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L’idea totalitaria nel pensiero filosofico
1.Premessa: motivazioni della scelta tematica
Il modulo intende presentare ed analizzare uno degli aspetti salienti e controversi della filosofia: L’Idea totalitaria nel pensiero filosofico.
Lo svolgimento del modulo presuppone nello studente il possesso delle categorie fondamentali del pensiero antico e moderno, con particolare attenzione all'ambito politico, come riferimento costante per l'individuazione e comprensione dell'entità e della peculiarità del cambiamento. Gli alunni dovranno pervenire ad una chiara consapevolezza dei diversi modelli di concezione dello Stato e della libertà in cui iscrivere pensatori, opere e concetti del passato e del presente.
Tutto questo nella finalità più generale di offrire agli alunni uno strumento critico di lettura della mentalità e della cultura contemporanea, con particolare riguardo allo status odierno della problematicità e al suo ruolo nella vita dei singoli e delle società. Tale percorso può coerentemente inserirsi in una cornice tematica più ampia.
La lettura di frammenti o brani di filosofi più significativi, da Eraclito a Marx, consente di cogliere alcuni passaggi particolarmente significativi nello sviluppo del pensiero in questo campo. Tra questi, è sembrato utile ai fini didattici il passaggio rappresentato dalla trasformazione dei problemi classici della libertà e della giustizia, del rapporto tra la sfera dell'individuo e quella del pubblico potere. Si vedono infatti confluire in questo percorso il pensiero antico, quello dell’età moderna e il pensiero contemporaneo, si nota altresì come questa tradizione, attraverso l'elaborazione del concetto di Stato, ha dato vita, da una parte, alla figura filosofica dello Stato come Soggetto universale e totalità comunitaria e, dall'altra parte, alla categoria della cittadinanza come prerogativa del singolo di fronte al potere.
Questi temi, in quanto evidenziati dalla lettura analitica dei brani prescelti, daranno agli alunni l'occasione di riflettere sui concetti più rilevanti elaborati dalla filosofia e, insieme, di osservarne la connessione all'esperienza storica di quell'età. Ciò del resto corrisponde a quanto prescritto dai programmi ministeriali, sia quelli ancora in vigore dal 1947 sia quelli recenti di carattere sperimentale, che portano il nome della Commissione Brocca. Questi ultimi esplicitano tra le finalità l'acquisizione dell'attitudine storico-problematica, e tra gli obiettivi didattici la ricerca del legame che i testi filosofici hanno con il contesto storico oltre che con la tradizione filosofica. Inoltre sottolineano, tra gli avvertimenti metodologici, l'opportunità di "condurre gli allievi al pensiero e al linguaggio filosofico assicurando la continuità tra la loro esperienza di giovani e la tradizione culturale".
In tal modo, i programmi intendono assicurare all'apprendimento della filosofia nei licei lo spessore della storicità, intesa come prospettiva che dall'interrogativo presente si dirige alla profondità del passato e da questa, circolarmente, ritorna al presente, mostrando la continuità dell'esperienza ma anche l'aprirsi di sempre nuove possibilità per il sapere e per l'agire umani. A tale dimensione storica della riflessione filosofica è particolarmente affidato, nei programmi ministeriali, il contributo che questa disciplina può dare alla formazione dei giovani studenti in quanto futuri cittadini di una società democratica, chiamati ad esercitare un pensiero critico, problematico, aperto allo scambio nella pluralità delle relazioni intersoggettive, flessibile di fronte alle rapide trasformazioni del mondo contemporaneo.
Destinato particolarmente al quinto anno di corso liceale, il percorso proposto ha inoltre lo scopo didattico di fornire agli studenti l'occasione per coordinare, attraverso una sintesi filosofica, le discipline umanistiche (letteratura italiana, storia e filosofia) che si riferiscono in questo anno di corso all'età moderna e contemporanea. Occorre inoltre tener presente che all'insegnante di storia è affidato anche l'insegnamento di educazione civica, il quale deve tra l'altro riportare, secondo quanto prescritto dai programmi, lo studio della Costituzione italiana alle sue radici storiche: a questo scopo le letture proposte forniscono con tutta evidenza un supporto rilevante.
Ovviamente la tesi adottata, che verrà esposta in questo incontro, è solo una delle possibili linee di interpretazione, ma sembra meglio di altre consentire il collegamento tra gli scritti prescelti, perché mette in evidenza alcuni nodi problematici comuni cui i loro autori danno differenti risposte. A partire da questi nodi è anche possibile compiere diverse operazioni di ricerca e di approfondimento, sia attraverso il riferimento ad altri filosofi o scrittori del tempo, sia attraverso confronti con pensatori dell'antichità. E' possibile inoltre cogliere non pochi richiami a problemi della vita civile e politica del nostro tempo.
Si ritiene di grande rilevanza la focalizzazione, di una rivisitazione storica-filosofica, del problema filosofico del totalitarismo, del rapporto fra verità e potere, anche in un’ottica di apertura interdisciplinare alla storia del Novecento e all’Educazione civica e ad altre discipline.
Il tema prescelto ha in sé una grande valenza formativa ed evidenzia la funzione orientante della filosofia anche in relazione alla scoperta del senso degli altri saperi disciplinari e alla maturazione di capacità di auto-orientamento degli studenti.
L’analisi del rapporto tra totalitarismo e filosofia si giustifica con la necessità di evidenziare la dimensione storica e problematica della filosofia, che implica la valorizzazione e l’interrogazione del passato a partire dall’orizzonte di precomprensione del presente.
Inoltre, consente di curvare con flessibilità i contenuti alla specificità degli indirizzi di studio e alla peculiarità delle condizioni didattiche, anche sulla base del feedback scaturito dal dialogo educativo.
Il percorso organizza autori, testi, nuclei tematici, l’uso di strategie e di tecniche didattiche per consentire un’esperienza di filosofia centrata sul testo e sul dialogo con gli autori.
La pluralità degli approcci e degli stili cognitivi, delle opzioni contenutistiche e valoriali degli autori, attivano negli studenti processi e atteggiamenti di riflessione e di valutazione critica tipici del filosofare.
Si distinguono pertanto le operazioni e i processi messi in atto al fine di rendere possibile una fruizione del modello sotteso al percorso stesso, a prescindere dai contenuti. Ciò rende il modello generalizzabile e trasferibile in contesti didattici differenti.
