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Immanuel Kant ( Konigsberg 1724- 1804) è un autore importantissimo, ma alle volte risulta indigesto.
Queste note servono per introduzione: naturalmente sono imprecise, ma almeno spero siano chiare. Una volte lette, potrai , mi auguro con più facilità, affrontare dei testi più approfonditi, e , magari, qualche lettura kantiana.
La “Critica della ragion pura” ( Kritik der reinen Vernunft- 1781) e “Prolegomeni ad ogni futura metafisica che voglia presentarsi come scienza” ( 1783)
La critica della ragion pura è una delle opere più importanti di Kant per quanto riguarda la conoscenza e la ragione. E’ la prima delle tre critiche ( le altre sono “Critica della ragion pratica” sulla morale, e Critica del giudizio” sul gusto e l’estetica: come vedi amava il termine critica – analisi, valutazione ragionata- e infatti la sua filosofia viene chiamata criticismo). Poco tempo dopo la ragion pura, Kant scrisse un corto volume, per divulgare e semplificare le sue posizioni: già il titolo chiarisce il suo scopo: i prolegomeni, cioè i preliminari, le cose necessarie, per una metafisica che non sia dogmatica, ma scientifica. Cioè Kant vuole analizzare la Ragion “pura” ( non condizionata dall’esperienza) cioè come funziona la ragione dell’uomo e quali siano i limiti della ragione e le condizioni entro cui essa correttamente opera. Il problema di Kant è la determinazione del limite entro cui si può muovere la ragione che, se correttamente usata, è il principale strumento di liberazione dell’uomo : il questo senso egli è il più importante filosofo dell’illuminismo.- Infatti nel suo famoso suo scritto “ Che cos’è l’illuminismo” definisce l’illuminismo il coraggio della ragione di liberarsi dalle catene che l’uomo stesso si è costruito ( la superstizione, l’ignoranza, il fanatismo ecc.) ( Vedi pag 449 del manuale)
La ragione procede per giudizi, cioè l’unione di un soggetto e un predicato: Giuseppe è arrivato in ritardo; Il sole sorge; ogni punto sulla circonferenza di un cerchio è equidistante dal centro.
Ma ci sono giudizi “ a priori” e giudizi “a posteriori” cioè prima e dopo. Ma prima o dopo cosa? L’esperienza! Per asserire “ l’acqua è bollente” o “ il caffè è zuccherato” io devo “provare” e in seguito all’esperienza formulo il giudizio: sono giudizi” a posteriori” che presuppongono l’esperienza. Da qui parte ogni forma di sapere, secondo gli empiristi. Sono giudizi, dice Kant, fecondi: cioè ci dicono qualcosa di nuovo, che prima non sapevo: guardando il caffè io non so se sia zuccherato, dopo (a posteriori) lo so, ho aumentato il mio sapere: sono, secondo Kant, sintetici, cioè uniscono cose che non sapevo. Ma sono giudizi particolari ( empirici, appunto) non hanno un valore universale e necessario: valgono per quel caffè specifico, e basta.
I giudizi “A priori” invece sono universali e necessari: infatti sono tipici delle concezioni razionaliste e matematico deduttive.
“ ogni corpo ha una estensione ” ogni punto su una circonferenza è equidistante dal centro” “ due più tre è cinque” non hanno bisogno della verifica sensibile quindi sono “ a priori”: sono veri sempre e dovunque quindi universali e necessari. In nessuna circostanza un corpo non ha una estensione: la ragione lo sa anche senza esperienza. Ma questi giudizi, dice Kant, sono esplicativi: rendono esplicito quello che è già implicito nel soggetto che viene predicato: nel concetto di cerchio c’è già l’idea dei punti nella circonferenze equidistanti dal centro. Non mi dice nulla che già non sapessi, cioè sono sterili, non danno conoscenza nuova: semplicemente rendono esplicito quello che era implicito: sono analitici.
Fin qui Kant ha ripreso in maniera critica le posizioni degli empiristi ( l’esperienza dà giudizi sintetici – cioè fecondi a posteriori, e particolari; e dei razionalisti: la ragione dà giudizi universali e necessari – a priori, ma analitici, cioè sterili
( Vedi pag. 398 del manuale)
Ma siamo proprio sicuri che l’esperienza, il sensibile, sia a posteriori? Cioè che la sensazione sia l’elemento semplice, il composto primo, indivisibile, da cui parte la mente per conoscere? No, dice Kant: ed è un passaggio importante.
