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di Claudio Giorlandino
Docente Universitario e Direttore Scientifico dell’Istituto Artemisia, Roma
L’indagine sullo stato della diagnosi prenatale in Italia ha preso in considerazione gli aspetti più “calcolabili” e misurabili di tale fenomeno che, come vedremo, risulta in crescita in tutto il mondo occidentale.
Questa situazione, in realtà, riflette quella emergente in tutto il mondo Occidentale.
In Francia dove i laboratori di genetica sono molto diffusi, nella sola Parigi, vi è oltre la metà del numero dei laboratori italiani. (si calcoli che, in questa città, si contano, tra pubblici e privati, oltre 200 laboratori di analisi che, nella quasi totalità, offrono un panel più o meno ampio di esami di biologia molecolare e/o citogenetica).
Negli Stati Uniti ed in Inghilterra, poi, i Centri sono tanto numerosi da non poterne individuare il numero esatto. L’unico dato censibile è quello relativo agli esami del DNA eseguiti, negli S.U., nell’ambito dell’attività forense. Questi, nel 2000, furono circa 148.000! (dati Forensic Nurse 2003). Se anche lì, come da noi, il rapporto numerico tra esami di genetica clinica rispetto a quelli di genetica forense fosse di oltre 100:1, ciò vorrebbe dire che, negli Stati Uniti, il numero annuale di test di biologia molecolare è di decine di milioni.
Del resto, basta consultare l’industria produttrice o distributrice di Kit diagnostici per avere risposte del tutto aderenti a questi numeri.
Addirittura in Svezia, da taluni presa ad esempio di corretto utilizzo dei laboratori di genetica, ammesso che l’Europa o gli Stati Uniti debbano prendere esempio da un Paese che presenta un’organizzazione sociale e sanitaria difficilmente comparabile con quella italiana, inglese, tedesca, francese o nordamericana, da alcuni anni sta sorgendo, anche qui, una medicina privata in forte crescita e, basta sfogliare Gula Sidorna (le pagine gialle svedesi), per trovare diversi centri privati per l’analisi del DNA. E, c’è da dire, che ogni riferimento alla possibilità di far proprio il modello svedese, sinceramente fa sorridere. Basti pensare che in Svezia, dove l’organizzazione sanitaria è praticamente tutta statale, i medici lavorano esclusivamente per linee-guida nazionali basate sul costo-beneficio (per ottimizzare i consumi). Si rifletta sul solo fatto che, in Svezia, i parenti di un paziente che viene sottoposto ad intervento chirurgico, possono usufruire di un hotel gratuito (patient’ hotel) per tutto il periodo dell’intervento stesso.
Per quanto attiene all’incremento del numero delle diagnosi prenatali questo è un riscontro internazionale. Dai risultati dell’ultimo annual report of clearinghouse for birh defects monitoring System, inoltre, anche la percentuale delle donne che si rivolgono all’amniocentesi sotto i 34 anni è cresciuta, in tutti gli Stati, non solo in Italia, passando dal 20% del 1993 al 50% 1999, ed è in continuo aumento.
Per quanto riguarda i test genetici pre-impianto, benché l’Organizzazione Mondiale della Sanità, (atti conclusivi del Department of Reproductive Health and Research, family and Community health, Geneva 2002) pone l’accento sulla grande importanza e necessità, di tali test, l’attuale Legge sulla fertilizzazione, ora sotto la scure del Referendum popolare abrogativo, li vieta.
Al fine di fugare ogni dubbio sulla mala gestio della genetica in Italia si devono, per onestà culturale, fare le seguenti considerazioni:
- I Centri di genetica sono in progressivo aumento in tutto il mondo occidentale, moltiplicandosi a migliaia a seguito dello straordinario interesse degli scienziati del giorno d’oggi e della Collettività. La diagnosi prenatale invasiva, dai dati emersi dall’appena concluso simposio di Los Angeles dell’ American Society of human genetics dimostrano che negli Stati uniti 1 donna su 4 (25%) si rivolge all’amniocentesi! In Francia addirittura il 60% delle donne che eseguono la diagnosi prenatale lo fanno privatamente, essendo al di sotto dell’età considerata “limite” per il sistema sanitario nazionale. Nel Regno Unito si stanno varando programmi di screening prenatale che prevedono l’introduzione, oltre alla diagnosi citogenetica, di test per la fibrosi cistica e per l’X-fragile.
