Riassunto del libro Reale Antiseri

Riassunto del libro Reale Antiseri

 

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

 

 

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

 

 

 

Riassunto del libro Reale Antiseri

Riassunti del testo Reale Antiseri – Capitolo 1

Genesi, natura e sviluppi delle filosofia antica
1.1 Il pensiero filosofico greco rappresenta un fenomeno realmente originale, non esiste un precedente qualitativamente analogo. Ha determinato lo sviluppo successivo della civiltà e del pensiero occidentale e la stessa nascita delle scienze. Lo sviluppo di queste ultime nel mondo orientale, infatti, ha potuto realizzarsi solo dopo aver accolto in esso alcune categorie del pensiero occidentale.
1.2 Non è stato possibile dimostrare un’ipotetica derivazione orientale, e questo per 4 motivi:
a) Nessun filosofo ne fa cenno. Quando ciò avviene, in epoca cristiana, è solo con l’intenzione di legittimare la filosofia che non aveva testi di riferimento divinamente ispirati.
b) La sapienza dei popoli orientali non era paragonabile ad una scienza filosofica, quindi razionale, perché costruita su miti e convinzioni religiose
c) Nei secoli in cui è nata la filosofia, in Grecia non erano giunti testi orientali ed in ogni caso non vi erano persone in grado di comprenderne la lingua e tradurli
d) Anche quando la filosofia ha accolto idee orientali le ha convertite in una forma logica originale in quanto razionale
1.3 Le influenze che la Grecia ricevette dall’Oriente si limitarono alle scienze matematiche e geometriche (egiziani) o astronomiche (babilonesi). Ma sia le une che le altre si caratterizzavano per il loro impianto pratico, dovuto alla stessa esigenza da cui erano nate: risolvere questioni legate alle attività quotidiane. La filosofia le ha organizzate ed integrate con astrazioni teoriche basate su logica e razionalità e rese universali.
2.1 Per comprendere la filosofia di un popolo è necessario esaminare la sua arte, la sua religione e le sue condizioni socio-economico-politiche .
A) L’influenza artistica, nell’antica Grecia, è innegabilmente legata alla poetica di Omero e di Esiodo. In Omero troviamo alcune costanti che ben spiegano l’originalità del pensiero greco:

  • contrariamente ad altri poemi, quelli omerici non descrivono mai situazioni mostruose o abnormi, viceversa accolgono le categorie della misura, della proporzione,dell’ armonia e del limite, che poi diverranno in seguito categorie ontologiche;
  • le azioni sottendono sempre una motivazione. Trovano sempre posto le cause e le ragioni, che poi evolveranno nel pensiero che indaga il principio di ogni cosa;
  • è sempre presente l’idea dell’intero: cielo/terra, guerra/pace, bene/male , in forma epica è espresso ciò che diverrà oggetto di studio filosofico

La Teogonia di Esiodo narra la nascita degli dei, molti di loro coincidono con fenomeni o parti del cosmo, dando luogo anche ad una cosmogonia anche se solo su un piano mitico o poetico. Anche altri temi, non solo di Esiodo, apriranno la strada alla nuova disciplina, per esempio giustizia, limite, misura.
B) Per quanto riguarda la religione, è necessario distinguere tra quella Pubblica e quella dei Misteri. La prima, quella di Omero ed Esiodo, è costituita da figure che impersonano elementi naturali, fenomeni e valori della vita terrena. Quindi sono come uomini amplificati, e ciò che chiedono agli uomini è solo di seguire la propria natura, non elevarsi al di sopra di essa. Questa visione non soddisfaceva tutti i greci, ed in alcune cerchie ristrette nacque il culto dei Misteri, come ad esempio l’Orfismo.
L’Orfismo ha un ruolo fondamentale perché introduce il dualismo corpo/anima e professa l’immortalità della seconda. La sua visione era questa: la vita umana deriva dalla caduta di un demone in un corpo per espiare una colpa originaria, l’anima passa di corpo in corpo, con la morte, finché uno stile di vita adeguato (l’iniziazione ai misteri orfici) la libera. Quindi viene meno il naturalismo e si afferma che alcune tendenze legate al corpo sono da reprimere. Inoltre è importante sottolineare che la civiltà greca era sprovvista di testi sacri e di una casta sacerdotale incaricata di tramandarli, questo lasciava ampia libertà allo sviluppo del pensiero.
C) Per quanto riguarda le condizioni socio-politiche-economiche, dal VII secolo a.C. l’economia della Grecia subì una trasformazione radicale che la portò da essenzialmente agricola a commerciale e mercantile. La nobiltà terriera perse il suo rilievo, le città periferiche si svilupparono ed acquisirono autonomia, incontrarono nuove culture e produssero un sensibile incremento demografico. La filosofia, infatti, si sviluppò nelle colonie dove, prima di ogni altro luogo, la cultura divenne frutto e condizione della libertà, sviluppandosi insieme alle nuove forme democratiche. L’apice del fenomeno avvenne quando, con la città-polis, l’uomo identificava la sua condizione di uomo con quella di cittadino ed i suoi valori tendevano a coincidere, o a rimanere compatibili, con l’etica pubblica.
3 Il termine filo-sofia presuppone la consapevolezza dell’inaccessibilità alla sapienza completa, e l’impegno di avvicinarsi ad essa con la ricerca. Fin dalle sue origini, in essa, troviamo che:


Vuole spiegare la totalità delle cose, la realtà, non alcune sue parti, e l’intero sarà sempre legato al problema del principio

Deve usare come strumento principale la ragione, il logos, non il mito e la fede, strumento della religione, né la fantasia, strumento dell’arte

Desidera conoscere e contemplare la verità disinteressatamente; ma non è una contemplazione innocua perché ha conseguenze pratiche nel cambio di prospettiva dell’uomo

CONTENUTO

METODO

FINE

La spinta che porta l’uomo verso questa ricerca e verso la spiegazione del reale è la meraviglia (Platone/Aristotele) ed è quindi nella sua natura porsi domande sulla propria origine e collocazione
Inizialmente i primi filosofi vedevano la totalità del reale come physis e come cosmo, quindi le loro domande riguardavano l’origine e le forze che interagiscono nel cosmo, furono detti per questo naturalisti. Poi con i sofisti il problema si sposterà sull’uomo e sulla sua specifica virtù (morale). Platone, poi, affermerà che l’essere riguarda anche una realtà che è al di sopra del fisico (metafisica), determinando la separazione dalla fisica. Anche i problemi morali si specificheranno, distinguendo tra singolo e collettività (etica -> politica) ma nella civiltà greca le due sfere rimarranno più unite che altrove.
Si determineranno, con Platone ed Aristotele, i problemi legati alla conoscenza, quelli logici e metodologici. Poi di seguito estetici, retorici. Dai loro successori queste problematiche saranno classificate in fisiche, logiche, morali. Infine in epoca cristiana i filosofi greci si occuperanno di istanze mistico-religiose, ma si può dire che questo periodo appartenga più all’inizio del pensiero cristiano europeo che alla filosofia classica, della quale, piuttosto,  rappresenta il superamento.
La storia della filosofia antica si considera partire dal VI secolo a.C. e terminare nel 529 d.C. quando Giustiniano chiuse le scuole pagane e ne disperse i discepoli. I periodi in cui si usa suddividerla sono:

  • Naturalistico: IV – V secolo (Ionici, Pitagorici, Eleati, Pluralisti, Fisici eclettici)
  • Umanistico: V secolo: Sofisti, Socrate
  • Platone ed Aristotele: grandi sintesi, soprasensibile, esplicitazione dei problemi della filosofia
  • Scuole Ellenistiche: dalle conquiste di Alessandro Magno alla fine dell’ epoca pagana. Cinismo, Epicureismo, Scetticismo, Ecletticismo
  • Periodo religioso: epoca cristiana, neoplatonismo (Plotino)
  • Periodo cristiano: (Filone Ebreo, Alessandria)

 

Integrazione da lezione prof.ssa Maisano


La filosofia è sia Aletheia

che Diànoia

(svelamento della verità)

 

DIA = ATTRAVERSO – NOIA = INTELLIGENZA (radice NUS)
Quindi: attraversare per gradi intellettuali il percorso verso la verità


 Capitolo 2 - I naturalisti o filosofi delle physis

 

1 – I primi ionici ed il problema del principio di tutte le cose
1.1 Talete è considerato il primo filosofo di cui si abbia notizia. Visse a Mileto, colonia greca, tra la fine del VII e la metà del VI secolo a.C.
Il suo studio, come quello dei suoi contemporanei e discepoli, era rivolto alla ricerca del principio che dava origine ad ogni cosa. Il loro obiettivo era, quindi, determinare l’origine comune di ogni cosa(da cui proviene) che doveva necessariamente coincidere con la sua destinazione finale (a cui torna) ed anche con il sostegno di tutto ciò che esiste (per cui sussiste)E’ questa realtà prima fondamentale che i primi filosofi chiamarono physis, e siccome la collocazione della physis non era da ricercarsi in una realtà altra, ma all’interno della stessa natura cui appartiene l’uomo, i filosofi di questa scuola furono detti naturalisti. Ma è importante sottolineare che il termine natura non ha l’accezione moderna che utilizziamo comunemente, ma, appunto, quello di physis, essenza.
Talete, infatti, identificò nell’acqua il principio primo. Non si riferiva certamente all’elemento fisico come lo conosciamo, ma intendeva affermare che la physis doveva avere necessariamente una natura liquida, e lo desumeva dall’importanza che l’acqua rivestiva nella vita di ogni cosa.
Individuare l’origine delle cose in un elemento non deve portare a confondere questa corrente con il successivo materialismo dei tempi moderni. L’elemento rivestiva un ruolo totalizzante, si trattava di qualcosa di ingenerato ed eterno, quindi il ruolo di una divinità. Una divinità, questa, presente in ogni cosa sotto forma di anima (panpsichismo) guidata dalla ragione e destinata a prendere il posto degli dei del politeismo greco, ma molto diversa dal Dio di Platone e delle grandi religioni monoteiste successive, collocato al di là della physis.


Integrazione da lezione prof.ssa Maisano

La religione di sfondo, e preesistente, alla cultura Greca era di tipo:

  • Pubblico: Religione celeste, possibile derivazione dorica, popolo migrante, che quindi considerava il cielo un costante punto di riferimento. Le divinità sono in alto, Zeus, Apollo …   Era la religione istituzionale, implicava risvolti nell’etica pubblica. Metterla in dubbio comportava l’accusa di ateismo (Socrate)
  • Privato : Religione terrestre, ctonia, preesistente alle immigrazioni, deriva dalla natura stanziale dei popoli e dall’importanza rivestita dalla terra. Le divinità sono Demetra, Dioniso (Bacco), Orfeo. Le manifestazioni sono Entusiasmo (viene dal greco enthous, che sta per en-Theos, cioè pieno di un Dio) ed Estasi (uscire fuori da sé) . E’ quindi un sentimento religioso che può esser vissuto solo nel proprio intimo.

La visione dei naturalisti coincide con il punto di vista dell’ilozoismo, “una dottrina che concepisce la materia come una forza dinamica vivente che ha in se stessa animazione, movimento e sensibilità senza alcun intervento di principi animatori esterni” (definizione di wikipedia)

1.2 Anassimandro, discepolo di Talete, porta avanti il ragionamento del maestro. E ritiene l’acqua, anche nella sua concezione totalizzante, qualcosa di derivato, quindi non quel principio (arché) iniziale che si cerca di individuare. Per lui l’arché non può che essere un principio infinito ed indefinito, e la generazione delle cose avviene attraverso processi di delimitazione di questo  non delimitato che chiama, per questa ragione, a-peiron. Anassimandro va oltre Talete anche perché non si limita a studiare il principio, ma anche il modo e la ragione per cui le cose sono generate dal principio che le genera.
Il primo frammento di un testo filosofico giunto fino a noi, di cui è proprio autore Anassimandro, recita: “Donde le cose traggono la loro nascita, ivi si compie la loro dissoluzione secondo necessità; infatti reciprocamente pagano il fio e la colpa dell'ingiustizia” (*). Anassimandro adotta un modello che descrive la realtà terrena: il mondo è abitato da una serie di contrari in un tentativo continuo di sopraffazione (ingiustizia) che il tempo, giudice, condanna (fio) ponendo loro una vita limitata (dissoluzione).  E’ evidente l’influenza orfica in cui è centrale principio di colpa originaria ed espiazione.
Ma le cose nascono già in contrasto tra loro, quindi l’ingiustizia esiste anche su un piano superiore, perché connaturata nel mondo stesso. Per questa ragione anche il mondo è condannato alla dissoluzione, benché poi destinato ad una continua rinascita in un ciclo senza fine, anzi in infiniti cicli contemporanei.
La genesi del cosmo viene spiegata attraverso la generazione del freddo e del caldo, i principali contrari, prodotti dal movimento dell’indeterminato (a-peiron) . Il freddo aveva una natura liquida poi in parte trasformata dal caldo in aria; il caldo sotto forma di sfera di fuoco, ha dato origine ,tramite una sua scissione, al sole, alla luna e agli astri. Le cavità della terra sarebbero poi state riempite dall’acqua generando i mari ed in essi la vita che, inizialmente ittica, ha poi assunto le diverse forme.

Integrazione da lezione prof.ssa Maisano
(*) Questa visione di Anassimandro deriva dalla religione Ctonia, il principio di necessità lo si riferiva alla dea Ananke, che si collocava al di sopra degli dei e stabiliva come lo cose dovessero andare. La giustizia, invece, era attribuita alla dea Dike.

1.3 Anassimene, della stessa scuola, riporterà su un piano razionale le componenti religiose della posizione di Anassimandro e fornirà una struttura più consistente all’intera filosofia della physis.
Anzitutto ritiene di dover riportare su un piano più concreto il principio originario e lo identifica con l’aria perché ben si presta a giustificare le considerazioni dei suoi predecessori, soprattutto per quanto riguarda l’eterno movimento, ed è legato alla natura dell’acqua e del fuoco in cui si trasforma per condensazione e rarefazione. Ed’è proprio l’individuazione di questa dinamica che costituisce il contributo originale di Anassimene al pensiero filosofico naturalista, perché la condensazione e la rarefazione dell’aria, accompagnate da raffreddamento e riscaldamento, costituiscono una causa, legata al principio originatore, che risulta molto congeniale ai fenomeni sensibili della natura.
1.4 Eraclito, vissuto ad Efeso tra il VI ed il V secolo a.C., pose l’accento sul continuo mutamento di ogni cosa (Panta rei). Anche i filosofi di Mileto diedero al movimento un ruolo centrale nella dinamica del principio delle cose, ma non lo tematizzarono adeguatamente come Eraclito.
Il mutamento è l’essenza della realtà, nulla resta uguale nel tempo e non solo: anche ciò che è in un istante determinato, contemporaneamente non è ciò che era prima o che sarà dopo. Su questa base egli afferma, e specifica, che il movimento è una trasformazione delle cose nel proprio opposto, le cose fredde si riscaldano, quelle vive muoiono, è dall’opposizione che nasce ogni cosa. Ma si tratta di un’opposizione che è anche pace ed armonia, perché è l’opposizione che genera il senso. Percepiamo qualcosa solo perché conosciamo il suo contrario, se non conoscessimo l’umido non potremmo definire, e quindi percepire, il secco. Su un piano più emotivo: apprezziamo il riposo perché abbiamo conosciuto la fatica, la salute perché abbiamo sofferto la malattia. E gli opposti finiscono per identificarsi, come una strada in salita che è, nello stesso tempo, in discesa, o per trasformarsi l’uno nell’altro, come il giorno nella notte.
E’ proprio questa unità degli opposti il principio e quindi, in definitiva, dio, benché anche in questo caso ben radicato nella visione propria della physis. Infatti la diversità e l’identità altro non sono che diverse manifestazioni della sostanza primordiale da cui tutto proviene. Il fuoco, cui Eraclito attribuisce l’origine delle cose perché congeniale all’idea di movimento e di trasformazione, “non lo fece nessuno degli Dei né degli uomini, ma era sempre ed è e sarà fuoco eternamente vivo, che secondo misura si accende e secondo misura si spegne”.  In Eraclito viene per la prima volta esplicitata la natura razionale, di logos, di questo principio, ciò che nei milesi risulta solo implicito. E viene anche sottolineata la natura della conoscenza, che richiede di non fermarsi alle apparenze (gli uomini che vi si attengono sono definiti svegli) per non scadere nella superficialità dell’opinione (dormienti).
In un suo scritto Eraclito, sebbene di radici naturaliste, fa cenno a confini inesplorabili dell’anima, lasciandone intravedere la natura infinita.

