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L’economia contemporanea è caratterizzata da un sempre più elevato tasso di intervento dell’energia elettrica a copertura dei consumi energetici mondiali, in quanto essa possiede, in misura largamente più elevata rispetto a tutte le altre fonti energetiche, i requisiti di convertibilità, continuità, trasportabilità e flessibilità.
Il sistema che consente di trasportare e distribuire l’energia elettrica prodotta da sorgenti di grande potenza (migliaia di megawatt) ai centri di consumo grandi e piccoli, che si trovano ubicati in territori di grande estensione (migliaia di kmq) si definisce sistema elettrico di potenza.
Un sistema elettrico di potenza consta dei seguenti elementi principali:
In realtà il sistema elettrico italiano ha una complessità ben maggiore di quella precedentemente descritta. Tutte le maggiori centrali di produzione sono tra loro collegate mediante linee di interconnessione in modo che, al livello delle tensioni più alte (220kV, 380kV), vi sia un’unica rete interconnessa in cui confluisce tutta l’energia prodotta, col vantaggio che la messa fuori servizio di una centrale non pregiudica l’alimentazione di una o più zone del territorio nazionale.
In questo modo diventa però estremamente delicato il problema della regolazione delle energie prodotte dalle varie centrali e della ripartizione dei flussi di energia sulle diverse linee; la gestione dell’intera rete richiede l’uso di raffinati metodi di analisi e simulazione su elaboratori.
E’ da tenere presente inoltre, l’esistenza delle linee di interconnessione tra l’Italia e i paesi confinanti (Francia-Svizzera-Austria-Slovenia) attraverso le quali si attua l’import-export energetico.
Si può notare che le varie parti del sistema elettrico sono caratterizzate da diversi livelli di tensione.
I motivi che portano ad una scelta tecnicamente ed economicamente corretta dei vari valori sono molteplici:
Si è ritenuto opportuno riportare alcune definizioni tratte dalla Norma CEI 64-8 riguardanti gli impianti elettrici:
La tensione nominale di un sistema elettrico deve essere scelta tra una gamma di valori normalizzati dalle Norme CEI, ciò per evidenti ragioni di standardizzazione dei vari prodotti destinati agli impianti elettrici e per permettere l’interconnessione dei vari impianti.
La Norma CEI 64-8 classifica i sistemi elettrici in funzione della loro tensione nominale Vn in:
- sistemi di categoria O :
Vn£50V se in corrente alternata;
Vn£120V se in corrente continua;
50V<Vn£1000V se in corrente alternata;
120V<Vn£1500V se in corrente continua;
- sistema di categoria II:
1000V<Vn£30000V se in corrente alternata;
1500V<Vn£30000V se in corrente continua;
Vn>30000V sia in corrente alternata che in corrente continua.
Le reti di distribuzione a MT sono costituite dalle stazioni di trasformazione AT/MT e dalle linee a MT operanti con tensioni di 10¸30kV, destinate all’alimentazione di cabine MT/BT o di utenze (stabilimenti industriali) con cabina propria.
Le reti di distribuzione a BT sono costituite dalle cabine di trasformazione MT/BT e dalle linee a BT destinate all’alimentazione delle utenze diffuse e funzionanti attualmente con tensioni di 220V e 380V (valori che verranno portati a 230V e 400V, come previsto dalla Norma CEI 8-6 per le reti di distribuzione pubblica in corrente alternata trifase per uniformare la rete europea; si prevede che il periodo di transizione non supererà l’anno 2003).
In generale non è possibile adoperare un unico tipo di rete, sia di MT che di BT in tutti i casi che si presentano nella pratica. Ciò è dovuto essenzialmente al fatto che, al variare della densità e della distribuzione dei carichi, si presentano esigenze diverse e che molte condizioni contingenti e locali possono condizionare la scelta.
Gli obiettivi comuni che si cerca di conseguire nella costruzione di una rete sono:
- costruzione semplice ed economica: da valutazioni statistiche su reti esistenti, si è dedotto che le reti di distribuzione a MT e a BT incidono per circa l’80% sugli investimenti totali per gli impianti di produzione, trasporto e distribuzione dell’energia elettrica;
- elasticità: è la possibilità di ampliamenti in dipendenza degli aumenti di carico e di acquisizione di nuova utenza;
- buona qualità del servizio: la qualità del servizio di distribuzione dell’energia elettrica è caratterizzata da due fattori:
1. la continuità, cioè la disponibilità dell’energia nel tempo presso gli utenti;
2. la qualità della tensione sotto la quale viene erogata l’energia, definita mediante la costanza della frequenza, l’assenza di squilibri (cioè di componenti inverse e omopolari), la regolarità (limitazione in banda ristretta dello scarto tra tensione di rete e tensione nominale) e la purezza della forma d’onda ( mancanza di armoniche di entità non trascurabile).
Considerazioni costruttive: le linee a MT e a BT possono essere realizzate con conduttori nudi su palificazioni, con cavi sotterranei e con conduttori isolati aerei (cavi sospesi).
Le reti realizzate con conduttori nudi sono più economiche; quelle in cavo presentano minori pericoli e disservizi, occupano minore spazio e possono essere preferite per motivi estetici.
Sulla base di queste considerazioni le linee di BT, se costruite per centri abitati di media e grande importanza, si realizzano in genere con cavi sotterranei; quelle per piccoli centri abitati con cavi sospesi, quelle rurali con conduttori nudi su palificazioni.
Le linee di MT, per l’alimentazione di medi e grandi centri abitati, sono realizzate con cavi sotterranei; in tutti gli altri casi, si preferiscono in genere le linee con conduttori nudi su palificazioni.
