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Michela Pereira
della filosofia nel medioevo
Questo testo riproduce, in formato predisposto per la stampa, i materiali dei primi due livelli del Manuale di storia della filosofia medievale on-line pubblicato nel sito: http://www.unisi.it/ricerca/prog/fil-med-online/index.htm. Nella versione on-line gli autori nominati e i temi filosofici messi a fuoco in queste pagine sono collegati mediante links ipertestuali a schede singole ad essi dedicate, cui si dovrà ricorrere per ogni esigenza di approfondimento; ogni scheda, che contiene indicazioni bibliografiche essenziali, può essere scaricata e stampata singolarmente; dalle schede degli autori si può accedere ad altre risorse on-line.
I capitoli introduttivi qui riprodotti ed il coordinamento scientifico del manuale sono a cura di Michela Pereira. Alla redazione delle schede dedicate ai singoli autori e temi hanno collaborato: Paola Bernardini, Eleonora Buonocore, Elisa Chiti, Emiliano Degl’Innocenti, Lidia Lanza, Ernesto Sergio Mainoldi, Cecilia Panti, Cinzia Pieraccini, Manuela Sini, Pinella Travaglia, Irene Zavattero.
La struttura e la grafica dell’ipertesto sono a cura di Francesco Di Pietro, che ringraziamo per la sua preziosa e instancabile collaborazione.
L’elaborazione del manuale è stata resa possibile da finanziamenti per la ricerca dell’Università di Siena (PAR Progetti per gli anni 2002 e 2003).
Il periodo denominato ‘Medioevo’ copre un intero millennio, dal 500 al 1500 d.C., per convenzione unanimemente accettata dagli storici. L’ampio arco temporale comprende il verificarsi di numerose e profonde trasformazioni della civiltà occidentale, quella in cui la filosofia si era formata e diffusa in Grecia e a Roma: la caduta dell’impero romano con la separazione dell’impero d’oriente a Bisanzio, la formazione dei regni romano-barbarici e la rinascita dell’impero ad opera di Carlo Magno nel IX sec.; la diffusione del cristianesimo e, nel VII sec., la nascita della religione islamica; l’evoluzione istituzionale della chiesa come centro di potere politico e il conflitto con il potere laico a partire dal X sec.; la rinascita demografica, economica e politica dopo il Mille, ed il movimento comunale nelle città; il riformarsi di un’ampia rete commerciale e lo sviluppo dell’economia monetaria; le lotte contro l’Islam per il predominio nel Mediterraneo; la formazione degli stati nazionali. Accanto a questi sviluppi di ordine geo-politico e ad essi strettamente connesso, il mutamento linguistico con l’evoluzione dal basso latino verso le lingue romanze e l’innesto delle lingue volgari di ceppo germanico, celtico, anglo-sassone.
Lo sviluppo del pensiero filosofico nel millennio medievale si scandisce in base a due tipi di impulso: l’uno esterno, extra scientifico, ‘sociologico’, legato alla concreta disponibilità dei testi ed alle forme istituzionali della loro fruizione; l’altro interno, l’evoluzione dell’organizzazione delle discipline e lo sviluppo dottrinale propriamente detto, teologico, filosofico e scientifico. Fino alla metà dell’XI sec. appare come motivo predominante il fattore esterno; dopo questa data si crea uno spazio di autonomia per il pensiero che permette il rinnovamento culturale dei secoli XI e XII, cui offre un apporto determinante il contatto con la cultura islamica ed ebraica e le traduzioni; infine, nel periodo che va dal 1200 alla fine del Medioevo, la nascita delle università determina condizioni esteriori estremamente favorevoli all’evoluzione interna e alla diffusione e produzione del pensiero filosofico e scientifico in altri contesti e in lingue diverse dal latino, permettendo l’accelerazione e l’articolazione degli sviluppi dottrinali della Scolastica.
A partire dal XIV sec., contemporaneamente all’evoluzione delle diverse correnti filosofiche scolastiche, ha inizio il movimento di pensiero denominato ‘Umanesimo’, che si sviluppa al di fuori delle università ed è caratterizzato da una posizione fortemente polemica nei confronti della filosofia e della teologia in esse elaborate. Pertanto, negli ultimi due secoli cronologicamente appartenenti al medioevo, una parte del pensiero filosofico conosce un’evoluzione che è già ‘moderna’. D’altra parte la Scolastica sopravvive nell’insegnamento universitario fin dentro l’età moderna propriamente detta, nei secc. XVI e XVII (seconda Scolastica).
Contrariamente alla nascita della filosofia nella Grecia del IV sec. a.C. – sapere nuovo che si stacca nei contenuti e nelle forme dalla sapienza del mito-, nei secoli medievali lo studio e la pratica della filosofia si esercitano a partire da una tradizione filosofica preesistente, che è necessario sia conservare che ripensare criticamente, nel confronto con una tradizione sapienziale e testuale sconosciuta al mondo greco: le scritture sacre di ebrei, cristiani e poi musulmani. All’incrocio delle idee di conservazione e di utilizzazione critica si colloca la nozione di ‘autorità’ (auctoritas) (i filosofi e in genere gli scrittori antichi ed i Padri della Chiesa) e quella di testo ‘autorevole’ (le loro opere): fu uno dei maestri chartriani, Bernardo, a coniare nel XII sec., la significativa anche se ambigua metafora dei ‘nani sulle spalle dei giganti’, ripresa da molti filosofi e scienziati moderni (Newton fra gli altri). L’attività filosofica si presenta dunque inizialmente come ripresa e interpretazione di idee e testi ‘autorevoli’, e solo alla fine del medioevo comincia a prospettarsi una nozione di ‘autore’ affine a quella moderna. È importante perciò, per la comprensione dei contenuti e delle modalità di sviluppo della filosofia medievale, delineare sia quali testi e saperi antichi si sono conservati, sia come e in quali contesti sono stati letti nel corso del medioevo.
All'inizio del VI secolo, Cassiodoro aveva raccolto in una compilazione dedicata all’educazione dei monaci l'insieme delle arti liberali che già Agostino nel De doctrina christiana aveva identificato col percorso della filosofia che conduce alla comprensione della Sacra scrittura: le arti del linguaggio (dette ‘sermocinali’, o Trivio: grammatica, dialettica, retorica), e le arti della misura (dette ‘reali’ o Quadrivio: aritmetica, geometria, musica, astronomia). Il De nuptiis Mercurii et Philologiae di Marciano Capella (autore pagano del III sec), una enciclopedia inserita in una visione cosmologica imbevuta di platonismo, fu uno dei canali di trasmissione più importanti di questa tradizione antica. Boezio e Alcuino scrissero compendi di tutte o alcune delle arti liberali. I testi classici associati a ciascuna di queste arti - sia che fossero semplicemente riassunti, sia che venissero effettivamente letti e commentati - rimasero per tutta l'età medievale la base della formazione culturale, come mostrano due compilazioni del XII sec., una di ambiente monastico (Hortus deliciarum di Herrade di Landsberg) e l’altra di ambiente scolastico (Eptateuchon di Teodorico di Chartres). Nella stessa epoca Ugo di San Vittore compose un manuale per l’insegnamento, il Didascalicon, in cui accanto alle arti liberali classificava le arti meccaniche, ovvero i saperi tecnico-pratici fondamentali della civiltà medievale (tessitura, architettura, navigazione, agricoltura, caccia, medicina, scenografia). Nelle università le arti liberali costituivano l’insegnamento propedeutico alla filosofia impartito nella facoltà di base, che si chiamò appunto Facoltà di Arti.
Accanto ai trattati sulle arti liberali, il sapere standard del medioevo è trasmesso dalle enciclopedie; la più antica è quella di Isidoro di Siviglia (VII sec.), che si sviluppa in uno schema dilatato e complesso, comprendente fra l' altro il diritto, la medicina, l' architettura, l' agricoltura, la scienza del calendario. Le Etymologiae di Isidoro ebbero una fortuna molto vasta e durevole e costituirono la base per testi analoghi, come il De universo, composto nel IX sec. da Rabano Mauro. Nel XII sec., grazie alle traduzioni dal greco e dall’arabo, le fonti del sapere filosofico e scientifico si ampliarono in maniera consistente: ciò è visibile nell’enciclopedia di Gugliemo di Conches, Dragmaticon philosophiae. Nel XIII secolo, a fianco dei nuovi generi letterari coltivati nelle scuole, continuano ad essere prodotte enciclopedie come il De naturis rerum di Alexander Neckham, il De proprietatibus rerum di Bartolomeo Anglico, ed infine il monumento enciclopedico del Medioevo, il quadruplice Speculum (Doctrinale, Naturale, Morale, Historiale) di Vincenzo di Beauvais, precettore dei figli di Luigi IX di Francia. Quest’ultima opera è in parte anche il frutto della necessità di presentare la cultura del proprio tempo ad un pubblico laico. Programmi e testi enciclopedici vengono anche elaborati, in connessione con i loro progetti di riforma culturale, da Ruggero Bacone e Raimondo Lullo. Quest’ultimo autore introdusse due novità nella scrittura enciclopedica: un ordinamento di tipo sistematico basato sullo schema dell’albero (Arbor Scientiae) e l’utilizzazione della lingua volgare. Fra la fine del XIII sec. e l’inizio del seguente si assiste alla produzione di altre enciclopedie in lingua volgare, come il francese Placide et Timée, il Trésor di Brunetto Latini; e alla traduzione di testi latini, come il Dragmaticon di Guglielmo di Conches e il De proprietatibus rerum di Bartolomeo Anglico.
I testi dell'antichità greca posseduti nel medioevo occidentale erano pochissimi: le Categorie e il De interpretatione di Aristotele, il Timeo di Platone, mutilo della parte finale ma accompagnato dal commento di Calcidio (VI sec.). Dei testi delle scuole filosofiche tardo antiche, a parte l’Isagoge di Porfirio, si erano conservati quasi solo frammenti, citati in funzione polemica o apologetica nelle opere dei primi Padri cristiani oppure raccolti in antologie, florilegi, catene. Molte opere erano però sopravvissute grazie alle traduzioni siriache effettuate da cristiani nestoriani fuggiti dall'Impero Romano d'Oriente nella Siria per motivi religiosi nel IV-V sec., ed erano state in gran parte tradotte in arabo. Nel XII sec., intensificatisi gli scambi culturali in tutta l'area del Mediterraneo, nelle zone di confine (Spagna, Sicilia, Italia meridionale) alcuni intellettuali (fra cui spiccano Ugo di Santalla, Ermanno di Carinzia, Adelardo di Bath, Roberto di Chester -il traduttore del Corano-, Bartolomeo da Messina) dettero impulso ad un'opera di traduzione dei testi scientifici e filosofici, che divennero immediatamente oggetto di studio, arricchendo i contenuti della cultura occidentale e assecondandone lo sviluppo. In particolare veicolarono idee aristoteliche prima della traduzione dei testi dello stesso Aristotele e introdussero l'idea di origine ermetica della possibilità per l'uomo di modificare la natura. Poiché difficilmente si trovavano traduttori che fossero padroni sia della lingua araba che di quella latina, molte volte l'interpretazione del testo era effettuata da un mediatore orale (spesso ebreo), che leggeva testo nella lingua volgare al traduttore; e questi lo traduceva dal volgare al latino, mettendolo per scritto. In altri casi, soprattutto nell'Italia meridionale dove in diversi luoghi la lingua greca era ancora in uso, vennero tradotti direttamente i testi greci.
Fra le traduzioni sia dall’arabo che dal greco rivestono particolare importanza quelle dei testi di Aristotele, auctoritas filosofica di primo piano grazie agli scritti logici fino allora conosciuti, indicati col nome collettivo di Logica vetus. Le prime opere ad essere tradotte in latino furono gli altri scritti dell'Organon. Le traduzioni dal greco furono opera di Giacomo Veneto (Analitici secondi; parte degli Elenchi sofistici; Fisica; De anima; parte della Metafisica e dei Parva naturalia), di Enrico Aristippo e di un gruppo di traduttori anonimi, d'ambiente italiano (Analitici primi, Topici, De generatione et corruptione, Ethica vetus, Metafisica quasi completa). A Gerardo da Cremona sono invece dovute le traduzioni dall'arabo di Analitici secondi, Fisica, De caelo, De generatione et corruptione, Meteorologica, nonché del più importante degli scritti attribuiti ad Aristotele che circolarono nel Medioevo, il Liber de causis, che era in realtà una compilazione dalla Elementatio theologica di Proclo realizzata nel circolo filosofico di al-Kindi. L'interesse per il completamento dell'Organon era legato allo sviluppo della logica nelle scuole, al quale fornì un impulso decisivo sul piano dell'elaborazione epistemologica e delle tecniche di argomentazione. I libri fisici si inserirono nel dibattito sullo statuto dell'idea di natura, rinnovandone contenuti e metodo. L’insieme delle opere aristoteliche dette impulso alla trasformazione della filosofia da nozione generica a disciplina strutturata, suddivisa nei tre rami della fisica, della metafisica e dell'etica: fu questa la nozione di filosofia posta alla base dell’insegnamento nella Facoltà di Arti delle nascenti università. Nella seconda metà del XIII sec. le traduzioni dei testi aristotelici vennero sottoposte ad un accurato lavoro di revisione e di vero e proprio rifacimento ad opera del domenicano Guglielmo di Moerbeke, collaboratore di Tommaso d'Aquino. Queste traduzioni costituirono lo standard della lettura di Aristotele fino alle nuove versioni dal greco effettuate in età umanistica. Accanto ai testi autentici di Aristotele, si diffusero alcuni testi di origine araba a lui attribuiti: il Liber de causis e la Theologia Aristotelis, elaborati nel circolo di al-Kindi; e il Secretum secretorum, un trattato che metteva in scena il filosofo greco come maestro di Alessandro Magno, e che costituì un importante esempio di trattatistica politica (specula principis) ma anche un veicolo di conoscenze astrologiche e alchemiche.