Integrazione da lezione prof.ssa Maisano
La professoressa fa notare una possibile incongruenza nel fatto che per Eraclito l’essenza è individuata nel divenire che è nello stesso tempo logos. Ma al logos, per definizione, è attribuita immutabilità.

2 - Pitagorici
2.1 Pitagora e i cosiddetti pitagorici
Pitagora nacque a Samo ed il suo apice si colloca intorno al 530 a.C. Diogene lo descrive come uomo in continua ricerca, viaggiò per acquisire conoscenza, studiò i riti misterici e la teologia poi si stabilì a Crotone, nell'attuale Calabria, dove contribuì alla guida politica della città basandosi sull'appoggio dei nuovi ceti mercantili. Con i suoi seguaci diede vita ad una scuola dai tratti religiosi, adottando uno stile di vita comunitario e contemplativo. Il loro fine era l'acquisizione di un determinato stile di vita, ed in questo senso la scienza e la dottrina erano solo lo strumento per raggiungerli. Le dottrine erano considerate un segreto e furono rivelate tempo dopo la scomparsa di Pitagora da Filolao, quindi riprese il loro sviluppo che oggi è indistinguibile dagli studi originari, per questa ragione si considera il pensiero pitagorico una scuola le cui fonti sono difficilmente distinguibili.

2.2 I numeri come principio
I pitagorici ritenevano le matematiche a fondamento di ogni cosa, e di conseguenza i numeri come principio originario della realtà.
La conclusione di Pitagora si basò sull'osservazione di molti fenomeni naturali. Uno dei primi fu la musica: la vibrazione dei corpi produceva suoni che dipendevano da precisi rapporti numerici. Ad esempio: modificando la lunghezza di una barra di ferro si ottengono suoni differenti, ma a modifiche progressivamente incrementate si notano ripetizioni delle stesse sonorità (note) con tonalità differenti (come nelle ottave di un pianoforte) secondo regolarità che oggi chiamiamo rapporti armonici di ottava, di quarta o di quinta. Ma la natura offriva molti altri esempi, come le stagioni, il movimento dei pianeti, i cicli biologici. Per questa ragione il numero non era considerato solo un'astrazione mentale, come oggi, ma il principio a fondamento di ogni cosa.
Da lezione prof.ssa Maisano: l’oggetto è tale perché si delimita, per delimitare qualsiasi cosa, misurando, si usano pietre (calcolus). Ciò è comune a tutte le cose.
2.3 Il numero era considerato come l'insieme di un elemento illimitato, perché i numeri non hanno fine, e di un elemento limitato, perché ciascun numero delimita le infinite possibilità. Ma queste due componenti non sono contenute in parti eguali: i numeri pari hanno una maggior componente indeterminata, e quindi sono imperfetti, in quelli dispari prevale la componente limitata, quindi sono perfetti. Ai primi viene associata un'idea femminile, ai secondi maschile. L'uno era detto parimpari, per la sua proprietà di modificare i numeri pari in dispari e viceversa. Il dieci era considerato perfetto per una serie di motivi (uguale prevalenza di numeri pari e dispari, primi e composti, etc.) e questa idea è a fondamento del sistema decimale.
2.4 Il passaggio dal numero alle cose si può comprendere considerando che gli antichi raffiguravano il numero graficamente con dei punti, delimitando uno spazio, ed anche facendo un parallelo con il concetto di realtà come delimitazione dell'indeterminato di Anassimandro.
Il numero rappresenta ordine, in quanto combinazione armonica di indeterminato e determinato, e siccome è a fondamento di ogni cosa possiamo dire che tutto è ordine. In questo ambito nacque la parola “cosmo” che fino ad allora indicava, appunto, l'ordine e da quel momento in poi l'insieme delle cose nel reale.
Da lezione prof.ssa Maisano: in questo Pitagora diverge da Eraclito, l’opposizione tra contrari resta un’opposizione, non genera armonia
Il salto di qualità compiuto è stato quello di dare alla realtà un principio analizzabile dalla razionalità, non più frutto del lavoro di forze misteriose.
2.5 Come dicevamo, la scienza pitagorica era uno strumento per raggiungere lo scopo di una vita regolata da disciplina interiore e purificazione morale. Pitagora sostenne, probabilmente per primo, il principio della metempsicosi: la nostra anima, di origine divina, a seguito di una colpa originale, è condannata a vagare di corpo in corpo finché un retto stile di vita la riporterà a vivere nuovamente in rapporto diretto con Dio. In questo si notano eredità provenienti dall'Orfismo, ma con Pitagora lo strumento di salvezza, per l'anima, non erano più i riti misterici ma seguire la dottrina e la scienza, quindi intraprendere il percorso che porta alla verità ed al bene tramite la conoscenza. Questo tipo di vita contemplativa portava vivere in comunione con la divinità, divenendo “seguaci di Dio”.
2.6 Alcuni aspetti pratici, su come i pitagorici legassero direttamente i numeri alla divinità, restano poco chiari. La divinità era rappresentata dal 7, in quanto numero primo (ingenerato) e perché all'interno della decade non genera altri numeri. La natura dell'anima rimarrà non risolta, e sarà riaffrontata da Platone su basi completamente diverse. La scuola inizierà a decadere di fronte ad alcune questioni nuove, ad esempio il rapporto tra diagonale e lato del quadrato che non è esprimibile attraverso numeri interi; essendo una scuola chiusa non potrà far ricorso a nuove energie intellettuali per rinnovare la dottrina.

3 Senofane e gli Eleati: la scoperta dell'essere
Senofane nacque intorno al 570 a.C. Nella ionica Colofone, fu un libero pensatore sempre in viaggio. Erroneamente si è posto in connessione con la scuola eleatica, ma le affinità oggi risultano solo superficiali perché le sue problematiche sono di tipo teologico e cosmologico, la scuola eleatica fondò, invece, le basi del pensiero ontologico.
Il pensiero di Senofane parte dalla critica della religione pubblica greca, quella degli dei antropomorfi e con carattere umano, benché dotati di possibilità superiori. A questa visione contesta la sua natura evidentemente terrena, questi dei sono nati dagli uomini che li hanno disegnati con il proprio aspetto, riproducendo persino i propri difetti. Basandosi sulla filosofia ionica, Senofane identifica Dio con il Cosmo, la divinità è intrinseca a tutto ciò che esiste. Alla divinità attribuisce la nozione di pensiero, vista, udito, ma in chiave cosmologica. (E lo ritiene UNICO, IMMORTALE, IMMOBILE, INGENERATO, temi che lo renderanno poi consimile alla scuola pitagorica, che però non li riferirà a Dio ma all’Essere. Da lezione prof.ssa Maisano)
3.2 Parmenide nacque ad Elea (odierna Velia, in Campania) nel VI secolo a.C. Fu istruito dal pitagorico Aminia, fu un attivo politico e fondò la scuola Eleatica, di grande importanza nella storia del pensiero filosofico. Lo conosciamo principalmente per il suo poema “Sulla natura”. Con lui la cosmologia inizierà a trasformarsi un un'ontologia, ovvero una teoria dell'essere.
Nel suo poema una Dea gli comunica l'idea di verità e la strada per aggiungerla. Concretizza questo in tre vie.
A) La prima si esprime attraverso il principio: l'essere è e non può non essere, il non essere non è e non può in alcun modo essere. Intende, per essere, il puro positivo e per non essere il puro negativo. Se si pensa o si dice qualcosa è proprio in virtù del fatto che è, altrimenti questo non sarebbe possibile. Questa l'affermazione ontologica sulla base della quale si costruiranno quelle conseguenze logiche e linguistiche su cui si baserà l'intero pensiero occidentale, a partire dal principio di non contraddizione.
Le conseguenze che trae Parmenide sono ferree: l'essere è ingenerato, perché non può provenire dal non essere (che non è) né dall'essere (perché allora già sarebbe), per questa ragione è anche incorruttibile, perché non può andare nel non essere (che non è) né nell'essere (che significherebbe permanere), inoltre è sempre presente ed eterno, immutabile, perché trasformarsi presupporrebbe diventare qualcosa che non è, per cui l'idea di Parmenide è anche di un essere tutto uguale. Inoltre lo definisce limitato, in quanto perfetto, e lo rappresenta come una sfera. I discepoli poi porteranno avanti anche l'idea di unità. Infine, essere e pensare sono saldamente legati, si può pensare solo ciò che è, può esistere solo ciò che può esser pensato.
B) La Dea, quindi, introduce un principio: la via della per conseguire la verità (ALETHEIA) è quella della ragione, la via dell'errore è quella dei sensi (DOXA). Perché sono i sensi che accolgono l'idea del non essere, del nascere e del perire, del movimento e del divenire.
C) Poi parla di una terza via, le “apparenze plausibili”. In questo emerge la necessità di dar conto delle cose come accadono, le regole del mondo, che però non devono in alcun caso contraddire il principio dell'essere  e del non essere. Parmenide superava le precedenti cosmogonie, basate sull'opposizione dei contrari, affermando che entrambi gli elementi dell'opposizione appartengono all'essere. Però in questo è il suo limite, se l'essere è unico e uguale gli opposti risultano bloccati e non possono dar luogo alla pluralità dei fenomeni. La contraddizione metterà a dura prova i suoi discepoli.
3.3 Zenone e la nascita della dialettica
Le teorie di Parmenide suscitarono contrasti, ed altri filosofi cercarono di confutarle mostrando esempi evidenti di movimento e molteplicità. Zenone nacque ad Elea tra il V ed il VI secolo a.C. , egli accorse in difesa delle idee della scuola dimostrando che le conseguenze delle idee che gli avversari contrapponevano a quelle eleatiche, avevano una maggior contraddittorietà di quella che loro attribuivano alle idee eleatiche stesse. In questo modo creò quello che fu poi definito ragionamento per assurdo. Alla teoria del movimento egli contrapponeva l'affermazione che un oggetto non può spostarsi da un punto ad un altro perché prima dovrebbe aver coperto la metà del percorso, e prima ancora la sua metà, e così via indefinitamente, perché un tratto di percorso si può dividere indefinitamente a metà. Questo implicherebbe l'impossibilità di raggiungere il punto di arrivo (una conseguenza di questo tipo di dissertazione è il paradosso di “Achille e la tartaruga”). Altro affermazione riguardava il movimento della freccia scoccata dall'arco: in ogni momento essa è ferma, quindi si può concludere che è sempre ferma. Oppure l'idea che la velocità, alla base del movimento, è relativa, e che quindi il movimento stesso è relativo. Ancora: se gli esseri fossero molteplici dovrebbero essere così quanti ne sono, né più né meno, ma invece in realtà se fossero molteplici dovrebbero essere necessariamente infiniti, perché tra l'uno e l'altro si potrebbero porre infiniti altri esseri, questo nega l'asserto iniziale. Si vede come, con gli eleatici, il logos inizia ad imporsi con vigore sul senso comune.
3.4 Melisso di Samo e la sistemazione dell'eleatismo
Melisso (VI V secolo a.C.) sistematizzò e corresse, in prosa, i principi della scuola eleatica. Definì l'essere infinito, perché non ha limiti temporali o spaziali e se fosse finito dovrebbe confinare con un non essere che, appunto, non è. Come infinito non può neanche avere forma (Platone introdurrà anche il concetto di infinito immateriale) .
Una ulteriore correzione posta da Melisso fu la totale confutazione del senso comune, ammesso da Parmenide con alcune limitazioni. Ma le cose che il senso comune percepisce potrebbero esistere solo se restassero uguali a sé stesse come osservate la prima volta, ma gli stessi nostri sensi ci comunicano che le cose mutano, nascono, muoiono. Quindi c'è una contraddizione tra ciò che la ragione ci porta a credere e ciò che i sensi attestano. Da questa contraddizione Melisso trae la totale negazione dei sensi a favore della ragione, quindi l'unica realtà e l'Essere-Uno, unico perché se anche fossero molteplici ciascuno dovrebbe essere Uno, quindi la molteplicità è impossibile.
Quindi l'eleatismo si conclude con un'idea dell'Essere unico, eterno, infinito, immutabile, immobile, incorporeo, e con la negazione del diritto dei fenomeni al riconoscimento veritativo. Ma è' evidente che non tutto l'essere, ma solo un essere privilegiato (Dio) può avere le caratteristiche che l'eleatismo esige. I successori (pluralisti, Platone, Aristotele) provvederanno a conciliare la ragione con i fenomeni sensibili, riportando il dialogo tra il primato assoluto dell'essere ed i sensi.

