Giardini e parchi pubblici - privati

Giardini e parchi pubblici - privati

 

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

 

 

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

 

 

 

Giardini e parchi pubblici - privati

LA TIPOLOGIA DEGLI SPAZI NEL PROGETTO DI

GIARDINI E PARCHI

 

Giardini e parchi storici

Giardini storici privati

  1. Isola Bella, Stresa, Piemonte, Italia
  2. Alhambra, Granada, Spagna

Giardini storici pubblici

  1. Villa Giulia, Palermo, Sicilia,  Italia

Parchi urbani storici

  1. Buttes-Chaumont, Parigi, Francia

Parchi extraurbani storici

  1. Sacro Bosco di Bomarzo, Viterbo,  Lazio,  Italia
  2. Chatsworth, Derbyshire, Gran Bretagna

Orti botanici storici

  1. Giardino della Minerva, Salerno, Campania, Italia

 

Giardini e parchi moderni

Giardini privati moderni

  1. Shute Garden, Shaftesbury, Wiltshire, Gran Bretagna

Giardini pubblici moderni

  1. Jardines de Pedregal, Città del Messico, Messico
  2. Las Arboledas, Città del Messico, Messico

Parchi urbani moderni

  1. Water Gardens, Hemel Hempstead, Hertfordshire, Gran Bretagna
  2. Park Güell, Barcellona, Spagna

 

Giardini e parchi contemporanei

Privati

Giardini e parchi privati di abitazioni singole

  1. Dayton Garden, Minneapolis, Minnesota, U.S.A.
  2. In Praise of Ambiguity, Bayern, Baviera, Germania

Giardini e parchi privati di tipo condominiale

  1. Saint Jacques-de-la-Lande, Rennes, Francia
  2. Küppersbusch, Gelsenkirchen, Nord-Westfalia, Germania

Giardini e parchi privati di aziende

  1. Weyerhaeuser, Tacoma, Washington, U.S.A.
  2. Interpolis Garden, Tilburg, Olanda

 

Giardini e parchi di istituzioni culturali

  1. Fondazione Querini Stampalia, Venezia, Italia
  2. Bibliothèque Nationale de France, Paris, Francia

 

Pubblici

Giardini e parchi di edifici pubblici

  1. Wave Field, University of Michigan, U.S.A.
  2. Tanner Fountain, Harvard University, Cambridge, Massachusetts, U.S.A. 

Giardini pubblici urbani

  1. Jardin Atlantique, Parigi, Francia
  2. Jardines de Angel Guimerà, Barcellona, Spagna
  3. Jardin de l'Imaginaire, Terrasson La Villedieu, Dordogne, Francia

Parchi pubblici urbani

  1. Parc André Citroën, Parigi, Francia
  2. Parc d'Issoudun, Issoudun, Indre, Francia

 

Giardini e parchi contemporanei: tematiche specifiche

Grandi parchi extraurbani

Parchi regionali

  1. Emscher Park, Distretto della Ruhr, Nord-Westfalia, Germania

Parchi agricoli

  1. El Baix Llobregat, Barcellona, Spagna

Parchi naturali

  1. Crosby Arboretum, Picayune, Mississippi, U.S.A.

Parchi archeologici

  1. -Parco dell'Appia Antica, Roma, Italia

 

Recuperi e bonifiche di aree degradate

Bonifiche di cave

  1. Cave di Dionyssos, Monte Penteli, Attica, Grecia
  2. Cava Nord, Milano, Italia

Bonifiche di discariche

  1. Parque do Tejo e Trancão, Lisbona, Portogallo

Recupero di ex linee ferroviarie

  1. La Promenade Plantée, Parigi, Francia
  2. Natur-Park Südgelände, Schönenberg, Nord-Westfalia, Germania

Parchi industriali

  1. Landschaftspark Duisburg-Nord
  2. Gas Work Park, Seattle, Washington, U.S.A.

 

Recupero di coste e litorali fluviali e marini

  1. La Dehesa del Saler, La Albufera, Valencia, Spagna

 

Percorsi e margini

Percorsi urbani

  1. Plaine Saint-Denis, Parigi, Francia
  2. Dalle Centrale, La Defense, Parigi, Francia

Spazi urbani di margine

  1. Pallejà Barcellona, Spagna
  2. Vespella, Tarragona, Spagna
Spazi urbani fluviali
  1. Aarhus, Danimarca

 

Spazi urbani lungomare

  1. Passeig Maritim d'Empuries, Sant Martì, Costa Brava, Spagna

Itinerari naturali e strade verdi

  1. Strada Santpedor, Manresa, Spagna
  2. Paesaggi d’acqua, Penna San Giovanni, Gualdo, Sant’Angelo in Pontano, Italia
Fasce ed aree adiacenti ad infrastrutture lineari di trasporto
  1. Caissargues Service Area, Nîmes, Francia
  2. Vlakebruggen, Olanda

Giardini E Arte Contemporanea

Giardini realizzati da artisti contemporanei

  1. Il Giardino dei Tarocchi, Garavicchio, Grosseto, Italia
  2. Little Sparta, Ross-Shire, Pentland Hills, Scozia, Gran Bretagna
  3. Il Giardino della Casa da Tè, Certaldo, Toscana, Italia

Giardini per l'arte contemporanea

  1. Collezione Gori, Celle, Pistoia, Italia

Installazioni temporanee ed effimere

  1. Erd-Energie-Spuren, Mechtenberg, Distretto della Ruhr, Nord-Westfalia, Germania
  2. Cava di Ittireddu, Sassari, Sardegna, Italia
  3. Wastelands  Map, Amsterdam, Olanda

 

Giardini e parchi tematici

Orti botanici contemporanei

  1. Jardi Botànic de Barcelona, Barcellona, Spagna

 

Giardini didattici e terapeutici

  1. Therapeutic Garden for Children, Wellesley, Massachusetts, U.S.A.

Giardini sperimentali

  1. Eden Project, St. Austell, Cornovaglia, Gran Bretagna

Parchi di fiere

  1. Cartuja, Siviglia, Spagna

Festival dei giardini

  1. Féstival International des Jardins, Chaumont sur Loire, Francia

Orti urbani

  1. Volkstuinen, Rotterdam, Olanda

 

Giardini e parchi  commemorativi

Cimiteri

  1. Tomba Brion, San Vito d'Altivole, Treviso, Italia
  2. Cimitero di Skovlunde, Danimarca

Luoghi commemorativi

  1. Vietnam Veterans Memorial, Washington, U.S.A.

 

