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Martin Heidegger:
vita:
Martin Heidegger (1889-1976) studia filosofia “classica” presso l'Università di Friburgo, ma l’impronta decisiva per la sua formazione gli viene data dal suo maestro, E. Husserl, dal quale attinge il metodo fenomenoligico e con il quale imposterà la sua opera maggiore “Essere e tempo” (dedicata allo stesso Husserl), che lo classificherà come filosofo dell’esistenza.
Intorno al 1930 l’indagine di Heidegger subisce una svolta decisiva: non riguarderà più l’analisi esistenziale, tesa alla ricerca dell’essere; bensì si trasforma in una ricerca che riconosce all’essere stesso l’iniziativa dello svelamento dell’essere.
La seconda fase del suo pensiero è caratterizzata dalla volontà di sfondare le categorie della metafisica occidentale e trovare una nuova dimensione del pensiero.
Afferma Heidegger “Filosofia e poesia devono incontrarsi”.
Questa seconda fase si esprime con opere come “Che cos’è la metafisica?” e “Lettera sull’umanesimo”.
Nel 1933 (anno dell’ascesa al potere di Hitler) Heidegger diventa rettore dell’università di Friburgo, ciò implica una più o meno implicita adesione al regime, che dopo la fine della guerra lo porterà ad allontanarsi dal mondo accademico.
Il Pensiero Filosofico:
Il pensiero filosofico di Heidegger si suddivide in due fasi segnate da una netta svolta (il kehre), che mantiene però una continuità di fondo legata all’essere.
In “Essere e Tempo” il problema dell’essere viene affrontato a partire dall’esistenza umana.
Tra gli enti, le realtà che sono, l’uomo (il dasein o l’esserci) è l’unico ente in relazione con l’essere e aperto all’essere: quindi la ricerca filosofica del senso dell’essere deve passare necessariamente attraverso un’interrogazione dell’esistenza umana.
Dasein è un termine composto: da = lì
sein = essere
L’uomo è sempre collocato in una situazione che non ha scelto, ma è comunque un ente aperto all’essere: l’uomo può scegliere che cosa diventare, “non come il fiore che rimarrà sempre fiore”.
“Essere e Tempo” rimane però un’opera incompleta perché cercare il senso dell’essere attraverso l’esserci si rivela impraticabile. Questo percorso rappresenta ciò che Heidegger definisce analitica esistenziale, ossia un’analisi dell’esistenza umana e un’ontologia esistenziale: attraverso l’esistenza umana si ricerca il senso dell’essere.
L’analitica esistenziale viene condotta attraverso un metodo fenomenoligico: si parte dall’esperienza concreta vissuta dal singolo, per cogliere delle strutture essenziali e costitutive dell’umanità in quanto tale. Il punto di arrivo di Heidegger non è l’uomo singolo, ma è l’uomo in quanto tale.
La differenza ontologica:
Vi è una differenza sostanziale tra enti che manifestano l’essere, ma non sono l’essere, e l’essere stesso. L’essere è quello sfondo intelligibile che si nasconde dietro gli enti.
L’essere non è qualcosa altrimenti verrebbe ridotto ad ente; l’essere è rappresentato al niente, ovvero non-ente, nessun ente.
Aver dimenticato la differenza ontologica è la caratteristica della metafisica e della filosofia occidentale. Heidegger si propone di superare la metafisica occidentale, accusandola di aver dimenticato l’essere a favore degli enti, essendo essi qualcosa di ben definito che l’uomo può gestire completamente. L’essere è invece oscuro e non dominabile.
Per esempio, Dio è stato ridotto dalla cultura occidentale al primo anello della catena degli enti, infatti cercando di ridurlo alle nostre categorie (orthotes) è stato trasformato nel primo ente (ontoteologia).
Aletheia: verità come disvelamento (non è mai una chiara manifestazione, ma è un gioco di luce e
ombra). L’essere non si svela completamente, ma in parte rimane oscuro, e questa
caratteristica deve essere mantenuta per evitare che l’essere si riduca ad ente.