4 I fisici pluralisti ed i fisici eclettici
4.1 Empedocle (Agrigento 480 a.c.) filosofo, mistico, medico, attivo nella vita pubblica.
Cercò di conciliare il concetto parmenideo di essere con il mondo dei fenomeni (che si può anche intendere come inconciliabilità tra essere e divenire) affermando che effettivamente nascere e morire non possono rappresentare una comparsa ed una scomparsa dell’essere, perché ciò che è è eterno ed immutabile, e ciò che non è non è e non potrà mai essere. Quindi nascere e morire equivalgono al combinarsi ed al dissolversi di quattro elementi, le radici di ogni cosa, che per Empedocle sono : aria, acqua, terra, fuoco. Ciascuno di questi elementi, che per i diversi filosofi ionici furono successivamente posti singolarmente ad origine di ogni cosa, ora è considerato qualitativamente inalterabile, infinito ed eterno, come l’essere di Parmenide, e le diverse forme dell’essere dipendono dalle diverse combinazioni possibili dei quattro elementi, ciascuno dei quali, però, mantiene la sua specifica qualità.  
Le forze che aggregano e disgregano sono rispettivamente quelle dell’Amore (o amicizia) e dell’Odio (o discordia) e ciascuna cosa compie il suo ciclo di vita dalla prevalenza dell’una a quella dell’altra, secondo tempi scritti nel destino. La totale prevalenza dell’Amore non dà luogo alla realtà del cosmo, ma ad una compatta unità, l’Uno o lo Sfero, che non permette l’esistenza delle cose, così come non la permette la totale prevalenza dell’Odio. Il ciclo di vita del cosmo si compie nelle fasi di transito dall’una all’altra.
Da lezione prof.ssa Maisano: possiamo assimilare l’amore, che aggrega, con la vita e l’ordine e, invece, l’odio, che disgrega, con la morte ed il caos. Il movimento è tra la vita e la morte, cui segue di nuovo la vita e così via, perché la concezione del tempo per i greci è ciclica, non lineare verso l’infinito, come quella che poi si svilupperà successivamente.
La conoscenza delle cose avviene attraverso degli effluvi che fuoriescono dalle cose stesse, costituite da particelle volatili dei quattro elementi, e la nostra percezione avviene perché ciascuno di questi elementi, presenti in noi, riconosce il proprio simile. La conoscenza, in questo modo, si veicola nel sangue ed ha il proprio centro nel cuore.
Da lezione prof.ssa Maisano: la conoscenza, quindi, si ottiene entrando in contatto con un oggetto e si configura, quindi, come esperienza (EMPIRIA). Possiamo considerare questa idea come base delle correnti EMPIRISTE che si svilupperanno successivamente.
Empedocle fa propria la dottrina dei Misteri Orfici sulla reincarnazione, considera divini i quattro elementi ed anche le due forze che agiscono su di loro, Dio è identificato con lo sfero, ed anche le anime sono composte dei quattro elementi. Questo crea una contraddizione: se corpo ed anima hanno la stessa natura, o almeno le stesse radici, come possono essere in contrasto così come affermato dall’orfismo? Platone tenterà di dare una risposta al problema.
4.2 Anassagora (Clazomene 500 a.c., secondo alcune ipotesi si è formato nella scuola discesa da Anassimandro ed Anassimene) cercando di perfezionare la filosofia della Scuola Eleatica portò la filosofia ad Atene. Partendo da una base coerente alla filosofia di Empedocle, Anassagora riteneva che gli elementi non fossero quattro, ma molti di più, tanti quante sono le qualità delle cose e li denominò semi (spérmata) o omeomelie (definite così da Aristotele). Ciascuno si essi è ingenerabile ed eterno, infinito in numero e nelle possibili suddivisioni. Inizialmente il tutto era costituito da un amalgama in cui le omeomelie erano mescolate ed indistinguibili, poi un’intelligenza produsse un movimento che iniziò ad ordinarle, producendo delle mescolanze ordinate da cui originarono tutte le cose. La prevalenza di un tipo di omeomelia costituisce la natura di una cosa.
Ma in ogni cosa è presente tutto, solo in proporzioni diverse, e dalla trasformazione diviene altro. Come il cibo che ingerito da luogo agli organi componenti il nostro corpo. In questo modo si garantiva l’immutabilità sia quantitativa che qualitativa degli elementi, nulla viene dal nulla o va verso il nulla.
L’intelligenza (nous) che provoca il mescolamento delle cose è a sé stante, non mescolata agli elementi perché se così fosse sarebbe in ogni cosa, ed in questo troverebbe ostacolo a modificarle. E’ un principio, l’intelligenza, che conosce ogni cosa e che ha stabilito ogni dinamica, con sapienza. Questa forma di essere aprirà la strada al concetto di immateriale che porteranno avanti i filosofi successivi, in particolare Platone che affermerà di aver trovato uno stimolo in Anassagora per la sistematizzazione del suo pensiero.
Da lezione prof.ssa Maisano: Anassagora subirà un processo per empietà per aver posto in dubbio la visione proposta dalla religione pubblica di Atene, quella degli dei dell’Olimpo, visione che si considerava inseparabile da quella politica.  Infatti Anassagora, sviluppando il pensiero di Empedocle, si allontana dal suo empirismo introducendo una mente separata da ogni cosa, che sta sola per sé stessa, capace di intelligenza e di verità. Possiamo affermare, con questo, che il pensiero greco è giunto fino al concetto di un Dio ordinatore, benché non ancora creatore.
Tra le altre cose Anassagora ha posto l’intelletto nel cervello, superando una visione cardiocentrica precedente. Ha sottolineato la differenza tra l’intelletto degli animali e quello dell’uomo, che è dotato di mani ed in condizioni di modificare la realtà con la tecnica (Techne, sapere pratico) sottolineato in passato anche da Talete (acquisto dei frantoi).
4.3 Leucippo e Democrito e l’Atomismo
Leucippo, nato a Mileto, in Italia conobbe la dottrina Eleatica. Ad Abdera fondò una scuola cui aderì anche Democrito, che documentò e sistematizzò in forma scritta le idee della scuola. Fu l’ultimo tentativo di integrare la dottrina eleatica all’interno della filosofia della physis.
Alla radice di ogni cosa c’è l’atomo (lett. Indivisibile) elemento sempre uguale qualitativamente ma con forme diverse, forme dalle quali derivano le differenze qualitative. E’ ingenerabile, indivisibile, eterno, infinito, così come l’essere di Parmenide al quale, quindi, è molto più aderente. Ricorda la nostra nozione di atomo, ma è immagine della mentalità greca perché è in realtà forma elementare e indivisibile, caratterizzata anche da orientamento e posizione, invisibile all’occhio e quindi forma visibile all’intelletto.  Trova posto, in questa dottrina, anche il non essere, cioè il vuoto che separa gli atomi e senza il quale non si staglierebbe una forma da uno spazio circostante. Sono gli atomi ed il vuoto, quindi, a costituire l’essenza immutabile (essere) e a generare i fenomeni diversi e la loro differente percezione sensibile e differente opinione (doxa). In questa esposizione si ha la più articolata sistemazione del rapporto tra essere e fenomeni nella filosofia presocratica.
Il movimento ha una sua connotazione particolare nell’atomismo, è di tre tipi: un movimento primigenio casuale e privo di direzione precisa, da questo deriva un movimento vorticoso che ha portato gli atomi simili ad unirsi tra loro e quelli diversi a disporsi in modo da formare le cose ed il mondo, infine un movimento degli atomi che sprigionano in forma di effluvio da ogni cosa, come affermava Empedocle. Quindi non vi è un’intelligenza all’origine delle cose né un fine ultima ma solo il caso, che ha generato, tra le altre cose anche l’intelletto e l’anima, composti da atomi di tipo differente. Un intelletto, tuttavia, capace di cogliere la verità.
L’infinitezza degli atomi produce infiniti mondi che si susseguono, senza termine.
Da lezione prof.ssa Maisano: inizia a configurarsi un conflitto destinato a tramandarsi per millenni: con Democrito nasce una visione materialista e meccanicista della realtà, legata ancora alla visione mitica di Ananke personificazione del destino, della necessità inalterabile, ma meccanicista perché priva di un fine. Sarà presto opposta all’idealismo di Platone che infatti osteggerà apertamente le sue idee (che la natura possa avere una spiegazione in sé stessa ). E’ un nuovo grande conflitto dopo quello già rilevato tra Eraclito (divenire) e Parmenide (essere).
Ma nonostante questo, l’etica di Democrito è nobile: è con la ragione che occorre andare al fondamento delle cose, ed il rispetto per la ragione lo porta a dire che la felicità è nella misura, nel trionfare sui desideri, nell’astenersi dal peccato per senso del dovere e non per paura. Fino al punto da definire il peccato tale per la volontà in sé non per l’effetto provocato.
Il fondamento di un’etica così elevata deriva dalla natura elevata del suo materialismo che si radica nel modo di concepire la conoscenza: questa avviene per il contatto degli atomi sottili degli effluvi con quelli altrettanto sottili di cui è costituita l’anima, raggiunti attraverso i pori della pelle.

4.4 L’involuzione in senso eclettico degli ultimi fisici
Gli ultimi anni della filosofia della physis si connotano di tratti di eclettismo, ossia caratterizzati da combinazioni di idee dei precedenti filosofi. Tra questi si distinse solo Diogene di Apollonia (attivo intorno al 420 a.C. ad Atene) che ritornò ad un principio monistico, l’aria, ritenendo inapplicabile la combinazione di principi diversi nella generazione delle cose. La sua importanza è dovuta principalmente ad una visione finalistica dell’universo, assente in Anassagora, e nell’influenza che ebbe sulle idee successivamente sviluppate da Socrate.
Da lezione prof.ssa Maisano: Atene esce vittoriosa dalle guerre Persiane, diviene la capitale della cultura greca ed il pensiero continuerà lì il suo sviluppo spostando ora l’attenzione dall’osservazione della realtà esterna a quella dell’uomo. La politica, l’oratoria, diverranno anch’esse centrali, soprattutto per la natura mercantile della sua economia.

 Capitolo 3 - La sofistica e lo spostamento dell’asse della ricerca filosofica dal cosmo all’uomo

In Grecia, negli anni del 1° magistrato Pericle,  mutavano le condizioni economiche e sociali, lo sviluppo del commercio creava nuove classi agiate, non aristocratiche, che ora chiedevano di partecipare alla vita politica e avevano gli strumenti economici per pagare la propria formazione. In questo contesto si diffuse la figura del pensatore sofista, insegnante di professione, girovago, svincolato dalle tradizioni e dai comportamenti codificati, pieno di fiducia nelle possibilità della ragione, che punta alla ricerca dell’utile abbandonando quella per la verità.
Sofista è un termine vuol dire “sapiente” o “esperto del sapere” ma è giunto fin quasi ai giorni nostri con un’accezione negativa, questo anche a causa della valutazione che ne diedero filosofi successivi come Platone o Aristotele. Per loro la sapienza dei sofisti non era vera sapienza e non era disinteressata. Nel 20° secolo si è corretta questa visione attribuendo al movimento dei sofisti un ruolo importante nella storia del pensiero per aver spostato la focale dello studio sull’uomo che fino ad allora era inserito nel discorso più generale sul cosmo (inizia ora il periodo umanistico della filosofia) ed anche per aver promosso l’idea, attraverso il loro impegno pedagogico, che la virtù non è legata alla nascita, alle origini aristocratiche, ma la si può acquisire perché legata al sapere. L’idea di educazione legata alla diffusione del sapere nasce ora. Inoltre con loro si supera la visione della città stato attraverso una concezione di appartenenza più ampia che apre la via all’universalismo.
Possiamo classificare i sofisti in tre gruppi, dei quali approfondiremo solo il primo, gli altri rappresentano la decadenza del fenomeno:

  • Primi sofisti: prima generazione, più noti, non privi di remore morali.
  • Gli Eristi: portarono all’esasperazione gli aspetti formali ed abbandonarono il ritegno morale dei maestri
  • I politico-sofisti: utilizzarono ideologicamente le idee sofistiche per scopi politici

Protagora è noto per l’affermazione "l'uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono, e di quelle che non sono in quanto non sono" (principio dell’homo-mensura) che si può considerare il manifesto del relativismo occidentale. Non è possibile fare affermazioni assolutamente valide in merito alla verità, ma la loro validità sarà stabilita da ciascun singolo uomo. Ciò che intendeva Protagora, come ha esposto nelle Antilogie, che su ciascuna cosa si può discutere con argomenti pro o contro, ed è a questa dialettica che si deve porre interesse. Il sapiente è colui che comprende il più utile, il più conveniente in un certo contesto e riesce a convincere gli altri. Come riconoscere il più utile, concetto evidentemente relativo, non lo approfondirà. Sarà Socrate a scavare a fondo nell’essenza dell’uomo e determinarne la natura.
Nei confronti degli dei applico lo stesso criterio, produrrà motivazione sia a favore che contro la loro esistenza, non potendo quindi concludere nulla ed affermando, in questo modo, il proprio agnosticismo.
Da lezione prof.ssa Maisano: non è solo l’introduzione del “punto di vista”, qui ci troviamo in presenza di un sapere parcellizzato, settoriale. Si apre la strada al soggettivismo ed all’individualismo la cui conseguenza è il relativismo. In questo contesto vede la luce una discussione destinata a tramandarsi nel futuro. La legge deve esser vista come nomos (accordo fra uomini) o phisys (scritto nella ragione umana)? Saranno i nuovi sofisti a discuterne. Per alcuni (Ippia) la legge deve esprimere il diritto di natura. Per altri (Antifonte) gli uomini sono tutti eguali ed il diritto (come legge di natura) dev’essere integrato da un diritto positivo, in cui tramite un accordo si giunge a garantire il rispetto della natura dell’uomo.
Come Protagora muove dal relativismo, così Gorgia dal nichilismo. Nel suo trattato afferma: 1) non esiste l’essere, ossia nulla esiste, perché le affermazioni dei filosofi che l’anno affrontato si annullano a vicenda, e non essendo né uno, né molteplice, né generato, né ingenerato, sarà nulla. 2) Se anche esistesse l’essere non sarebbe conoscibile, per affermare questo dimostra la rottura tra essere e conoscenza. 3) Se anche fosse pensabile sarebbe inesprimibile, non si può esprimere ciò che non si avverte con i sensi.
Ma Gorgia nega anche la doxa, definendola la più infida delle cose. Quello che afferma è la capacità della ragione di illuminare i fatti, circostanze, situazioni della vita della Città, di stabilire ciò che si deve e non si deve fare. In questo modo Gorgia si dimostra uno dei primi fautori di un’etica della situazione, in cui l’agire corretto varia in base alle condizioni, alla persona, all’età, le caratteristiche sociali, etc.
La parola quindi assume un’autonomia sconfinata, perché non legata ai vincoli dell’essere. Quindi Gorgia scopre, a livello teoretico, il potere persuasivo della parola e l’arte con cui si esercita questo potere: la retorica. Nella Grecia del V secolo, nel momento in cui le istituzioni assumevano un ordinamento democratico, possedere quest’arte equivaleva ad un potere molto rilevante.
Gorgia riflette anche sull’estetica della parola: la poesia è come la retorica ma non mira ad un fine utilitaristico. Ed elogia, provocatoriamente, sia chi inganna con la parola, il poeta, che chi se ne lascia ingannare, apprezzando la poesia.
Prodico era maestro nel far discorsi e la sua caratteristica peculiare fu lo studio della sinonimia, approfondendo le sfumature di significato dei termini simili. Fu apprezzato anche da Aristotele.
In Ippia è presente la caratteristica che, impropriamente, fu attribuita all’intero movimento sofista: contrapporre la “legge” alla “natura” (a favore della seconda). Affermava infatti che le leggi da osservare sono anzitutto quelle della natura, poi quelle degli uomini. Nasce la contrapposizione tra diritto (o legge di natura) e diritto positivo, cioè posto dagli uomini. Questo inaugurò una corrente di egualitarismo nuova per il mondo greco. Antifonte radicalizza questo pensiero e teorizza l’uguaglianza di tutti gli uomini, sia all’interno che all’estero dei confini della polis. Ma non approfondirà la questione specificando le ragioni dell’uguaglianza, occorrerà anche in questo caso attendere il pensiero di Socrate.
Gli Eristi rappresentano il degrado del pensiero sofista, con loro il discorso verte su speculazioni formulate in modo da trarre in inganno o mettere in difficoltà l’interlocutore lasciandolo privo di risposta, ma solo mediante espedienti retorici. Qui nacque il senso attuale, negativo, del termine sofista. Crizia dissacrò il concetto degli Dei, i sofisti-politici giunsero ad affermare che per natura è giusto che il forte domini sui deboli.
Conseguenza importante del pensiero sofista: così come i naturalisti criticarono la rappresentazione antropomorfa degli Dei e spinsero la ricerca verso il principio fisico, così i sofisti smantellarono definitivamente un certo modo di pensare la divinità, costringendo i filosofi successivi, che non potevano più tornare ad una visione delle cose superata, a collocare la divinità su piani più alti. Lo stesso logos fu posto in crisi per la possibilità che comportava di produrre affermazioni contraddittorie, ed anche in questo caso il pensiero successivo fu spinto a collocarlo in una dimensione metafisica. Un ragionamento simile si può condurre sullo stesso concetto di uomo. Tutto ciò preparò la strada al pensiero di Socrate.