Si è diffuso l’impiego di linee aeree in cavo più costose di quelle in conduttore nudo, ma con pregi notevoli di sicurezza e compattezza. Esse vengono realizzate mediante “conduttori isolati sospesi a fune di acciaio”: i conduttori unipolari, isolati, sono resi solidali a mezzo di fascette di zinco puro o di materiale plastico ad una fune di acciaio che, tesata tra opportuni sostegni, serve loro da supporto. Tale tipo di rete, rispetto ad una rete tradizionale in conduttori nudi portati da isolatori sostenuti da mensole, ha i seguenti vantaggi:
Da un punto di vista antinfortunistico si ha la massima garanzia, in quanto i conduttori possono passare senza alcun pericolo in vicinanza di finestre, terrazze, etc.
Nella scelta del sistema di distribuzione occorre tener conto di alcuni fattori, sia di natura tecnica che economica. Ad una prima analisi risultano possibili due soluzioni:
Fattori influenti sulla scelta del sistema di distribuzione sono:
E’ quindi evidente che, la distribuzione centralizzata non è più conveniente nel caso di utenze distribuite in aree vaste e di impianti di potenza elevata.
In tal caso si adotta la distribuzione a centri di carico con la quale la trasformazione MT/BT viene effettuata in cabine ubicate in diversi punti, ognuna delle quali interessa una certa area.
L’area della “zona di influenza” di una cabina viene caratterizzata mediante il raggio d’azione definito come la distanza limite che rappresenta il punto di equilibrio tecnico-economico tra prestazioni richieste, volume di rame da impiegare per la rete di distribuzione e costo della cabina MT/BT.
Definendo la densità di carico come la potenza massima richiesta per unità di superficie (in MVA/kmq) va osservato che il raggio d’azione di una cabina MT/BT aumenta al diminuire della densità di carico.
Il raggio d’azione, a titolo indicativo, risulta:
La determinazione del raggio d’azione si effettua in base a considerazioni economiche.
Può sembrare conveniente ridurre il numero di cabine MT/BT aumentandone la potenza dato che il costo dei trasformatori per kVA diminuisce con l’aumento della potenza, ma bisogna tener presente che, in questo modo, aumenta il raggio d’azione di ogni cabina e quindi la lunghezza delle linee di distribuzione a bassa tensione.
Si è costretti, per contenere in limiti accettabili le cadute di tensione, a realizzare le linee BT con cavi di sezione più elevata, per cui ad un minor onere per la riduzione del numero di cabine corrisponde un maggiore onere per la realizzazione delle linee BT.
La soluzione ottimale è quella a cui corrisponde il minor onere totale per la distribuzione (linee MT, cabine MT/BT, linee BT).
A tale scopo si potrà determinare caso per caso, con alcuni tentativi, il numero di cabine che rende minimo il costo complessivo. Si ricorre a curve, dette curve di ottimo tecnico-economico che indicano come varia il costo complessivo della distribuzione al variare del numero delle cabine MT/BT supponendo i carichi uniformemente distribuiti sull’area in esame.
All’aumentare del numero di cabine e quindi all’aumentare delle linee MT, i relativi costi aumentano, mentre il costo delle linee BT diminuisce poiché, portando la MT vicino all’utenza, si riducono le lunghezze.
Come si può osservare, la curva del costo totale, presenta un andamento “dolce” in corrispondenza della posizione del minimo; pertanto un errore sul numero di cabine installate di una o due unità non determina grandi variazioni di costo. Inoltre il costo delle cabine, legato al costo dei materiali e della manodopera, è una variabile molto turbolenta; quindi un calcolo rigoroso del numero di cabine non avrebbe senso.
Nota la densità di carico di una certa zona e determinato il raggio d’azione, si tracciano sulla planimetria delle aree circolari di raggio pari al raggio d’azione in cui sistemare le cabine MT/BT fino a riempire tutta la zona servita dalla stazione AT/MT.
Il punto in cui risulta più conveniente installare ciascuna cabina di trasformazione non sempre coincide con il centro delle circonferenze, a causa della possibile presenza di carichi concentrati nella zona in esame. In tali casi conviene, se possibile, posizionare la cabina nel baricentro elettrico dell’impianto. Esso, in analogia al baricentro di un sistema di masse, risulterà più vicino ai carichi che assorbono maggiore corrente minimizzando così la lunghezza dei cavi BT di sezione maggiore, con evidente riduzione dei costi.
Va osservato che, poiché per raggio d’azione si intende la distanza dalle sbarre di BT del trasformatore fino all’ultima utenza servita, nel caso di alimentazione di edifici a più piani, occorre tener conto non solo delle distanze orizzontali, ma anche di quelle verticali fino all’ultimo piano degli edifici; inoltre il tracciamento delle aree circolari dovrà tener conto anche delle possibilità di espansione urbana della zona.
Il calcolo elettrico delle reti di distribuzione si propone di contenere le cadute di tensione in modo che le variazioni di tensione ai morsetti degli apparecchi utilizzatori siano compatibili con il loro corretto funzionamento.
Deve inoltre essere verificato che il riscaldamento dei conduttori non ecceda il limite ammesso e ciò si controlla confrontando la massima corrente prevista con la portata del conduttore.
Il calcolo elettrico presuppone la conoscenza dei carichi alimentati (potenza attiva P e relativo fattore di potenza).
La potenza assorbita dai carichi ed il suo andamento nel tempo sono abbastanza ben definite nelle reti di distribuzione degli stabilimenti industriali ed in alcune linee della rete di distribuzione pubblica che alimentano utilizzatori di caratteristiche ben note.
Inoltre il valore della potenza massima si incrementa nel tempo per effetto del naturale sviluppo dell’utilizzazione dell’energia elettrica nel territorio servito dalla rete in esame; di ciò è necessario tenere conto in fase di progetto se si vuole che la rete sia idonea a svolgere il proprio ruolo per un certo numero di anni prima che si rendano necessari interventi di adeguamento.
Il calcolo viene effettuato nell’ipotesi di linee a costanti concentrate, potendo in generale trascurare nelle reti di MT e BT i parametri trasversali.
I procedimenti di calcolo sono sostanzialmente due:
La determinazione della sezione da adottare si può effettuare con uno dei seguenti criteri in seguito illustrati:
Sono da ricordare anche il criterio della massima convenienza economica e il criterio della massima perdita di potenza ammissibile.