Sussiste un’interna connessione fra la riflessione di Popper e la Arendt sulla democrazia e la loro analisi interpretativa del pensiero di Platone. Infatti questi filosofi ritengono Platone il teorico paradigmatico della tradizione antidemocratica e totalitaria.
Popper non ricostruisce filologicamente il pensiero di Platone, ma ne opera una interpretazione-deformazione. Alla luce del fatto che l’interpretazione del passato da parte di un autore contemporaneo non può cancellare l’alterità storico-culturale del suo interlocutore, l’approccio diretto al testo platonico consente di restituire l’identità e la diversità al pensiero del passato, fornendo agli studenti un esempio di “pensiero filosofico in formazione” in un rapporto di circolarità ermeneutica fra autori. Mentre per la Arendt la vera natura del totalitarismo viene delineata come una nefasta combinazione di determinismo dialettico e soggettivismo metafisico. Ambedue le tesi interpretative vengono trattate in modo analitico.
I temi e i problemi in oggetto assumono senso e rilevanza all’interno del tessuto dinamico della tradizione storica della filosofia. Il presente e il passato, opportunamente contestualizzati, sono in rapporto di dialogo continuo. L’orizzonte di precomprensione del presente orienta l’attività di lettura e di interpretazione del passato, che ha un valore in sé e un valore storico.
2.Ipotesi interpretativa: K. Popper
Popper teorizza un modello democratico di società aperta contrapponendolo a quello autoritario e totalitario della società chiusa della quale ritiene Platone autore paradigmatico.
Platone nell’interpretazione di Popper, è il promotore della reazione contro la società aperta della democrazia ateniese; è il teorico di uno stato ideale che dovrebbe significare l’arresto di qualsiasi mutamento socio-politico; è il teorico dello stato pietrificato strutturato su di una rigida divisione delle classi e sull’esclusivo dominio del filosofo-re, i quali educati istituzionalmente dallo stato, tutelano lo stato stesso dalla decadenza, nel senso che impediscono i movimenti politici, dal momento che il movimento politico per Platone, non può non portare, in base alla legge di sviluppo storico- che, per Platone, è legge di decadenza-, che alla caduta e alla degenerazione: è lo stato il cui destino si identifica con quello della classe dominante; è lo stato del privilegio, della censura, del razzismo e del terrore.
Popper non dubita minimamente che il programma politico di Platone sia un programma tribale e totalitario: tribalismo, totalitarismo e utopismo legati alla sua fede storicistica in una legge di decadenza. C’è, per Platone, un gruppo che deve comandare, perché fatto di uomini (i filosofi-re) che vedono verità e giustizia, e che, pertanto, sono legittimati a ricondurre gli altri sul “retto sentiero”.
E il retto sentiero, per Platone, non è- come sarà invece per Hegel e Marx- la via del futuro: è piuttosto la via che porta al passato, agli archetipi, alle idee. Quindi bisogna bloccare il mutamento.
Secondo Popper tutto ebbe inizio dal primo pensatore greco che introdusse la dottrina storicistica, Esiodo, egli ricorse all’idea di una direzione o tendenza generale dello sviluppo storico. La sua interpretazione della storia è pessimistica, egli crede che il genere umano, nel suo sviluppo a partire dall’età dell’oro, è destinato a degenerare tanto fisicamente quanto moralmente. Platone però oltre che da Esiodo ed altri pensatori, fu principalmente influenzato da Eraclito che scoprì l’idea di mutamento.
Il nuovo punto di vista da lui introdotto , fu che non esisteva nessuna struttura stabile , nessun cosmo (D2). La scoperta di Eraclito influenzò per lungo tempo lo sviluppo della filosofia greca. Le filosofie di Parmenide, Democrito, Platone e Aristotele possono essere tutte considerate come tentativi intesi a risolvere i problemi di questo mondo in divenire che Eraclito aveva scoperto. Eraclito è stato anche il primo filosofo che s’occupò non solo della natura ma anche, e più ancora, di problemi etico-politici, visse in un’epoca di rivoluzione sociale, fu in quest’epoca che le aristocrazie tribali greche cominciarono a cedere alla nuova forza della democrazia, Eraclito ebbe un atteggiamento antidemocratico e conservatore. (D3-4). Nella filosofia di Eraclito si manifesta una delle meno lodevoli caratteristiche dello storicismo, cioè un’insistenza eccessiva sul cambiamento, combinata con la complementare credenza in una inesorabile e immutabile legge del destino.
Questa insistenza lo porta a formulare la teoria che tutte le cose materiali, sono come fiamme; che esse sono processi piuttosto che cose, e che sono tutte trasformazioni del fuoco (D5-6). Insieme all’idea storicistica troviamo sia l’elemento irrazionale sia quello mistico, il disprezzo di Eraclito per scienziati di orientamento più empirico è tipico di coloro che assumono questo atteggiamento (D7-8).
Platone , come Eraclito, avvertì che le forze che sono all’opera nella storia sono cosmiche: ogni mutamento sociale è corruzione o degenerazione. Platone credeva a differenza di Eraclito, che la legge del destino storico, la legge del decadimento potesse essere infranta dalla volontà morale dell’uomo, sostenuta dalla forza della ragione umana. Credeva che la legge di degenerazione implicasse la degenerazione morale. La degenerazione politica in ogni caso dipende, a suo giudizio, soprattutto da degenerazione morale (e da insufficiente conoscenza); e la degenerazione morale, a sua volta è dovuta soprattutto a degenerazione razziale. Questo è il modo in cui la legge cosmica di decadimento si manifesta nel campo delle vicende umane. Egli credeva in una tendenza storica verso la corruzione e nella possibilità per noi di interrompere l’ulteriore processo di corruzione nel campo politico arrestando ogni cambiamento politico. Questo è lo stato perfetto , ideale, è lo stato dell’Età dell’Oro che non conosce cambiamento alcuno. E’ lo Stato pietrificato. Credendo in siffatto stato che non è soggetto a cambiamento, Platone si allontana radicalmente dai presupposti dello storicismo che troviamo in Eraclito. Ma, per quanto sia grande questa differenza, ci sono tuttavia altri punti di convergenza fra Platone ed Eraclito. Platone credeva che ad ogni genere di cose comune o decadente corrispondesse anche una cosa perfetta che non è soggetta a decadimento. Questa credenza nell’esistenza di cose perfette e immutabili, abitualmente chiamata la Teoria delle idee o delle forme, divenne il nucleo centrale della filosofia di Platone (D9). Egli era profondamente impressionato dalla dottrina di Parmenide di un mondo immutabile, reale, solido e perfetto dietro questo mondo illusorio nel quale soffriva; ma la concezione Parmenidea non risolveva i suoi problemi finché quel mondo restava irrelato col mondo delle cose sensibili (D10). Quella che egli perseguiva era la conoscenza, non l’opinione; la pura conoscenza razionale di un mondo che non cambia, ma, nello stesso tempo, una conoscenza che potesse essere usata per capire questo mondo mutevole, e soprattutto questa mutevole società, il mutamento politico con le sue strane leggi storiche, Platone aspirava a scoprire il segreto della suprema conoscenza della politica, dell’arte di governare gli uomini. Socrate venne in soccorso di Platone, nella ricerca del significato o dell’essenza in un metodo di determinazione della reale natura, della forma o idea di una cosa (ti ésti), Socrateper primo cercò di definire l’universale.