 Capitolo 4 - Socrate e i socratici minori

Atene 470 – 399 a.C., figlio di scultore e levatrice, non fondò una scuola ma esercitò in luoghi pubblici ricavando grandi consensi ma anche altrettante inimicizie. Non scrisse nulla, di lui ci parlano Aristofane (in chiave ironica e critica), Platone (come protagonista di dialoghi che però riflettono anche il pensiero di Platone stesso), Senofonte (in chiave riduttiva) e Aristotele (che però non era contemporaneo). Di recente gli studiosi hanno iniziato a considerare l’intero contesto delle trasformazioni che filosofia e letteratura hanno subito in quel periodo come indice delle innovazioni introdotte da Socrate, suffragati in questo da testimonianze concordi.
Socrate parte dal pensiero dei fisici, rimarcando però come le loro conclusioni siano state contraddittorie e non risolutive. Determina, inoltre, uno spostamento dell’obiettivo: ora oggetto d’indagine non è più la ricerca dell’essenza e del fine ultimo delle cose e del cosmo, ma quella dell’uomo stesso. E per Socrate l’essenza dell’uomo è l’anima, intesa come razionalità, coscienza, consapevolezza, personalità intellettuale e morale. E’ la prima volta che al termine anima si dà un valore così elevato, la cura dell’anima diviene essenziale per l’uomo perché costituisce il suo attributo primario, rispetto al quale il corpo è solo uno strumento.
Cambia quindi anche la nozione stessa di virtù (aretè), dal momento che intendiamo con questo termine ciò che rende una cosa buona e perfetta in ciò che è, la virtù dell’uomo è quindi ciò che rende buona e perfetta l’anima, cioè la conoscenza. In questo modo mutano i valori: virtù non è più forza, coraggio, ricchezza, fama, potenza, bellezza, salute, ma la conoscenza, unica virtù in grado di governarle bene (quindi la virtù si può insegnare).
Si parla spesso di intellettualismo socratico (o etico) riferendosi a due principi del pensiero socratico considerati paradossi: 1) la virtù è scienza ed il vizio è ignoranza, 2) Chi pecca lo fa per ignoranza del bene. Il filosofo, quindi, non prendeva in considerazione il male deliberatamente pianificato. Ma è importante sottolineare anzitutto la grande sintesi che ha operato: i filosofi precedenti hanno cercato a lungo il nesso essenziale tra le diverse virtù particolari, inoltre le fondavano sull’abitudine, lo stile di vita, non ponevano sotto il controllo della ragione la vita umana e i suoi valori come faceva Socrate (e come i fisici facevano rispetto al cosmo ed alle cose).
Il primo punto si spiega così: dal momento che Socrate riteneva l’anima (cioè la ragione) coincidente con la natura stessa dell’uomo, e le virtù sono ciò che attua e perfezione pienamente la natura dell’uomo (cioè la ragione), risulta che le virtù sono una forma di scienza e conoscenza.
Per quanto riguarda il secondo punto: si considera un errore la concezione che Socrate ha della conoscenza come condizione necessaria e sufficiente per il compimento del bene. La dimensione della volontà, introdotta nei secoli successivi, renderà la conoscenza un requisito necessario ma non sufficiente per la realizzazione del bene.
La più significativa manifestazione della psichè, nella concessione Socratica, è l’autodominio (enkràteia) inteso come dominio degli stati di piacere, dolore e fatica, nel resistere alle passioni ed agli impulsi, che Socrate identifica con la libertà. A questo principio si associa quello di autarchia, autonomia, il non aver bisogno di nulla. Questa visione rivoluzionaria modifica alla base i valori tradizionali della società, secondo questa visione l’eroe non è più colui che affronta e vince i pericoli esterni, ma chi sa combattere quelli all’interno di sé.  
Così come accaduto con la maggior parte dei filosofi greci, anche il pensiero di Socrate si presenta come un messaggio di felicità. Il termine eudaìmonia aveva origini precedenti alla filosofia e indicava la presenza di un demone buono che garantiva una vita favorevole. I filosofi interiorizzarono questo concetto sostituendo al demone la coscienza, l’anima, il carattere morale, etc. Socrate sostiene che la felicità può essere procurata solo da ciò che costituisce l’essenza dell’uomo, cioè la sua anima, ed un anima ordinata e virtuosa genera armonia. La virtù ha, quindi, il suo premio in sé, quando l’uomo è ancora in vita, quindi è essa stessa un fine e l’uomo è il vero artefice della propria felicità o infelicità.
La condanna di Socrate riguardò l’accusa di aver introdotto nuovi Dei e corrotto i giovani con il suo insegnamento (il principio greco di fondo è che chi non crede in Dio non rispetta le leggi, da qui la gravità della colpa). Il filosofo non vi si oppose perché riteneva fondamentale superare il processo con la forza persuasiva delle sue ragioni, e se non vi fosse riuscito riteneva giusto sottostare alla pena, nonostante le possibilità concrete di fuga o di conversione della pena in esilio che gli furono presentate.
La concezione di Dio, che gli procurò l’accusa, Socrate la mutuò dai filosofi naturalisti ed in particolare Anassagora e Diogene di Apollonia: un Dio inteso come intelligenza ordinatrice, che lui provvide ad allontanare dalle implicazioni più vicine ai presupposti fisici. Questa intelligenza si rende evidente attraverso la perfezione del cosmo ed in particolare dell’uomo, dotato di aspetti che non si possono concepire in altro modo se non come ordinati e finalizzati da un principio intelligente. Il particolare riguardo nei confronti dell’uomo, in particolare virtuoso, rivela anche una Provvidenza che però ancora è lontana dal riguardare il singolo individuo, come accadrà con il pensiero Cristiano.
L’accusa riguardava anche l’introduzione di nuovi Dei, e si riferiva al daimonion a cui faceva cenno Socrate riferendosi ad una voce interiore che gli vietava di condurre in porto determinate azioni. Si sono avute diverse interpretazioni di questo fenomeno, ciò che sembra assodato è che riguarda unicamente il vissuto di Socrate, probabilmente legato a stati di riflessione profonda, di natura estatica, che non fornirono contenuti alla sua filosofia (alla cui base c’è unicamente il logos) e che non rientrano nella visione della realtà delle cose espressa da Socrate, ma solo alla sua vita interiore.  
Il metodo socratico è coerente con la sua visione dell’uomo come psiché, esso tende a curare l’anima dell’uomo spogliandola dell’illusione del sapere per renderla idonea ad accogliere la verità. Si tratta, quindi di modalità pedagogiche ed educative, solo in secondo luogo logiche o gnoseologiche. L’interlocutore era portato a render conto della propria vita, una sorta di esame di coscienza, e questo gli causo buona parte dell’ostilità che lo condusse alla condanna.
Le fasi erano quindi due: confutazione (liberarsi del falso sapere) e maieutica (mettere in rilievo la verità che è presente in ciascuno, “l’anima è gravida di verità” è necessario portarla alla luce, Socrate si ritiene sterile di sapienza, ciò che può fare è aiutare a farla nascere, come le levatrici). E gli strumenti di lavoro erano l’ironia ed il non sapere.  Questo ultimo punto, molto utile a sollecitare la dialettica con l’interlocutore, era polemicamente contrapposto alla sapienza sofista, alla dialettica dei politici, alle contraddizioni dei naturalisti non risolte, ma anche definito tale rispetto alla sapienza irraggiungibile di Dio, rispetto alla quale il sapere umano si dimostra del tutto insufficiente.  L’ironia era lo strumento che permetteva al filosofo di simulare ammirazione per l’interlocutore, specie se lo stesso si riteneva esperto e sapiente, e faceva uso anch’essa della maschera del non sapere. (per ironia v. Eutifrone, per non sapere v.Menone )
In passato si attribuiva a Socrate un rilievo particolare nella impostazione del tipo di logica  che si riteneva fondante nello sviluppo del pensiero logico occidentale, ci si riferiva a: concetto, induzione e tecnica di ragionamento. Poi questa rilevanza è andata ridimensionandosi, perché queste componenti, in Socrate, non erano rilevanti in sé, perché non erano rivolte alla costruzione di definizioni logiche, ma utilizzate in forma subordinata al processo ironico-maieutico. Ad esempio, l’uso dell’induzione (risalire dal particolare al generale) non fu teorizzato da Socrate, ma è innegabile che la sua dialettica contribuì a dare impulso alla sistematizzazione successiva operata soprattutto da Aristotele sulla base delle acquisizioni degli Analitici.
Da lezione prof.ssa Maisano: la tecnica dell’induzione, utilizzata da Socrate, parte dal collezionare casi particolari per giungere a comprendere un concetto generale, cioè l’essenza. E’ per questo che Socrate afferma che a Dio si può giungere con il ragionamento, perché a partire dall’osservazione della natura si può arrivare a comprendere il principio ordinatore.
In conclusione, il pensiero Socratico ha costituito un punto di svolta ma lasciava aperti alcuni problemi: ha definito il ruolo dell’anima ma non ha indagato la sua essenza, ha defisicizzato Dio ma non ne ha definito la natura. La grande potenza del pensiero Socratico è difficilmente separabile dal suo autore, difatti i successori ne dispersero il pensiero e non riuscirono a sistematizzarlo. Solo Platone riuscirà a farne una sintesi ponendo al centro del suo pensiero il Bene, e sviluppando poi autonomamente il discorso nella costruzione di una metafisica. Altri limiti possiamo trovarli nella sconfinata fiducia nel logos che però si scontra con gli esiti alterni della maieutica. Non tutte le anime sono gravide di verità. Da cosa dipende allora la sua presenza?
Ma del messaggio Socratico è debitore l’intero Occidente per le conclusioni che, grazie al suo pensiero ed al suo rigore morale, trarranno i successori. Lo stesso Socrate non si rese conto della portata universale del suo pensiero: identificando nell’anima l’essenza dell’uomo, e ponendo al centro dell’etica l’autodominio e la libertà, aveva per la prima volta proclamato l’autonomia dell’individuo in quanto tale, questo costituì un punto di svolta epocale.


Capitolo 5 – Platone e l’Accademia antica

Atene (428 a.C.)
Destinato alla vita politica, ne fu presto deluso e se ne allontanò quando il maestro Socrate fu condannato a morte. Fu in Italia per conoscere i Pitagorici, poi per tentare di iniziare alla filosofia il tiranno di Siracusa (nel Gorgia tracciò la figura ideale del re-filosofo) dopo aver corso numerosi rischi personali, e ritentata due volte l’impresa con il successore, abbandonò il proposito.
Gli scritti ci sono pervenuti integralmente, sono 36 suddivisi in 9 tetralogie. Su di essi si è sviluppata una tradizione critica detta “questione platonica” per stabilirne l’autenticità e la cronologia. Si è giunti con una certa unanimità a ritenere autentici tutti i 36 scritti, e da questi trarre il percorso filosofico di Platone che ebbe queste tappe:
1) problematica etico-politica a partire da Socrate
2) Seconda navigazione (scoperta del soprasensibile) a partire dai filosofi della physis
Su alcuni temi Platone non volle scrivere nulla, perché riteneva che solo l’oralità e la vita in comune potessero spingere la conoscenza oltre un certo limite, quello delle cause ultime (lezioni intorno al bene). Alcuni allievi, però, trascrissero queste conversazioni che oggi vanno sotto il nome di dottrine non scritte (o tradizione indiretta) e che possono essere utili per comprendere meglio quelle scritte.
Anche su ciò che Platone ritenne di poter scrivere adottò uno stile non sistematico, usando la formula del dialogo mutuata da Socrate, nella maggior parte dei casi sarà lo stesso Socrate personaggio protagonista dei dialoghi. Questo nel passato a portato ad interpretazioni discordanti, ma oggi si ritiene che i dialoghi non vadano letti in chiave storica ma solo teoretica, avendo ben chiaro, quindi, che le tesi espresse sono quelle di Platone, eventualmente coincidenti con quelle del Socrate storico. Lo stile del dialogo e la rinuncia ad esprimere direttamente verità di fondo chiama il lettore a farlo, ad esporsi, e questo ricalca in modo evidente la maieutica socratica.
Platone reintroduce nei suoi scritti il mito. Secondo Hegel questo rivela alcuni limiti del pensiero platonico, un logos che ancora non ha trovato la sua piena autonomia. Viceversa, secondo Heidegger,  il mito è lo strumento cardine del pensiero platonico che va oltre l’essere per cogliere la vita, e per esprimere l’essenza della vita non è più sufficiente la razionalità pura del logos ma diviene necessaria la libertà espressa dal mito. Lo stesso Platone, nel Fedone, vede nel mito la possibilità di spiegare credenze non dimostrabili diversamente, arrischiandosi ai confini del logos,  attribuendo quindi al mito una funzione sostanzialmente didattica.
Il pensiero platonico è stato variamente interpretato nel corso dei secoli, dimostrandosi un’autentica miniera per lo sviluppo del pensiero.
1) i prosecutori della sua scuola (l’Accademia) fecero della teoria delle idee e della conoscenza il fulcro della sua dottrina (chiave metafisica e gnoseologica)
2) i neoplatonici posero al centro la dimensione mistica e religiosa, presente massicciamente nei dialoghi. Questa visione prevalse fino all’epoca contemporanea.
3) Nel XX secolo si è rivalutata l’essenza etico-politica-educativa di Platone che nella VII lettera dichiara che la sua passione di fondo è la politica.
4) Altri, sempre nel XX secolo, posero al centro dello studio la dottrina indiretta, non scritta.


La fondazione della metafisica.

Da lezione prof.ssa Maisano: Platone partì dalla concezione di Socrate secondo cui la verità è nell’animo di ciascun uomo. La sua teoria delle Idee dà una giustificazione di come la verità abbia trovato sede lì.
Il progresso che ha compiuto il pensiero filosofico a partire da Platone fu la sua scoperta di una realtà soprasensibile, cioè di un genere di essere non fisico che hai filosofi della physis era sfuggito. Anassagora, come notò lo stesso Platone, era giunto all’intuizione di un’intelligenza ordinatrice, ma continuò a cercarne la causa nell’ambito del mondo fisico, senza pensare che gli eventi e le cose del mondo fisico potessero avere una causa in una realtà non fisica. Fu attraverso questa seconda navigazione (senza vento, a remi) che Platone, facendo massiccio ricorso al ragionamento puro, prese le distanze dalla realtà sensibile. Il suo contributo inciderà profondamente nel pensiero occidentale, sia che venga accolto sia che venga rifiutato, perché comporterà di doversi confrontare con le categorie del materiale e dell’immateriale, dell’empirico e del metempirico.
Platone chiamò Idee, o Eidos, le cause di natura non fisica. Con questi termini identificava una Forma che è essenza pura, modello, paradigma, ciò che veramente è una cosa, ciò che non muta, che non è soggetto al divenire ed è intangibile, immateriale, con le caratteristiche dell’essere eleatico: ingenerato, immutabile, incorruttibile. Certamente non considerava l’idea un puro fatto mentale (come nell’accezione moderna) ma l’essenza stessa delle cose, la vera realtà. Le idee sono collocate in un mondo che è fuori dallo spazio, l’iperuranio, cui è possibile giungere solo attraverso l’intelletto.
L’aver separato i due piani del sensibile e del soprasensibile consentiva di superare l’apparente contraddizione tra l’essere ed il divenire, e quindi le idee di Parmenide ed Eraclito. Nel dialogo Parmenide, Platone mette in discussione l’essere inteso unicamente come UNO, affermando che l’uno non è senza i molti e viceversa. Nel Sofista, invece, identifica il non-essere con la diversità o l’alterità. Si riferisce alle Idee che, per essere ciò che sono, sono diverse da tutte le altre, quindi non sono tutte le altre. Ciascuna, quindi, ha una certa dose di essere e infinito non-essere. Nel mondo delle idee si risolve anche la questione del movimento: ciascuna idea è immobile in se stessa, ma il suo è anche movimento in quanto in relazione con le altre idee alle quali può partecipare o meno (è questa possibilità, nel suo realizzarsi o non realizzarsi, che costituisce il movimento). Le idee sono in relazione e poste in gerarchia, le idee inferiori implicano (sono condizionate da) quelle superiori, fino a giungere al vertice della gerarchia costituita dall’assoluto, che condiziona le altre non essendo condizionata da alcuna.
Da lezione prof.ssa Maisano: Metessi = partecipazione, le idee partecipano all’idea del Bene. Le cose sensibili partecipano all’idea corrispondente.  Il concetto di partecipazione lo troveremo anche in S.Tommaso: Dio ha dato una parte di sé a noi perché passassimo dal non essere all’essere. E’ uno dei concetti platonici che troviamo, affiancati a quelli aristotelici, in San Tommaso. Lo troviamo anche in S.Agostino: “troverai Dio dentro di te”.
Parola chiave: Parusia(per Platone): le idee sono presenti nelle cose e ne rappresentano l'essenza.

