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1. SCHEDA PAESE
DATI GENERALI
Nome ufficiale |
Sakartvelo |
Superficie |
69.700 km2 |
Popolazione |
4.931.226 |
Capitale |
Tbilisi |
Lingua |
Georgiano (ufficiale), russo, armeno, azero |
Gruppi etnici |
Georgiani 83,8%, Azeri 6,5%, Armeni 5,7%, Russi 1,5%, altri 2,5% |
Religione |
Cristiano Ortodossa 83,9%, Musulmana 9,9%, Cristiano armena 3,9%, Cattolica 0,8%, altre 0,8%, nessuna 0,7% |
Ordinamento dello Stato |
Repubblica parlamentare |
Presidente |
Giorgi Margvelashvili |
Primo ministro |
Giorgi Kvirikashvili |
Moneta |
Lari Georgiano |
Controvalore in Euro |
2,47 Lari Georgiani per 1Euro |
Clima |
La Georgia occidentale ha un clima umido subtropicale, quella orientale ha un clima più continentale |
Fuso orario |
UTC+4 |
Georgia ed Italia a confronto
INDICATORI SOCIO-ECONOMICI
|
Georgia |
Italia |
Indice di sviluppo umano (HDI) |
0,754 |
0,873 |
Classifica Indice di sviluppo umano (su 187 paesi) |
76 |
27 |
% di popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà (secondo i parametri nazionali) |
9,2 |
29,9 (2012) |
Aiuti ufficiali allo sviluppo ricevuti ($ pro capite) |
151 |
n.d. |
Aiuti ufficiali allo sviluppo ricevuti (% sul PIL) |
3,4 |
n.d. |
PIL ($ pro capite) |
9.500 |
35.800 |
Concentrazione delle ricchezza (indice di Gini) |
41,4 |
31,9 |
Crescita annua del PIL (%) |
2 |
0,8 |
Debito estero (in Miliardi di $) |
13,56 |
2,459 trilioni |
Tasso di inflazione (%) |
4,1 |
0,3 |
Tasso di disoccupazione (%) |
16,7 |
12,2 |
Lavoro minorile (% 5-14 anni) |
18,4 |
- |
Importazioni (in Miliardi di $) |
7,466 |
389,2 |
Esportazioni (in Miliardi di $) |
3,535 |
454,6 |
Spesa educativa (% del PIL) |
2 |
4,3 |
Iscritti scuola primaria (%) |
103 |
99 |
Iscritti scuola secondaria (%) |
101 |
99 |
Analfabetismo adulto (%) |
0,2 |
0,8 |
Spesa per la Sanità (% del PIL) |
9,4 |
9,1 (2013) |
Posti in ospedale (per 1000 abitanti) |
2,6 |
3,4 (2011) |
INDICATORI SOCIO-CULTURALI
|
Georgia |
Italia |
Popolazione Urbana (%) |
53,6 |
69 |
Crescita annua popolazione (%) |
- 0,08 |
0,27 |
Mortalità infantile (su 1.000 nati vivi) |
16,15 |
3,29 |
Denutrizione infantile (% bimbi 0-5 anni) |
1,1 (2009) |
- |
Speranza di vita alla nascita |
75,95 |
82,12 |
Rete stradale pavimentata (km) |
19.109 |
487.700 |
Totale rete stradale (km) |
- |
487.700 |
2. IL CONTESTO REGIONALE
IL CAUCASO
Repubbliche della Sud del Caucaso:
Armenia – Azerbaižan - Georgia
Repubbliche del Nord del Caucaso, parte della Federazione Russa:
Nota: In seguito ai conflitti armati avvenuti all'inizio degli anni '90, l'Abkhazia e l'Ossezia del Sud sono regioni auto-proclamatesi repubbliche indipendenti dalla Georgia, così come il Nagorno-Karabakh dall'Azerbaižan. Il loro status politico tuttavia non è riconosciuto fino ad oggi e la Georgia e l'Azerbaižan le rivendicano in quanto facenti parte della propria integrità territoriale.
La Russia e le relazioni con le repubbliche del Caucaso meridionale
Pubblicato il 12 aprile 2016 su Most – rivista di approfondimento quadrimestrale
Se attualmente il Caucaso viene considerato l’estrema propaggine sud-orientale dell’Europa, questo si deve principalmente al fatto che negli ultimi due secoli di storia la regione ha vissuto quasi ininterrottamente sotto il dominio russo. Fu proprio l’Impero zarista ad avviare a partire dalla metà del XIX secolo il processo di occidentalizzazione di una regione che fino a quel momento veniva comunemente considerata storicamente e culturalmente parte del Medio Oriente, essendo rientrata per secoli nelle sfere d’influenza di imperi come quello ottomano e quello persiano, che hanno fatto del Caucaso una terra di conquista.
Verso l’inizio del XIX secolo, consolidate le recenti acquisizioni territoriali (territori di Rostov, Astrakhan e Krasnodar), e approfittando della contemporanea crisi che stava colpendo le due principali potenze regionali, ovvero i già citati imperi ottomano e persiano, l’Impero russo decise di provare a espandere ulteriormente i propri confini verso sud, nella regione del Caucaso, dove già aveva creato qualche avamposto militare. Il primo paese ad essere annesso all’Impero fu la Georgia, che già dal 1783 era diventata un protettorato russo. Invocato dal sovrano locale, nel 1801 lo zar Alessandro I entrò a Tbilisi con l’esercito, ponendo fine a una violenta guerra civile e incorporando il Regno di Kartli-Kakheti (Georgia centro-orientale) all’Impero russo. Nel 1810 i russi annessero anche il Regno di Imereti (Georgia centro-occidentale), completando la conquista del paese. Nel frattempo l’Impero russo aveva intrapreso l’ennesima guerra contro i persiani (1804) per alcune dispute territoriali riguardanti proprio l’annessione della Georgia, uscendone qualche anno dopo vincitore. A porre fine al conflitto fu il Trattato di Gulistan, stipulato nel 1813, che obbligò l’Impero persiano a riconoscere il dominio russo sulla Georgia e a cedere allo Zar il Dagestan, buona parte dell’Azerbaigian e parte dell’Armenia settentrionale.
Nel 1817 le truppe zariste guidate da Aleksey Yermolov diedero il via alla conquista del Caucaso settentrionale, abitato principalmente da popoli montanari che però riuscirono a opporre una tenace resistenza all’invasione russa. Nel 1826 scoppiò l’ultima delle guerre russo-persiane, che terminò due anni dopo con il Trattato di Turkmenchay, in seguito al quale l’Impero russo acquisì i khanati di Erivan, Nakhcivan e Talysh, oltre alla provincia di Iğdır; mentre un anno dopo i russi ebbero la meglio anche sugli ottomani, che dovettero cedere i porti di Anapa e Poti e parte della Georgia meridionale. Dopo quasi mezzo secolo di dure battaglie, i russi riuscirono infine a piegare anche la tenace resistenza dei montanari del Caucaso settentrionale, sconfiggendo prima gli uomini dell’Imam Shamil nel 1859 e poi spezzando definitivamente nel 1864 la resistenza dei circassi, arrivando a conquistare l’intera regione. Le ultime acquisizioni territoriali nel Caucaso avvennero in seguito alla Guerra russo-turca del 1877-78, quando gli ottomani dovettero cedere allo Zar l’Agiara e la provincia di Kars.
In seguito alla Rivoluzione russa del 1917, che segnò la fine dell’Impero zarista, i popoli del Caucaso vissero un breve quanto effimero periodo di indipendenza, segnato da numerose guerre interetniche. Tra il 1919 e il 1921 l’Armata Rossa riuscì a riconquistare la regione, che entrò in seguito a far parte dell’Unione Sovietica. Il Caucaso settentrionale venne inglobato all’interno della RSS Russa, mentre in quello meridionale, dopo la breve esperienza della RSFS Transcaucasica, vennero create le RSS di Georgia, Armenia e Azerbaigian. Il dominio russo nel Caucaso meridionale durò per altri settant’anni, fino a quando nel 1991, in seguito al collasso dell’Unione Sovietica, le tre repubbliche non proclamarono la propria indipendenza.
Nonostante siano passati ormai 25 anni dalla dissoluzione dell’URSS, per una serie di fattori storici, politici e culturali Mosca continua a esercitare tutt’ora una forte influenza nel Caucaso meridionale, che rappresenta una regione chiave sotto molti punti di vista, verso la quale la Russia nutre ancora grandi interessi economici e geostrategici. Per queste ragioni anche dopo l’esperienza sovietica Mosca ha sempre cercato di mantenere i paesi del Caucaso all’interno della propria sfera d’influenza, usando la diplomazia, cercando di stringere negli anni accordi mirati a rafforzare la cooperazione reciproca, ed esercitando quando necessario il proprio potere coercitivo, garantitole dal ruolo di principale potenza regionale.
Il difficile rapporto con la Georgia
In seguito alla decisione del governo di Tbilisi di rompere ogni relazione in seguito alla Seconda Guerra in Ossezia del Sud del 2008, Mosca continua a non avere alcun rapporto diplomatico ufficiale con la Georgia. Nonostante l’assenza di relazioni ufficiali, parte delle forti tensioni accumulatesi in seguito alla guerra sono state comunque stemperate negli ultimi anni, soprattutto in seguito alla salita al potere del partito del Sogno Georgiano dopo le elezioni parlamentari del 2012. L’ascesa del Sogno Georgiano, guidato dal miliardario Bidzina Ivanishvili, l’uomo più ricco del paese, ha di fatto posto fine agli anni di governo di Saakashvili, da sempre ostile nei confronti del Cremlino, e del suo Movimento Nazionale Unito, che l’anno successivo ha poi perso anche le elezioni presidenziali. La débâcle degli uomini di Saakashvili ha fatto credere a molti analisti politici in un possibile cambio di rotta di Tbilisi in politica estera e ad un conseguente riavvicinamento alla Russia; tale riavvicinamento non si è però mai concretizzato, a causa delle inconciliabili posizioni che hanno impedito finora lo sviluppo di un dialogo costruttivo tra Mosca e Tbilisi.
Il principale motivo di scontro tra i due paesi è la questione delle repubbliche separatiste di Abkhazia e Ossezia del Sud, il cui status è tuttora disputato. Tbilisi considera le due regioni parte integrante del proprio territorio, continuando a denunciare l’occupazione da parte delle milizie locali e dell’esercito russo; il Cremlino invece, in seguito al confitto del 2008 ne ha riconosciuto l’indipendenza, stringendo nel tempo rapporti sempre più stretti con i due governi locali. Come affermato recentemente dai vertici del governo georgiano, Tbilisi non ha intenzione di ripristinare i rapporti con Mosca né ora né in un prossimo futuro, almeno finché la situazione non cambierà. Il governo georgiano si aspetta infatti che la Russia faccia un passo indietro, ritrattando il riconoscimento delle due repubbliche o perlomeno ritirando le proprie truppe dalle regioni occupate; dal canto suo Mosca, principale alleato di Sukhumi e Tskhinvali, non sembra essere disposta a prendere in considerazione le richieste di Tbilisi.
La rottura dei rapporti diplomatici con Mosca ha finito per influire fortemente anche sull’economia georgiana, considerando che fino al 2006 la Russia è stata uno dei più importanti partner commerciali di Tbilisi. Il primo segno di rottura è avvenuto proprio in quell’anno, con l’embargo economico imposto da Mosca nei confronti dei vini georgiani per presunte violazioni delle norme sanitarie. La situazione è poi nettamente peggiorata in seguito al conflitto russo-georgiano, quando Mosca ha deciso di aumentare sensibilmente il prezzo del gas destinato alla Georgia, paese che non dispone di materie prime, la quale per pronta risposta ha iniziato a importare in misura sempre maggiore dall’Azerbaigian (attualmente Tbilisi importa il 90% del gas naturale da Baku, mentre solo il restante 10% proviene dalla Russia, diretto in Armenia). Recentemente, dopo che la domanda di gas nel paese è aumentata, il governo di Tbilisi ha provato a intavolare una trattativa con Gazprom per aumentare la quantità di gas russo commercializzabile nel mercato georgiano, per fare concorrenza all’Azerbaigian e ottenere prezzi più competitivi; la decisione di trattare con la compagnia russa è stata però fortemente contestata dall’opposizione, che è scesa in piazza per protestare contro la trattativa, costringendo il governo a prendere accordi per un aumento di fornitura con la compagnia azera SOCAR.
A fine anno in Georgia si terranno le elezioni parlamentari, con il Sogno Georgiano arrivato al termine del proprio mandato con Giorgi Kvirikashvili come primo ministro, dopo la parentesi di Garibashvili, che proverà a riconfermarsi alla guida del paese nonostante il crescente calo di consensi, difendendosi ancora una volta dall’assalto del Movimento Nazionale Unito dell’ex presidente Saakashvili, ora guidato dal suo delfino Davit Bakradze. L’esito di queste elezioni potrebbe avere un importante impatto nel bene o nel male sulle future relazioni tra Mosca e Tbilisi.
La cooperazione con Abkhazia e Ossezia del Sud
Un discorso a parte meritano Abkhazia e Ossezia del Sud, territori che la Russia riconosce ufficialmente come repubbliche indipendenti. In seguito al riconoscimento Mosca ha intensificato i rapporti diplomatici e commerciali con Sukhumi e Tskhinvali, assumendosi inoltre l’incarico di difenderei loro confini, nonché ponendosi come principale garante del loro status quo. Negli anni immediatamente successivi al conflitto con la Georgia, per cercare di far ripartire il settore economico dei due paesi Mosca ha provveduto a elargire una serie di importanti finanziamenti ai due governi, mentre per cercare di aggirare il loro isolamento politico (oltre alla Russia l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud sono riconosciute solo da Nicaragua, Venezuela e Nauru) ha provveduto a distribuire passaporti russi ai cittadini abkhazi e sud-osseti, permettendogli di spostarsi agevolmente all’interno della Federazione Russa e di viaggiare all’estero.
Nel 2014 la Russia ha stretto con l’Abkhazia un importante accordo di cooperazione che ha ulteriormente rafforzato i legami economici tra i due paesi, all’interno del quale è stato definito un prestito di circa 5 miliardi di rubli (più o meno 65 milioni di euro); parte dello stesso accordo è stata anche la creazione di uno spazio comune di difesa e sicurezza, con la decisione di Mosca di aumentare la militarizzazione del confine abkhazo-georgiano. L’anno successivo la Russia ha firmato un secondo accordo “sull’alleanza e l’integrazione” con l’Ossezia del Sud, attraverso il quale Mosca ha deciso di attuare un’unione doganale tra i due paesi per venire incontro alla precaria economia osseta, togliendo inoltre i controlli alla frontiera per rendere più agevole il transito delle persone. L’accordo ha riguardato anche la sicurezza, con la decisione di accorpare le milizie sud-ossete alle forze armate russe e agli altri corpi di sicurezza che presidiano la regione, andando a formare un vero e proprio esercito unico.
Questi ultimi accordi hanno portato le due repubbliche caucasiche a raggiungere un elevato grado d’integrazione con Mosca, spingendo diversi analisti politici a ipotizzare soprattutto nel caso dell’Ossezia del Sud una possibile futura annessione alla Russia; ipotesi rafforzata dalle parole del presidente sud-osseto Leonid Tibilov, che lo scorso ottobre ha fatto capire che il suo paese sarebbe pronto a votare l’unione alla Russia, definita come “il sogno di tante generazioni di osseti”. Finora questa ipotesi è stata però sempre smentita da Mosca, la quale è conscia del problematico impatto che una mossa di questo tipo avrebbe sulla comunità internazionale e sui rapporti con la Georgia.
L’alleanza con l’Armenia in chiave euroasiatica e la questione del
Nagorno-Karabakh
Intrappolata in una morsa formata da due paesi ostili come la Turchia a ovest e l’Azerbaigian a est, fin dal momento della sua indipendenza l’Armenia ha sempre cercato di intrattenere buoni rapporti con la Russia, unico alleato affidabile nella regione in grado di proteggere Yerevan dai bellicosi vicini ed evitarle l’isolamento politico. Nonostante questo, l’Armenia ha mantenuto per anni una posizione piuttosto ambigua in politica estera, legandosi in modo sempre più stretto a Mosca ma cercando di seguire contemporaneamente la strada dell’integrazione europea.
Dopo diverse indecisioni, nel 2013 il governo di Yerevan ha finalmente scelto il percorso da intraprendere, annunciando di volere aderire all’Unione Doganale Euroasiatica, interrompendo così il processo di integrazione europea a soli due mesi dal vertice del Partenariato Orientale tenutosi quell’anno a Vilnius, in cui l’Armenia avrebbe dovuto firmare l’Accordo di associazione con l’Unione Europea. L’anno successivo il paese è entrato ufficialmente all’interno della neonata Unione Economica Euroasiatica, aggiungendosi a Russia, Bielorussia e Kazakistan.
Il recente ingresso dell’Armenia nell’Unione Euroasiatica ha contribuito a rafforzare ulteriormente i già solidi rapporti con Mosca, che rappresenta attualmente il primo partner commerciale di Yerevan sia per quanto riguarda le importazioni che le esportazioni. Negli ultimi anni la Russia ha inoltre concesso una serie di sostanziosi finanziamenti mirati a rilanciare l’economia dell’Armenia, che in cambio ha garantito a Mosca l’esclusiva in diversi settori economici tra cui alcuni di fondamentale importanza come quello dell’approvvigionamento energetico. La maggior parte del gas e del petrolio consumato nel paese caucasico viene infatti importata da Mosca, che al momento vanta il diritto esclusivo a utilizzare tutte le infrastrutture energetiche presenti nel paese, compreso il gasdotto che collega Yerevan a Teheran, rilevato lo scorso anno da Gazprom attraverso la filiale armena Armrosgazprom. In mano a una compagnia russa è anche il settore dell’energia elettrica, che viene gestito dalla Inter RAO.
Tra la Russia e l’Armenia si registra una grande cooperazione anche nel settore della sicurezza. Considerato il progressivo riarmo azero, nonché l’aumento dell’instabilità nella regione del Nagorno-Karabakh, recentemente teatro di violenti scontri, nell’ultimo periodo Mosca ha concesso a Yerevan una serie di prestiti mirati a finanziare l’acquisto di armamenti di produzione russa, intensificando inoltre le esercitazioni congiunte con l’esercito armeno. In cambio del supporto militare l’Armenia ha concesso alla Russia di mantenere attiva la 102ª Base Militare di Gyumri, nel nord-ovest del paese, così come la 3624ª Base Aerea di Erebuni, situata alle porte di Yerevan. Recentemente l’Armenia ha inoltre firmato con Mosca un accordo che prevede la creazione di un sistema regionale comune di difesa aerea, che assicurerà lo scambio di informazioni tra i due paesi su tutto lo spazio aereo del Caucaso, e aiuterà lo sviluppo dei sistemi missilistici di difesa aerea e dei sistemi radar armeni.
La Russia gioca inoltre un ruolo di primo piano nel processo di pacificazione del Nagorno-Karabakh, territorio conteso tra Armenia e Azerbaigian che fu teatro nella prima metà degli anni Novanta di un sanguinoso conflitto armato, terminato nel 1994 in seguito a un cessate il fuoco negoziato proprio dal Cremlino. Il fatto che in oltre vent’anni i governi di Armenia e Azerbaigian non siano mai riusciti ad avviare un dialogo costruttivo, aspettando che qualche organizzazione o paese terzo risolvesse la questione per conto loro, ha così finito per conferire gradualmente alla Russia un ruolo di fondamentale importanza nel processo di risoluzione del conflitto.
Attualmente Mosca insieme a Francia e Stati Uniti siede alla presidenza del Gruppo di Minsk, struttura creata nel 1992 dall’OSCE (all’epoca CSCE) per cercare di risolvere la questione del Nagorno-Karabakh attraverso vie diplomatiche, la quale finora non è però riuscita a conseguire risultati importanti. Ma il ruolo di primo piano di Mosca va oltre i negoziati portati avanti dal Gruppo di Minsk; in seguito alle reciproche provocazioni e ai conseguenti incidenti che si sono verificati negli ultimi anni lungo la linea di confine armeno-azera, il Cremlino, quale principale potenza regionale, è sempre stato pronto a prendere in mano la situazione, finendo quindi per essere legittimato dalle due parti nel ruolo di principale mediatore del conflitto.
Mosca e l’Azerbaigian, amici in conflitto d’interessi
Il rapporto che l’Azerbaigian ha intrattenuto con la partire dalla fine dell’epoca sovietica si può definire ambivalente: da un lato Baku ha sempre cercato di mantenere rapporti amichevoli con Mosca, a cui è in parte ancora legata dal recente passato e poiché consapevole dell’importante peso del Cremlino in chiave regionale; dall’altro il paese caucasico ha sviluppato negli anni una politica di progressivo allontanamento dalla Russia, per avvicinarsi invece alla Turchia e ai paesi occidentali, specialmente europei, con i quali intrattiene importanti rapporti economici. Considerati quindi i legami che uniscono Baku a Mosca e i rapporti commerciali che allo stesso tempo la avvicinano all’Europa, i vertici del paese caucasico negli ultimi anni hanno preferito promuovere una linea neutrale in politica estera, decidendo di non schierarsi apertamente né con l’una né con l’altra parte. La posizione di neutralità assunta dall’Azerbaigian è stata confermata dalla decisione di aderire nel 2011 al Movimento dei paesi non allineati, unico caso tra le repubbliche del Caucaso.