Le opere degli antichi filosofi e dei Padri della chiesa, insieme ai testi rivelati, costituiscono i fondamentali presupposti della filosofia medievale, il cui concreto sviluppo trovò spazio nelle nuove istituzioni d’insegnamento: le scuole monastiche, le scuole cittadine e, a partire dal XIII sec., le università. L’insegnamento si basava sulla lettura, la spiegazione letterale (glossa) ed il commento ai testi della tradizione; da questo modello didattico trassero origine generi letterari nuovi, dei quali il più rilevante è quello del dibattito di scuola, strutturato per argomenti contrapposti (quaestio).
La sopravvivenza delle arti liberali nell'Alto Medioevo si dovette al fatto che esse venivano utilizzate nella formazione dei monaci come introduzione alla comprensione della Sacra Scrittura. Esse vennero dunque a costituire il nucleo dell'insegnamento nelle scuole di cui i monasteri si dotarono accogliendo il modello proposto da Cassiodoro; fino al XII secolo furono questi l’unica istituzione in cui veniva impartito un insegnamento regolare e completo. Negli scriptoria dei monasteri gli scritti degli autori antichi e quelli dei Padri della Chiesa, che servivano per lo studio e per la meditazione, venivano inoltre copiati: questa produzione di libri manoscritti era una vera e propria attività lavorativa che, secondo la regola benedettina, era essenziale come la preghiera per la vita dei monaci. La diffusione del monachesimo nell'Europa del nord e nelle isole britanniche e l’attività di monaci come Colombano (538ca.-615) e il suo discepolo Gallo, fondatori dei monasteri di Bobbio e San Gallo, dettero ampio sviluppo a questo modello. In Inghilterra Beda il Venerabile (673-735) elaborò nelle sue opere i materiali della tradizione colta a partire da problemi fondamentali nella vita ecclesiastica e politica dell’epoca: oltre alla Historia ecclesiastica gentium Anglorum sono importanti i suoi scritti sul calendario ecclesiastico (computo), in cui le conoscenze aritmetiche e astronomiche erano utilizzate per stabilire le date fondamentali dell'anno liturgico. I monasteri insulari, quelli irlandesi in particolare, svolsero una importante funzione di conservazione e trasmissione nell'epoca più difficile del Medioevo, dalla caduta del regno visigotico agli inizi della rinascita carolingia (VIII-IX sec.), quando su impulso di Carlo Magno venne fondata la scuola palatina, organizzata dall’inglese Alcuino. Sulla base di questo modello si sviluppò in pochi decenni una rete di scuole (Laon, Fulda, Tours, Reichenau, Ferrières) orientate alla formazione di funzionari imperiali ed ecclesiastici, in cui il tempo dedicato all’insegnamento era più ampio che nelle scuole monastiche tradizionali. Inoltre in alcune di queste scuole, a partire dalla presenza di maestri particolarmente prestigiosi, cominciò a manifestarsi una tendenza alla specializzazione dell’insegnamento.
Fra XI e XII sec. accanto alle tradizionali sedi d'insegnamento emersero nuovi centri, anche monastici ma soprattutto legati ai capitoli vescovili nelle città, che stavano rapidamente crescendo sia demograficamente che come centri d’importanza economica (mercati) e politica. In questi centri vennero presto introdotti nuovi materiali e nuovi nuclei di riflessione: a Montecassino ebbe inizio un'attività di traduzione in latino di opere mediche arabe dovuta al monaco Costantino Africano (1020ca.-1080); a San Gallo il monaco Notker (950-1022) promosse la traduzione in lingua tedesca di testi scritturali e filosofici (i Salmi, le Categorie di Aristotele, il De nuptiis Mercurii et philologiae, il De consolatione philosophiae di Boezio). A Parigi l'insegnamento della logica iniziò ad articolarsi e approfondirsi: non si studiava ormai più sui manuali, ma direttamente sui testi di Aristotele (Logica vetus) e di Boezio. Nella scuola dei canonici regolari di San Vittore, anch’essa a Parigi, si prestò attenzione allo sviluppo delle tecniche (arti meccaniche) e al rapporto fra nuova cultura e vita mistica. A Chartres e in altri centri del nord della Francia l'interesse dei maestri delle scuole capitolari si rivolse ai nuovi testi scientifici e filosofici tradotti dall'arabo. Nelle scuole di carattere laico, caratteristiche della situazione italiana (Ravenna, Salerno, Bologna), si sviluppavano prevalentemente interessi giuridici e medici. L'insegnamento si era dunque fatto sempre più complesso e articolato, autonomizzandosi e dilatandosi anche come durata; nel corso del XII secolo emerse la nuova figura del "chierico", ovvero - secondo la definizione data da Jacques Le Goff - "l'uomo che per mestiere scrive o insegna - o meglio fa le due cose insieme - l'uomo che per professione esercita un'attività di professore e di erudito, insomma l'intellettuale".
Nel XIII secolo, con l'affermarsi delle corporazioni, il "mestiere" dell'intellettuale dette luogo ad una propria corporazione, detta universitas scholarium, l'università. In poco tempo le corporazioni di maestri e studenti assunsero il monopolio dell'insegnamento, sostituendo nelle città le scuole cattedrali, e gettando sulle scuole monastiche l'ombra di residui del passato. Tuttavia la nascita delle università non si verificò dappertutto allo stesso modo: a Bologna si formò un' associazione di soli studenti, a Parigi di studenti e professori ("universitas magistrorum et scolarium Parisiensium"), a Napoli venne fondata nel 1224 per iniziativa di Federico II. La corporazione degli intellettuali costituiva in ogni sede un gruppo sociale vasto e omogeneo, prima di tutto dal punto di vista di genere: le donne, che nell’istituzione monastica avevano come gli uomini accesso alla cultura, non erano invece ammesse nelle università. Docenti e studenti erano infatti generalmente insigniti degli ordini ecclesiastici minori (‘chierici’), anche se non legati dai voti né soggetti alla disciplina monastica. In questo ambiente maschile e celibatario, marginale rispetto alla vita produttiva e ai rapporti sociali della nascente borghesia cittadina, nasce il fenomeno della goliardia; le innovazioni culturali fermentano in un clima vivace che include anche aspetti di contestazione e di violenza, portando fino a clamorose manifestazioni come lo sciopero del 1229-31, quando gli studenti parigini si trasferirono in massa ad Oxford, dove non era proibito far lezione sui testi di Aristotele, favorendo così lo sviluppo della più antica università inglese.
La forma in cui era impartito l'insegnamento si riflette nella elaborazione degli scritti filosofici fin dagli sviluppi della scuola carolingia: la lettura e commento (lectio) di un testo autorevole costituisce la forma predominante nella produzione scritta a partire dai secc. IX e X. Nel XII sec. l'arricchirsi del patrimonio testuale e la ripresa di un insegnamento basato sui testi antichi, anziché sui compendi altomedievali, favorirono l'articolarsi del genere letterario del commento. Alla semplice glossa (spiegazione di termini difficili o breve annotazione su passi particolarmente importanti del testo base) si sostituisce l’analisi del testo frase per frase arricchita, nei punti più rilevanti o difficili, da ampie digressioni e questioni. Questo metodo permette di presentare diversi livelli d’interpretazione per cogliere i diversi strati di significato rintracciabili nel testo, di cui l’esempio più noto sono i "quattro sensi" della Bibbia: letterale, allegorico, morale e anagogico. Il testo delle lezioni poteva essere redatto dal maestro stesso nella forma di commento, oppure da uno o più discepoli: in questo caso – frequente in ambiente universitario – si ha la cosiddetta reportatio. La complessità di questo nuovo modo di riferirsi alla tradizione rende necessario chiarirne i criteri metodologici, mediante un’articolata introduzione (accessus ad auctores) che spiega fine e modalità del commento, mentre le discussioni sviluppate attorno alle problematiche giuridiche nei secc. XI e XII e la riflessione sugli aspetti problematici della letteratura teologica accentuarono gradualmente l’importanza del metodo questionativo. La dimensione dell’oralità, che accentua l’importanza della memoria, rimase per tutto il medioevo un aspetto centrale dell’insegnamento e dell’apprendimento, anche a motivo del tempo e del costo che la riproduzione manoscritta dei testi richiedeva. A partire dal XIII sec., tuttavia, le università favorirono una forma veloce ed economica di riproduzione dei testi che costituivano il canone curricolare: le copie venivano eseguite da copisti specializzati (stationarii) a ciascuno dei quali veniva affidato un singolo fascicolo, detto pecia, da riprodurre in una quantità determinata; i fascicoli delle varie parti di testo, copiati in serie dai diversi copisti, venivano poi rimessi insieme a comporre più copie dell’intero testo. Oltre ai testi veri e propri, circolavano manoscritti altri strumenti utili per docenti e studenti: antologie di citazioni, compendi e manuali che presentavano schematicamente i contenuti essenziali del curriculum, glossari.
All'interno del commento si sviluppa la quaestio: determinati punti del testo, di particolare difficoltà o importanza dottrinale, vengono esaminati secondo una procedura che si fa sempre più rigorosamente strutturata fino a raggiungere la forma standard nei testi universitari della seconda metà del XIII sec. L’argomento viene presentato – in genere dal magister – come una domanda (utrum) cui sono possibili due risposte contrarie (per esempio, ‘se possa darsi una scienza dell’anima’). Lo stesso maestro o il baccelliere (un grado intermedio fra la condizione di studente e quella di magister) presenta gli argomenti che illustrano la risposta affermativa (quod sic) e quella negativa (quod non, contra); dopo un accurato esame di tutti questi argomenti il maestro giunge alla determinatio finale, ovvero fornisce una risposta che illustra la sua posizione sull’argomento (respondeo); segue in genere la confutazione degli argomenti contrari. Questa forma di dibattito, nella quale era possibile esporre vere e proprie ‘ricerche’ filosofiche e scientifiche su argomenti determinati, era parte dell’insegnamento curricolare. Due volte l'anno però, a Natale e a Pasqua, si disputavano le questioni "quodlibetali", nelle quali il maestro si disponeva a rispondere a domande su qualsiasi argomento (de quolibet) scelto dai suoi interlocutori sul momento: le dispute quodlibetali erano anche un’occasione spettacolare, in cui si manifestava la competizione fra le diverse scuole di pensiero. Le raccolte di quaestiones, tematiche o quodlibetali, costituiscono a partire dal XIII sec. uno dei generi più diffusi della letteratura scolastica. La struttura questionativa, in cui si esprime al massimo grado il "metodo scolastico", fu utilizzata anche per la stesura delle summae (trattati sistematici su un argomento usualmente di carattere generale: per esempio la Summa theologiae di Tommaso d’Aquino), nonché trattati monografici su argomenti determinati. La formalizzazione estrema cui il metodo espositivo scolastico giunse nel XIV e XV sec. fu uno dei bersagli contro cui si scagliarono le polemiche degli umanisti, volte a recuperare forme più libere di discorso: ma il rigore espositivo della quaestio scolastica rimase un modello del discorso scientifico anche oltre la fine del medioevo, identificandosi con la forma basilare dell'insegnamento universitario fino al XVII secolo.
Il quadro complessivo dei secoli medievali mostra uno sviluppo del pensiero filosofico, teologico e scientifico che inizia con la messa a fuoco dei problemi fondamentali posti dal confronto fra la filosofia classica e le dottrine bibliche (e coraniche per l’Islam): l’esistenza di Dio, la sua relazione con il mondo, la natura dell’essere umano. In occidente le tappe significative dal punto di vista teorico sono cronologicamente distanziate nei secoli VI-X, mentre successivamente, a partire dall’XI sec e soprattutto dal rinnovamento culturale del XII, si assiste all’accelerazione dello sviluppo dottrinale, alla moltiplicazione delle figure di spicco, all’elaborazione di veri e propri sistemi filosofici nel XIII sec., e successivamente all’articolazione di nuovi ambiti di riflessione. Nel mondo islamico la ricerca filosofica e l’elaborazione di dottrine originali hanno inizio più presto, a partire dal IX sec., e procedono in parallelo fino al XII; successivamente lo sviluppo della filosofia islamica prende altre strade e cessa di interagire con il pensiero occidentale, mentre assume maggior rilievo l’apporto della filosofia ebraica. Il lavoro complessivo realizzato nei dieci secoli che classifichiamo come medievali può essere visto come una enorme opera di trasformazione, mediazione e trasmissione dell’eredità classica, sulla cui base si sono sviluppate alcune dottrine originali come la prova ontologica dell'esistenza di Dio (Anselmo d'Aosta), l’etica dell’intenzione (Pietro Abelardo), la dottrina della suppositio nell’ambito della logica, la distinzione fra essenza ed esistenza (Tommaso d'Aquino), la teoria della visione beatifica nella Scolastica.
Il disfacimento del mondo antico, culminato con la caduta dell'impero romano nel 476, ebbe fra le sue conseguenze la scomparsa dell’insegnamento della filosofia. La tradizione filosofica greca tuttavia sopravvisse a Bisanzio, per lo più connotandosi come erudizione conservativa (nella Bibliotheca di Fozio e nel Lexicon di Suda, IX sec.) dopo che tuttavia aveva dato, nel VI secolo, un originale frutto nel neoplatonismo cristiano dello pseudo-Dionigi Areopagita, un autore forse siriano le cui opere avrebbero fortemente influenzato la Scolastica latina. Nel mondo latino Boezio e Scoto Eriugena sono gli unici autori di spessore filosofico di quest’epoca e possono (soprattutto il primo) essere considerati per certi aspetti come ultimi esponenti della filosofia antica. Il cristianesimo, condiviso da conquistati e conquistatori, è ora la base della cultura comune nonostante sia diviso al proprio interno da numerose dispute teologiche fra greci e latini; ed è nell'ambito del cristianesimo occidentale che le problematiche teologiche aprono lo spazio per la riflessione propriamente filosofica che riprenderà, con caratteri originali rispetto alla filosofia tardo-antica, nel secolo XI.