Nella Repubblica Platone identifica l’assoluto come il Bene, gli attribuisce la capacità di rendere le idee conoscibili e la mente conoscente, ed anche di non essere sostanza ma idea generatrice di essere e di sostanza. Non scrive mai più su questo principio. Ma dalle fonti indirette (affermazioni orali trascritte dagli allievi) sappiamo che il principio veniva talora indicato come Uno ed affiancato ad un secondo principio, inferiore, chiamato Diade che genera la molteplicità che poi sarà delimitata dall’Uno (che quindi è principio formale: dà forma all’indeterminato). L’Uno si pone quindi come generatore di sostanza (che esiste solo quando si delimita l’illimitato) di verità e conoscibilità (solo ciò che è delimitato è intelligibile e conoscibile) di valore (la delimitazione implica ordine e perfezione). Quindi è Bene. Ma attenzione, il processo di delimitazione dell’illimitato non è legato al tempo ed allo spazio, si deve interpretare come una metafora per poter descrivere un principio ontologico.
La gerarchia quindi vede al vertice il Bene (provvisto dei due principi), ad un gradino inferiore le idee supreme di cui ci parla il Sofista (Essere, Quiete, Movimento, Identità, Diversità) ed inoltre Uguaglianza, Disuguaglianza, Somiglianza, Dissomiglianza, ed anche i Numeri Ideali. Poi le idee successive che sono inferiori in quanto implicano le superiori (es. l’idea di uomo implica identità ed uguaglianza rispetto a sé, differenza e disuguaglianza rispetto ad altre idee) e non si può dire viceversa. All’ultimo gradino gli enti matematici (numeri e figure) inferiori ad i numeri ideali in quanto molteplici. Quanto descritto rappresenta ciò che in seguito verrà definito cosmo noetico, ossia la totalità del pensabile, per Platone il luogo in cui le anime vanno a contemplare.
Su questa base è ora possibile comprendere il mondo sensibile. Così come l’idea del Bene è il principio formale con cui a partire dall’illimitato (principio materiale intelligibile) si costituiscono le idee inferiori, allo stesso modo ogni idea è il principio formale con cui a partire da un principio materiale fisico si costituisce il mondo fisico.
Nel primo caso non vi è necessità di mediatori perché i due principi sono entrambi nel campo dell’intelligibile. Nel secondo caso interviene un demiurgo, un Dio pensante e volente, dunque personale, che per amore di bene plasma il principio materiale fisico (chora, che in un modo oscuro partecipa dell’intelligibile) utilizzando come modello il mondo delle idee.
Il cosmo, quindi, è il risultato di un atto di amore, tutto ciò che vi abita è dotato di anima ed intelligenza, ed essendo perfettamente costruito è incorruttibile e non perirà. Nel mondo delle idee vi è un continuo presente senza passato né futuro, il cosmo è invece nel tempo, “immagine mobile dell’eterno”.
Precisazione importante sulla divinità intesa da Platone: l’idea del Bene, come le altre idee, sono di natura divina ma una divinità non personale. Il Demiurgo è un Dio personale ma è inferiore alle idee, non ha creato la chora e non è creatore del mondo ma solo plasmatore. Divini, inoltre, sono il mondo e gli astri, dotati di anima. La teologia di Platone, quindi, ripropone lo schema greco di una divinità strutturalmente molteplice. Aristotele porrà al vertice della struttura un dio Personale, ma il monoteismo in Occidente vedrà la luce solo attraverso la Bibbia.
Da lezione prof.ssa Maisano: Il fatto che il Bene non sia persona implica che non si possa andare oltre la sua visione.
Nel Menone, Platone ci spiega come è possibile accedere al mondo delle idee intellettivamente e quindi come intende la conoscenza. La conoscenza è anamnesi, cioè un ricordo di ciò che esiste da sempre nella nostra anima. La prima spiegazione è di tipo mitico-religioso e si rifà alle dottrine orfico-pitagoriche secondo le quali l’anima è immortale ed è più volte rinata (metempsicosi), quindi ha in sé la conoscenza sia del mondo sensibile che soprasensibile. Ma vi è una seconda spiegazione nello stesso testo ed è riportata con il racconto del dialogo con uno schiavo che, attraverso una serie di domande successive, riesce ad esporre il teorema di Pitagora senza averlo mai studiato in precedenza. E necessario, quindi, ricondurre la teoria della conoscenza come anamnesi non solo ad una radice mitico-religiosa, ma anche alla fede che Platone riponeva nella Maieutica di Socrate, capace di far venir fuori la verità da ciascun uomo, perché già presente da sempre nella sua anima.  E’ con l’anamnesi che Platone spiega anche la sensibilità alla bellezza ed alla perfezione che ha la mente umana, e che non gli può esser pervenuta dai sensi, non potendo questi elevarsi al di sopra del puramente materiale.
Questa visione costituisce, in un certo senso, la prima intuizione di un a priori intesa come conoscenza innata. Perché, nonostante il bisogno di vedere per poter ricordare, le idee sono presenti in noi già definite, nello stesso modo per tutti (l’ a priori kantiano sarà invece soggettivo).
Da lezione prof.ssa Maisano: vedere per ricordare, il vedere possiamo identificarlo con la maieutica di Socrate, con la quale, liberandoci dal falso sapere, riusciamo a vedere realmente, e quindi ricordare.
Per Socrate la conoscenza è un processo induttivo, un percorso che da ciò che è sensibile giunge a ciò che è essenziale.
Per Platone è ricordare, ma è anche un processo dialettico (dalle cose sensibili alle idee, un pensiero che va per gradi). Il processo dialettico, però, è in entrambi le direzioni: quella del ricordo (verso l’alto) e quello contrario, per la comprensione della realtà sensibile a partire dalle idee.
I gradi della conoscenza: la conoscenza del mondo sensibile (intermedio tra essere e non essere) è fallace, mutevole, come le cose stesse, e si chiama opinione (doxa). Essa può legarsi all’idea pura delle cose tramite una connessione causale, ma ciò avviene attraverso una forma più nobile di conoscenza che è la scienza (episteme) . Ad ogni grado e forma di conoscenza corrisponde un grado ed una forma di realtà e di essere secondo questo schema:

Mondo soprasensibile                                 Conoscenza costituita da

 

Episteme che si esplica in

Idea del bene (Inaccessibile se non per analogia)

 

Idee

nous (intelligenza, coglie la pura conoscenza dialettica delle idee)

Numeri,figure geometriche,enti matematici

dianoia (ragione, coglie il ragionamento matematico-geometrico)

 

Mondo sensibile                                          Conoscenza costituita da

 

 

Enti sensibili

Doxa che si esplica in
pistis (credenza, coglie le cose stesse, la conoscenza certa degli oggetti sensibili) Mito della caverna: OGGETTI CHE PRODUCONO LE OMBRE, ma solo in rapporto ai sensi, come sapere sofistico

Immagine sensibile delle cose

eikasia (immaginazione, coglie l’immagine sensibile delle cose e ritiene erroneamente che si tratti della realtà, attività basata sulla iconicità) Mito della caverna: OMBRE, scambiare la rappresentazione delle cose per le cose stesse

L’uomo comune si ferma alla conoscenza del mondo sensibile (doxa) i matematici salgono fino alla dianoia, solo i filosofi accedono all’intelligenza. Il processo che compiono è di tipo discorsivo ed intuitivo e li porta a conoscere le relazioni e le implicazioni tra le idee finché, di idea in idea, raggiungono la conoscenza del Bene. Questo processo è noto come dialettica, porta alla conoscenza della verità (costituita dalla struttura di idee ed implicazioni) e può essere ascendente o discendente.
L’arte, per Platone non educa ma diseduca, perché attinge alle qualità arazionali dell’uomo che sono inferiori. E’ imitazione (mimesi), ma imitazione di enti sensibili che sono già imitazioni di idee, quindi ancor più lontana dall’essenza delle cose. E’ quindi corruttrice, a meno che non si assoggetti alla filosofia in grado di guidarla verso il vero. Allo stesso modo la retorica, condita spesso anche di malafede, può riscattarsi solo sottomettendosi anch’essa alla filosofia.
Da notare che Platone non associa la bellezza all’arte, bensì all’eros ed all’amore che considera una via privilegiata per il raggiungimento dell’idea del Bene. Ma è una concezione di amore totalizzante, intesa come ricerca del bene, del bello, della sapienza, della felicità, dell’immortalità e dell’Assoluto. La bellezza, quando l’anima abitava l’iperuranio, era particolarmente evidente ed amabile; per questa ragione il ricordo suscitato dalla bellezza sensibile infiamma l’animo e permette all’anima, sia pur per pochi momenti, di sopraelevarsi nel luogo da cui è discesa. L’amore, l’amore platonico, è quindi nostalgia dell’assoluto, una forza che ci spinge a ritornare all’originario nostro essere presso gli Dei.

La concezione dell’uomo.
Il rapporto tra idee e cose non è realmente dualistico, perché tra loro sussiste un rapporto causale. In Platone è dualistica, invece, la concezione corpo-anima perché ha una lettura sia metafisico-ontologica che religiosa. Ma nel secondo caso l’anima (o soprasensibile) ha un rapporto con il corpo (o realtà sensibile) di opposizione, non di servizio, è piuttosto un luogo di espiazione, definito finanche tomba dell’anima. Il corpo è causa di passioni, inimicizie, discordie, ignoranza, e non rappresenta la vera natura dell’uomo che è invece anima, per essa quindi la morte diviene liberazione.
Ma l’etica platonica utilizzerà più spesso la chiave metafisica, quando ragiona sull’anima, lasciando in secondo piano la lettura di radice orfica. Quindi il corpo è più spesso ente sensibile che tomba, e l’anima ente affine all’intelligibile piuttosto che demone.  La purificazione dell’anima, anziché avvenire attraverso i riti misterici orfici, è piuttosto guadagnata con l’esercizio dell’intelletto che consente di trascendere i sensi. Il misticismo platonico e quindi sforzo di ascesa alla conoscenza, che è al contempo conversione morale, non alogica contemplazione. Infine, per Benché per la morale di Socrate non fosse essenziale, Platone deve affermare che necessariamente l’anima è immortale, perché assodato che può conoscere le cose immutabili ed eterne deve avere necessariamente una natura loro affine. L’uomo ha quindi scoperto di essere a due dimensioni, e questa nuova visione influenzerà profondamente il pensiero successivo.
Platone parla in due modi di metempsicosi (reincarnazione): nel primo l’anima che ha vissuto eccessivamente legata al corpo non riesce a separarsi dal corporeo anche dopo la morte e si reincarna in animali o uomini a seconda delle colpe commesse. La liberazione dalla dimensione corporea è data solo a chi persegue il sapere filosofico. Ma nel secondo modo, nella Repubblica, si afferma che le anime sono in numero limitato e quindi necessariamente tornano ad incarnarsi dopo un periodo di mille anni. Di questo ulteriore ciclo cosmico si parla nei miti di Er e del Carro Alato.
Il mito di Er (La Repubblica): le anime che terminano il ciclo cosmico e devono reincarnarsi possono decidere i paradigmi delle vite, cioè se vivere secondo virtù o secondo vizio. Al momento di scegliere si estrae l’ordine in cui le anime sceglieranno in un ventaglio di possibilità molto ampio, anche gli ultimi avranno possibilità di scegliere condizioni dignitose benché non ottime. Ma l’atto della scelta è facilitato, anche qui, dalla conoscenza acquisita nelle vite trascorse, la filosofia, che quindi è forza salvifica sia nel mondo sensibile che in quello soprasensibile. 
Il mito del carro alato (Fedro): le anime originariamente vivono con gli Dei, e procedono al loro seguito per giungere a vedere al di là del cielo il mondo iperuranio. Sono costituite da un carro condotto da un’auriga (l’anima razionale) che governa due cavalli alati uno buono ed uno cattivo, sono le anime irascibile e concupiscibile. Il cavallo cattivo tende a tirare in basso e lungo la salita i carri incespicano tra loro causando la caduta di alcuni di loro nel mondo sensibile, dove si reincarnano. Da quanto sia riuscita a vedere del Bene dipende la sua moralità
In sostanza l’insieme costituito dal pensiero razionale e mitologico platonico costituisce una sorta di fede ragionata: l’uomo sulla terra e di passaggio e la vita costituisce una prova, la vita reale e nell’aldilà dove viene valutata in base al contenuto di giustizia, di temperanza e di virtù. In ogni caso emerge un messaggio in cui la sofferenza ha valore di espiazione, sia in terra che nell’aldilà, e la ragione e la filosofia hanno forza salvifica, perché conducono alla verità.

 

 


Lo stato ideale e le sue forme storiche.
Platone afferma nel Gorgia che la vera politica è la filosofia, con la sua capacità di curare l’anima, perché solo così è possibile governare la città promuovendo i valori del bene e della giustizia. Questa affermazione è comprensibile solo prendendo la distanza necessaria dall’accezione moderna dei termini e ricordando che gli antichi intendono per filosofia la conoscenza dell’intero, delle cause ultime di ogni cosa, che l’anima è ciò a cui si può ricondurre l’essenza dell’uomo, che vi era una sostanziale coincidenza tra individuo e cittadino, e che la città-stato è concepita come unica e più alta forma di convivenza civile.
La Repubblica si può considerare l’opera più importante di Platone proprio perché trova espressione questa corrispondenza tra stato e anima umana. L’uomo non è autarchico ed il soddisfacimento delle sue necessità dipende anche dalla collettività, in particolare le sue necessità esterne principali derivano da: servizi e beni, difesa della città, governo. Questa ripartizione dei compiti produce una conseguente ripartizione degli uomini:
a) contadini, artigiani, mercanti. In loro prevale l’aspetto concupiscibile dell’anima, quello più elementare, e la virtù da raggiungere è la temperanza, cioè ordine, dominio e disciplina di desideri e piaceri, oltre che sottomissione alle classi superiori. E’ la classe che detiene la ricchezza. L’educazione non richiede particolare cura perché questo genere di attività si impara con la pratica.
b) la difesa della città deve essere affidata a chi ha sviluppato la forza irascibile dell’anima, forti ma mansueti e fieri. Le virtù sono la fortezza ed il coraggio. Non sono solo incaricati della difesa dai pericoli esterni, ma anche da quelli interni, controllando che le diverse classi operino opportunamente. L’educazione sarà di tipo ginnico-musicale. Non dovranno possedere proprietà ed al loro sostentamento provvede la classe più bassa, tutto era posto in comune ed i figli allevati collettivamente senza conoscere i propri genitori veri, nelle intenzioni questo doveva prevenire egoismo e ostilità.
c) i governanti sono coloro che hanno conosciuto e contemplato il bene, che hanno amato la città, in essi prevale l’anima razionale e quindi la virtù che si persegue è la sapienza. L’educazione coincide con il tirocinio filosofico e doveva durare fino ai 50 anni di età, l’obiettivo era conoscere il Bene, plasmare se stessi con questa conoscenza e riflettere il bene stesso nella realtà storica, l stato.
La giustizia è la virtù che si instaura nell’armonia delle virtù espresse da ciascuna classe sociale. Come dicevamo questa struttura ricalca la ripartizione dell’animo umano (tripartizione dell’anima) che ha una componente appetitiva (desiderio), una irascibile (intermedia tra le due, ma deve obbedire alla ragione) ed una razionale (che domina il desiderio). Anche in questo caso la giustizia si instaura quando ogni parte fa ciò che deve, e la giustizia esterna, nella città, trionfa solo se nel cittadino avviene lo stesso processo, cioè se persegue le virtù cardinali.
Negli scritti successivi Platone affronta la questione su un piano più pratico, tenendo in maggior conto la realtà. Le tre forme di governo (monarchia, aristocrazia, democrazia) se condotte da governanti che cercano il loro tornaconto, portano a forme di degrado (rispettivamente tirannide, oligarchi, demagogia). Se gli stati sono ben governati la forma preferibile è la prima, altrimenti la terza che almeno salvaguarda la libertà.
Nelle Leggi Platone critica l’egualitarismo, privilegiando la libertà temperata dall’autorità. La giusta misura è ancora una volta la soluzione a cui approda la filosofia greca classica, Platone le fornisce un fondamento teologico affermando che nell’uomo “Dio è misura di tutte le cose”.
I diversi significati del mito della caverna.
Il mito della caverna riassume l’intero pensiero platonico, vediamo come.
1) I gradi ontologici della realtà
2) I gradi della conoscenza (la visione delle ombre è l’immaginazione, quella delle statue la credenza, la visione della realtà prima mediata e poi immediata rappresenta la dialettica nei vari gradi e poi l’intelletto.          
3) Aspetti mistici, ascetici e teologici. La vita nella caverna è la vita nella dimensione dei sensi, quella esterna è nella dimensione dello spirito.
4) Concezione politica. Platone parla anche di un ritorno nella caverna per salvare gli altri uomini, aspirazione del vero politico, con il rischio di non venir compreso ed anche ucciso, come accaduto a Socrate.


Capitolo 6 – Aristotele e il Peripato

Da lezione prof.ssa Maisano: Platone aveva ricevuto da Socrate il principio che la verità è nell’anima, che l’anima è immortale e procede per reincarnazioni. L’anima ha conosciuto il mondo delle idee e giunta nel mondo sensibile conosce gli enti sensibili come ricordo delle idee di cui gli enti partecipano. La molteplicità, problema storico della filosofia, trova quindi una giustificazione. Ma il mondo iperuranio apre nuovi problemi: l’eccessivo frastagliamento, perché vi è un’idea di ogni cosa sensibile, ed anche la collocazione non troppo chiara dell’intermedio (Demiurgo ed Eros). E’ importante, però, ricordare che sul pensiero platonico di partecipazione si svilupperanno poi concetti della filosofia cristiana ed anche islamica.

