spirito del terrorismo, 2002). Baudrillard sembra ammettere che almeno il male allo stato puro - anche se solo per qualche istante - rompe la società simulacro e tutta la sua strategia, con una presenza così massicia come quella di Auschwitz. Jean Baudrillard recupera per qualche istante Adorno e Primo Levi.
Nonostante ciò, Baudrillard non dimentica che le società avanzate si convertono in “società simulacro”, fatalmente catturate da dinamiche che non possono evitare in quanto sono costitutive (Le strategie fatali, 1983). Affascinate dall’infinita potenza della seduzione (Della seduzione, 1979) che permette di “dominare l’universo simbolico” in mille modi, le società avanzate non possono allontanarsi da lei, e le loro verità si fondano solo in questa illusione che le attraversa e diventa, così, la loro grande forza produttiva (Simulacri e simulazioni, 1981, e L’illusione della fine,1992).
La conoscenza, nel centro della produzione e del consumo
L’attuale società della conoscenza basa in quest’ultima (ricorda Baudrillard) il grande settore della produzione e del consumo; il centro di tutta l’offerta e di tutta la domanda. Oggi sappiamo - appena due anni dopo la sua morte - che dalla macchina centrale di fabbricazione di sogni e finzioni (la vera Matrix), esemplificata in Hollywood, che la televisione ha convertito in oggetto di consumo universale, nascono infinite nuove fonti di simulacri: un esempio chiaro sono Youtube e Twitter.
Molto vicino a Baudrillard si dimostra anche il giovane artista danese Olafur Eliasson: “Siamo testimoni di un cambiamento nella relazione tradizionale tra la realtà e la rappresentazione. Già non evolviamo dal modello alla realtà, ma dal modello al modello, e allo stesso tempo riconosciamo che, in realtà, tutti i modelli sono reali. In conseguenza, possiamo lavorare in modo molto produttivo con la realtà sperimentata come conglomerato di modelli. Più che considerare il modello e la realtà come modalità polarizzate, oggi funzionano allo stesso livello. I modelli (i simulacri) sono diventati coproduttori della realtà”.
L’impatto della teoria del simulacro di Baudrillard non sembra esser morta con lui. Come diceva Nietzcshe del nichilismo: il più sinistro di tutti gli ospiti è venuto per restare. Apparentemente, questo non preoccupava Baudrillard, dato che, come diceva, uno è fatalmente sedotto dal “prodursi come illusione”, cosa importa “morire come realtà? Apparentemente alcuni “avvenimenti assoluti” sembravano aver rotto questa poca preoccupazione e, addirittura, aperto la possibilità di svegliarsi dal sogno fatale, dalla così seduttora come fatale strategia onnipresente nella nostra società del simulacro, come la teorizzò Baudrillard.
Viene da chiedersi però, se è possibile che ci sia un risveglio... per quanto tempo? Fino a che punto? Si può evitare di ricadere sotto altre illusioni equivalenti o addirittura peggiori?
Fonte: http://www.ub.edu/histofilosofia/gmayos_old/PDF/BaudrillardSimulacroItaliano.doc
Sito web da visitare: http://www.ub.edu
Autore del testo: indicato nel documento di origine
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