In ambito economico i rapporti tra Russia e Azerbaigian sono segnati dal conflitto d’interessi nel settore energetico causato dal tentativo dei paesi dell’Unione Europea di diversificare il proprio approvvigionamento cercando fornitori alternativi a Mosca, e dal fatto che Bruxelles abbia individuato proprio in Baku il partner ideale per la realizzazione di questo progetto. Nel 2006, con la realizzazione dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, l’Azerbaigian è riuscito a fare arrivare il proprio petrolio fino al bacino del Mediterraneo e quindi ai mercati europei, aggirando per la prima volta la Russia. Inoltre, a partire dal 2007, in seguito all’inizio dello sfruttamento del grande giacimento off-shore di Shah Deniz, il più grande giacimento di gas naturale del paese, l’Azerbaigian ha deciso di interrompere le forniture di gas russo, rivelatesi ormai non più necessarie, diventando a sua volta uno dei più importanti produttori regionali. Con la definitiva rinuncia da parte della Russia al progetto South Stream, che avrebbe dovuto trasportare il gas russo in Europa attraverso il Mar Nero e i Balcani, l’Azerbaigian ha colto l’opportunità di prendere parte alla creazione un proprio Corridoio Meridionale del Gas, progetto reso possibile dall’inizio dei lavori di realizzazione dei gasdotti TANAP e TAP, che trasporteranno il gas azero fino in Italia. Nonostante il conflitto d’interessi nel settore energetico, negli ultimi anni Mosca e Baku hanno comunque firmato diversi accordi commerciali che hanno portato a un continuo aumento degli scambi economici tra i due paesi.
Tra i settori chiave in cui i due paesi collaborano maggiormente vi è sicuramente quello della sicurezza. Baku negli ultimi anni ha incrementato esponenzialmente le proprie spese militari, stringendo importanti accordi con Mosca ma anche con Israele per l’acquisto di nuovi armamenti mirati ad ammodernare il proprio esercito e per l’organizzazione di esercitazioni militari congiunte. Nel 2012 la Russia è stata comunque costretta a rinunciare alla propria presenza militare nel paese caucasico, con la chiusura della stazione radio di Qabala in seguito al mancato accordo per il rinnovo del contratto d’affitto dell’impianto. Nonostante i due paesi abbiano sempre collaborato nel settore della sicurezza, vi sono anche punti su cui essi si trovano in disaccordo. Su tutti vi è la questione del Nagorno-Karabakh, del cui processo di pacificazione la Russia svolge un ruolo chiave. Secondo il governo dell’Azerbaigian infatti, il Gruppo di Minsk, co-presieduto da Mosca, sarebbe troppo sbilanciato su posizioni filo-armene; inoltre a Baku non viene visto di buon occhio il consistente supporto militare che la Russia fornisce all’Armenia, con l’obiettivo di far fronte proprio al riarmo azero, così come continua a creare tensioni il progressivo avvicinamento di Yerevan a Mosca, culminato con l’ingresso dell’Armenia all’interno dell’Unione Economica Euroasiatica.
AUTORE
Emanuele Cassano. Studente di Scienze Internazionali con specializzazione in Studi Europei presso l’Università degli Studi di Torino, si occupa dell’area del Caucaso, sia dal punto di vista politico che da quello storico e culturale. Dal 2012 è redattore di East Journal, mentre dal 2014 è coordinatore di redazione della rivista Most, quadrimestrale di politica internazionale.
La Georgia è uno stato relativamente giovane, nato dalla fusione di alcuni piccoli principati unificati tra il X e il XIII secolo che, con il passare dei secoli, si separarono e cominciarono a ricostituirsi solo nel tardo XVIII secolo.
La storia antica
La storia, in Georgia, ha radici antichissime. Nel 2001, nei pressi della città di Dmanisi, sono stati trovati resti di un cranio ominide risalenti a circa 1,8 milioni di anni fa, ancora oggi il più antico resto fossile di ominide mai ritrovato e che farebbe anticipare la comparsa del genere Homo a circa 7 milioni di anni fa. Una delle scoperte più sensazionali dei nostri tempi.
Durante il I millennio a.C il territorio dell'attuale Georgia era occupato ad occidente, sul Mar Nero, dalla Colchide (la mitica terra del vello d'oro) e ad oriente dall'Iberia. È attestata una cultura neolitica dal quinto millennio a.C. Scavi archeologici condotti negli anni ‘70 nella regione di Imiris-gora (Georgia orientale) hanno rivelato un certo numero di siti con case dotate di gallerie, camini e pilastri di sostegno.
Nell'epoca calcolitica (IV-III millennio a.C.) la Transcaucasia e la Georgia erano occupate dalla cultura archeologica di Kura-Araxes, cui appartengono gli insediamenti di Beshtasheni ed Ozni e le sepolture delle provincie di Trialeti e Tsalka (Georgia orientale). Questi resti sono testimoni di una cultura architettonica avanzata e sviluppata. Seguì, nel II millennio a.C., la cultura di Trialeti.
Quella che al giorno d'oggi è la parte occidentale del paese venne colonizzata dai greci, ed in particolare gli abitanti di Mileto attraverso la colonia di Sinope, che si insediarono sulle coste della Colchide fondando Trebisonda e altri insediamenti a partire dal VII secolo a.C. A quest'epoca risale probabilmente il mito di Giasone e degli Argonauti, cha raggiunsero la Colchide alla ricerca del vello d'oro.
Tra il 550 a.C. e il 300 a.C. l'area fu sballottata da un impero all'altro: i persiani, i macedoni e i seleucidi. I Romani sconfissero questi ultimi nel 189 a.C. e concessero alla gente del posto di costituire degli stati armeni indipendenti. Questi vennero unificati circa un secolo dopo, costituendo la zona di influenza romana più potente dell'est, dal Mar Caspio alla Turchia centrale, comprendente gran parte dell'attuale Georgia. Fu una delle prime nazioni al mondo a convertirsi al cristianesimo: la data della conversione è convenzionalmente fissata al 317, anno in cui Mirian II re di Iberia lo proclamò religione ufficiale dello stato.
Durante il IV secolo d.C. e buona parte dei V secolo d.C., il regno d'Iberia (Kartlia) perde l'indipendenza passando sotto il controllo persiano. Il regno fu abolito ed il paese venne governato dai governatori nominati dallo Shah. Alla fine del V secolo d.C., il principe Vakhtang I Gorgasali guido una rivolta anti-Persiana e ristabili lo stato iberico di cui divento il re. Dopo la sua morte nel 502 ed il breve regno di suo figlio Dachi (502-514), l'Iberia venne nuovamente incorporato nella Persia come semplice provincia. Tuttavia alla nobiltà iberica di volta in volta è stato assegnato il privilegio di scegliere i governatori, che in georgiano sono detti Erismtavari.
La Georgia medioevale e moderna
Nel VII secolo d.C. la rivalità tra Impero Bizantino e impero di Persia per l'egemonia nel Medio Oriente si era esaurita. Il passaggio di potere tra gli arabi e i bizantini terminò con l'arrivo dei turchi selgiuchidi, che conquistarono quasi tutta l'Armenia tra il 1060 e il 1070 e spinsero molti abitanti a spostarsi in Georgia.
Nel 978 tutti i principati georgiani furono uniti nel regno unito della Georgia (978-1466) sotto la dinastia di Bagrationi, il cui capostipite era Ashot I "Il Grande" (IX sec. d.C.). I maggiori rappresentanti di questa dinastia furono Davide "il costruttore" (Devid IV Agmashenebeli), che regnò dal 1089 al 1125, e la regina Tamar (1184-1213); entrambi sono considerati santi dalla chiesa ortodossa georgiana.
Sotto la loro guida il regno della Georgia incluse anche territori dell'Armenia, Azerbaijan e del Caucaso settentrionale. Dopo l'epoca della regina Tamar, che aveva creato il regno-satellite di Trebisonda, iniziò un lungo periodo di declino; la Georgia si frammentò in parecchi regni e principati.
I mongoli, i persiani safavidi e i turchi ottomani si disputarono la supremazia sul territorio fino al XVIII secolo. Sopraggiunse poi la Russia: le truppe di Caterina la Grande si diressero verso la regione allo scopo di sconfiggere i Turchi. Ma ancora nel 1795 l'eunuco persiano Agha Mohammed Khan Qajar saccheggiava Tbilisi.
L'età contemporanea
Nel 1801, lo zar russo Alexander abolì il regno georgiano di Kartli-Kakheti ed esiliò la famiglia reale. La Georgia venne completamente assorbita nell'impero russo nel 1804, e negli anni a seguire si mise in atto un intenso programma di "russificazione", atto a sostituire il sistema sociale e culturale georgiano con quello russo. La chiesa ortodossa ed apostolica georgiana venne sottomessa all'autorità della chiesa russo-ortodossa. Il malcontento del popolo georgiano, causato dalla autocrazia zarista e dalla dominazione economica armena, cresceva giorno dopo giorno. Cominciò così, a partire dalla seconda metà del diciannovesimo secolo, un movimento nazionale di liberazione.
Una sommossa agricola su grande scala, nel 1905, portò a riforme politiche che facilitarono la distensione per un certo periodo, durante il quale il partito socialdemocratico marxista divenne il movimento politico dominante occupando tutte le sedi georgiane nello stato russo, stabilite dalla Duma dopo la rivolta del 1905. Josef Vissarionovich Djugashvili (che successivamente cambiò il proprio nome in 'uomo d'acciaio' che, in georgiano, si dice Stalin), un bolscevico georgiano (anti-menscevico), divenne la guida del movimento rivoluzionario georgiano. Stalin era il figlio di un umile calzolaio di Gori, ma alla morte di Lenin avrebbe preso il controllo del Paese più grande della terra.
La rivoluzione russa dell'ottobre 1917 sprofondò la Russia in una sanguinosa guerra civile, durante la quale parecchi territori periferici dell'impero (tra cui la Georgia) dichiararono l'indipendenza. Il 26 maggio 1918 fu proclamata la Repubblica Democratica della Georgia indipendente (DRG): il nuovo paese era controllato dalla fazione menscevica del partito socialdemocratico, che stabilì un sistema multi-partitico, in forte contrasto con "la dittatura del proletariato" stabilita dai bolscevichi in Russia. Lo stato georgiano venne riconosciuto dalle principali nazioni europee nello stesso 1918, e dalla Russia nel mese di maggio del 1920.
Nel febbraio 1921 l'armata rossa invase la Georgia e dopo una breve guerra occupò il paese: il governo georgiano fuggì in esilio.
La Georgia sotto l'URSS (1921-1991)
Dopo la conquista da parte dell'esercito sovietico nel 1921, la Georgia fu incorporata nella Repubblica Socialista Sovietica Federativa Transcaucasica (RSSFTC), che comprendeva le odierne repubbliche di Armenia, Azerbaijan e Georgia; inoltre alcune province, storicamente appartenenti alla Georgia furono cedute a stati limitrofi: alla Turchia (provincia di Tao-Klarjeti), all'Azerbaijan (provincia di Hereti/Saingilo), all'Armenia (regione di Lore) ed alla Russia (parte della costa del Mar Nero).
Tra il 1921 ed il 1924, durante la resistenza al regime sovietico, circa 50.000 persone furono incarcerate o uccise; successivamente (anni 1935-1938, 1942 e 1945-1950) furono 100.000 i deportati georgiani (accusati di tendenze nazionaliste) mandati a morire nei gulag della Siberia sotto la dittatura di Stalin, per opera del capo della polizia segreta sovietica, il georgiano Lavrentij Beria. Nel 1936 la RSSFTC fu sciolta e la Georgia, negli attuali confini, divenne la Repubblica Socialista Sovietica Georgiana.
Nell'agosto del 1941, durante la seconda guerra mondiale, i nazisti invasero l'URSS anche per cercare di raggiungere i giacimenti di petrolio del Caucaso; gli eserciti di paesi dell'asse non riuscirono tuttavia ad arrivare in Georgia. Quasi 700.000 georgiani combatterono nell'armata rossa contro i nazisti, e di questi circa 350.000 furono uccisi. L'appello di Stalin all'unità patriottica e le efferatezze dei nazisti offuscarono il nazionalismo georgiano. Dopo la morte di Stalin, avvenuta nel 1953, la politica di de-stalinizzazione di Kruscev fu seguita da una critica generale alla cultura ed alla gente georgiana, di cui Stalin faceva parte. Il 9 marzo 1956 centinaia di allievi georgiani furono uccisi quando dimostrarono contro Kruscev.
Il programma di decentralizzazione introdotto da Kruscev negli anni cinquanta fu presto sfruttato dai funzionari del partito comunista georgiano per sviluppare la loro propria base regionale. Nacque una prospera economia capitalistica all'ombra dell'economia di stato ufficiale; la Georgia era infatti una delle repubbliche sovietiche più economicamente sviluppate, ma anche più nella quale la corruzione era più diffusa.
Fra il 1964 ed il 1972 Eduard Shevardnadze, ministro dell'interno del paese, divenne celebre per la sua lotta alla corruzione e giunse ad ottenere la rimozione del corrotto Vasily Mzhavanadze, primo segretario del partito comunista georgiano: Shevardnadze divenne allora primo segretario con il benestare di Mosca. La sua politica fu efficace e portò la Georgia, tra il 1972 ed il 1985, ad un miglioramento generale dell'economia ufficiale, dovuto anche all'allontanamento di centinaia di funzionari corrotti. Nel 1985, Shevardnadze fu nominato ministro degli affari esteri del URSS e venne sostituito come guida georgiana da Jumber Patiashvili, un comunista conservatore generalmente inefficiente di fronte alle sfide della perestrojka.
Nel 1978 il regime sovietico ordinò che Eduard Shevardnadze fosse rimosso dall'incarico e che, nella costituzione della Repubblica Socialista Federativa Georgiana, la lingua georgiana non fosse più definita come lingua ufficiale della Georgia; dimostrazioni di strada costrinsero il regime a recedere, il 14 aprile 1978 (all'atto dell'indipendenza, nel 1991, il 14 aprile è stato proclamato giorno della lingua georgiana).
Verso la fine degli anni ottanta si evidenziarono violenti disaccordi tra le autorità comuniste, il rinascente movimento nazionalista georgiano ed i movimenti nazionalisti nelle regioni abitate da minoranze etnico-linguistiche della Georgia, Ossezia del sud e Abkhazia. Il 9 aprile 1989, le truppe sovietiche dispersero una dimostrazione pacifica che contestava la formazione del nuovo governo a Tbilisi. Venti georgiani furono uccisi ed alcune centinaia feriti. L'evento radicalizzò la politica georgiana, spingendo molti - persino alcuni comunisti georgiani - a concludere che l'indipendenza era preferibile al regime sovietico.
Seguono estratti della tesi “Tra Russia e Stati Uniti. Storia della Georgia indipendente” (Marco Antollovich)
INDIPENDENZA DELLA GEORGIA E INDIPENDENZA DALLA GEORGIA
La Georgia, culla di una nazione che vanta origini antichissime, di gran lunga precedenti alla Rus’ di Kiev, è stata considerata fin dal 1800 una colonia russa, prima dell’Impero zarista e poi dell’Unione Sovietica.
Molti furono i Georgiani che riuscirono a emergere e a ottenere posizioni di ruolo nella multietnica e variegata realtà sovietica. Basti pensare a figure come Stalin, Berija, entrambi di nazionalità georgiana, o al legame di sangue che ha vincolato gli ultimi tre ministri degli esteri russi a Tbilisi: Primakov trascorse tutta la sua infanzia e la sua giovinezza nella capitale, mentre la madre del suo successore, Igor Ivonov era anch’essa originaria di Tbilisi. Da ultimo, il padre di Sergei Lavrov, attuale ministro degli esteri russo, faceva parte dell’élite armena della città.
La Georgia, ancor più di Armenia e Azerbaigian, rappresentava (e continua a rappresentare) perfettamente quel crogiolo di etnie, lingue e culture che caratterizza da sempre il Caucaso del Sud: stando all’ultimo censimento sovietico in Georgia, più precisamente, su una popolazione totale di 5.401.000 abitanti, solo il 70% era rappresentato da Georgiani.
Del restante 30%, gli Armeni costituivano la minoranza più numerosa (8%), seguita dai Russi con il 6.3% e Azeri con il 5.7%. Le popolazioni ossete e abcase rappresentavano rispettivamente il 3% e l’1.8%. Ciascuna delle minoranze, inoltre, occupava una zona ben definita all’interno del territorio georgiano: nella regione di Samtskhe-Javakheti, a meno di 300 chilometri da Tbilisi, gli Armeni costituiscono più del 50% della popolazione raggiungendo il 95% in certi distretti.
Gli Osseti rappresentavano nell’Ossezia del Sud, su circa 100.000 abitanti, il 66%, mentre i Georgiani, costituivano il secondo gruppo più numeroso della regione con il 29% della popolazione.
Il ruolo delle minoranze costituirà una delle questioni più annose per la nazione georgiana dopo l’indipendenza e sarà foriero di conflitti interni e attriti internazionali.
Sebbene il tenore di vita in Georgia fosse considerevolmente più elevato che in molte altre Repubbliche Sovietiche, la mancanza di risorse naturali rendeva il mercato georgiano indissolubilmente vincolato a quello sovietico: la coltivazione di viti (e la produzione di bevande alcoliche), agrumi e di tè rappresentava l’unica forma di esportazioni in tutta l’URSS.
Considerando che la coltivazione di tali prodotti avveniva solo sulle coste del Mar Nero (principalmente in territorio abcaso), essa rappresentava una fonte di introiti non trascurabile per l’economia georgiana, ma aveva alimentato negli anni un vasto mercato nero, con una conseguente impennata di corruzione negli anni ‘80.
Il crollo dell’Unione Sovietica ebbe dunque ripercussioni devastanti sul neonato stato georgiano poiché la relativa chiusura dei mercati, sommata alle guerre civili combattute al suo interno, portarono a una riduzione drastica dell’economia: rispetto al PIL del 1989 si registrò un calo dell’11% nel 1990, del 20.6% nel 1991, del 43.4 % nel 1992.
Da questa breve introduzione possiamo dedurre quanto la Georgia di fine anni ’80 fosse un territorio instabile e fragile sotto ogni punto di vista, all’interno di un altrettanto fragile Unione Sovietica. Ma come reagì questo piccolo stato agli avvenimenti che portarono alla dissoluzione del colosso sovietico e all’indipendenza del Caucaso?
Come nelle vicine repubbliche di Armenia e Azerbaigian, esisteva una Nomenklatura georgiana vicina o facente parte del partito che si era arricchita negli anni grazie al fiorente mercato nero; tali patronati andarono, col passare del tempo, a ricoprire un ruolo sempre più importante all’interno dell’amministrazione statale.
Grazie alla politica di decentramento dell’era di Gorbaciov, emersero delle nuove figure fondamentali per l’indipendenza del Caucaso e della Georgia, in particolar modo: i “patriot-businessman”.
Questa neonata categoria politico-militare-economica, grazie agli introiti derivati dal mercato nero, era in grado di organizzare forme di milizia privata altamente addestrata; tale milizia andrà a costituire il nucleo centrale dei vari eserciti nazionali agli albori dell’indipendenza, nei primi anni ‘90.
Il desiderio di svincolarsi dal giogo russo aveva dunque portato alla formazione di partiti e movimenti d’opposizione durante la fine degli anni ’80, tutti di stampo nazionalistico, tutti anti-russi, ma non tutti necessariamente anti-comunisti. Tra questi la “Società Rustaveli”, pro-comunista, il “Partito per l’Indipendenza Nazionale” di Tserteli, il “Partito Nazional-democratico” di Chanturia e la “Società di sant’Ilya”, fortemente nazionalista, fondata dai dissidenti Kostava e Gamsakhurdia.
In Georgia, tuttavia, le prime vere manifestazioni volte a contestare il ruolo egemone del partito comunista cominciarono già nel novembre del 1988. Fu proprio durante le proteste di fine ’88 che emerse la figura di Zviad Gamsakhurdia, leader carismatico e misterioso, emblema messianico della lotta per l’indipendenza e del nazionalismo georgiano.
Gamsakhurdia, originario della Mingrelia (regione storica georgiana, abitata da Mingreli, un sottogruppo dei Georgiani), ma cresciuto a Tbilisi, era figlio del più noto poeta e letterato georgiano del XVIII-XIX secolo.
Filologo, traduttore di Baudelaire e di innumerevoli opere francesi, inglesi e statunitensi, Zviad aveva sin da giovane dimostrato uno spiccato amore per la patria e un altrettanto spiccato odio per l’invasore sovietico. Promotore di una politica basata sul nazionalismo più esasperato (il suo slogan era “la Georgia per i Georgiani”), legava a doppio filo la rinascita della Georgia sia all’indipendenza dall’URSS, sia a una gestione dello stato tutta georgiana, dove le minoranze non dovevano né potevano ricoprire alcun ruolo (privare le minoranze di un ruolo nelle amministrazioni locali avrebbe consentito alla popolazione georgiana di controllare meglio, anche grazie all’ imposizione del georgiano come lingua, dei territori di confine dove i Georgiani risultavano in forte minoranza).
In questo clima, specchio delle differenti tendenze centrifughe in atto in URSS, nel marzo del 1989 una folla di 20.000 manifestanti, riunitisi a Sukhumi, richiese a gran voce il riconoscimento dell’indipendenza della Repubblica Abcasa (ma sempre all’interno dell’Unione Sovietica) e la conseguente secessione della Repubblica Georgiana. La repubblica autonoma di Abcasia infatti, era una regione da sempre difficilmente controllabile da Tbilisi. Con una superficie pari a quella dell’isola di Cipro, l’Abcasia occupava quasi tutta la zona costiera del Mar Nero e vantava un’economia complessivamente sviluppata, grazie alle piantagioni di agrumi e al turismo, con degli standard di vita incontrovertibilmente più elevati che nel resto del paese.
Il capoluogo Sukhumi, era uno dei luoghi di villeggiatura più amati dalle élites russe in tutta l’Unione Sovietica.
Con una popolazione di 525.000 persone rappresentava circa un decimo della popolazione della repubblica georgiana nel 1989, ma, a causa della composizione multi-etnica e della politica delle amministrazioni locali, la rendevano un territorio potenzialmente instabile.
Gli Abcasi vantavano inoltre origini totalmente differenti dal popolo georgiano: antichi abitatori del Nord Caucaso, con una lingua derivante del proto-circasso, risultavano molto più vicini alle etnie circasse, inguscete, daghestane e cecene piuttosto che a quella georgiana, differente anche da un punto di vista linguistico.
Le differenze religiose (gli Abcasi erano prevalentemente musulmani sunniti) e linguistiche costituivano da sempre un notevole scoglio culturale: gli Abcasi non si sono mai integrati appieno con il popolo georgiano, né, tantomeno, si sono sentiti georgiani.