Il criterio della massima convenienza economica è un criterio di progetto adottato per linee di una certa importanza e il cui obiettivo è quello di scegliere la sezione del conduttore che renda minimo l’onere finanziario annuo complessivo delle spese di impianto e di esercizio.
E’ abbastanza evidente che l’onere finanziario per le spese di impianto aumenta con la sezione, e quindi è esprimibile con una relazione del tipo:
dove è il coefficiente di proporzionalità.
Invece l’onere finanziario di gestione della linea, essendo dovuto alle perdite di energia, è inversamente proporzionale alla sezione ed è esprimibile con:
L’onere totale è dato da :
.
Esprimendo graficamente e in funzione di , si ottiene:
Il valore minimo di si ha quando è verificata la condizione , ossia per una sezione, condizionata dai coefficienti e , data da:
Il criterio della massima perdita di potenza ammissibile consiste nel fissare un valore percentuale della perdita di potenza ammissibile in linea (DP%) (in genere il 5¸6% della massima potenza trasmessa) e da esso determinare la sezione S dei conduttori. Il valore di DP% va scelto tenendo presente che, se troppo piccolo, si ottiene un elevato valore di S, con conseguente maggiore costo di impianto; viceversa, un valore troppo alto dà luogo ad elevate perdite di potenza e quindi ad un maggiore costo di gestione.
Indicando con:
= resistenza di linea relativa ad un conduttore
= lunghezza della linea
= potenza erogata dalla linea
= corrente di linea
= tensione nominale (valore concatenato nel caso trifase)
= resistività elettrica dei conduttori (riportata alla temperatura di funzionamento)
= fattore di potenza del carico
si distinguono i seguenti casi:
Sostituendo le espressioni e ,
si ottiene:
da cui si ricava: .
Sostituendo le espressioni e ,
si ottiene:
da cui si ricava .
La potenza dissipata dai conduttori per effetto Joule determina in essi un aumento di temperatura provocando un incremento della resistività e con essa un incremento delle perdite, una possibile riduzione della vita dell’isolante dei cavi, un aumento della freccia nei conduttori aerei con una diminuzione della resistenza meccanica, al limite anche la fusione del conduttore con pericoli di incendio.
Riferendosi a condizioni di regime permanente per le quali si stabilisce una condizione di equilibrio tra la potenza dissipata e quella trasmessa sotto forma termica all’ambiente, se si suppone, come è lecito, di trascurare il calore emesso per irraggiamento, si può ammettere l’uguaglianza tra la potenza dissipata da un conduttore avente resistenza e percorso da una corrente , e il calore disperso per convezione:
dove:
= sovratemperatura del conduttore rispetto all’ambiente;
= superficie esterna disperdente;
= coefficiente globale di trasmissione termica (esso esprime il numero di Watt di calore dissipati dall’unità di superficie per ogni grado di sovratemperatura di quel conduttore in quelle condizioni [ W/m2°K]);
Dalla relazione precedente si evince che, fissato un valore di sovratemperatura ammissibile, resta definita la massima corrente (portata ) che può circolare in ogni conduttore (cavo, sbarra o linea aerea) per un determinato valore di .
D’altra parte , il coefficiente , che dipende da svariati parametri ed in particolare dalle condizioni in cui si trova il conduttore rispetto all’ambiente (conduttore nudo o isolato, sotterraneo o aereo, in presenza o meno di altri conduttori, etc) risulta di difficile e incerta determinazione teorica.
Pertanto si preferisce procedere sperimentalmente e su questa base sono stati tabellati i valori delle portate ammissibili per i diversi tipi di conduttori e per le possibili condizioni di posa al variare delle sezioni. Inoltre, a mezzo di opportuni fattori correttivi, si può tener conto di temperatura ambiente e resistenza termica del mezzo diverse da quelle nominali.
Riferendosi all’unità di lunghezza del conduttore: con sezione del conduttore.
Moltiplicando e dividendo il primo membro per si ha:
da cui si ricava:
Si osserva che la densità di corrente non dipende dalla lunghezza del conduttore, coerentemente con la natura fisica del fenomeno della dispersione del calore che avviene trasversalmente con le stesse modalità per ogni elemento di lunghezza infinitesima. Poiché per gli altri criteri, la lunghezza della linea influisce negativamente, ne risulta che per linee molto corte diventa prevalente il criterio termico.
Inoltre si osserva che la densità di corrente a pari diminuisce al crescere della sezione infatti, essendo µ e µ (con = raggio del conduttore cilindrico), aumentando , aumenta anche s ma in proporzione minore e pertanto il valore di diminuisce.
Da un confronto tra conduttori nudi e conduttori isolati si evince che i conduttori isolati, a pari condizioni, sopportano fino ad una sezione pari a 16 mmq densità di corrente superiori a quelle ammissibili per i conduttori nudi per la maggiore superficie di dispersione offerta; per sezioni maggiori il fenomeno si inverte per la maggior resistenza termica offerta dall’isolante:
Per il dimensionamento che utilizza il criterio termico, si parte dal valore di corrente massimo che si presume transiti in modo duraturo nel cavo o nel conduttore nudo in esame e, per mezzo delle tabelle già citate, si vede quale deve essere la sezione da adottare (calcolo preliminare) o come si comporta la sezione adottata (calcolo di verifica).
Evidentemente è di fondamentale importanza apprezzare in modo attendibile la corrente da prendere in esame tenendo conto del fatto che, nel caso dell’alimentazione di più carichi, non tutti funzioneranno contemporaneamente, e pertanto è opportuno considerare il fattore di contemporaneità dei carichi alimentati dalla linea, definito come il rapporto tra la potenza massima utilizzata effettivamente dai carichi e la somma delle potenze massime richieste separatamente dai singoli carichi relativamente ad un periodo di tempo prefissato (di solito si fa riferimento all’arco temporale di una giornata).
Inoltre la corrente che può circolare in una determinata sezione di conduttore è largamente dipendente dalla qualità dell’isolante, che è la parte più sensibile alle sollecitazioni termiche determinate dall’effetto Joule.