La nostra esperienza sensibile è resa possibile da delle intuizioni a priori: lo spazio e il tempo. Lo spazio è la forma del senso esterno, il tempo della successione interna. Noi percepiamo perché riusciamo ad organizzare quello che è percepito in uno spazio e in un tempo. Senza spazio e tempo non avremmo esperienza, semplicemente non ci sarebbe nulla. Lo spazio e il tempo non vengono dall’esperienza. Sono condizioni che costituiscono, rendono possibile l’esperienza. Le nostre sensazioni esistono perché sono state “organizzate” all’interno di uno spazio, ma l’intuizione di spazio non viene dalle sensazioni, le “precede” in quanto è l’elemento che le rende possibili. E’ un “ a priori” della mente, ma nello stesso tempo è fuso nella esperienza, è fecondo, in quanto rende possibile la conoscenza di cose nuove e quindi è sintetico. Le esperienze che noi facciamo sono dei fenomeni (dal greco apparire, apparenze) cioè l’unione inestricabile delle intuizioni a priori della mente ( quindi universali e necessarie) con le sensazioni particolari e mutevoli. Ma non dobbiamo pensare che ci siano le sensazioni staccate dal soggetto : le sensazioni sono già” parte del soggetto” in quanto il soggetto le ha già filtrate attraverso le intuizioni universali delle spazio e del tempo. In altre parole, quello che noi percepiamo è già una elaborazione della nostra mente e delle sue intuizioni universali ( spazio tempo e categorie); è già un fenomeno; la “cosa in sè” ( cioè la “cosa” senza il soggetto che la percepisce) non è conoscibile, e un “ noumeno” cioè qualcosa che possiamo pensare – noumein in greco- ma non percepire o conoscere Vedi a pag. 401: parole chiave).
Quindi Kant supera la tradizionale separazione tra mente e corpo ( oppure soggetto oggetto,l’io che conosce e l’oggetto conosciuto, o res cogitans- res extensa) che aveva tormentato empiristi e razionalisti , per proporre una sintesi superiore: la nostra esperienza è già la fusione di a priori mentali spazio- tempo, categorie e di sensibilità.
Ma attenzione, le categorie senza sensibile sono vuote, la sensibilità senza categorie è cieca. Cioè non possiamo concepire qualcosa che non sia nello spazio e nel tempo, ma non possiamo neanche concepire lo spazio e il tempo senza qualcosa dentro. E’ come una colomba, l’immagine è kantiana, che immaginasse di volare senza aria: semplicemente non è possibile.
Questo forte spostamento di prospettiva viene chiamato da Kant: una rivoluzione copernicana ( leggi Rivoluzione copernicana a pag 400)
In sostanza, per usare le parole di Popper, il grande epistemologo, “ Dobbiamo abbandonare l’opinione secondo cui siamo degli spettatori passivi, sui quali la natura imprime la propria regolarità, e adottare l’opinione secondo cui, nell’assimilare i dati sensibili, imprimiamo attivamente ad essi l’ordine e le leggi del nostri intelletto. Il cosmo reca l’impronta della nostra mente.”
E allora Kant chiude una serie di problemi (o falsi problemi) filosofici precedenti: bisogna restare nei limiti della ragione e del suo territorio ( ad esempio decadono i tanti grovigli sulle “prove” dell’esistenza di Dio, prodotto soprattutto dalla scolastica medioevale: è un “problema” fuori dai limiti-caratteristiche della ragione) e anche la distinzione empiristi-razionalisti viene superata)-
Ma soprattutto Kant spalanca una serie di prospettive nella filosofia e nel pensiero moderno. Innanzitutto pone al centro della riflessione il soggetto ( e un questo è anticipatore del romanticismo); lo studio del mondo, dopo di lui, significa preliminarmente lo studio di come si può studiare e di come gli strumernti della ragione condizionano e determinano il mondo che vogliamo studiare. Sembra uno scioglilingua, ma è un concetto fondamentale: se vogliamo misurare rigorosamente, la prima cosa da fare è controllare e definire gli strumento con cui misuriamo.
Nel nostro secolo sono cresciute le “scienze umane” ( l’antropologia, la psicologia, la sociologia, la linguistica) e per tutte è cruciale analizzare e definire come l’osservatore modifica l’osservazione, come l’esperienza non è qualcosa che noi percepiamo passivamente, ma la costituiamo e, in qualche maniera, la predeterminiamo. Alla fin fine Kant è il filosofo che traccia i limiti dalla ragione ( le caratteristiche a priori da cui non può uscire) , ma anche sancisce la sua potenza (la soggettività umana che col suo moto ordinatore costituisce il mondo dell’esperienza).