Orthotes: verità come corrispondenza ad uno schema razionale.
La filosofia occidentale ha sempre cercato di “catturare” l’essere (begriffen à begriff), proprio perché essendo esso indominabile e sfuggevole, ha cercato di ridurlo a schemi razionali (à dionisiaco di Nietzsche).
Nella logica di aletheia l’uomo non cattura l’essere, ma lo lascia sussistere.
Le categorie dell’esistenza:
Heidegger, nella sua analisi delle strutture dell’esistenza, individua due categorie costitutive fondamentali: gli esistenziali (strutture fondamentali dell’esistenza stessa)
L’essere nel mondo:
Il dasein è gettato nel mondo, che è una totalità di enti utilizzabili.
La critica a Husserl consiste nel fatto che, secondo Heidegger, il dasein non è pura soggettività distaccata, “il puro occhio del mondo”, ma esiste un rapporto di coinvolgimento più profondo con gli altri enti. L’uomo è gettato nell’esperienza e comprende il significato degli enti in base al loro utilizzo pratico. Il coglie il senso degli enti nella misura in cui li utilizza e li inserisce nel suo progetto.
n.b. Il dasein manifesta il senso delle cose, essendo aperto all’essere, ma non è ciò che dà senso ad esse.
L’essere con gli altri:
Il mondo è la totalità dei significati, in quanto gli enti prendono significato nella misura in cui utilizzati. Il mondo della totalità di significati è un mondo condiviso originariamente con altri. Ogni dasein è in relazione con altri dasein, che hanno diverse aperture all’essere e diversi progetti nel mondo. Il problema consiste nel far convivere pacificamente le diverse aperture dei dasein rispetto all’essere.
La cura:
L’insieme degli esistenziali costituisce la cura, che è insieme un rapporto teoretico e pratico.
Il dasein si prende cura degli enti e ha cura degli altri dasein.
La cura è insieme comprensione degli enti alla luce dell’essere (dimensione teoretica) e progetto (dimensione pratica).
La cura in sostanza è il metodo che il dasein utilizza per entrare in relazione con gli enti o con gli altri dasein, e ciò avviene progettando la propria esistenza. L’uomo può progettare la sua esistenza perché è aperto all’essere e ad infinite possibilità, ma progettare significa comprendere il senso d’essere degli enti. La cura è la cifra sintetica dell’esistenza, ciò che consente al dasein di rapportarsi con ciò che lo circonda.
La cura nasce sempre a partire da una determinata situazione emotiva o tonalità affettiva, perché l’uomo è sempre emotivamente ad affettivamente influenzato. La sua capacità di entrare in relazione con gli enti non è neutrale e l’imparzialità è un’illusione.
L’uomo è gettato nel mondo in una situazione sempre emotiva, che limita la sua prospettiva, ma che gli dà colore. Questo aspetto fa parte dell’ambito esistenzialista che considera l’uomo come un essere concreto carico di affetti.
La cura può essere vissuta in modo autentico o in autentico.
L’esistenza è sottoposta ad una duplice scelta:
autenticità: il dasein si realizza autenticamente come dasein
La seconda scelta è meno originaria rispetto la prima. Heidegger non vuole esprimere nessun giudizio morale (la prima è una buona scelta mentre la seconda no), ma vuole sottolineare come la prima possa realizzare il dasein, mentre la seconda no.
L’esistenza inautentica:
Heidegger descrive l’esistenza inautentica come un’esperienza anonima (quella di tutti e di nessuno), impersonale, conformistica, appiattita sulla dimensione del “si”, ovvero quella dove il “si dice” o “il si fa” domina incontrastato. In essa, tutto è livellato, convenzionale, mediocre, normale.
Nell’esistenza inautentica il dasein non è un individuo unico ed irripetibile, è tutti e nessuno, perché è ciò che sono tutti.