Eseguire esami prenatali invasivi solo dopo i 35 anni (solo perché, negli anni 70, si stimava che il rischio di avere un figlio Down si calcolava essere maggiore del rischio di aborto insito nelle metodiche) è una considerazione inattuale e non più accettata per le seguenti considerazioni:
1) Il rischio di aborto di un’amniocentesi è divenuto molto più basso che in passato.
2) L’esperienza negativa di un figlio con una anomalia cromosomica è la medesima sia a 20 che a 40 anni e, benché il rischio sia minore nelle giovani, le coppie, oggi, desiderano pochi figli, ma sani. Del resto, è dato oggettivo che i nati con anomalie del cariotipo provengono, oggi, quasi esclusivamente da donne giovani (infatti le attempate si sottopongono alla diagnosi prenatale)
3) In tutto il mondo occidentale la crescita di tali esami è esponenziale ( Cfr l’annual report of clearinghouse for birth defects monitoring System.) l’Italia, secondo i dati internazionali riportati, si affianca (non precede) altre Nazioni, come Francia, Inghilterra, Stati Uniti ecc.
4) sempre dai dati del l’annual report of clearinghouse for birth defects monitoring System, nei Paesi, come l’Italia, dove la diagnosi prenatale è in aumento, il numero dei nati con anomalie è in riduzione.
Le differenze con i Paesi, come la Norvegia, nella quale la Diagnosi Prenatale è modesta rispetto ad altri, è drammatica. In Norvegia nascono 12 feti Down su 1.000 in Italia siamo al di sotto di 3.
5) Gli esami attuali del DNA prevedono anche la possibilità di screenare un numero elevato di malattie genetiche dando, ai genitori, tanta serenità. Questi test stanno per diventare sempre più attendibili e, con l’introduzione delle nanotecnologie e microchip diagnostici, sempre più esenti da errori e sempre più completi
6) Il Legislatore sancisce che la maternità sia libera e responsabile, pertanto, se una famiglia vuole essere informata sullo stato di salute di suo figlio fin da prima della nascita, è un suo assoluto diritto. Tanto più che non grava sul SSN, giacchè, per le coppie giovani, quest’ultimo non copre il costo dell’esame.
7) Le vertenze medico legali interessano ESCLUSIVAMENTE casi di mancata diagnosi (indipendentemente dall’età). Non vi è mai stata una lagnanza per un esame di troppo.
- La libera scelta di ogni individuo a sottoporsi ed a pagare di sua tasca un test diagnostico, nel nostro Paese è ancora, per fortuna, garantita e protetta dalla Legge e dalla Costituzione.
Ma soprattutto:
- la medicina Occidentale è ad una svolta, non più medicina delle malattie ma medicina della prevenzione e, questo, è solo possibile attraverso l’impulso ai test genetici (diagnostici e di suscettibilità)
- Il primato dei test genetici oltre ad essere il primato della prevenzione è anche il primato del risparmio economico sanitario. Pensiamo alle ricadute di un esame genetico negativo. Ci si immagini quanto risparmio in esami di routine e controllo. Si pensi all’enorme contrazione dei consumi in medicinali preventivi e, soprattutto, quanta tranquillità in tante persone che, terrorizzate, ad esempio, per la presenza di una familiarità specifica si vedono rassicurate da un esame del DNA.
- Ogni specialista, Cardiologo, Ostetrico, Pediatra, Oncologo ecc dispone oggi e disporrà sempre di più, di un armamentarium diagnostico e predittivo impensabile ed irrinunciabile, lasciando, al suo intuito ed alle leggi probabilistiche della casualità genetica, sempre meno spazio in favore di esami semplici, poco costosi, certi.