 

 

 

 

 

 

Giardini e Parchi Storici


 

GIARDINI DELL’ISOLA BELLA

 

Data di costruzione:  

 

1631 – 1671

Località:

Isola bella,  Lago Maggiore,  Comune di Stresa, Verbania, Italia

Progettista:

Carlo III Borromeo e Giovanni Angelo Crivelli, architetto
Vitaliano VI Borromeo e Francesco Castello, architetto

Collaboratori:

Carlo Simonetta,  scultore;  Andrea Biffi,  Carlo Fontana,
Filippo Cagnola,  architetti

Tipologia:

giardino storico privato

 

Il complesso monumentale dell’Isola Bella è situato in una piccola isola collocata nella parte centrale del Lago Maggiore, poco al largo da Stresa.
L’intera regione del Lago Maggiore è conosciuta, da molti secoli, per il suo clima salubre e mite che – oltre ad essere di beneficio a chi vi abita o soggiorna – dà luogo ad un’area microclimatica, che permette la coltivazione di specie esotiche e mediterranee, che altrove - alla stessa latitudine - non riuscirebbero a sopravvivere.  Nei giardini delle numerose ville che si affacciano sul lago, varie specie di agrumi, ulivi e svariate piante esotiche, sono coltivate in piena terra e la loro perfetta acclimatazione ha permesso ad alcune specie di prosperare e raggiungere le dimensioni limite che avrebbero nel loro habitat naturale.
Prima degli interventi da parte della famiglia Borromeo, nel XVI secolo, l’Isola Bella, allora denominata Isola Inferiore, consisteva in un grande scoglio dal terreno arido e sassoso, solo in parte occupato da un piccolo villaggio di pescatori.  I primi acquisti di terreni nell’isola da parte di Giulio Cesare III Borromeo, risalgono alla metà del 1500,  ma fu solo nel secolo successivo che, con Carlo III, gli investimenti familiari nell’isola si accrebbero:  furono acquistate nuove aree con case e orti e venne progettata una residenza chiamata Casino, che avrebbe dovuto sorgere al centro di un ampio giardino.
In onore della moglie Isabella d’Adda, il nome dell’isola fu mutato in quello di Isola Isabella, che si trasformò in seguito, per contrazione fonetica, in Isola Bella.  I lavori iniziati intorno al 1631, procedettero assai celermente fino al 1634, cercando di dare vita al sogno di Carlo III di realizzare: “(…)un’architettura galante da vedere e comoda et graziosa da godere”.
Appartiene a Carlo III ed all’architetto al suo servizio Giovanni Angelo Crivelli,  il merito dell’ideazione dell’impianto generale dei giardini ancora oggi visibile. Nel 1634 buona parte dei terrazzamenti del “Soprascoglio” e tutti i lavori di livellamento, furono pressoché completati. Fu necessaria un’enorme quantità di terra di riporto – trasportata con imbarcazioni – per riempire e livellare la serie di terrazze sovrapposte e raccordate da scalinate. Appartiene, inoltre, a questo periodo, il progetto della cosiddetta Torre della Noria: una torre ottagonale collocata sul versante ovest dell’isola, ideata per ospitare i marchingegni idraulici azionati da un cavallo, che dal lago avrebbero in seguito pompato l’acqua necessaria all’irrigazione dell’intero giardino.
Nella composizione iniziale del giardino, il tipo di coltivazioni predilette, tendeva a conciliare in un'unica forma, la funzione pratica ed estetica. Così, numerose piante di limoni ed aranci, bossi e cipressi, erano inframmezzati a piante di cavolfiori, carciofi, rape, finocchi, zucche e meloni.
Tra il 1634 e il 1650, si registra una fase di stasi, interrotta nel 1651  dalle nuove e fervide iniziative intraprese dal figlio di Carlo III: Vitaliano VI.  Con il sostegno finanziario del fratello cardinale Gilberto III  e affiancato dal nuovo architetto Francesco Castelli,  Vitaliano VI fornì l’impulso decisivo al completamento del complesso monumentale del palazzo e del giardino. L’apparato decorativo del giardino venne, negli anni tra il 1651 e il 1690, accresciuto con forza da Vitaliano, che popolò l’intero parco con numerose strutture e sculture lapidee, quali:  parapetti, guglie, piramidi e moltissime nuove statue. Per poter ampliare ulteriormente il giardino Vitaliano VI assunse la decisione di rinunciare alla costruzione del Casino per: “(…)non sacrificare l’area piana e spaziosa” del giardino; oltre a ciò, procedette all’acquisto del preesistente oratorio di San Rocco, che fece immediatamente abbattere e costruì in quell’area un sistema di camere sotterranee e di grotte.
La tipologia architettonica e decorativa della grotta, era particolarmente amata da Vitaliano, il quale, pochi anni prima, aveva provveduto a sistemare una serie di stanze al piano terreno del palazzo, facendole decorare con ciottoli bianchi e neri, frammenti di tufo, stucchi e marmi neri specchianti.
Le grotte, in cui il senso del rustico e del sofisticato viene abilmente miscelato,  rappresentano gli spazi di transizione tra il palazzo e il giardino.  In esse, la loro preponderante natura architettonica, viene contaminata da materiali presi direttamente dalla natura, come pietruzze grezze e ciottoli;  inoltre, i varchi senza infissi che si aprono allo stesso livello del lago e del giardino, comportano un contatto immediato con l’ambiente esterno.
La questione nodale relativa ad una armoniosa integrazione spaziale di giardino e palazzo – messa in crisi dal mancato allineamento assiale tra le due componenti – venne abilmente risolta, nel 1675,  grazie alla realizzazione di uno spazio poligonale denominato “Atrio di Diana”, che con le sue scalinate curve e impercettibilmente sfalsate, assorbe le due divergenti assialità.
Intorno al 1675 la struttura  generale del giardino poteva dirsi pressoché conclusa, come testimonia la  lettera datata 1669, scritta da Vitaliano VI al fratello, il cardinale Gilberto III:
“Rimangono già perfetionati tutti i dieci piani o diremo gradi di spalliere che formano la riferita gran piramide che ha per termine nel sommo un piano di centocinquanta palmi romani. Et essa piramide si dimostra ben tale nella fronte sua verso mezzogiorno, ma verso tramontana e levante corre ad allargarsi in ben grandi giardini ripieni di viali d’agrumi (…) E la piramide stessa rimane coronata da una grande balaustrata con statue che portano indorate imprese delle armi borromee e quattro gran piramidi. (…) Nel lato poi della piramide verso tramontana, come non capace di agrumi et per dare varietà, vi è formata una prospettiva teatrata”.
Nell’attenta descrizione del giardino fatta da Vitaliano nell’epistola al fratello, riconosciamo le forme che ancora oggi possiamo osservare. I successivi eredi della famiglia Borromeo, non apportarono evidenti modifiche;  fu solo con Vitaliano IX (1792 – 1874) che il giardino subì una profonda trasformazione nella qualità delle piantagioni, arricchendosi di numerose varietà esotiche, oltre che di nuove serre e di un più moderno sistema di pompaggio dell’acqua dal lago.
Il nuovo proprietario – cultore esperto di scienze naturali e soprattutto di botanica – impiantò personalmente un piccolo esemplare di albero della canfora (Cinammonum Camphora), divenuto oggi, a causa delle sue gigantesche dimensioni, l’elemento caratterizzante l’omonimo piazzale che introduce alla più lontana sagoma del Teatro Massimo. Tra le nuove numerose varietà di piante introdotte da Vitaliano IX, possiamo trovare esemplari di palme, eucalipti, alberi del pane, del tè, del caffè, querce da sughero, corbezzoli, oltre che una collezione di camelie, rododendri e azalee.
Analizzando, ora, la struttura spaziale dell’intero parco, è possibile identificare alcune aree caratterizzate da differenti conformazioni fisiche e funzionali:
Atrio di Diana:   Come già accennato, quest’area costituisce l’elemento di raccordo tra lo spazio aperto del giardino e il palazzo. L’area poligonale dell’Atrio di Diana – così chiamato a causa della presenza di una statua della divinità antica – è organizzato imitando le sembianze di una scenografia teatrale, le cui “quinte” sono ritmate da colonne, pilastri, nicchie in tufo e mosaico. Una monumentale balaustra corona le mura perimetrali, preannunciando il livello superiore. Ai due lati della statua preceduta da una fontana, dipartono – apparentemente simmetriche – due rampe ricurve di scale, che svolgono la nodale funzione di connettere il dislivello esistente tra l’uscita dal palazzo e il giardino. Inoltre, grazie alla diversa lunghezza delle rampe curve, sono ricongiunti, in modo dissimulato, gli assi divergenti del palazzo e del giardino.