I contenuti di questo spazio di riflessione si mostrano inizialmente nell’opera di Boezio (480-524). I due secoli successivi, fino alla fine dell’VIII sec., possono essere considerati un’epoca senza filosofia. Il fattore culturalmente più rilevante nel mondo occidentale è la fondazione del monachesimo (la regola di Cesario di Arles risale al 506, quella di Benedetto da Norcia al 529) e la sua diffusione in tutta l’Europa centro-meridionale e nelle isole britanniche. I frutti più importanti della pedagogia monastica basata sulle arti liberali (le Etimologie di Isidoro di Siviglia, 560ca-633; la Historia ecclesiastica gentium Anglorum di Beda il Venerabile, 672-735) non comprendono contributi originali alla filosofia ma trasmettono contenuti essenziali del sapere classico. Nei secoli IX-X, l’età carolingia, il rinnovamento delle scuole crea lo spazio istituzionale per lo sviluppo del dibattito su temi teologici sulla cui base s’innesta la filosofia fino al XII sec. Le figure più rilevanti dell’epoca sono Alcuino di York (730/5-804), cui si deve la riforma dell’insegnamento delle arti liberali; Gotescalco d'Orbais (m. 869 ca.) e Pascasio Radberto (ca. 790-859), protagonisti della disputa sulla predestinazione; e soprattutto l’irlandese Giovanni Scoto Eriugena (810ca-870ca), cui si deve la prima costruzione filosofica sistematica del medioevo, il De divisione naturae e che con il trattato De praedestinatione intervenne in modo originale e teoreticamente coerente nel più rilevante dei dibattiti dell’epoca. L’Eriugena aveva tradotto dal greco il corpus dionisianum, gli Ambigua e le Quaestiones ad Thalassium di Massimo il Confessore, il De hominis opificio di Gregorio di Nissa, e si era servito di queste fonti per l’elaborazione della propria filosofia, che presenta il ciclo neoplatonico della processio e del reditus attraverso le quattro differentiae della natura intesa come totalità del reale. L’opera dell’Eriugena, sospettata di panteismo e condannata alcuni secoli dopo (nel 1210) non ebbe seguaci al suo tempo.
Contemporaneamente allo sviluppo delle scuole carolingie, nel mondo islamico prendono avvio forme diverse di riflessione filosofica: accanto al sufismo e al kâlam il confronto col pensiero greco viene portato avanti sia da autori cristiani come Giovanni Damasceno (m. 754), sia da musulmani come Hunayn ibn Ishaq (808-873) che traduce Galeno e Aristotele e scrive opere mediche (tradotte in latino nel XII sec. col nome di Johannitius). Il corpus delle opere di Aristotele viene non solo tradotto in arabo, ma anche arricchito di opere pseudoepigrafe sia di metafisica sia di alchimia, fisiognomica, astrologia ecc. Alcune di queste opere (che i latini conosceranno come Theologia Aristotelis e Liber de causis) sono prodotte nel contesto della Casa della Sapienza di Bagdad da filosofi ellenizzanti (falasifa) appartenenti al cosiddetto 'circolo di al-Kindi' (800-870ca), il 'filosofo degli Arabi' che sviluppò un’ontologia e una gnoseologia originali con la dottrina dei raggi e quella dell'intelletto. Altri testi, come l’alchemico Liber quartarum attribuito a Platone e le opere di Thabit ibn Qurra (826-901: scritti ermetici, astrologici, sui talismani) sviluppano temi harraniani. Nel X sec. si colloca l’opera di due figure di spicco: il medico Razes (Abu Bakr al-Razi; 864-925), che nei sui scritti medici e alchemici presenta un atteggiamento di razionalismo antireligioso; ed il filosofo al-Farabi (870-950), che propone un’armonizzazione di Platone e Aristotele basata su dottrine metafisiche (la distinzione essenza-esistenza), fisiche (cosmologia emanatistica) e gnoseologiche (l'intelletto acquisito come termine che collega la conoscenza come per astrazione e la conoscenza per illuminazione). L’eredità culturale del circolo kindiano è presente anche nell’opera del medico ebreo Ysaac Israeli (85 5-955ca.). La filosofia in lingua araba sviluppata in questi secoli non è però soltanto quella che venne accolta dai latini mediante le traduzioni: altri pensatori di rilievo sono Abu Bishr Matta (m. 940), autore di un commento agli Analitici primi; il teologo cristiano Yahya ibn Adi (893/4-974); al-Ashari (874-935) esponente di una delle diramazioni del kâlam (asharismo). Al X sec. risale anche la composizione a Bàssora intorno al X secolo dell’Enciclopedia dei Fratelli della Purezza (setta ismailita, corrente estrema dello sciismo), che si propone di purificare la religione attraverso la filosofia e sostiene l’origine non greca della scienza. A quest’epoca risalgono i primi contatti fra la cultura islamica e quella occidentale: Gerberto d’Aurillac (940-1003; divenne papa col nome di Silvestro II), che fu il più importante scienziato dell’epoca e introdusse nelle scuole occidentali una particolare attenzione per le arti del quadrivio, l’osservazione empirica e l’uso degli strumenti (p.es. l’astrolabio), aveva studiato in Catalogna, a contatto diretto con la cultura scientifica islamica
L'XI secolo è un’epoca di assestamento dell’organizzazione feudale e di sviluppo del mondo latino, sostenuto da fenomeni quali l’espansionismo dei normanni, l’inizio della reconquista spagnola, la prima crociata; ed è allora che inizia a manifestarsi l’esigenza di rinnovamento religioso che si esprime nella riforma del monachesimo benedettino, propugnata dall’abbazia di Cluny, e nella nascita di nuovi ordini che seguono la regola di Benedetto ma si prefiggono più radicali intenti riformatori: i certosini ed i cisterciensi. E’ anche il secolo in cui nasce una vera e propria filosofia medievale in lingua latina, a partire dall’elaborazione dialettica di problemi teologici: la teologia non è ancora divenuta un sapere autonomo, e la discussione fra i cosiddetti 'dialettici' (Berengario di Tours: 1005ca-1088) ed 'antidialettici' (Pier Damiani, 1007-1072; Lanfranco di Pavia, 1010-1089) non verte tanto sulla legittimità dell'uso della dialettica ma sul suo statuto nei confronti della parola rivelata: strumento di razionalizzazione del discorso della fede per Berengario, che nega la presenza sensibile del corpo di Cristo nell'Eucarestia sulla base di un'argomentazione logica; 'ancella' per Pier Damiani, che la utilizza per affrontare il problema della potentia Dei absoluta: rispondendo alla questione se la potenza divina possa contravvenire alle leggi naturali e al principio di non-contraddizione Damiani argomenta che Dio, in quanto sorgente delle leggi naturali, non è sottoposto ad esse.
Nelle scuole l’utilizzazione delle regole logiche aristotelico-boeziane e la discussione di temi morali di origine stoica ad opera di maestri come Fulberto di Chartres (960ca.-1028) e Abbone di Fleury (945ca-1004) introducono un’embrionale cultura filosofica. Ma il contributo filosofico più alto e originale dell’epoca non nasce nel contesto delle scuole, bensì in quello monastico, ad opera di Anselmo d’Aosta (1033/34-1109), discepolo di Lanfranco di Pavia ed autore di numerosi scritti, fra cui i principali sono Monologion, Proslogion, Cur Deus homo, De veritate, De grammatico. Primo pensatore cristiano originale dopo Agostino, sviluppa la semantica logica di Aristotele e utilizza argomentazioni dialettiche sia per provare l’esistenza di Dio che per argomentare a proposito di tematiche teologiche come l’incarnazione di Cristo. L'intelligenza della fede (fides quaerens intellectum) su cui si basa la prova ontologica dell’esistenza di Dio elaborata nel Proslogion presenta, dal punto di vista formale, un’analogia con la posizione dei seguaci del kâlam, presente del resto anche nella posizione dei dialettici che può essere pensata come una sorta di kâlam cristiano.
Nel mondo islamico continuano a svilupparsi le dottrine del kâlam (nel frattempo articolatosi nelle due dottrine asharita e mutazilita) e del sufismo. Ma la filosofia più significativa elaborata nell’XI sec. è quella del persiano Avicenna (980-1037), che mette in relazione temi della sapienza orientale (l'estasi, la profezia) con la filosofia greca sviluppando in modo originale dottrine metafisiche (l’idea dell'essere in quanto essere e la distinzione fra essenza ed esistenza), psicologiche e gnoseologiche (l'anima come sostanza spirituale; la valorizzazione dell'immaginazione) e collegando la cosmologia emanatistica all'angelologia iranica . Al-Ghazali (1058-1111) sviluppa una logica non aristotelica e confuta Avicenna e in generale le posizioni dei filosofi ellenizzanti, ma in Occidente viene considerato uno di essi. Le diverse posizioni filosofiche compresenti nel mondo islamico sono descritte nel Fihrist di al-Nadim e nelle opere del teologo e giurista cordobense Ibn Hazm (994-1064). Sotto il califfato omayyade di Cordoba (929-1031) la cultura elaborata nei centri dell’islam orientale aveva iniziato ad espandersi nella penisola iberica (al-Andalus), dove dette il primo importante frutto nell’opera del filosofo ebreo di lingua araba nato a Malaga, Salomon Ibn Gabirol (Avicebron 1021-1051). Nel suo Fons vitae Avicebron propone una posizione filosofica in seguito denominata ‘ilemorfismo universale’, in cui uno schema emanatistico d’impianto neoplatonico viene articolato attraverso i concetti aristotelici di materia e forma. Temi neoplatonici caratterizzano la cultura bizantina, e in particolare le opere di Michele Psello (1018-1078); mentre alcuni temi aristotelici (l’intelletto, la felicità mentale) sono al centro dell’opera di due intellettuali del circolo dell’imperatrice Anna Comnena, Eustrazio di Nicea e Michele di Efeso i cui commenti ad Aristotele saranno tradotti in latino nel XIII secolo.
Nel secolo in cui le città tornano ad essere il centro della vita economica e si esplica in tutta la sua ampiezza e profondità il movimento di riforma del monachesimo, due mondi intellettuali si scontrano: il mondo monastico, in cui la filosofia è caratterizzata dalla prevalenza di temi agostiniani di ascendenza platonica; e il mondo urbano, dove l’insegnamento filosofico comincia ad assumere un rilievo maggiore nelle scuole, pur rimanendo inquadrato nel contesto delle arti liberali. Il riconoscimento della scarsità di fonti filosofiche disponibili stimola l'apertura del mondo latino alla cultura bizantina e islamica, facilitata dai nuovi canali di comunicazione legati sia alle vie commerciali che al movimento delle crociate. Conseguenza di tale apertura è una nuova concezione della filosofia, che si autonomizza e cresce su se stessa. Lo sviluppo delle scuole urbane produce quello che è stato definito il 'Rinascimento del XII secolo' (Haskins, 1927), che in realtà ha, nella prima metà del secolo, due aspetti: uno latino autoctono (di derivazione boeziana), che ha luogo nelle scuole di dialettica di Parigi ed è caratterizzato dallo sviluppo delle arti sermocinali (grammatica, logica e sua applicazione alla teologia): esponente principale di questo aspetto è Abelardo (1079-1142); contro cui polemizza il capofila della cultura monastica, Bernardo da Chiaravalle. Le scuole di logica si formano attorno a singoli maestri le cui elaborazioni definiscono le posizioni caratteristiche di ciascuna di esse. Il secondo aspetto, focalizzato soprattutto attorno alle scuole di Chartres e di San Vittore, è caratterizzato dalla massiccia immissione nell’insegnamento dei nuovi materiali filosofici e scientifici introdotti mediante le traduzioni. La scuola dei canonici agostiniani di San Vittore si caratterizza per l’inserimento delle nuove fonti filosofiche in un contesto mistico centrato sul tema dell’amore di Dio; accanto ai saperi teorici i vittorini, in particolare l’autore del Didascalicon Ugo (m. 1141), valorizzano i saperi pratici (arti meccaniche) nel quadro di un interesse per la vita terrena dell’uomo come percorso di salvezza. Questo tema, che porta un altro dei vittorini, Riccardo (m. 1173), a formulare l’idea dell’uomo come microcosmo, lo ritroviamo anche negli scritti di Ildegarda di Bingen (1098-1179), saldamente inserita nella cultura monastica tradizionale di cui elabora in modo originale molte tematiche; mentre l’interesse congiunto per la concretezza della vita umana e per le modalità dell’esperienza mistica, elaborata nella Lettera d’oro di Guglielmo di Saint-Thierry (1085-1145), caratterizzano la cultura dei cisterciensi. Un platonismo fondato sul pensiero ellenistico, nutrito d'esperienza cristiana e fuso intimamente a dottrine stoiche e tesi filosofiche e scientifiche d’origine araba caratterizza invece la scuola di Chartres, i cui rappresentanti di maggior rilievo sono Guglielmo di Conches (m. 1154ca) e Teodorico di Chartres (1142-1150). La posizione degli chartriani, ben sintetizzata nell’affermazione di Guglielmo, che “in tutte le cose si deve ricercare la spiegazione razionale” (in omnibus rationem esse quaerendam), si esplica soprattutto nell’indagine sulla natura: il Timeo di Platone viene utilizzato per spiegare razionalmente la creazione del mondo secondo la Genesi, ed in questo contesto vengono inseriti gli apporti delle nuove scienze introdotte con le traduzioni dall’arabo (medicina e astronomia in primo luogo). La pluralità degli interessi e l’atteggiamento critico caratterizzano le ricerche chartriane, come mettono in evidenza le opere di Giovanni di Salisbury (1125ca-1180), in cui la riflessione filosofica si apre alla discussione politica relativa alla sorgente del potere. Fra i testi tradotti dall’arabo, un gruppo consistente è formato da quelli di orientamento astrologico, magico e alchemico attribuiti ad Ermete Trismegisto. In connessione con i testi propriamente filosofici sia di origine antica, come l’Asclepius, sia prodotti nello stesso XII sec., gli scritti ermetici ‘tecnici’ introducono nella cultura latina l’idea della possibilità umana di trasformare a proprio vantaggio e dentro una prospettiva salvifica la natura, in sintonia con i processi di rinnovamento e crescita demografica, agricola ed economica in genere che caratterizzano quest’epoca.