Ma analizzando più dettagliatamente il quadro nazionale, così come voluto dall’attuale Ministro delle Pari Opportunità, Stefania Prestigiacomo (che ha istituito una Commissione ad hoc) il quadro appare il seguente:
In Trentino Alto Adige, in considerazione del progressivo aumento dell’età delle gestanti (14% oltre i 34 anni) il ricorso alla diagnosi prenatale invasiva è piuttosto elevato. Benchè i dati ottenibili non sono certi a causa di un evidente e grave underreporting, si può ritenere che nella popolazione a maggior rischio (oltre i 34 anni) il ricorso alla diagnosi prenatale invasiva non supera il 50%.
Ciò che risulta molto evidente è la profonda differenza fra le città e le valli nonché la differenza fra gruppi etnici su base ideologica e soprattutto culturale.
Esistono alcune curiose differenze fra i gruppi etnici come nella richiesta di conoscenza del sesso del nascituro più frequente nella popolazione di lingua italiana mentre più rara in quella di lingua tedesca e ladina
Nel Triveneto vi è una crescente domanda da parte dell’utenza. Le normative di legge prevedono una possibilità di praticare, con esenzione della spesa, 3 ecografie per ogni gravidanza. Nonostante il potenziamento dei centri di ecografia pubblici, molte gravide non riescono ad essere seguite nelle strutture regionali o convenzionale e si rivolgono alle strutture private.
La qualità degli esami, nei centri pubblici o privati, è ritenuta buona in circa il 60% dei casi. La soddisfazione è altrettanto buona nella stessa percentuale.
Esiste una mancanza di coordinamento nei percorsi che le gravide debbono eseguire in caso di necessità di approfondimenti o di problematiche emergenti.
In considerazione del grande numero di strutture che offrono il servizio di diagnosi prenatale invasiva, molte di queste ne eseguono un basso numero. Questo produce una riduzione della qualità dei servizi ed un aumento delle spese. Infatti nel Triveneto oltre l’80% degli ospedali esegue l’amniocentesi e circa il 60% la villocentesi.
Non si registrano dati precisi sull’accesso DP invasiva. Si conosce invece che esiste un progressivo aumento di richiesta di amniocentesi (13%) e di villocentesi (10%) che si avvicinano a tali esami senza una necessità specifica.
Risulta inoltre che nel Triveneto il numero di laboratori di citogenetica sia pubblici che privati, è insufficiente a coprire la richiesta. Ciò ha prodotto una emigrazione verso altre regioni.
Anche nel Friuli-Venezia-Giulia il numero delle donne che partoriscono oltre i 35 anni si è incrementato, nell’ultimo decennio, passando dal 12 al 20%. Di conseguenza è cresciuto il ricorso alla diagnosi prenatale invasiva. Attualmente in tale regione si è arrivati al 20% delle gravidanze.
Nei 10 centri di diagnosi prenatale si copre oltre il 90% della richiesta.
Si segnala che in base all’orientamento culturale degli operatori, vi è un progressivo aumento dei test di screening ed in particolare di translucenza nucale.
In Piemonte il numero delle nascite è di 34000 bambini/anno. La percentuale delle donne che partoriscono intorno ai 35 è salita al 19%.
Le strutture ospedaliere ed operatori interessati alla medicina prenatale aumentano progressivamente. L’attività di screening si basa molto sull’esecuzione del Tritest che, contrariamente alle altre regioni, resiste ancora in larga misura per tradizione, essendo stata, questa metodica, sviluppata 20 anni or sono nell’ambiente culturale torinese.
Le diagnosi prenatali invasive sono poco diffuse. Circa 5500 amniocentesi, 500 villi coriali nella struttura pubblica e 300 diagnosi prenatali nei centri privati.A questi numeri corrisponde una percentuale solo del 4% delle donne che partoriscono. Anche se tale percentuale fosse ampiamente sottostimata, bisogna considerare che, in ogni modo, in questa regione il ricorso alla diagnosi prenatale invasiva è comunque basso.
Quasi tutto è pubblico. La parte accreditata è molto scarsa. Il servizio negli ospedali è buono. La maggior parte delle indagini prenatali vengono eseguite presso l’Ospedale Sant’Anna dove afferiscono circa 1/5 dei parti del Piemonte. Il servizio è curato molto bene, il grado di soddisfazione da parte della popolazione sembra essere buono.