In seguito a una politica di migrazioni forzate e di “georgianizzazione” del territorio, la popolazione abcasa in Abcasia costituiva paradossalmente soltanto il 17.8% del totale, mentre i Georgiani, con il 45.7% rappresentavano il gruppo maggioritario. Tra le altre popolazioni ivi residenti i Russi e gli Armeni componevano il 30% del totale, rispettivamente il 14.3 e 14.6%.
Sebbene gli Abcasi costituissero una minoranza numerica all’interno del proprio territorio, essi ricoprivano quasi tutte le cariche più importanti all’interno delle amministrazioni locali e all’interno del PC abcaso: il fatto che nel 1990 il 67% dei ministri nel governo abcaso fosse rappresentato da indigeni non è un dato trascurabile.
Tale sproporzione tra rappresentanza nazionale e rappresentanza parlamentare era dovuta ad una “politica dei compensi” voluta direttamente da Mosca. Un simile atteggiamento nei confronti delle minoranze abcase era strettamente legato al fatto che, in seguito alla politica repressiva staliniana e ai non rosei rapporti con la repubblica georgiana, l’intellighenzia abcasa avesse più volte richiesto (nel 1957, 1967 e 1977) l’annessione della repubblica autonoma alla RSFSR (Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, ovvero l’attuale Federazione Russa) e che questa fosse puntualmente respinta dalla sede centrale del PCUS.
La risposta del movimento nazionale georgiano alla “provocazione” non si fece attendere e un’ondata di manifestanti georgiani si riversò nelle strade di Tbilisi fondendo slogan contro l’Abcasia a slogan contro il partito e contro Mosca. L’intervento dell’esercito il 9 aprile 1989, inviato dal Partito Comunista Georgiano per sedare la rivolta, provocò centinaia di feriti, ponendo fine alle proteste, ma anche all’ultimo barlume di legittimità del regime.
Fu solo grazie all’aiuto fornito dalle milizie popolari private e delle bande criminali organizzate che si evitò un vero e proprio massacro di civili. Tali bande armate, controllate dai già nominati “patriot-businessman”, si ersero in difesa delle donne e dei bambini, guadagnando notevole popolarità; solevano auto-definirsi “un’organizzazione di carità paramilitare”. Tra queste organizzazioni, i Makhdrioni (Makhdrioni: letteralmente “Cavalieri”) di Jaba Joseliani, uno scrittore di operette teatrali capo della mafia georgiana, e le milizie di Kitovani avrebbero giocato un ruolo fondamentale durante i conflitti contro l’Ossezia del Sud e l’Abcasia.
In seguito agli eventi dell’aprile ’89, secondo un sondaggio svoltosi la settimana successiva all’ accaduto, l’89% del popolo georgiano voleva la piena indipendenza, più che in qualsiasi altra Repubblica Sovietica, comprese le Repubbliche Baltiche.
La situazione, già esasperata, degenerò definitivamente il 23 novembre dello stesso anno, questa volta a causa della questione osseta.
L’Ossezia del sud, con una popolazione di circa 100.000 abitanti, composta da Osseti al 66.2% e da Georgiani solamente per il 29%, era un oblast (l’Oblast è una suddivisione amministrativa all’interno dell’ex- Urss, corrispondente, all’ incirca, alla definizione di regione) a statuto speciale all’interno del territorio georgiano.
Gli osseti del sud risultavano però strettamente legati da vincoli etnici, culturali e linguistici (gli Osseti, sia del Nord che del Sud, discendono direttamente dagli Alani; la loro lingua risulta pertanto diversa sia dal georgiano, che dalle lingue del Nord Caucaso, poiché legata direttamente al medio-persiano) ai “fratelli” dell’Ossezia Settentrionale, la quale, trovandosi al di là dei monti del Caucaso, rientrava appieno nel territorio della RSFSR.
Con quasi la metà di matrimoni misti all’interno della piccola regione autonoma, Osseti del sud e Georgiani erano riusciti a instaurare un modus vivendi stabile e, nonostante i tentativi di “georgianizzazione”, la cultura e la tradizione osseta erano sopravvissute negli anni all’ interno della Georgia sovietica.
Agli inizi di novembre del 1989 il Soviet Supremo sud-osseto aveva avanzato una richiesta più contenuta e realizzabile rispetto a quella abcasa: l’Ossezia del sud sarebbe dovuta passare da uno status di “Oblast autonomo” a “Repubblica autonoma” (ASSR), con pochissime conseguenze pratiche, se non dal punto di vista dell’amministrazione interna.
Tale richiesta venne percepita dal soviet georgiano come un primo passo verso l’indipendenza e, pertanto, bloccato. Prendendo dunque spunto dagli avvenimenti accaduti pochi mesi prima in Abcasia, l’Ossezia si autoproclamò una nazione indipendente. Come avvenuto per l’Abcasia, la risposta georgiana non si fece attendere: leader incontrastato del movimento popolare fu Zviad Gamsakhurdia, che organizzò una marcia su Tskhinvali alla testa di 30.000 manifestanti. Sebbene la protesta non degenerasse in un vero e proprio conflitto armato, la possibilità di un’escalation militare era tutto fuorché improbabile.
Il 20 settembre 1990 il Soviet Supremo sud-osseto proclamò l’indipendenza della Repubblica Democratica Sovietica dell’Ossezia del Sud e l’annessione alla RSFSR. Per i Georgiani, secondo i quali i Sud-osseti non erano altro che “ospiti” (il termine georgiano coniato da Gamsakhurdia per indicare i Sud-osseti è stumrebi, la cui accessione negativa implica più un concetto di parassitismo, che di ospitalità) la dichiarazione d’indipendenza risultava un atto inaccettabile per tre motivi fondamentali:
Le minoranze georgiane all’interno dell’Ossezia del Sud, poi, sarebbero diventate bersaglio delle stesse discriminazioni che gli Osseti avevano subito in Georgia e sarebbe stato difficile per la madrepatria tutelarne la salvaguardia.
Il 5 gennaio 1991, circa 5.000 uomini riuniti in squadriglie paramilitari con l’appoggio della nuova Guardia Nazionale, costituita ad hoc per l’occasione, entrarono a Tskhinvali attaccando la popolazione civile; la milizia locale sud osseta, meglio addestrata rispetto ai Georgiani, rispose al fuoco.
Dopo la mobilitazione organizzata da Gamsakhurdia in favore dell’integrità della Repubblica Georgiana e delle minoranze georgiane in territorio, il parlamento varò una legge per l’abrogazione dello status di Oblast autonomo dell’Ossezia del Sud, dichiarando, inoltre, lo stato di emergenza.
La politica del pugno di ferro promossa da Tbilisi non lasciava spazio a mediazioni di sorta e, da subito, la situazione degenerò in conflitto aperto: durante il gennaio 1991, le forze georgiane e ossete combatterono ininterrottamente per venti giorni a Tskhinvali e nelle zone limitrofe.
L’Ossezia del Sud, arroccata trai monti del Caucaso, era composta da una moltitudine di piccoli villaggi, alcuni dei quali a forte maggioranza georgiana. La “capitale”, a maggioranza osseta, era circondata da villaggi etnicamente georgiani, che controllavano ben tre delle quattro strade che portavano a Tskhinvali. Allo stesso modo la milizia irregolare osseta non ebbe difficoltà a isolare i restanti villaggi georgiani dalla madrepatria durante gli scontri che ormai volgevano a favore dei secessionisti osseti.
La milizia osseta, per altro, veniva periodicamente rifornita di armi, blindati e munizioni attraverso il Tunnel Roccioso (unico passaggio che collega l’Ossezia meridionale a quella settentrionale; questa galleria tra la montagne del Caucaso, sarà l’unico passaggio attraverso il quale i sud osseti potranno ricevere aiuti dalla Russia) dalla guarnigione russa di Vladikavkaz.
Non bisogna dimenticare inoltre che la milizia georgiana, composta più da Makhedrioni e da soldati della guardia nazionale che da veri e propri coscritti, non sempre condivideva appieno le decisioni assunte dai vertici georgiani.
Nonostante il trauma suscitato dal rapido susseguirsi di avvenimenti che stava portando la Georgia alla perdita della propria sovranità su quasi un terzo del territorio nazionale, il 9 aprile 1991 il parlamento georgiano dichiarò la propria indipendenza.
Il 26 maggio 1991 Zviad Gamsakhurdia divenne il primo presidente della Georgia indipendente, con una schiacciante vittoria (87 % dei voti). Il nuovo parlamento rifletteva perfettamente il nazionalismo georgiano: 9 posti soltanto, su 245, furono concessi alle minoranze.
La mancanza di qualsivoglia forma di diritto politico, la repressione delle minoranze e il totale disinteresse per le istituzioni democratiche spinsero a un rapido coalizzarsi di tutte le altre forze politiche e militari georgiane. Il fallito colpo di stato organizzato a Mosca contro la presidenza Gorbaciov spinse Gamsakhurdia a una riforma dell’esercito sotto il controllo statale. Più precisamente, come abbiamo già visto, mancava in Georgia un vero e proprio esercito nazionale, il che poteva spingere le milizie a ribellarsi contro le autorità centrali.
Esistevano truppe sovietiche di stanza in quattro basi militari in Georgia, ma sotto il comando di Mosca, e truppe “irregolari” formate dalle milizie personali dei signori locali, padroni dell’economia sommersa georgiana. Tra questi Tengiz Kitovani, capo della Guardia Nazionale, amico di Gamsakhurdia (ma da questi non controllato) e Jaba Ioseliani, capo dei Makhedrioni e leader incontrastato del traffico di tabacco e benzina.
Il 23 agosto 1991 un decreto governativo poneva La Guardia Nazionale sotto il diretto controllo del Ministero degli Interni, con il manifesto proposito di “normalizzare” una forza instabile che sarebbe andata a creare il nucleo del nuovo esercito georgiano, allontanando Kitovani dal suo ruolo di comando.
Sfortunatamente però, il nuovo presidente ottenne il risultato contrario: Kitovani, sentitosi tradito dal vecchio amico e non volendo perdere il controllo su una milizia da lui stesso formata, unì i suoi 12.000 soldati ai Makhdrioni di Ioseliani e, con l’appoggio del primo ministro Tengiz Sigua, organizzarono un colpo di stato.
A inizio dicembre le forze del nuovo triumvirato marciarono su Tbilisi, costringendo Gamsakhurdia a rifugiarsi prima in Armenia e poi in Cecenia.
Sebbene il colpo di stato fosse andato a buon fine, gli Zviadisti continuerannoo i combattimenti in tutto il territorio georgiano e soprattutto in Mingrelia, terra di appartenenza del leader detronizzato, tra Georgia e Abcasia.
IL RITORNO DI SHEVARDNADZE E LA QUESTIONE ABCASA
Durante la prima metà degli Anni Novanta la guerra civile e il conflitto in Ossezia del Sud portarono la Georgia al tracollo finanziario e politico: i triumviri si resero da subito conto della gravità della situazione e richiamarono in patria l’unica personalità che potesse risollevare le sorti del paese: Edward Shevardnadze che, dopo essere stato Primo Segretario del Partito Comunista Georgiano dal 1972 al 1985, era stato nominato Ministro degli Esteri dell’ Unione Sovietica nel 1985, sostituendo Gromyko durante la presidenza Gorbaciov.
La drastica escalation in Ossetia, che rischiava di coinvolgere sempre di più la Russia con esiti incerti, spinse le parti in causa a cercare un accordo: il 24 giugno 1992 Shevardnadze e Eltsin siglarono, nella località di Dagomys sul Mar Nero, gli accordi di pace.
I punti di maggior rilievo del trattato di pace stabilivano:
– il ritiro delle forze in campo;
– la demilitarizzazione della regione;
– il ritiro degli ultimi contingenti ex-sovietici dall’ Ossezia del Sud;
– la creazione di una “Commissione di controllo congiunta” composta da 200 Georgiani, 200 Russi e altrettanti Sud-Osseti.
Il prestigio di Shevardnadze e il pacificarsi dei rapporti con l’Ossezia consentirono alla neonata Repubblica Georgiana l’ingresso alle Nazioni Unite e il riconoscimento globale il 31 luglio del 1992.
Un’altra regione, tuttavia, acclamava a gran voce l’indipendenza, minacciando l’integrità del territorio georgiano: questa volta però, la minaccia giungeva da ovest, sulle coste del Mar Nero. All’arrivo di Shevardnadze anche in Abcasia la situazione sembrò, per un breve periodo, migliorare. Venne autorizzata l’apertura di un’università abcasa, di stazioni radio e stazioni televisive in lingua abcasa e la pubblicazione di riviste che non fossero necessariamente in georgiano o in russo.
Quando tuttavia il conflitto in Ossezia del sud sembrava volgere al termine, si susseguirono una serie di attacchi contro la ferrovia georgiana in Abcasia. Secondo la maggior parte degli storici georgiani si trattava di una provocazione di Ardzimba, l’allora leader abcaso, pronto a scatenare un vero e proprio conflitto.
L’Abcasia aveva inoltre nuovamente espresso la volontà di re-instaurare la costituzione abcasa del 1925, mozione respinta dal parlamento georgiano il 25 luglio 1992. Il 14 agosto del 1992 Kitovani marciò alla testa di un contingente di 3.000 uomini per riportare ordine nella regione secessionista. Tale intervento tuttavia non risultava totalmente giustificato, né aveva ricevuto l’approvazione di Shevardnadze, il quale ammise che esistevano “delle intenzioni non manifeste” che avevano spinto Kitovani ad attaccare l’Abcasia.
Più precisamente buona parte dei traffici illeciti georgiani avevano come sbocco preferenziale il vastissimo mercato nero russo: la ferrovia che attraversava l’Abcasia arrivava direttamente a Soci, evitando il tortuoso passaggio attraverso i monti del Caucaso e non è un mistero che Kitovani e Joseliani fossero legati alla criminalità organizzata georgiana. Kitovani, inoltre, come riportato eufemisticamente dallo storico Chervonnaya, “non mostrò una gentilezza angelica” durante l’intervento.
L’Abcasia decretò la mobilitazione generale, ma le truppe georgiane riuscirono a sfondare, entrando a Sukumi, aiutate da irregolari zviadisti. Gli Zviadisti, sostenitori del’ex presidente Gamsakhurdia (in esilio in Cecenia) preferirono infatti, in un primo momento, sostenere la fazione georgiana piuttosto che i separatisti abcasi, coerentemente con il loro credo nazionalista; mossero dunque dalla loro roccaforte di Gali, in Mingrelia, per unirsi alle forze di Kitovani. Sukhumi venne conquistata, sebbene Gamsakhurdia avesse proibito agli Zviadisti di unirsi all’esercito georgiano.
Il 2 settembre venne decretato il cessate il fuoco. Nonostante l’arrivo di un gruppo di osservatori delle Nazioni Unite (circa 50 membri), il conflitto riprese con intensità crescente. La ripresa delle ostilità era dovuta in gran parte al voltafaccia degli Zviadisti, i quali combattevano ora con gli irregolari abcasi per reintegrare il loro leader in esilio e non erano vincolati dal cessate il fuoco, dichiarato solo dalle milizie georgiane e abcase.
Per la prima volta si unirono alla coalizione abcaso-zviadista migliaia di volontari provenienti dal Nord Caucaso. L’Abcasia, la cui popolazione era musulmana sunnita ed etnicamente molto più vicina alle popolazioni russe (qui non si intende etnicamente russe, ma facenti parte della Federazione Russa) del Caucaso che non ai Georgiani, ricevette consistenti aiuti da Daghestani, Ingusceti, Circassi e irregolari ceceni che avevano fondato il movimento della “Confederazione dei Popoli di Montagna”.
Dopo l’abbattimento di un Su-27 russo, la Georgia ebbe la certezza che la Russia appoggiasse indirettamente i secessionisti abcasi. Nel settembre del 1993 cominciarono a militare nelle fila dei separatisti anche reparti speciali dell’esercito russo, sebbene da Mosca giungessero ferme smentite, accompagnate da dichiarazioni di solidarietà all’integrità territoriale georgiana.
In realtà il fatto che gli Abcasi ricevessero un consistente contributo dai russi risulta un elemento incontrovertibile e comprovato. Agli Abcasi fu concesso di rifornirsi dalla base militare russa di Gudauta, unica base Russa in territorio abcaso, complici molti generali dell’esercito russo che vedevano in Shevardnadze un traditore (Shevardnadze era stato Ministro degli Esteri dell’Unione Sovietica sotto la presidenza Gorbaciov ed uno dei maggiori sostenitori e promotori delle riforme strutturali che avevano portato allo smembramento dell’Urss. I più conservatori tra i politici e i militari russi vedevano dunque in Shevardnadze un traditore della patria e dell’ortodossia comunista).
Nel marzo 1993 la testata russa Izvestia confermava il fatto che le forze separatiste avessero ricevuto 72 carri armati e mezzi di artiglieria pesante dai Russi. Nel 1993 la sola città di Sukhumi venne assediata quattro volte. Il 27 luglio 1993 Mosca riuscì a definire il cessate il fuoco e l’allontanamento di tutta l’artiglieria pesante attorno al capoluogo. Sebbene entrambe le parti avessero aderito formalmente, soltanto Shevardnadze rispettò la parola data. Il 16 settembre, approfittando del vantaggio così scorrettamente ottenuto, le truppe abcase sferrarono un ultimo assedio a Sukhumi, che capitolò undici giorni dopo. Nelle settimane che seguirono, 232.000 georgiani furono espulsi dal territorio abcaso dalle truppe di Ardzimba dando vita a una vera e propria pulizia etnica. In quei giorni 4.465 georgiani furono uccisi. Come, a seguito delle violenze perpetrate in Ossezia del sud, i Georgiani erano stati accusati di genocidio, così ora i Georgiani accusavano gli Abcasi dello stesso crimine.
Il cessate il fuoco prevedeva il dispiegamento di un contingente di pace lungo il confine abcaso-georgiano: considerando che né l’ Unione Europea né le Nazioni Unite erano disposte a stabilire una missione di peacekeeping in loco, si offrì Volontaria la CSI, Comunita degli Stati Indipendenti, composta da Russia, Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Tagikistan, Kazakhstan, Uzbekistan, Tagikistan, (Ucraina e Turkmenistan non hanno mai ratificato il trattato); il mandato di peacekeeping, formalmente sotto tutela della CSI, prevedeva il dispiegamento in campo del solo contingente di pace russo. Tremila soldati russi (che non avevano formalmente preso parte al conflitto) furono stanziati lungo il confine.
Le Nazioni Unite misero a disposizione cento osservatori disarmati in territorio georgiano. L’Abcasia venne posta sotto embargo dalla stessa CSI (gennaio 1996) e vennero chiusi i confini con la Russia. L’isolamento abcaso sarebbe durato fino al 1999 e sarebbe costato alla nuova repubblica all’incirca 11 miliardi di dollari. Il conflitto con l’Abcasia era dunque terminato, ma non quello contro gli Zviadisti, che si accingevano a riconquistare l’ormai indifesa Georgia. Questa volta, tuttavia, giunse a Shevardnadze l’inaspettato aiuto di Mosca; un aiuto certamente non disinteressato. L’esercito georgiano in brevissimo tempo, supportato da irregolari russi, sconfisse la milizia zviadista, che si ritirò in Abcasia e lo stesso Gamsakhurdia uscì di scena, suicidandosi misteriosamente nel suo rifugio in Cecenia. Sebbene la stessa moglie del ex-presidente avesse testimoniato una forte depressione nel marito, il suicidio, per le modalità e le tempistiche con cui venne commesso, lascia presumere una partecipazione russa all’atto estremo.
Il prezzo che i Russi chiesero a Shevardnadze per l’aiuto fornito fu tuttavia molto elevato, poiché la Georgia dovette entrare a pieno titolo nella Comunità degli Stati indipendenti il 9 ottobre 1993. Dovette inoltre siglare nel febbraio del 1994 un accordo di amicizia con l’ingombrante vicino russo, accompagnato dalla firma di trattati economici, dal consenso alla permanenza di militari russi nelle ex-basi sovietiche e dall’accettazione del russo Grachev come ministro della Difesa.
LA GEORGIA NEL CAOS E L’ EPOCA DI SHEVARDNADZE
La neonata Repubblica Georgiana all’arrivo di Shevardnadze, all’inizio del 1992, versava in condizioni disastrose: come si è visto Ossezia del Sud e Abcasia non nascondevano le proprie mire indipendentiste e filo-russe, inoltre l’Ajara risultava sempre meno controllabile da Tbilisi. La struttura dell’apparato economico si stava sfaldando in modo apparentemente ancor più veloce rispetto allo sfaldamento a territoriale.
Come poté constatare tangibilmente Per Garthon, rapporteur svedese del Parlamento Europeo in Georgia, l’inflazione aumentava in modo allarmante: il rapido declino della produzione industriale e agricola era seguito da un’inflazione che raggiungeva il 50-60% mensile equivalente al 600-720 % annuo.
La nuova valuta, il “coupon”, rendeva gli stranieri sempre più restii all’idea di investire nel paese: si trattava di una valuta debolissima, in continua svalutazione e priva di potere d’acquisto. In breve tempo i salari divennero così bassi da non consentire alla popolazione di pagare sostanzialmente nulla: un coupon valeva all’incirca un centesimo di centesimo di euro e 1.000 coupon, pertanto, equivalevano a 10 centesimi. 18.000 coupon, il salario mensile, equivaleva a circa 2 euro. Quasi dieci anni dopo, nel 2002 uno stipendio medio andava dai 30 ai 100 lari, equivalente a circa 14-54 dollari statunitensi.
Dal 1990 al 1997 ebbe inizio un vero e proprio esodo di lavoratori georgiani verso la Russia, l’Unione Europea o gli Stati Uniti. Più di un milione di emigrati dal 1990 al 1997 lasciò il paese alla ricerca di ingaggi più remunerativi: circa 134.000 persone all’anno. Sebbene il tasso di disoccupazione rimanesse elevato (quasi il 14% nel 1999), tale ondata migratoria consentì un’entrata di capitale straniero grazie alle rimesse.
