Geografia sociale e culturale

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Geografia sociale e culturale

  1. Le dinamiche delle migrazioni internazionali.

A partire dal XVI secolo gli europei hanno animato con la loro presenza il Sistema Mondo, costituendo un insieme interconnesso di strutture economiche e relazioni commerciali che copriva l’intero pianeta. Nel corso di questo processo essi hanno anche popolato direttamente vasti spazi, inserendoli in una rete di rapporti globali.
Soltanto nel corso del XX secolo il rallentamento del dinamismo demografico del Vecchio Continente si è accompagnato a una crescita significativa dei movimenti indotti da altre regioni per cui l’Europa è divenuta meta di flussi migratori cospicui.

  • La fase europea delle migrazioni.

Tra il 1830 e il 1914- nell’epoca dei grandi cambiamenti economici-sociali che trasformarono l’Europa – decine di milioni di europei lasciarono il continente per stabilirsi oltreoceano ( Stati Uniti, America Latina, Australia e Nuova Zelanda).
Nonostante il mutamento della loro importanza relativa nel corso del tempo, si possono individuare fattori ricorrenti che hanno favorito i flussi migratori europei nel mondo.
Fattori strutturali, come la sovrappopolazione nelle zone rurali e la sovrabbondante manodopera rispetto al nascente settore industriale.
Eventi catastrofici, coma la grave carestia in Irlanda a metà dell’Ottocento.
Condizioni favorevoli, come la relativa facilità dei trasporti anche sulle lunghe distanze.
Il peso dell’immaginario collettivo, sostenuto dalle lettere e dalle rimesse dei primi emigrati.
L’emigrazione nelle colonie di popolamento europeo costituisce un’importante valvola di sfogo al rischio di un forte squilibrio tra popolazione e risorse del Vecchio Continente.
Questa marea umana venne frenata dalle leggi contro l’immigrazione varate dai governo federale statunitense negli anni venti e dallo scoppio del primo conflitto mondiale.
Nei decenni succedi le politiche autarchiche inaugurate da molti Paesi europei, il rallentamento della crescita demografica e l’aumentata capacità di assorbimento della forza lavoro dell’industria determinarono un rallentamento dei flussi migratori.

  • Le nuove migrazioni

Le forze che sovrintendono agli spostamenti di popolazione nel mondo conte,foraneo- dopo il 1950- sono varie, a seconda del contesto geografico e del periodo cronologico considerati. Per meglio conoscere e analizzare il fenomeno, si può procedere a una ripartizione in tre fasi.

    • Nel primo periodo (1950-67) le migrazioni rispondono a una reale domanda di lavoro nelle aree di immigrazione, consistenti soprattutto nei paesi dell’Europa centro-Settentrionale distrutti dalla seconda guerra mondiale e in fase di ricostruzione economica, con gravi carenze di manodopera. I paesi di partenza sono soprattutto quelli europei meno sviluppati economicamente.

In questa fase le migrazioni conservarono a lungo il carattere della temporaneità, consentendo al paese ospitante di contenere la spese pubbliche di carattere sociale e a quello di provenienza di ridurre la disoccupazione, beneficiare delle rimesse degli e migranti e della loro esperienza professionale al ritorno in patria.

    • Nella seconda fase (1967-72) in tutti i paesi tradizionalmente importatori di manodopera le migrazioni internazionali rischiano il contraccolpo della crisi economica che inizia a delinearsi nel 1967 e vengono apertamente contrastate dopo il 1973-74. Si riduce infatti, la domanda di manodopera, anche in corrispondenza della tendenza al decentramento produttivo di una quota crescente delle attività manifatturiere ad alta intensità di manodopera.
    • Nella terza fase (dal 1972 alla fine secolo) le migrazioni internazionali aumentano a ritmo inusitato, si estendono ulteriormente coinvolgendo un numero sempre maggiore di Paesi e dipendono in misura sempre maggiore dalle aggravate condizioni nei Paesi di partenza.

I poli di immigrazione sono prevalentemente: America Settentrionali, Oceania, Giappone, Europa occidentale.
Le aree di emigrazione coinvolgono quasi tutti i Paesi dei Terzo e Quarto Mondo, affiancati dall’Est europeo.
Attualmente i movimenti migratori coinvolgono anche la manodopera qualificata. Un caso particolare è poi costituito dalla fuga dei cervelli (brain drain): esso consiste nella tendenza della manodopera e dei quadri piu preparati e specializzati a spostarsi nei contesti che offrono le possibilità occupazionali e livelli salariali migliori. 

 

  • Immigrati clandestini e rifugiati.