Esiste un gran numero di piccole strutture ambulatoriali sul territorio che vengono fortemente sottoutilizzate mentre, contemporaneamente, le strutture maggiori o di riferimento talvolta mancano di mezzi adeguati.
La Valle d’Aosta può essere considerata come un sorta di laboratorio ideale, per lo studio delle dinamiche di tale area tematica, in considerazione del fatto che esiste un unico ospedale con unico reparto di ostetricia e ginecologica e quindi unico punto nascita per tutta la Regione. Non esistono strutture private.
Vi è una elevata domanda di diagnosi prenatale (amniocentesi) che, in tale Regione, arriva ad essere eseguita dal 50% delle donne gravide.
In considerazione della epidemiologia regionale, vi è una ridotta esperienza nella gestione della patologia rara. Anche questo aspetto si riferisce alla necessità di avere a disposizione, per problematiche inerenti la diagnosi prenatale, centri di alta specializzazione con casistica numerosa.
Nella Regione Liguria esistono 12 centri ospedalieri di diagnosi prenatale. Non si hanno notizie riguardanti centri privati. Nella Regione nascono 11.000 bambini l’anno .
In tale Regione si è istituito, sulla base della legge 3 del 19 gennaio 2001, con DGR. N 1562 del 20 dicembre 2001, un dipartimento di genetica nel quale confluiscono tutti i servizi di genetica costituitisi nel corso degli anni, presso cliniche universitarie, istituti scientifici, ospedali e singoli ricercatori che hanno fatto di tale regione un punto di riferimento per una serie di malattie geneticamente trasmesse. Attualmente sono operative 4 strutture complesse di genetica e 15 laboratori di genetica e biologia molecolare afferenti a diverse strutture integrate. Nel 2001 sono state praticate circa 3.700 diagnosi prenatali invasive . Delle diagnosi prenatale invasive circa 3.100 nelle strutture pubbliche e 600 in quelle private. Esistono 5 laboratori (3 pubblici e 2 privati), 13 centri di prelievi, 35 operatori.
Secondo indicazioni delle Società di Genetica (dati NON confermati), i servizi stessi si dovrebbero rivolgere a bacini di utenza non inferiori a 2,5-3 milioni di abitanti (parametri minimi europei) al fine di raggiungere criteri di efficienza, qualità, economicità.
In tale ottica si intende come la struttura ligure sia esageratamente ipertrofica rispetto alle necessità regionali, ma risulta che un gran numero di diagnosi prenatali derivano da Regioni diverse. Cionondimeno si segnala che la rete dei servizi della diagnosi genetiche è ipertrofica e sproporzionata rispetto a quella europea (secondo i dati, sempre NON confermati, della Società di Genetica Umana il 36% dei servizi di genetica molecolare in Europa si trova in Italia)
In Emilia Romagna da una indagine del 1997 risulta che ogni donna in gravidanza esegue almeno 5 ecografie ed l 20% viene sottoposto ad una diagnosi prenatale invasiva.
La ricaduta della diagnosi prenatale è dimostrata dalla riduzione delle malformazioni congenite alla nascita ed in particolare della sindrome di Down.
In tale regione si segnala un esagerato ricorso, in certe realtà locali, alla diagnosi prenatale, oltre i limiti di raccomandazione degli organismi scientifici. Manca spesso una razionalizzazione delle risorse che, se meglio utilizzate, consentirebbero di mantenere uguale l’efficacia diagnostica a fronte di un notevole risparmio di diagnosi invasive.
La diagnosi prenatale e la medicina fetale sono in una fase di sviluppo molto rapida; un programma efficace dovrebbe essere sviluppato secondo livelli di competenza, un primo livello che depisti la paziente con la patologia o fattori di rischio, un livello più elevato con una maggiore competenza specialistica per provvedere alla diagnosi e alla terapia, che può richiedere interventi di intensità e specificità molto elevate (terapie fetali, interventi chirurgici sul neonato); in questo momento, non esiste nell’ambito della Regione Emilia Romagna un sistema organizzato in tal senso. Esistono centri di elevata competenza che operano come centri di riferimento, senza tuttavia che esistano percorsi prestabiliti per le pazienti. D’altra parte, i centri di riferimento, soprattutto per quanto riguarda la componente ostetrica, risultano sottodimensionati. In generale, le pazienti nelle quali le indagini prenatali rilevano l'esistenza di reperti patologici o dubbi trovano grandi difficoltà ad accedere a centri specialistici.
