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Candide ovvero l'ottimismo
di Voltaire
La genesi ideologica
Il tema portante del Candide è la satira della concezione ottimistica, antropo¬centrica, dell'universo, con alcuni espliciti obiettivi polemici; l'ottimismo meta¬fisico di Leibniz e di Wolf, ma, più in generale, qualsiasi certezza metafisica, intesa come espressione totalizzante e sistematica del senso e dei fondamenti ultimi della realtà. Preoccupazioni di questo genere sono necessariamente desti¬nate, secondo Voltaire, allo scacco dal punto di vista conoscitivo e implicano un risvolto pratico negativo: nel migliore dei casi il quietismo contemplativo, ma più spesso il fanatismo e l'intolleranza connessi alla pretesa di essere in possesso di verità ultime e assolute In ogni caso la metafisica è un insieme di strategie di fuga e di mistificazione rispetto a una realtà densa di problemi e di aspetti negativi che devono essere circoscritti e affrontati con strumenti parziali ma ope-rativamente efficaci.
La questione della presenza del male nell'universo e nel mondo umano è con¬nessa perciò con una tematica vitale dell'Illuminismo, cioè con il concetto del progresso e dell'impegno necessario a promuoverlo. La posizione della maturità del pensiero di Voltaire, da un lato è sostanziata dalla piena consapevolezza della presenza soverchiante dell'irrazionalità e del male e dall'urgenza di porvi argine e rimedio (per cui l'ottimismo metafisico va respinto), dall'altro è sostenuta dalla fiducia nella possibilità di allargare il dominio dell'ordine, della ragione, della felicità, in una parola nella possibilità del progresso (per cui il pessimismo meta¬fisico va parimenti combattuto).
A questo umanismo disincantato e militante Voltaire perviene attraverso la lenta rielaborazione e l'arricchimento dei motivi filosofici organicamente esposti, un quarto di secolo prima della stesura del Candide, nelle Lettere flosofiche (1733), l'opera che traducendo le tematiche dell'empirismo e del deismo inglese, stabiliva i principi ideologici del movimento illuministico in Francia. Nelle Remarques sur les Pensées de Pascal (Osservazioni sui Pensieri di Pascal) annesse alle Lettere, Voltaire intende «prendere la difesa dell'umanità contro quel misantropo sublime, sostenere che non siamo né così malvagi né così sventurati come egli afferma». Contro il pessimismo antropologico del giansenismo e di Pascal, ma più in generale del cristianesimo che non si riduca ai pochi principi «razionali» del deismo, Voltaire afferma: «Perché dovremmo provate orrore per nostro essere? […] Considerare l'universo come un carcere e tutti gli uomini come criminali in attesa di essere giustiziati è un'idea da fanatico. Credere il mondo sia un luogo di delizie dove si debba soltanto godere è un'idea da sibarita. Pensare che la terra, sii uomini e gli animali siano quali debbono esse conforme all'ordine della Provvidenza è degno, mi sembra, di un uomo saggio». La questione del male era stata riproposta da Pierre Bayle nel Dictionaire historique et critique (Dizionario storico e critico, 1697) per dimostrare l'inconciliabilità tra concezione provvidenzialistica e teleologica del mondo da un lato, e esperienza dall'altro, e per sostenere che meglio si accorda con quest'ultima la dottrina manichea dell'esistenza di due principi, del bene e del male. «Ed ecco perché l'uomo è cattivo e sciagurato: ciascuno lo sa per intima esperienza e per i contatti che è obbligato a mantenere col suo prossimo [...]. La storia, per essere esatti, non è altro che una raccolta di delitti e di disgrazie del genere umano». Sono le tesi che troveremo espresse da Martin nel Candide.