La conoscenza delle forme e delle idee soddisfaceva a questa esigenza, perché la Forma era in relazione con le sue cose sensibili come un padre lo è con i suoi figli. La Forma era il modello responsabile delle cose sensibili e quindi si poteva far riferimento ad essa in importanti problemi relativi al divenire del mondo.
Questa teoria ha almeno tre funzioni diverse nella filosofia di Platone:
Platone sostiene che il cambiamento è male e che le quiete o stasi è divina (D11).
In Platone vediamo che la teoria delle Forme o Idee implica una certa direzione dello sviluppo del mondo in divenire. Essa porta alla legge che la corruttibilità di tutte le cose in questo mondo deve crescere continuamente. Vale a dire che il pericolo o probabilità della corruzione cresce, ma non sono esclusi sviluppi eccezionali nella direzione opposta. E’ evidente che questa teoria può essere applicata alla società umana e alla sua storia. La teoria delle Forme e idee oltre che essere un esigenza metodologica serve a Platone per determinare la direzione delle istanze politiche e anche i mezzi della loro realizzazione. La grandezza di Platone come sociologo non sta nelle sue generali e astratte speculazioni sulla legge della decadenza sociale; sta invece nella ricchezza e nei dettagli delle sue osservazioni e nella stupefacente acutezza della sua intuizione sociologica. Egli vide cose che non erano state viste prima di lui e che sono state riscoperte soltanto ai nostri tempi. Per esempio la teoria delle remote origini della società, del patriarcato tribale. Un altro esempio ci è offerto dallo storicismo sociologico ed economico di Platone, dalla sua insistenza sull’importanza del fattore economico nella vita e nello sviluppo storico, teoria riproposta poi da Marx sotto il nome di “Materialismo storico”.
La formula marxiana (D12), si adatta allo storicismo di Platone che a quello di Marx.
Ciò si evince nelle quattro fasi nella storia della degenerazione politica elencate da Platone nell’ordine della perfezione: timocrazia, oligarchia, democrazia, tirannia. Platone si proponeva di elaborare un sistema di periodi storici governato da una specifica legge dell’evoluzione; egli mirava ad una teoria storicistica della società. Questo tentativo fu ripreso più tardi da Rousseau da Comte, Mill, Hegel e Marx. Però mentre Platone condanna lo sviluppo che descriveva, questi autori moderni lo esaltano, perché credono in una legge del progresso storico.
Il risultato di queste fasi porta Platone a scoprire la legge sociologica che la disunione interna, la lotta di classe fomentata dall’antagonismo degli interessi economici di classe, è la forza motrice di tutte le rivoluzioni politiche. Egli insiste nel dire che solo la sedizione interna in seno alla stessa classe dirigente può indebolirla a tal punto che il suo governo può essere rovesciato (D13). Lo stato perfetto di Platone è fondato su distinzioni di classe estremamente rigide è uno stato di casta. Il problema della eliminazione della lotta di classe è risolto non abolendo le classi, ma conferendo alla classe dirigente una superiorità che non può essere contestata (vedi Sparta). Custodi, guerrieri e classe lavoratrice. Come viene preservata l’unità dei dirigenti? Mediante l’addestramento ed altre influenze psicologiche, ma soprattutto mediante l’eliminazione degli interessi economici che possono portare disunione.
Questa astinenza economica è conseguita e controllata con l’introduzione del comunismo, cioè mediante l’abolizione della proprietà privata e specialmente dei metalli preziosi. Poiché tutta la proprietà è proprietà comune, anche le donne e i bambini devono essere proprietà comune(D14).
Platone cerca di giustificare la sua divisione delle classi in base al triplice presupposto che i governanti sono di gran lunga superiori sotto tre aspetti: per razza, per educazione, per la loro scala di valori (D15-16). La classe dirigente è importante che si senta come una razza dominatrice superiore (D17-18-19), che siano seguiti nell’allevamento di questa classe gli stessi criteri che sono seguiti da uno sperimentato allevatore nei confronti dei cani, dei cavalli o degli uccelli (eugenetica) . Tutto ciò avverrà attraverso l’uso della menzogna e dell’inganno per salvaguardare la purezza della razza (D20).
In conclusione le fondamentali istanze possono essere compendiate come segue:
la formula idealistica è bloccare il cambiamento politico, il cambiamento è male l’immobilità è divina;
ogni cambiamento può essere bloccato se si fa dello stato una copia originale esatta del suo originale, cioè la Forma o Idea della città;
ritornare alla natura, allo stato originario dei nostri avi, allo stati primitivo fondato in conformità con la natura umana e quindi stabile;
ritornare al patriarcato tribale dell’era anteriore alla caduta, al naturale governo di classe dei pochi sapienti sui molti ignoranti.
Da questi elementi principali avremo:
Questo programma si può qualificare come totalitario, esso è certamente fondato su una sociologia storicistica.