Nella Regione Toscana 5 sono i maggiori poli di natalità. Esistono 10-15 centri di diagnosi prenatale tra pubblico e privato. Il 95% delle donne vengono correttamente informate in merito alla diagnosi prenatale invasiva. Di questo il 40-50% si sottopone a tale indagine. 36 anni è l’età media delle donne che hanno il primo figlio e la Regione garantisce loro 3 ecografie gratuite a gravidanza. Fatti salve situazioni locali, si assiste ad un costante e continuo miglioramento delle prestazioni erogate in materia di tutela della gestante sotto il profilo della diagnostica prenatale. Il Registro Toscano dei difetti Congeniti rappresenta il polso della nostra capacità diagnostica che vede, nell’ultimo report 2000, un buon trend di rilevamento ecografico comparabile e talvolta superiore a quello documentato dagli altri registri europei. Ma sostanzialmente inferiore ad altri registri del Nord Est. Se invece prendiamo in considerazione i dati del Sistema informativo integrato per le malformazioni congenite del Ministero della Salute, la Regione si colloca nei valori medi nazionali.
La diagnosi prenatale, leggi 3 ecografie, consulenza genetica, eventuale diagnostica invasiva, eco di II livello copre il fabbisogno regionale con un indice di soddisfazione accettabile.
La Regione Toscana ha un occhio attento verso le proprie donne e, oltre a voler istituire sul territorio un ambulatorio di consulenza genetica, produce continuamente corsi di aggiornamento per i propri operatori sia del comparto medico che paramedico.
Nella Regione Marche l’offerta di diagnosi prenatale è diversificata, ricca e distribuita su tutto il territorio. Nel corso del 2001 tra prestazioni di screening e di diagnosi prenatale circa il 20% della popolazione gravida ha usufruito di tali servizi. Usufruiscono della diagnosi prenatale invasiva meno del 10% della popolazione gravida. In considerazione del fatto che il laboratorio di citogenetica è in misura pressoché totale centralizzato, in tale Regione vi è una razionalizzazione delle risorse e del servizio laboratoristico. ciononostante va detto che su circa 1000 diagnosi prenatali eseguite in circa 10 centri, per 7 di questi non si arriva a 100 diagnosi l’anno. Ciò riduce ovviamente la qualità a vantaggio di una maggiore distribuzione sul territorio.
Il Molise è una Regione piccola e povera. Il grado culturale medio non è elevato. Vi sono cinque punti nascita 2 di Primo 2 di Secondo e 1 di Terzo livello. Molti sono i punti deboli in quello di Terzo. Il Tritest non ha avuto successo. Qui, come anche altrove, invece di ottenere un effetto di riduzione sulla DP, l’ha aumentata inducendo spesso ansie ingiustificate (molti falsi positivi)
Nei centri di diagnosi prenatale si avvicinano anche gravidanze nel mondo della tossico-dipendenza e HIV. Il centro di 3 livello è abbastanza organizzato e la risposta dell’utente è buona.
È mancante un supporto economico ed assistenziale dove le situazioni si presentano pesanti.
In Abruzzo si registrano circa 12000 parti l’anno. Per molti aspetti tale Regione si avvale della vicinanza di Roma.
La diagnosi prenatale si esegue nei 2 centri di Chieti e di Pescara dove si praticano essenzialmente amniocentesi in numero di circa 1000 l’anno (circa l’8% delle gravidanze). Tutti i centri sono convenzionati con la Regione.
Vi è però un numero di gravide non ben definito che sfugge a questa analisi giacché si sottopone alla Diagnosi Prenatale presso centri privati extra regionali Per quel che attiene alla diagnostica non invasiva, si eseguono, nei Centri Ospedalieri di Chieti e Pescara circa 8500 esami l’anno. La richiesta di esami è ancora bassa, per gli screening. Si pratica essenzialmente diagnostica ecografica morfologica.