 

Nacque a Stagira (confine con Macedonia) intorno al 384 a.C. Il padre, Nicomaco, fu medico alla corte di Aminta di macedonia, padre di Filippo il Macedone, padre di Alessandro Magno.  A 18 anni si recò ad Atene ed entrò nell’Accademia Platonica, dove vi rimase per 20 anni fino alla morte di Platone e dove consolidò la propria vocazione filosofica. Non condividendo la linea dei successori di Platone, si trasferì in Asia Minore, prima ad Asso e poi, insiema a Teofrasto, a Mitilene, nell’isola di Lesbo, dove istituì scuole filosofiche ed elaborò le sue prime teorie. Fu poi incaricato di seguire l’educazione di Alessandro, figlio di Filippo il macedone, futuro conquistatore. Quando Alessandro Magno successe al trono, nel 336 a.C., Aristotele tornò ad Atene ove fondò la scuola del Liceo (per la vicinanza degli edifici al Tempio di Apollo Licio), anche chiamata Peripato, che in breve tempo oscurò la fama dell’Accademia. Con la morte di Alessandro il clima ostile lo portò a trasferirsi a Calcide, ove morì pochi mesi dopo.
Da lezione prof.ssa Maisano: quando i Romani conquistano i territori di Alessandro Magno acquisiscono la cultura greca, ma questa aveva a sua volta acquisito l’influsso del medio oriente, più pratico, realistico, e questo contribuì a spostare l’interesse dei filosofi greci verso l’etica e la morale. Chiamiamo cultura ellenica  quella fino ad Alessandro, cultura ellenistica quella successiva, ricca di influssi orientali.
Gli scritti di Aristotele usualmente si distinguono tra essoterici (pubblici, andati quasi completamente perduti) ed esoterici, destinati agli allievi del Liceo
Da lezione prof.ssa Maisano: Quelli che definì analitica sono stati definiti, dagli stoici, logica
Gli scritti che trattano della natura sono chiamati fisica
Gli scritti che Aristotele chiamava filosofia prima divennero la Metafisica, sia perché posti dopo i testi di fisica che per il loro collocarsi al di là del mondo fisico, dell’esperienza sensibile

Fino agli inizi del 20° secolo l’opera di Aristotele (ordinata solo nel I secolo a.C.) veniva letta attraverso una chiave di lettura che la considerava unitaria, poi è stato intrapreso uno studio dell’opera che ha tenuto conto dell’evoluzione del suo punto di vista nel tempo (approccio storico-genetico). Questo genere di studi ha ipotizzato un percorso di Aristotele che, partendo da posizioni platoniche e dall’interesse per la metafisica, ha gradualmente abbandonato queste aree per concentrare sempre più lo studio sui fenomeni e sul punto di vista empirico della realtà. Questo approccio nei cinquant’anni successivi è andato esaurendosi pur producendo un prezioso bagaglio di interpretazioni e di conoscenze, come i parallelismo con le dottrine non scritte di Platone. Attualmente l’opera di Platone la si considera nuovamente dotata di un’integrità filosofica di fondo, benché non letteraria.
Allo stesso modo si considera superata l’eccessiva propensione degli studiosi del passato a porre in opposizione le idee platoniche con quelle aristoteliche. Diogene Laerzio considerava Aristotele il più genuino degli allievi di Platone, e si puo’ concordare con questa affermazione proprio considerando che l’allievo è partito dal pensiero del maestro per portarlo a conseguenze più rigorose e sistematizzate. Piuttosto le differenze si ritrovano nelle discipline collaterali che rispecchiano interessi non coincidenti tra i due filosofi. Platone subiva l’influenza delle idee orfiche, fondate su fede e credenza, Aristotele seguì un percorso maggiormente guidato dal logos inteso in senso classico.
Per Aristotele le scienze si possono suddividere in
Scienze teoretiche: ricercano il sapere per se medesimo, le più alte per dignità e valore
Scienze pratiche: ricercano il sapere per raggiungere la perfezione morale
Scienze poetiche, o produttive: ricercano il sapere in vista del fare, del produrre

Scienze Teoretiche: METAFISICA.
Il termine metafisica fu successivo ad Aristotele, il quale indicava con “filosofia prima” o “teologia”gli argomenti che riguardavano le realtà al di sopra di quelle fisiche.
La filosofia prima, quindi, è definita da Aristotele in quattro modi: indaga le cause ed i principi primi e supremi, indaga l’essere in quanto essere, indaga la sostanza, indaga Dio e la sostanza soprasensibile. E’ la più alta delle scienze perché non risponde a necessità materiali, è quindi libera, e le domande a cui risponde sono quelle dettate dai bisogni spirituali, dalla necessità di conoscere le cause ultime. Passiamo quindi ai suoi contenuti.
La prima definizione parla di cause (intese, nel linguaggio Aristotelico, come condizioni), nel mondo del divenire le cause sono quattro:
Causa formale: forma o essenza che costituisce ogni cosa (v.seguito); noi però della cosa percepiamo solo gli accidenti (accidenti+sostanza = sostanza prima o individuo ed è ciò che percepiamo) quindi certamente percepiamo una cosa che è, ma che poteva essere anche in modo diverso (con diversi accidenti);
Causa materiale: materia che costituisce ogni cosa (v.seguito); e’ la possibilità che un evento di realizzarsi o una cosa di esistere, quando ciò si realizza ha un essenza, è passata dalla potenza all’atto;
Causa efficiente, o motrice: chi l’ha generato. Come la successiva, serve a spiegare la realtà nel suo divenire, prodursi o corrompersi;
Causa finale:il fine verso cui tende;

Da lezione prof.ssa Maisano: per Parmenide il non essere era assenza di essere, per Platone era diversità, per Aristotele è potenza.

La seconda definizione viene data in chiave ontologica, la filosofia prima studio l’essere in quanto essere, quindi intero, e non nelle sue caratteristiche che assume in una chiave particolare, come le altre scienze. La causa prima dell’essere in quanto essere, allora, si configura come il perché che dà ragione della realtà nella sua totalità.
Dopo Parmenide, con cui l’essere assumeva l’assoluta unicità, Platone aveva in parte dato ragione alla molteplicità degli esseri intelligibili introducendo il concetto di non essere come diversità, ma non giunse a far rientrare anche il mondo sensibile nella sfera dell’essere, relegandolo in una posizione intermedia tra essere e non essere, perché diviene. Ora Aristotele supera del tutto l’ontologia eleatica: l’essere ha molteplici significati, e comprende anche le realtà del mondo sensibile. Tale molteplicità, però, trova una comune implicazione nel riferirsi ad un’unità, cioè la sostanza. L’essere o è sostanza, o affezione della sostanza, o attività della sostanza, o in ogni caso qualcosa che si riporta alla sostanza. I possibili significati sono stati raccolti da Aristotele in quattro gruppi:

  • Essere come categorie (o essere per sé)

E’ il gruppo principale, e rappresenta i supremi generi dell’essere, i modi in cui si presenta la sostanza:

    • Sostanza o essenza: è l’unica ad avere una sussistenza autonoma, le altre presuppongono questa prima categoria.
    • Qualità
    • Quantità
    • Relazione
    • Azione o agire
    • Passione o patire
    • Dove o luogo
    • Quando o tempo
    • Avere
    • Giacere

Da lezione prof.ssa Maisano: dal 2° al 10° potremmo anche considerarli attributi degli accidenti.
La sostanza è ciò che è necessariamente ciò che è. La sostanza prima è l’ente, l’individuo, materia+forma
Materia = potenza (o dinamis, o privazione, un non essere, capacità di essere o fare qualcosa)
Forma = atto (o entelechia nel caso di esseri viventi)
Quando si parla di materia e forma si parla di qualcosa di statico, invece se si parla di potenza ed atto parliamo del divenire. Parlando di materia parliamo di indeterminazione, parlando di forma invece parliamo di determinazione. Oppure, rispettivamente, privazione e realizzazione.

  • Essere come atto e potenza: sono originari, quindi definibili sono l’uno rispetto all’altro e con esempi (una pianticella è frumento in potenza, la spiga matura lo è in atto). Hanno entrambi luogo secondo tutte le categorie (cioè una sostanza, una qualità, una quantità…etc., può essere in potenza o in atto)
  • Essere come accidente: essere casuale e fortuito, non dipende da altro essere e non è legato a questo da un vincolo essenziale. Non è studiato da alcuna scienza perché non può esistere una scienza del fortuito ma solo del necessario.
  • Essere come vero (e non essere come falso): proprio della mente umana, quando ad esempio congiunge ciò che è disgiunto in realtà e viceversa, è studiato dalla logica.

La sostanza assume un ruolo centrale, e quindi studiare l’essere equivale a studiare la sostanza, motivo per cui Aristotele definisce la metafisica “teoria della sostanza”.
La prima domanda che si pone Aristotele riguarda la sostanza “in generale”, ed in primo luogo come la intendevano i suoi predecessori. Per i naturalisti il principio sostanziale era negli elementi naturali, per i platonici era la forma, per l’uomo comune sostanza è l’individuo e le cose concrete. Aristotele unifica ed integra queste concezioni definendo materia e forma.

La materia è un principio costitutivo perché è sostrato della forma, eliminando la materia elimineremmo le cose sensibili, ma di per sé è potenzialità indeterminata, che si determina solo ad opera di una forma. Quindi la materia è sostanza solo impropriamente. La materia è potenza, perché è in grado di ricevere la forma.

La forma è invece il principio che determina, che attua, che realizza la materia, e realizza l’essenza di una cosa, e quindi è sostanza a pieno titolo. Ma non è una forma trascendente, come la intendeva Platone, bensì qualcosa di inscindibile dalla cosa stessa. La forma è attuazione della capacità della materia di assumerla. 

Anche il sinolo, come Aristotele definisce il composto di materia e forma, è sostanza a pieno titolo, perché riunisce la sostanzialità dei due principi. Ma occorre considerare, su un piano strettamente teorico la forma come sostanza per eccellenza, ed il sinolo solo quando ci troviamo in un contesto empirico. Perché se la sostanza fosse il sinolo allora dovremmo negare in partenza ogni possibilità di esistenza trascendente. Il sinolo è atto se lo si considera come unione di materia e forma, sarà invece un misto di atto e potenza se lo si considera nella sua materialità.
L’essere quindi lo definiamo come materia (in senso improprio), come sinolo (in un senso più proprio) e come forma (per eccellenza).  
La materia ha, quindi, sempre una potenzialità. Una forma immateriale, come vedremo, sarà considerata atto puro. L’atto ha assoluta priorità sulla potenza: conosciamo una potenza solo perché conosciamo la sua attuazione. E l’atto è condizione, regola e fine della potenzialità. Ed è, infine, ontologicamente superiore perché è il modo di essere delle sostanze eterne.
Esaminiamo ora, quindi, la sostanza soprasensibile. Il tempo ed il movimento sono incorruttibili, postula Aristotele, perché l’inizio dei tempi ammette anch’esso un prima, ed un discorso analogo si può fare sulla fine. Il movimento lo è sulla base del tempo, perché Aristotele definisce il tempo come determinazione del movimento. Ma, sulla base dei suoi studi fisici, Aristotele ammette l’eternità del movimento solo a condizione che esista un Principio primo, una causa anch’essa eterna, e questa causa deve necessariamente essere immobile (affinché non richieda anch’essa una causa ulteriore) e scevra di potenzialità, cioè atto puro, perché se avesse potenzialità potrebbe anche non muovere in atto, ed in questo caso non esisterebbe il movimento sempre in atto.  La sostanza soprasensibile è, appunto, costituita da questo motore immobile. E’ possibile che qualcosa muova senza per questo muoversi essa stessa? Sì, risponde Aristotele, così come il desiderio muove la volontà dell’uomo senza muoversi essa medesima, come l’oggetto d’amore muovo l’amore. Essa quindi non si configura come una causa efficiente, bensì come causa finale. Aristotele quindi non crede in un inizio del mondo, in un caos precedente, perché questo contraddirebbe il teorema della priorità dell’atto sulla potenza: non poteva esistere la potenza (il caos) prima dell’atto creatore. Ed essendo Dio eterno, da sempre ha attratto l’universo come oggetto d’amore, che quindi da sempre ha dovuto essere qual è.  Emergono alcune questioni sulla sostanza soprasensibile:

      • Qual è la sua natura? La natura della sostanza soprasensibile è la stessa del pensiero, della contemplazione, quella che agli uomini è concessa per brevi momenti e che invece per Dio è perenne. E’ quindi vita, perché l’attività dell’intelligenza è vita. Ed il pensiero di Dio è il più perfetto pensiero, cioè Dio stesso. Dio è quindi pensiero del pensiero. L’intelligenza, infatti, è in atto quando coglie l’intelligibile ed allora in Dio l’intelligibile viene a coincidere con l’intelligenza.
      • E’ una o molte? Il motore immobile non basta, per Aristotele, a spiegare ogni movimento. Dio coincide con il Primo Motore, ma ve ne sono altri 55 gerarchicamente inferiori, mosse da intelligenze analoghe ma inferiori alla prima, che muovono gli astri. Questo va interpretato con la consueta molteplicità con cui la cultura greca tratta il divino, portandolo a coincidere con tutto ciò che è eterno ed incorruttibile. Ma è innegabile il tentativo di unificazione che Aristotele attua anche nel campo del divino, sono molte le tracce nei suoi scritti in cui afferma la sostanziale unicità del principio primo. Resta comunque la difficoltà che si incontra nel pensare queste 55 sfere motrici come sostanze immateriali indipendenti dal primo motore in quanto all’essere. Il medioevo le trasformerà nelle “intelligenze angeliche” motrici, e potrà farlo in virtù del concetto di creazione.
      • Qual è il suo rapporto con il sensibile? Dio non pensa agli uomini. Per Aristotele pensa solo ciò che è perfetto, tantopiù che Egli non ha creato il mondo che, si può dire, si è prodotto tendendo a Dio, attratto dalla perfezione. Per la stessa ragione Dio è oggetto d’amore ma non ama. Non ama l’uomo, tantomeno il singolo. Come per Platone Dio è solo oggetto di amore, non soggetto, perché l’amore è, secondo la loro concezione, una tendenza a possedere ciò di cui si è privi. E’ ancora del tutto assente la concezione, introdotta dal Cristianesimo, di amore come dono gratuito di sé.

Aristotele criticò il modello del mondo delle idee di Platone, perché qualcosa di trascendente non può essere causa di esistenza o di conoscenza delle cose sensibili. Le idee vanno quindi immanentizzate, e la dottrina del sinolo di materia a e forma è ciò che Aristotele propone, per lui le idee, o forme, sono la trama intelligibile del sensibile. Il soprasensibile, che come abbiamo visto teorizza ampiamente, non è un mondo di intelligibili ma di intelligenze. E’ certamente un passo avanti notevole nella storia del pensiero, ma Aristotele ha scisso troppo radicalmente l’intelligenza dalle forme intelligibili. Saranno necessari alcuni secoli prima di veder sintetizzati il pensiero platonico e quello aristotelico ed a fare del mondo delle Forme il cosmo noetico presente nel pensiero di Dio.

Scienze Teoretiche: FISICA E MATEMATICA.
La fisica è la filosofia seconda, quindi una scienza teoretica anch’essa, ma che si occupa della sostanza sensibile (che è seconda rispetto a quella soprasensibile o prima) caratterizzata dal movimento (la sostanza prima è, invece, immobile). E’ molto diversa dalla fisica attuale (quantitativa) perché si occupa delle forme e delle essenze, una sorta di metafisica del sensibile. Il soprasensibile è causa e ragione del sensibile, ed il metodo di studio è quindi molto affine.
L’oggetto di studio primario è il movimento, Aristotele ha saputo superare l’aporia che ha attraversato l’intero pensiero greco che, nella scuola eleatica, ha visto persino negare il suo statuto ontologico. Il movimento è il passaggio tra due forme di essere, quella in potenza e quella in atto, due forme entrambi reali, si svolge quindi completamente nell’alveo dell’essere.
Abbiamo visto come potenza ed atto riguardano tutte le 10 categorie, di conseguenza sarà possibile definire il movimento, e dedurre le varie forme di movimento, secondo lo stesso schema.

