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STORIA DELLA SCOPERTA DELL'ISOCRONISMO DEL PENDOLO
VINCENZO VIVIANI, allievo di Galilei, ha raccontato in più occasioni ufficiali, anche se con parole diverse, come Galileo ebbe l’idea dell’isocronismo del pendolo, osservando oscillare una lampada nel Duomo di Pisa. Ne ha scritto una prima volta nel Racconto istorico della vita del Sig.r Galileo Galilei (1654):
In questo mentre con la sagacità del suo ingegno inventò quella semplicissima e regolata misura del tempo per mezzo del pendulo, non prima da alcun altro avvertita, pigliando occasione d'osservarla dal moto d'una lampada, mentre era un giorno nel Duomo di Pisa; e facendone esperienze esattissime, si accertò dell'egualità delle sue vibrazioni, e per allora sovvennegli di adattarla all'uso della medicina per la misura della frequenza de' polsi, con stupore e diletto de' medici di que' tempi e come pure oggi si pratica volgarmente: della quale invenzione si valse poi in varie esperienze e misure di tempi e moti, e fu il primo che l'applicasse alle osservazioni celesti, con incredibile acquisto nell'astronomia e geografia.
Un’altra volta ha ricordato questo episodio nella Lettera al Principe Leopoldo De’ Medici intorno all’applicazione del pendolo all’orologio :
Trovatasi il Galileo, in età di venti anni in circa, intorno all’anno 1583 nella città di Pisa, dove per consiglio del padre s’era applicato alli studi della filosofia e della medicina; et essendo un giorno nel Duomo di quella città, come curioso ed accortissimo che egli era, caddegli in mente d’osservare dal moto di una lampana, che era stata allontanata dal perpendicolo, se per avventura i tempi delle andate e tornate di quella, tanto per gli archi grandi che per i mediocri e per i minimi, fossero uguali, parendogli che il tempo per la maggior lunghezza dell’arco grande potesse forse restar contraccambiato dalla maggior velocità con che per esso vedeva muovere la lampana, come per linea nelle parti superiori più declive.
Sovvennegli dunque, mentre questa andava quietamente muovendosi, di far di quelle andate e tornate un esamine, come suol dirsi, alla grossa per mezzo delle battute del proprio polso e con l’aiuto ancora del tempo della musica, nella quale egli già con gran profitto erasi esercitato; e per allora da questi tali riscontri parsegli non aver falsamente creduto dell’egualità di quei tempi. Ma non contento di ciò, tornato a casa, pensò, per meglio accertarsene, di così fare.
Legò due palle di piombo con fili d’egualissime lunghezze, e da gli estremi di questi le fermò pendenti in modo che potessero liberamente dondolare per l’aria (che con ciò chiamò poi tali strumenti dondoli o pendoli); e discostandole dal perpendicolo per differenti numeri di gradi, come, per esempio, l’una per 30, l’altra per 10, lasciolle poi in libertà in un istesso momento di tempo: e con l’aiuto di un compagno osservò che quando l’una per gli archi grandi faceva un tal numero di vibrazioni, l’altra, per archi piccoli ne faceva appunto altrettante.
[…] e replicato questo più volte, e trovato per tutti gl’archi et in tutti i numeri sempre rispondere l’osservazioni, ne inferì ugualissima esser la durazione tra l’andate e le tornate d’un medesimo pendolo, grandissime o piccolissime che elle fossero, o non iscorgersi almeno tra loro sensibile differenza, e da attribuirsi all’impedimento dell’aria, che fa più contrasto al grave mobile più veloce che al meno.
[…] Assicuratosi dunque il Galileo di così mirabile effetto, sovvennegli per allora d’applicarlo ad uso della medicina per la misura dell’accelerazioni de’ polsi, come pur tuttavia communemente si pratica.
Fonte: http://digilander.libero.it/amaccioni1/Documenti/IA_COMMENTO%20SULLA%20SCOPERTA%20DELLO%20ISOCRONISMO%20DEL%20PENDOLO_Viviani.doc
Sito web da visitare: http://digilander.libero.it/amaccioni1/
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