Se si utilizza un isolante più resistente al calore aumenta la temperatura ammissibile e quindi anche la sovratemperatura rispetto all’ambiente, con la conseguenza di poter sfruttare maggiormente il conduttore e avere quindi un cavo di portata maggiore a parità di sezione conduttrice, a fronte ovviamene di costi più elevati.
Pertanto la temperatura ammissibile in esercizio o temperatura di servizio, stabilita dalla normativa in base al tipo di isolante, diventa anch’essa uno dei fattori che determina la portata del cavo.
Generalmente la temperatura di servizio è compresa tra 60°C e 105°C (valori comuni per cavi BT isolati in PVC ed EPR sono rispettivamente 70°C e 90°C).
Un altro fattore che influisce sul valore della portata è la temperatura ambiente dipendente dalle condizioni climatiche e dalle condizioni di posa.
A tale proposito è opportuno ricordare che le Norme CEI hanno fissato una temperatura ambiente convenzionale per gli impianti di bassa tensione pari a 30°C per posa dei cavi in aria e 20°C per posa interrata.
E’ evidente che un aumento di temperatura rispetto a quella convenzionale, riducendo la sovratemperatura del conduttore rispetto all’ambiente esterno, provoca una riduzione della portata.
La temperatura ambiente può dipendere anche da situazioni particolari che solo il progettista può conoscere e valutare; ad esempio la presenza o meno di climatizzazione dell’ambiente in cui disporre i conduttori modifica il valore della temperatura a cui fare riferimento.
Un’altra temperatura caratteristica dipendente dal tipo di isolante è la temperatura massima in cortocircuito variabile per i cavi isolati con guaine o resine da 150°C a 350°C: essa rappresenta il valore di temperatura massima ammissibile dall’isolante in seguito al rapido riscaldamento del cavo a causa della sovracorrente dovuta al cortocircuito, durante il breve tempo necessario per l’intervento dei dispositivi di protezione. La sua conoscenza è indispensabile per il corretto coordinamento tra il cavo e la protezione, infatti il dispositivo di protezione dal cortocircuito deve essere scelto in modo da intervenire con una rapidità tale che l’isolante del cavo non raggiunga la massima temperatura di cortocircuito, qualunque sia il punto del cavo in cui si verifica il cortocircuito.
Deve cioè essere soddisfatta la condizione per un cortocircuito in un punto qualsiasi della conduttura:
verifica dell’”iquadratoti”
dove il termine denominato “integrale di Joule” o anche “energia specifica passante” rappresenta l’energia specifica (sviluppata dalla corrente di cortocircuito su un conduttore di resistenza unitaria) che fluisce attraverso il dispositivo di protezione, prima che questo interrompa la corrente di cortocircuito (= “tempo di interruzione”= tempo che il dispositivo di protezione impiega ad interrompere la corrente di cortocircuito, cioè intervallo dall’istante di inizio del cortocircuito all’istante di estinzione dell’arco).
Il termine rappresenta l’energia specifica massima sopportabile dal cavo senza che la sua temperatura, nell’istante finale del cortocircuito, superi quella massima prevista dalle norme in condizioni adiabatiche.
Infatti in considerazione della rapidità di intervento dei dispositivi di protezione contro i cortocircuiti, si può trascurare lo scambio termico tra il cavo e l’ambiente circostante e supporre che tutto il calore sviluppato dalla corrente di cortocircuito vada ad aumentare la temperatura del conduttore, considerando il fenomeno adiabatico.
E’ da rilevare che, l’energia specifica del cavo in condizioni adiabatiche:
L’integrale di Joule del dispositivo di protezione è una caratteristica propria del dispositivo ed è fornito dal costruttore, mentre per valutare l’energia specifica del cavo si possono adottare i valori di stabiliti dalla Norma CEI 64-8.
Pertanto per la verifica pratica della relazione occorre confrontare l’andamento della caratteristica dell’energia specifica passante del dispositivo [], in funzione della corrente presunta di cortocircuito, con il termine che si suppone costante al variare della corrente di cortocircuito.
Nelle reti di distribuzione le sezioni dei conduttori devono essere tali che le variazioni di tensione tra le condizioni di massimo e minimo carico siano contenute entro limiti ristretti.
Ciò in particolare vale per le reti di BT in cui in generale non esistono elementi di regolazione tra le sbarre BT della cabina e le singole utilizzazioni.
Il motivo di questa limitazione, come è noto, sta nel fatto che sia le lampade che i motori sono sensibili alle suddette variazioni.
Per le lampade ad incandescenza un aumento permanente di tensione del 5% ne riduce la vita utile a circa il 55% di quella che avrebbero se alimentate a tensione nominale, mentre una diminuzione della tensione del 5% porterebbe ad un aumento di vita ma contemporaneamente ad una riduzione del flusso luminoso a circa l’83% del suo valore nominale. Anche per le lampade a scarica, in seguito ad oscillazioni di tensione, si ha un comportamento anormale con variazioni del flusso ed accorciamento della vita. Per sensibili diminuzioni di tensione le lampade si spengono.
Per i motori asincroni trifasi allacciati alla rete è noto che la coppia meccanica è proporzionale al quadrato della tensione, cosicchè ad una diminuzione della stessa del 15% corrisponde una riduzione della coppia di spunto pari circa al 28 %, con evidenti problemi all’avviamento.
Da misure compiute su impianti di BT si è constatato che, ove le variazioni di tensione siano di breve durata e non frequenti, l’impianto funziona in modo soddisfacente se il valore massimo delle stesse è contenuto entro il 5%.
Per gli impianti utilizzatori in BT, la Norma CEI 64-8 raccomanda che la caduta di tensione tra l’origine dell’impianto utilizzatore e qualunque apparecchio utilizzatore non sia superiore al 4% della tensione nominale dell’impianto.
Cadute di tensione più elevate possono essere ammesse per i motori durante i periodi di avviamento o per altri componenti elettrici che richiedono assorbimenti di corrente più elevati, purchè le variazioni di tensione rimangano entro i limiti indicati dalle norme CEI relative a questi componenti.