Piano della Canfora:   Lasciando alla proprie spalle l’Atrio di Diana, si sfocia nell’arioso Piano della Canfora, così denominato a causa della presenza di un monumentale esemplare di Cinnamonum Camphora collocato all’ingresso del ripiano. In quest’area, suddivisa in sei aiuole simmetriche,  è possibile ammirare numerose specie di orchidee, rare varietà di camelie e svariate piante esotiche, quali quelle del  tamarindo, del tè, del caffè, ecc.

Teatro Massimo:   La ricca decorazione barocca del Teatro Massimo, costituisce l’immagine forse più conosciuta dell’Isola Bella. La struttura piramidale dell’anfiteatro, è ritmata da tre grandi esedre sovrapposte e scandite da pilastri, balaustre e nicchie. All’interno di queste ultime sono state collocate numerose rappresentazioni allegoriche realizzate in pietra tufacea, quali ad esempio le personificazioni: del Verbano ( o genio del Lago Maggiore ), del Ticino, del Toce, oltre che di ninfe e degli Elementi della Natura. La sommità del Teatro Massimo è dominata da un imponente Liocorno cavalcato dall’Onore. Ai lati dell’anfiteatro, due scalinate a tre rampe, conducono alla grande terrazza terminale, che sorge a 37 metri sul livello del lago e dalla quale lo sguardo può spaziare illimitato sull’incantevole paesaggio lacustre. Le tre pareti laterali della piramide tronca ( verso: est, sud e ovest ), sono scandite da quattro gradonate, sui cui stretti ripiani sono coltivati alberi a spalliera e piante in vaso.

Giardino Quadro:   Si tratta di un’ampia superficie rettangolare, collocata nel versante più meridionale dell’isola, completamente rivolta verso la zona sud del Lago Maggiore. Il ripiano, oggi più conosciuto come Giardino dell’Amore, è sistemato secondo i classici criteri dei giardini all’italiana: una vasca circolare centrale con piante di ninfea, è circondata da quattro simmetriche aiuole disegnate con bossi. Nei quattro punti estremi del rettangolo, sono collocati imponenti esemplari di tassi potati a forma conica.

Giardino triangolo:   Questo lembo di terra di forma triangolare, collocato nel lato sud-est dell’isola e oggi non raggiungibile dai visitatori, si trova ad un livello inferiore rispetto ai precedenti ripiani.  Lungo il lato adiacente al lago, di quest’area triangolare, un rettilineo viale di alberi perfettamente sagomati a sfera, delimita una zona più interna piantumata a conifere e azalee. Gli alti spalti che contengono questa zona del giardino, sono forati da profonde arcate che conducono ad alcuni locali sotterranei.

Il ripiano ad est:  E’ costituito da un’ampia area rettangolare, in cui la vegetazione è stata disposta secondo un disegno più irregolare ed informale. Imponenti esemplari di cedri e di tassi, anticipano l’amplissima apertura della terrazza verso est.
Il giardino privato:   Collocato lungo il versante nord-est del giardino e da sempre inaccessibile al pubblico, esso è definito da semplici e spaziosi prati rettangolari. L'unico elemento che risalta alla vista, dalla verde distesa, è costituito dalla scritta: Humilitas, realizzata con elementi vegetali, che rappresenta il motto araldico della casata dei Borromeo.