Nella Regione Campania la domanda di diagnosi prenatali, invasive e non, è fortemente in crescita anche se non si dispone di dati epidemiologici accurati.
L’offerta delle prestazioni, sia da parte dei Centri pubblici che da parte di quelli privati, non è adeguata ai bisogni sul piano qualitativo. Esistono 2 centri pubblici di 3° livello nella città di Napoli e moltissimi centri privati convenzionati e non, distribuiti su tutto territorio regionale, ma la mancanza di regole ha determinato di fatto una moltiplicazione e parcellizzazione degli esami, soprattutto amniocentesi, screening biochimici ed eko prenatali, con un conseguente numero eccessivo di falsi positivi e di test superflui. Questo è stato l’effetto di aver disatteso le normative nazionali (vedi decreto sugli esami in gravidanza) che indicavano espressamente l’identificazione di Centri di Riferimento Regionale ove centralizzazione le metodiche di diagnosi e di screening prenatali, come accade in altre Regioni. Tuttavia, almeno per quanto riguarda le diagnosi prenatali più complesse (malattie geniche più comuni o rare) ed il management delle malformazioni fetali, si ha una buona offerta di prestazioni nell’ambito del Centro del II Policlinico, che però non può soddisfare le esigenze di tutta la Regione.
In Basilicata esistono 11 punti nascita, per soli 5000 parti l’anno. Questa frammentazione ha prodotto un basso livello assistenziale soprattutto per le aree clinico-diagnostiche che richiedono un’alta specializzazione.
La diagnosi prenatale invasiva viene praticata in 4 centri pubblici ed 1 privato (si eseguono quasi esclusivamente amniocentesi). Vi accede circa il 10% della popolazione.
Analogamente a molte altre Regioni, anche la Puglia pullula di piccoli ospedali che tra di loro distano, a volte, meno di 5 km.
Più di una volta è stato segnalato che il Piano Sanitario non risponde a quei requisiti di obiettività e logicità che sono necessari per ottimizzarne e razionalizzarne l’impiego. Spesso esso risponde ad esigenze diverse legate a logiche di interessi di vario titolo.
Su 66 punti nascita, solo 45 hanno fornito i dati. In 15 punti su 45 il numero dei nati non arriva a 500 l’anno ed in altri è inferiore a 200!
In considerazione dell’aumento della domanda della diagnosi prenatale, oggi sono attivi 15 centri di citogenetica di cui 10 pubblici e 5 privati. Solo in 8 di essi si esegue anche la consulenza genetica.
Nel 2001 gli esami eseguiti, tra villocentesi ed amniocentesi, sono stati intorno ai 6000. Gli esperti ritengono che i centri esistenti siano sufficienti a coprire la domanda. Si hanno ottimi livelli qualitativi nella genetica medica istituita presso l’Università di Bari e presso la Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo.
Per quanto attiene alla diagnostica ecografia la situazione appare piuttosto disomogenea. Tutte le U.O. di ginecologia ed ostetricia posseggono, o dichiarano di possedere, un ecografo di livello almeno sufficiente per eseguire semplici esami di routine. Circa un terzo dei centri è fornito di apparecchiature valide se non addirittura di ultima generazione.
Nella Regione Calabria la richiesta di diagnosi prenatale da parte delle coppie è in constante aumento per l’introduzione dei media sulla cultura diffusa, per la maggior richiesta di un neonato “sano”, per la denatalità e l’aumento dell’età materna al momento del concepimento. E’ da considerare che ormai oltre il 95% della popolazione gravida viene seguita a livello specialistico attraverso gli ambulatori pubblici (ospedali, ambulatori territoriali, consultori) e privati. Tale stato di cose determina un avvicinamento della gestante ai protocolli per il monitoraggio della gravidanza. Non va sottovalutato il fenomeno della crescente immigrazione, con la presenza di un numero non irrilevante di donne presenti, legalmente o non, sul territorio con stato sociale, ed anche abitudini di vita, che certamente sfuggono allo standard di controlli che si cerca di offrire alla donna gravida.