Si definisce caduta di tensione in linea la differenza tra i moduli della tensione di partenza e di quella di arrivo della linea:
Per quanto noto sui sistemi trifasi e sui componenti simmetrici, lo studio di una linea trifase può essere ricondotto a quello di una fase che, nell’ipotesi di poter trascurare nelle reti di distribuzione a MT e a BT l’effetto dei parametri trasversali, è assimilabile ad un circuito a costanti concentrate per il quale si ha , in presenza di un carico ohmico-induttivo all’arrivo (con cosj alto) :
Schema elettrico equivalente Diagramma vettoriale
di una fase
dove e indicano rispettivamente le tensioni di fase in partenza e in arrivo e l’impedenza totale di linea.
Ipotizzando che l’angolo e sia trascurabile e che quindi e siano in fase e confondendo il segmento con il segmento è possibile valutare la caduta di tensione mediante la seguente formula approssimata:
caduta di tensione industriale
Esprimendo R e X in funzione dei parametri unitari:
; con L= lunghezza della linea
si ottiene:
E’ frequente riferirsi nel caso di linee trifasi alla caduta di tensione percentuale, espressa in termini dei valori concatenati:
= ovvero
e nel caso di linee monofasi alla caduta di tensione percentuale:
dove 2L indica la lunghezza totale dei conduttori (andata + ritorno); ovvero
Nelle tabelle seguenti sono riportate le resistenze e le reattanze dei conduttori di rame di linee aeree e in cavo di più comune impiego nelle reti di distribuzione a media e a bassa tensione.
Tabella 1 – Resistenza e reattanza di linee aeree con conduttori di rame per bassa e media
tensione
Sezione |
R |
X |
|
|
|
Bassa tensione |
15¸20kV |
mm2 |
/km |
/km |
/km |
16 |
1.117 |
0.380 |
0.422 |
25 |
0.720 |
0.346 |
0.399 |
35 |
0.519 |
0.332 |
0.388 |
50 |
0.366 |
0.323 |
0.378 |
70 |
0.268 |
0.313 |
0.367 |
95 |
0.193 |
0.302 |
0.357 |
|
|
|
|
Tabella 2 – Resistenza e reattanza di linee in cavo BT con conduttori di rame isolati con gomma
di qualità G o con materiale termoplastico di qualità R
(fonte: norma CEI-UNEL 35023)
Sezione |
R |
X |
|
Nominale |
|
cavo tripolare |
tre cavi unipolari |
mm2 |
W/km |
W/km |
W/km |
1 |
22.5 |
0.125 |
0.176 |
1.5 |
15.1 |
0.118 |
0.168 |
2.5 |
9.08 |
0.109 |
0.155 |
4 |
5.68 |
0.101 |
0.143 |
6 |
3.78 |
0.0955 |
0.135 |
10 |
2.27 |
0.0861 |
0.110 |
16 |
1.43 |
0.0817 |
0.112 |
25 |
0.907 |
0.0813 |
0.106 |
35 |
0.654 |
0.0783 |
0.101 |
50 |
0.483 |
0.0779 |
0.101 |
70 |
0.334 |
0.0751 |
0.0965 |
95 |
0.241 |
0.0762 |
0.0975 |
120 |
0.191 |
0.0740 |
0.0939 |
150 |
0.157 |
0.0745 |
0.0928 |
185 |
0.125 |
0.0742 |
0.0908 |
240 |
0.0966 |
0.0752 |
0.0902 |
Si può rilevare dalla tabella 2 che la reattanza di una linea composta di tre cavi unipolari è maggiore di quella di una linea in cavo tripolare. Infatti nei cavi unipolari la distanza tra i conduttori è maggiore per la presenza dello spessore della guaina in aggiunta a quello dell’isolante, e perciò è maggiore la reattanza. Analogamente la reattanza è maggiore per i cavi a tensione più elevata in quanto aumentano gli spessori isolanti (tab 3).
Tabella 3 – Resistenza e reattanza di cavi tripolari MT con conduttori di rame isolati in carta
impregnata sotto piombo (non armato)
Sezione |
R |
X |
mm2 |
Ω/km |
Ω/km |
16 |
1.38 |
0.12 |
25 |
0.870 |
0.11 |
35 |
0.628 |
0.11 |
50 |
0.464 |
0.10 |
70 |
0.322 |
0.094 |
95 |
0.232 |
0.090 |
120 |
0.185 |
0.085 |
150 |
0.150 |
0.082 |
240 |
0.0932 |
0.078 |
Per una data configurazione di linea è possibile diagrammare la resistenza per unità di lunghezza (r) e la reattanza per unità di lunghezza (x) in funzione della sezione (S) per sistemi a MT e a BT.
Ad esempio per conduttori di rame per linee aeree o in cavo a 15 KV si ha:
Si nota preliminarmente come la resistenza decresca con legge iperbolica, riducendosi drasticamente al crescere della sezione, mentre la reattanza induttiva decresca molto più lentamente.
Resistenza e reattanza hanno valori all’incirca uguali nelle linee aeree per sezioni prossime a 50mmq e nelle linee in cavo per sezioni di 250mmq. Pertanto, per le linee aeree per le quali la sezione minima è fissata a 16mmq per ragioni meccaniche, la reattanza non può essere trascurata rispetto alla resistenza e il calcolo della caduta di tensione va effettuato utilizzando l’espressione completa .
Invece per le linee in cavo di sezione modesta (S£25mmq) e tensione non troppo elevata (£20¸30KV), in calcoli che non richiedono eccessiva precisione, la reattanza può essere trascurata rispetto alla resistenza (essendo x<<r); inoltre accade sempre che .
Quindi: Þ
All’aumentare di S, r diminuisce e perciò diventa confrontabile con x e l’approssimazione vista non è più valida.