Nella prima metà del Settecento, tra le numerose teodicee (o giustificazioni del fatto che Dio ha per lo meno permesso l'esistenza del male) quella più rigo¬rosa e complessa è Essais de théodicée sur la bonté de Dieu, la liberté de l'homme e! l'origine du mal (Saggi di teodicea stilla bontà di Dio, la libertà dell'uomo e l'origine del male), pubbicata nel 1710 da Leibniz. Egli sostiene la tesi che se il mondo non è esente dal male, esso, in quanto prodotto della onnipotenza e bontà divina, è certamente «il migliore dei mondi possibili», in quanto Dio, tra tutti i mondi logicamente possibili, ha necessariamente scelto per la creazione quello in cui la presenza del male, derivante dalla stessa finitudine e libertà del, l'uomo, è ridotto al minimo. Contro lo scetticismo di Bayle, Leibniz difendeva la tesi di un ordine finalistico garantito dalla provvidenza divina. Tra il 1720 a il 1740 Chistian Wo1ff diede sviluppo sistematico in Germania alla filosofia di Leibniz ed è proprio la metafisica leibniziano-wolffiana a essere presa di mira da Voltaire attraverso il ridicolo gettato sulla «metafisico-teologo-cosmoscemo¬logia» del dottor Pangloss nel Candide.
Tuttavia l'ottimismo provvidenzialistico era fatto proprio da autori del deismo inglese amati da Voltaire, come il filosofo Shaftesburv e il poeta Alexander Pope, il cui poema An Essay on Man (Saggio sull'uomo 1733), che ingiungeva di «non nominare l'imperfezione dell'Ordine» e di sottomettersi alla Provvidenza, era stato ammirato da Voltaire. Voltaire era lontano dallo spirito profondamente reli¬gioso di Pope; tuttavia in uno dei periodi più felici della sua vita, nel laborioso ritiro di Cirey, ospite e amante della coltissima Madame du Chatelet, esprime un fiducioso ottimismo nella celebrazione edonistica dei piaceri della vita e della civiltà: «Il paradiso terrestre è dove sono», afferma nel poemetto Le Mondain (L'uomo di mondo, 1736). Fino alla fine degli anni '40 la vita di Voltaire è un se¬guito di successi personali che alimentano l'illusione sulle reali possibilità di affer¬mazione del partito della tolleranza e del progresso. Nel 1745 si stabilisce a corte e riceve la nomina a «storiografo del re», nel '47 è finalmente accolto all'Accademia di Francia. Non che Voltaire neghi la presenza e l'entità del male, ma in questo periodo è portato a sostenere la convinzione che esprime nel Zadig: ciò che ap¬pare crudele destino è forse (perché il colloquio con l'angelo termina con un «Ma...» di Zadig) espressione di un ordine provvidenziale imperscrutabile. Tut¬tavia le vicende personali e pubbliche degli anni immediatamente precedenti la stesura del Candide fanno inclinare il « Ma... » di Zadig verso opposte conclu¬sioni. Per essersi schierato a favore di una riforma fiscale che avrebbe. colpito gli ordini privilegiati lo storico di corte cade in disgrazia; nel '49 muore Madame du Chatetet; Voltaire accetta i ripetuti inviti di Federico di Prussia e si trasferisce in Germania, ma nel '53 profondamente deluso abbandona il monarca e deve subire anche l'umiliazione di una perquisizione e di un sequestro di carte; neI '56 pubblica l'Essai sur les moeurs (Saggio sui costumi), grande tentativo di sto¬ria universale dello spirito umano che appare nel contempo a Voltaire un uni¬versale «tableau des misères humaines». Esso fornirà i materiali per il rac¬conto Scarmentado (1754), viaggio tra gli orrori e te stupidità del secolo prece¬dente e abbozzo della struttura concettuale e letteraria del Candide. Nel '56 ini¬zia la Guerra dei sette anni che doveva insanguinare un'Europa che gli illumi¬nisti avevano volentieri immaginato retta da principi pacifici e illuminati. Voi¬taire che si è ritirato nella repubblica di Ginevra e spera di trovarvi protezione e tolleranza è ancora oggetto di attacchi e persecuzioni. Ma l'avvenimento più importante per il definitivo abbandono di un seppure cauto e problematico otti¬mismo è il terremoto di Lisbona del 1755. Voltaire scrive di getto il Poeme sur le désastre de Lisbonne (Poema sul disastro di Lisbona, 1756). Nella corrispondenza volterriana di questi anni il mondo appare sempre più frequentemente «atroce e pazzesco». Con questo stato d'animo si accinge a scrivere il Candide.