Shevardnadze si trovava dunque a ereditare un fardello gravoso e difficilmente gestibile. Eletto a presidente del Consiglio di Stato il 10 marzo 1992 preferì ottenere il potere attraverso un mandato parlamentare, piuttosto che impossessarsene con la forza. Le riforme che dovevano essere attuate per salvare la Georgia dal baratro nel quale stava precipitando erano tutte indissolubilmente collegate: la gestione dell’economia, della politica estera e di quella interna avrebbero determinato le sorti della Georgia negli anni successivi.
Il presidente neo-eletto (Edward Shevardnadze venne ufficialmente eletto presidente della Repubblica Georgiana il 16 novembre 1995, precedentemente aveva ricoperto la figura di presidente del Parlamento) riconobbe dunque dapprima l’errore politico del suo predecessore in Ossezia del Sud: l’accettazione georgiana del cambio di status da “oblast autonomo” a “repubblica autonoma” avrebbe causato molti meno problemi rispetto a un intervento militare in un territorio impervio e sotto la tutela di Mosca.
La richiesta di scuse che ne seguì e l’apertura a un nuovo dialogo tra Sud-Osseti e Georgiani sembravano pertanto volte a ricostruire i rapporti tra i due popoli, non irreparabilmente compromesse.
La guerra in Abcasia aveva invece dato vita a uno scenario del tutto diverso: le strade di Tbilisi erano affollate da esuli senza casa dei territori conquistati e la partita per l’Abcasia sembrava lungi dall’esser conclusa; gli osservatori dell’OSCE avevano apertamente definito gli avvenimenti di Sukhumi “pulizia etnica”, ponendo la Georgia in una posizione di forza sul piano internazionale.
La terza regione autonoma, l’Ajara, la cui posizione sarebbe risultata di fondamentale importanza per la Georgia (al confine con la Turchia, acquisterà una grande importanza strategica per il Paese, poiché vi sarebbe passata la pipeline Baku-Tbilisi-Cheyan), continuava a essere governata da un signore della guerra locale, Abashidze, più vicino a Mosca che a Tbilisi.
In Ajara era infatti presente una delle ultime basi sovietiche in territorio georgiano e le più alte cariche dell’esercito russo vedevano in Abashidze un altro alleato nella lotta contro Shevardnadze. La repubblica di Ajara dunque, sebbene facesse parte de iure dello stato georgiano, non intratteneva con quest’ultimo nessuna forma di rapporto, né di dialogo. I contributi riscossi in Ajara restavano nella regione ed erano costituiti quasi esclusivamente dalle mazzette guadagnate per concedere il transito di mezzi e merci dalla Turchia alla capitale Tbilisi.
L’accordo tacito tra Abashidze e Shevardnadze, consisteva proprio nella ricerca di un modus vivendi attraverso un principio do ut des: l’amministrazione centrale non avrebbe interferito in alcun modo nella politica interna della regione autonoma, a patto che questa continuasse a esser parte della Repubblica Georgiana.
Pacificate le relazioni con la Russia grazie ai dialoghi tra il presidente georgiano ed Eltsin, Shevardnadze non fece mistero di voler avvicinare il proprio paese all’Occidente: al riconoscimento dell’indipendenza georgiana da parte dell’Unione Europea (23 marzo 1992) seguirono una visita del ministro degli affari esteri tedesco Genscher e l’apertura dell’Ambasciata statunitense il mese seguente.
La dichiarata lotta alla corruzione, accompagnata da una relativa stabilità interna e dal prestigio esercitato dalla figura stessa di Shevardnadze, che si era guadagnato la simpatia e il rispetto dell’Occidente – soprattutto in Germania e negli Stati Uniti – poichè, in qualità di Ministro degli Esteri dell’Unione Sovietica, era stato promotore della politica di Glasnost e Perestrojka durante la presidenza Gorbaciov, consentirono un accenno di ripresa dell’economia georgiana dovuta a un aumento degli investitori stranieri.
L’inflazione, però come visto sopra, galoppava e nella speranza di limitare l’inflazione legandosi a una valuta forte Shevardnadze nel 1994 fu costretto a presentare alla Russia la richiesta di integrare la Georgia nella “zona-rublo”, la quale però venne respinta.
Sebbene il presidente esprimesse un sincero desiderio di entrare in Unione Europea, lui stesso si rendeva conto che raggiungere i parametri standard per l’accesso sarebbe stato impossibile in breve tempo: ancora nel 2000 le entrate fiscali ammontavano a 25 milioni di lari, solo il 65 % del previsto, la disoccupazione si attestava attorno al 12% e l’economia sommersa influiva su quasi il 40% del totale.
Poiché risultava palese che la Russia cercasse di destabilizzare il Caucaso per potervi giocare di nuovo un ruolo egemonico, in quegl’anni il presidente georgiano intravide nell’avvicinamento agli Stati Uniti (e quindi, indirettamente, alla NATO) la possibilità di ottenere un appoggio esterno nella lotta alle repubbliche secessioniste e una garanzia contro una potenziale minaccia russa.
Nel 1999 la Georgia uscì dalla CSTO (Collective Security Treaty Organization, è un’alleanza militare nata nel 1992, ma resa funzionale soltanto a partire dal 7 ottobre 2002, composta da Russia, Armenia, Bielorussia, Tagikistan e Kazakhstan. Georgia e Azerbaigian si sono ritirate dal Patto nel 1999, seguite, nel 2012, dall’ Uzbekistan) e dichiarò l’intenzione di diventare un membro effettivo della NATO nel 2005.
Tbilisi cominciò a ricevere istruttori dagli Stati Uniti i quali, dopo la chiusura della base russa di Vaziani nel 2001, ottennero il placet georgiano per utilizzare la base abbandonata come area di rifornimento per le truppe in Iraq.
Già alla fine degli anni Novanta, la Georgia diede inizio a un ammodernamento dell’esercito, rifornendosi di nuove armi e apparecchiature da Israele e, in seguito, dall’Ucraina. Come dimostrazione dell’impegno preso, un contingente georgiano di 200 membri si unì alle forze NATO in Iraq; durante l’era di Mikheil Saakashvili tale contingente avrebbe raggiunto le 2.000 unità, rendendo la Georgia il più grande paese contribuente non membro come numero di uomini impiegati sul campo.
Un’altra ambizione di Shevardnadze era la costruzione del BTC: tale progetto faraonico prevedeva la costruzione di una pipeline che, sfruttando le risorse azere in Mar Caspio, avrebbe dovuto collegare le città di Baku, Tbilisi e Cheyan (Turchia), per rifornire il grande mercato turco e, da lì, trasportare il greggio in Europa.
Nel 1999 venne terminato il primo oleodotto non controllato dalla Russia: il BTS (Baku, Tbilisi, Supsa). Sebbene si trattasse di una pipeline in grado di trasportare complessivamente poco materiale, la sua realizzazione costituì una svolta materiale e simbolica per liberare il Caucaso dalla dipendenza dal giogo russo nell’approvvigionamento di idrocarburi.
La costruzione del BTC sarebbe risultata molto più complessa e costosa del previsto e il ruolo di maggior peso sarebbe stato giocato da Stati Uniti ed Europa, nel tentativo di diversificare i propri paesi fornitori.
Come affermò Alexander Rondeli :
“Noi [Georgiani] abbiamo bisogno dell’oleodotto; in questo modo continueremo ad avere gli Stati Uniti dalla nostra parte contro la Russia. La Georgia non ha nulla da offrire al mondo, se non la sua posizione geografica”, aggiungendo inoltre che “non è il petrolio in sé ad avere importanza. Certamente creerebbe nuovi diritti doganali e tasse di transito, ma, ad ogni modo, quei soldi finirebbero una volta ancora nelle tasche delle persone sbagliate”.
Queste righe costituiscono un sunto preciso di ciò che rappresenterà, in quel periodo, la Georgia di Shevardnadze. La sua posizione geostrategica aumentò l’interesse degli investitori stranieri che vedevano nella piccola Repubblica caucasica un tassello fondamentale per la costruzione di quella che verrà definita “La Nuova Via della Seta”.
Tuttavia, il fallito tentativo di arginare la corruzione e un nuovo clima di instabilità politica avrebbero spinto i nuovi attori internazionali occidentali a ridurre progressivamente gli investimenti in Georgia: per correre ai ripari Shevardnadze si sarebbe dunque trovato costretto a riavvicinarsi (anche se solo in parte) a Mosca.
Fin dall’ inizio la lotta alla corruzione non aveva dato i risultati sperati: più precisamente si era creata col tempo una fitta schiera di “alleati” del presidente, meglio noti come membri del “Circolo di Shevardnadze”, i quali avevano ampia facoltà di azione, quasi fossero svincolati dalle costrizioni della legge.
Ma cosa aveva portato alla nascita di questa cerchia così vicina al presidente? Sin dal suo ritorno in patria, Shevardnadze aveva combattuto i signori della guerra locali, che detenevano il controllo del mercato nero verso la Russia e la Turchia, padroni incontrastati dell’economia sommersa. Tale lotta aveva portato all’arresto degli stessi Kitovani e Joseliani e i controlli alle frontiere del nord del paese erano aumentati, anche se molte merci di contrabbando riuscivano comunque a oltrepassare i confini.
Considerando che combattere da solo il crimine georgiano sarebbe stata un’impresa ardua senza un appoggio politico-economico alla base, Shevardnadze dovette stringere accordi con i signori locali, come Abashidze, e con potenti uomini d’affari.
Tali misure risultarono efficaci nella lotta al mercato nero, ma resero il presidente sempre più vincolato agli interessi dei suoi protettori. Uno dei suoi nipoti, Nugzar, divenne uno degli uomini più ricchi in Georgia, mentre il neoeletto ministro degli Interni venne coinvolto in numerosi scandali di tangenti. Sebbene Shevardnadze fosse considerato complessivamente onesto, l’astio provato dalla popolazione verso la sua cerchia di eletti andò ad aumentare nel corso dei primi anni del 2000.
“Non è un mistero che far soldi è possibile solo avendo delle buone relazioni [personali] con Shevardnadze”, affermava in un’intervista al Georgian Messenger, il 30 maggio 2002, Mikheil Saakashvili, uno dei leader dell’opposizione e futuro successore di Shevardnadze.
Alle elezioni parlamentari del 1999 vennero riscontrate delle irregolarità dagli osservatori dell’OSCE presenti in loco, ma non sufficientemente gravi da inficiare il carattere democratico delle elezioni. Di tutt’altro avviso l’opposizione, che cominciò ad accusare il partito di maggioranza e il presidente stesso. Shalva Natelashvili, leader dei laburisti, considerò che la Georgia si stava trasformando in “una monarchia post-comunista su modello azero”.
Non a caso, nonostante il calo di sostenitori registrato nei sondaggi pre-elettorali, Shevardnadze ottenne un secondo mandato alle presidenziali del 2000.
Il 2 giugno del 2002 vennero riportati brogli elettorali alle elezioni “locali”, una sorta di prova generale per le ben più importanti parlamentari del 2003 e per le presidenziali del 2005. La mancanza di un censimento attendibile nella Georgia post-indipendenza e l’ambiguità dei documenti presentati ai seggi (vecchi passaporti sovietici, patenti, libretti della pensione privi di foto) consentivano a una parte della popolazione di votare svariate volte in cambio di qualche mazzetta.
L’opposizione intensificò le proteste: a guidarla vi erano Zurab Zhvania, leader dei Verdi, e Mikheil Saakashvili, leader del Movimento Nazionale. Sebbene il primo fosse il membro dell’opposizione più conosciuto all’estero (Zhvania era un convinto europeista, parlava fluentemente l’ inglese, e si era recato più volte in Europa per promuovere l’ idea di una Georgia europea, e per discutere di altre problematiche con altri membri dei partiti dei Verdi europei) e per lungo tempo più amato in patria, Saakashvili riuscì ben presto a essere apprezzato dalla folla grazie alla sue aspre critiche contro il presidente: lo slogan del Movimento Nazionale era “Georgia senza Shevardnadze”.
Dal 2003 la politica estera di Shevardnadze si fece sempre più sfumata e ambigua: Shevardnadze era filo-occidentale per una questione di immagine, non per una ragione ideologica. Da un lato aumentarono le spese militari, accompagnate da un invio di truppe in Iraq, dall’altro le pressioni per entrare a far parte il prima possibile della NATO andarono affievolendosi e il ritiro delle truppe russe dalle basi in Georgia non costituì più una priorità. Se la costruzione degli oleodotti BTC BTS era incontrovertibilmente volta a sottrarsi dal giogo russo, così la riapertura della linea ferroviaria per Soci attraverso l’Abcasia e dei nuovi accordi siglati con Gazprom sembravano avvicinare nuovamente Tbilisi a Mosca.
Tale ambiguità non venne accolta positivamente dalle cancellerie occidentali e anche la popolazione, che non aveva visto alcun cambiamento considerevole del tenore di vita in dieci anni, era ormai stufa della politica di Shevardnadze.
Un nuovo triumvirato composto da Zhvania, Nino Burjanadze (futuro presidente georgiano ad interim) e Saakashvili, appoggiati dalla popolazione e probabilmente dall’Occidente, avrebbe dato vita a una serie di proteste pacifiche, la cosiddetta “Rivoluzione delle Rose”, che avrebbe portato all’uscita di Shevardnadze dalla vita pubblica.
GLI STATI UNITI IN GEORGIA. UNA DEMOCRAZIA DI COMODO
L’occidentalizzazione della Georgia doveva tuttavia avere una base ideologica: la democrazia. Si tratta però di un espediente che molti autori trovano semplicemente funzionale alla politica di espansionismo statunitense e di allargamento della NATO.
Un caloroso discorso di George W. Bush spiegava infatti che: “Dalla Rivoluzione delle Rose nel 2003, il popolo georgiano ha tenuto delle libere elezioni, ha spianato la strada ad una crescita economica e ha costruito le fondamenta per una democrazia prospera”.
Il fatto che uno studio di Reporter Senza Frontiere abbia constatato un peggioramento nella libertà di stampa, facendo slittare la Georgia dal 73° al 93° posto dal 2003 al 2005 e che l’opposizione abbia accusato Saakashvili di clientelarismo, corruzione e autoritarismo è stato a lungo trascurato dalle cancellerie occidentali.
Anche la definizione stessa di “elezioni libere” sembrava stridere con gli avvenimenti reali: il filo-occidentale e democratico Saakhasvili, sebbene fosse stato eletto con una maggioranza quasi bulgara di voti nel 2003 (97,4) anche se in realtà nel 2003 Saakashvili era l’uomo del momento, un leader carismatico, la figura chiave della “Rivoluzione delle Rose”; mancava in Georgia una vera opposizione, né un possibile rivale per il futuro presidente, alle presidenziali del 2008 aveva vinto sì alla prima tornata elettorale, ma con un 53,47% di voti, accompagnato da accuse di brogli da molti osservatori internazionali.
Ciò che contava per l’Occidente erano altri avvenimenti, di minor importanza forse, ma che testimoniavano l’esistenza di una Georgia molto vicina all’Europa e agli Stati Uniti: una delle strade più importanti di Tbilisi era stata nominata George W. Bush Avenue in seguito alla visita del presidente nel 2005 e Saakashvili aveva dato inizio alla costruzione del nuovo palazzo presidenziale costruito da un architetto italiano su modello della Casa Bianca a Washington. Il fatto che fosse costato 12 milioni di lari, circa lo 0,2 % dell’intero budget statale non venne nemmeno menzionato.
Nel 2008 i principali partner commerciali di Tbilisi erano ormai tutte potenze regionali che avevano scavalcato la Russia, diminuendo l’influenza che Mosca aveva avuto sulla Georgia di Shevardnadze: Turchia, Azerbaigian, Ucraina e Germania avevano infatti declassato la Russia al quinto posto.
Come sottolinea Julien Zarafiran nel suo testo “Les Etats-Unis au Sud Caucase postsovietique” “Non si è più davvero sicuri che gli Stati Uniti sostengano qui la “democrazia” che trova difficoltà ad affermarsi appieno in Georgia. Loro sostengono piuttosto uno stato, grazie al quale la promozione della democrazia ha permesso un avvicinamento significativo e che è diventato un alleato”.
La decisione americana di adottare una politica di “soft power” nel Caucaso sarà solo il primo passo verso una politica di “hard power”. Come già analizzato precedentemente, il neonato esercito georgiano non era stato in grado di riaffermare lo status quo pre-1989 nelle regioni secessioniste, né tantomeno sarebbe stato in grado di contrastare un attacco russo, nell’eventualità (non troppo remota) in cui gli attriti tra Mosca e Tbilisi fossero degenerati in un conflitto aperto.
Oltre al sostegno economico in aiuto all’ideale democratico, giunsero in Georgia contributi altrettanto generosi per il rafforzamento della Difesa georgiana. Un esercito forte avrebbe permesso a Saakashvili di ottenere un maggiore consenso interno, facendo leva sulla possibilità di attaccare le due regioni (ormai dichiaratesi indipendenti) e riportarle sotto il controllo di Tbilisi.
La formazione di battaglioni addestrati dalle truppe americane nella lotta contro il terrorismo internazionale avrebbe potuto ridurre le accuse di incompetenza (rivolte dai Russi) dell’esercito georgiano per quanto concerneva il controllo dei confini nella vallata del Pankisi. I migliori reparti dell’esercito georgiano sarebbero stati mandati in Iraq e Afghanistan, avvicinando sempre più la Georgia alla NATO. Un ammodernamento radicale dell’esercito avrebbe implicato un acquisto massiccio di nuovi armamenti statunitensi, israeliani e, in seguito, ucraini.
La Georgia cominciò a ricevere aiuti americani già dal 1994 attraverso l’“International Military Education Training” volto appunto ad addestrare il neonato esercito georgiano, ricevendo 2,5 milioni di dollari dal 1994 al 2001 (epoca Shevarnadze) solo attraverso questo programma. In totale, nello stesso periodo, i fondi americani stanziati per un miglioramento della difesa georgiana ammontano a più di 40 milioni di dollari.
La crisi successiva alla guerra in Cecenia portò gli Stati Uniti a compiere un ulteriore passo: attraverso il “Train and Equip Program”, dal 2002 al 2004, l’invio di istruttori dell’esercito statunitense in Georgia fu accompagnato dalla vendita di autovetture, camion (circa 150), pezzi di ricambio per aerei da guerra, munizioni, carburante, divise e strumentazione radio.
Ben 150 milioni di dollari vennero stanziati in 12 anni attraverso il “Georgia Border Security and Low Enforcement”, una soluzione-escamotage volta ad addestrare le truppe georgiane senza che ciò potesse formalmente costituire una minaccia per Mosca: il programma infatti mirava a rafforzare il controllo sulle regioni di confine a Nord della Georgia, bloccando l’attività di contrabbando transfrontaliera e dichiarando guerra al terrorismo internazionale. Aumentando i controlli nella vallata del Pankisi, Georgia e Russia appianavano le divergenze d’opinione sulla questione cecena, dal momento che Tbilisi stessa si era impegnata a fronteggiare i ribelli ai confini.
Forte dei contributi ricevuti, la Georgia si impegnò, sia con Shevardnadze che con Saakashvili, a partecipare alle missioni NATO, fornendo un contributo non trascurabile.
Nel 1999 la Repubblica Georgiana prende parte alla missione in Kosovo, mettendo a disposizione circa 150 uomini raggruppati in reggimenti tedeschi e turchi. L’impegno si sarebbe fatto progressivamente maggiore durante la guerra in Iraq: dal 2003 al 2008 sarebbero stati impiegati quasi 4000 soldati georgiani, che avrebbero costituito la terza forza numerica dopo Stati Uniti e Regno Unito.
Durante la missione ISAF in Afghanistan lo spazio aereo georgiano venne aperto alla NATO, causando non pochi attriti con la Russia, e Tbilisi firmò il “Partnership Action Plan on Terrorism”, fornendo un contributo ufficiale alla lotta al terrorismo. Nel 2012 la Georgia sarà il primo paese non NATO, in quanto a numero di soldati in campo, con ben 1685 uomini. A fronte degli sforzi militari compiuti in supporto delle forze NATO, nel 2005 la Georgia firmò con la NATO un Piano di Azione Individuale (MAP) nella speranza di essere totalmente integrata come membro della struttura Nord Atlantica.
Nonostante la forte pressione degli Stati Uniti, al summit di Bucarest del 2008 né la Georgia né l’Ucraina riuscirono a ottenere il riconoscimento come membri. Non bisogna trascurare infatti il ruolo di Francia e Germania sia come potenze NATO sia come partner commerciali della Russia. Una presa di posizione troppo marcata, con l’entrata delle due repubbliche all’interno dell’Alleanza, avrebbe potuto compromettere i rapporti con Mosca. Il fallimento del Summit di Bucarest avrebbe avuto conseguenze dannose sia per la Georgia, che per gli Stati Uniti: un processo di cooperazione economica e militare durato più di un decennio subiva una brusca battuta d’arresto che rischiava di rovinare le relazioni tra i due stati e di lasciare esposta la Georgia, ormai considerata alleato statunitense, a dure ripercussioni russe.
È importante considerare che il cambiamento della politica estera russa con Putin rendeva la Georgia un bersaglio vulnerabile: Saakashvili aveva resistito alle pressioni e alle minacce di Mosca dal giorno del sua nomina a presidente, convinto che gli sforzi fatti sarebbero stati premiati con accesso alla NATO come membro e non come partner. Tale accesso avrebbe permesso alla Georgia un intervento deciso contro le repubbliche di Abcasia e Ossezia meridionale volto a tutelare l’integrità della Nazione. Forte di una protezione dalla NATO, non avrebbe dovuto temere un attacco da parte russa, protettrice dell’indipendenza delle due repubbliche autonome. Il fallimento di Bucarest creò una doppia complicazione: il mancato intervento contro le repubbliche abcase e sud ossete avrebbe potuto creare una crisi interna e aumentare il dissenso popolare e, al tempo stesso, un intervento avrebbe potuto portare ad un attacco russo volto a difendere le due repubbliche alleate.
La Georgia di SAAKAŠVILI
Alle elezioni del 4 gennaio 2004 Mikheil Saakašvili ottenne una vittoria schiacciante (il 96% dei voti validi) con la promessa di combattere la piaga della corruzione e del nepotismo che ostacolavano lo sviluppo economico del paese. La "Rivoluzione delle rose" (chiamata così perché ottenuta senza nessuno spargimento di sangue) dimostrò a tutte le repubbliche caucasiche dell'ex Unione Sovietica come l'avvento della democrazia nella regione potesse trasformarsi da lontana speranza a realtà.