Nella seconda metà del secolo comincia a manifestarsi un’esigenza di riorganizzazione del sapere ed emerge una concezione nuova della teologia, cui avevano aperto la strada le opere logiche e teologiche di Abelardo e la riflessione dei vittorini sui sacramenti. I quattro libri delle Sententiae di Pietro Lombardo (m. 1160) gettano le basi della teologia scolastica, attraverso la raccolta sistematica delle dottrine patristiche su: la Trinità, la creazione, l'Incarnazione e l'azione dello Spirito Santo, i sacramenti. Quest’opera diventerà il testo base dell'insegnamento teologico nel XIII secolo. Alano di Lilla (1120ca-1202/3), che nelle opere poetiche presenta le nuove concezioni della natura e dell’uomo, propone nelle Regulae una teologia costruita in forma assiomatica che si prefigge di dimostrare le verità della fede in funzione anti-ereticale. Il catarismo, movimento religioso d’impostazione dualista, pone infatti ai teologi dell’epoca una dura sfida, ancora presente nei primi decenni del XIII secolo e chiusa solo dallo sterminio della cultura catara provenzale in conseguenza dell’intervento militare non a caso definito ‘crociata’ (assedio di Tolosa, 1229; assedio di Montsegur, 1242). Non è però l’unica eresia di portata filosofica a formarsi in quest’epoca di fermento sociale e dottrinale: alla prima condanna dei libri di Aristotele, emessa nel 1210, vennero associati come ‘eretici’ gli scritti di Davide di Dinant ed Amalrico di Bène; mentre il movimento del Libero Spirito era ancora presente agli inizi del ‘300.
Nella cultura islamica il XII sec. è l’epoca che vede fiorire i grandi pensatori di al-Andalus: Ibn Bagga (Avempace, m. 1139), che nel Regime del solitario introduce una lettura politica della ‘vita filosofica’ centrale nell’Etica Nicomachea di Aristotele; Ibn Tufayl (m. 1185), che inaugura il genere del romanzo filosofico indicando come fine della vita filosofica il passaggio all’estasi; il filosofo sufi Ibn Arabi (1165-1240); e soprattutto Ibn Rushd (Averroè,1126-1198), che propone una soluzione innovativa al rapporto fra filosofia e religione e propone la più completa e importante interpretazione complessiva delle opere d’Aristotele nel mondo islamico. Anche nell’Islam orientale continua il lavoro d’interpretazione e di valutazione della filosofia aristotelica da parte di autori che però, non essendo tradotti, non vengono conosciuti nel mondo latino: Shahrastani (1086-1153), Abu'l Barakat al-Baghdadi (m. 1164) che sviluppa una logica di tipo nominalista, Fakr al-Din al-Razi (1149/50-1209. Anche Mosè Maimonide (1135/38-1204), il filosofo ebreo che influenzò Alberto Magno e Tommaso d’Aquino, era nato in al-Andalus, a Cordoba. La sua Guida dei perplessi unisce temi del kâlam e della filosofia in una sintesi teologica il cui apparente disordine espositivo è in realtà un rinnovamento dell'ordine ermeneutico basato sull’intertestualità.
Il XIII secolo vede la trasformazione delle scuole cittadine in università, luogo di produzione (e non di semplice trasmissione) del sapere; le prime università furono fondate a Bologna, Parigi e Oxford. L’università è un’istituzione autonoma, organizzata come le corporazioni dei mestieri, ma con strutture caratteristiche: le facoltà, suddivise secondo le grandi scansioni disciplinari; e le ‘nazioni’ (qualcosa di analogo agli odierni college), che riflettono la provenienza e la lingua-madre degli studenti, mentre la lingua utilizzata nell’insegnamento continuò per molti secoli ad essere il latino. La facoltà di Arti, propedeutica alle altre tre, copre l’insegnamento della filosofia che dalla fine del secolo precedente era stata articolata secondo la scansione aristotelica in metafisica, fisica ed etica; nelle tre facoltà superiori (oggi forse le definiremmo ‘professionalizzanti’) si insegnavano la teologia, la medicina e il diritto (romano ed ecclesiastico). Il sapere prodotto nel mondo tutto maschile dell’università si caratterizza per la sua forma competitiva (il genere letterario più rappresentativo è la quaestio), con aspetti ludici che affiancano quelli critici. Le fonti filosofiche acquisite nel secolo precedente sono assimilate attraverso un capillare lavoro critico (i commenti) e ampliate attraverso nuove traduzioni soprattutto dal greco (commenti ad Aristotele di autori neoplatonici: Ammonio, Simplicio, Filopono; e bizantini: Eustrazio di Nicea e Michele di Efeso, tradotti da Roberto Grossatesta (m. 1253); Proclo, tradotto da Guglielmo di Moerbeke, cui si devono anche revisioni e rifacimenti della traduzioni dei testi aristotelici). Nei confronti del mondo orientale, il XIII sec. si caratterizza per una duplice chiusura: verso il mondo islamico (1210, 1270, 1277: condanne verso l’aristotelismo e l’arabismo) ma anche verso quello greco-bizantino (la condanna della concezione greca della visione beatifica). L’utilizzazione estesa della logica modernorum porta alla produzione di nuove modalità di argomentazione in ambito teologico e scientifico, che verso la fine del secolo cominciano ad aprire varchi sempre più consistenti nel sistema aristotelico. La nascita degli ordini mendicanti produce un riassestamento delle istanze spirituali e, in particolare con l’ordine domenicano, si propone come baluardo della fede cristiana contro le eresie e contro l’Islam: anche la filosofia viene ‘arruolata’ contro gli infedeli, come indica il programma del generale domenicano Raimondo di Peñafort a cui si ispirano la Summa contra Gentiles di Tommaso d’Aquino (1225-1274) e l’intera opera apologetica di Raimondo Lullo (1235-1315).
La prima metà del secolo si caratterizza per l’iniziale condanna e poi la lenta assimilazione della filosofia aristotelica. Centrale in questo processo è l’atteggiamento dei teologi (Guglielmo d’Auxerre, m. 1131; Filippo il Cancelliere, m. 1136; Guglielmo d’Alvernia, m. 1245) che iniziano ad articolare un discorso scientifico sulla teologia e sulla sua relazione con la metafisica; e dei magistri Artium, cui si deve l’impostazione della riflessione sulle opere filosofiche di Aristotele mediata dall’utilizzazione dei commenti di Avicenna e di Averroè. Entrambi gli aspetti culminano nell’opera di Alberto Magno (1200ca.-1280), soprannominato Doctor Universalis per l’ampiezza dei suoi interessi; dal suo insegnamento presero il via sviluppi dottrinali diversi: l’averroismo di Sigieri di Brabante, la sintesi aristotelico-cristiana di Tommaso d’Aquino, le tematiche neoplatonico-dionisiane ed il collegamento fra il tema della vita filosofica e l’esperienza mistica che caratterizzano la filosofia tedesca e in particolare l’opera di Eckhart (1260-1327). Verso la metà del secolo si verificò un’importante novità istituzionale: i due ordini mendicanti, domenicani e francescani, sorti all’inizio del secolo da esigenze spirituali ben definite (rispettivamente: lotta antiereticale e povertà evangelica), si inserirono a pieno titolo nella vita universitaria dopo un periodo di aspra polemica con i maestri secolari. Alberto Magno era un domenicano, e così Tommaso ed Eckhart. I magistri francescani di Arti e di teologia parteciparono allo stesso processo di trasformazione culturale con una posizione notevolmente diversa, molto più critica nei confronti dei rischi impliciti nell’accettazione della filosofia aristotelica da parte di cristiani; le figure più caratteristiche di questa tendenza furono Alessandro di Hales (1170ca-1245) e Giovanni de la Rochelle (1190ca-1245) nella prima metà del secolo; e nella generazione successiva Bonaventura da Bagnoregio (1217-1274), che resse la cattedra francescana di teologia negli stessi anni in cui Tommaso d’Aquino reggeva quella domenicana, e propose un’originale riflessione sulle condizioni di lavoro del teologo nel contesto determinato dalla filosofia aristotelica, nonché una sintesi di tematiche metafisiche e spirituali (mistiche) incentrata sulla trasparenza simbolica del mondo come manifestazione di Dio e in particolare sul tema della luce. Nel contesto della facoltà di Arti aveva avviato la propria riflessione filosofica un altro francescano, Ruggero Bacone (1215ca-1294), che sviluppò ben presto una posizione originale e fortemente polemica nei confronti dei suoi contemporanei (in primis proprio di Alberto Magno), proponendo una riforma degli studi che si ponga come base e strumento di una profonda riforma della cristianità. Bacone pone, a questo scopo, l’accento sulla necessità di assumere un atteggiamentod’indagine critica della realtà (scientia experimentalis), non limitandosi al sapere appreso dai libri delle auctoritates. Una proposta riformatrice diversa, imperniata sull’intuizione di un metodo dimostrativo non aristotelico, venne da Raimondo Lullo (1235-1315), filosofo di formazione non universitaria, laico per quanto vicino ai francescani. La diffusione della filosofia fuori dalle università è testimoniata dall’opera di Dante e, in modo diverso, da parte della produzione di Eckhart: le sue prediche in tedesco, così come l’uso dell’italiano per il Convivio dantesco e del catalano per molte delle opere lulliane, costituiscono i primi esempi di produzione filosofica originale in lingue diverse dal latino. Negli ultimi decenni del secolo le posizioni filosofiche si affinano e si diversificano, dando luogo ad un periodo complesso caratterizzato da rilevanti dibattiti dottrinali di cui i principali sono quello contro gli averroisti (centrato su due punti caldi del confronto con la filosofia aristotelica: l’unicità dell’intelletto possibile e l’eternità del mondo) e quelli pro e contro il tomismo (che divenne la dottrina ‘ufficiale’ dei domenicani solo nel terzo decennio del Trecento), in particolare quello concernente l’unicità della forma sostanziale, che contraddiceva l’ilemorfismo.
Nel mondo islamico orientale la discussione sulla filosofia aristotelica prosegue ancora per tutto il secolo ma senza conseguenze per la filosofia latina, perché nessuno degli autori attivi sotto la dinastia mongola (Nasir al-Din al-Tusi,1201-1274; Ibn Taymiyya, 1263-1328; Iji 1281-1355) viene tradotto. Anche lo scambio con i filosofi di al-Andalus si esaurisce con le lettere inviate da Ibn Sabin (1218-1270) a Federico II, che affrontano problemi fondamentali anche nella filosofia scolastica: l'eternità del mondo, la possibilità della teologia, la struttura categoriale dell'essere, il problema dell'anima individuale e dell'immortalità personale, il rapporto fra ragione e rivelazione. Attraverso la corte federiciana, ad opera di Michele Scoto, era giunta ai latini la traduzione dei commenti aristotelici di Averroè. Ed è in gran parte dalla Sicilia che si diffondono, attraverso il circolo intellettuale raccolto alla curia papale a metà del secolo, interessi scientifici (per l’ottica, l’astronomia, l’alchimia) centrati attorno ad una valorizzazione della corporeità e testi ad essi connessi. Diversi autori scolastici (Alberto Magno e Ruggero Bacone soprattutto) manifestarono un forte interesse per queste tematiche prima che, alla fine del secolo, la forte centratura sulle problematiche teologiche, metafisiche e logiche nell’università e la tendenza ad una specializzazione determinassero una netta separazione fra i ‘saperi dei corpi’ e la ricerca filosofica e scientifica istituzionale. Quasi assente è in quest’epoca lo scambio filosofico con Bisanzio, dove l’interesse prevalente continua ad essere per la filosofia neoplatonica. L’interazione con la filosofia ebraica si fa invece più complessa e sfuggente, sia per l’esplicitarsi di un antisemitismo che rende conflittuali i rapporti fra comunità, sia perché i filosofi ebrei attivi in Provenza e in Catalogna scrivono ormai prevalentemente nella loro lingua (Samuel ibn Tibbon, m. 1232; il gruppo di traduttori di Lunel; Shemtob ben Joseph ibn Falaqera, 1223/5-post 1291, che traduce in ebraico la Guida dei perplessi; l’averroista Isaac Albalag, attivo negli ultimi decenni del secolo; i cabalisti spagnoli Ezra e Azriel di Gerona, Mosè Nahmanide, Giuda Cohen, Abraham Abulafia). Significativi scambi continuano comunque a sussistere negli ambienti intellettuali italiani.