Il palazzo ed i giardini dell’Isola Bella, da alcuni anni aperti al pubblico, rappresentano la meta quotidiana di debordanti “ciurme” di turisti, in gran parte stranieri, che accorrono in pellegrinaggio per constatare con i propri occhi l’esistenza reale di questo incredibile “vascello fiorito”.  Alcuni attenti e illustri visitatori, hanno criticato l’eccessiva artificiosità e ricchezza decorativa, che in parte appesantisce l’affascinante concezione di questo giardino. Gli studiosi e paesaggisti americani: Moore, Mitchell e Turnbull, l’anno definita, con ironia: “(…) una peana dell’accumulazione (che) stratifica immagine su immagine sopra alcune rocce affioranti sopra il Lago Maggiore, per farne un giardino completamente improbabile, sovraccarico di frenetica congerie scultorea;  un vascello di pietra di visioni troppo assurdamente sovrabbondanti per essere governato se non dalla ciurma di Peter Pan, eppure tenuto troppo in alto sulle ali del portento per essere riportato giù dai nostri simili”.
La percezione di un sovraccarico di qualsiasi elemento, vegetale o decorativo-scultoreo che sia  e l’appariscente manipolazione delle loro forme, riesce – nel caso dell’Isola Bella – a non scadere nel puro decorativismo sterile e fastidioso. L’alta qualità artistica è preservata sia dall’ingegnosa disposizione spaziale ed interconnessione dei diversi ripiani, che ri-creano altrettanti belvedere (che come passerelle volanti di una nave si proiettano sull’acqua) e sia dal rispetto della fondamentale coerenza tra contesto-paesaggio e giardino, come ha evidenziato Edith Warthon nel suo libro “Italian Villas and their Gardens”:
“A molti l’Isola Bella sembra una negazione troppo totale della natura; né potrebbe sembrare altrimenti a coloro che la giudicano solo dai disegni e dalle fotografie, che non l’hanno vista nel suo ambiente. Perché il paesaggio che circonda le isole borromee ha precisamente quel carattere di artificialità, di sapiente disposizione e manipolazione, che sembra giustificare, nell’architetto dei giardini, quasi ogni eccesso della fantasia. (…) Lo scenario del lago sembra essere stato progettato da una mano attenta e incontentabile, decisa a eliminare ogni crudezza e spigolosità e a fondere tutte le forme naturali, dalla vetta brulla alla dolce curva della riva, in un’unica armonia di linee sempre diverse e sempre belle. (…) Nel paesaggio dei laghi (c’è) una gaiezza quasi forzata, un fisso sorriso di bellezza perenne. Ed è come un completamento di questo atteggiamento che i giardini borromei si giustificano. Sono essi reali? No; ma non lo è nemmeno il paesaggio che li circonda”.

 

 


 

GIARDINI DELL'ALHAMBRA

 

Data di costruzione:  

 

primo impianto: XIII secolo d.C. Patio dei mirti e Patio dei Leoni XIV secolo d.C.

Località:

Alhambra,  Granada,  Spagna

Progettista:

sconosciuto. Alle dipendenze del Califfo Mohammad ben Al-Ahmar

Collaboratori:

sconosciuti

Tipologia:

giardino storico privato

 

Il complesso monumentale dell'Alhambra (dall'arabo Al-Hamra, che significa: "la Fortezza Rossa"),  situato nella provincia di Granada in Spagna,  è considerato uno dei monumenti più straordinari ed una delle testimonianze meglio conservate dell'arte dei giardini islamici. La complessa struttura di questa reggia fortificata, la cui prima fondazione risale al XIII secolo d.C.,  è impostata sull'armoniosa alternanza di spazi edificati e di vani vuoti, questi ultimi rappresentati dalle ben note corti interne, disegnate nel rispetto dei rigidi canoni che informano l'arte del giardino islamica.  All'interno dei quattro principali patii-giardino, costituiti da: il Patio dei Mirti, il Patio dei Leoni, il Patio de la Daxara ed il Patio de la Reja,  l'acqua costituisce l'elemento imperativo e dominante, determinandone la struttura ed il disegno e sostanziandone la complessa simbologia carica di significati. Le nette e semplici geometrie delle superfici, sono bilanciate da un ricco apparato decorativo. L'elegante fisionomia delle diverse porzioni della fortezza islamica, si rispecchia, a volte, nei placidi bacini rettangolari ricolmi di acqua immobile, altrove si rifrange nei vivaci getti e spruzzi delle numerose fontane.

 

 

 

VILLA GIULIA O VILLA DEL POPOLO, DETTA “LA FLORA”

 

Data di costruzione:  

 

1777 – 1779
prima modifica:  1787 – 1788
seconda modifica:  1800 – 1820
terza modifica: 1836 – 1845
quarta modifica:  1900 – 1951

Località:

Palermo, regione Sicilia,  Italia

Progettista:

Nicolò Palma

Collaboratori:

Giuseppe Gioeni d’Angiò e Ignazio Marabitti (scultore) tra il 1777 e il 1779;    Giuseppe Damiani Almeyda nel 1800

Tipologia:

Giardino storico pubblico

 