La novità nelle migrazioni degli anni Ottanta e Novanta è la crescita dell’immigrazione clandestina e dei rifugiati.
Per profughi o rifugiati politici si intendono le persone costrette ad abbandonare il loro paese perché perseguitati per motivi etnici, religiosi o politici. Perciò la causa dell’immigrazione dei profughi non e da ricercarsi nei disastri naturali quanto nell’instabilità politica delle regioni d’origine (guerre, regimi dittatoriali, colpi Stato, intolleranze ecc.).
I profughi si rifugiano, nella maggior parte dei casi, nei paesi limitrofi al proprio, dove vivono in condizioni spesso disastrose, in appositi campi allestiti per ospitarli.
Gli immigrati clandestini, sono persone che, lasciano il proprio Paese unicamente per motivi economici, per sfuggire a una vita di stenti e si spostano in Paesi più ricchi, senza avere un’autorizzazione ufficiale.

  • Gli indicatori socioeconomici.

 

  • La ricchezza.

La geografia della distribuzione del reddito rende evidente l’ineguale ricchezza della popolazione, che registra fortissimi sbalzi. Infatti il PIL-PPA pro capite si attesta mediamente sui 19.000 dollari nei Paesi in via di sviluppo e si 3.200 nei Paesi del Terzo e Quarto Mondo.
I valori medi nascondo, poi, altri squilibri, infatti, in alcuni Paesi (del Terzo e Quarto Mondo soprattutto) la sperequazione sociale è molto forte e crea tensioni e fenomeni di marginalità profondi.
Un altro indicatore che costituisce un elemento di forte divario tra Paesi ricchi Paesi poveri è il tasso di crescita del PIL.

  • L’istruzione.

La geografia dell’istruzione è in rapporto con il grado di ricchezza e lo sviluppo economico di ogni Paese. Questo indicatore si ripercuote direttamente sulle dinamiche demografiche che caratterizzano una determinata regione. Infatti, il livello di istruzione è inversamente proporzionale al numero di figli di ciascuna coppia.
Anche i dati sull’istruzione testimoniano gli squilibri esistenti fra Nord e Sud del Mondo.
Un elevato tasso di analfabetismo è presente quasi esclusivamente nei paesi poveri. Tra le categorie sociali poi, le donne e le minoranze etniche sono quelle maggiormente penalizzate. 
Ciò no toglie che tutti gli Stati si siano impegnati a diffondere la scolarizzazione di base, con risultati incoraggianti, soprattutto in America Latina e Africa.

  • Il lavoro.

Nei Paesi industrializzati circa l’80% della popolazione in età lavorativa è occupata. Tra i settori economici, il terziario riveste il ruolo più importante. La modernità del secondario ha ridotto il fabbisogno di manodopera, nonostante i consistenti aumenti di
efficienza produttiva. L’incidenza del primario è ormai ridotta a porzioni marginali di forza lavoro.
Nei Paesi in via di sviluppo solo il 65% circa della popolazione in età lavorativa è occupata. Il quadro settoriale, seppur diversificato, presenta valori medi che denunciano una struttura arretrata e squilibrata.
Il primario assorbe accora quote consistenti di manodopera.Ciò è dovuto non solo alla sua inefficienza e scarsa produttività ma anche alla sua natura di mezzo di sussistenza, volta per lo più all’autoconsumo. Il settore secondario è poco robusto e articolato, anche se sta registrando una forte espansione in numerosi Paesi. Il terziario, denuncia vaste sacche di inefficienza con attività formali e non qualificate, talora ai limiti della legalità, e comunque incapaci di sostenere uno sviluppo moderno è cospicuo.

  • La salute.

Gli indicatori sociosanitari restituiscono un’immagine abbastanza precisa delle condizioni di vita di una regione. La loro analisi ribadisce il dualismo dello sviluppo che caratterizza il Sistema Mondo, in cui alla prosperità dei paesi ricchi si contrappongono le difficoltà dei PVS (Paesi in via di sviluppo).
La misura della mortalità infantile è in rapporto di proporzionalità inversa con fattori quali l’efficienza delle strutture ospedaliere, il grado di sviluppo scientifico e tecnologico di uno stato, le condizioni di assistenza delle partorienti. Il divario tra Paesi ricchi e Paesi in via di sviluppo è molto forte: nei primi infatti i valori non superano i 10-15 morti ogni 1000 bambini nati vivi, contro valori più alti, che in alcuni casi superano anche i 100 per 1000, nelle altre regioni.
La quota del PIL destinata alla sanità nei Paesi ricchi varia fra 10% e il 30% nei Paesi poveri non supera il 3%.Questo produce uno squilibrio nell’accesso ai servizi sanitari da parte dei cittadini.
Le cause di morte rappresentano il fattore in più diretta connessione con le modalità di sviluppo e lo standard di vita di una popolazione. Cosi nei paesi ricchi le principali cause di morte sono legate alla diffusione di cattive abitudini alimentari, di comportamento a rischio e di malattie degenerative e legate all’invecchiamento. Nei Paesi poveri invece le cause di morte derivano da carenze nei servizi sanitari, da assenza di medicinali, e da insufficienti condizioni igieniche, nonché e soprattutto da povertà e denutrizione.
Altri due importanti indicatori sono: l’età media, che sta aumentando ovunque, e l’accessibilità all’uso dell’acqua potabile.