Gli ultimi due secoli del medioevo sono un’epoca di conflitti: fra il potere politico e quello ecclesiastico nel XIV secolo; mentre nel XV i conflitti scoppiano fra gli stati nazionali (Guerra dei Cent'anni tra Francia e Inghilterra,1339-1423); e all’interno della chiesa, che vede acutizzarsi la contrapposizione fra una concezione ecclesiologica centrata sul potere del papa e della curia ed una spirituale e comunitaria, a partire dal papato di Avignone fino ai primi decenni del ‘400, l’epoca degli antipapi e della problematica conciliaristica (concili di Costanza, 1414-18; e di Basilea, 1431-49). Il XIV è un secolo di fioritura intellettuale, d'innovazione, di critica che vede l'articolarsi delle posizioni sugli universali, con varie forme di realismo (legato a concezioni platoniche) e di nominalismo; forme diverse di rapporto fra logica, fisica e teologia, in particolare sul tema dell'onnipotenza divina; l'emergere di concezioni della natura alternative a quella aristotelica: la teoria dell'impetus elaborata dai fisici nominalisti parigini; lo sviluppo di ipotesi contrafattuali da parte dei Calculatores di Oxford; l’idea alchemica di un’integrazione fra creazione e trasformazione del mondo, che si serve della logica lulliana dei correlativi. I pensatori più rilevanti dell’epoca elaborano i loro sistemi dopo la crisi determinata dalla condanna del 1277, che mostrò il carattere non definitivo della sintesi aristotelico-cristiana ricercata dagli scolastici e realizzata al massimo livello da Tommaso d’Aquino. In Germania alcuni magistri domenicani che avevano studiato a Colonia sotto la guida di Alberto Magno ne sviluppano in maniera originale le tematiche relative all’intelletto: Teodorico di Vriberg (1270-1320) lo identifica con l'abditum mentis (il fondo dell’anima) e lo concepisce come sostanza dinamica che è in quanto opera; su questa linea si colloca anche Eckhart (1260ca-1328), che inoltre elabora la nozione dell’essere divino come ‘purezza dell’essere’ ponendola in relazione con le tematiche neoplatonico-dionisiane della teologia negativa; entrato in contatto con l’opera della beghina Margherita Porete (m.1310) dà un’interpretazione filosofica della nozione di ‘anima annichilata’, liberata cioè dai limiti dell’individualità attraverso l’esperienza mistica, leggendola alla luce della nozione di ‘fondo dell’anima’ e connettendola all’ideale etico aristotelico della vita felice nella nuova figura dell’‘uomo nobile’, affine all’idea dantesca di nobiltà. I temi della filosofia neoplatonica vengono sviluppati nel commento di Bertoldo di Morsburg alla Elementatio theologica di Proclo. A Parigi il francescano Giovanni Duns Scoto (1265-1308), pur appartenendo cronologicamente quasi per intero al secolo precedente, si colloca con la sua ricerca nitidamente oltre l’orizzonte tomistico, mettendo al centro della propria filosofia i temi dell’univocità dell’essere, della conoscenza individuale e della potenza assoluta di Dio. Francescano è anche l’inglese Guglielmo di Ockham (1285ca-1349), la cui carriera di magister nell’università di Oxford fu stroncata dall’opposizione contro le innovazioni filosofiche da lui proposte: la contingenza e l’individualità al posto della catena ontologica di enti, il raccordo fra potenza assoluta di Dio e ordine della creazione (garanzia della possibilità per la ragione umana di riconoscere la regolarità naturale) attraverso la nozione di ‘patto’, l’integrale nominalismo logico, secondo cui l’universale è un puro contenuto mentale (intenzione) che significa l’individuo e la specie, l'idea di conoscenza come intuizione. Attorno alla gnoseologia intuitiva di Ockham si sviluppa un'ampia discussione, nella quale spiccano le posizioni di Pietro Aureolo, Gregorio da Rimini e Nicola d'Autrecourt. La dottrina politica dell’indipendenza dell’imperatore dal papa, sviluppata da Ockham dopo la fuga dal carcere papale di Avignone insieme al francescano spirituale Michele da Cesena (1329), si colloca a fianco delle dottrine politiche di Marsilio da Padova (1275ca-1342) e di Dante Alighieri (1265ca-1321): soluzioni diverse alla tradizionale discussione sul rapporto fra i due poteri, che prendono le mosse dalla Politica di Aristotele per riformulare teoreticamente la nozione stessa di potere nel contesto del profondo mutamento politico dell’Europa, ma da Aristotele si distaccano in larga misura, sulla base dell’attenzione alla realtà empirica del loro tempo. Altri saperi specialistici riguardanti la natura e il corpo umano vengono articolandosi e lentamente staccandosi dalla cornice universalistica della filosofia aristotelica nel corso del ‘300: oltre alla medicina, anche la fisiognomica; l’astrologia e l’alchimia fanno ancora parte del patrimonio intellettuale condiviso, pur proponendo un’idea di interazione con e trasformazione della natura la cui matrice non è la fisica aristotelica, ma l’ermetismo.
Il XV secolo vede, col moltiplicarsi delle università e la diffusione nel centro e nel nord Europa della cultura elaborata nelle sedi tradizionali d’insegnamento, una cristallizzazione delle posizioni scolastiche nella contrapposizione delle ‘vie’, ovvero dei più rappresentativi sistemi filosofici elaborati fra Due e Trecento: la ‘via di Tommaso’, la via moderna (i seguaci di Ockham, fra cui spiccano Gabriele Biel e Paolo Veneto), la via antiqua (i seguaci di posizioni albertiste, come Eimerico da Campo, 1395-1460), insieme ai fermenti umanistici iniziati già nel secolo precedente fra i laici come Francesco Petrarca (1304-1374). La diffusione delle discussioni filosofiche anche al di fuori delle scuole, soprattutto nelle corti e negli ambienti umanistici, produce in Francia l’opera di Christine de Pizan (1363-1430ca), di capitale importanza per l’emergere del dibattito su uguaglianza e diversità fra uomo e donna, che proseguirà in età moderna con la cosiddetta ‘querelle des femmes’. L'università diventa il terzo potere dopo la chiesa e gli stati (sacerdotium, regnum, studium) e può rivelarsi sia organica ad uno dei due altri (al potere ecclesiastico, secondo la posizione teocratica espressa nel XIII sec. da Egidio Romano, che utilizzava la nozione teologica di gerarchia; al potere regio, secondo le elaborazione dei giuristi al servizio di Filippo il Bello che utilizzano fra l’altro la metafora organicistica che paragona lo stato al corpo umano, introdotta da Marsilio da Padova, per sostenere attraverso l’equivalenza cuore-cervello l’ordinamento non gerarchico dei due poteri); sia critica nei confronti della problematica ecclesiologica, come mostrano la distinzione fra Santa Chiesa la Grande e Santa Chiesa la Piccola nella mistica proposta da Margherita Porete, condivisa da altri esponenti del mondo beghinale e della mistica speculativa; nonché la valorizzazione della spiritualità laica e l’emergere dell’idea di chiesa nazionale, dapprima con Giovanni Wyclif (1330-1384) e poi con Giovanni Hus (1372-1415). Il filosofo più rappresentativo del secolo è Nicola Cusano (1401-1464), che per la tematizzazione del rapporto fra finito e infinito nel rapporto fra Dio e mondo e per la sua originale dottrina della conoscenza come ‘dotta ignoranza’ viene usualmente considerato come il primo filosofo ‘moderno’. Cusano condusse la sua ricerca filosofica al di fuori degli ambienti universitari, nel vivo delle problematiche conciliaristiche e più in generale politiche: il De pace fidei, dialogo fra religioni che presenta la prima espressione filosofica dell’idea che la modernità avrebbe denominato ‘tolleranza’, fu scritto nel 1453, all’indomani della presa di Costantinopoli da parte dei turchi. Una delle conseguenze di questo evento fu la venuta in Italia di filosofi e teologi bizantini, che rafforzò la ripresa di contatti già iniziata con la presenza di alcuni di essi al concilio di Firenze e Ferrara (1433-34): Giorgio Gemisto Pletone, Giorgio Scolarios, Giorgio di Trebisonda, Giovanni Bessarione introducono le opere di Platone e l’esigenza filosofica della conciliazione di Platone e Aristotele, che sarà fatta propria da molti degli autori raccolti nell’Accademia platonica, fondata a Firenze nel 1440: si apre così la stagione della filosofia rinascimentale, su cui influisce anche la letteratura filosofica ebraica prodotta in lingua latina da autori come Hazdai Crescas (m. 1410), Isaac Abrabanel (1437-1508) ed Elia Delmedigo (1460-1497), che reintroducono nelle discussioni filosofiche le tematiche cabbalistiche.
La fine del Medioevo è contrassegnata filosoficamente dalla rottura con la logica tardo-scolastica e con la dipendenza da Aristotele, dunque col movimento avviato nel XII secolo, e il Rinascimento costruirà la propria identità filosofica a partire dalla programmatica polemica antiscolastica (Garin, Rinascite e rivoluzioni). Ma per quel che riguarda altre forme di pensiero - per esempio i saperi scientifici: la fisica nominalista, la medicina, le dottrine ermetico-pratiche - la cesura fra Medioevo e Rinascimento non è né così netta né contemporanea alla critica umanistica della filosofia scolastica. Quest’ultima continuò a vivere nelle università, i cui contenuti si trasformano in maniera assai più lenta e impercettibile: fra '500 e '600 si ha una ripresa del pensiero scolastico, la 'seconda scolastica', che trova espressione nei commenti aristotelici di Coimbra (Conimbricenses).
La tradizione filosofica greca, che nel I sec.a.C. si era diffusa nel mondo latino, aveva continuato a vivere e a svilupparsi nella tarda antichità ad Atene (fino alla chiusura della Scuola di Atene nel 529), Roma e Alessandria. La separazione dell’eredità imperiale romana nei due imperi d’Occidente e d’Oriente (395) e le successive vicende politiche spezzarono l’unità culturale dell’area mediterranea, dove nei primi secoli dell’era cristiana avevano convissuto, intrecciandosi, non solo le due lingue classiche (greco e latino), ma anche religioni d’origine orientale accanto alle scuole filosofiche antiche; e dove la religione cristiana si era diffusa e affermata, dapprima lentamente e in mezzo ai contrasti, ma con crescente vigore a partire dall’editto di Costantino (313). Accanto al mondo latino-barbarico e a quello greco-bizantino, che all’inizio del VI secolo erano ormai nettamente diversificati, nel secolo successivo si inserì nello scenario mediterraneo l’Islam, potenza religiosa, linguistica, politica e militare completamente nuova, nata dalla predicazione di Maometto. L’eredità filosofica fu raccolta ed elaborata in maniera diversa nelle tre grandi aree linguistico-politiche, ma in tutte fu centrale il confronto con i contenuti della religione rivelata.
Gli elementi che caratterizzarono lo sviluppo della filosofia a Bisanzio furono: la centralizzazione della vita culturale alla corte imperiale; l’utilizzazione esclusiva della lingua greca classica (il greco demotico, lingua parlata da tutti i popoli dell’impero d’Oriente, venne usata solo in alcuni settori marginali della produzione scritta); l’orientamento conservativo ed erudito nei confronti della cultura classica; la separazione fra la pratica della filosofia, considerata una scienza ‘straniera’, e lo sviluppo del pensiero religioso – teologia spirituale e pratica contemplativa – nei secoli centrali del medioevo bizantino (IX-XIII): un vero e proprio confronto fra filosofia e pensiero religioso, dopo l’età dei Padri (IV sec.), si ebbe di nuovo solo al tempo della disputa sull’esicasmo (XIV sec.). L’insegnamento della filosofia non fu istituzionalizzato in maniera stabile (la scuola imperiale di Magnaura, fondata nel IX sec., ebbe vita breve), ma fu praticato in genere in circoli privati, come quello raccolto attorno all’imperatrice Anna Comnena nell’XI sec. L'orientamento filosofico di fondo fu prevalentemente platonico e neoplatonico: Proclo ebbe particolare influenza sul primo filosofo cristiano di lingua greca, Dionigi pseudo Areopagita, ma anche su pensatori più tardi, come Michele Psello (XI sec.) ; anche i commentatori bizantini di Aristotele sono in genere su posizioni neoplatoniche. Sul neoplatonismo si innestano influssi orientali, in particolare la presenza di dottrine magiche di origine harraniana. Lo scambio con il vicino Oriente, specialmente con la Siria, fu molto intenso nel corso del VII sec., quando le vicende religiose (in particolare la diaspora degli intellettuali che aderivano all’eresia nestoriana ) ebbero fra le loro conseguenze la traduzione di testi greci e la redazione di commenti ad Aristotele in siriaco. Gli scambi con l’Occidente furono solo episodici in età carolingia, ma si intensificarono a partire dal XII sec. e divennero particolarmente importanti all’epoca del concilio di Ferrara e Firenze (1438-39) indetto per riunificare le chiese d’Occidente e d’Oriente, separate dallo scisma del 1054: il contatto fra i dotti bizantini e gli esponenti dell’Umanesimo fiorentino portò nel mondo latino le opere di Platone e Plotino, del corpus ermetico e degli Oracoli caldaici, fonti del platonismo rinascimentale.
La rapidissima espansione dell’islam dall’Arabia, dove Maometto aveva predicato (622-32), verso il Mediterraneo, la costa nord-africana e l’estremo Oriente, mise i musulmani a contatto con la cultura classica dei cristiani ed ebrei che vivevano nei territori conquistati, in particolare negli ex possedimenti bizantini. Ad essi, in quanto ‘popoli del libro’, i musulmani garantirono protezione e tolleranza, assimilandone selettivamente quella parte della cultura classica che risultava loro nuova: la scienza e la filosofia greca (la letteratura e il diritto presentavano scarsi motivi d’interesse, data l’esistenza di una letteratura pre-islamica in arabo e il radicamento della vita sociale nel Corano). Lo stesso atteggiamento fu adottato nei confronti della civiltà harraniana, attraverso la quale l’islam recepì una letteratura cosmologico-astrologico-magica d’origine orientale che venne attribuita alla ‘rivelazione’ di Ermete Trismegisto. Sotto il primo califfato, quello degli Omayyadi (660-750), prevalse l’assimilazione attraverso l’opera di traduttori; ma a partire dal califfato abbaside (750-861), con la fondazione della Casa della Sapienza nella nuova capitale Baghdad, iniziò un’opera di riflessione sul rapporto fra la rivelazione coranica e la filosofia greca, cui dette un impulso fondamentale il circolo intellettuale gravitante attorno ad al-Kindi. Contemporaneamente nasceva una riflessione razionale autonoma sul Corano (kalam), che si contrapponeva all’interpretazione strettamente prescrittivo-legale, ed iniziava a formarsi il sufismo, movimento mistico che avrebbe avuto in seguito anche elaborazioni filosofiche. Sotto i califfi successivi (fino al 1055) l’eredità della filosofia greca continuò ad essere elaborata in Oriente in lingua araba e persiana; i filosofi ‘ellenizzanti’ di quest’epoca (al-Farabi, Ibn Sina latinizzato in Avicenna, al-Ghazali) avrebbero avuto un’influenza notevole sulla filosofia latina di età scolastica. Il rapporto fra filosofia e teologia è centrale in tutto il pensiero islamico orientale, i cui contributi originali alla filosofia possono essere così sintetizzati: lo sviluppo del kâlam (teologia razionale che si sviluppa nella stessa epoca della fioritura occidentale della dialettica); l'elaborazione di una filosofia/teologia neoplatonica e la sua armonizzazione con la metafisica aristotelica (in particolare la cosmologia emanatistica), che trasmettono all'Occidente latino un pensiero greco profondamente modificato e, con Avicenna, innestano su questa immagine del mondo temi dell'angelologia mazdea ; i diversi tentativi di elaborare una logica non aristotelica (di essi arriverà in Occidente solo quello di al-Ghazali). Di particolare rilievo sono inoltre le elaborazioni sulla conoscenza profetica.