Per volontà del pretore D. Antonino M. La Grua Talamanca e Branciforte, marchese di Regalmici dei principi Carini e su disegno del sacerdote Nicolò Palma, architetto del senato palermitano, avevano avuto inizio, nella primavera del 1777, i lavori per la costruzione di una villa pubblica.
Al nuovo giardino pubblico di Palermo e al contempo, primo giardino pubblico della penisola italiana, fu dato il nome di Villa Giulia, in onore di Giulia Avalos, moglie del viceré Marco Antonio Colonna, principe di Stigliano.
Per sottolineare la sua destinazione pubblica, alcuni contemporanei insistettero nel chiamarla “Villa del Popolo”: “Però vedutosi quest’opera essere graditissima allo stesso popolo”  annota il diarista contemporaneo il Marchese di Villabianca, “essendo divenuta uno dei primi ornamenti della città, tornò di nuovo a venire appellata Villa Giulia”  e aggiunge “Essa fu pensata da gran tempo avanti dai nostri antichi, e considerata per cosa ottima e molto propria di una grande città come la nostra”.
La selezione del progettista avvenne tramite una sorta di concorso nel quale: “(…)vennero in prima ricercati i migliori ingegneri del paese e in un con essi i più virtuosi dilettanti e geniali, con piena libertà a tutti di recare in Senato i loro disegni”.
La zona prescelta per il giardino pubblico, si trovava fuori dalle mura della città, sul fronte della Marina. Il progetto si inseriva nella più vasta iniziativa di riprendere lo slancio urbanistico che caratterizzò il Cinquecento, attraverso una vera e propria “proiezione della città nella campagna”.  Così, parallelamente alla costa, l’impianto del giardino pubblico a sud est, che faceva parte del piano di S. Erasmo, si accompagnava al tracciato di una nuova croce urbana a nord ovest.
La nuova villa risultava adiacente alla già esistente passeggiata:  la strada Colonna, il lungo mare cittadino, realizzato nel 1582; si venne così a creare – probabilmente in modo inconsapevole -  un efficace sistema urbanistico di passeggiata-giardini pubblici, di grande suggestività paesaggistica.
La forma dell’impianto di Villa Giulia consiste in un semplice e regolare quadrato del perimetro di circa mille metri, orientato nelle sue facce secondo gli assi della città. Al suo interno, si trova un secondo quadrato, ruotato di 45 gradi rispetto al primo, ai cui spigoli corrispondono i quattro ingressi (collocati quindi nella metà delle facce del quadrato perimetrale). All’interno del secondo quadrato è inscritta una circonferenza, che dà luogo ad una passeggiata circolare. La zona centrale è occupata da una piazza circolare nel cui centro è stata collocata una vasca d’acqua decorata dalla figura marmorea di un putto che sostiene un dodecaedro. Ai limiti estremi della medesima piazza, si trovano, disposti simmetricamente, quattro chioschi semicircolari, concepiti come teatrini o piccoli palchi per il teatro e la musica. L’area del quadrato perimetrale è stata inoltre suddivisa, secondo i suoi due assi principali, da quattro viali percorribili, che dalle entrate sfociano nella piazza centrale dove si ricongiungono. Questa quadripartizione  è ulteriormente frammentata dal tracciato delle due diagonali del quadrato principale, che realizza, infine, una suddivisione in otto parti.
Ogni asse circolare o rettilineo è sottolineato dalla plantumazione di filari di alberi. Questa sovrapposizione di tracciati dà luogo ad una serie di partizioni interne di varia forma, utilizzate come aiuole.
La primitiva sistemazione delle essenze arboree, prevedeva la plantumazione ordinata di olmi e pioppi acquistati nel numero di 980 e collocati in doppio filare lungo il perimetro del quadrato esterno e lungo la circonferenza in esso inscritta. La lista d’acquisto delle essenze elenca inoltre seimila alberi di “agrume”: si tratta dell’albero dell’arancio amaro, il Citrus Aurantium detto anche Melangolo. Gli esemplari di agrume disposti a coppie nei viali dei restanti tracciati rettilinei, creavano delle “strade coverte”: dei veri e propri agrumeti foggiati a tunnel.
Questo rigido e perfetto gioco di sovrapposizione di forme geometriche pure: il quadrato e il cerchio, sicuramente richiama a sé l’archetipico schema del giardino all’italiana. Alcuni intellettuali dell’epoca (G. Meli, E. G. Villabianca), sostennero invece la tesi della vicinanza del disegno di Villa Giulia, allo stile dei giardini francesi del “Gran Siècle”. Ma ad un’attenta analisi della struttura spaziale della Villa, si constata in realtà un’estraneità sia ai modelli francesi, che alla tradizione italiana, a causa della mancanza di quei particolari assi generatori dello spazio del giardino, sempre sorretti dalla presenza della facciata principale di un edificio monumentale.
Mentre già erano in atto le grandi mutazioni del linguaggio e del gusto nel panorama europeo dell’arte dei giardini, il progetto di Villa Giulia si discosta a causa della presenza di alcuni elementi anomali. Questa incoerenza – scartata l’ipotesi della riproduzione nostalgica e pedissequa degli schematismi del giardino all’italiana o alla francese, di cui evita del primo l’introversione rinascimentale e del secondo la classica prevaricazione barocca sull’ambiente circostante – rivela, secondo alcuni studiosi, una natura duplice e contrapposta.