Dalla formula della risulta che per ridurre la caduta di tensione si può:
Dalla struttura della rete di distribuzione dipende sia il costo delle linee e delle apparecchiature, sia la continuità di servizio per il maggior numero di utenze. Partendo dall’analisi della rete di distribuzione a MT, si possono distinguere i seguenti tipi fondamentali di reti :
- distribuzione radiale
La rete si sviluppa dalla stazione di trasformazione AT/MT mediante un unico distributore che alimenta le varie cabine C. Viene usata per zone rurali o, in generale , per utenze di piccola potenza situate a grandi distanze.
I vantaggi che ne conseguono sono la semplicità e il minor costo di impianto per il minor numero delle apparecchiature di manovra e di protezione; per contro presenta la mancanza della continuità di servizio in caso di guasto sulla linea in quanto un guasto si ripercuote sull’alimentazione di tutto l’impianto a valle.
- distribuzione ad anello aperto
Dalla stazione AT/MT partono due distributori MT che congiungono le cabine MT/BT in anello. Questo anello risulta aperto e pertanto assimilabile a due reti radiali alimentate dalla stessa stazione essendo, nelle normali condizioni di funzionamento, tutti i sezionatori disposti all’ingresso e all’uscita di ogni cabina mantenuti chiusi tranne uno.
Nell’ipotesi che il sezionatore aperto sia quello in ingresso alla cabina 3, come in figura, le cabine 1 e 2 risultano alimentate dal distributore a, le cabine 3, 4 e 5 da b. Supponendo che si verifichi un guasto in un tronco qualunque tra due cabine, ad esempio in A, con una serie di operazioni in sequenza si riesce ad individuare il tronco guasto e ad escluderlo dal servizio, riuscendo a rialimentare tutte le cabine dopo il primo guasto e a ripristinare la continuità di servizio.
Va osservato che i sezionatori sono dispositivi di manovra a comando manuale, destinati ad essere azionati soltanto in assenza di carico (sezionatori a vuoto), cioè non sono organi abilitati ad interrompere la corrente, ma vengono utilizzati per aprire e chiudere una linea a vuoto.
Si distinguono dagli interruttori automatici che, dotati di sganciatori di sovracorrente (sovraccarichi e cortocircuiti), possono aprire e chiudere correnti fino ad un valore prestabilito (potere di cortocircuito).
I sezionatori quindi lasciano passare la corrente di cortocircuito per cui sono però dimensionati attraverso il ramo b fino al punto di guasto A. Interviene, dopo un certo tempo, l’interruttore automatico b, l’unico organo di protezione in grado di intervenire automaticamente, dotato di relè di sovracorrente che, sensibile alla differenza tra la corrente di esercizio normale e quella di cortocircuito, comanda lo sgancio dell’interruttore.
Vengono quindi eliminate dal servizio tutte le cabine alimentate dal distributore b (5, 4 e 3).
A questo punto un operatore della MT viene avvisato e, procedendo per tentativi allo scopo di individuare il tronco guasto, apre ad esempio il sezionatore di uscita della cabina 4.
Successivamente, chiudendo l’interruttore b, viene restituita l’alimentazione alle cabine 5 e 4. Essendo la manovra coronata da successo, cioè l’interruttore b non si riapre, si deduce che il guasto si è verificato tra le cabine 4 e 3 ( in caso di riapertura dell’interruttore b si sarebbe dovuto procedere all’apertura dei sezionatori di uscita delle cabine a monte della 4, uno alla volta fino all’individuazione del tronco guasto) .
La cabina 3 è ancora esclusa dal servizio, quindi l’operatore chiede il disalimento del ramo a per poter procedere alla chiusura del sezionatore che risulta aperto nella cabina 3, aprendo l’altro. Infine viene rialimentato il distributore a, chiudendo l’interruttore omonimo.
Tutte le cabine vengono rialimentate ma solo dopo il periodo di disservizio necessario per compiere le operazioni descritte di individuazione del guasto e di messa fuori servizio del tronco guasto.
Quindi il sistema ad anello aperto è un sistema che garantisce la continuità del servizio, ma con una interruzione che dipende dalla tempestività delle squadre di manutenzione e dalla gestione del sistema. La struttura ad anello aperto è dunque semplice e poco costosa; l’incremento di costo è marginale rispetto ad una rete radiale che alimenta lo stesso numero di cabine, perché dovuto al solo tronco collegante le cabine 2 e 3 con l’aggiunta di due sezionatori. Infatti in caso di distribuzione radiale si sarebbe dovuto costruire la linea del ramo a che alimenta 1 e 2 e quella del ramo b per le 5, 4 e 3.
Un sistema radiale si usa quando il problema della continuità di servizio non è rilevante; dove è importante garantire la continuità, si ricorre al sistema ad anello aperto. A Bari tutta la distribuzione MT è ad anello aperto.
- distribuzione ad anello chiuso
Tutti i sezionatori sono sostituiti da interruttori automatici, ognuno dei quali dotato di due relè: uno di sovracorrente sensibile al passaggio della corrente dal valore di esercizio a quello di cortocircuito, e uno direzionale sensibile alla direzione del flusso di potenza indipendentemente dalla sua entità.
La differenza sostanziale con la rete ad anello aperto sta nel fatto che, in caso di cortocircuito in un tronco (ad esempio punto A), entrambi i distributori a e b sono interessati da un flusso di corrente di cortocircuito mentre nella rete ad anello aperto, analogamente ad un distributore radiale, il flusso di corrente di cortocircuito interessa un solo ramo.
L’obiettivo che ci si propone di realizzare è che, in presenza di guasto in un punto della linea, i primi interruttori ad intervenire siano quelli immediatamente a monte e a valle del punto di guasto, cioè quelli che tra cabine consecutive vedano un flusso di corrente di cortocircuito uscente dalle sbarre verso l’interno del tronco.
Occorre pertanto realizzare la selettività delle protezioni della rete. Per selettività si intende l’esclusione dal servizio in caso di guasto del minimo tratto di rete, in modo da restituire il sistema (eccetto quella parte) nelle condizioni normali di esercizio (condizioni eventualmente dequalificate, che garantiscono cioè la continuità del servizio anche se ad un numero minore di utenti).