Il dasein decade a livello delle cose; questo degrado è definito deiezione: il dasein si riduce ad uno dei tanti enti presenti, in quanto si spegne la sua apertura all’essere.
Il linguaggio, che per sua natura è la manifestazione dell’essere, diventa, a questo livello, chiacchiera, un puro vociare, dominato dalla curiosità, non per l’essere delle cose ma per la loro apparenza visibile, e dall’equivoco, perché tutto è dato per scontato.
L’esistenza autentica:
L’esistenza autentica coincide con l’essere per la morte, con la decisione anticipatrice della morte.
Quando Heidegger parla di “morte” non intende l’evento conclusivo dell’esistenza, ma intende il morire come mortalità, per sottolineare che l’esistenza umana è finita, che l’essere è esposto alla possibilità del morire.
Heidegger, infatti, definisce la morte come possibilità autentica e autentica possibilità.
Innanzitutto la morte è autentica possibilità perché il dasein vive la propria morte sempre e solo come possibilità, mai come realtà. Infatti, nel momento in cui la morte diventa un fatto reale il dasein non esiste più, si annulla e non la può vivere. Di conseguenza, la morte incide come una possibilità a cui l’esistenza è sospesa.
La morte è però anche la possibilità più autentica del dasein.
Mentre tutte le altre possibilità che si dispiegano al dasein sono possibilità di essere in un modo piuttosto che in un altro, la morte è unica. La morte è l’unica possibilità che sicuramente si realizzerà, è una possibilità intrascendibile, assolutamente certa.
Non riguarda un certo modo di essere, ma riguarda il “ci” dell’esserci, cioè il fatto che il dasein esista oppure no. La possibilità della morte getta una luce negativa su tutte le altre possibilità, le nullifica in quanto sono tutte legate a quest’ultima.
Anticipare la morte non vuol dire suicidarsi ma vivere autenticamente tutte le possibilità dell’esistenza solo come possibilità, nella consapevolezza che tutte queste sono agganciate alla possibilità autentica più estrema che è la morte, la morte.
L’angoscia:
Per l’essere che vive per la morte il sentimento emotivo caratteristico è l’angoscia.
L’angoscia è un sentimento metafisico, molto diverso dalla paura, non ha infatti come oggetto qualcosa di determinato ma è generato da quell’abisso oscuro che lascia, nel dasein, la condizione di finitezza e fragilità dell’esistenza.
Nell’esistenza inautentica la morte viene come appiattita del suo valore e vista come un fatto fra tanti altri, che non tocca direttamente la mia esistenza ma è la morte degli altri (“si muore”).
Il dasein ha paura della morte perciò cerca di non parlarne. La paura è la “versione inautentica” dell’angoscia.
Tempo e temporalità:
Esercitare in modo autentico la cura significa anticipare la propria morte, avere coscienza della propria finitezza.
Coincide con l’essere per la morte
Cura
ll Temporalità
progetto
ll
comprensione degli
enti alla luce
dell’essere
Attraverso il concetto di cura si esplicita il concetto di temporalità, che è il senso ontologico della cura. Infatti, la cura autentica è temporalità e la temporalità è il senso d’essere della cura.
Vivere autenticamente la propria cura significa cogliere e vivere la propria esistenza come un tutto, cioè in ogni sua dimensione senza appiattirla al solo presente.
La vita si dispiega in tutte le direzioni, vivendo solo il presente il dasein si riduce a un ente del mondo (deiezione).
Il termine temporalità implica differenti sfumature di possibilità.
Heidegger, sull’esempio di Bergson che distinse il tempo della scienza dal tempo della coscienza, introduce una distinzione tra tempo e temporalità.
Il tempo è misurabile, ordinabile, ontico (riguarda gli enti), è il tempo dell’orologio.
È concepito come una serie di “ora”:
passato a non più ora
presente a ora
futuro a non ancora ora
Le tre dimensioni sono come tre punti distinti, sono tre dimensioni estrinseche.