A febbraio, il parlamento approva una riforma costituzionale che rafforza le competenze del presidente della repubblica. Il nuovo presidente deve affrontare molti problemi: più di 230.000 profughi in fuga dalle zone separatiste hanno messo a dura prova l'economia georgiana; la pace nelle regioni separatiste di Abkhazia ed Ossezia del sud, sorvegliate dal contingente di pace delle Nazioni Unite e dalle forze armate della Russia, rimane fragile; la risoluzione dei problemi che hanno portato alla nascita di conflitti locali è ancora lontana.
La questione della regione separatista dell'Ajaria viene risolta abbastanza rapidamente: il capo separatista Aslan Abashidze rifiuta dapprima di applicare il decreto del governo Saakašvili mirante a riprendere il controllo dell'Ajaria, ed entrambe le parti hanno mobilitato le loro forze per prepararsi apparentemente per un confronto militare: l'ultimatum di Saakašvili e l'effettiva minaccia di un'azione di forza provocano tuttavia la fuga di Abashidze.
I rapporti con la Russia rimangono problematici a motivo del sostegno economico e militare di quest'ultima nei confronti dei governi separatisti di Abkhazia ed Ossezia del sud. Le truppe russe tuttora mantengono due basi militari, sotto la facciata di contingente di pace in queste regioni, nonostante i reiterati inviti del governo di Tbilisi a ritirarli.
L'integrazione nella NATO e nell'UE rimane il principale obiettivo della politica estere della Georgia. Il 29 ottobre 2004, il Consiglio dell'Atlantico del nord (NAC) della NATO ha approvato il piano d'azione specifico di associazione (IPAP) per la Georgia: la Georgia è la prima fra i paesi associati alla NATO che ha portato a termine con successo questa operazione. La Georgia continua a sostenere le forze di coalizione nell'Iraq. Il giorno 8 novembre 2004, 300 soldati georgiani supplementari sono state inviate nell'Iraq. Il governo georgiano si è impegnato ad inviare un totale di 850 soldati in Iraq nelle forze di protezione della missione dell'ONU. Con l'aumento dei soldati georgiani in Iraq, gli Stati Uniti addestreranno i 4 mila soldati georgiani supplementari all'interno delle strutture del programma (GTEP) di cui la Georgia fa parte.
Il governo georgiano è impegnato nella riforma economica in collaborazione con la banca mondiale e con l'FMI (fondo monetario internazionale) e punta molto sulla rinascita dell'antica via della seta come corridoio euroasiatico, sfruttando la posizione geografica della Georgia come ponte per il transito delle merci fra Europa ed Asia. Saakašvili si è impegnato per migliorare l'economia in generale e specificamente per aumentare le paghe e le pensioni, come pure per eliminare la corruzione e riportare alle casse statali i guadagni illeciti dei politici del governo precedente.
Nel febbraio 2005 il primo ministro Zurab Zhvania è stato assassinato e Zurab Nogaideli è stato nominato come nuovo primo ministro.
Il 9-10 maggio 2005 la Georgia è stata visitata dal presidente USA George W. Bush, che ha incontrato di Mikheil Saakašvili e un gruppo di parlamentari georgiani. Nel 2006 Saakašvili era ancora sotto pressione per la mancata attuazione delle riforme promesse in campagna elettorale. Le organizzazioni come Amnesty International hanno seria preoccupazioni per quel che riguarda il rispetto dei diritti dell'uomo. La disoccupazione, le pensioni e corruzione eccessive e la continua disputa sull'Abkhazia hanno notevolmente diminuito la popolarità di Saakašvili nel paese. I rapporti della Georgia con la Russia erano al punto più basso nella storia moderna dovuto alla polemica sulla arresto di quattro ufficiali russi accusati di spionaggio in Georgia (poi estradati in Russia).
Con l'incidente delle spie la Russia impose da ottobre un embargo aereo, marino e postale, l'arresto di georgiani accusati di crimine organizzato e di aver favorito l'espatrio di georgiani in territorio russo. La Russia oltretutto minacciava di raddoppiare il prezzo del metano venduto alla Georgia. Da parte sua la Georgia minacciava di porre il veto all'ingresso della Russia nel WTO.
La Guerra in ossezia nel 2008
Nell'agosto 2008 nuovi scontri in Ossezia del Sud sono sfociati nell'avanzata delle forze georgiane nella regione e nella reazione russa con il bombardamento del porto di Poti, un importante centro strategico per la distribuzione di carburante nel Mar Nero e la cacciata degli attaccanti. La Georgia ha proclamato la mobilitazione generale, dichiarando lo stato di guerra. Nel proseguo delle operazioni militari che interessano l'area l'esercito russo ha inviato truppe in Ossezia e Abcasia, schierandosi a fianco dei secessionisti. Nei giorni seguenti le operazioni russe non si sono limitate all'area contesa, ma hanno coinvolto anche il territorio della Georgia quando le truppe dell'Armata Russa hanno occupato la città di Gori a 90 km da Tbilisi, la città di Poti ed altre località minori, costringendo i georgiani a ripiegare per difendere la capitale. Un accordo preliminare sul cessate il fuoco è stato firmato da Georgia e Russia il 15 agosto 2008. Lo Stato Maggiore dell'esercito russo ha dichiarato di aver completato il ritiro dalle zone occupate in Georgia entro 10 giorni, mentre la parte georgiana osserva che esistono ancora posti di blocco russi nel suo territorio e che il ritiro dal porto di Poti non è stato completato. Il Parlamento georgiano, riunito in seduta straordinaria, ha prorogato lo stato di guerra fino all'8 settembre 2008.
La Russia ha riconosciuto l'indipendenza di Ossezia del Sud ed Abcasia il 26 agosto 2008, sottoscrivendo successivamente accordi militari con le due repubbliche.
La Georgia è grande circa un quarto dell'Italia ed occupa quasi la metà del Caucaso, quel territorio compreso tra le due catene montuose del Grande Caucaso a nord e del Piccolo Caucaso a sud e dal Mar Nero a ovest e il Mar Caspio a est.
La Georgia è suddivisa in 2 repubbliche autonome costituite già in epoca sovietica, 1 città capitale (k'alak'i) e 9 altre regioni (mkhare), stabilite provvisoriamente fra il 1994 e il 1996, 69 province (raioni).
1 Abcasia (Sukhumi)
2 Samegrelo-Zemo Svaneti (Zugdidi)
3 Guria (Ozurgeti)
4 Agiaria (Batumi)
5 Racha-Lechkhumi e Kvemo Svaneti (Ambrolauri)
6 Imereti (Kutaisi)
7 Samtskhe-Javakheti (Akhaltsikhe)
8 Shida Kartli (Gori)
9 Mtskheta-Mtianeti (Mtskheta)
10 Kvemo Kartli (Rustavi)
11 Kakheti (Telavi)
12 Tbilisi (Tbilisi)
Il distretto amministrativo autonomo della Ossezia del Sud (Tskhinvali), già nota come Samachablo o regione di Tskhinvali e facente parte della regione Shida Kartli, non è una delle repubbliche autonome ed è stato il teatro di un persistente conflitto militare a partire dalla dissoluzione dell'Unione Sovietica per ottenere l'indipendenza dalla Georgia. L'8 agosto 2008 la Georgia ha lanciato un'offensiva per riguadagnare l'Ossezia del Sud al suo controllo. In risposta all'intervento georgiano, la Russia è intervenuta militarmente occupando l'Ossezia meridionale ed una zona cuscinetto ai suoi confini all'interno della Georgia.
4.1 SITUAZIONE SOCIALE
La Georgia, per la sua posizione strategica tra Europa ed Asia, ha un patrimonio culturale ed una diversità demografica molto ricche. La popolazione della Georgia è di circa 3.729.500 abitanti (Geostat, 2015) e si estende su un territorio di 69.700 chilometri quadrati. La città più popolosa del paese è la capitale Tbilisi, che è l'unica a superare il milione di abitanti. Altre città, di popolazione nettamente minore, sono: Kutaisi, seconda città del paese con i suoi 200.000 abitanti, Batumi, vicina al confine turco, e Rustavi, che è stata la prima città georgiana ad ospitare un'industria metallurgica. Le restanti città non raggiungono i 100.000 abitanti.
La Georgia è un insieme di nazionalità e identità regionali diverse, alcune meglio integrate di altre. Nei casi più critici tale fenomeno ha portato alla secessione e alla guerra (come è accaduto con l’Abkhazia e l’Ossezia del sud, entrambe regioni con lingue che presentano notevoli peculiarità e popolazioni che non si considerano georgiane). Circa 250.000 persone di etnia georgiana sono state costrette ad abbandonare l’Abkhazia durante il conflitto del 1992-1993 e la loro posizione giuridica spesso è ancora quella di rifugiato politico interno. Altri gruppi etnici che parlano lingue per certi versi riconducibili al georgiano, come le comunità che vivono nel Samegrelo e nello Svaneti, sono riusciti a mantenere la loro identità culturale senza separazioni o conflitti. I georgiani sono attorno all'83,8%, dell'attuale popolazione. Gli altri principali gruppi etnici includono gli azeri, che sono il 6,5% della popolazione, armeni 5,7%, russi 1,5%, abcasi e osseti. Anche altri numerosi piccoli gruppi etnici vivono nel paese inclusi assiri, ceceni, cinesi, ebrei georgiani, greci, curdi, turchi e ucraini. In particolare, la comunità ebraica georgiana è una delle più vecchie comunità ebraiche del mondo.
La Georgia esibisce anche una significativa diversità linguistica. All'interno della famiglia delle lingue caucasiche meridionali sono parlati il georgiano, il laz, il mingreliano e lo svan. Il georgiano, la lingua ufficiale, è parlata dal 71% della popolazione, il 9% parla russo, il 7% armeno, il 6% azero, e il 7% le altre lingue.
La Chiesa apostolica autocefala ortodossa georgiana è una delle più antiche chiese cristiane del mondo, fondata nel I secolo d.C. dall'apostolo Andrea. Nella prima metà del IV secolo d.C. il Cristianesimo venne adottato come la religione di Stato. Questo ha portato un forte senso di comunità che ha aiutato a preservare l’identità nazionale georgiana nonostante i ripetuti periodi di occupazioni straniere e tentativi d'assimilazione. Dalla fine dell’epoca sovietica la chiesa russo-ortodossa ha vissuto una grande rinascita. Sono state restaurate molte chiese antiche e i monasteri e conventi si sono ripopolati di monaci e suore. Solo un piccolo numero di georgiani, prevalentemente nell’Adjara, è musulmano, così come la popolazione azera del paese, mentre gli armeni appartengono per lo più alla chiesa cristiano apostolica armena. In accordo con la costituzione della Georgia, le istituzioni religiose sono separate dal governo e ogni cittadino ha il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa. Comunque, più dell'82% della popolazione della Georgia pratica la confessione cristiano ortodossa e la Chiesa Ortodossa Georgiana è un'influente istituzione nel paese.
La disoccupazione è il problema principale della Georgia e riguarda soprattutto i giovani. Due terzi della popolazione dai 20 ai 24 anni è senza lavoro. Le promesse del Governo georgiano di creare nuovi posti di lavoro sta creando discussioni, in molti sostengono che i posti di lavoro vengono creati dall’economia, non da un Ministero. La povertà è cresciuta del 22.7% nel 2010, del 23% nel 2011 e oggi ancora il 9,2% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. La disoccupazione rimane alta (14.9% secondo le stime del 2015; disoccupazione giovanile stimata attorno al 30%). Il calo notevole di giovani formati e pronti al lavoro, tanto intellettuale quanto fisico, si accompagna a un senso di sfiducia crescente e al grande desiderio di emigrare all’estero. Il vice presidente del Congresso delle Nazioni Chviča Tolordava afferma che “l’autorità dovrebbe preoccuparsi della creazione di un ambiente necessario per lo sviluppo economico, il Governo si focalizza solo sul settore turistico, mentre i giovani, ai quali è destinato il programma, non ne ricaverà benefici. La paura è che la gioventù georgiana si trasformi in personale di servizio di quegli europei che arrivano qui in vacanza, e non sono nemmeno tanti. Non hanno bisogno di personale qualificato, ma di camerieri, inservienti di albergo, portieri e simili
oggi in Georgia si riesce a trovare lavoro solo nel settore delle banche o nella polizia”. Nel primo caso, non senza l’aiuto delle conoscenze, mentre il servizio nella polizia perde popolarità a vista d’occhio. I giovani non hanno stimoli ad intraprendere alcuna professione. Non vedono il senso dell’ottenimento di un diploma, visto che nemmeno con questo si riesce a trovare lavoro. L’incentivo scompare anche a partire dalla scuola. Frequentare un Istituto di alta formazione costa 20 000 lari all’anno (pari a 12 000 dollari). Uno stipendio medio è di 323 lari (195 dollari) e circa un terzo della popolazione vive in povertà.
Il sistema educativo della Georgia ha subito radicali riforme di modernizzazione, anche se dolorose e controverse, a partire dal 2004. Il tasso di alfabetizzazione degli adulti in Georgia è dato al 100%. L'istruzione è obbligatoria per tutti i bambini di età compresa tra i 6 e i 14 anni.
Il sistema scolastico è diviso in elementari (6 anni, fascia d'età 6-12 anni), base (3 anni, fascia d'età 12-15), e secondaria (3 anni, livello d'età 15-18 anni), o in alternativa gli studi professionali (2 anni). Gli studenti con un diploma di scuola media hanno accesso all'istruzione superiore. Solo gli studenti che hanno superato l'esame nazionale unificato, possono iscriversi in un istituto statale di istruzione superiore, sulla base di graduatoria dei punteggi che lui / lei hanno ricevuto agli esami. La maggior parte di queste istituzioni offrono tre livelli di studio: un programma di Bachelor (3-4 anni), un programma di Master (2 anni), e un programma di dottorato (3 anni). Vi è anche un programma di specialista certificato che rappresenta un unico programma di istruzione di più alto livello della durata di 3-6 anni
La Welfare Monitoring Survey, inchiesta condotta dall’UNICEF ha rivelato che la povertà dei bambini abbandonati è in crescita nell’annata 2013-2014. Il livello di povertà cresce tra i bambini del 50% in più rispetto al resto della popolazione. Il Governo con il supporto dell’UE e dell’UNICEF negli ultimi anni sta sviluppando dei servizi e sistemi per migliorare la situazione dei bambini abbandonati in strada.
Nel 2013 la Georgia ha fatto notevoli progressi nel tentativo di eliminare le peggiori forme di degrado e povertà in cui versano molti minori. In particolare, nel tentativo di combattere il lavoro minorile, ha promosso diversi interventi contro questa forma di sfruttamento: ha svolto una raccolta dati per l’analisi della situazione sul lavoro minorile e ha fatto degli sforzi enormi per rafforzare la legge e aderire agli standard internazionali che riguardano i diritti dell’infanzia. Ha continuato la riforma del sistema degli istituti statali di accoglienza degli orfani o istituzioni simili per cercare di fornire una migliore assistenza ai bambini abbandonati e collegare i minori con tutori e famiglie allargate. Nonostante i notevoli sforzi, i dati sul lavoro minorile e sull’abbandono familiare riportano ancora l’elevato coinvolgimento dei bambini nel settore agricolo e nell’elemosina per strada, quest’ultima è considerate tra le peggiori forme di sfruttamento minorile. Nella lotta alla deistituzionalizzazione dei minori abbandonati e in generale nell’assistenza ai bambini in estrema povertà, il Ministero degli Affari Sociali georgiano ha attuato una forte campagna e ha sviluppato un piano 2010-2012 per chiudere i grandi istituti di accoglienza per bambini e orfanotrofi minori e sostituirli con delle piccole case accoglienza (non più di 8-10 bambini), il reintegro famigliare, l’adozione e altre forme più consone e umane per la crescita dei bambini.
Altro gruppo svantaggiato è sicuramente quello delle persone con disabilità o bambini con bisogni speciali. Oltre a non ricevere l’aiuto necessario dallo Stato, spesso, nonostante la legge georgiana lo vieti, questi bambini vengono esclusi dalla partecipazione alle scuole pubbliche e alla vita sociale. Infatti, oltre a mancare le strutture adeguate, come rampe o ascensori, gli insegnanti non sono preparati e manca lo staff di accompagnamento. Ovviamente questo problema si ripresenta non solamente alla scuola primaria, ma a tutti i livelli, fino a condizionare il futuro lavorativo di queste persone.
4.2 SITUAZIONE POLITICA INTERNA
In base alla costituzione la Georgia è una repubblica democratica semipresidenziale, con il Presidente della repubblica come capo di Stato, e il Primo Ministro come capo del governo. Il potere esecutivo è composto dal Presidente e dal Gabinetto della Georgia. Il gabinetto è composto dai ministri con a capo il Primo Ministro, nominato dal Presidente. In particolare, i ministri della difesa e dell'interno non sono membri del Gabinetto e sono direttamente subordinati al Presidente della Georgia. Il potere legislativo è detenuto dal Parlamento, il quale è unicamerale composto da 150 deputati, dei quali 75 membri sono eletti con un sistema a rappresentanza proporzionale e 75 sono eletti attraverso un singolo membro di distretto in un sistema di pluralità, che rappresentano i loro elettori. I membri del parlamento sono eletti per un mandato di cinque anni. La Georgia ha una Corte Suprema, con giudici eletti dal parlamento su raccomandazione del Presidente, e una Corte costituzionale.
L’attuale presidente della repubblica è il candidato della coalizione governativa “Sogno georgiano”, Georgij Margvelashvili, filosofo di formazione, che prima dell’avvio della campagna elettorale rivestiva la carica di ministro dell’Istruzione.
Gli ultimi due anni e mezzo di governo del Sogno Georgiano sono stati caratterizzati da una serie di alti e bassi: partiti con un grande entusiasmo, e forti di un largo consenso popolare, derivato dal fatto di essere la “novità” sulla scena politica georgiana, gli uomini di Ivanishvili (fondatore del Sogno Georgiano), hanno però via via deluso le aspettative dei cittadini, a causa dell’impossibilità di realizzare le troppe promesse fatte durante la campagna elettorale. Il Sogno Georgiano ha comunque avuto il merito di aver ripulito il paese dalla vecchia e contestata classe dirigente, sostituita però con un’altra che si è rivelata altrettanto discutibile.
Negli ultimi due anni il Sogno Georgiano ha avviato diverse riforme, sotto pressione dell’Europa, che hanno fatto segnalare passi in avanti in alcuni settori, anche se sotto questo aspetto il lavoro da fare è ancora tanto, soprattutto per quanto riguarda il settore della giustizia. Le tasse e le imposte sono state generalmente ridotte, a discapito però dei servizi concessi ai cittadini. Intanto però i georgiani continuano a dover convivere con una situazione precaria: la crisi economica continua a dilaniare il paese, ma il governo sembra finora muoversi solo a piccoli passi, senza aver portato sino a questo momento miglioramenti significativi nella vita dei cittadini.
In vista delle prossime elezioni, fissate per il 2016, oltre ai problemi interni causati dalla recente frammentazione della coalizione, che preoccupano il Sogno Georgiano, il partito dovrà cercare di risolvere il problema del sempre maggiore disinteresse dei cittadini nei confronti della partecipazione politica, generato da una crescente disillusione causata dalla difficile situazione economica in cui versa da anni il paese e dalle tante promesse fatte a suo tempo da Ivanishvili ma mai mantenute. Se nell’ottobre del 2012 in occasione delle elezioni parlamentari l’affluenza alle urne fu del 59%, in occasione delle elezioni presidenziali dell’anno successivo l’affluenza scese al 47%, per poi calare ancora al 43% al momento delle elezioni comunali del 2014.
Nonostante il crescente disinteresse della popolazione nei confronti della politica, però, il Sogno Georgiano partirà come favorito anche alle prossime elezioni parlamentari, dove il governo cercherà ancora una volta la fiducia dei georgiani. Il risultato però non sarà per nulla scontato: lo stesso Movimento Nazionale Unito di Saakashvili era stato dato come favorito nel 2012, salvo poi essere malamente sconfitto dall’emergente partito di Ivanishvili. E proprio il Movimento Nazionale Unito, in vista delle prossime elezioni, cercherà di strappare nuovamente la leadership del paese agli uomini del Sogno Georgiano, sperando in un nuovo colpo di scena.
4.3 POLITICA ESTERA
La Georgia mantiene buone relazioni con i suoi diretti confinanti Armenia, Azerbaigian e Turchia e partecipa attivamente nelle organizzazioni, come il Consiglio Economico del Mar Nero e il GUAM. La Georgia mantiene anche relazioni politiche, economiche e militari con il Giappone, Corea del Sud, Israele, Ucraina e molti altri paesi. La crescente influenza degli Stati Uniti d'America e dell'Unione Europea in Georgia, in particolare attraverso la proposta di membership con la NATO, gli Stati Uniti d'America con il programma d'assistenza militare d'addestramento e equipaggiamento e la costruzione dell'Oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, hanno reso tese le relazioni di Tbilisi con Mosca.
Tbilisi è in paziente attesa dello status di paese pre-aderente – l’agognato membership action plan (MAP) – dalla primavera del 2008, quando al summit di Bucarest i vertici dell’alleanza delinearono la politica “della porta aperta”, trovandosi d’accordo sulla futura adesione della Georgia senza concordarne però la data. La Georgia ha tutte le carte in regola, dal 2004 un’ondata di riforme ha cambiato il volto del paese che oggi spunta quasi tutte le caselle per democrazia e trasparenza. È parte integrante del partenariato orientale dell’Unione europea e nel giugno del 2014 ha firmato l’accordo di associazione e l’accordo di libero scambio con i paesi membri. Le forze militari georgiane sono in prima linea nelle missioni Nato e la lotta alla corruzione ha portato il paese al 50° posto dell’indice annuale di Transparency International nel 2015 (era al 99° nel 2006). Ciò che rallenta i lavori è la consapevolezza che la Georgia ha un enorme valore strategico e la sua posizione nello spazio post-sovietico, che il Cremlino considera la sua sfera d’influenza, non rende facile la decisione.