La vicenda.
1. L'ANTEFATTO: IL PARADISO E LA CACCIATA (cap. I). STRUTTURA DEL CANDIDE.
Il Candide ha una struttura semplice, rigorosa, geometricamente trasparente. Nel primo capitolo, che narra «come Candide fu allevato in un bel castello e come ne fu cacciato», sono poste le premesse necessarie dell'intero sviluppo:
- sono presentate le tre figure chiave del racconto: Candide (« C'era in Vestfalia, nel castello del signor barone Thunder-ten-tronckh, un giovinetto la natura aveva dotato di costumi assai mansueti. Gli si leggeva 1'anima sul volto Aveva il giudizio abbastanza retto, con uno spirito grandemente semplice; perciò credo lo chiamavano Candide »); la figlia del barone, Cunégonde («di diciassette anni, aveva vivi colori, era fresca, paffuta, appetitosa»); il filosofodi casa, il «tutto lingua» Pangloss («il piccolo Candide ne ascoltava le lezioni con tutta la buona fede della sua età e del suo carattere. Pangloss insegnava la metafisico-teologo-cosmoscemologia. Dimostrava in modo mirabile che non c'è effetto senza causa, e che, in questo, che è il migliore dei mondi possibili, il castello di monsignore era il più bello dei castelli e la signora la migliore delle baronesse possibili [...], Candide ascoltava attentamente e innocentemente credeva; perché trovava bellissima madamigella Cunégonde, anche se non si pigliava mai la licenza di dirglielo»);
– sono annunciati i due temi che saranno il filo conduttore della narrazione
a. il tema filosofico dell'ottimismo metafisico, enunciato da Pangloss, che sarà il contrappunto inevitabilmente comico delle terribili disavventure seguenti («E' dimostrato - diceva - che le cose non possono essere in altro modo: perché, siccome tutto è creato per un fine, tutto è necessariamente per il migliore dei fini. Notate che i nasi sono stati fatti per portar gli occhiali, infatti ci sono gli occhiali. Le gambe sono evidentemente istituite per essere calzate, ed ecco che ci sono i calzoni. Le pietre sono state formate per essere squadrate, e per farne ca¬stelli, infatti monsignore ha un bellissimo castello […]; e siccome i maiali son fatti per essere mangiati, mangiamo maiale tutto l'anno; quelli che hanno affermato che tutto va bene hanno quindi affermato una sciocchezza: bisognava dire che tutto va nel migliore dei modi »;
b. il tema sentimentale dell'amore di Can¬dide e Cunégonde, che sarà la «ragion sufficiente» delle peregrinazioni di Can¬dide: Cunégonde vede per caso «tra i cespugli il dottor Pangloss che impartiva una lezione di fisica sperimentale alla cameriera di sua mamma», siccome ha spiccate disposizioni per le scienze capisce ragion sufficiente, effetti e cause, torna al castello pensando a Candide, i giovani si incontrano dietro un paravento, ma vengono scoperti dal signor barone che caccia Candide dal castello, « e tutto fu desolazione nel più bello e più piacevole dei castelli possibili »;
– è delineata la chiave simbolica del racconto: il paradiso terrestre, con il suo doppio figurativo-materiale, il giardino (che qui è il modesto boschetto del castello). C'è una situazione iniziale di felicità e di innocenza, il mediocre castello della provincia tedesca vale realmente per la coscienza ingenua, ancora inconsa¬pevole, come il migliore dei mondi possibili. Poi la biblica colpa e la cacciata. Candide dovrà, attraverso il dolore del mondo, acquistare esperienza e saggezza, ritrovando altri giardini: quello onirico, utopistico, ideale dell'Eldorado (che interrompe la trama e divide il racconto in due parti simmetriche, nettamente distinte), quello finale nel quale la compagnia si ritrova e si riconcilia con la realtà attraverso il lavoro. L'esperienza del mondo assume la forma del viaggio, nel quale si legano il tema filosofico e quello sentimentale: ricerca della verità e ricerca della donna amata.