Il presente prevale, come ora. Gli enti sono chiusi in se stessi.
La temporalità coincide con la temporalità del dasein. È temporalità esistenziale.
Nella dimensione della temporalità:
futro a advenire
presente a essere presente
passato a essere stato
La temporalità si orienta a partire dal futuro, perché è la temporalità del dasein, che è un ente progettante e quindi teso verso il futuro (advenire).
Nella temporalità il passato non è ciò che non è più, ma si ritrova nel presente così come il futuro.
Pertanto le tre dimensioni della temporalità si coappartengono, non sono l’una senza le altre, e sono legate grazie alla progettualità, ovvero grazie all’apertura all’essere.
Heidegger definisce tali dimensioni come estasi temporali perché “estasi” letteralmente significa “ciò che sta al di fuori”. Infatti, le dimensioni che costituiscono la temporalità estatica hanno senso solo in quanto sono fuori da sé, e sono in relazione alle altre.
Il senso dell’essere:
Temporalità = esistenza autentica = essere per la morte
Il senso dell’esistenza autentica, che coincide con l’essere per la morte, è lo scorrere della temporalità: il tempo, il continuo scorrere, che alla luce dell’essere per la morte va a declinare e a perdersi nel nulla.
Quindi, in ultima analisi, il senso dell’essere si rovescia nel nulla (ottica nichilista).
La svolta: “il secondo Heidegger”:
“Essere e Tempo” è stato interrotto per il “venir meno del linguaggio”.
Heidegger si rende conto che questa ricerca dell’essere a partire dal dasein è impraticabile, poiché questi non fa che nullificare il senso dell’esistenza.
Ma soprattutto percepisce che qualsiasi ricerca e approfondimento sul rapporto essere-tempo (quindi sul senso dell’essere) sarebbe stata gravata da un limite fortissimo.
Infatti, avrebbe dovuto usare le categorie, i termini e il linguaggio della metafisica occidentale, che lui avversa, in quanto ha dimenticato la differenza ontologica e ha ridotto l’essere a un ente manipolabile.
Cerca così una nuova strada di pensiero, che recuperi il senso originario della verità, che sveli la verità come aletheia, e che mantenga il fondo di oscurità in cui l’essere deve essere preservato.
Elabora così un pensiero non concettuale, che non si modella su schemi fissi e rigidi: il pensiero rammemorante o poetante.
Con questo, Heidegger si propone di riscoprire la ricchezza di senso dell’essere.
Il linguaggio poetico diventa la “casa” dell’essere, l’ambito originario in cui l’essere si manifesta.
Nella poesia è l’essere che parla.
Il pensiero rammemorante:
Rammemorante a “memoria” = ricordo di ciò che è assente
Il pensiero rammemorante fa memoria dell’essere e non tenta di ridurlo ad un ente presente, ma lo lascia sussistere nella sua assenza, oscurità e differenza rispetto gli enti.
Attraverso un pensiero concettuale l’uomo pretende di diventare il padrone dell’essere (che diventa ente dominabile). Attraverso il pensiero rammemorante, invece, il dasein è il pastore dell’essere, il suo custode in quanto lascia che questo si manifesti senza alcuna pretesa di dominio.
Dunque Heidegger cambia radicalmente il suo pensiero: non è più l’uomo che manifesta il senso dell’essere, ma è l’essere stesso che si rivela all’uomo.
Il pensiero poetante:
Heidegger individua nella poesia, e nel suo linguaggio di immagini e suggestioni, la forma più originaria della manifestazione dell’essere.
I versi della poesia hanno una capacità infinitamente superiore di cogliere l’essere rispetto alla tecnica:
il linguaggio poetico non è la parola dell’uomo sull’essere ma è quella dell’essere sull’uomo stesso.
L’uomo deve abbandonarsi all’essere lasciare che questo si manifesti liberamente senza pretendere di racchiuderlo in schemi totalizzanti.
L’essere viene concepito come un dono: l’essere non “è” ma si “da”.