Negli ultimi mesi da Tbilisi sono arrivati segnali a prima vista contraddittori in merito alle future strategie geopolitiche del Paese. In un incontro con l’alto comandante dell’esercito USA in Europa Ben Hodges la ministra della Difesa georgiana Khidasheli ha dichiarato pubblicamente come gli USA stiano portando avanti delle esercitazioni al fine di valutare la tempistica e la capacità di reazione in caso di un’aggressione russa. I toni di Hodges nei confronti della Russia non sono mai stati amichevoli, ma il fatto che esponenti del Governo georgiano abbiano confermato pubblicamente l’esistenza di piani di difesa anti-russi segnala la volontà di qualificarsi con Mosca come un interlocutore di pari livello. La Georgia vuole dimostrare di essere pronta a rispondere a eventuali aggressioni sfruttando l’aiuto dei propri alleati. Contestualmente, però, si evince il tentativo di voler normalizzare i rapporti con il potente vicino. La reazione di Tbilisi è giunta, infatti, dopo che Mosca aveva avviato nelle settimane precedenti i lavori di ripristino del collegamento ferroviario con l’Abhkazia del Sud. La Repubblica è stata riconosciuta come indipendente dalla Russia a seguito del conflitto del 2008, ma per la Georgia resta parte integrante del proprio territorio. Il Governo e i media di Tbilisi hanno visto l’azione come una provocazione: nel 2008 quello stesso collegamento ferroviario venne, infatti, usato dall’esercito russo per il trasporto delle proprie truppe. L’aver invitato il generale americano è servito quindi anche a segnalare a Mosca il fatto che il Governo georgiano non tollererebbe eventuali ulteriori provocazioni. Pochi giorni dopo l’incontro con Hodges, altri membri del Governo georgiano hanno più volte sottolineato come i rapporti tra il loro Paese e Mosca abbiano superato le criticità registrate nel 2008. Lo stesso accordo di associazione con l’UE – siglato nel 2014 – non sarebbe stato osteggiato dalla Russia. Parallelamente, il ministro degli Esteri di Tbilisi ha dichiarato come tale accordo, oltre all’eventuale ingresso nella NATO, non avrà effetti sulle questioni legate alla definizione dello status dell’Abhkazia e dell’Ossezia del Sud. Per quanto riguarda il futuro delle due Repubbliche indipendentiste sarebbero, infatti, necessarie soluzioni di lungo periodo che non contemplerebbero l’opzione militare. La tentazione da parte georgiana di risolvere a suo favore la disputa relativa alle due Repubbliche indipendentiste anche grazie all’aiuto degli alleati occidentali non va comunque sottovalutata. È difficile però ipotizzare che tali opzioni possano trovare sbocco nel breve periodo. Allo stato attuale né Mosca, né tantomeno Washington e i suoi alleati possono permettersi di avviare nuove contese. La questione ucraina e gli sviluppi della crisi siriana impegneranno i contendenti per i prossimi mesi – forse anni – e fino ad allora nessuno dei due big player dovrebbe avere interesse a rischiare un’escalation per eventuali colpi di testa del Governo di Tbilisi. Come già evidenziato, nel breve periodo sarà dunque difficile che a Tbilisi siano concessi quei margini di manovra che possano riaccendere la disputa con Mosca. Contestualmente, anche le aperture che Washington e gli alleati europei saranno disposti a fare al Governo georgiano serviranno probabilmente da un lato a tranquillizzare Tbilisi, ma dall’altro non verrà perso di vista l’obiettivo di non irritare troppo Mosca. Nessuno può permettersi al momento una nuova disputa militare. Probabilmente nelle prossime settimane si intensificherà il dibattito circa l’eventuale uso dello spazio aereo georgiano da parte di Mosca nell’ambito delle operazioni militari in Siria. Non è da escludere che Tbilisi – nonostante membri di spicco del Governo abbiano dichiarato di non aver ricevuto nessuna richiesta in tal senso da parte russa – conceda l´utilizzo del proprio spazio aereo. Gli spazi di manovra della Georgia nel tentativo di dar seguito alle proprie rivendicazioni sull’Ossezia e sull’Abhkazia del Sud dovranno tener conto dell’esito del confronto in corso sullo scacchiere globale tra Mosca e Washington. Questo periodo di tranquillità potrebbe però rivelarsi utile per consentire alla Georgia di ripensare il proprio ruolo geopolitico e valutare, anche nel lungo periodo, le opportunità di una ridefinizione dei propri rapporti con Mosca. Eventualmente facendo delle concessioni rispetto alle due Repubbliche indipendentiste che insistono sul suo territorio. L’alternativa potrebbe essere l’avvio di un aspro confronto con la Russia, i cui esiti oltre che essere tutt’altro che scontati, difficilmente, nonostante l’appoggio di Washington, potranno essere positivi per la Georgia.
4.4 SITUAZIONE ECONOMICA
Le guerre civili, la corruzione diffusa e la scarsità di risorse energetiche hanno reso difficoltosa la ripresa economica del Paese dopo l’indipendenza dall’Urss. Il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 70%, tra gli impianti della grande industria solo alcuni erano operativi e neppure a pieno regime. Tutte queste fabbriche erano private e appartenevano a membri del governo o a persone a loro vicine. L'offerta di lavoro si riduceva di giorno in giorno e il taglio di posti di lavoro avanzava in quasi tutte le organizzazioni statali, incluse quelle coercitive. Lo stipendio medio di medici e insegnanti non superava i 200 dollari. Stipendi di poco superiori si registravano nelle forze di sicurezza, in ambito bancario o nel commercio. Non solo il settore industriale ma anche l'agricoltura si era fermata a causa della completa rottura dei rapporti economici con la Russia. La Georgia ha perso il mercato tradizionale russo e quello europeo resta chiuso ai prodotti locali. Negli ultimi anni però l’economia della Georgia ha registrato buoni tassi di crescita sostenuta in gran parte dagli investimenti privati e dalla domanda interna. Tuttavia, a partire dall’ultimo trimestre del 2014, gli effetti della crisi regionale si sono fatti sentire, a cui si sono aggiunti un forte deprezzamento della moneta nazionale (circa il 30% in meno), il rafforzamento del dollaro, il calo delle esportazioni (per la riduzione delle importazioni da Russia e Ucraina) e delle rimesse dall’estero hanno provocato un sensibile rallentamento dell’economia georgiana, con stime di crescita del PIL per il 2015 del 2%.
Nonostante le politiche monetarie messe in atto dalla Banca Centrale Georgiana, rimane ancora forte la dollarizzazione dell’economia e ampia resta l’esposizione agli shock esterni. Grazie alla sua posizione geografica fra i continenti europeo e asiatico, al basso costo del lavoro, alla stabilità sociale e all’ambiente molto favorevole per le aziende e le imprese straniere, buone possono essere le prospettive di sviluppo del Paese, anche tenendo conto dell’attuazione dell’Accordo di Libero Scambio Completo e Approfondito siglato con l’UE, entrato in vigore dal settembre 2014, che dovrebbe dispiegare i suoi effetti nel medio-lungo periodo.
I settori sui quali il Governo georgiano punta per il rilancio dell'economia sono quelli tradizionali, dell'idroelettrico, dell'agricoltura e dell'agro-alimentare (per il rilancio del quale questo Governo ha messo in campo un ambizioso programma quinquennale), del turismo (che nel 2014 ha registrato un rallentamento, con un tasso di crescita dell'1,9% a fronte degli imponenti aumenti delle presenze complessive del 56,9% nel 2012 e del 21,8% nel 2013), della costruzione di nuove infrastrutture, del manifatturiero e del rilancio delle esportazioni, attraverso il programma "Produce in Georgia" operativo da circa 18 mesi.
La fluttuazione del lari viene considerata il giusto rimedio per far fronte alla crisi regionale che ha causato comunque forte deprezzamenti anche alle monete della Regione, addirittura superiori a quelle registrate dalla moneta georgiana. La svalutazione del lari ha prodotto grande preoccupazione nel paese, sia per l’elevata dollarizzazione di questa economia che per i timori di un aumento dei prezzi. Per far fronte alla crescente pressione dei media e dell'opinione pubblica, la Banca Centrale ha deciso il ricorso all'aumento del tasso di rifinanziamento di cinquanta punti, raggiungendo la soglia del 4,5% con la prospettiva di arrivare al 5% se la pressione dovesse continuare. Sulla capacità del Paese di attrarre investimenti il Governatore ha fatto presente che tutti i fondamentali della Georgia sono a posto e che essa si caratterizza per un basso tasso di corruzione e di tassazione, una notevole facilità nel fare business ed una grande quantità di riforme già attuate. Ciononostante occorrerebbe ora una "seconda generazione" di riforme con le quali introdurre innanzitutto una più elevata produttività in tutti i settori. Necessario quindi una maggiore apertura della Georgia per attrarre expertise soprattutto in aree chiave dell'economia come l'agricoltura (il 50% della forza lavoro è impiegata nel settore agricolo che contribuisce tuttavia solo per il 9% al PIL nazionale), l'idroelettrico ed il turismo, dove il paese ha grandi potenzialità. Anche lo sviluppo rurale (la Georgia è terzultima in Europa per ricchezza della popolazione) si conferma la chiave per lo sviluppo del paese.
La migrazione internazionale è apparsa all'ordine del giorno per la Georgia dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica. Nei primi anni dopo l'indipendenza, l’emigrazione è stata diretta principalmente verso le regioni dell'ex Unione Sovietica, ma da allora è gradualmente diversificata. Geostat fornisce statistiche annuali sui flussi migratori da e per il paese. I risultati preliminari del censimento hanno mostrato un importante calo della popolazione in Georgia nell’arco di tempo 2002-2014. Di gran lunga il maggior numero di emigranti georgiani si trova nella Federazione Russa. Secondo lo stesso studio l'Ucraina ha il secondo più numeroso gruppo di emigranti georgiani, intorno a 68.000 nel 2013, seguita dalla Grecia (38.000), Armenia (37.000) e Uzbekistan (23.000). Anche gli stati membri dell’UE sono diventati importanti mete di destinazione. Circa 40.000 georgiani risiedevano in uno dei paesi UE nel 1990, nel 2013 questo numero era triplicato.
Il Ministero dell’Economia e Sviluppo sostenibile della Georgia oggi ha annunciato che Anaklia Development Consortium LLC si è aggiudicata il contratto per costruire e sviluppare un porto in acque profonde ad Anaklia. Il progetto, del valore di 2,5 miliardi di dollari, stabilirà un nuovo corridoio marittimo fra la Cina e l’Europa, contribuendo a ripristinare la storica Via della seta e stimolando la crescita economica a livello sia nazionale che regionale. Si prevede che le attività di costruzione inizieranno entro la fine del 2016, salvo il completamento delle revisioni ambientali. Il porto sarà operativo tre anni dopo l’inizio della costruzione; si prevede che il progetto creerà 3.400 posti di lavoro durante la fase di costruzione, mentre saranno necessari 6.400 dipendenti per condurre le attività portuali una volta completato il progetto. Il porto sarà in grado di gestire 100 milioni di tonnellate di carico ed entro il 2025 genererà annualmente lo 0,5% del PIL.
Situata sulla costa orientale del Mar Nero, Anaklia presenta una posizione strategica sulla rotta più breve dalla Cina all’Europa, che recentemente è diventato un punto focale per 40 miliardi di dollari di investimenti da parte della Cina in infrastrutture tramite il Fondo per lo sviluppo della Via della seta e già rappresenta il 26% del volume degli scambi commerciali della Cina con l’estero. La recente apertura della Banca Asiatica d’Investimento per le infrastrutture (AIIB), con capitale di 100 miliardi di dollari, sosterrà pure lo sviluppo di infrastrutture regionali. Il ripristino della Via della seta è uno dei progetti che ha rivestito primaria importanza pure per la Georgia e ha le sue basi nell’accordo di libero scambio DCFTA (Deep and Comprehensive Free Industrial Agreement) stipulato con l’Unione Europea a dicembre 2014. In base all’attuale accordo, Anaklia Development Consortium riceve anche il diritto a sviluppare una Zona industriale franca, che supporterà le attività di commercio e le operazioni del porto e ospiterà iniziative imprenditoriali locali e internazionali; sarà amministrata con un regime esente da imposta per incentivare società di spedizioni, fabbricanti, imprese e dipendenti a spostare le loro attività e avvalersi delle strutture del porto. Il porto di Anaklia promette di rivitalizzare l’economia del Caucaso e dell’Asia centrale aprendo rotte commerciali per paesi vicini e senza sbocco sul mare come Armenia, Azerbaijan, Kazakhstan, Uzbekistan, Turkmenistan, Kirgizstan e Tajikistan. L’accesso a questi paesi è limitato e lo sviluppo delle infrastrutture in Anaklia può offrire la rotta più efficiente e sicura per milioni di persone che vivono nelle regioni dell’Asia Centrale e del Caucaso.
Nella società georgiana il canto popolare ha sempre occupato una posizione di primo piano, grazie al suo ruolo centrale in tutte le varie occasioni di incontro e di celebrazione, ma anche nel lavoro e nella quotidianità. In Georgia le origini della tradizione di canto polifonico risalgono infatti ad oltre 2000 anni fa: si tratta probabilmente di una tra le più antiche forme di polifonia del mondo. La prima testimonianza dell'uso di canti di lavoro, di guerra e di danza presso i georgiani è attestata da una fonte assira dell'VIII secolo a.C.
La cultura musicale tradizionale, fatta di canti e danze, era ampiamente diffusa già tra le antiche tribù dei Mocinki, lontani antenati dei georgiani. Il re Assureti Sargon (VIII sec. a.C.) scriveva che "nel paese dei Mana la gente trasformava in gioia il lavoro grazie alle canzoni" (C.Aslanichvili, Scritti sulle canzoni popolari georgiane). Risulta evidente dalle opere dello storico greco Senofonte come, all'epoca (IV sec. a.C.), fosse popolare tra le tribù georgiane la musica laica, soprattutto le canzoni di guerra e per le danze, eseguite sempre con grande originalità.
Nel corso dei secoli, la Georgia è stata più volte invasa dai conquistatori stranieri ma, nonostante ciò, il popolo georgiano ha conservato la propria lingua, la propria scrittura, l’originaria cultura musicale di cui la polifonia è l’elemento caratterizzante. Al contrario, i Paesi confinanti praticano il canto omofonico. Nella canzone popolare georgiana ogni voce ha la sua parte. La polifonia è l'intreccio melodico di più voci, a differenza degli stili monodici dei popoli vicini: armeni, azeri, arabi, turchi e persiani. Il valore prezioso della tradizione georgiana è testimoniato anche dal riconoscimento dall'UNESCO che nel 2001 l'ha inserita nell'elenco dei rari patrimoni universali della cultura immateriale.
La tendenza a un'attività musicale collettiva (ancora oggi in Georgia, quando la gente s'incontra, basta che uno inizi a cantare e gli altri subito si uniscono a lui) si manifesta nei canti a più voci eseguiti prevalentemente durante il lavoro dei campi, nelle cerimonie nuziali, in danze, banchetti e altri momenti di vita collettiva.
Possiamo individuare tre tipi di polifonia nella Georgia, ciascuno tipico di una regione differente. La polifonia “complessa”, comune nello Svaneti; la polifonia “dialogo” sopra una base di bassi, della regione di Kakheti nella Georgia orientale; polifonia “contrapposta” con tre parti di canto parzialmente improvvisate, caratteristica della Georgia occidentale. Le canzoni riguardano tutti gli aspetti della vita quotidiana, dal lavoro nei campi (il Naduri, che comprende suoni di sforzo fisico nella musica) alle canzoni per la cura delle malattie, fino ai cori di Natale (Alilo). Altre ancora sono collegate al culto della vigna e molte risalgono all’VIII secolo. Le canzoni liturgiche bizantine si sono integrate con la tradizione polifonica georgiana al punto da trasformarsi di fatto in un'espressione significativa di essa.
La Georgia è un piccolo paese, ma molto montagnoso. Per questo motivo, gli stili di musica popolari delle varie regioni differiscono ampiamente, rendendo difficile parlare delle caratteristiche “di musica tradizionale georgiana” come di una sola cosa. Ciascun gruppo etnico, ciascuna regione ha sviluppato un suo stile peculiare di polifonia, di estrema ricchezza morfologica. Una prima differenziazione stilistica è già individuabile tra la Georgia occidentale, dove la musica popolare è caratterizzata essenzialmente da canti monodici e da canti a due o tre parti vocali (come, ad esempio, nella regione di Kartli-K'akheti), e la parte occidentale del paese, nella quale predomina invece il canto a tre o quattro parti vocali.
Vale decisamente la pena di citare l'entusiasmante incontro di Igor Stravinskij con la polifonia georgiana, da lui stesso narrato nei Dialoghi con Robert Craft: “Sono debitore a Noah Greenberg ed ai nastri di canto polifonico da lui registrati nei villaggi di montagna nei dintorni di Tbilisi di una delle esperienze musicali che recentemente più mi hanno impressionato. La tecnica jodel, che in Georgia viene chiamata krimanchuli [...] rappresenta la forma di vocalità più virile che io abbia mai ascoltato. Inutile dire come questo tesoro dissepolto, essendo non solo straniero ma addirittura di origine religiosa e di conseguenza oggetto di imbarazzo per lo storicismo progressivo, ed oltre a questo polifonico e di conseguenza sovversivo, non sia affatto benvenuto in Unione Sovietica e difficilmente sarà salvaguardato. Senza alcun dubbio verrà sotterrato una volta per tutte, e debitamente sostituito dai canti-slogan di partito appositamente fabbricati da Mosca Il declino della cultura, in termini musicali - se solo vorrai perdonare il mio storicismo - è rappresentato dall'involuzione dalla polifonia alla monofonia”. (Igor Stravinskij e Robert Craft, Dialogues, Londra, 1968, pp. 59-60). Fortunatamente, nonostante il pessimismo del grande compositore, le cose sono andate diversamente e questo "tesoro" non ha mai dovuto “essere riportato alla luce”, semplicemente perché non ha mai cessato di risplendere nel corso dei secoli.
Uno dei più famosi gruppi di canto polifonico attuali è Rustavi, che ha conservato la forma e la struttura dei cori da camera modificandone il carattere chiuso di certe zone della Georgia e assimilandone la ricca eredità del folklore musicale e la varietà dei suoi generi. Rustavi compie un notevole lavoro di ricerca e recupero del patrimonio musicale dimenticato. Per ritrovare quelle vecchie canzoni che solo gli anziani ricordano, i componenti del gruppo girano per tutta la Georgia registrando i materiali sonori che trovano, ne trascrivono la musica e solo allora sono pronti per riproporre le canzoni in pubblico.
Ispiratore e organizzatore di questo lavoro è Anzor Erkomaichvili, rappresentante della settima generazione dell'omonima dinastia di celebri musicisti. Nelle varie zone della Georgia è ancora molto viva, accanto alla pura musica vocale, la tradizione dell'accompagnamento strumentale, tradizione che il gruppo Rustavi ha assimilato nei suonatori di ciuniri, ciangui, panduri, cionguri, salamuri, tra cui spicca il virtuosismo di Omar Kalaptrichvili, solista di salamuri (ciaramella pastorale). Questo strumento occupa un posto di rilievo nello studio scientifico degli antichi strumenti popolari georgiani, del loro repertorio e della loro evoluzione attraverso i secoli: il salamuri sembra infatti risalire al 2000 a.C.
5.2 LA DANZA
La danza georgiana è una celebrazione della vita e della cultura ricca e diversificata della Georgia. Ogni danza ritrae le caratteristiche della regione in cui ha avuto origine. Le danze della montagna, come Khevsuruli o Mtiuluri, sono diverse da dai balli delle valli o pianure – come ad esempio Acharuli e Davluri. I costumi sono diversi per ogni danza e ricordano l’abbigliamento del passato in diverse regioni della Georgia. Le danze catturano perfettamente la grazia naturale e la bellezza delle donne georgiane e il coraggio, l’onore e il rispetto degli uomini georgiani. I ballerini eseguono salti e curve spettacolari, giri incredibili e possono anche vantare di una tecnica molto originale, a differenza di tutti gli altri balli del mondo, danzano sulle punte senza l’ausilio di scarpette da punta. Le ballerine “scivolano” come cigni. La danza georgiana ha un enorme debito di gratitudine verso Iliko Sukhishvili e sua moglie Nino Ramishvili, fondatori della Georgian National Ballet. È grazie ai loro sforzi che la danza nazionale georgiana e la musica sono diventate note in molte parti del mondo.
Le seguenti danze sono una selezione di alcuni dei balli più popolari:
Khevsuruli – Questa energica danza di montagna trasmette amore, coraggio e rispetto per le donne, la durezza, la concorrenza e abilità.
Simdi – è una danza osseta eseguita da molte coppie. I costumi di entrambi i ballerini maschi e femmine hanno le maniche molto lunghe. La danza è una festa visiva di costumi
in bianco e nero e le rigorose formazioni di linea.
Khorumi – Questa danza di guerra originale della regione dell’Agiaria, che si trova nella parte sud-occidentale della Georgia. Risale al periodo della guerra eroica contro gli eserciti invasori dei turchi, mongoli, e le altre nazioni. Originariamente eseguita da alcuni uomini, la danza è cresciuta in dimensioni e possono parteciparvi trenta o quaranta ballerini.
Kartuli – Questo elegante e molto romantico ballo di corteggiamento è probabilmente la più conosciuta danza georgiana. Interpretata da una coppia, la danza esprime cavalleria tra uomini e donne georgiane. L’uomo non deve toccare la donna, nemmeno con il suo cappotto. Egli si concentra su di lei come se fosse l’unica donna in tutto il mondo. Le sue braccia sono al suo petto, che si gonfia come un pavone in mostra per lei e i suoi piedi si muovono rapidamente in passi corti e striscianti. La donna tiene gli occhi bassi in maniera pudica in ogni momento e scivola come un cigno sulla superficie liscia di un lago.