L'architettura del racconto si scandisce perciò in cinque parti.
- temi, personaggi, antefatto (cap I);
- viaggio di Candide verso occidente, viaggio come fuga dalle persecuzioni (capp. II-XVI);
- intermezzo onirico-utopistico: l'Eldorado (capp. XVII - XVIII);
- viaggio di Candide verso oriente, viaggio come ricerca consapevole e ac¬cumulo di esperienza (capp. XIX-XXIX);
- il giardino finale della Propontide, la riunificazione degli amanti, la con¬clusiva saggezza (cap. XXX).
I procedimenti stilistici e i dispositivi formali
a. Il ritmo e l'effetto comico.
La critica è generalmente d'accordo nel sottolineare come caratteristica propria del Candide, che si ritrova in misura minore in altri contes di Voltaire, il ritmo. L'accumulazione vertiginosa delle disavventure produce contemporaneamente la dimostrazione «per assurdo» dell'assunto filosofico antiottimistico e, come per antidoto, un effetto antidepressivo di vitalità sregolata (che è poi anche una delle "morali" dell'opera, esplicitamente espressa nel gran piacere di Cacambò nel provare esperienze nuove). Secondo Italo Calvino «nel Candide oggi non è il racconto filosofico che più ci incanta, non è la satira, non è il prender forma d'una morale e d'una visione del mondo: è il ritmo. Con velocità e leggerezza, un susseguirsi di disgrazie supplizi massacri corre sulla pagina, rimbalza di capi¬tolo in capitolo, si ramifica e moltiplica senza provocare nell'emotività del lettore altro effetto che d'una vitalità esilarante e primordiale». L'attenzione del let¬tore è continuamente eccitata, anche attraverso palesi artifizi, come quello di non interrompere mai la concatenazione degli eventi chiudendo un capitolo: quasi tutti finiscono con l'inizio di una nuova avventura o di un nuovo racconto.
E' proprio questo ritmo che genera l'effetto comico. Ancora Calvino osserva: «La grande trovata del Voltaire umorista è quella che diventerà uno degli effetti più sicuri del cinema comico: l'accumularsi di disastri a grande velocità. E non mancano le improvvise accelerazioni di ritmo che portano al parossismo il senso dell'assurdo: quando la serie delle disavventure già velocemente narrate nella loro esposizione "per disteso" viene ripetuta in un riassunto a rotta di collo. E' un gran cinematografo mondiale che Voltaire proietta nei suoi fulminei foto¬grammi, è il giro del mondo in ottanta pagine». Ma il comico del Candide ha un fondo di humour nero, rilevato da lettori come Madame de Staèl («un'infer¬nale allegria »), Stendhal («un fondo cattivo»), Gide («un riso più che altrove simile a una smorfia»). I corpi sono continuamente oggetto di minuziose violenze; torturati, stuprati, impiccati, bruciati, passati per le verghe fino ad avere i muscoli e i nervi scoperti; i personaggi continuano tuttavia a vivere o a rivi¬vere per nuovi supplizi con l'aiuto di unguenti, pomate, medicazioni e aiuti insperati. «Candide è posto sotto il segno della chirurgia e della cicatrizzazione». Ma anche qui, proprio l'accumulazione rapidissima, che esclude ogni compiacenza descrittiva, e l'esibita inverosimiglianza di tanto martirio provocano insieme orrore, pietà e sorriso.
b. Lo stile composito.
Per raggiungere gli effetti voluti Voltaire usa con grande sapienza letteraria dispositivi tratti da diversi tipi di narrazione: da quelli del romanzo sentimentale (con il caratteristico tema dei due amanti separati dalla forza e dai pregiudizi sociali, la cui fedeltà porta al ricongiungimento finale), a quelli del romanzo d'av¬venture diffusissimo nel Settecento (di cui Voltaire fa la parodia infilando rapi¬damente ratti, naufragi, pirati, fughe, ritrovamenti, duelli, ecc.), a quelli del romanzo picaresco reso popolare in Francia da Lesage all'inizio del secolo con la Histoire de Gil Blas de Santillana (che con il picaro Candide ha in comune nella prima parte del conte l'abbandono della casa, la fame, il vagabondaggio, ma senza gusto dell'avventura e dell'esperienza in quanto tale, perché Candide - donchisciottescamente - persegue un ideale pre-ciso, incarnato da Cunégonde).