Dai dati in possesso i centri regionali di genetica esistenti presso gli ospedali provinciali di Catanzaro e di Reggio Calabria, soddisfano circa il 90% della richiesta inter-regione. Si eseguono circa 3.500 diagnosi invasive l’anno (prevalentemente amniocentesi). Gran parte degli ospedali dell’inter-regione esegue il prelievo di liquido amniotico nella propria struttura inviando il materiale ad una delle due strutture laboratoristiche suddette. Il numero di gestanti che si avvicina alla diagnosi prenatale invasiva varia tra il 15 ed il 20%.
Per quanto attiene alla Sicilia esiste una forte differenza tra l’ambito privato e quello pubblico. A dispetto del primo dove risultano presenti centri di alta e riconosciuta specializzazione (Palermo e Catania), con ottimi professionisti e competenze d’avanguardia, il livello organizzativo territoriale pubblico risulta quali-quantitativamente insufficiente. Infatti in Sicilia sono ufficialmente istituiti solo 2 centri pubblici di diagnosi prenatale. In tali centri non sono eseguibili tutte le procedure diagnostiche ed invasive. Si eseguono soltanto poche indagini di genetica molecolare. Contrariamente ad altre Regioni dove vi è un grosso esubero, in Sicilia si registra una forte carenza di genetisti medici almeno per l’esecuzione della consulenza genetica di I livello
I centri di diagnosi prenatale pubblici e privati non operano in sintonia con tutte le realtà plurispecialistiche inerenti a tale branca perché frammentate nel territorio
In Sardegna l’età media del parto è 32 anni nelle primipare e 35 anni (e oltre) nelle secondipare; vista l’incidenza delle cromosomopatie in tali fasce di età, secondo quanto suggerito dalle Raccomandazioni dell’OMS e dal D.M 10.09.1998, il SSN in Sardegna dovrebbe essere in grado di offrire circa 2.000-2.500 diagnosi prenatali per determinazione del cariotipo fetale mediante prelievo di villi coriali o amniocentesi, dopo consulenza genetica (informativa e non direttiva).
L’alta incidenza di portatori sani di Beta-Talassemia (13% della popolazione sarda) ha reso necessaria l’istituzione, presso l’Ospedale Regionale per le Microcitemie, di un centro di riferimento che esegue altre 1.500 diagnosi invasive/anno (villi coriali e amniocentesi precoci) Ner resto della Sardegna vengono eseguite oltre 1000 Amniocentesi
L’offerta attiva del test alla popolazione ha consentito di ridurre del 30% la richiesta di diagnosi prenatali invasive in donne di età superiore ai 35 anni. Il testo ha permesso di informare correttamente le donne a rischio (over 35) sulla possibilità di avvalersi della diagnosi prenatale invasiva nel corso della consultazione genetica non direttiva.
Per quanto attiene alla Regione Lazio ed alla Regione Lombardia, infine, si possono schematizzare le seguenti differenze:
nella Regione Lombardia esiste un’alta percentuale di afferenze al Servizio Sanitario Nazionale con ricorso alla diagnosi prenatale invasiva inferiore per il compartimento privato. La percentuale di gestanti che si rivolgono a tali servizi non è facilmente desumibile in considerazione dell’alto numero di strutture sia pubbliche che private che, su tutto territorio Regionale, la offrono. Una buona stima, basata su indagine a campione e su relazione dell’istituto Superiore di Sanità sembra attestare la percentuale delle gestanti che si rivolgono a tali procedure intorno al 15-20%.
Diversa è la situazione nella Regione Lazio dove la diagnosi prenatale viene eseguita prevalentemente nelle strutture private (non accreditate con il SSN) e dove la percentuale di donne che a tale metodica si rivolgono sembra superiore al 35%.
In definitiva, pertanto, la volontà di conoscere, in epoca prenatale,, lo stato di salute del nascituro, è tendenza diffusa che, pur nelle ovvie differenze territoriali, è in progressiva crescita in tutta la Nazione.
Fonte: http://www.dirittigenetici.it/new/sciesoc/abstract/IT-Giorlandino.doc
Sito web da visitare: http://www.dirittigenetici.it
Autore del testo: sopra indicato nel documento di origine
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