Hegel crede, con Aristotele, che le idee o essenze siano nelle cose in divenire, più precisamente, sostiene che esse sono identiche con le cose in divenire. Come Platone ed Aristotele, Hegel concepisce le essenze, almeno quelle degli organismi, come anime o “spiriti”. Ma a differenza di Platone, Hegel non afferma la tendenza dello sviluppo del mondo in divenire, è una discesa, un progressivo allontanamento dall’idea, verso la decadenza. Hegel afferma invece che la tendenza generale è piuttosto verso l’idea, che è insomma progresso. Ma questo divenire non è decadenza. Lo storicismo di Hegel è ottimistico. Le sue essenze e spiriti sono, come le anime di Platone, semoventi; esse si auto-sviluppano o, emergono e si auto-creano. Ed esse si muovono nella direzione di un’aristotelica “causa finale”(D21). Questa causa finale o termine dello sviluppo delle essenze è ciò che Hegel chiama “L’Idea assoluta” o “L’Idea”, ma non di un semplice progresso semplice e rettilineo ma di un progresso “dialettico”.Hegel al pari di Platone, vede lo stato come un organismo e, sulle orme di Rousseau che lo aveva dotato di un “volontà generale” collettiva, Hegel lo dota di un’essenza cosciente e pensante, la sua “Ragione” o “spirito”. Questo spirito, la cui vera essenza è attività (vedi Rousseau), è nello stesso tempo il collettivo spirito della nazione che forma lo stato. Lo spirito della nazione determina il suo segreto destino storico; vale a dire combattendo le altre nazioni (D22). E, come Eraclito, Hegel generalizza questa dottrina estendendola al mondo della natura, interpretando i contrasti e le opposizioni delle cose, la polarità degli opposti, ecc. come una specie di guerra e come una forza motrice dello sviluppo naturale, la guerra degli opposti e la loro unità o identità, (come in Eraclito), sono le idee fondamentali della dialettica di Hegel (D23). Lo sviluppo di queste idee procede dialetticamente, cioè secondo un ritmo triadico: tesi, antitesi e sintesi. L’altro pilastro dell’hegelismo è la cosiddetta filosofia dell’identità che è a sua volta un’applicazione della dialettica (vedi Eraclito) (D24). “Tutto ciò che è razionale è reale e tutto ciò che è reale è razionale”, lo sviluppo della realtà è lo stesso che quello della ragione. E’ poiché non ci può essere nell’esistenza uno standard più alto di quello rappresentato dall’ultimo sviluppo della ragione e dell’idea, tutto quello ciò che è ora reale o effettuale esiste per necessità e dev’essere razionale e buono. Ciò significa, naturalmente, che tutto ciò che è razionale dev’essere conforme alla realtà e quindi deve essere vero(D25).
Come esempio di quest’uso della dialettica, scelgo la trattazione che Hegel fa della richiesta di una costituzione politica, che egli combina con la trattazione dell’eguaglianza e della libertà (D 26-27-28-).
Eraclito aveva sostenuto che c’è una ragione nascosta nella storia. Per Hegel la storia diventa un libro aperto. Con il suo richiamo alla saggezza della provvidenza esso costituisce un’apologia della superiorità della monarchia prussiana i di conseguenza costituisce un’apologia della saggezza della provvidenza. La storia è lo sviluppo di qualcosa di reale (D29). Secondo la filosofia dell’identità essa deve quindi essere qualcosa di razionale. La storia come egli la vede, è il processo di pensiero dello spirito assoluto, o spirito del mondo. Essa è la manifestazione di questo spirito. Essa è una specie di enorme sillogismo dialettico, ragionato per così dire dalla provvidenza, quindi la provvidenza persegue la perfezione del mondo. Lo sviluppo dello spirito deve essere lo sviluppo della libertà, e la più alta libertà deve essere stata raggiunta in quei trent’anni della monarchia germanica che rappresentano l’ultima suddivisione dello sviluppo storico(D 30-31).
Per quanto riguarda il nazionalismo tedesco fa appello agli istinti tribali, alla passione e al pregiudizio e al nostalgico desiderio di essere sollevati dal peso della responsabilità individuale alla quale esso si propone di sostituire una responsabilità collettiva o di gruppo. Hegel ricondusse il nazionalismo nel campo totalitario al quale esso era appartenuto fin dai tempi in cui Platone aveva per la prima volta sostenuto che il rapporto fra i Greci e i barbari era analogo al rapporto fra padroni e schiavi.
Hegel non solo cominciò un nuovo capitolo nella storia del nazionalismo, ma fornì anche al nazionalismo una nuova teoria. Fichte lo aveva dotato della teoria secondo la quale esso era fondato sulla lingua. Hegel introdusse la teoria storica della nazione. Una nazione, secondo Hegel, è unita da uno spirito che agisce nella storia. Essa è unita dal comune nemico e dal cameratismo delle guerre che ha combattuto. La storia di una nazione è la storia della sua essenza o Spirito che si afferma sulla scena della storia (D32-33).
Moralità e guerra: per Hegel, lo stato è la legge, la legge morale e, insieme , la legge giuridica. Così esso non può essere soggetto ad alcun altro criterio e specialmente non al metro della moralità civile. Il suo solo giudice è la storia del Mondo. Il solo criterio possibile di giudizio nei confronti dello stato è il successo storico mondiale delle sue azioni. E questo successo, il potere e l’espansione dello stato, deve sopravanzare tutte le altre considerazioni nella vita privata dei cittadini: diritto è ciò che serve alla potenza dello stato. Questa è la teoria di Platone ed è la teoria del totalitarismo moderno; ed è pure la teoria di Hegel (D34- 35). Lo stato soprattutto nel suo rapporto con gli altri stati, è esente da moralità, è a-morale, essa implica che la guerra in se stessa è buona (D36).
L’idea della Personalità Storica Mondiale: quest’idea è uno dei temi prediletti da Hegel (D37). Questa eccellente descrizione del Leader, del Grande dittatore, si combina con un elaborato mito della grandezza del Grad’Uomo, che consiste nell’essere egli il principale strumento dello spirito nella storia.
Ma il Grande Uomo e anche l’Uomo di Grandi Passioni – ambizioni politiche-. Egli è quindi capace di accendere passioni in altri (D38).