Ad aspetti e motivazioni essoterici, sostenuti da una precoce messa in opera di quell’illuminismo razionale che andava diffondendosi in Europa – è contrapposta una natura esoterica legata all’applicazione formale dei significati simbolici e analogici delle forme geometriche.
Attraverso la prima lettura, riconosciamo nella perfezione geometrica dell’impianto, una vicinanza a quel gusto per la clarté matematica del “classicismo moderno” e per la ricerca razionale di una “chiarezza distributiva” dei tracciati; due elementi che attivano inequivocabilmente una relazione analogica tra il giardino e l’adiacente città di Palermo. Villa Giulia divenne il modello ideale della città a cui si annesse e della quale manifestava  in modo depurato quell’ “ordine” inteso come rappresentazione simbolica della storicizzata quadratura di Palermo. Ma attraverso la correlazione città di Palermo – Villa Giulia, si giunge alla seconda interpretazione. Il disegno della Villa, “emblema” geometrico di Palermo, si rivela uno strumento di verifica dell’applicazione di quella legge universale che correla il macrocosmo al microcosmo. Il suo impianto generale deriva dalle due forme geometriche elementari: il cerchio e il quadrato, che sottendono alle relative figure cosmiche: il primo simboleggia il divino, il secondo  ciò che è terreno. Inoltre, il cerchio inscritto nel quadrato rimanda alla figura emblematica della quadratura del cerchio.
Al centro della villa si trova la vasca in cui è collocata la figura di un putto che sostiene un dodecaedro. Il dodecaedro, il solido platonico per eccellenza, fu da Platone introdotto fra i solidi pitagorici; in esso è possibile inscriverli tutti e per questo divenne, nel linguaggio simbolico, la rappresentazione della forza generatrice di tutte le forme.
All’estremo opposto dell’allora asse principale, che dall’entrata sul lungo mare procedeva verso l’interno attraversando il centro, è collocata: “La Fonte grande col simulacro marmoreo del Genio di Palermo”, immagine magica della saggezza e personificazione del Genius Loci della città. Molte altre figure lapidee, tutte rappresentazioni allegoriche di vizi, virtù o creature leggendarie, sono distribuite linearmente o in circolo in altre zone del parco. In definitiva, il programma architettonico e l’ordinamento scenografico di Villa Giulia, paiono essere profondamente fondati nel simbolo, nell’allegoria, nella geometria e nell’aritmetica, queste ultime intese nel loro ruolo non apparente di “rivelazione” di quelle leggi sottese ad un ipotetico ordine cosmico.
La coesistenza di queste due antitetiche “anime” in Villa Giulia, fu molto acutamente colta da un visitatore d’eccezione: W. Goethe, il quale soggiornò in Palermo - ultima tappa del suo viaggio in Italia - nell’aprile del 1787. Vale la pena trascrivere alcune sue sensibilissime osservazioni:
“Palermo, 7 aprile 1787. Nel giardino pubblico vicino alla marina ho passato ore di quiete soavissima. E’ il luogo più stupendo del mondo. Nonostante la regolarità del suo disegno, ha un che di fatato; risale a pochi anni or sono, ma ci trasporta in tempi remoti. Verdi aiuole circondano piante esotiche, spalliere di limoni s’incurvano in eleganti pergolati, alte palizzate d’oleandri screziate di mille fiori rossi, simili a garofani, avvincono lo sguardo. Alberi esotici a me sconosciuti, ancora privi di foglie, probabilmente di origine tropicale, si espandono in bizzarre ramature. Il verde di tutte queste piante ha qualcosa di affatto insolito: in confronto al nostro, a volte tende più  al giallo, altre volte  più al turchino (…) Ma ciò che dava all’insieme un fascino eccezionale era un’intensa vaporosità che si stendeva uniforme su ogni cosa”.
Dei lunghi berceaux di agrumi, dei filari di olmi,  pioppi e oleandri, ma soprattutto di quell’intensa vaporosità, è rimasto oggi ben poco.
Forse a causa della chiarezza e rigidità del suo schema planimetrico, solo il disegno geometrico del primitivo impianto, è resistito allo trascorrere delle mode. L’impatto con lo stile romantico-pittoresco, nei primi decenni del XIX secolo, trasformò il tipo di piantagioni: le essenze-simbolo come il melangolo (l’arancio amaro) o i pioppi esperidei, scomparvero e lasciarono il posto a nuove essenze esotiche, quali le Washingtonie e i Ficus, esemplari oggi sicuramente storicizzati, ma certamente mai del tutto definiti e definibili, nelle loro dimensioni fisiche;  tutto ciò a discapito della possibilità di mantenere nel tempo – rispetto alle precedenti piantagioni – una conformazione coerente alla concezione originaria del giardino. Oltre a queste modifiche, anche le porzioni di parterres ritagliate dai viali furono trasformate dall’inserimento di alcuni tipici “arredi” romantici quali: laghetti, montagnole artificiali con finte rovine, ponticelli, sepolcreti, gabbie con animali, ecc.
Di questo, come lo ha definito Ippolito Pizzetti: “Corpo malato di un giardino”, sarebbe importante comprendere: “come e perché (…) sia divenuto qualche cosa d’altro e abbia perso la sua individualità e la sua fisionomia”. Quest’operazione sarebbe utile per comprendere i  numerosi messaggi in esso contenuti, che riguardano non solo il suo importante ruolo storico di precoce invenzione di area a verde pubblica, ma anche e soprattutto per sondare quell’abilità di fondere il visibile, cioè gli elementi e le funzioni razionali di efficacia urbanistica, con altri, di natura simbolica e allegorica che ci ricollegano con l’invisibile.