Propriamente, però non è l’essere a donarsi.
L’essere si dona negli enti: si manifesta in essi e allo stesso tempo si sottrae in quanto non si esaurisce in nessun ente.
La logica dell’abbandono è pertanto profondamente diversa dalla logica della metafisica occidentale.
uomo e essere:
L’essere non è il fondamento delle cose, poiché il fondamento è sempre un ente, e l’essere non lo è.
Heidegger riscopre il rapporto tra uomo e natura come insieme di significati che non si aprono direttamente dall’uomo.
L’uomo accede agli enti, li scopre e li comprende solo in quanto si trova già da sempre inserito in un’originaria apertura di significati, il “mondo”, che non risale direttamente dall’uomo, ma dipende dall’essere stesso, che si rivela manifestandosi attraverso gli enti.
Il mondo è inteso da Heidegger quasi come il grembo materno, ricco di sfondi oscuri, scopribili ma non dominabili; mentre la metafisica l’ha ridotta a materiale neutro, plasmabile, dove ha introdotto i propri significati.
La fine della metafisica:
Heidegger cerca di mettere in evidenza i limiti della tecnica in quanto dominio degli enti.
Tutti gli squilibri, i problemi che la tecnica ha portato sono la conseguenza della crisi della ragione occidentale, come razionalità calcolante che ha costruito un mondo misurabile, che non si addice alla manifestazione dell’essere.
Per Heidegger era inevitabile che il pensiero occidentale andasse verso il declino, portando avanti contraddizioni e incoerenze, che nonostante tutto hanno aperto la via al rinnovamento.
Articolo di giornale:
L’impianto e la tecnica:
La metafisica Occidentale, che fa tutt’uno con la tecnica, ha ridotto l’essere a un impianto, ossia ad un oggetto funzionante, una struttura attraverso la quale è possibile dominare la natura stessa.
Ma nonostante lo abbia ridotto a ciò, si vede un “lampeggiare improvviso dell’essere” (uomo).
Vi sono tre opinioni sulla tecnica:
Heidegger non condivide nessuna delle tre posizioni.
Critica le due posizione estremiste in un senso e nell’altro, ma anche quella neutrale poiché vede la tecnica come uno strumento e non coglie la sua essenza che sta nel fatto di manifestare l’essere (anche se in modo imperfetto).
La logica dell’impianto è una sistematica riduzione delle cose a risorse.
Chiarire il significato degli enti in funzione della propria funzione occulta l’essere.
L’uomo deve dare il proprio contributo aprendo nuove strade per la manifestazione dell’essere.
Anche nell’orizzonte della tecnica, che riduce l’essere ad impianto può lampeggiare improvvisamente e inaspettatamente il senso dell’essere, può diventare evidente ciò che salva (Hölderlin).
n.b.: più volte nei sui scritti Heidegger fa riferimento all’essere come ciò che salva, facendo quindi un indiretto riferimento alla rivelazione cristiana (interpretazione religiosa del pensiero di Heidegger).
L’arte:
L’alternativa alla riduzione dell’essere a impianto, ossia l’alternativa alla tecnica può è essere rappresentata dall’arte (come la poesia) che è in grado di manifestare gli enti nel loro senso d’essere, secondo un’apertura ontologica e non ontica.
L’esempio può essere portato dal commento al quadro di Van Gogh, che rappresenta le scarpe di una contadina (“L’Origine dell’opera d’arte”).
Commentando il quadro, Heidegger fa capire come l’arte possa esprimere e manifestare il senso dell’essere: l’arte è la forma più autentica di pensiero rammemorante.
L’opera d’arte rivela ciò che sono realmente le scarpe: il mezzo attraverso cui si rivela un infinita apertura di significati che rimandano al significato oscuro dell’essere.
Fonte: http://digilander.libero.it/alemar85/Autori%20filo/Martin%20Heidegger.doc
Sito web da visitare: http://digilander.libero.it/alemar85
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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