Secondo la teoria dello stato di Marx, il sistema legale o giuridico-politico- il sistema di istituzioni legali imposto dallo stato- deve essere considerato, come una delle sovrastrutture erette sulle effettive forze produttive del sistema economico; Marx parla in questo contesto di “sovrastrutture giuridiche e politiche” oltre al sistema morale predominante. Quest’ultimo, a differenza del sistema legale, non è imposto dalla forza dello stato, ma consacrato da una ideologia creata e controllata dalla classe dirigente. La differenza è grosso modo quella fra persuasione e forza (come diceva Platone); ed è lo stato, il sistema politico o legale, che usa la forza. Esso è, come dice Engels, una “forza repressiva particolare” per la coercizione dei governati da parte dei governanti (D47). In parte troviamo una concezione istituzionale in quanto Marx cerca di stabilire quali funzioni pratiche le istituzioni legali svolgono nella vita sociale. In parte è essenzialista in quanto non analizza la varietà di fini ai quali queste istituzioni servono e non indica quali riforme istituzionali sono necessarie per far sì che lo stato serva a quei fini che egli stesso potrebbe ritenere desiderabili. Quindi si evince nella concezione dello stato di Marx un approccio essenzialista e metafisico che interpreta il campo delle idee e delle norme come l’apparenza di una realtà economica.
Quali sono le conseguenze di questa teoria dello stato?
La più importante conseguenza è che tutta la politica, tutte le istituzioni legali e politiche, al pari di tutte le lotte politiche, non possono mai essere di primaria importanza. La politica è impotente.
Essa non può mai modificare in maniera decisiva la realtà economica. L’essenziale, se non l’unico, compito di qualsivoglia attività politica illuminata è di vigilare a che le modifiche nel rivestimento giuridico-politico tengano il passo con i mutamenti nella realtà sociale, vale a dire nei mezzi di produzione e nei rapporti fra le classi. Si evince l’unità, ancora una volta, del sistema storicistico nel pensiero di Marx. Infatti, gli errori politici non possono materialmente influenzare l’effettiva situazione di classe e ancor meno la realtà economica dalla quale dipende ogni altra cosa.
Se torniamo alla teoria di Marx dell’impotenza della politica e dell’importanza decisiva delle forze storiche, dobbiamo senz’altro ammettere che si tratta di un edificio imponente. Esso è il diretto risultato del suo metodo sociologico; del suo storicismo economico, della dottrina che lo sviluppo del sistema economico, o del metabolismo dell’uomo, determina il suo sviluppo sociale e politico (D48).
2.Ipotesi interpretativa:H. Arendt (D49)
Così scriveva K. Jaspers ad Hannah Arendt, nel 1956, dopo aver commentato, l’eccessiva vicinanza della sua allieva-amica all’interpretazione heideggeriana di Platone. Per entrambi, si potrebbe dire, la filosofia occidentale non è altro che una lunga serie di note a Platone. Per la Arendt, dai testi del pensatore greco nasce la filosofia politica: una “disciplina” che invece di nobilitare la politica, ne costituisce piuttosto la degradazione.
Se nel Gorgia per la prima volta discorso filosofico e discorso politico si separano, questo avviene per subordinare il secondo al primo e per assimilare la praxis alla poiesis, imponendole i criteri della teoria. Con Platone giungerebbe a compimento la disgregazione di quella concezione unitaria del logos, per il quale non era possibile distinguere nell’uomo l’animale razionale e l’animale politico.
E’ proprio in quest’ultima prospettiva d’indagine, più ontologica che storica, che va collocata quella che è stata definita l’ossessione della Arendt nei confronti del pensiero platonico. Nell’opera di Platone trova compimento la fondazione della filosofia e della filosofia politica, dove il sistema metafisico del mondo ha avuto origine. Anche per la Arendt come per Popper, indica la svolta del pensiero antico verso la filosofia si consuma nelle parole del Proemio parmenideo (D10). E’ cioè sancita dal prepotente ingresso, nella speculazione greca, della tematica dell’Essere. Con Parmenide si inagura un percorso che dell’identità di Essere, Pensiero e Verità, farà lo strumento di una progressiva “de-realizzazione” della Lebenswelt, di uno svuotamento di senso di tutto ciò che da questa identità resta escluso. Quest’Essere invisibile ed onnipervadente ad un tempo, può rivelarsi soltanto ad un organo in grado di cogliere l’invisibile: l’occhio della mente che rende presente ciò che è assente. L’uomo per essere fedele all’occhio della mente, al nous, deve abbandonare la fiducia nei sensi e, soprattutto, allontanarsi dagli altri uomini. Se si rimane legati al mondo dei sensi e degli uomini puoi vedere uomini e fatti giusti, ma non la giustizia, uomini felici, ma non la felicità. Con La metafisica non solo pensiero ed azione si separano, ma il carattere distintivo del pensiero diventa la mera recezione immobile attraverso gli occhi della mente, attraverso il nous, di una visione immobile, che sottrae al mondo delle apparenze le sue verità particolari e ai diversi uomini i singoli logoi. Platone come l’erede di Parmenide, e cioè di quel pensiero che si fa metafisica proprio col destituire di significato il singolare, postulando l’identità di Essere e Pensiero. Con Platone, il pensiero diventa sistema metafisico del mondo proprio col dare fondamento compiuto a quell’assetto duale. Molteplicità e mutamento vengono presi in considerazione solo una volta ricosciuto che il loro fondamento e la loro verità stanno altrove: nell’unità ed eternità dell’idea, sotto cui vengono appunto sussunte pluralità, transitorietà e fenomenicità.
La stessa nozione platonica di dialettica ridimensiona gli aspetti comunicativi e intersoggettivi. Mentre Socrate ammetteva diversi logoi, quanti sono gli uomini, che assieme formano il mondo umano, in quanto, per Socrate, l’uomo è l’essere che vive secondo la modalità del linguaggio. Platone tradisce il concetto di dialettica socratico come dialogo, per Platone il metodo dialettico non si addice ai molti, ma contrasta col fatto che la verità è una al di là delle parole, e costringe all’assenso.