Ad esempio, nel caso di rete radiale, si realizza la selettività di intervento mediante interruttori automatici dotati di relè di sovracorrente con ritardi decrescenti da monte verso valle.
In tale caso non è necessario il relè direzionale, perché il verso della corrente di cortocircuito per un guasto in un qualunque punto della rete è univoco, a differenza del caso di rete ad anello chiuso in cui il verso dipende dal punto in cui si verifica il guasto.
L’interruttore 1 interviene per primo; l’interruttore 2 interviene per secondo se il primo non è intervenuto, e così via.
Nel caso di rete ad anello chiuso, potendosi stabilire in ogni tronco flussi di potenza di cortocircuito orari e antiorari, ci si può ricondurre al caso di rete radiale separando “artificialmente” i due flussi.
Per lo scopo ci si serve dei relè direzionali che danno il consenso ai relè di sovracorrente solo se la direzione del flusso di potenza è quella uscente dalle sbarre verso l’interno del tronco.
Per flussi di potenza di cortocircuito orari sono preposti all’intervento gli interruttori 1,3,5,7,9,11; gli altri sono insensibili.
Analogamente, per flussi di potenza antiorari, sono preposti all’intervento gli interruttori 2,4,6,8,10,12.
Per realizzare la selettività delle protezioni si può ricorrere, come 1° metodo, ai relè di sovracorrente ritardati, sfruttando quindi i ritardi di tempo per il coordinamento degli interruttori.
Per far sì che in caso di guasto sia escluso il minimo tratto di rete, si tarano i ritardi dei relè di sovracorrente in maniera decrescente andando dalla partenza all’arrivo nel verso di percorrenza considerato dei fittizi distributori radiali costruiti. Tali distributori hanno rispettivamente, nel caso di flusso orario, come partenza l’interruttore 1 e come arrivo l’interruttore 11 e, nel caso di flusso antiorario, come partenza l’interruttore 12 e come arrivo l’interruttore 2.
Quindi gli interruttori più rapidi ad intervenire sono quelli nei punti più distanti procedendo nel verso della corrente di cortocircuito considerato. Così facendo in caso di guasto in un punto della linea, il primo interruttore ad intervenire sarà il più prossimo al guasto, cioè quello immediatamente a monte procedendo in ciascun verso considerato.
In caso di cortocircuito nel punto A vi è un tratto interessato dalla corrente di cortocircuito in verso orario per il quale sono abilitati all’intervento gli interruttori 1, 3, 5, 7 perché aventi il consenso dagli elementi direzionali e un tratto interessato dalla corrente di guasto in verso antiorario per il quale sono abilitati all’intervento gli interruttori 12, 10, 8. Gli altri restano insensibili al flusso della corrente di cortocircuito.
Una volta abilitati gli interruttori 1, 3, 5, 7, 8, 10, 12, agiscono i relè di sovracorrente entrando in gioco i diversi ritardi stabiliti. Pertanto intervengono gli interruttori con i ritardi più brevi, cioè 7 e 8, in assenza di guasti sul sistema di protezione, escludendo il tronco tra di essi compreso e quindi mantenendo alimentate tutte le cabine.
Nel caso 7 e 8 non intervenissero (uno di essi o magari entrambi per incollamento dei contatti), interverrebbero 5 e 10 e così via, escludendo un tratto maggiore di quello appena sufficiente per il ripristino del servizio.
Infatti, secondo la filosofia impiantistica, poiché il guasto prima o poi si verificherà e poiché la protezione potrebbe non intervenire, è opportuno predisporre delle protezioni di riserva (back-up) il cui intervento determinerà di conseguenza l’esclusione di tronchi via via crescenti e quindi livelli di dequalificazione del servizio sempre maggiori (nell’esempio, qualora non intervenga l’interruttore 8, interverrà l’interruttore 10 e pertanto la cabina C4 resterà fuori dal servizio).
Il sistema di protezioni deve comunque garantire che, al primo guasto, tutte le cabine di trasformazione continuino ad essere alimentate, ripristinando così le condizioni iniziali di esercizio. Laddove ciò non fosse possibile si procederà all’eliminazione di una parte maggiore di rete.
OSSERVAZIONI
Nell’intervallo di 0.3sec. bisogna considerare oltre al tempo di ritardo meccanico di apertura dell’interruttore, il tempo necessario perché l’arco elettrico che si instaura tra il contatto mobile e quello fisso si estingua. Infatti dall’istante in cui il relè alimenta la bobina di sgancio e il contatto mobile si allontana dal contatto fisso trascorre un tempo Dt necessario affinchè l’arco elettrico, che mantiene la continuità elettrica, si deionizzi aprendo il circuito e interrompendo la continuità.
Se si disponesse di interruttori in cui all’allontanamento dei contatti corrispondesse l’immediata estinzione dell’arco, il ritardo potrebbe essere ridotto a centesimi di secondo. Questi sarebbero interruttori ideali.
Nella pratica gli interruttori sono di qualità tanto migliore quanto minore è tale ritardo, pertanto il ritardo di 0.3sec. è dettato dalle caratteristiche proprie dell’interruttore.
Una riduzione di tale tempo sarebbe vantaggiosa per il dimensionamento di tutti gli elementi della linea in relazione alle correnti di cortocircuito; un ritardo di 1,6sec. come quello degli interruttori a monte dell’anello, è un tempo molto elevato che in presenza di correnti di cortocircuito corrisponde ad un’energia dissipata notevolissima che può condurre alla fusione dei conduttori.
Anche l’interruttore 3 può essere reso non direzionale perché se non lo fosse non ci sarebbero problemi per guasti a valle del 3, mentre l’unico errore di comportamento potrebbe verificarsi in caso di guasto nel tronco tra gli interruttori 1 e 2; in quest’ultimo caso infatti il flusso di potenza di cortocircuito visto dall’interruttore 3 sarebbe antiorario, cioè di direzione contraria a quella secondo cui il 3 avrebbe dato il consenso qualora fosse stato direzionale. Avendo reso il 3 non direzionale, esso verrà comunque abilitato. Però, osservando i tempi di ritardo, si nota che in tal caso interverrà sicuramente l’interruttore 2, dotato di ritardo di 0.1sec.<<1.3sec, cioè non c’è conflitto tra gli interruttori 2 e 3.