  • Sostanza o essenza: mutamento vuol dire generazione (assumere la forma)  e corruzione (perdere la forma) (da un contraddittorio all’altro)
  • Qualità: mutamento vuol dire alterazione (da un contrario all’altro)
  • Quantità: mutamento vuol dire aumento o diminuzione (da un contrario all’altro)
  • Dove o luogo: mutamento vuol dire traslazione (da un contrario all’altro)

Solo ciò che è fatto di materia e forma può quindi mutare, perché solo la materia implica potenzialità.
LO SPAZIO. Ciò che si muove lo fa in un dove, in un luogo, che quindi deve essere qualcosa. Ed esiste un luogo naturale cui tende ciascun elemento (fuoco e aria verso l’alto, terra e acqua verso il basso) . Il luogo è ciò che contiene l’oggetto, ma che non è l’oggetto, ne è contiguo e lo limita. Ma non bisogna confondersi con il recipiente che può essere mobile e portare con sé il contenuto (esempio l’acqua di un fiume) per cui il luogo è: il primo immobile limite del contenente.
IL TEMPO. E’ strettamente connesso con il movimento, difatti quando non avvertiamo mutamento o movimento non avvertiamo neanche il tempo. Il tempo è “il numero del movimento secondo il prima e il poi”. La percezione del prima e del poi, della distanza tra gli istanti, è suggerita dall’anima, che è principio spirituale numerante. Senza di essa si potrebbe persino dubitare dell’esistenza del tempo. E’ un’anticipazione delle concezioni spiritualistiche del tempo, in particolare di quella Agostiniana.
L’INFINITO. L’infinito esiste solo in potenza, come il numero, lo spazio (divisibile infinite volte), o il tempo. E’ insomma, per Aristotele, legato alla categoria della quantità, per cui non lo assocerà mai a concetti come l’immateriale. In questo prosegue la concezione propria del pensiero greco, in particolare pitagorico, secondo cui solo il finito è perfetto.
Aristotele divide la realtà sensibile in sublunare (composta dai quattro elementi, trasformabili l’uno nell’altro, suscettibile di ogni tipo di movimento, alto-basso basso-alto) e sopralunare o celeste (composta di etere, quintessenza o quinto elemento, suscettibile solo di movimento locale, rotatorio, ingenerata e incorruttibile come l’etere).
In conclusione, la fisica di Aristotele si pone in stretta connessione con la sua metafisica, il motore immobile postula che se non vi fosse l’eterno non vi sarebbe neanche un divenire, confermando come irreversibili le acquisizioni del Platonismo che, allo stesso modo, poneva in relazione il mondo delle idee con il mondo sensibile attraverso una dinamica di tipo causa-effetto.
Aristotele non fece della matematica un nodo cruciale delle sue teorie, ma contribuì fortemente in chiarezza e razionalità nella sua collocazione. I numeri non sono realtà trascendenti come per i platonici ed altri pensatori precedenti, e tantomeno entità reali: essi sussistono potenzialmente nelle cose sensibili e la nostra ragione li separa mediante l’astrazione: esistono in atto solo nella nostra mente, e in potenza nelle cose come loro proprietà intrinseca. E’ per questo che una stessa realtà possiamo vederla attraverso rappresentazioni a due dimensioni, o a tre, o rappresentando le cose come punti nello spazio, a seconda del tipo di astrazione che la nostra mente ritiene di applicare.

Da Wikipedia: Nonostante le molteplici valenze che assumono gli enti, tutti richiamano inevitabilmente in un modo o nell'altro il concetto di sostanza, termine introdotto da Aristotele per indicare ciò che è in sé e per sé, e che per essere non ha bisogno di esistere. La sostanza è uno dei dieci predicamenti dell'essere, ossia di quelle dieci categorie entro cui classificare gli enti sulla base della loro differenza. Esse sono: sostanza, qualità, quantità, dove, quando, relazione, agire, subire, avere, giacere.
Le dieci categorie possono anche essere definite generi massimi, poiché permettono la completa classificazione degli enti. Non vanno confuse con i cinque generi sommi platonici, perché se Platone cercava delle categorie universali cui partecipassero tutte le idee, Aristotele cerca delle categorie cui gli enti partecipino in base alla loro diversità: non esiste infatti una categoria a cui tutti gli enti tangibili partecipino, proprio perché il suo scopo non è quello della reductio ad unum (l'omologazione, il confluire di tutti gli oggetti di studio in un unico grande calderone).
A differenza della sostanza, le nove rimanenti categorie si devono invece definire "accidenti" in quanto non hanno vita indipendente, ma esistono se non nel momento in cui ineriscono alla sostanza. Il giallo, per esempio, non è un ente autonomo come un uomo. Perciò nella frase «il Sole è giallo», Sole è sempre sostanza prima, mentre giallo è accidente della sostanza, appartenente alla categoria della qualità.
Lo stesso filosofo afferma che è inutile ogni scienza che si occupa di enti che riportano le stesse caratteristiche: la matematica studia gli enti astratti deducibili solo con l'astrazione (in numeri), la fisica gli elementi naturali della physis (greco φύσις), l'ontologia, invece, studia gli enti. Ma in base a che cosa gli enti sono accomunati? Non certo il fatto di esistere, perché, come già detto, il filosofo nega a priori l'esistenza di una categoria che collochi in se tutti gli enti (la categoria dell'essere che, infatti, li accomunerebbe tutti). Il termine ente è, comunque, una parola equivoca, proprio come "salutare". Esso vuol dire sano o indicare l'azione del cordiale saluto, tutto comunque richiama allo stesso concetto di salute.
La Sostanza: prima e seconda
Il genere massimo di cui il filosofo si occupa maggiormente è quello di sostanza, classificata in sostanza prima e sostanza seconda. La prima è relativa ad un singolo essere, un determinato uomo, un certo animale o una pianta, ossia tutto ciò che ha sussistenza autonoma. La sostanza seconda invece è costituita da sostantivi generici che determinano un oggetto in un certo modo, è la risposta a "che cos'è" quell'oggetto, ti estì , specificando meglio la sostanza prima. Nella frase «il Sole è un astro» ad esempio, Sole, nome proprio e specifico di una stella, è sostanza prima, mentre astro, nome generico che ne specifica l'essenza o la natura, è sostanza seconda. Di fatto, se si prescinde dall'aspetto materiale, la sostanza è sinonimo di essenza (usìa). Ogni realtà può essere detta che "è" in quanto esprime la sostanza. Un altro termine utilizzato per indicarla è sinolo di materia e forma.

 

Scienze Teoretiche: PSICOLOGIA.
Parliamo del trattato Sull’anima. Coerentemente con la sua teoria metafisica ilemorfica della realtà: l’anima  la forma (entelechia, atto) del corpo. Dal momento che i fenomeni della vita presuppongono operazioni differenziate, allora anche l’anima deve avere capacità differenziate che le presiedono.
Anima vegetativa: piante, animali ed esseri umani. E’ il principio più elementare della vita, regola e governa le attività biologiche. Sono superati i principi avanzati dai naturalisti: causa dell’accrescimento non è la materia (fuoco, calore, etc.) ma l’anima, una regola che proporziona grandezza e accrescimento. Aspetto fondamentale è anche quello della riproduzione, mediante il quale ogni essere finito partecipa dell’infinito attraverso la generazione di un simile, con la continuità di specie.
Anima sensitiva: animali ed esseri umani. Comprende la conoscenza sensibile (le nostre capacità sensitive non sono in atto bensì in potenza, e divengono in atto al contatto con l’oggetto sensibile; nella sensazione si assimila la forma, non la materia come nella nutrizione; ciascun senso riceve la sensazione che gli è propria, in maniera infallibile, ma esistono sensibili, moto, figura, grandezza, etc., che richiedono più di un senso, quindi il “senso comune”, e può facilmente cadere in errore; dalla sensazione deriva la fantasia, che è produzione di immagini, la memoria, che è l’archiviazione, e l’esperienza che nasce dall’accumularsi di fatti mnemonici), l’appetizione (ogni senso provoca piacere o dolore, l’aspettativa del piacere è l’appetizione) ed il movimento (deriva dal desiderio).
Anima intellettiva: solo esseri umani. Come la sensazione assimila la forma sensibile, così l’atto intellettivo assimila la forma intelligibile , ma differisce perché non riguarda il corporeo. L’intelligenza è la capacità e la potenza di conoscere le forme pure, queste a loro volta sono contenute in potenza nelle sensazioni e nelle immagini della fantasia, quindi occorre qualcosa che traduca in atto questa doppia potenzialità, in modo che il pensiero si attualizzi cogliendo in atto la forma, e la forma contenuta nell’immagine diventi concetto colto e posseduto in atto.
Anche nell’anima, come nel resto della natura, vi è qualcosa di potenziale e qualcosa che è causa efficiente che la produce, la rende attuale. Si tratta dell’intelletto potenziale (o possibile, o passivo) e dell’intelletto agente (o attivo), che è qualcosa di simile alla luce che produce i colori potenzialmente espressi dalla materia, e che è superiore alla materia, solo esso è immortale ed eterno. Questo intelletto viene dal di fuori, perché solo quello potenziale si riceve in potenza con il germe maschile, ed è trascendente il sensibile, rappresenta il divino in noi (pur non essendo Dio). E’ nella sua unione con la materia che l’anima esprime sentimenti, amore, odio, ragionamento, ma con il distaccarsi dal corpo assume uno stato più divino ed impassibile.
Aristotele non dice nulla di più specifico sulla natura dell’intelletto, sulla sua individualità, sulla sua destinazione, sul legame con la nostra morale, mantenendo aperte le aporie che saranno affrontate con il guadagno del concetto di creazione.
Da lezione prof.ssa Maisano: Per Aristotele la realtà è quella che cade sotto i nostri sensi, non crede nel mondo iperuranio platonico. L’essere è quindi nel mondo sensibile, l’essenza è nell’oggetto ma per conoscerla occorre eliminare ciò che rende l’oggetto individuo, compiendo un processo di astrazione, si tratta di una materializzazione che eliminando gli accidenti svela l’essenza. Il percorso è:
Sensi, senso comune, fantasia, intelletto agente, intelletto possibile
L’intelletto agente è eterno, immortale ed unico (per tutti gli esseri), ha del divino, e questo ha costituito le basi per alcune eresie; l’anima individuale è dotata solo di intelletto possibile che però muore con il corpo, quindi Aristotele non crede nell’immortalità dell’anima. Questo ha creato dei problemi per le religioni che assumono l’unicità di Dio e l’immortalità dell’anima, questo in parte si risolve ammettendo una doppia verità, una in ambito filosofico ed una in ambito teologico. Per San Tommaso l’anima ha un unico intelletto che è agente e possibile, questo si è reso possibile grazie ad una tradizione filosofica più raffinata che nella cultura araba è meno presente, provenendo essa dal politeismo.
Si può dire che il mondo latino è più legato all’universo platonico, quello arabo-ebraico all’aristotelico.
Possiamo creare uno schema di questo tipo:

Platone

Aristotele

Realtà=idea

Realtà=sostanza prima (percepita, sostanza+forma, essenza+accidente)

Trascendenza

Immanenza (sostanza II, essenza)

Demiurgo

Dio come principio primo, motore immobile, atto puro (ma finito, l’infinito è solo potenziale)

Conoscenza=ricordo, intuizione

Conoscenza=astrazione

Filosofia = dialettica

Filosofia = contemplazione

 

 

Scienze Pratiche: ETICA e POLITICA.
Riguardano la condotta degli uomini ed il fine che vogliono perseguire, sia come individui (etica) che come società (politica).
Etica. Tutte le azioni dell’uomo tendono a fini che sono beni. Il complesso delle azioni umane è diretto ad un fine ultimo, il bene supremo, che gli uomini chiamano felicità. Non si intende con questo ambire ad una vita di piaceri, che rende simili a bestie, di onori, che sono estrinseci e comunque inferiori alle motivazioni in sé che l’hanno prodotto, di ricchezza, che non può essere un fine ma al limite un mezzo. Si intende, invece, nel perfezionarsi nell’attività che è tipica dell’uomo e di nessun altro: l’attività della ragione (attività che Aristotele conferisce all’anima). L’uomo è quindi soprattutto anima, continua la così la lezione prima Socratica poi Platonica, ma Aristotele conferirà ai beni materiali uno statuto più alto, nella misura in cui possono permettere o impedire in taluni casi l’attività dell’anima. Ma non è solo anima intellettiva, e la parte sensitiva dell’anima introduce appetiti che devono rientrare nel controllo della ragione: in questo consiste la virtù etica. Questa si acquisisce con l’abitudine, ed è di diversi tipi dal momento che sono molti gli impulsi che la ragione deve moderare, ma ogni sua forma ha in comune la necessità di porsi nella giusta misura, senza eccedere nel troppo o nel troppo poco, è questa la vittoria della ragione sugli istinti. La più alta virtù è la giustizia, che è la misura con cui si distribuiscono beni, vantaggi, guadagni e loro contrari.
La perfezione dell’anima razionale in sé è data dalle virtù dianoetiche, cioè proprie dell’intelletto (quelle etiche o morali sono volte a sottomettere le passioni alla ragione). Se l’intelletto è rivolto alle cose mutevoli della vita dell’uomo sviluppa la saggezza (phrònesis), se si rivolge al di sopra, nella trascendenza, alle scienze teoretiche, sviluppa la sapienza (sophia). E’ quest’ultima l’attività più alta quella che avvicina l’uomo al divino, che lo solleva dalle vicissitudini terrene, se condotta senza alcun fine oltre se stessa per l’intero arco di una vita. Rappresenta la realizzazione della perfetta felicità, ed è fattibile solo perché nell’uomo c’è una componente divina, proprio perché l’attività divina è la contemplazione. E’ questa una conquista cui si giunge solo con Aristotele, la tangenza tra l’attività umana e quella divina, perché solo con lui il divino è Mente suprema, pensiero di pensiero.
C’è, in Aristotele, anche il tentativo di superare l’intellettualismo socratico. Quando vogliamo raggiungere determinati fini, l’intelletto procede ad una deliberazione mediante cui stabilisce quali mezzi mettere in campo per raggiungerli. Su questi mezzi agisce la scelta e li mette in atto. Ciò ci rende responsabili ma non implica ancora l’esser buoni o meno, perché questo dipende dai fini, che sono oggetto di volizione. La volontà, però, vuole sempre e solo il bene o ciò che le appare come tale. Quindi esser buoni vuol dire volere il bene vero e non apparente, questo è reso possibile solo all’uomo virtuoso. Come si vede si è in un ragionamento circolare che per spiegare la virtù ricorre a se stessa, questa aporia si risolverà solo con l’introduzione, successiva al pensiero greco, dei concetti di libero arbitrio e volontà.
Da lezione prof.ssa Maisano: etica (cos’è il bene, cos’è il male) morale (come comportarsi, quindi passare dall’universale al particolare)

La città e il cittadino. Il bene del singolo è della stessa natura del bene della città, ma questo è più bello e più divino. L’individuo è concepito, dai greci, in funzione della città, e non viceversa. Ma per Aristotele essere cittadino voleva dire partecipare attivamente al governo della città, mediante le assemblee che gestiscono il governo e la giustizia. Chi, per qualsiasi ragione, non aveva modo o tempo di farlo, era considerato da Aristotele come strumento di sussistenza dei cittadini, fino ad arrivare in qualche punto dei suoi scritti a teorizzare la schiavitù. Tra cittadini e non instaurava un rapporto come tra forma e materia, gli operai usavano il corpo perché quanto di meglio avevano, allo stesso modo i cittadini erano in grado di usare l’anima e l’intelletto. La schiavitù era del tutto ammissibile, soprattutto quando riguardava i prigionieri delle guerre che i greci combattevano contro i barbari, perché ritenuti inferiori di natura. Si teorizza quel vecchio pregiudizio razziale che ha riguardato l’intera cultura greca; il paradosso è che a farlo è Aristotele il cui pensiero, invece, si presterà a sviluppi del tutto opposti.
Lo stato può avere differenti forme (o costituzioni: la struttura che dà ordine alla città, stabilendone la sovranità), e se condotte per il bene proprio del governante porta ad altrettante forme di corruzione.
Monarchia (un uomo solo) che degenera in Tirannide
Aristocrazia (pochi uomini) che degenera in Oligarchia
Politìa (la maggior parte degli uomini) che degenera in Democrazia (intende demagogia, che perseguendo in maniera indebita il bene dei più poveri trascura il bene comune, l’errore è nel ritenere che poichè tutti sono eguali nella libertà lo siano anche in tutto il resto)
In astratto le forme migliori sono le prime due, ma tenendo conto della natura dell’uomo la forma migliore è la terza, una via di mezzo tra oligarchia e democrazia.
Come Platone, Aristotele afferma il principio di corrispondenza tra la virtù dello stato e quella del cittadino, e che il fine dello stato è morale, deve incrementare i beni dell’anima. La città deve essere delle giuste dimensioni, con una popolazione né esigua né eccessiva,  ha un ruolo primario la giusta misura, così come il greco è la giusta misura tra le caratteristiche dei popoli nordici e di quelli orientali.
Aristotele introduce, per le azioni, distinzioni analoghe a quelle dell’anima, e questo le rende necessarie, utili o belle: bisogna scegliere la guerra avendo come scopo la pace, il lavoro per liberarsi da esso, le cose necessarie ed utili per raggiungere le belle, irrinunciabili, vivere in pace e contemplare. E’ questa il mandato del legislatore.
Da lezione prof.ssa Maisano: Per Platone era possibile un mondo perfetto, retto dai filosofi e descritto nella repubblica. Quella del mondo perfetto è un’idea che tornerà in italia intorno al 1400 (utopie, lett. In nessun luogo). Sono idee che normalmente ritornano nei momenti di crisi sociale.