Il mondo delle idee immette lo iato tra idea e realtà, ed il primato, dell’idea sulla realtà. Dalla separazione gerarchica tra universale e il particolare, all’opposizione tra eterno e il transeunte, dalla contrapposizione di epistème e doxa, a quella di mente corpo. Quindi la scissione tra discorso filosofico e discorso politico. L’autoinganno filosofico, per cui si ritiene di poter trascendere ciò che appare e di riuscire ad accedere ad una verità superiore, equivale all’incapacità del pensiero di attenersi, di arrestarsi, alla datiti, al fenomeno. Ed il lessico mistificante della metafisica riproduce, lungo l’intero arco della tradizione la credenza che una causa debba essere di rango superiore all’effetto. Secondo la Arendt l’atto di nascita della filosofia è iscritto nell’impossibilità, per il pensiero di sopportare la maledizione del finito, nella incapacità di accettare il mondo segnato dal lutto della contingenza. De- realizzazione del mondo nel pensiero, rifiuto del molteplice a favore dell’Uno, negazione della singolarità nell’universale: i fondamenti della metafisica introdotti da Parmenide e consegnati compiutamente alla tradizione da Platone, non sono altro che la manifestazione di un desiderio ossessivo di durare, che rimuove la morte e il tempo(vedi Fedone). Il filosofo, nella sua ansia di immortalità, esiste al singolare; nella misura in cui si occupa dell’uomo, si occupa dell’Uomo al singolare, mentre il politico si occupa degli uomini al plurale. Platone tenta di catturare gli elementi di inabilità inerenti alla praxis, di instaurare su quest’ultima la tirannia della ragione, o meglio la tirannia della verità. La nostra tradizione di pensiero politico ha inizio col mito della caverna, in cui il mondo degli affari umani viene descritto come un mondo di tenebre, confusione e disinganno. Se si vuole cogliere la verità, da quel mondo bisogna prendere congedo; ma qualora vi si voglia far ritorno, a quella verità dovrà essere piegato. In questa prospettiva, del primato dell’idea e della verità sulla prassi, la Arendt interpreta la sostituzione, nella Repubblica, dell’idea di bello con l’idea di bene. Se nel Simposio, nel Fedro e persino nei primi libri della Repubblica, campeggia ancora l’idea del Bello, nel VI libro di quest’ultimo dialogo è l’idea di Bene ad assurgere al ruolo di Idea suprema, cui tutte le altre idee devono partecipare (D50). Platone avrebbe dunque sacrificato l’ideale sommamente contemplativo del Bello all’idea di Agathon, che non deve essere inteso in una sua declinazione morale, ma nel significato letterale che i greci gli attribuivano: “buono per”, “idoneo”, “adeguato”. Quindi le idee si trasformerebbero da ciò che più riluce, da derivazione della bellezza, in criteri, in unità di misura, applicabili per definizione. La sostituzione del bello col bene inaugura la filosofia politica: quella disciplina che d’ora in poi sarà deputata a risolvere il problema dell’ordine, a garantire che la prassi si modelli, per ben ordinarsi, a criteri ad essa trascendenti, e messi a punto in un ambito ad essa esterno.
Il filosofo ritiene pertanto di poter dominare gli altri come è riuscito a dominare se stesso, ottenendo che l’anima avesse la meglio sul corpo e sulle passioni. Il dominio platonico delle idee, sia esso incarnato nella persona del Filosofo-Re, come nella Repubblica, o esercitato da un legislatore assente attraverso le leggi, come nei Nomoi, è in ultima istanza ispirato all’elevazione dell’uomo, nella sua singolarità, al dominio assoluto. Se nella solitudine della filosofia e nell’illusoria sensazione di onnipotenza che da essa deriva, si radica la volontà di dominio dell’uomo su se stesso, sulle proprie contraddizioni e differenze, il Filosofo-Re sarà colui che tenderà a fare altrettanto nei confronti della città: comandare i molti che abitano la polis, come se i tanti fossero uno solo. Un unico e gigantesco corpo politico, nel quale scompaiono le diverse singolarità, e che agisce come se fosse un corpo in senso letterale, un organismo vivente. Ecco il significato ultimo dell’affermazione platonica(D51).
Il progetto politico che disegna il vivere-assieme dei molti sul modello dell’Uno percorrerà come una costante l’intera storia della filosofia politica. Nonostante i mutamenti epistemici, lo si ritroverà tanto in Hobbes quanto in Rousseau; sarà presente in Hegel non meno che in Marx. La sua origine risiede nell’utopia platonica del saggio, secondo cui uno solo dovrebbe decidere, governare e comandare (l’Archon), e tutti gli altri, invece, dovrebbero limitarsi ad obbedire. L’identificazione del verbo archein nel Politico di Platone, con comandare, governare e dominare, rende soltanto più esplicita l’intenzione platonica di stabilire le condizioni affinché l’iniziatore rimanga esclusivo padrone di ciò che ha iniziato. Significa che egli sottrae a tutti gli altri la possibilità di intervenire, di partecipare, a ciò che è stato messo in atto. La Arendt giunge così ad accusare Platone di aver ridotto la praxis a poiesis: una trasformazione che va di pari passo con la riduzione della politica a dominio. La separazione tra chi sa e chi fa, la distinzione tra ideazione ed esecuzione, è infatti il tratto caratteristico della fabbricazione, dove le due attività sono nettamente separate. La Politeia platonica è allora la costruzione dello spazio pubblico secondo il modello fornito dall’idea. Il Filosofo-Re fa la sua città come lo scultore fa la sua statua. La riduzione della politica a poiesis e a techne diviene ancor più problematica se si considera che in ogni processo fabbrile è implicito un elemento di violenza. Una concezione della comunità che reifica la pluralità agente e che non tarderà a considerare gli uomini come materiale da manipolare e plasmare in base al modello di che comanda. E’ questo l’elemento potenzialmente totalitario che Platone immette nella tradizione filosofica-politica. Un elemento che dopo di lui diventerà un vero e proprio luogo comune, sul quale non varrà nemmeno la pena di riflettere: che in politica c’è chi comanda e c’è chi obbedisce, perché c’è chi conosce il bene e il fine della comunità, e chi, non esperto e privo di conoscenza, quel bene deve prestarsi a realizzare.