 

 

 

 

 

 

 


 

PARCO DELLE BUTTES-CHAUMONT

 

Data di costruzione:  

 

1864 - 1867

Località:

Parigi,  Francia

Progettista:

Jean-Charles Adolphe Alphand  e  Pierre Barillet-Deschamps, sotto la supervisione di  Georges-Eugène Haussmann

Collaboratori:

Dipendenti del Service des Promenades et Plantations  della  città di Parigi

Tipologia:

parco urbano storico

 

Nella seconda metà del XIX secolo, l'imperatore Luigi Napoleone, diede inizio al profondo rinnovamento dell'assetto complessivo della città di Parigi, nel tentativo di adattarla al nuovo ruolo emblematico di capitale di una grande nazione moderna. All'indomani della Seconda Repubblica, tra le avvisaglie della nascente civiltà industriale, Napoleone III  conduce Parigi ad affrontare la più grande trasformazione urbanistica fino ad allora intrapresa.
I lunghi soggiorni dell'imperatore in Inghilterra influenzarono significativamente i gusti stilistici e la concezione del disegno urbanistico e paesaggistico che la grande arte del giardino francese gli aveva lasciato in eredità. Del resto, da quasi un secolo, nelle terre d'oltre manica il nuovo stile "paesaggistico" aveva già conquistato il dominio dell'arte dei giardini; gli scritti di studiosi e paesaggisti inglesi circolavano da tempo negli elitari salotti francesi, trasfondendo nel gusto della borghesia e dell'aristocrazia locale, l'estetica del pittoresco e del disegno informale e naturalistico del paesaggio.
Luigi Napoleone, al fine di dare inizio e mettere in opera il grande progetto di rinnovo urbanistico di Parigi,  assume quale capo responsabile e direttore esecutivo del vasto piano, il Barone Haussmann, prefetto della Senna, alle cui monopolizzanti decisioni dovettero sottostare tutti gli interventi ed i progetti successivamente messi in atto.
Il piano d'intervento si presentò da subito molto esteso e diversificato,  esso comprendeva, infatti, la realizzazione di nuove strade e arterie alberate, di vasti incroci e ponti, di una nuova rete fognaria e canalizzazioni d'acqua e di una quarantina di piazze-giardino. L'elemento centrale e innovativo dell'intervento è rappresentato dalla realizzazione di alcuni grandiosi parchi pubblici. In questo ambito della pianificazione cittadina, in modo particolare, la scuola paesaggistica inglese si impose quale esempio e riferimento costante, sia del disegno formale degli spazi a verde e sia della funzione sociale che la nuova tipologia spaziale  era destinata a svolgere.
Per la realizzazione dei grandi parchi, nonché delle numerose arterie verdi e delle piazze-giardino, Haussmann si avvalse dell'importante collaborazione di Jean-Charles-Adolphe Alphand, ingegnere dell'Ecole Nationale des Ponts et Chaussées, già impiegato negli uffici amministrativi della capitale dal 1857 e assunto nel 1861 come direttore amministrativo  del Service des Promenades et Plantations  di Parigi. Il suo ruolo dirigenziale fu affiancato dal lavoro di alcuni fondamentali collaboratori tra i quali, in primo luogo,  l'orticoltore Pierre Barillet-Deschamps e dell'architetto Gabriel Davioud. 
Napoleone III  in persona, nel 1852, donò  alla città di Parigi il Bosco di Caccia Reale: il Bois de Boulogne, affinché fosse trasformato - prima realizzazione fra tutte - in moderno parco pubblico. Questo imponente progetto fu seguito dalla ri-sistemazione del Bois des Vincennes, un'altra riserva di caccia reale, in seguito utilizzata quale campo di manovra dell'esercito napoleonico.  Le originarie geometrie rettilinee ed i grandi assi e viali stellari, furono radicalmente trasformati nel loro disegno formale e nella destinazione:  sentieri sinuosi, laghetti artificiali, giochi d'acqua "naturali", grotte e cascate,  furono artificialmente realizzati per accogliere il nuovo pubblico:  di estrazione borghese e nobiliare per il Bois de Boulogne,  popolare ed operaio per Bois des Vincennes.
La creazione di oasi verdi all'interno o in prossimità della città,  fu l'espressione formale coerente del nuovo assetto sociale che andava caratterizzando le nascenti metropoli occidentali. Le motivazioni funzionali  di pubblica igiene, salubrità dell'aria e dell'acqua e abbellimento degli spazi pubblici, erano supportate - in maniera dissimulata - dalla consapevolezza degli importanti effetti politico-sociali, che questo tipo d'intervento comportava.  L'indiscutibile ruolo di abbellimento della città che l'abbondanza di parchi e giardini, viali e piazze alberate, svolse nel grande progetto di rimodernamento,   si accompagnò ad una strategia controrivoluzionaria coscientemente pianificata, che aveva lo scopo di pre-ordinare una sorta di "armonia sociale", al fine di prevenire - attraverso lo svago ed il divertimento - eventuali tensioni latenti nelle masse urbanizzate.
Tra le nuove realizzazioni di parchi pubblici parigini, si colloca l'intervento - forse più spettacolare e dal carattere sicuramente più singolare - del parco delle Buttes-Chaumont.
Nella fascia degradata verso l'estrema periferia nordorientale della città,  Pierre Barillet-Deschamps - importante funzionario del Service des Promenades, nonché direttore del Service du Plan  -  identificò un'area dalle caratteristiche geomorfologiche interessanti e - a causa delle sue pessime condizioni - anche economicamente conveniente.  Il sito prescelto per il nuovo parco, era segnato da un passato devastatore: luogo di esecuzioni in epoche più lontane, in seguito macello pubblico e cava per l'estrazione della pietra ed infine discarica cittadina.  Questo terreno sterile e smembrato di circa venticinque ettari, attraverso ingentissimi lavori d'ingegneria, venne radicalmente trasformato e trasfigurato.   La sua originaria funzione di cava lapidea, aveva lasciato sul sito i segni dell'estrazione e della lavorazione del materiale:  l'assetto morfologico del terreno era caratterizzato da variazioni altimetriche improvvise, da numerosi dirupi e faglie rocciose accidentate. Questa conformazione tormentata rivelò, agli occhi di Alphand e Deschamps, tutte le sue incredibili potenzialità paesaggistiche, decisamente adatte ad accogliere la realizzazione di scenari "molto pittoreschi". 
Le conquiste tecnologiche dell'epoca, le invenzioni più recenti dell'ingegneria idraulica, furono abbondantemente messe in opera nel parco delle Buttes-Chaumont. Un impervio promontorio roccioso già presente sul sito, venne "manipolato" dal nuovo progetto e trasformato in un'isola circondata dalle acque di un lago artificiale.  Le superfici del dirupo furono modificate con l'aggiunta di finti pinnacoli rocciosi costruiti con pietre tenute unite da armature di ferro e rivestite da un composto cementizio di recente invenzione.  Sulla cima dell'alto promontorio - collegato al resto del parco da due ponti sospesi -  fu collocato un piccolo tempio circolare visibile da ogni punto del parco; esso funzionava da postazione panoramica privilegiata:  da quell'altezza il visitatore poteva ammirare la vasta estensione urbanizzata della città di Parigi, il cui profilo ritmato dalle recenti ciminiere e strade ferrate, prospettava all'osservatore le nuove forme della città agli albori dell'era industriale.
L'ingegneria idraulica poté applicare le sue più recenti innovazioni tecnologiche nella realizzazione di cascate dall'aspetto "naturale", attentamente collocate in punti strategici dei percorsi sinuosi, al fine di creare nel visitatore di passaggio un effetto sorpresa ed un improvviso senso di stupore ed eccitamento.  La morfologia dell'intero parco fu drasticamente modificata - con l'aiuto di grandi e "moderni" macchinari - da consistenti spostamenti di terreno e opere di livellamento, operazioni che portarono alla formazione di alcune colline artificiali e altre costruzioni "naturaliformi", come le pittoresche grotte con stalattiti e le umide caverne muschiose, realizzate in rocailles-ciment.
Le risorse del genio civile furono dispiegate senza risparmio dall'Alphand durante la realizzazione di questo grande parco; il suo intento era quello realizzare un luogo che connettesse, fisicamente e simbolicamente, la natura alla città.  Dell'originaria "naturalità" di questa natura messa in scena, rimaneva però ben poco.  L'assoluta artificiosità di Buttes-Chaumont, esplicitata sia dalle tecniche costruttive utilizzate e sia dall'intenzione progettuale che sta alla sua base, lo caratterizza quale precoce esempio di "parco tecnologico"; in esso trova piena espressione l'esaltazione della tecnica e della macchina, sospinta da quell'ottica positivista di massima fiducia nel progresso ed in primo luogo nel progresso tecnologico.
L'ideazione del parco di Buttes-Chaumont esprime, innanzitutto, il nuovo tipo di intenzioni e di modi di percepire l'ambiente e la natura che l'istanza romantica e pittoresca sottendeva, come ha evidenziato Isotta Cortesi, nel suo recente libro "Il parco pubblico":
"(...) l'originalità di questi progetti non risiede nella scelta stilistica, peraltro già in voga da quasi un secolo, ma nell'uso degli elementi che caratterizzano lo stile:  il percorrere e ammirare gli spazi con stupore estetico all'interno di un parco-museo botanico-tecnologico. (...) L'elemento veramente innovativo realizzato con i parco delle Buttes-Chaumont è il dispiego e la celebrazione della tecnologia, in una mimesi degli eventi naturali. Il ruolo dello sguardo, inteso come piacere estetico, recuperato ancora una volta dal giardino classico francese, diviene la figura dominante". (I. Cortesi, 2000, p. 30)

 

 

 

SACRO BOSCO DI BOMARZO O PARCO DEI MOSTRI

 

Data di costruzione:  

 

1552 - 1580

Località:

Bomarzo,  provincia di Viterbo,  regione Lazio,  Italia

Progettista:

Pierfrancesco Orsini,  detto "Vicino" Orsini

Collaboratori:

Pirro Ligorio

Tipologia:

parco storico privato

 