Immanuel Kant, Critica della ragion pratica ( Kritik der praktischen vernunft. 1788)
“ Due cose mi stupiscono profondamente: il cielo stellato sopra di me, e il dovere morale dentro di me”
IL FORMALISMO MORALE KANTIANO
Come la Ragion Pura cerca e analizza i principi universali e necessari del conoscere, la ragion pratica riflette ed elabora i principi fondamentali ( universali e necessari) dell’agire morale.
Ma come la conoscenza non può disperdersi nella moltitudine variabile della sensazioni, così la ragion pratica non può esaminare le infinite azioni umane, ma deve determinare i principi formali ( a priori) che qualificano una azione come morale. La morale Kantiana è formale, cioè cerca e definisce i criteri formali che portano a una azione buona, non un elenco di azioni buone.
Non produce cioè una casistica ( “ non rubare”, “non tradire”, “ non ubriacarti” ecc.) che non può dare principi necessari e universali: dal caso concreto non si ricavano principi assoluti ( sia nella morale che nella conoscenza). Per fare un esempio semplice “ non uccidere” ( che è un “comandamento” biblico condiviso ) non può essere un principio assoluto. Ci sono casi in cui uccidere non solo è lecito, ma riconosciuto moralmente buono ( es: la legittima difesa, la protezione di terzi, o la difesa di ideali ritenuti superiori).
La ragion pratica cerca le regole formali ( le leggi) cui deve rispondere una azione buona, perché solo esse sono universali, cioè valide sempre e in ogni caso.
MOTIVAZIONI ETERONOME E IMPERATIVO IPOTETICO
Noi agiamo per motivazioni ( o finalità) intrinseche a noi stessi ( autonome) o per motivazioni esterne ( eteronome : di norma – nomos- altra); queste ultime rispondono a degli imperativi ipotetici ( se… allora).
“ Io non rubo perché non voglio andare in prigione” “ Se voglio un bel voto devo studiare” “ Se tradisco mia moglie vado all’inferno” “ devi essere generosi, così tutti ti stimano” sono tutti imperativi ipotetici con motivazioni eteronome ( la prigione, il bel voto, l’inferno, la stima degli altri).
Le azioni eteronome, mosse da imperativi ipotetici, non sono necessariamente cattive, o, tanto meno , illecite, ma per Kant, non sono oggetto della riflessione morale: la morale deve essere autonoma, cioè mossa da motivazioni intrinseche, autofondantesi, che non cercano appoggi esterni. Solo così si possono trovare dei principi universali , formalmente validi sempre. Una conseguenza della automonia necessaria per il discorso morale è la libertà del soggetto: solo se è libera da qualsiasi vincolo o condizionamento esterno ( eteronomo) la volontà può essere autonoma, quindi se non c è libertà non c’è autonomia e, per Kant, nemmeno moralità.
Il diritto positivo e la religione forniscono molte motivazione eteronome ( devi far così altrimenti vieni punito : la sanzione: ammenda, prigione, ecc), o devi far così perché lo ordina Dio o il sacerdote o perché vai all’inferno ecc.). Kant, pur rispettandole, non le considera motivazioni morali ( sono conformi al dovere, non per il dovere). Leggi: legalità e moralità, pag. 731
La divisione tra legge, religione e morale è fondamentale per la modernità e crea i presupposti per lo stato laico in cui viviamo.
IL DOVERE E L’IMPERATIVO CATEGORICO
L’azione morale non può, dunque, avere ragioni esterne, ma deve essere autonoma: è un senso interno del dovere morale che la muove. Una azione giusta va fatta perché è giusta, per senso del dovere, non per benefici che ne possiamo trarre. Va fatta per imperativa categorico. Cioè l’ obbligazione morale che abbiamo dentro di noi in quanto essere razionali; un a priori ( una “regola prima delle azioni”) universale. L’imperativo categorico ( concetto fondamentale dell’etica kantiana) viene formulato in diverse maniere, ma è sostanzialmente unitario; è un principio formale ( non riguarda le singole azioni, il loro specifico contenuto) ed universale ( cioè valido in ogni circostanza).