Dalla conquista della Spagna nel 711 alla fine del califfato omayyade di al-Andalus (nome islamico della penisola spagnola) nel 1031 lo sviluppo culturale si svolge sulle stesse linee che in oriente. Ma a partire dall’XI sec., sotto gli Almoravidi prima e gli Almohadi poi, la filosofia islamica spagnola elabora propri motivi d’interesse, in particolare sviluppando il tema della ricerca filosofica come ricerca di vita che porta alla saggezza politica (Ibn Bagga) e può condurre fino alla beatitudine (Ibn Tufayl, che riprende un motivo avicenniano). In piena epoca almoravide vissero il filosofo sufi Ibn Arabi ed il più grande filosofo di al-Andalus, Ibn Rushd (Averroè); a lui si deve la prima opera di commento ad Aristotele programmaticamente svincolata dall’esigenza di accordo con la religione, in sintonia con la funzione da lui attribuita alla filosofia come forma suprema di esercizio della ragione riservata ai pochi in grado di raggiungerla (la religione invece parla un linguaggio per tutti). Averroè fu l’ultimo dei filosofi islamici ellenizzanti ed ebbe un’influenza importante sullo sviluppo del pensiero occidentale: l’averroismo fu infatti una delle correnti più innovative nella filosofia del XIII sec. ed ebbe importanti sviluppi nel pensiero rinascimentale.
Il primo incontro degli ebrei con la filosofia greca risale al I sec. d.C. (Filone d'Alessandria), ma non vi sono testimonianze di una pratica filosofica nelle comunità ebraiche nei secoli dell’alto medioevo fino al IX sec., quando il suo sviluppo riprese nei paesi islamici (in particolare in al-Andalus) in lingua araba – non in ebraico, lingua sacra. A differenza dei musulmani, i filosofi ebrei non tennero separate la discussione filosofica di origine classica (falsafa) dalla dialettica del kâlam, né identificarono la filosofia con la falsafa. Così, per quanto la filosofia ebraica abbia raggiunto il suo massimo splendore nella Spagna dell’XI e XII sec. con Ibn Gabirol (Avicebron) e Mosè Maimonide (quest’ultimo è contemporaneo di Averroè), il suo sviluppo proseguì dal secolo successivo nell’occidente cristiano (Provenza, Catalogna, Italia), utilizzando la lingua ebraica e intrecciandosi sempre più nettamente agli sviluppi scolastici: Isaac Albalag è un vero e proprio averroista; Gersonide e Mosè di Narbona elaborano temi analoghi a quelli trattati dagli scolastici. Accanto alla filosofia di origine greca ed islamica si sviluppa anche un sistema di pensiero originale ebraico, la kabbala: elaborazione di origine gnostico-mistica sulla lingua sacra che introduce all'esperienza mistica e dà forma a una cosmologia basata sugli attributi divini, le dieci Sefirot. L’origine della cabala è pre-medievale, ma essa fiorì nella Spagna del XIII sec., mentre la sua diffusione negli ambienti intellettuali cristiani si ebbe alla fine del XV sec., con Giovanni Pico della Mirandola; nel pensiero rinascimentale si sviluppò in seguito una corrente di ‘kabbala cristiana’.
Fra VI e VII sec. il crollo delle istituzioni d’insegnamento e la generale insicurezza produssero in alcuni intellettuali la consapevolezza che era necessario salvare e tramandare in forme nuove e adatte ai tempi il patrimonio di pensiero e culturale dell’antichità. Si ebbero così la traduzione dei filosofi antichi progettata da Boezio, anche se solo in minima parte realizzata; l’elaborazione, da parte di Cassiodoro, di un curriculum educativo incentrato sulla tradizione delle arti liberali, nel contesto del monachesimo; la costruzione di un contenitore di tipo nuovo per la trasmissione dei saperi, l’enciclopedia di Isidoro di Siviglia. Nell’alto medioevo sono le problematiche teologiche ad aprire uno spazio nuovo per la filosofia: nei monasteri, ma anche nelle scuole nate dalla riforma carolingia (IX sec.), l’autore-guida per l’articolazione del rapporto fra arti liberali e Sacra Scrittura e per la riflessione sui problemi teologici fu Agostino d’Ippona; alle diverse sfaccettature del suo pensiero si richiamavano gli autori che intervennero nei dibattiti del tempo (sulla predestinazione, sull’eucarestia, sull’anima). Uno solo di questi autori, Giovanni Scoto Eriugena, sviluppò un vero e proprio sistema filosofico, che non ebbe seguaci all’epoca. Nell’XI sec. dal dibattito fra sostenitori (Berengario di Tours) e oppositori (Pietro Damiani, Lanfranco di Pavia) dell’uso della dialettica in teologia comincia a prendere forma una vera e propria filosofia medievale in lingua latina e con Anselmo d’Aosta l’indagine razionale sui contenuti della fede trova piena giustificazione e si affianca alla prima riflessione medievale sul linguaggio. Nel XII sec. viene ulteriormente valorizzato lo studio della logica e si aprono nuovi campi d’indagine: Abelardo è un innovatore nell’ambito della logica, della teologia e dell’etica mentre i maestri di Chartres, valendosi dei nuovi testi filosofici e scientifici introdotti con le traduzioni dall’arabo, elaborano un’interpretazione filosofica della creazione, confrontando la narrazione biblica con il Timeo di Platone: si apre così uno spazio anche per la filosofia naturale. La cultura monastica presenta al suo interno importanti trasformazioni con l’opera dei maestri di San Vittore e con Ildegarda di Bingen, mentre Bernardo da Chiaravalle si oppone con forza ai filosofi delle scuole. Sarà tuttavia proprio la nuova filosofia a uscire vittoriosa dal conflitto: le università ne raccoglieranno il testimone nel XIII sec., strutturando il curriculum filosofico attorno all’interpretazione delle opere di Aristotele e discutendo su questa nuova base il rapporto fra filosofia e teologia. Dopo una prima fase di diffidenza e divieti, con Alberto Magno ha inizio l’assimilazione della filosofia aristotelica, che si vale dell’apporto interpretativo degli arabi integrato con elementi neo-platonici. L’insegnamento di Alberto ebbe sviluppi diversi: l’aristotelismo radicale degli averroisti latini, il sistema aristotelico cristiano di Tommaso d’Aquino, la valorizzazione del platonismo nei discepoli tedeschi fra cui, in primo piano, Eckhart. L’ineludibile confronto con Aristotele viene diversamente risolto nel pensiero di Bonaventura da Bagnoregio, che porta nella filosofia la valorizzazione francescana del mondo creaturale come segno del creatore, così come nelle ricerche scientifiche di Roberto di Lincoln e Ruggero Bacone; mentre il catalano Raimondo Lullo segue un percorso filosofico originale, elaborando un metodo dimostrativo ispirato ad elementi della logica di al-Ghazali. Alla fine del XIII sec. la fiducia nella completa integrabilità di aristotelismo e cristianesimo lascia il posto, in pensatori come Duns Scoto e Guglielmo di Ockham, alla ricerca di nuovi approcci che nella tarda Scolastica si fisseranno in scuole e ‘vie’ diverse.
Il confronto fra la tradizione filosofica classica e i temi centrali delle religioni ebraica e cristiana era iniziato prima del VI sec. Nel I sec. d.C. Filone d’Alessandria aveva proposto un’interpretazione allegorica della Bibbia ed elaborato una filosofia in cui il tema della creazione e quello della provvidenza divina erano interpretati alla luce di concezioni neoplatoniche e pitagoriche. A partire dal II sec. è il cristianesimo a confrontarsi con le filosofie antiche, nelle opere degli apologisti (II-III sec.: Giustino, Ireneo, Tertulliano, Lattanzio, Origene) e dei Padri della chiesa greci (IV sec.: Basilio, Gregorio di Nissa, Gregorio di Nazianzo, Giovanni Crisostomo) e latini (IV sec.: Ambrogio, Gerolamo, Agostino; VI sec.: Gregorio Magno). I risultati del confronto sono molto diversificati, ma nell’insieme si riscontra una tendenza a privilegiare, fra le fonti filosofiche, il platonismo e soprattutto il neoplatonismo, talvolta assieme ad elementi non secondari della tradizione stoica. L’opera dei Padri greci non ebbe sviluppi ulteriori nel medioevo bizantino mentre, in occidente, Giovanni Scoto Eriugena ne riecheggia le tematiche. Fra i latini, Agostino d’Ippona fu invece la base dell’elaborazione filosofica altomedievale occidentale e, accanto ed in tensione con l’aristotelismo, rimase al centro dell’attenzione dei teologi anche in età scolastica. Il pensiero di Agostino, costruito su uno sfondo neoplatonico, non è però un blocco monolitico perché fu elaborato in risposta ad esigenze diverse, dalla ricerca interiore dei primi anni alla consapevole costruzione di un punto di vista ecclesiale nell’ultima fase della sua vita; questo fa sì che il richiamarsi ad Agostino di molti autori medievali non indichi necessariamente una loro omogeneità di posizioni.
All’inizio dell’età medievale l’unità religiosa nel segno del cristianesimo era l’unico fattore di omogeneità sopravvissuto alla rovina del mondo classico: tutti i filosofi medievali occidentali e bizantini sono cristiani, ed una elaborazione filosofica della rivelazione evangelica era già stata compiuta, dal Logos del Vangelo di Giovanni alla filosofia di Agostino e dei Padri greci. Non vi è tensione fra ragione e fede in Boezio o in Dionigi pseudo-Areopagita; tensione che invece emerge, in occidente, quando la razionalità, intesa come capacità di definire e distinguere (dialettica), diventa il marchio del potere carolingio. Nei dibattiti dell’età carolingia è possibile infatti vedere come l’uso della ragione dialettica andasse a confliggere con l’esigenza di non intaccare le concezioni che giustificavano le tradizionali modalità di mediazione col sacro, cioè la base del potere ecclesiastico. Né sul versante dei ‘dialettici’ né su quello degli ‘antidialettici’ è in discussione la ragione come tale, ma lo sono i limiti della sua applicazione alle verità di fede (i misteri divini e i sacramenti). Sarà la soluzione di Anselmo d’Aosta, espressa dalla formula della ‘fede che cerca la propria comprensione intellettuale’ (fides quaerens intellectum), a legittimare definitivamente l’indagine razionale, aprendo il campo alla possibilità di elaborare una teologia, anche se la vigilanza dell’istituzione ecclesiastica sui pericoli del razionalismo si farà sentire nelle condanne di Abelardo e dei maestri chartriani nel XII sec. Se confrontiamo questa situazione occidentale con lo sviluppo coevo della filosofia islamica, notiamo una differenza di fondo: nel IX sec. in occidente si intrecciano, negli stessi ambienti e talora nelle stesse persone, l’esercizio del potere ecclesiastico e la ricerca filosofica e teologica; in oriente, dove la vita religiosa e sociale è governata dall’interpretazione letterale del Corano, i seguaci del kâlam ed i mistici sufi operano al di fuori delle sfere di potere, quando non in esplicita opposizione ad esse; ed i primi filosofi ellenizzanti (al-Kindi, al-Farabi), che sviluppano la loro ricerca all’ombra del potere politico, sono molto attenti a porre esplicitamente al di là di ogni possibile interferenza filosofica l’assoluta trascendenza di Dio. Si mostra in ciò un’interessante analogia con quella che a Bisanzio è la separazione istituzionale fra ricerca filosofica e potere politico e religioso. Anche nell’islam, tuttavia, la tensione fra ricerca filosofica e fede si manifesta in seguito (XI-XII sec.) con la reazione di al-Ghazali contro Avicenna e, soprattutto, con la messa al bando di Averroè: la posizione che egli aveva espresso nel Breve trattato sui rapporti fra filosofia e religione fu la più forte, ma anche l’ultima affermazione del primato della ragione aristotelica nel mondo islamico. L’ingresso delle opere di Aristotele riacutizzò il problema del rapporto fra ragione e fede, mai completamente risolto, anche nel mondo latino; le tesi aristoteliche sull’eternità del mondo e sull’anima come forma del corpo minavano l’idea della libertà divina e proponevano un’antropologia naturalistica. Dal divieto del 1210, che collegava aristotelismo ed eresia, alle condanne di fine secolo (1270 e 1277), la tensione fra teologi e filosofi fu costante, mentre all’interno degli ordini mendicanti le modalità d’approccio alla filosofia e il suo rapporto con i contenuti della fede furono molto diversificate: su una posizione estrema si colloca il filosofo catalano Raimondo Lullo, vicino ai francescani, che riteneva di poter dimostrare le verità della fede con ‘ragioni necessarie’, elaborate mediante un originale metodo dimostrativo, l’ars combinatoria. L’aristotelismo cristianizzato di Tommaso d’Aquino non ebbe accoglienza unanime: alcune delle tesi condannate nel 1277 riportavano posizioni filosofiche tomiste. La separazione fra l’ambito della fede e quello dell’indagine razionale (filosofica e scientifica) caratterizzano infine la via moderna instaurata dalla filosofia di Ockham, entro la quale emergeranno posizioni scettiche e/o fideiste nel corso degli ultimi due secoli del medioevo.