Sullo stile filosofico dei «Candide»
Jean Starobinski ha messo bene in luce lo stile volutamente composito del Candide e il suo significato
Elementi compositi. Un racconto? Certamente. Ma ancora di più il simulacro di un racconto. Voglio dire: la sua parodia, il suo riflesso reso leggero. Il romanzesco, in Candide, è la caricatura del romanzesco, la sua versione esagerata, che ricusa subito tutte le convenzioni dei generi - siano quella del romanzo d'avven¬tura (di provenienza ellenistica), quelle del romanzo picaresco, o quelle, anche più disponibili all'inverosimile, della favola. Ciascuno di questi generi, quando è rispettato, stabilisce un livello del discorso di finzione, all'interno del quale gli elementi si corrispondono in maniera congruente - in modo da costituire, nell'irrealtà letteraria, un effetto di omogeneità che ha per funzione di sostituirsi figurativamente all'omogeneità della nostra esperienza del mondo «reale»: così si carpisce una «fiducia» estetica. Gli avvenimenti in Candide, e soprattutto il modo in cui si succedono, non sfidano soltanto ogni verosimiglianza: fanno sapere - per il loro carattere disomogeneo - che non fanno appello alla fiducia del lettore, che lo lasciano libero: morti apparenti, ritrovamenti insperati, con¬catenazioni ultra-rapide, paesi favolosi, ricchezze illimitate - tutto ci avverte che non dobbiamo porre seriamente attenzione alla storia di per sé, tutto rinvia a modelli letterari arcinoti, di cui la derisione dispone a suo piacimento, deformandoli a turno, in una parabola che insegna a diffidare degli insegnamenti. Allora è un gioco? Certo. Ma un gioco in cui, attraverso la parodia, nessuna delle situazioni evocate è al di fuori della realtà del momento presente: in Germania si fa la guerra, si massacra, si violenta; in Portogallo si bruciano gli ere¬tici; presso i selvaggi d'America si mangiano i prigionieri; a Parigi si derubano, con il gioco o arrestandoli, i viaggiatori ingenui. Candide, sotto molti profili, non è che un nome imprestato, l'identità minima che è necessario conferire a un per¬sonaggio la cui funzione essenziale è quella di scontrarsi con il mondo come esso va, e con ciò di rivelarlo qual è.
La formula del Candide è dunque il composito e il miscuglio: non voglio par¬lare solo della successione caleidoscopica degli episodi, penso soprattutto alla mescolanza di finzione autodistruttiva e di incontestabile verità, al composto instabile formato dall'arbitrarietà narrativa e dall'intrusione della violenza circostante. La libertà del contenuto si appaia all'ossessione del male onnipresente che, ovunque l'individuo si giri, schiaccia ogni libertà. Per la sua inverosimile rapi¬dità il viaggio di Candide diventa una rassegna quasi generale dei paesi del mondo; l'economia del tempo narrativo permette lo spostamento da un luogo all'altro, e rende così possibile un accumulo di esperienza che riguarda la stupidità, l'intolleranza e gli abusi del potere. L'irrealismo del racconto rende lo spazio terrestre percorribile in tutti i sensi, e permette di sommare realtà spaventose, nessuna delle quali è possibile mettere in dubbio o attribuire alla fantasia dell'autore.
c. I personaggi.