 

LA LOGICA, LA RETORICA e la POETICA.
Nella sistemazioni delle scienze non compare la logica, perché questa ha una collocazione trasversale essendo irrinunciabile per dimostrare qualsiasi tipo di argomento, perché mostra come procede il pensiero, di cosa sia possibile fornire dimostrazioni e quando. Il termine usato da Aristotele è analitica (risoluzione) e consiste, a partire da una conclusione, nel trovare i suoi fondamenti e la sua giustificazione.
Le stesse categorie della metafisica rientrano nella logica non più come significati fondamentali dell’essere ma come supremo genere a cui rapportare qualsiasi termine della proposizione. Esempio: Socrate corre, Socrate rientra nella categoria della sostanza, corre in quella del fare. La prima categoria funge sempre da soggetto, percè costituisce l’essere su cui poggia l’essere delle altre, la seconda da predicato (termine introdotto da Boezio). La verità e la falsità non sono attributi delle singole categorie ma della loro connessione.
Si è detto che le categorie sono indefinibili, perché generi supremi, per ragioni opposte lo sono anche gli individui, perché particolari, di essi è possibile solo la percezione.  Ma nel mezzo vi è una gamma di nozioni e di concetti che vanno dal più generale al meno generale, ed essi normalmente costituiscono i giudizi che formuliamo (il nome dell’individuo può apparire solo come soggetto) e tutti questi termini lo li conosciamo tramite definizione. Definire vuol dire cos’è l’oggetto che la parola indica, cioè il discorso che spiega l’essenza, o la sostanza, delle cose. E per definire occorre identificare il genere prossimo e la differenza specifica (Es. definizione di uomo, genere prossimo: non vivente ma animale, differenza specifica: razionalità, perché è la differenza ultima). L’essenza delle cose è data dalla differenza ultima che caratterizza il genere. Come per le categorie, anche per la definizione dei singoli concetti si può dire che sia valida o non valida, ma mai vera o falsa, perché questa è una possibilità che esiste solo per i giudizi e le proposizioni.
Giudizi e proposizioni.
Quando uniamo i termini tra loro e affermiamo o neghiamo qualcosa di qualcos’altro, allora abbiamo il giudizio. L’espressione logica del giudizio è l’enunciazione o proposizione. Giudizio e proposizione costituiscono la forma basilare di conoscenza, quella che ci comunica immediatamente il nesso tra predicato e soggetto. Il vero si ha quando col giudizio si congiunge ciò che è veramente congiunto o si disgiunge ciò che è veramente disgiunto, il falso si ha quando si congiunge ciò che non è congiunto o si disgiunge ciò che non è disgiunto. Ogni giudizio è soggetto ad esser vero o falso, ma non tutte le proposizioni esprimono giudizi (es. esortazioni, preghiere, etc.). Rientra nella logica il discorso apofantico (giudizi e asserzioni) o dichiarativo, non rientra quello retorico o poetico.
Il ragionamento prevede un percorso di giudizio in giudizio, da proposizione a proposizione, secondo determinati nessi, che siano l’una la causa dell’altra. Il sillogismo è il ragionamento perfetto, quello in cui la conclusione cui si perviene è effettivamente la conseguenza che scaturisce. Nel ragionamento in generale si parte da due premesse da cui nasce il conseguente, che scaturisce dalle premesse. Nel sillogismo i termini sono ancora tre, uno dei tre funge da cerniera per gli altri due. La correttezza formale del sillogismo non dice nulla sul suo contenuto di verità, quando invece questo accade siamo di fronte ad un sillogismo scientifico (o dimostrativo). In questo caso le premesse devono essere vere ed anche prime, cioè di per sé intellegibili e chiare e più universali della conclusione, perché ne debbono contenere la ragione. Ma come conosciamo le premesse? Non per sillogismi perché altrimenti si andrebbe all’infinito. La via è quella che ora descriveremo.
L’induzione è il processo attraverso cui dal particolare si giunge all’universale, da alcuni testi si può concludere che Aristotele non lo consideri un ragionamento, ma un essere condotto per via di una visione immediata che l’esperienza rende possibile. E’, in sostanza, il processo astrattivo.
L’intuizione è, invece, il cogli mento puro da parte dell’intelletto dei principi primi. Aristotele quindi ammette l’esistenza di un sapere immediato.
Quindi per induzione o per intuizione si colgono le premesse che saranno proprie di ciascuna scienza. Questa inoltre determinerà il proprio ambito (il soggetto intorno cui verteranno le sue determinazioni), definirà il significato di una serie di termini che le appartengono non assumendone l’esistenza ma dimostrandola, ed infine farà uso di assiomi, cioè verità intuitive, e sulla base di questi partiranno le dimostrazioni. Alcuni assiomi sono comuni a tutte le scienze come il principio di non contraddizione, e sono detti anche trascendentali. Non sono dimostrabili ma si può dimostrare che chi tenta di negarli deve necessariamente far ricorso agli assiomi stessi, e quindi affermarli.
Quando le premesse sono semplicemente probabili, anziché vere, avremo il sillogismo dialettico. Questo consiste nel porsi dal punti di vista dell’interlocutore e verificare se le sue premesse concordino con le sue stesse conclusioni. E’ quindi uno strumento per entrare in sintonia con essi. Serve anche a dibattere i pro ed i contro di alcune questioni e per guidare la comprensione dei principi primi.
Se le premesse sembrano fondate sull’opinione (ma in realtà non lo sono) avremo un sillogismo eristico.  
Un sillogismo errato è un paralogismo. Il sillogismo corretto che lo smentisce è la confutazione.
Kant ha sostenuto che la logica aristotelica è nata perfetta, in realtà la riteneva una logica puramente formale, mentre essa si fonda sull’ontologia della sostanza e sulla struttura categoriale dell’essere. Dopo le scoperte della logica simbolica sarebbe difficile affermare questo, ed è difficile affermare che il sillogismo sia la forma propria di qualsiasi mediazione, come credeva Aristotele. Ma di certo si può affermare che la logica occidentale ha il suo fondamento nell’Organon di Aristotele.
La retorica, per Aristotele così come per Platone, non ha il ruolo di insegnare intorno alla verità o ai valori (compito della filosofia e delle scienze particolari), ma il suo ruolo è quello di scoprire in che modo persuadere, ha quindi alcune analogie con la logica, ed in particolare con quella parte di logica che Aristotele chiama dialettica (v. sillogismo dialettico) che non muove da conoscenze scientifiche ma da opinioni probabili. Il ragionamento sarà quindi più breve e conciso ed ometterà i passaggi logici, si chiamerà entimema.
Così come la storia tratta del particolare, la poesia si occupa dell’universale, perché non racconta ciò che è ma come potrebbe essere. Non si tratta quindi di un’imitazione deleteria, come affermava Platone, ma di un ampliamento di prospettiva. E’ l’imitazione del reale secondo la dimensione del possibile. Ed il suo scopo è quello di perseguire la purificazione dalle passioni, non è chiaro cosa intendesse dire con questo Aristotele, ma da alcuni passi emerge una somiglianza marcata con quello che oggi definiamo piacere estetico, una sensazione che ci scarica dall’emotività e ci risana.

Il successore di Aristotele, alla scuola del Peripato, Teofrasto era certamente alla sua altezza nell’ambito delle scienze, ma non nella filosofia. Altri successori ed allievi ancor meno, questo provoco il ritorno a posizioni materialistiche di tipo presocratico . Inoltre gli scritti subirono una serie di vicende articolate che li occultarono per lungo tempo, determinando il  degrado della scuola. La scuola ellenistica, inoltre, proprio a causa di questo, lesse solo gli scritti essoterici, pubblicati, ma privi della profondità teoretica delle opere esoteriche, e non trasse alimento spirituale aristotelico.


Argomenti conclusivi – Gli ultimi argomenti del corso di Filosofia antica sono stati trattati in una lezione unica (14/1/2010) di cui qui si riportano gli appunti.

 

Quando si parla di cultura ellenica si fa riferimento al periodo tra il VI ed il III-IV secolo a.C. , successivamente si parla di cultura ellenistica fino al III secolo d.C. Ciò che è avvenuto, tra le due culture, è attribuibile alla nascita ed all’espansione dell’impero di Alessandro Magno. La cultura greca ha incorporato l’influenza di quella orientale, mistica, ma anche pratica: l’oggetto della filosofia si sposterà tenendo conto di un cambiamento che ha portato dall’esigenza di comprendere l’essenza della realtà a quella di capire in cosa consiste la felicità e di trovare i mezzi per raggiungerla. Anche il baricentro degli studi si sposterà da Atene ai due nuovi centri di Alessandria e Pergamo.
Epicureismo. Per Epicuro il problema principale è quello etico, ed afferma che l’uomo è afflitto da 4 mali:

  • Ha paura degli dei
  • Ha paura della morte
  • Ha paura del dolore
  • E’ insoddisfatto perché vive del superfluo

A questi contrappone altrettante soluzioni:

  • Non è opportuno aver timore degli Dei perché questi non si occupano degli uomini dal momento che vivono nell’intermundia.
  • Della morte non bisogna aver paura: quando ci siamo noi non c’è la morte, quando c’è la morte non ci siamo più noi perché sopravviene la nostra disgregazione atomica (influenza di Democrito)
  • Se il dolore è forte dura poco, se è lieve subentra l’abitudine.
  • L’insoddisfazione si affronta occupandoci solo di ciò che ci è necessario

Questo quadrifarmaco porta all’uomo serenità interiore, uno stato di non dolore: l’aponia. Un piacere catastematico (in quiete) perché se invece il piacere è ricercato, in modo dinamico, porta insoddisfazione perché non determinato dalla necessità.
Da qui il termine epicureo come persona votata al piacere, ma si tratta del piacere intellettuale, perché quello materiale porta insoddisfazione e dolore. Siamo quindi ancora legati ad Aristotele, perché c’è la contemplazione (considerata un’attività pratica) ed anche perché l’elemento principale della conoscenza è la sensazione.
Stoicismo. Il nome deriva da stoa, portico, perché le lezioni di Zenone di Cizio si tenevano nel portico dipinto di Atene, E’ la corrente di Cicerone, Seneca, e dell’incontro con i valori cristiani. Si rifà ad Eraclito, l’essenza della realtà è il fuoco, di natura divina, che è in tutte le cose (panteismo). Quindi circolarità, eterno ritorno, nel fuoco è presente il destino, la provvidenza (che in Epicuro è assente, la combinazione degli atomi avviene con casualità), il logos (che contiene in sé le ragioni seminali). Ed il fuoco è anche costitutivo dell’uomo, che in questo modo appartiene a pieno titolo alla natura le cui leggi deve quindi seguire, la virtù è vivere secondo natura. Chi pratica la virtù raggiunge la felicità, e la virtù è certamente anche distacco ed apatia, come in Epicuro, ma in una dimensione collettiva, comunitaria, vivendo secondo principi di fratellanza. Sempre sul piano della vita in società: la legge positiva viene ritenuta buona se segue la legge di natura. Anche in questa scuola la conoscenza è basata sulla sensazione (“afferrare il concetto”, comprensione catalettica)
Scetticismo. Da scepsi: dubbio. Termine di origine socratica, come testimoniato da Platone.
L’uomo può raggiungere la tranquillità interiore ammettendo di non poter conoscere alcuna verità. Virtù=afasia=non parlare ; occorre essere imperturbabili, indifferenti (epochè=sospensione di giudizio). E’ una posizione che troviamo anche in alcuni dialoghi di Platone e nei concetti di ironia e dialettica di Socrate (un processo lento che va sempre rivisto). Si rifanno al probabilismo (nato nella media Accademia): non esprimersi con certezza. Si racconta che nel 155 a.C. tre filosofi giunsero a Roma: uno appartenente all’Accademia, uno al Liceo ed uno Stoico. I romani li cacciarono perchè insinuarono dubbi tra le certezze consolidate nell’Impero, ma ormai il dubbio era insinuato e i romani assumeranno la cultura greca a partire dal I sec. a.C.
Nel II, III sec. d.C. Aristotele viene ripreso da Alessandro di Afrodisia, dopo la riscoperta di alcuni suoi testi. L’interpretazione è che l’intelletto agente è Dio stesso, l’uomo ha solo l’intelletto potenziale o materiale, quindi è negata l’immortalità dell’anima. sopravvive solo l’intelletto divino che è unico per tutti gli uomini.
Gli arabi, poi, si faranno tradurre dai cristiani siriani e dagli ebrei i testi di Aristotele, e si troveranno di fronte il problema dell’immortalità dell’anima. Nel X secolo Avicenna risolve il problema in ossequio al dettato religioso: la prima intelligenza è dell’intelletto agente ed illumina l’intelligenza individuale nell’atto del conoscere. Ne deriva che se se l’intelligenza individuale può ricevere questo aiuto divino è anch’essa immortale.
Averroè, XII secolo, ha proposto il concetto di doppia verità: se c’è contraddizione tra le due, è ammissibile l’idea di una doppia verità. Per lui i due intelletti sono uniti, è possono aiutare l’uomo che, invece, è dotato solo di fantasia (capacità di conservare le forme intelligibili) che ha ricevuto dall’intelletto unico, quindi è immortale. Quindi come credenti si crede nell’immortalità dell’anima, come filosofi affermiamo la sua mortalità. S.Agostino dirà, poi, che riceviamo la verità come illuminazione.
Neoplatonismo. III secolo d.C.  Possiamo considerarlo il frutto maturo delle correnti filosofiche ellenistiche. Iniziato con Ammonio Sacca (175-242) ad Alessandria.
Plotino, egiziano, nasce intorno al 202, a 40 anni giunge a Roma per insegnare, ha il sogno di fondare una città ideale, Platonopoli. L’allievo Porfirio ha diviso i suoi test in 6 gruppi: 6 trattati a partire da 9 enneadi.
La sua filosofia parte da Platone, ma riscopre anche Parmenide perchè afferma l’unità essere-pensiero (non c’è essere senza pensiero, non c’è pensiero senza essere). Con Plotino si realizza l’unificazione della filosofia platonica perchè l’opposizione fra mondo celeste e terrestre è superata dal concetto che l’essere è uno e per emanazione necessaria derivano altre ipostasi (sostanze), la prima è l’Uno, poi l’Intelletto, poi l’Anima (del mondo), che costituiscono un processo, si procede con riduzione di forza fino allo svuotamento che è la materia (non essere). L’uomo è materia più anima, quindi avverte l’esigenza di tornare all’origine, e l’anima compie questo percorso purificandosi dalle passioni, vivendo la virtù, cioè contemplando l’Uno/bellezza (Platone) servendosi dell’amore, che la spinge ad essa.
Il percorso che compie l’anima, attraverso le virtù etiche, con l’uso della dialettica, che porta all’elevazione dell’intelletto, giunge fino ad un certo punto con l’uso della filosofia. Ma per giungere all’Uno occorre cercare l’estasi, uscire da sé, in modo che l’anima si annulli in Dio. E questo avviene senza l’aiuto divino (come nel Cristianesimo) perchè l’anima ha bisogno di tornare nel luogo da cui è stata irradiata (si salva quindi da sola), l’anima naufraga in Dio. Possiamo chiamare questa visione Panteismo Acosmico, negazione del mondo, il mondo non ha un’esistenza autonoma.

Altri fenomeni
Gnosi: influenze platoniche, non è una fede ma una conoscenza razionale con aspirazioni mistiche, non ha una rivelazione. Ha avuto influenza sulle eresie. Conoscenza riservata a pochi.

 

Fonte: http://aula6.altervista.org/filosofiantica.doc

Sito web da visitare: http://aula6.altervista.org/

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.

 

Riassunto del libro Reale Antiseri

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

Riassunto del libro Reale Antiseri

 

"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco

www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve

 

Argomenti

Termini d' uso, cookies e privacy

Contatti

Cerca nel sito

 

 

Riassunto del libro Reale Antiseri