5.3 LA Letteratura
La letteratura georgiana deve le sue origini al cristianesimo, introdotto nel paese verso il sec. IV-V. All'inizio essa era costituita quasi esclusivamente da traduzioni delle Scritture, per passare ben presto a una vasta produzione agiografica: assai nota è la Vita di Santa Šušanik, documento dell'influenza armena sulla Georgia. Una data importante è il 980, anno della fondazione del monastero dell'Iviron sul monte Athos, che portò all'apogeo la letteratura monastica.
Con la dinastia dei Bagratidi la letteratura georgiana raggiunse la sua “età dell'oro” (sec. XI-XIII). Accanto alla produzione esclusivamente ecclesiastica, proprio in questo periodo essa presenta alcune fra le sue opere più significative soprattutto nell'epica, la quale, pur attingendo alla tradizione indo-iranica, rivela nello spirito e nella forma una caratteristica schiettamente nazionale. L'Amiran Dareğaniani (Amiran figlio di Dareğan) di Moses Koneli inizia la serie di poemi illustranti la tradizione epica cavalleresca del popolo georgiano. Il capolavoro dell'epoca è “L'uomo nella pelle di tigre” (o Il cavaliere dalla pelle di leopardo) di Shota Rustaveli (vissuto a cavallo tra i sec. XII e XIII), vasta rappresentazione della società georgiana sotto i Bagratidi.
Dopo un periodo di decadenza (sec. XIII-XVI), nuovi periodi di fioritura letteraria si ebbero nei sec. XVII e XVIII, dominati dalla storia e dalla novellistica. Agli inizi del sec. XIX data la letteratura romantica georgiana, di cui i maggiori esponenti furono Alessandro Čavčavadze (1786-1846), ponte tra la poesia tradizionale e quella europea, e Nikoloz Baratašvili (1817-1845), definito il “Byron georgiano”. Al fervore intellettuale di questo periodo si deve il vasto movimento di idee che portò a quel risveglio conclusosi con l'indipendenza politica della Georgia (1918). Una delle personalità più significative di questo movimento di rinascita nazionale è Ilia Čavčavadze (1837-1907), che nella poesia si ispira a modelli europei, e nella prosa descrive la difficile situazione sociale e la decadenza morale. Accanto a lui si devono ricordare Akaki Cereteli (1840-1914), Alessandro Kazbegi (1847-1893) e Važa Pšavela (1861-1915).
Dopo la presa del potere da parte dei bolscevichi (1921) la vita letteraria ha avuto ancora intenso sviluppo. Tra i maggiori poeti vanno citati G. Tabidze (1892-1959) e T. Tabidze (1895-1937), P. Iašvili (1894-1937), G. Leonidze (1899-1966) e, tra i narratori, G. Robakidze (1884-1962) e K. Gamsakurdia (1891-1975). Dopo la II guerra mondiale, nella letteratura georgiana (anche in quella drammatica) i temi principali affrontati sono il passato, la guerra, la costruzione della pace e della nuova società e la descrizione della vita contemporanea secondo i canoni del realismo socialista. Tra gli autori sono da ricordare i prosatori Šalva Dadiani (1874-1959), Demma Šengelaja (1896-1980) e Akaki Beliašvili (1903-1961), che esordì come poeta futurista per dedicarsi più tardi alla narrativa storica e al cinema come sceneggiatore.
A partire dagli anni Settanta, un certo rinnovamento nei temi si nota nella poesia, che si concentra sui problemi sentimentali e spirituali dell'uomo moderno grazie a Irakli Abašidze (n. 1909), Ana Kalandadze (n. 1924), Otar Čiladze (n. 1933), che si dedica anche alla prosa, e Muchran Mačavariani (n. 1929). La narrativa, invece, punta a descrivere la vita contemporanea; ricordiamo Nodar Dumbadze (n. 1928), Otia Ioseliani (n. 1930), Arčil Sulakauri (n. 1927).
Fin dall'Età del Bronzo i territori della Georgia furono interessati alle prime esperienze metallurgiche maturate nell'area caucasica già nel III-II millennio grazie alla loro prossimità alle civiltà dell'Asia anteriore. Oltre a costruzioni difensive o di abitazione, risalgono a quest'epoca le numerose sepolture a tumulo (che anticipano per molti aspetti i “tumuli reali” sciiti) di Calka-Trialeti e di altre località della Transcaucasia, contenenti ceramiche, armi, oggetti e ornamenti in oro e argento. Nel sec. VI nelle regioni dell'antica Colchide si diffusero elementi della cultura greca, pervenuti sulle rive del Caucaso tramite le città commerciali (Dioskourias, Phasis, Pityous, ecc.) createvi da coloni ionici. Più tardi penetrarono in Georgia influenze romane e quindi iraniche (nell'apporto dell'arte sassanide, impregnata di influssi ellenistici e della Siria romana).
Con l'introduzione del cristianesimo (sec. V) andò affermandosi l'architettura religiosa, con la costruzione di numerose basiliche a tre navate (secondo le forme diffuse nell'area mediterranea), nelle quali l'interesse per l'organizzazione dello spazio interno prevale su quello dei volumi esterni (basiliche di Sioni a Bolnisi, di Urbnisi, di Dmanisi e di Ančishati a Tbilisi). Tra la fine del sec. VI e l'inizio del sec. VII si diffuse il tipo di chiesa a pianta centrale a cupola, dove il sapiente uso dei pennacchi a tromba realizza eccezionali soluzioni di raccordo tra la pianta quadrata e quella poligonale degli alti tamburi che reggono la cupola: il più antico esempio, a organismo tetraconco, è la chiesa di Džvari (586-604), mentre quella di Cromi (626-634), con cupola su quattro pilastri e nicchie triangolari affiancate all'abside, costituisce per queste sue caratteristiche modello per sviluppi successivi. Le chiese sorte tra il sec. X e il XIII recano influenze romaniche e bizantine, chiese di Alaverdi presso Telavi, di Bagrati a Kutaisi, di Sveti-Choveli e del monastero di Samtavro a Mcheta, di Nikorcminda, di Samtavisi del sec. XI; di Gelati del sec. XII; di Betania, Ikorta e di Pitareti del sec. XIII).
La grande stagione dell'architettura ebbe termine con l'invasione mongola e il succedersi di altri avvenimenti storici. Quella che seguì ripeté schemi del passato o si limitò a opere di restauro o di ampliamento dei vecchi edifici. Maggiori sviluppi della scultura ebbe la pittura murale, la cui tradizione fiorì accanto all'architettura (chiesa di Iprari, di S. Giorgio a Nakipari, sec. XI-XII, chiesa di Ubisi, sec. XIV, chiesa di Gelati, sec. XVI).
Ricca fioritura ebbero l'arte della miniatura (Vangeli di Adisi, 897, e di Dzuruci, 940), dello smalto (immagine della Vergine, del sec. X, incastonata nel trittico d'oro di Hanuli del sec. XII, ora nel Museo di Stato di Tbilisi) e dell'oreficeria sacra. Con l'annessione della G. alla Russia nel sec. XIX l'arte della Georgia si espresse secondo i temi di ispirazione russa e occidentale nel cui ambito si sono sviluppati gli stili contemporanei.
Uno dei più amati artisti georgiani è Niko Pirosmanashvili, conosciuto anche come Niko Pirosmani, (Mirzaani, 5 maggio 1862 – Tbilisi, 9 aprile 1918), è stato un pittore georgiano primitivista. I suoi dipinti hanno spesso come soggetto animali, persone che mangiano e persone che servono cibo. Le sue opere non sono molto conosciute fuori della Russia o della Georgia. Pirosmani è conosciuto in Russia anche per l'incontro romantico con un'attrice francese che visitò il suo paese; Pirosmani fu molto innamorato di questa donna e, per dimostrarlo, le comprò abbastanza fiori da riempire una piazza di fronte alla finestra del suo hotel (portandolo presumibilmente alla bancarotta). La storia divenne famosa quando fu raccontata in un poema di Andrej Andreevič Voznesenskij, e successivamente in una canzone di Alla Pugačëva, Million of Red Roses.
La diversità e il gusto specifico della cucina georgiana sono basati sull’esperienza delle tradizioni culturali di tanti secoli. La cucina è uno degli aspetti più interessanti del Paese agli occhi dei visitatori ed è il fulcro attorno a cui ruota l'attività culturale domestica. I pasti georgiani sono una parte integrante della vita familiare e costituiscono una manifestazione piuttosto originale per gli stranieri, dal momento che questi istanti della giornata rivelano relazioni rituali decisamente complesse.
Ogni parte della Georgia ha la sua cucina individuale con il suo sapore speciale.
La cucina nazionale georgiana è eccezionale per l’abbondanza di cibi differenti varie specie di carne, di pesce, di verdura, di formaggio.
I cibi più serviti sono: porcellino arrosto, carne bovina e pollo arrosto o cotto con varie salse;
Khinkali - famosi sacchettini di pasta riempita di carne,
patate, funghi o formaggio
Khachapuri - consiste in strati di pane con dentro formaggio
Tkemali - salsa della prugna aspra raccolta dai famosi alberi georgiani di Tkemali
Baje - la salsa densa di aglio e noci
Mzvadi – la carne allo spiedo georgiana
Tutti questi cibi hanno un gusto raffinato, rafforzato ancora più dalla selezione particolare dei vini bianchi e rossi della Georgia. Il pasto è guidato dal “tamada”, che propone brindisi tradizionali. A chi non è georgiano sembrerà che nulla possa iniziare prima che tutti partecipino al brindisi. La cucina georgiana usa prodotti molto semplici e comuni, ma grazie alle proporzioni variabili dei suoi ingredienti obbligatori (come per esempio: noce, erbaggio, aglio, aceto, pepe rosso e altre spezie, combinati con il segreto tradizionale dell’arte del cuoco), essi acquistano un gusto e un aroma speciale, il che rende famosa e impareggiabile la cucina georgiana.
Durante la dominazione sovietica i ristoranti georgiani si diffusero in tutta la nazione e sono tuttora uno dei ritrovi preferiti dagli intenditori della Russia e degli altri stati ex-sovietici. Ciascuna parte del Paese ha una tradizione culinaria diversa con sapori che derivano dalla sapiente combinazione di spezie diverse, anche se, in genere, predominano le erbe e l'aglio. L'unica difficoltà in cui potreste imbattervi durante l'acquisto di cibo è che i venditori insistano affinché ne prendiate ancora. I caffè e i ristoranti servono soprattutto piatti georgiani e cibi tradizionali europei, mentre i locali tipici offrono piatti quali: khinkali, kabab, barbecue e khachapuri.
Dopo il conflitto armato con la Russia nell’anno 2008, la situazione economica e sociale della Georgia è peggiorata con il flusso dei profughi provenienti dall’Ossezia del Sud. Nel paese i prezzi aumentarono, soprattutto quelli di prodotti alimentari e farmaci, che la maggior parte della popolazione non poteva permettersi di acquistare.
Nel 2008, dopo aver sostenuto un intervento di prima emergenza durante il conflitto, Caritas Ambrosiana ha rinnovato la collaborazione con Caritas Georgia attraverso questi interventi:
Nel 2009 è stato offerto un piccolo finanziamento per far fronte all'emergenza causata da un terremoto registrato nella Regione Racha, sulle montagne del Caucaso, al confine con il Sud Ossezia. Caritas Georgia fin dai primi giorni si è attivata per portare aiuti umanitari alla popolazione locale (alimenti, prodotti igienici e sanitari, farmaci, tende, etc).
Intanto nell’estate 2010 inizia la collaborazione per il volontariato internazionale con un primo gruppo di giovani che ha animato il primo Cantiere della solidarietà, con volontari georgiani e italiani.
Nel villaggio di Arali, situato in una regione all’estrema periferia del Paese dove il processo di sviluppo è lento e difficile, Caritas Ambrosiana ha finanziato la ristrutturazione del Centro Giovanile, importante luogo di incontro per bambini e adolescenti, sia di confessione cristiana cattolica che ortodossa, offe un ambiente dove crescere lontano dalla strada. La frequenza ai diversi corsi promossi dal Centro favorisce una più stretta relazione tra i giovani del villaggio sia di confessione cattolica che ortodossa contribuendo così a creare migliori condizioni di rispetto e tolleranza reciproche.
7. CONTESTO IN CUI OPERIAMO
Descrizione del contesto dove si svolgerà il Cantiere
La regione del Samtskhe-Javakheti occupa la parte meridionale della Georgia, è una zona di splendidi panorami, le cui ricchezze culturali e paesaggistiche non le hanno purtroppo impedito di diventare una delle aree maggiormente depresse del paese. Confina con le regioni del Adjara a ovest, Guria e Imereti a nord, Shida Kartli e Kvemo Kartli a nord-est e ad est, e l'Armenia e la Turchia a sud e sud-ovest.
Secondo il censimento del 2002, armeni (prevalentemente concentrati nei distretti di Akhalkalaki e Ninotsminda) sono la maggioranza nella regione, che costituiscono circa il 54% della popolazione. Essi condividono la regione con i greci del Ponto orientali (in questa regione di solito classificato come Caucaso greci), osseti e georgiani.
Le tensioni in Samtskhe-Javakheti sono state molto alte in certi periodi. Una delle ragioni è basata sul fatto che la politica Georgiana non consente di usare la lingua armena negli uffici pubblici e amministrativi, anche se i cittadini e funzionari parlano meglio l’armeno che il georgiano.
I villaggi di Arali e Vale si trovano vicino ad Akhaltsikhe, capoluogo della regione. Questa è un’area multietnica, ricca di diversità culturali e religiose. Le attività economiche sono scarse e non bastano a procurare agli abitanti un reddito sufficiente, ragione per cui è consistente il flusso di migrazione verso altri Paesi. Questa situazione si riflette in maniera negativa sui giovani perché le loro famiglie non riescono sempre a garantire una cura e un’educazione adeguata.
A questi bisogni cerca di rispondere il centro giovanile di Arali. Qui sono coinvolti ragazzi e ragazze di diverse confessioni che hanno bisogno d’unità e conoscenza reciproca. Le attività si svolgono dal lunedì a sabato. Anche grazie all’aiuto della diocesi di Milano, Caritas Georgia assicura lo svolgersi di diversi corsi di formazione: informatica, tessitura e lavorazione del feltro, matematica, inglese, disegno. I beneficiari del progetto sono 98 giovani, di cui 12 provenienti da famiglie che versano in condizioni di estrema povertà. Questi ragazzi svolgeranno attività educative e formative in un ambiente rinnovato, sicuro e protetto dalla strada. Nel progetto sono impegnati un coordinatore e 8 insegnanti.
Descrizione del contesto dove si svolge il Servizio Civile
L'Imereti è una regione della Georgia situata lungo il corso centrale e superiore del fiume Rioni. La città principale della regione è Kutaisi; altri centri industriali urbani includono Samtredia, Chiatura (centro di produzione del manganese), Tkibuli (centro carbonifero), Zestaponi (conosciuto per la produzione dei metalli), Khoni e Sachkhere. Tradizionalmente, l'Imereti è una regione agricola, conosciuta per coltivazione dei gelsi e dell'uva.
Kutaisi, seconda città della Georgia, è una tra le più antiche del mondo. Capitale in epoche diverse di vari regni georgiani, Kutaisi ha una storia ricca ed affascinante di grande crescita economica e per numero di abitanti. Sotto il regime sovietico divenne il secondo centro industriale della Georgia e la popolazione crebbe notevolmente, per poi iniziare a decrescere con il declino delle industrie locali in seguito all’indipendenza del paese.
Molti dei problemi affrontati da Kutaisi, città di 241.100 abitanti, sono gli stessi che a Tbilisi o altrove in Georgia: povertà, disoccupazione, strade mal tenute, crisi di potere perenne e la fornitura di acqua irregolare.
Nella nostra presenza in città e più in generale regione, siamo venuti a contatto con varie realtà gestite da Caritas:
- aiuto alle famiglie: nelle comunità di Kutaisi, Batumi, Akhalsceni, Shroma, Ozurgheti, Chiatura, vengono distribuiti mensilmente pacchi di viveri, di cure mediche e medicine, di un eventuale intervento chirurgico.
-ambulatorio di Kutaisi: nel Centro cattolico della città 4 giorni alla settimana prestano servizio: un medico di base, la farmacista, l’oculista e l’ottico. I beneficiari sono 140 al mese per la medicina di base e 30 per l’oculista, ricevono consultazione medica, medicine ed occhiali gratuitamente.
-dormitorio per senza tetto di Batumi: in esso vengono ospitati uomini (22) e donne (8) senza dimora, malati psichici, alcoolisti. Si offre un riparo dalla notte fredda o dalla vita sulla strada, il letto, la biancheria pulita ogni sera e la cena.
-centro INER “A servizio della coppia e della vita”: si propone l’aiuto concreto a famiglie ma anche a donne sole per proteggere la vita del bambino fin dal concepimento e assicurargli l’esperienza dell’amore in famiglia. Le mamme vengono seguite inoltre con un itinerario formativo.
La nostra attività si concentra nel Centro Ragazzi di Kutaisi, un importante luogo di ritrovo e aggregazione che consente a bambini e ragazzi di incontrarsi in ambiente sicuro e protetto, di acquisire competenze utili alla loro crescita e alla costruzione della loro futura autonomia.
Il Centro fornisce da oltre dieci anni accompagnamento scolastico, formazione e spazio per attività ricreative ai beneficiari. Viene inoltre offerto un pasto al giorno e la possibilità di avere supporto psicologico o medico nei casi in cui se ne riscontrasse la necessità.
I beneficiari sono bambini dai 6 ai 18 anni, provenienti da famiglie che vivono al disotto della soglia di povertà, da famiglie profughe o bambini colpiti da trauma psicologico che necessitano di riabilitazione ed accompagnamento.
8. APPROFONDIMENTI
Cosa si intende per rifugiati?
La condizione di rifugiato è definita dalla convenzione di Ginevra del 1951, un trattato delle Nazioni Unite firmato da 147 paesi. Nell’articolo 1 della convenzione si legge che il rifugiato è una persona che “temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinioni politiche, si trova fuori del paese di cui ha la cittadinanza, e non può o non vuole, a causa di tale timore, avvalersi della protezione di tale paese”. Dal punto di vista giuridico-amministrativo è una persona cui è riconosciuto lo status di rifugiato perché se tornasse nel proprio paese d’origine potrebbe essere vittima di persecuzioni. Per persecuzioni s’intendono azioni che, per la loro natura o per la frequenza, sono una violazione grave dei diritti umani fondamentali, e sono commesse per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale.
Cosa si intende per sfollati?
Come i rifugiati, anche gli sfollati (in inglese, Internally Displaced Persons, o IDPs) sono civili costretti ad abbandonare le proprie case da guerre o persecuzioni. Tuttavia, a differenza dei rifugiati, essi non hanno attraversato un confine internazionale.
A causa dell'assenza di un mandato generale finalizzato alla loro assistenza, la maggior parte degli sfollati non riceveva protezione o assistenza internazionale. Negli ultimi anni, però, su specifica richiesta del Segretario Generale o dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite e dopo il consenso dello Stato interessato o quanto meno il suo impegno a non ostacolare le operazioni di assistenza, l'UNHCR ha progressivamente assunto l'incarico di assistere le popolazioni sfollate di alcuni paesi.
I CONFLITTI
- Ossezia
Una prima ondata di profughi si ebbe nel 1990, agli albori cioè dell’indipendenza georgiana, durante la guerra in Ossezia del Sud. Il numero di profughi, per lo più di etnia georgiana e provenienti da Tskhinvali, era limitato a circa 2000 persone, mentre i villaggi georgiani in Ossezia del Sud sono rimasti sotto il controllo di Tbilisi fino all’agosto del 2008.
Ci sono stati anche sfollati dalla Georgia, o meglio ossetini che sotto il governo dell’allora presidente Gamsakhurdia furono costretti a fuggire da Tbilisi per andare in altri distretti del Paese.
In seguito alla destituzione del presidente Gamsakhurdia, ritornò in Georgia Eduard Shevardnadze che nel 1992 fu confermato come presidente del parlamento e capo di stato. Durante il suo mandato, le azioni contro la popolazione ossetina cessarono e vennero condannate come atti di inciviltà. Tuttavia, a quel punto, la maggior parte della popolazione di etnia ossetina si era già trasferita a Valdikavkaz in Ossezia del Nord.
- Abkhazia
Nell’Abkhazia vivevano circa 250.000 persone di etnia georgiana, circa il 45% della popolazione totale della regione. A dicembre del 1993, nel momento in cui l’esercito georgiano abbandonò la de-facto indipendente Repubblica di Abkhazia, quasi tutti i 250.000 abitanti di etnia georgiana della regione furono costretti ad abbandonare il territorio e a rifugiarsi in zone interne della Repubblica di Georgia
Si presentarono subito molti problemi. I profughi si rifugiarono ovunque trovassero un posto, in particolare in ospedali, alberghi, asili, edifici abbandonati, case di riposo. La situazione spesso non veniva accettata dai residenti locali e l'ostilità tra i profughi ed i residenti degenerò a tal punto che alcuni profughi arrivarono perfino a fare irruzione in edifici abitati.
Sorgeva inoltre un ulteriore problema per l'economia del Paese, poiché i rifugiati che si insediavano in edifici abbandonati, toglievano la possibilità di poter ristrutturare quei luoghi per adibirli a strutture ricettive turistiche.
- Ossezia II
Le ostilità dell'agosto 2008 hanno causato in pochi giorni lo spostamento di circa 140mila sfollati, prima verso la cittadina di Gori e successivamente, con l'avanzata russa, verso la capitale Tbilisi e le sue aree periferiche. Finiti gli scontri armati e con il ritiro delle truppe russe, circa 110mila persone sono rientrate nelle proprie case a Gori e nei villaggi di quella che durante le settimane successive era diventata la "buffer zone", un'area-cuscinetto tra il confine de facto con l'Ossezia del Sud e Gori, occupata dalle milizie russe fino agli inizi di ottobre.