Spesso è stato sottolineato il fatto che i personaggi del Candide sono «marionette», non hanno nessuno «spessore psicologico», a partire dal protagonisti la cui anima si legge sul viso, nei tratti e nei comportamenti esterni. Raramente questa osservazione è stata fatta valere come indice di inadeguatezza; è il congegno stesso del conte che richiede una riduzione di questo tipo, Talvolta la caratteristica essenziale del personaggio è suggerita dalla professione o dalla nazioni lità, ma più spesso è data attraverso il nome: non solo quello di Candide; il nomi di Cunégonde evoca il fondo medievale della figura della dama del castello; Pargloss è il tutto-lingua; il barone Thunder-ten-tronckh è una specie di grottesco «dio del tuono»; Pococurante è l'indifferenza fatta persona; il pirata Vandé dendur è l'uomo «dal dente duro»; i numerosi cognomi del governatore di Buenos Aires corrispondono all'alterigia spagnolesca che lo contraddistingue, ecc. Anche per questo aspetto Voltaire deliberatamente vuole costruire non perso¬naggi romanzeschi con i quali il lettore possa immedesimarsi ma indici di fun¬zionamento di un ingranaggio perverso (il mondo, la storia, dominati dalla vio¬lenza e dalla sragione) che si tratta di esibire nella sua meccanica.
d. Un « romanzo di apprendistato ».
Tuttavia nel Candide non c'è una qualsiasi accumulazione di effetti a scopo satirico e dissacrante. La storia ha uno svolgimento e una direzione, una strut¬tura di cui abbiamo già rilevato il rigore e il senso che fa del Candide l'abbozzo di un romanzo di apprendistato. Il roman d'apprentissage ha avuto uno dei luoghi d'origine nella letteratura francese del Settecento con la Vie de Ma¬rianne di Marivaux e il Gil Blas di Lesage. «L'avventura di Candide infatti è essenzialmente una presa di coscienza: le tappe del suo cammino interiore sono state accuratamente segnate da Voltaire [...]. Sorto la trama di un racconto tradi¬zionale, tessuto di avventure apparentemente incoerenti, si scorge nel Candide l'abbozzo di un romanzo seguito là dove queste avventure contribuiscono all'edifi-cazione di una personalità». Come abbiamo evidenziato nella descrizione dell'opera, Candide è anche la storia di una progressiva presa di coscienza che si con¬clude con una mesta riconciliazione con la realtà. Non a caso questa è possibile attraverso il progressivo disinganno e la rinuncia rassegnata al sogno, all'ideale, concretamente raffigurata in una Cunégonde che ha del tutto perduto il suo splen¬dore e nella malinconica sistemazione domestica di Candide.
I contenuti ideologici e il tema simbolico del giardino
Nel Candide il tema ideologico della polemica antiottimistica si articola in diversi momenti:
- la denuncia della schiavitù (nell'episodio del negro di Surinam);
- la denuncia del fanatismo religioso (tutte le religioni sono accuratamente chiamate in causa: gli autodafé dell'Inquisizione, il settarismo del pastore olan¬dese, i massacri in nome di Maometto, ecc.);
- la denuncia della guerra (tra Bulgari e Avari, ma poi guerra civile in Ma¬rocco, Gesuiti contro Spagnoli, Giannizzeri e Russi, ecc.);
- la denuncia della violenza connessa all'uso del potere (i re detronizzati a Venezia, il finale elenco di morti violente dei potenti tratte dalla storia sacra e profana);
- la denuncia della barbarie primitiva (il cannibalismo degli Orecchioni) e della civiltà decadente (la noia di Pococurante).
L'enumerazione dei temi ideologici, che si potrebbe continuare, rischia tutta¬via di perdere di vista l'autonomia del Candide, cioè di leggere il Candide come illustrazione dei temi e degli obiettivi polemici della filosofia di Voltaire. E' op¬portuno invece insistere ancora sulla struttura narrativo-ideologica dell'opera e sulla chiave simbolico-figurativa centrale del giardino. Candide è cacciato da quello che per lui sarà il paradiso perduto e tutto il suo errare (come fuga e come ricerca) sarà dominato dalla ricerca della felicità perduta. Del resto la sal¬datura con i1 tema filosofico principale è stretta: è la ricerca del migliore dei mondi possibili inizialmente identificato con il castello del barone, ricerca poco sensata dal punto di vista logico-speculativo, ma del tutto legittima come con¬creta aspirazione dell'animo umano a una situazione di pace, giustizia, felicità ecc. (Leibniz viene volutamente e polemicamente travisato in chiave materiali¬stico-edonistica da Voltaire)
a. Il castello e la masseria.