Nella Repubblica, nel Politico e nelle Leggi il rapporto politico è illustrato più volte ricorrendo all’esempio della relazione che intercorre tra il medico ed il paziente, tra il pastore ed il gregge, tra il capitano di una nave e i suoi passeggeri, o ancora, tra il padrone e gli schiavi. La logica di queste metafore si dimostra cos’è cogente da condurre Platone persino a preferire, in alcuni casi, il governo tirannico. Perché se la comunità, la repubblica, deve essere fatta e condotta dall’esperto, seguendo la techne specifica di una o dell’altra arte particolare, allora il tiranno si trova nella posizione migliore per farlo: egli può agire indisturbato, in quanto nessuna legge e nessun individuo intralcerà, o metterà in dubbio, l’esercizio della sua competenza. In conclusione, Platone stabilì quell’ordine concettuale che ha predeterminato ogni successiva riflessione sulla prassi: da quella di Aristotele, che pur al platonismo in parte si oppone, a quella di Hobbes, che ritiene la scienza politica nascere soltanto da lui, da quella filosofia della storia di Hegel alla filosofia della prassi marxiana che, nonostante il suo rifiuto di ogni forma di idealismo, rimane una sorta di platonismo rovesciato.
3.Tempi di attuazione:
Si ritiene che un’ipotesi di scansione temporale possa essere pensata in questi termini:
n° 15 ore curricolari (attività didattica secondo il modello continuo),
di cui:
1 dedicata alla promozione di motivazioni nel gruppo classe e alla presentazione della mappa concettuale del percorso ( contratto formativo);
12 dedicate alla lettura, analisi testuale e ad attività di contestualizzazione e discussione;
2 dedicate ad esercitazioni e verifiche finali.
Il tempo assegnato nel contesto istituzionale costituisce il confine di realizzabilità delle attività didattiche. Pure, per consentire la realizzazione delle finalità dell’insegnamento della filosofia è importante una gestione qualitativamente filosofica del tempo, ovvero di un tempo che consenta di pensare, riflettere, discutere, scegliere nel continuo dialogo con gli autori e con il gruppo classe.
4. Prerequisiti:
Competenza concettuale su alcune nozioni-chiave (individuo, collettività, stato, libertà,governo, istituzioni politiche, dittatura, democrazia etc.).
Competenza rispetto alla concezione politica da Platone a Marx e ai contesti storici relativi.
Conoscenza delle riflessioni filosofiche dell’età moderna sul concetto di libertà e democrazia (Locke, Rousseau e Kant soprattutto).
5. Obiettivi:
Definito il tema, si articolano gli obiettivi di natura cognitiva e formativa che definiscono i livelli del sapere (conoscenze) e del saper fare (competenze) ritenuti imprescindibili per la promozione degli apprendimenti significativi, cioè di trasformazione degli assetti culturali e affettivi degli studenti.
Sapere
Comprendere il significato di totalitarismo e democrazia.
Riconoscere le regole funzionali e le procedure della democrazia.
Saper fare
Problematizzare in modo critico il rapporto presente/passato.
Riconoscere esempi concreti di democrazia e di totalitarismo nell’esperienza
quotidiana e nella storia contemporanea.
Obiettivi formativi
Promuovere l’esperienza del confilosofare, inteso come dialogo con gli autori e con il gruppo-classe.
Favorire la maturazione dell’esercizio responsabile dei principi e dei valori etici della democrazia nella concreta prassi all’interno del gruppo-classe, dell’istituto e del gruppo dei pari nella prospettiva di un inserimento consapevole nella società civile.
6.Scelta e uso dei testi
I testi sono scelti sulla base del criterio della significatività e della rilevanza in relazione al tema e al pensiero dell’autore. Sono mediamente brani caratterizzati da compiutezza, leggibilità e semplicità espressiva. Anche il manuale e i dizionari storico-filosofici consentono le necessarie operazioni di contestualizzazione dei contenuti.
Si fa riferimento ai seguenti testi:
1) Popper, Introduzione a La società aperta e i suoi nemici, , vol. 1, pp. 19-24
Il testo favorisce, in modo sintetico e lineare, un approccio globale alle tematiche teorico- epistemologiche e politiche di Popper (rapporto tra falsificazionismo, critica allo storicismo e teoria della società chiusa).
2) Popper, Congetture e confutazioni, Il Mulino, Bologna 1972, Cap.I pp.61-67
Il testo favorisce la comprensione del contesto biografico e storico dell’itinerarrio di ricerca di Popper. Si suggerisce di inserire l’analisi del testo al termine della pagina 21 del testo precedente.
3) Popper, La società aperta e suoi nemici, Op.Cit., vol.1, Cap VI, (La giustizia totalitaria), pp. 117-124
4) La società aperta e i suoi nemici, Op.Cit., vol. 1, Il principio della leadership, pp. 155-161
I due testi permettono di enucleare la mappa concettuale sul tema della giustizia, del totalitarismo e della democrazia in Popper
5) La società aperta e i suoi nemici, cit., vol. 2, pp. 189-190
Il testo consente di precisare i paradigmi della vita democratica secondo Popper.
6) Platone, Lettera VII , 324b-326b (se non già letta nel corso del primo anno)
Il testo consente di contestualizzare il pensiero politico di Platone.
7) Platone, Repubblica, V, 473-477 e VI, 484-490
8) Platone, Gorgia, 448°-449e
9) H. Arendt, La condizione umana, Bompiani, p. 246
10) H. Arendt, La vita della mente, Bompiani, pp. 234; 240-241
Si consiglia la selezione anche di alcuni piccoli brani del testo di Anonimo Ateniese, La democrazia come violenza, presente in molte antologie scolastiche ma anche disponibile per le edizioni Sellerio.
7.Operazioni:
1) Si ritiene opportuno in una fase iniziale di apertura del percorso fare inciampare gli studenti nei problemi filosofici che scaturiscono dal tema in oggetto.
Questo è possibile attraverso una pluralità di strategie e tecniche didattiche fra le quali si suggeriscono le seguenti:
discussione libera sulle esperienze di esercizio della democrazia nelle assemblee di classe e di istituto, nonché nel gruppo di pari;
riferimenti a temi della storia del Novecento (nazismo, fascismo e stalinismo etc.);
emergenza del problema a partire da episodi di cronaca e di attualità;
riferimenti alla vicina esperienza di partecipazione all’istituto democratico del voto in qualità di cittadini maggiorenni;
presentazione e visione di brani o sequenze cinematografiche (ad es.: Danton di Wajda: il colloquio fra Danton e Robespierre, Il grande dittatore di Chaplin e altri).
2) Presentazione della mappa concettuale del percorso: il docente esplicita al gruppo-classe le finalità generali e le tappe del percorso.