Se non intervenisse il 2 interverrebbe il 4, con ritardo di 0.4sec<1.3sec; se non intervenisse il 4 interverrebbe il 6 con ritardo di 0.7sec<1.3sec, ma con una differenza tra i ritardi che va via via diminuendo e quindi un maggior rischio di conflitto fra gli interruttori.
Occorre comunque assicurarsi che ci sia almeno un livello di back-up; è una questione di scelta progettuale quanti livelli di back-up garantire (si può arrivare anche a 5 livelli di back-up).
Per ragioni analoghe anche l’interruttore 10 può essere non direzionale, così come gli interruttori 5 e 8. Infatti, pur abilitandosi ad esempio l’interruttore 5 in caso di guasto tra 4 e 3, interverrà il 4 dotato di ritardo di 0.4sec<1.0sec. Qualora non intervenisse il 4, dovrebbe intervenire il 6 prima del 5 se si vuole garantire almeno un livello di back-up e infatti 0.7sec<1sec. In quest’ultimo esempio però, essendosi ridotta la differenza di tempi esistente tra gli interruttori 5 e 6 di tipo diverso (direzionale e normale) potrebbe verificarsi un errato intervento a causa di una cattiva taratura dei relativi tempi.
Stesse considerazioni sono valide per l’interruttore 8.
Quindi gli interruttori 1 e 12, 3 e 10, 5 e 8 sono costituiti da relè di sovracorrente ritardati; gli altri sono costituiti anche da relè direzionali.
In generale si può dire che, se i tempi degli interruttori all’uscita di una cabina sono uguali, gli interruttori devono essere direzionali entrambi; se un tempo è minore dell’altro, l’interruttore che ha tempo minore deve essere direzionale.
Realizzando il sistema di protezione col metodo tradizionale (1° metodo) si è costretti a ricorrere ai ritardi di tempo per coordinare le protezioni, e ciò comporta lo svantaggio di aumentare i ritardi a mano a mano che il guasto diventa più grave, cioè a mano a mano che il guasto si avvicina alla sorgente. Ad esempio in caso di guasto tra gli interruttori 1 e 2, pur intervenendo 2 dopo 0.1sec, comunque il guasto resterà alimentato da una parte per 1.6sec, cioè per un tempo elevato a cui è associata, in presenza di corrente di cortocircuito, una notevole energia specifica passante che può danneggiare i cavi. Questo è un inconveniente tipico dei sistemi di protezione in cui si usa la graduazione dei tempi di intervento.
Per realizzare la selettività delle protezioni è possibile ricorrere ad un 2° metodo più costoso del 1°, ma che permette di ridurre al minimo il tempo di permanenza del guasto, riuscendo ad eliminarlo in 0.1¸0.2sec e quindi riducendo i danni sui cavi e le conseguenze del guasto.
L’individuazione del tronco guasto viene realizzata attraverso un sistema di comunicazione tra gli interruttori da un estremo all’altro di ogni tronco; ad esempio nel caso di cortocircuito nel punto A, l’interruttore 7, che “vede” un flusso di potenza di cortocircuito diretto verso l’interno del tronco a cui appartiene, ricevendo dall’interruttore 8 l’informazione di un flusso visto dall’interruttore 8 stesso diretto anch’esso verso l’interno, può individuare immediatamente che il tronco guasto è quello compreso tra 7 e 8, cioè quello di sua competenza e non uno a valle e quindi intervenire col minimo ritardo di tempo.
Attivando quindi un sistema di comunicazione tra gli interruttori e determinando così l’intervento solo di quegli interruttori che tra cabine consecutive “vedono” un flusso di corrente di cortocircuito uscente dalle cabine e diretto verso l’interno del tronco si riesce a garantire la continuità di servizio escludendo la minima parte di rete col minimo ritardo di tempo. Un sistema nel quale gli interruttori possono scambiarsi informazioni tra loro è costoso perché implica una rete supplementare realizzata mediante fibre ottiche oppure mediante un collegamento a filo pilota.
OSSERVAZIONE
La distribuzione ad anello chiuso è più vantaggiosa di quella ad anello aperto perché restituisce il sistema in condizioni normali di esercizio dopo un tempo minore. Il problema è che si usano solo interruttori automatici, molto più costosi dei sezionatori ( dovendo i primi aprirsi anche su correnti di cortocircuito). Questo sistema è usato in Italia solo su alcune strutture di rete dove è indispensabile la continuità di servizio dopo il 1° guasto, ad esempio negli aeroporti.
L’ENEL ricorre maggiormente a strutture ad anello aperto soprattutto in città, cioè a strutture praticamente radiali, ma con la possibilità di rialimentazione, in caso di guasto, dall’altra parte.
Negli Stati Uniti si ricorre a strutture magliate sia in MT che in BT cioè a strutture complesse in cui le varie cabine possono essere alimentate da diverse linee.
Per le reti di distribuzione a BT in Italia si ricorre maggiormente ad una distribuzione di tipo radiale, in cui la rete di ciascuna cabina è separata e indipendente da quella delle altre cabine e, in servizio normale, ciascun circuito è alimentato da una sola parte (anche se sono previsti, in caso di guasto, collegamenti di emergenza tra un circuito e l’altro).
Impianti utilizzatori all’interno di grandi stabilimenti industriali possono presentare struttura magliata.
Fonte: ftp://dee.poliba.it/Bronzini/Politecnico%20di%20Bari/Ing.%20Elettrica/Impianti%20Elettrici%201/Esercitazioni%20didattiche/Reti%20di%20distribuzione%20in%20MT/Patano%20-%20Sgaramella/Reti%20di%20distribuzione.doc
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