L’Antico Testamento è il ‘Libro’ comune a ebrei, cristiani e musulmani e dunque per tutti l’idea che il mondo sia stato creato dal nulla da un Dio trascendente (qualunque sia il nome con cui è designato) è materia di fede, cui nessuna delle idee filosofiche greche poteva essere accostata senza difficoltà. La possibilità di una lettura filosofica dell’opera dei sei giorni (hexaemeron) era stata saggiata dai Padri greci e latini, che avevano attinto soprattutto alla tradizione platonica: ma il Demiurgo, che nel Timeo di Platone forma la materia imitando le idee archetipe, non poteva essere identificato con il Dio biblico che crea ‘dal nulla’; e il processo emanatistico nelle varie forme elaborate dai neoplatonici, in particolare da Plotino e Proclo, non spiegava la trascendenza assoluta del creatore rispetto alla creatura. Perciò la sua utilizzazione doveva essere accompagnata dall’attento chiarimento della trascendenza assoluta di Dio (soluzione adottata dai filosofi islamici al-Kindi, al-Farabi, Avicenna), o rischiava di condurre all’accusa di panteismo come fu per la dottrina di Giovanni Scoto Eriugena. Ma cosa significa creare dal ‘nulla’? in età carolingia Fridegiso di Tours aveva affrontato il problema sul piano semantico a partire dal dettato biblico. Successivamente ci si sarebbe concentrati piuttosto sul significato di ‘materia’ nei testi filosofici: così fu per i maestri chartriani e per gli altri autori del XII sec. che cercarono di interpretare la creazione utilizzando il modello del Timeo; mentre già Ibn Gabirol aveva elaborato un sistema emanatistico d’impianto neoplatonico in cui la materia universale era il primo livello di realtà prodotta da Dio. L’ingresso dei libri fisici e metafisici di Aristotele spostò il problema, perché l’idea di una struttura della realtà come catena causale implica che fra l’effetto – il mondo – e la causa prima (o motore immobile) da cui dipende non vi sia nessuno stacco temporale e cioè che il mondo sia coeterno a Dio, come aveva già mostrato con chiarezza ad Averroè. Alla difficoltà di salvaguardare l’assoluta libertà dell’atto creatore, si sommava ora quella di determinare filosoficamente la finitezza del mondo: nel corso del XIII sec. si sviluppò un ampio dibattito in cui l’indimostrabilità filosofica della creazione fu sostenuta - contro molti pensatori, non solo francescani - dallo stesso Tommaso d’Aquino; la posizione estrema, che afferma positivamente l’eternità del mondo caratterizzò l’averroismo latino.
Un’altra tesi di origine aristotelica che fu oggetto di condanna nel 1270 e nel 1277, come quella relativa all’eternità del mondo, toccava l’idea stessa di essere umano. L’antropologia agostiniana, che concepiva platonicamente l’uomo come ‘un’anima che si serve di un corpo’, aveva dominato dal VI al XII sec.: l’anima razionale, immagine divina nell’uomo, era considerata la parte essenziale dell’essere umano; la sua sopravvivenza individuale, con la pena o la ricompensa nell’aldilà, non era in discussione, come non lo erano i criteri della vita morale (uno dei dibattiti dell’epoca carolingia aveva posto, in termini platonici, il problema del rapporto fra anima individuale e anima del mondo, ma non aveva avuto sviluppi). Accanto alla lettura strettamente dualistica, che vedeva il corpo come carcere dell’anima e giustificava il distacco dal mondo (contemptus mundi) e l’ascesi monastica, era stata elaborata un’idea più complessa di tripartizione dell’essere umano, in cui i due estremi, anima e corpo, erano connessi e armonizzati da un’entità intermedia, lo spirito; quest’idea aveva trovato espressione anche nella medicina araba e, attraverso le traduzioni, nella medicina scolastica. Nel corso del XII sec. era poi venuta emergendo nella riflessione etica e giuridica un’idea di individuo e una definizione di persona umana basate sull’identificazione fra uomo e anima razionale. Alla fine del secolo cominciò a circolare il De anima di Aristotele, che offriva un’immagine ben diversa: l’anima è forma del corpo (‘atto del corpo fisico organico che ha la vita in potenza’) e di conseguenza ogni essere vivente – uomo compreso – è un sinolo (sostanza unica), composto appunto di forma (anima) e materia (corpo). Ma che ne è della sopravvivenza dell’anima umana? Aristotele non si era posto il problema in questi termini; tuttavia aveva sottolineato l’irriducibilità della razionalità al piano puramente biologico chiedendosi se l’intelletto (la parte superiore dell’anima, propria dell’essere umano) non possa ‘venire da fuori’ ed essere considerato ‘divino’. I filosofi credenti affrontarono il problema collegandolo al processo conoscitivo descritto nello stesso De anima, e tutti - tranne Averroè e i suoi seguaci, gli averroisti latini, che sostennero l’unicità dell’intelletto per tutta la specie umana - elaborarono risposte intese a salvaguardare sia l’universalità della conoscenza che l’immortalità individuale, attraverso l’analisi delle nozioni di intelletto agente e possibile presenti nel De anima e delle interpretazioni che ne avevano dato i commentatori tardo-antichi. La soluzione proposta da Tommaso d’Aquino fu particolarmente brillante, perché non solo riuscì a salvare, attraverso un’attenta manipolazione della nozione di sostanza, il naturalismo aristotelico (con importanti conseguenze nell’ambito dell’etica e della politica) e l’idea dell’anima immortale, ma seppe servirsi di questa nuova antropologia anche per spiegare filosoficamente uno dei dogmi più difficoltosi, quello della resurrezione dei corpi, sostenendo che l’anima-forma, sopravvissuta al disfacimento del corpo-materia, alla fine dei tempi ‘ricostituirà per sé’ dalla materia stessa il corpo glorioso.
Nei primi secoli del medioevo tutti i filosofi, in qualunque lingua scrivessero, utilizzarono come strumento delle loro argomentazioni la logica antica: quella aristotelica in primo luogo, e quella stoica. I latini, tuttavia, non ebbero a loro disposizione i testi dell’Organon aristotelico nella loro integrità fino al XII sec.; fino ad allora avevano potuto leggere solo quella parte che si definisce Logica Vetus (Logica Antica), ovvero i testi tradotti da Boezio: le Categorie, il De interpretatione e l’introduzione (Isagoge) di Porfirio. Attraverso alcuni scritti dello stesso Boezio, ma anche attraverso Agostino, conobbero gli aspetti principali della logica stoica la dottrina dei segni e quella del sillogismo ipotetico. Solo con le traduzioni dall’arabo e dal greco del XII sec. furono di nuovo disponibili in occidente i testi aristotelici sul sillogismo e sul metodo della scienza (Analitici Primi e Analitici Secondi) e i commenti greci, tardo-antichi e bizantini, alla logica aristotelica. Il XII sec. è l’epoca cruciale per lo sviluppo della logica in occidente: infatti, ancor prima che l’intero Organon fosse recuperato, era iniziata nelle scuole un’elaborazione autonoma di problemi logico-linguistici che emergevano dallo studio di due delle arti liberali, la dialettica e la grammatica. Nel frattempo alcuni pensatori islamici, oltre a continuare la tradizione dei commenti ad Aristotele, avevano iniziato a elaborare una logica diversa, capace di rispondere alle esigenze introdotte dall’uso filosofico della loro lingua. Solo uno di questi testi venne tradotto in latino, la Logica di al-Ghazali, di cui si servì Raimondo Lullo per elaborare un metodo dimostrativo diverso da quello aristotelico.
L’uso filosofico di lingue diverse dal greco comportava prima di tutto i problemi legati alla traduzione: di ciò era stato già consapevole Cicerone in età classica. All’inizio del medioevo Boezio, oltre a porre le basi del vocabolario filosofico utilizzato nei secoli successivi in occidente, introdusse la discussione di termini come natura, persona, tempo, eternità, segnalando nel vivo l’esigenza di ripensare il significato del linguaggio filosofico nel mutato contesto di pensiero. A partire dal dibattito sulla dialettica questa esigenza si ritrova nella questione se i termini indicanti le dieci categorie aristoteliche (sostanza, accidente, quantità, qualità, relazione, modalità, stato, abito, tempo, luogo) o quali fra essi e come possano essere applicati a Dio. Traducendo Porfirio, lo stesso Boezio aveva introdotto nella discussione occidentale il problema degli universali: i termini che indicano il genere o la specie (‘animale’, ‘uomo’) indicano realtà di livello superiore a quelli che indicano l’individuo (‘Pietro’), oppure sono semplicemente dei segni linguistici senza riferimento ontologico? Le risposte a questa domanda configurano le posizioni dette ‘realismo’ e ‘nominalismo’. Ma non fu solo il problema degli universali, sorto all’interno della logica, a spingere alla riflessione sul linguaggio utilizzato nella filosofia: il confronto fra logica aristotelica e strutture grammaticali della lingua si impose sia ai filosofi che scrivevano in latino che a quelli che scrivevano in arabo, anzi in realtà a questi ultimi per primi (ma le loro riflessioni in questo ambito non interessarono, comprensibilmente, i traduttori del XII sec.). Nel mondo cristiano, la corrispondenza fra parola e realtà fu affrontata da Anselmo d’Aosta analizzando il problema dei paronimi, ovvero di quei termini che designano una sostanza attraverso il riferimento ad una sua proprietà. L’esempio è quello del sostantivo grammaticus (il maestro di grammatica), che ha come contenuto significativo una qualità, la conoscenza della grammatica, ma designa una sostanza, l’uomo che conosce la grammatica. La connotazione del termine, ovvero il suo contenuto significativo, differisce dalla cosa denotata: si trattava di un problema semantico che non ha corrispondenza negli scritti di Aristotele. Nella logica del XII sec. e nei suoi sviluppi successivi (logica moderna o terminismo) l’interesse per il modo in cui le parole assumono diversi significati a seconda dei diversi contesti proposizionali dette infine luogo alla distinzione fra significato e ‘supposizione’ (suppositio). Un termine ‘suppone per’, ovvero denota, cose aventi lo stesso contenuto significativo ma diverso referente: per esempio il termine ‘uomo’ suppone (sta) per l’individuo Pietro (‘quest’uomo mi piace’), la specie umana (‘l’uomo è mortale’), il termine grammaticale stesso (‘uomo è un sostantivo’). Alla fine del medioevo la riflessione sul linguaggio, fattasi sempre più raffinata, divenne strumento primario delle dottrine scientifiche: l’analisi non era più limitata alla modalità di significazione dei nomi, ma riguardava tutte le parti del discorso, sia quelle aventi significato proprio (categorematiche: nomi e verbi) sia quelle che acquisiscono significato solo nella proposizione (sincategorematiche: preposizioni, congiunzioni ecc.). Nel frattempo l’uso delle lingue volgari aveva cominciato a interessare anche la filosofia, con le opere di Dante, in italiano, e di Raimondo Lullo, in catalano alla fine del XIII sec., per allargarsi nei secoli XIV e XV. A Dante si deve la prima riflessione sull’evoluzione delle lingue, il De vulgari eloquentia.
Nell’ambito della logica la comunicazione fra le tre civiltà mediterranee medievali fu minima. I bizantini, che avevano a disposizione l’intero corpus di opere logiche di Aristotele, non elaborarono novità di rilievo; mentre le innovazioni di autori islamici come Abu Bishr Matta e Yahya Ibn Adi, vissuti nel X sec., Abu’l Barakat (XIIsec.) o Ibn Taymiyya (XIII sec.) non vennero diffuse in occidente. Nel mondo latino i primi secoli del medioevo non conobbero sviluppi significativi della dialettica, l’arte del linguaggio che ‘distingue il vero dal falso’, secondo la definizione datane da Alcuino in età carolingia: i procedimenti che utilizza sono quello della divisione di un argomento e quello, spesso adottato da Anselmo d’Aosta, delle catene di proposizioni equivalenti. I pensatori altomedievali conobbero – attraverso la mediazione di Boezio e degli enciclopedisti tardo-antichi - le dottrine del sillogismo, tanto quella di origine aristotelica (sillogismo dimostrativo, che viene verificato in base al riferimento alla realtà contenuto nelle premesse e alla correttezza formale del rapporto fra premesse e conclusione) che stoica (sillogismo ipotetico, in cui la conclusione o conseguenza è verificabile sulla sola base delle relazioni formali fra le premesse). Sia la logica aristotelica con le sue implicazioni ontologiche e semantiche (dottrina degli universali), sia la logica post-aristotelica, in parte di derivazione stoica e in parte frutto dell’elaborazione originale dei maestri medievali (logica modernorum), conobbero un forte sviluppo nelle scuole cittadine nel corso del XII sec. Le conoscenze logiche furono sistematizzate nel XIII sec. nelle opere di Pietro Ispano e Guglielmo di Shyreswood, mentre nel XIV sec. si ebbero sviluppi originali fino ad arrivare ad elementi di formalizzazione e di matematizzazione con i logici di Merton e Thomas Bradwardine; nel XV sec. l’opera di Paolo Veneto si presenta come importante esposizione dell’intera logica medievale. La logica modernorum non fu l’unica forma di logica post-aristotelica prodotta nel mondo latino. Raimondo Lullo elaborò, negli ultimi decenni del XIII sec., un’originale logica basata su dispositivi non aristotelici: i correlativi e l’arte combinatoria, su cui basò la ‘dimostrazione per equiparazione’, che considerava superiore a quelle sillogistiche; l’ars lulliana avrebbe conosciuto ampia diffusione nel Rinascimento, quando fu utilizzata come logica inventiva e come dispositivo mnemotecnico ed enciclopedico.