La sua formulazione principale è la seguente: “ Agisci unicamente secondo quella massima in forza della quale tu puoi volere nella stesso tempo che essa divenga una legge universale”. Come vedi non si prescrive questa o quella azione, ma come determinare la propria volontà e fornisce al tempo stesso un criterio per decidere circa la moralità di una azione, legandola a un principio generale. In parole molto povere di fronte a una azione dobbiamo chiederci se essa , o meglio i criteri con cui operiamo con essa, possono essere criteri universali, cioè validi per tutti. O, ancora banalizzando ( Kant mi perdoni !) dobbiamo rispondere razionalmente alla frequente domanda: Se tutti facessero come te, cosa succederebbe?- leggi la lettura kantiana a pag. 775
Un’altra formulazione dell’imperativo categorico è la seguente. “ Agisci in modo da trattare l’umanità, tanto nella tua persona quanto nella persona di ogni altro, sempre nella stesso tempo come fine, mai come mezzo”. Infatti nessun fine che sia dato come oggetto esterno può essere assunto come fondamento della moralità. Dunque l’unico fine chè può essere moralmente proposto è l’uomo stesso come valore assoluto. Per fare un possibile esempio brutale ( anche qui Kant mi perdoni) “ si lavora per vivere, non si vive per lavorare”: il fine deve essere sempre l’uomo, non qualcosa esterno all’uomo.-
Un terza formulazione: agisci in modo tale che “la tua volontà possa, in forza della sua massima, considerare sé stessa come come istituente nello stesso tempo una legislazione universale” cioè la tua volontà sia autonoma, legge a se stessa..
E ALLORA?
La critica alla ragion pratica fissa, come vedi, dei punti fermi. Ricapitoliamo: la ragion pratica ( cioè la ragione che ci guida nell’agire) deve essere autonoma ( non può avere motivazioni esterne: autonomia della morale), deve essere un principio formale ( non ha senso la casistica) e deve riferirsi a principi universali ( cioè validi razionalmente per tutti).
Non sono cosa da poco, in particolare nelle conseguenze.
Ad esempio, l’autonimia della morale implica la distinzione tra legge e morale: la legge, nelle concezioni prevalenti attualmente, non ha infatti uno scopo morale, ma utilitaristico: deve regolare nella maniera migliore possibile, il funzionamento della società.
Molte azioni sono lecite, ma non necessariamente morali: e questo, in epoca moderna, non suscita problema, anzi è una necessità un società pluralista cioè in cui convivono valori diversi. Una persona può ritenere che , ad esempio, la masturbazione, l’uso di alcool, il divorzio, l’aborto, il gioco d’azzardo siano azioni moralmente negative, ma, nello stesso tempo, senza nessuna contraddizione, non chiede alla legge di proibirle, in quanto, come detto, la legge non deve stabilire cosa è bene o cosa è male moralmente, ma cosa è utile per regolare i rapporti sociali. Per continuare con gli esempi fatti, proibire la masturbazione potrebbe essere totalmente inefficace ( oltre che irrilevante per la società), proibire l’alcool potrebbe produrre più danni che non proibirlo ( come ha dimostrato il proibizionismo negli anno 20 negli Stati Uniti: aumento della criminalità e del contrabbando, nessuna riduzione significativa dell’etilismo), o la legalizzazione dell’ aborto ha provocato, in Italia, un costante e significativo calo degli aborti praticati.: una legge viene giudicata per gli effetti nella società che produce, non con il criterio astratto di moralità.
La distinzione tra morale e religione rompe un vecchio pregiudizio ( che senza dio non ci sia morale, o che la religione sia fondamento della morale). Per Kant la ragione è fondamento della morale, e la ragione è comune a tutti gli uomini: quindi il principio morale ( l’imperativo categorico) vale per tutti gli uomini, indipendentemente dalla loro cultura o società. In questo senso Kant è contrario al "“relativismo morale” ( ognuno è giusto faccia quello che vuole perché il bene e il male sono relativi), ma è contrario anche al fondamentalismo ( imporre dei comportamenti “morali” a tutti ).
Come vedi sono temi fondamentali anche oggi, nella nostra società. Infatti in un clima preoccupante di “scontro di civiltà” e in società pluraliste come quelle in cui viviamo è fondamentale recuperare il ruolo della ragione, che costruisca fondamenti comuni: “ Il sonno della ragione genera mostri” scriveva Goya, il grande pittore spagnolo contemporaneo di Kant.
Leggi su Kant le riflessioni di Einstein a pag. 809.
Fonte: http://www.luciorizzotto.it/classe5/filosofia/KANT%20%20PER%20PRINCIPIANTI.doc
Sito web da visitare: http://www.luciorizzotto.it
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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