Oggi rimangono senza possibilità di rientrare nelle proprie case e nei loro paesi di origine circa 30mila persone, la maggior parte delle quali proviene dai villaggi georgiani dell'Ossezia del Sud. Per loro, nell’autunno dello stesso 2008, il governo georgiano con l’apporto di finanziamenti internazionali ha costruito in brevissimo tempo circa seimila case, fondando degli insediamenti a metà fra nuovi villaggi e campi profughi. Nonostante gli aiuti del governo, delle organizzazioni umanitarie e della solidarietà internazionale, queste persone rimangono in profondo bisogno di assistenza che possa aiutarle nel sostentamento e nell'integrazione sociale nelle nuove comunità.
GLI SFOLLATI IN GEORGIA
Situazione generale
In Georgia è competenza del “Ministero per Sfollati interni dai Territori Occupati, Alloggio e Rifugiati” il rilevamento statistico dei dati sugli sfollati che vengono catalogati in un apposito registro.
Il primo censimento degli sfollati interni in Georgia risale al 1996 ed ogni persona considerata tale ha l’obbligo di comunicare al Ministero aggiornamenti periodici inerenti alla propria situazione.
Tuttavia, le cifre rilevate sono approssimative ed arbitrarie, in primo luogo, per una questione politica. Il governo centrale di Tbilisi è sempre stato interessato ad un incremento del numero effettivo per poter utilizzare tale dato per dimostrare l’avvenuta pulizia etnica a discapito della popolazione di etnia georgiana. Sempre più spesso si è parlato di circa 300-350.000 persone. Poi si è cominciato a dire che nel numero sono compresi anche i profughi di etnia diversa, che abitavano in Abkhazia quali russi, armeni, greci, estoni e così via.
Questa affermazione non è però del tutto esatta, in quanto dall’Abkhazia sono andate via sì molte persone di altre nazionalità, ma lo hanno fatto volontariamente in cerca di un nuovo lavoro e di nuove e migliori condizioni di vita. Perciò non sono di certo considerate dei profughi e nessuno impedisce loro di tornare, mentre invece non possono ritornare nelle proprie case in Abkhazia le persone di etnia georgiana.
Sulla base di quanto rilevato dal ministero georgiano competente attraverso una nuova registrazione risalente al 2013, si è registrato un numero di circa 206.600 sfollati in Georgia (il metodo di registrazione è di gran lunga migliorato negli anni ed è sicuramente più veritiero, anche se non ancora del tutto esatto: molti profughi non si sono registrati, altri sono emigrati all’estero).
Le presenze rilevate risalgono alle diverse ondate di conflitti e si stima che circa 67.000 di questi siano figli di almeno un genitore sfollato.
Secondo quanto riportato in un documento redatto nel 2007 dal Ministero dei Rifugiati di Georgia, in quell’anno il 45% degli sfollati interni presenti nel Paese viveva in centri collettivi (vale a dire in edifici pubblici quali scuole, ospedali, alberghi, villaggi turistici e strutture simili), mentre il restante 55% con famiglie ospitanti o in appartamenti privati affittati o acquistati. In entrambi i casi le condizioni di vita abitative si presentavano difficili e con analoghe problematiche. Risultava inoltre la tendenza della maggior parte degli sfollati interni a vivere nelle aree limitrofe alle zone di conflitto con una concentrazione prevalente in Samegrelo, a Gori, in Imereti e a Tbilisi. Altri sfollati erano invece dispersi territorialmente.
Secondo i dati del 2011, sempre sulla base delle stime fornite dal Governo georgiano, emerge che oltre il 60% degli sfollati interni in Georgia vive nelle città di Zugdidi e Kutaisi. La maggior parte degli sfollati provenienti dall’Abkhazia vive nelle regioni limitrofe al contesto di origine, mentre coloro i quali provengono dall’Ossezia del Sud sono insediati soprattutto a Tbilisi, Kaspi e Gori. Circa il 39% degli sfollati, percentuale corrispondente a 101.854 persone, vive in centri Collettivi. Il restante 61%, vale a dire un numero pari a 159.343 sfollati, vive invece in alloggi privati affittati e talvolta condivisi con famiglie e amici, altre volte da soli per conto proprio.
Number of Registered IDPs-Statisticsby Region
(17.09.2014)
Region |
Locality |
Number of IDPs |
Number of Families |
Adjara |
Keda |
3 |
2 |
Adjara |
Khelvachauri |
801 |
307 |
Adjara |
Kobuleti |
1650 |
579 |
Adjara |
Batumi |
3962 |
1342 |
Adjara total |
|
6416 |
2230 |
Guria |
Chokhatauri |
105 |
38 |
Guria |
Lanchkhuti |
166 |
51 |
Guria |
Ozurgeti |
219 |
76 |
Guria total |
|
490 |
165 |
Tbilisi |
Krtsanisi |
3037 |
1088 |
Tbilisi |
Mtatsminda |
2934 |
1048 |
Tbilisi |
Chugureti |
6118 |
2144 |
Tbilisi |
Didube |
7033 |
2423 |
Tbilisi |
Isani |
7860 |
2764 |
Tbilisi |
Saburtalo |
9705 |
3542 |
Tbilisi |
Nadzaladevi |
11984 |
4254 |
Tbilisi |
Vake |
14948 |
5245 |
Tbilisi |
Samgiri |
15159 |
5046 |
Tbilisi |
Gldani |
19964 |
6760 |
თბილისი ჯამი |
|
98742 |
34314 |
Imereti |
Kharagauli |
90 |
35 |
Imereti |
Tkibuli |
377 |
153 |
Imereti |
Bagdati |
386 |
146 |
Imereti |
Vani |
367 |
138 |
Imereti |
Sachkhere |
352 |
127 |
Imereti |
Chiatura |
368 |
126 |
Imereti |
Terdjola |
447 |
151 |
Imereti |
Zestaponi |
818 |
310 |
Imereti |
Khoni |
1505 |
502 |
Imereti |
Samtredia |
2164 |
673 |
Imereti |
Tskaltubo |
5995 |
2215 |
Imereti |
Kutaisi |
11786 |
3766 |
Imereti total |
|
24755 |
8342 |
Kakheti |
Tsnori |
43 |
16 |
Kakheti |
dedoplistskaro |
33 |
12 |
Kakheti |
akhmeta |
38 |
14 |
Kakheti |
Sighnaghi |
97 |
28 |
Kakheti |
Kvareli |
84 |
20 |
Kakheti |
Lagodekhi |
186 |
62 |
Kakheti |
Sagaredjo |
232 |
72 |
Kakheti |
Gurdjaani |
314 |
106 |
Kakheti |
Telavi |
461 |
157 |
Kakheti Total |
|
1486 |
487 |
Mtskheta-Mtianeti |
Kazbegi |
1 |
1 |
Mtskheta-Mtianeti |
Tianeti |
12 |
5 |
Mtskheta-Mtianeti |
Dusheti |
422 |
146 |
Mtskheta-Mtianeti |
Mtskheta |
10429 |
3333 |
Mtskheta-Mtianeti total |
|
10864 |
3485 |
Racha-Lechkhum-kvemo Svaneti |
Lentekhi |
125 |
45 |
Racha-Lechkhum-kvemo Svaneti |
Oni |
125 |
56 |
Racha-Lechkhum-kvemo Svaneti |
Ambrolauri |
192 |
82 |
Racha-Lechkhum-kvemo Svaneti |
Tsageri |
399 |
155 |
რაჭა–ლეჩხუმ–ქვემო სვანეთი ჯამი |
|
841 |
338 |
Samegrelo-Zemo Svaneti |
Mestia |
829 |
219 |
Samegrelo-Zemo Svaneti |
Chkhorotsku |
2027 |
721 |
Samegrelo-Zemo Svaneti |
Abasha |
2417 |
794 |
Samegrelo-Zemo Svaneti |
Khobi |
3452 |
1072 |
Samegrelo-Zemo Svaneti |
Martvili |
2756 |
934 |
Samegrelo-Zemo Svaneti |
Senaki |
8230 |
2758 |
Samegrelo-Zemo Svaneti |
Tsalenjikha |
8007 |
2775 |
Samegrelo-Zemo Svaneti |
Poti |
10140 |
2989 |
Samegrelo-Zemo Svaneti |
Zugdidi |
45562 |
14607 |
Samegrelo-Zemo Svaneti total |
|
84420 |
26869 |
Samtskhe-Javakheti |
Aspindza |
1 |
1 |
Samtskhe-Javakheti |
Adigeni |
23 |
8 |
Samtskhe-Javakheti |
Akhalkalaki |
34 |
11 |
Samtskhe-Javakheti |
Akhaltsike |
264 |
92 |
Samtskhe-Javakheti |
Borjomi |
1966 |
797 |
Samtskhe-Javakheti total |
|
2288 |
909 |
Kvemo Kartli |
Tsalka |
239 |
78 |
Kvemo Kartli |
Dmanisi |
539 |
174 |
Kvemo Kartli |
Bolnisi |
824 |
277 |
Kvemo Kartli |
Marneuli |
1287 |
437 |
Kvemo Kartli |
Gardabani |
2021 |
717 |
Kvemo Kartli |
Tetritskaro |
1971 |
635 |
Kvemo Kartli |
Rustavi |
5525 |
1802 |
Kvemo Kartli Total |
|
12406 |
4120 |
Shida Kartli |
Kaspi |
789 |
269 |
Shida Kartli |
hashuriK |
1548 |
487 |
Shida Kartli |
Kareli |
2446 |
699 |
Shida Kartli total |
Gori |
11756 |
3569 |
Shida Kartli total |
|
16539 |
5024 |
|
|
|
|
Total: |
|
259247 |
86283 |
Source: www.mra.gov.ge
Il rapporto con l’Amministrazione e la politica
Nelle grandi città, al di fuori dei Centri collettivi non vi sono strutture dedicate ai sfollati e più in generale non esiste un partito che li sostenga o rappresenti. All’interno del gruppo dei rifugiati, infatti, le divergenze di pensiero (come ad esempio nei confronti dell’amministrazione Saakashvili o di quella attuale) non si discostano dalle divergenze di opinione di tutti gli altri cittadini. Per anni non è stata praticamente fatta nessun tipo di propaganda o di azioni risolutive indirizzate ai sfollati, a parte la visita periodica presso i Centri collettivi da parte di funzionari e politici che promettevano di provvedere ad aiuti sociali e nel migliore dei casi procedevano con soluzioni tampone limitate nel tempo. Questa situazione rifletteva quella più generale e disastrosa in cui versava lo Stato Georgiano che affrontava, al tempo, una serie di difficoltà tali da portarlo ad essere indicato come uno “stato fallito”. La condizione dei rifugiati ha visto alcuni cambiamenti con l’arrivo al potere del presidente Saakashvili. Per prima cosa, in un’ottica più commerciale, si è iniziato ad incentivare le persone a spostarsi dagli alberghi del centro di Tbilisi verso il Mar Nero. Gli investitori infatti provvedevano a fornire una compensazione, anche se minima, sufficiente a comprare appartamenti in zone periferiche. Secondo fonti governative solo dal 1999 la comunità internazionale si adoperò per venire in aiuto a queste persone che nel 2006 videro loro riconosciuto dallo Stato lo status di IDPs (Internal Displaced People). L’anno seguente venne compiuto un censimento ripetutosi poi a distanza 6 anni nel 2013, un considerevole lasso di tempo considerato il nuovo conflitto nel 2008 che andava ad aumentare le criticità di una situazione già precaria. Nel frattempo venne approvato un “piano di azione per l’implementazione della strategia statale riguardo gli sfollati 2012-2104”.
Uno studio sulla vulnerabilità svolto dall’UNDP nel 2013, constata che il trasferimento ha lasciato gli IDPs in una condizione di svantaggio per quanto riguarda l’accesso alla terra e alla proprietà. È inoltre emerso che il loro livello di reddito era o paragonabile, o leggermente superiore alle famiglie povere della popolazione generale, ma che molti devono continuare a fare affidamento sui sussidi statali, come l'assegno mensile per gli sfollati, come loro principale fonte di reddito. Il governo ha continuato a fornire assistenza abitativa agli sfollati che vivono nei centri collettivi. Nel corso del 2014 ha assegnato nuove unità abitative a più di 1.500 famiglie, e registrato la proprietà di spazi abitabili di circa 1.400 famiglie in oltre 125 centri collettivi. Tuttavia, circa 50.000 sfollati ancora necessitano di assistenza abitativa. Il dato non include quelli che vivono al di fuori dei centri collettivi, la maggior parte dei quali sono stati lasciati fuori dai programmi di assistenza abitativa.
L’01/03/2014 è entrata in vigore la legge georgiana sugli IDPs che va a sostituire la vecchia legge ormai datata e che non soddisfaceva gli standard internazionali. I principali aggiornamenti della nuova legge sono i seguenti:
- da marzo 2014, tutti gli sfollati riceveranno un significativo aumento all’assegno mensile di 45 gel (una somma di 14 lari per persona veniva assegnato negli anni Novanta, a partire dal 2000 l’assegno fu portato a 22 lari più luce, acqua e gas per coloro che vivevano nei “centro collettivi” e a 28 lari netti per coloro che avevano trovato una sistemazione privata). - gli sfollati sono completamente protetti da sfratto dalle sistemazioni che sono ora sotto la loro titolarità.
- l’indennità di IDP non sarà più sospesa se l’IDP lascia il paese per più di due mesi, nel caso in cui il motivo sia legato a viaggi di lavoro, di studio o di trattamento medico, informando il Ministero in anticipo.
- la procedura di riconoscimento dello status di IDP è semplificata; in particolare, il meccanismo burocratico che ha concesso lo status di IDP è stato annullato.
- il concetto di famiglia è stato definito in modo da rispettare il diritto di unità della famiglia.
Contatti con l'Abkhazia e l’Ossezia del Sud
La maggior parte dei rifugiati del conflitto abkhazo ha mantenuto rapporti con i cittadini di etnia abkhaza. Rapporti che tuttavia non sono facili da mantenere poiché per la maggioranza dei georgiani è molto difficile potersi recare nella “de-facto Repubblica Abkhaza”. Un'eccezione è però rappresentata dal distretto di Gali, che è sempre stato un distretto a sé, nel quale il 99% della popolazione è composto da cittadini di etnia georgiana. Gli abkhazi non hanno mai posto come loro obiettivo di prendere sotto il proprio controllo il distretto di Gali, anche se effettivamente nel caos della guerra civile del settembre 1993, il distretto cadde ufficialmente sotto il loro controllo. Attualmente, nel distretto di Gali i cittadini georgiani continuano a vivere nelle loro case, anche se in una situazione di grave insicurezza. Non vengono infatti tutelati in alcun modo dall’autorità de-facto di Abkhazia e vige una situazione altamente caotica.
Con l’eccezione proprio del distretto di Gali, le autorità de-facto in Ossezia del Sud ed Abkhazia rifiutano agli sfollati il permesso di rientrare nelle loro terre sulla base del fatto che un consistente afflusso di georgiani sconvolgerebbe l’equilibrio etnico e comprometterebbe la sicurezza nella regione. Negli anni, tra i 40 ed i 50 mila sfollati hanno fatto ritorno nel distretto di Gali. Tuttavia molti di questi si configurano come trasferimenti stagionali volti alla coltivazione della terra e le famiglie in questione mantengono due residenze. La maggior parte di questi “rientrati” è stata in grado di mantenere i documenti di registrazione della loro condizione di sfollati. Questi documenti emessi e riconosciuti dal governo georgiano, permettono loro di continuare ad accedere a diritti e benefici. Per queste persone la questione che rimane aperta è quella della sostenibilità del loro ritorno. I problemi che hanno dovuto affrontare, oltre a quelli già sopra citati, riguardano le inadeguate soluzioni abitative e i bassi redditi.
Coloro che, man mano andava stabilizzandosi la situazione in Ossezia del Sud, fecero ritorno nelle zone a ridosso della “linea di confine amministrativo” videro materializzarsi l’impedimento al loro ritorno a casa tramite l’installazione di una recinzione lunga 50 km. I soldati russi e le milizie sud-ossete nel 2013 completarono questa barriera che impedisce l’accesso degli sfollati alle loro case, terreni, risorse idriche e fonti di sostentamento. Inoltre, degno di nota, e il lento spostamento della barriera stessa che è arrivata ad inglobare un breve tratto dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Supsa e più di un abitato e che viene effettuato per lo più di notte e previo brevissimo preavviso agli abitanti che devono scegliere se restare o andarsene lasciando i loro averi.
http://www.georgianjournal.ge/politics/32479-easter-a-melancholy-affair-for-those-divided-by-russian-built-s-ossetian-border-fence.html
http://www.theguardian.com/world/2015/may/20/russian-expansion-georgia-south-ossetia
http://www.eastjournal.net/archives/72575
Qui sopra i link ad articoli che trattano di quando sono i confini ad essere #sconfinati
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დიდი მადლობა |
Didi madloba |
Per favore |
თუ შეიძლება / გეთაყვა |
Tu sheidzleba / Getakva |
Chiedo scusa |
უკაცრავად |
Ukacravad |
Mi scusi |
ბოდიში |
Bodishi |
Parla Inglese? |
საუბრობთ ინგლისურად? |
Saubrobt inglisurad? |
Non parlo Georgiano |
ქართული არ ვიცი |
Kartuli ar vitsi |
Si |
დიახ (formale) /კი (neutro) / |
Diakh / ki / ho |
No |
არა |
Ara |
Da dove è Lei? |
საიდან ხართ? |
Saidan khart? |
Sono Inglese/ Americano |
ინგლისელი/ამერიკელი ვარ |
Ingliseli/Amerikeli var |
Arrivederci |
ნახვამდის |
Nakhvamdis |
A presto |
მომავალ შეხვედრამდე |
Momaval shekhvedramde |
Buono |
კარგი |
Kargi |
Molto |
ძალიან |
Dzalian |
é bene |
კარგია |
Kargia |
Che cosa |
რა |
Ra |
Dove è …? |
სად არის? |
Sad aris? |
Voglio... |
მე მსურს |
Me msurs |
Vuoi / Vuole?... |
გსურს? / გსურთ? |
Gsurs? / Gsurt? |
Mi piace.. |
მომწონს |
Momtsons |
Io so.. |
ვიცი |
Vitsi |
Quanto? |
რამდენი? |
Ramdeni? |
Grande |
დიდი |
Didi |
Piccolo |
პატარა |
Patara |
Molto/ Tanto |
ძალიან ბევრი |
Dzalian bevri |
Poco |
ცოტა |
Tsota |
Che ore sono? |
რომელი საათია? |
Romeli saatia? |
Anno |
წელი |
Tseli |
Mese |
თვე |
Tve |
Settimana |
კვირა |
Kvira |
Ho capito |
გავიგე / გასაგებია |
Gavige / Gasagebia |
Non ho capito |
ვერ გავიგე |
Ver gavige |
Ho bisogno dell'aiuto |
დახმარება მჭირდება |
Dakhmareba mchirdeba |
Non lo vedo |
ვერ ვხედავ |
Ver vkhedav |
Andiamo |
წავიდეთ |
Tsavidet |
Albergo |
სასტუმრო |
Sastumro |
Ospite |
სტუმარი |
Stumari |
Visitare |
მონახულება |
Monakhuleba |
Giorno/ Oggi |
დღე / დღეს |
Dre / Dres |
Domani |
ხვალ |
Hval |
Quanto costa? |
რა ღირს? |
Ra hirs? |
Soldi |
ფული |
Puli |
Lari (Moneta Georgiana |
ლარი |
Lari |
PASTI |
||
Banchetto |
სუფრა |
Supra |
Capotavola che fa i brindisi |
თამადა |
Tamada |
Pane |
პური |
Puri |
Khachapuri (pasto tradizionale- pane con ripieno di formaggio) |
ხაჭაპური |
Khachapuri |
Khinkali (famosi sacchettini con carne tritata di maiale o bovina) |
ხინკალი |
Khinkali |
Mtsvadi (gli spiedi) |
მწვადი |
Mtsvadi |
Vino Georgiano |
ქართული ღვინო |
Kartuli rvino |
Acqua |
წყალი |
Tskali |
Birra |
ლუდი |
Ludi |
Tè |
ჩაი |
Chai |
NUMERI |
||
1 / primo |
ერთი / პირველი |
Erti / Pirveli |
2 / secondo |
ორი / მეორე |
Ori / Meore |
3 / terzo |
სამი / მესამე |
Sami / Mesame |
4 |
ოთხი |
Otkhi |
5 |
ხუთი |
Khuti |
6 |
ექვსი |
Ekvsi |
7 |
შვიდი |
Shvidi |
8 |
რვა |
Rva |
9 |
ცხრა |
Tskhra |
10 |
ათი |
Ati |
Per la scheda paese
The world factbook, CIA: https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/geos/it.html
Human Development Report 2015 (e/o precedenti): http://hdr.undp.org/en/content/table-1-human-development-index-and-its-components
Banca Mondiale – World Development Indicators: http://wdi.worldbank.org/table/6.11
Per gli approfondimenti
http://www.assoequamente.it/data/Pubblicazione%20con%20copertina.pdf
http://www.mra.gov.ge/eng
Per il contesto regionale:
http://www.asrie.org/asrie/2016/04/12/la-russia-e-le-relazioni-con-le-repubbliche-del-caucaso-meridionale/
Per la storia del Paese:
http://www.paolacasoli.com/?s=marco+antollovich
Per i dati economici e sociali
http://www.infomercatiesteri.it/highlights.php?id_paesi=125
http://europa.eu/rapid/press-release_MEMO-15-4686_it.htm
www.ambtbilisi.esteri.it/ambasciata_tbilisi
http://it.sputniknews.com/italian.ruvr.ru/2012_09_25/Georgia-disoccupazione/
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Georgia/Georgia-tempo-di-riforma-del-lavoro-131528
Siti ufficiali
Altri media di interesse
- Eurasia.org: www.eurasia.org/country/country.aspx?NAME=georgia
- Civil.ge: www.civil.ge/eng/
- Giornalismo dal caucaso: www.caucasusjournalists.net/ENG/
Associazioni Di Riferimento
- Caritas Georgia: http://caritas.ge/it/programmi/
- Caritas Verona: http://www.caritas.vr.it/
- Caritas Ambrosiana: http://www.caritasambrosiana.it/
Fonte: http://www.caritasambrosiana.it/Public/Upload/Pages/455/Dossier%20CDS%20GEORGIA%202016.docx
Sito web da visitare: http://www.caritasambrosiana.it/
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