Non è irrilevante però il fatto che il paradiso iniziale sia rappresentato come qualcosa di ridicolo, un modesto castello della provincia tedesca; che Eva sia l'«appetitosa» Cunégonde; Dio il tonante barone; e il peccato originale un peccatuccio dietro un paravento. Voltaire era del tutto consapevole della gran¬dezza letteraria e mitica della Genesi e in generale della Bibbia. Mentre lavorava al Candide preparava, per l'edificazione di Madame de Pompadour, non solo una traduzione del Cantico dei cantici, ma - cosa più rilevante - un Compen¬dio dell'Ecclesiaste: il lamento biblico sulla vanità del mondo e sull'ampiezza delle sofferenze umane doveva trasparire come sfondo tragico dietro alla super¬ficie comica del Candide. Se il paradiso perduto ha qualcosa di ridicolo e di grottesco, ciò indica un preciso intento di satira sociale: Voltaire vi ridicolizza esplicitamente il mondo angusto, ozioso e bigotto del castello feudale. Al mondo miserabile del castello del primo capitolo si contrappone la laboriosa masseria borghese del capitolo finale. Come osserva Jean Goldzink, questa opposizione «non è casuale: essa rinvia a due tipi di società, a due classi sociali. Ai privilegi della nascita sono succeduti i poteri del lavoro e del denaro; agli eccessi dell'or¬goglio nobiliare, le virtù della cooperazione; ad una società gerarchizzata in or¬dini, una comunità fondata sulla divisione del lavoro. L'utilità ha rimpiazzato il sangue. Scompaiono allora i comportamenti servili così finemente annotati nel primo capitolo, e i divertimenti sterili, come la caccia. Espellendo il fratello in¬grato di Cunégonde, Voltaire colpisce un duplice bersaglio, perché, come sotto¬linea lui stesso, punisce così un gesuita e l'orgoglio di un barone tedesco. Come non vedere la portata simbolica di tale esclusione? [...] Interpretare Candide in una prospettiva angustamente morale (la morale eterna o quella del solo indi¬viduo Voltaire) significa castrarlo. L'opposizione ozio/lavoro, nascita/denaro, caccia/agricoltura ecc., iscrive nel testo il naufragio dei valori feudali e lo svi¬luppo borghese»
b. « Il faut cultiver notre jardin ».
Nella conclusione dcl Candide c'è un preciso riscontro con una scelta di vita di Voltaire, che proprio mentre sta terminando il conte, nell'autunno 1758, ac¬quista la tenuta di Ferney e si trasforma in imprenditore, dice di voler trasfor¬mare gli abitanti del fondo, di cui descrive le miserabili condizioni, in «uomini utili», migliora le colture e istalla piccole industrie artigianali.
Per certi aspetti è la scelta del ritiro dalla politica e dalla storia. A parte al¬cune corrispondenze con un particolare momento della vita di Voltaire, ci sono però significati più ampi, nella conclusione del Candide, da mettere in rilievo. Si rilegga il crescendo del capitolo xxx. Prima solo Cacambò lavora, tutti si an¬noiano e maledicono la loro sorte. Poi si consultano con il filosofo turco; nelle risposte paradossali del derviscio si esprime la convinzione di Voltaire sull'esi¬stenza di un ordine cosmico, garantito da Dio, ma nel quale l'uomo è soltanto una particella trascurabile sottomessa a leggi universali di tipo naturale. La que¬stione del senso della vita umana non può essere risolto attraverso una conside-razione di carattere metafisico o attraverso quella che nel Settecento si chiamava «filosofia della natura ». Eliminata una risposta di questo genere, il problema si sposta sul piano orizzontale e viene interrogata la storia. C'è allora l'incontro con il vecchio contadino turco, che non ha mai saputo il nome di nessun grande e suppone che coloro che «si immischiano nelle cose pubbliche a volte periscono miseramente, e che gli sta bene». E' a questo punto che compare la contraddi¬zione Costantinopoli/giardino produttivo (che rimanda a quelle tipiche del pen-siero politico settecentesco - e oltre - Stato/società civile, mondo della poli¬tica/mondo dei bisogni e del lavoro).