  • L’alimentazione.

La geografia dell’alimentazione è uno degli elementi più importanti per comprendere il livello di sviluppo di una regione.
La carta relativa all’assunzione di calorie giornaliere mette in luce come nell’emisfero settentrionale i consumi eccedano il fabbisogno reale di cibo. All’estremo opposto, le aree dove il deficit nutrizionale sono concentrate in Africa, Asia e America Latina.
Esiste una stretta correlazione tra sviluppo economico e accesso al cibo. Spesso questa non dipende dalla scarsa disponibilità assoluta di alimenti, ma dall’impossibilità di acquistarli, a causa dei bassi livelli di reddito.

  • Le risorse sono limitate.

L’analisi degli aspetti socio-economici del Sistema Mondo ci ha mostrato una situazione complessa, ma spesso caratterizzata da forti discrepanze tra il modelli sviluppo dei Paesi ricchi e quello dei Paesi in via di sviluppo.Per quanto rapida e dinamica sia l’evoluzione in tutte le regioni del pianeta, per colmare il divario tra esse occorrono ancora parecchi anni, mentre in alcuni casi il dualismo appare addirittura approfondirsi.
Sul piano quantitativo, le risorse della terra sono limitate. L’aumento della dimensione demografica globale pone sotto pressione l’ambiente, rischiando di compromettere le sue caratteristiche. Ciò avrebbe gravi conseguenze sulle generazioni future.
Alcune risorse naturali sembrano già scarseggiare: acqua, foreste, risorse non rinnovabili (energetiche e non)  pesca.
L’inquinamento che è aumentato con lo sviluppo dell’urbanizzazione e della densità della popolazione rischia di danneggiare la qualità delle risorse naturali, aria e acqua in particolare.

  • La geografia religiosa.

 

La religione costituisce uno degli elementi basilari di una civiltà, in quanto plasma il carattere, i presupposti ideologici e di pensiero, gli usi e i costumi.
Una forte diversità religiosa è stata spesso alla base delle guerre fra stati o addirittura fra civiltà: le crociate nel Medioevo o le guerre di religione che nel Seicento hanno dilaniato l’Europa sono solo alcuni esempi. Ancora oggi la geografia dei conflitti coincide spesso con le aree di frizione tra confessioni e culture diverse ( basti pensare agli atti di terrore che affliggono molti Paesi dell’occidente dalla data del tragico attentato alle torri gemelle di New York o ai focolai di guerra in molte regioni dell’Asia e dell’Africa).

  • I gruppi religiosi

Tra le religioni un posto particolare meritano quelle monoteiste rilevate, cioè cristianesimo, ebraismo e islamismo.

  • Il cristianesimo conta più di 1900 milioni di aderenti, divisi nelle tre confessioni principali: cattolica, ortodossa e protestante. Si configura come la grande religione occidentale diffusa in Europa e in tutti gli altri continenti.
  • L’ebraismo è una religione con pochi seguaci. Condivide numerosi elementi con il cristianesimo.
  • L’islamismo conta circa 1 miliardo di adepti divisi fra le due confessioni sciita e sannita.

Le religioni asiatiche (induista, buddista e confuciana) possono contare un seguito considerevole, tuttavia sono le più confinate nelle loro aree di origine.
Un cenno meritano poi le religioni animiste che caratterizzano alcune zone dell’Africa, dell’Asia settentrionale, dell’America meridionale. Esse sono diffuse in regioni impervie, che si sono dimostrate più ostili alla colonizzazione e alla penetrazione delle grandi religioni monoteiste di matrice araba o europea.

 

 

Fonte: http://lumolin.altervista.org/files/capitolo_7_-_geografia_sociale_e_culturale.doc

Sito web da visitare: http://lumolin.altervista.org/

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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