3) Operazioni sui testi: criteri generali
Testo 1) Popper, Introduzione a La società aperta e i suoi nemici, cit., vol. 1, pp. 19-24
tramite le parole chiave: società chiusa, società aperta, storicismo, trovandone le
definizioni nel testo.
Testo 2) Popper, La scienza: congetture e confutazioni, Il Mulino, Bologna 1972, Cap.I pp.61-67
Testo 3) Popper, La società aperta e suoi nemici, cit., vol. 1, La giustizia totalitaria, pp. 117-124
prove di Popper a sostegno del suo punto di vista su Platone (p. 125).
Testo 4) Platone, Lettera V I I ( 3 2 4 b - 3 2 6 b ) , Repubblica ,V, 473-477 e V I ,4 8 4 - 490
Testo 5) Popper, La società aperta e i suoi nemici, cit., vol. 1, Il principio della leadership, pp.155-161
Testo 6) Popper, La società aperta e i suoi nemici, cit. , vol. 1, pp. 189-190
8) Platone, Gorgia, 448a-449e
9) H. Arendt, La condizione umana, p. 246
10) H. Arendt, La vita della mente, pp. 144, 150, 234, 240-241
Piani di discussione:
I piani di discussione sono pensati come strumenti di supporto all’attività di
riflessione comune nella classe che può seguire alla lettura e alla analisi dei testi
proposti. Più propriamente la loro utilizzazione è mirata a sollecitare e guidare la
possibilità di un “confilosofare” come dialogo euristico che coinvolge gli studenti,
il docente e i filosofi del passato.
In questo contesto il docente tende a ritirarsi dal punto di vista dei contenuti
filosofici per assumere il ruolo, di natura più pedagogica, di “facilitatore” della discussione e di garante della validità, rilevanza e pertinenza delle procedure adottate.
La prospettiva è quella di far operare la classe come una “comunità di ricerca” che utilizza la pluralità dei punti di vista e la molteplicità dei contenuti per costruire un percorso di ricerca unitario e coerente, che dia il senso della problematicità degli argomenti, ma, nello stesso tempo, anche del bisogno di riduzione della complessità in una convergenza su una logica delle buone ragioni.
PIANO DI DISCUSSIONE n. 1: Società chiusa e società aperta (Testo 1)
Che cosa rende “chiusa” una società?
Una società “chiusa” può diventare “aperta”? In che modo?
Può una società “aperta” diventare “chiusa”?
Può una società “chiusa” rendersi conto di essere tale?
Potete fare qualche esempio di società “chiusa”?
PIANO DI DISCUSSIONE n. 2: Previsioni e profezie (Testo 1)
Si può prevedere il futuro? Se sì, in quali casi?
Fate esempi di casi in cui si può prevedere il futuro.
Se dico “Fra tre giorni sarà domenica”, questa è una previsione?
Di quali previsioni possiamo essere sicuri?
Se qualcuno dice: “Nel Duemila verrà la fine del mondo”, questa è una previsione?
Che cosa distingue una previsione da una profezia?
PIANO DI DISCUSSIONE N° 3: Che cos’è la giustizia? (Testo 3)
Quali sono, nell’interpretazione di Popper, le principali caratteristiche della giustizia secondo Platone?
Platone sostiene che giusto è “ciò che è nell’interesse dello stato ottimo”.
Tenendo conto del giudizio di Popper, cosa pensate di questa definizione?
In quali casi uno stato si può dire “ottimo”?
Chi può stabilire se uno stato è ottimo?
L’ i n t e resse dello stato coincide con quello dei cittadini? Sempre? Mai? In quali casi?
Quale differenze vede Popper tra lo stato platonico e lo stato democratico?
Se quella platonica è una giustizia “totalitaria”, come dovrebbe essere una giustizia “non-totalitaria”?
PIANO DI DISCUSSIONE N° 4: Chi deve governare? (Testo 4)
Cosa c’è che non va , secondo Popper, nella domanda “Chi deve regge re lo stato ? ”
Secondo voi, è possibile “organizzare le istituzioni politiche in modo da impedire che i governanti cattivi o incompetenti facciano troppo danno”, come vorrebbe Popper?
Se è possibile, chi dovrebbe fare questa operazione?
Riuscite ad immaginare un tipo di potere assolutamente incontrollato?
In una democrazia il potere è controllato? In che modo?
Alla luce delle considerazioni finora fatte e delle vostre conoscenze ed esperienze, come si potrebbe definire la democrazia?
Pensate che possano esserci diversi generi di democrazia o diversi gradi di democrazia?
In democrazia (rispetto del pluralismo e delle differenze) merita rispetto anche chi è antidemocratico?
Una democrazia che non rispetti chi è antidemocratico, è ancora una democrazia?
8) Esercitazioni e verifiche
Verifiche intermedie:
dialogo con i testi ( vedi sopra)
Verifiche finali:
le mappe concettuali presenti nella teoria popperiana e platonica
di una propria posizione ragionata sui temi trattati
‘impossibili’)
in classe
9. Spunti per l’integrazione del percorso:
A. Zadro, Platone nel Novecento, Roma-Bari, Laterza, 1987
G. Gambiano, Il ritorno degli antichi, Roma-Bari, Laterza, 1988
A. Toqueville, brani da La democrazia in America
B. Costant, brani da La libertà degli antichi e dei moderni
G.W.F. Hegel, Lo stato come realizzazione dell’eticità in Lineamenti di filosofia del diritto,pp. 257-261
K. Marx, brani, fra gli altri, da La critica al programma di Gotha, Il Manifestodel partito comunista, L’ideologia tedesca
M. Weber, L’intellettuale come professione e il Il politico come professione
Scuola di Francoforte: brani, fra gli altri, da T. Adorno - M. Horkheimer, Dialettica dell’illuminismo, M. Horkheimer (a cura di), Studi sulla personalità autoritaria, H. Marcuse, L’uomo ad una dimensione
H. Arendt, brani da Le origini del totalitarismo
J. Rawls, brani da Una teoria della giustizia
C. Schmitt, brani da Le categorie del politico
G. Sartori, brani da Democrazie, cos’è
S Forti, Il totalitarismo, Laterza;
C. Pavone, Autoritarismo, totalitarismo, fascismi, Relazione a Riva del Garda, 1993
Fonte: https://ciamp.files.wordpress.com/2010/10/lidea-totalitaria-nel-pensiero-filosofico.doc
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