La questione è stata molto discussa e sono state date interpretazioni diverse.
Dato l'impegno pubblico prima e dopo la stesura del Candide, c'è chi, non molto persuasivamente, ha identificato la morale di Candide con una morale pri¬vata ed egoistica, la quale però sarebbe del solo personaggio e non di Voltaire, che proprio attraverso il conte dimostrerebbe che Candide è ancora una volta uno sciocco e che non ci sono «giardini» al riparo della storia.
L'interpretazione che ci pare più convincente è quella che ricolloca Voltaire nella problematica filosofico-politica del suo tempo e delle sue opere: «la politica non ingloba affatto - per Voltaire - tutta la sfera del sociale, in opposizione a quella della vita privata, come si è teso talvolta a supporre anacronisticamente. La politica designa meno il vasto mondo che circonda il giardino che, molto espli¬citamente, la Corte, campo chiuso di intrighi e di complotti». La limitazione di classe c'è sì, ma è piuttosto quella del tipo di ideologia borghese che Voltaire rappresenta: da un lato il non riuscire a pensare la politica se non come riforma dall'alto a opera di sovrani illuminati, dall'altro l'esperienza dei limiti e della sconfitta dell'ipotesi monarchica, cui per altro Voltaire continua a rimanere fe¬dele: di qui il ripiego sulla società civile, il mondo del lavoro, della civilisation, contrapposto nell'Essai sur 1es moeurs alla storia militare e dinastica. Del resto le battaglie di Voltaire riguardano essenzialmente l'ambito dei diritti e delle libertà civili.
Non bisogna comunque interpretare troppo letteralmente il «giardino». W. F. Bottiglia ha raccolto numerosi estratti dalle lettere di Voltaire di questo periodo nelle quali la metafora del giardino o della vigna ritorna continuamente per designare il lavoro di diffusione dei lumi a opera degli enciclopedisti che Voltaire appoggia e incoraggia. II «giardino» di Voltaire non ha molto a che vedere con una morale del disimpegno; è piuttosto un attivismo tutto di deriva¬zione empiristica e lockiana, ostile a quelle che ritiene le presunzioni delle filoso¬fie totalizzanti.
Occorre qui, conclusivamente, sottolineare un secondo aspetto del rapporto tra i tre giardini: quello del castello, l'Eldorado, il giardino della Propontide. Il co¬mico ridimensionamento del paradiso perduto di Candide deriva anche da un'osti¬lità di principio verso il mito delle origini, di uno stato originario cioè che sarebbe modello e pietra di paragone dell'esperienza storica. E' noto come questa griglia concettuale sia stata il punto di forza della critica russoiana della civitisation, ed è altrettanto nota l'incomprensione profonda, e reciproca, tra Voltaire e Rous¬seau, per il quale si trattava di restaurare, con i mezzi del politico, una libertà e un'eguaglianza originarie. Senza sovraccaricare il Candide di troppi significati, è da notare che il «paradiso perduto» è tale per la coscienza ingenua e il «paradiso ritrovato» si dà solo nell'esperienza dell'Eldorado esplicitamente come spazio mitico e modello soltanto mentale. Il giardino finale non è né il ritorno alla felicità illusoria delle origini, né è in linea di sviluppo consequenziale con l'Eldorado. E' il passaggio a un altro terreno, quello dell'abbandono definitivo della dimensione ingenua e mitica: Candide e la sua compagnia rinunciano alla ricerca dell'Eden (che non a caso viene ricordato solo dall'incorreggibile Pan¬gloss) e trovano nell'industriosità borghese una dimensione tutta laica di impegno.
Il Candide appartiene al movimento di secolarizzazione radicale dell'etica pro¬prio del mondo borghese nel periodo della sua formazione.
testo rielaborato da REMO CESERANI – LIDIA DE FEDERICIS, Il materiale e l’immaginario, Loescher, 1986
Fonte: https://quattrosecoli.files.wordpress.com/2012/07/candide.doc
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