Il medioevo è stato a lungo considerato un’epoca di oscurantismo della ragione e pertanto priva di filosofia (i cosiddetti ’secoli bui’), perpetuando il giudizio negativo sulla Scolastica emesso dai pensatori dell’Umanesimo, in primo luogo Francesco Petrarca (1304-1374). Essi stigmatizzavano i loro immediati predecessori, o meglio contemporanei, accusandoli di sostenere l'autorità contro la ragione, il barbarismo di un linguaggio irto di tecnicismi contro l'eleganza e la chiarezza del latino classico, i sofismi della logica contro l'impegno morale e civile. Di conseguenza, ben poca attenzione venne rivolta al pensiero di quest’epoca nelle prime storie della filosofia, scritte a partire dal XVIII secolo. Fu solo come conseguenza del progetto politico anti-modernista della chiesa cattolica, espresso nella enciclica Aeterni Patris (1879), che la filosofia del medioevo divenne oggetto di studio in maniera sistematica e approfondita. All’inizio, in realtà, fu la filosofia di Tommaso d’Aquino ad essere identificata con la ’filosofia medievale’ tout-court e proposta, in funzione antimodernista, come l’unico sistema di pensiero accettabile dal cattolicesimo. Ma l’apertura di questo campo di ricerca, sebbene inizialmente funzionale alla riproposta del tomismo, ha prodotto nel corso del XX secolo numerose e diverse interpretazioni della filosofia medievale. Tutte sono nate dall’interazione fra la sempre più ampia disponibilità di materiali e la riflessione sul significato del pensiero medievale per la cultura filosofica contemporanea.
L’identificazione della filosofia medievale con il sistema aristotelico-cristiano elaborato da Tommaso d’Aquino nella seconda metà del XIII sec. produsse un approccio interpretativo (definito neo-tomismo o neo-scolastica) e uno schema storiografico secondo cui i secoli e i pensatori precedenti avevano costituito una lenta ‘preparazione’ alla sintesi tomista, nella quale si collocava il ‘vertice’ filosofico del medioevo, seguito da un periodo di ‘decadenza’. Secondo questo schema sono organizzate le prime storie della filosofia medievale prodotte nel Novecento; particolarmente significativa quella di Maurice De Wulf, base e modello della manualistica fino agli anni ’50. Le imprese editoriali più importanti legate al neo-tomismo sono: l’edizione critica delle opere di Tommaso d’Aquino (edizione Leonina); le collezioni di testi e studi Philosophes Médiévaux, Bibliothèque Thomiste, ecc.; le riviste Bulletin Thomiste ecc.. Fra gli studiosi appartenenti a questa corrente interpretativa occorre almeno ricordare Pierre Mandonnet e Martin Grabmann.
Distaccandosi dalla formazione neo-tomista, il più grande studioso della filosofia medievale nel Novecento, Étienne Gilson, elaborò un’interpretazione della filosofia medievale come ‘filosofia cristiana’, intendendo con ciò l’attività razionale in quanto esercitata da pensatori cristiani. L’idea di filosofia cristiana metteva l’accento sulla novità dei temi di riflessione con cui i filosofi ebbero da cimentarsi nel confronto con la tradizione classica (non più solo con Aristotele), e sulle diverse fasi storiche e modalità di questo confronto; inoltre ampliava i termini cronologici della filosofia medievale. Entrambe queste caratteristiche possono essere colte nella struttura del manuale compilato da Gilson, che divenne il modello storiografico nel secondo dopoguerra, rimanendo tale fino agli anni ’90. L’idea di filosofia cristiana divenne il fulcro di un importante dibattito fra le due guerre ed ebbe come ricaduta il dilatarsi e l’approfondirsi delle ricerche su tutto l’arco temporale e su tutti gli autori, testimoniata dalla rivista fondata dallo stesso Gilson, Archives d’Histoire Doctrinale et Littéraire du Moyen Âge. Fra gli studiosi di rilievo che accolsero questa concezione occorre segnalare almeno Paul Vignaux e, in Italia, Sofia Vanni Rovighi.
La tendenza di una parte della storiografia, soprattutto di lingua inglese, a rifiutare l’impostazione storico-critica si è concretizzata in una una lettura della filosofia medievale ispirata alla filosofia analitica, che privilegia l’attenzione agli sviluppi della logica e della semantica e alla loro applicazione ai grandi ambiti problematici come la metafisica, la fisica, l’etica ecc. Questa linea interpretativa ha prodotto ricerca innovativa soprattutto nell’ambito della logica (valorizzata per gli aspetti che sembrano anticipare gli sviluppi della logica formale contemporanea) e della semantica, della filosofia naturale e, più di recente, in alcuni studi ispirati alla filosofia della mente. A livello manualistico questo filone interpretativo ha favorito una rinnovata esposizione sistematica (con un’attenzione molto forte alla logica e un’articolazione dettagliata delle singole aree) evidente nell’innovativa, anche se discussa, proposta manualistica della Cambridge History of Late Medieval Philosophy. Significativi di questa tendenza sono anche gli studi di Ian Pinborg e di Lambert-Marie De Rijk.
Fin dagli studi di Mandonnet era emerso il rilievo di una corrente filosofica contro la quale Tommaso d’Aquino aveva polemizzato e che si rifaceva a un interprete islamico di Aristotele, Averroè. L’importanza di questo pensatore e dei suoi seguaci occidentali è stata messa in rilievo anche da due studiosi legati al modernismo: Ernest Renan e, in Italia, Bruno Nardi i cui studi sulla filosofia in Dante avevano messo in luce la varietà di posizioni e di fonti dei pensatori scolastici, contemporaneamente ma autonomamente rispetto alle ricerche di scuola francese. Nell’ultimo decennio del XX sec. la riflessione sull’‘averroismo latino’ ha messo in luce, accanto agli aspetti dottrinali già ampiamente studiati, due elementi rilevanti per l’interpretazione della filosofia medievale (o, più propriamente, del tardo medioevo) nel suo complesso. Ai seguaci latini d’Averroè si deve infatti il riconoscimento della filosofia come ricerca intellettuale indipendente dalla riflessione sui dati della fede e come autonoma via alla vita felice; questo ideale filosofico di vita, legato alla riflessione sull’Etica Nicomachea di Aristotele, si diffuse in ambienti e pensatori laici a partire dalla fine del Duecento, come hanno mostrato gli studi di Alain De Libera e Rüdi Imbach. Sul piano dell’interpretazione complessiva del pensiero medievale questa idea porta a rivolgere l’attenzione alle concrete modalità di esercizio della filosofia, non esclusivamente in ambiente cristiano ma in tutte le civiltà mediterranee nelle quali il confronto con le fonti filosofiche greche si è esercitato. Si è arrivati così a riconoscere che nei mille anni del medioevo lo studio della filosofia è stato esercitato in diversi contesti culturali e che l’eredità classica è giunta al mondo latino attraverso varie dislocazioni e vicissitudini storiche (nel medioevo questo processo fu definito translatio studiorum): esemplificativo di questa corrente interpretativa è il manuale dello stesso Alain De Libera.
La centralità del rapporto fra ragione e fede è sicuramente un elemento centrale per tutto l’arco di sviluppo della filosofia medievale, più generale dell’idea di ‘filosofia cristiana’ in quanto abbraccia tutte le civiltà medievali; nello stesso tempo è meno generico in quanto prevede l’esplicita concettualizzazione del problema; e permette di cogliere la presenza della filosofia anche là dove non si è espressa in forma sistematica (pensiamo, ad esempio, ai dibattiti di età carolingia e ad Anselmo d’Aosta). Su questo tema insistono le riflessioni più recenti sul metodo scolastico (cfr. Rolf Schönberger), così come alcune sintesi che mirano alla contestualizzazione della filosofia nella storia e nella cultura medievale, come Betsy Price e Marcia L. Colish. La pratica filosofica come concreto delinearsi di una nuova modalità di esercizio della ragione è analizzata da Kurt Flasch attraverso i dibattiti che hanno segnato svolte e discontinuità nel pensiero medievale, in una Introduzione alla filosofia medievale intesa come ‘discorso sul metodo’, attorno alla quale si è sviluppato un ampio dibattito.
Il distacco dall’età precedente, che i filosofi dell’Umanesimo e del Rinascimento avevano sottolineato con forza – come il loro programma di ‘rinascita’ richiedeva – pose sui secoli medievali il marchio di epoca oscura e priva di filosofia, contro la quale si staccava il luminoso rinnovamento dell’età nuova fondato sul una nuova visione dell'uomo nata al di fuori delle ricerche scolastiche. La sottolineatura del distacco, anzi di una vera e propria rottura epocale fra Medioevo e Rinascimento, fu tema centrale nella tradizione storiografica di studi sul Rinascimento iniziata nel XIX sec., il cui esponente più noto fu Jakob Burkhardt; nella cultura italiana del XX sec. questa posizione è stata ripresa, aggiornata e articolata da Eugenio Garin. La ripresa degli studi di filosofia medievale sotto l’egida del neo-tomismo non eliminò questa concezione, di cui anzi appesantì la portata ideologica rispetto alle opzioni contemporanee; se infatti la ‘filosofia cattolica’ era medievale, da parte laica era inevitabile sottolineare gli elementi di novità e distacco dei pensatori rinascimentali: del resto già lo studio di Ernest Renan su Averroè e l’averroismo vedeva negli sviluppi rinascimentali il vero fiorire di questa corrente filosofica. L’individuazione di ‘rinascite’ nel medioevo, ad opera di Charles H. Haskins, Étienne Gilson e Marie-Dominique Chenu non modifica lo schema di discontinuità, per quanto contribuisca a dare dell’età medievale una visione più articolata e complessa; mentre d’altra parte l’idea gilsoniana di ‘filosofia cristiana’ impedisce una schematica periodizzazione. Già alla fine del XIX sec., tuttavia, un aspetto specifico del pensiero tardo-medievale, la filosofia della natura aveva richiamato l’attenzione dell’epistemologo Pierre Duhem che, muovendo alla ricerca delle radici della scienza moderna, aveva indicato negli sviluppi dell'aristotelismo tardo-medievale segnali di ‘precorrimento’ delle ricerche che, sviluppandosi nelle discussioni sul metodo presso la scuola di Padova, avrebbero poi portato a Galileo. Duhem introduceva così l’idea di una continuità fra scienza medievale e scienza moderna; su questa base si è fondata una linea di ricerca importante seguita nella prima metà del XX sec. da Annelise Maier e Alistair Crombie. L’idea di una continuità nell’ambito della scienza sottende quella di una ragione progressiva, anche se talora rallentata da circostanze sfavorevoli. Il continuismo duhemiano è stato notevolmente raffinato e articolato anche alla luce dell’intreccio con le ricerche sulla logica medievale da studiosi soprattutto statunitensi negli ultimi decenni (Joseph Murdoch, David Lindberg, Edith D. Sylla), guadagnando alla filosofia naturale del medioevo un posto stabile nella storia della scienza.
L’elemento soggiacente alla problematica continuità/discontinuità fra medioevo e rinascimento e/o età moderna era sostanzialmente l’identificazione della filosofia medievale con il percorso occidentale che culmina nella Scolastica. Questa identificazione oggi non è più possibile, sia per la pluralità di culture in cui fiorì la filosofia nel medioevo, sia per la molteplicità di posizioni filosofiche espresse anche all’interno del mondo latino; e così il diversificarsi del panorama filosofico nel XIV e XV sec., che un tempo veniva considerato segno di declino della Scolastica, viene rivelandosi come contenitore delle diverse e complesse spinte verso il cambiamento, le cui radici affondano nel rinnovamento delle fonti e delle problematiche filosofiche nel XII sec. In quest’ottica si può riscontrare anche nell’ambito della filosofia quanto Marcia Colish conclude a proposito della cultura medievale più in generale: che cioè ‘la capacità di preservarsi, il fascino o la riconosciuta utilità della cultura medievale per gli europei post-medievali si differenziò da ambito ad ambito’, ma che la lezione centrale del medioevo è che ‘è possibile mantenere una connessione organica con la tradizione mentre la si impiega criticamente’. Questo aspetto caratterizzava nel medioevo, e caratterizza ancor oggi, l’insegnamento universitario che – pur nelle forme mutate – ne rappresenta la più consistente e duratura eredità istituzionale. Nel tentare un bilancio articolato del rapporto fra filosofia medievale e filosofia moderna, elementi di continuità nella trasformazione possono essere riconosciuti in quelle che Adam Funkenstein definisce ‘radici teologiche della scienza moderna’: problemi come quello dell’onnipotenza divina o quello della presenza di Dio nel mondo, nati nell’ambito della teologia scolastica ed elaborati dai massimi filosofi del medioevo, permangono con funzione e modalità diverse nella riflessione di grandi filosofi e scienziati della modernità: Cartesio, Spinoza, Leibniz, Newton. Di tutt’altro segno, ma chiaramente riconoscibile, la permanenza del pensiero ermetico e delle prospettive di trasformazione della natura che veicola nei pensatori del Rinascimento e nella tradizione occulta (dai Rosacroce alla Massoneria all’esoterismo contemporaneo) che accompagna la modernità come suo ‘lato oscuro’. La continuità di un elemento marginale - l’interesse per la filosofia di Raimondo Lullo - riveste particolare significato per un settore rilevante del pensiero moderno, l’enciclopedismo seicentesco; mentre gli ordini mendicanti hanno continuato a coltivare l’eredità dei loro ‘campioni’ medievali. Non invece di continuità, ma di un ripetuto ridestarsi d’interesse si può parlare per l’argomentazione filosofica più originale del medioevo latino, la prova ontologica dell’esistenza di Dio elaborata da Anselmo d’Aosta; mentre nella logica modernorum gli storici della logica riconoscono uno dei momenti originali e fondativi di una disciplina che sembra procedere per salti ed i cui cultori dialogano a distanza di secoli, come dimostra l’interesse di molti logici contemporanei per le ricerche medievali. Non si deve infine dimenticare che, come ha sottolineato Alain De Libera, proprio nel medioevo avvenne il primo (e finora unico) incontro culturamente significativo con il mondo islamico, da cui trasse nutrimento la trasformazione della cultura europea a partire dal XII sec.: senza voler idealizzare indebitamente l’epoca che fu anche delle crociate, occorre riconoscere che dobbiamo saltare del tutto la modernità per trovare nella nostra storia una riflessione in rapporto non a senso unico con le culture ‘degli altri’.
Fonte: http://www3.unisi.it/ricerca/prog/fil-med-online/doc/manuale_intr_sint.doc
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