Tra le città di Orte e Viterbo, a circa 80 chilometri a nord di Roma, si trova uno dei più enigmatici ed originali giardini del mondo: un inimitato esempio di elaborazione umana della natura.
Il sito è costituito da una serie di terrazzamenti che digradano verso la vallata del Tevere;  arroccato su di un colle che si affaccia su di essa, si trova l'attuale conformazione di un antico insediamento etrusco: il paese di Bomarzo e - a poco più di un chilometro dall'abitato – si erge il singolare Parco dei Mostri.
All’interno di una sorta di anfiteatro naturale cosparso di castagni, noccioli e querce, si scorgono - affioranti dal terreno, quasi ne fossero le sue stesse emanazioni - numerose ed insolite raffigurazioni scolpite nei grandi macigni di Peperino. I giganteschi massi ieratici, catapultati dalle vicine montagne vulcaniche, furono scolpiti direttamente in loco e si animarono assumendo le sembianze di figure mitiche, spaventose e bizzarre.
Diversi sono i nomi di artisti ed architetti - tra i più conosciuti dell'epoca - che compaiono nei rari documenti relativi alla storia del parco; tra essi, in primo luogo, emerge la figura dell'architetto napoletano Pirro Ligorio,  progettista della grandiosa Villa d'Este a Tivoli,  ma compaiono anche numerosi altri nomi tra i quali: il Vignola,  l'Ammannati,  Raffaello da Montelupo e Jacopo del Duca.  Tuttavia, la natura singolare ed eccentrica del parco, nonché l'insolita scarsità di documentazione sul suo disegno, fanno convergere verso l'ipotesi della pressoché totale egemonia progettuale esercitata dal proprietario, il duca Vicino Orsini, alle cui personali esigenze di espressione artistica, i vari artisti contattati probabilmente dovettero sottostare.
All'età di 33 anni, di ritorno dalle numerose campagne militari, Vicino Orsini si stabilì definitivamente nel suo possedimento, dedicandosi alla sua gestione ed alle giovanili passioni letterarie.
Intorno al 1550, decise di sistemare a parco il comprensorio boschivo del suo terreno, annettendolo al già esistente giardino all'italiana prospiciente il  palazzo; ma da quest'ultimo rimase sempre, per sua volontà, un'entità ben distinta e permeata da soluzioni formali concettualmente autonome da ogni regola compositiva dell'epoca.
Al nome "Giardino" o “Parco”, Vicino Orsini preferiva quella di "Bosco Sacro"; definizione che conteneva già in sé i germi di una cultura manierista, in cui il luogo del bosco designava una dimensione fantastica ed esoterica. La parola "Sacro" ha qui il significato di meraviglioso, nel modo in cui lo immaginavano gli antichi.  La struttura labirintica e disorientante dei percorsi, le prospettive distorte e ingigantite che schiacciano il punto di vista dell’osservatore e altre inconsuete invenzioni formali, non trovano alcuna corrispondenza nella visione del mondo - ordinata e razionale - dell’epoca rinascimentale.          
Alla morte della affezionata moglie, Giulia Farnese, il Bosco divenne per il Duca, oltre alle letture, la sua principale occupazione, trovando consolazione nel progettare sempre nuovi "disegni per il Boschetto" e ampliando con continui accrescimenti l'estensione del parco: "Non mi resta altro refrigerio se non per il mio Boschetto et benedico quelli denari che vi ho spesi e spendo tuttavia".
Il Duca divenne presto orgoglioso della sua creazione originale e fantasiosa e si compiaceva di mostrarla agli ospiti occasionali; la fama di questo luogo popolato di "cose stravaganti e fantasiose",  si era rapidamente consolidata tra i contemporanei. La consapevolezza di aver creato un unicum irripetibile, trapela in una delle inscrizioni presenti nel giardino:

"Cedan Memphi e quant'altra meraviglia
ch'ebbe già il mondo in pregio al Sacro Bosco
che sol a sé stesso e a null'altro assomiglia".

Dopo la morte di Vicino Orsini nel 1582, iniziò per la sua "meravigliosa follia" un periodo di progressivo disfacimento, un lungo oblio durato quattro secoli. Solo verso la metà del  XX secolo, il possedimento fu acquistato da nuovi ed attenti proprietari, che con  propri mezzi avviarono un parziale recupero del parco.
Il Bosco Sacro di Bomarzo è considerato, dai più attenti studiosi, un evento eccezionale all'interno della storia dell'arte dei giardini, come è evidenziato nella "Guida ai segreti del Lazio":
"Esso rappresenta la più alta manifestazione di quell'inquietante periodo del manierismo illanguidente, di quel periodo di nervosa e stupenda decadenza in cui gli artisti cercarono ispirazione rifugiandosi nel magico, nell'esoterico e nella più scoperta evasione dalla vita quotidiana" .
La composizione generale del parco, a causa delle sue peculiari caratteristiche formali esplicitate dalla libera disposizione dell'impianto arboreo, dalle dimensioni gigantesche e inusitate delle sculture, dall’insolita decisione di verniciare a colori vivaci la loro rugosa superficie e dall'attenzione posta alla ricerca di effetti prospettici pittoreschi svincolati da qualsiasi regola e ordine rinascimentale,  non permette una sua precisa classificazione tipologica, rendendolo un caso isolato, totalmente disubbidiente ai canoni progettuali  impiegati nei cosiddetti giardini all'italiana.
Definito dalla studiosa francese Jaqueline Theurillat come:" L’ultimo grande mistero artistico del Rinascimento", il Sacro Bosco  divenne l'inconsapevole formalizzazione  di quel periodo di trasformazioni manifestatosi attorno alla seconda metà del XVI secolo, in cui,  sotto l'influsso della Controriforma, si verificò un profondo mutamento nelle coscienze e nei gusti che anche l'arte dei giardini, espressione di quella cultura, non tardò a  registrare.
Il parco di Bomarzo, ideato e realizzato per la maggior parte tra il 1552 e il 1564, espresse anzitempo un'autonoma originalità di linguaggio: la sua forte componente fantastica e irreale, la ricerca del meraviglioso  attraverso "artificiosi inganni e stravaganze", pare aver anticipato di alcuni decenni: "quell'urgenza passionale dell'incipiente barocco" che si attivò in maniera estesa ben più tardi. A conferma di questa ipotesi Leonardo Benevolo nel suo: "Saggio d'interpretazione storica del Sacro Bosco" evidenzia per l’appunto come: "La ricerca dello strano e del meraviglioso è eccezionale, in sede di arte del giardino, prima del 1570".  Un’ulteriore conferma dell’importanza e dell’eccezionalità del Sacro Bosco, è rilevabile nello scritto “Attorno al progetto di un parco”, del noto paesaggista italiano Ippolito Pizzetti:
“(…) Bomarzo è un’altra cosa e per chi si deve apprestare a lavorare sul paesaggio,  forse Bomarzo nella sua concezione ancor più che nella sua struttura (che poi è destrutturazione) è più importante di Versailles. Davanti a Bomarzo occorre fermarsi, chiedersi cos’è, o cos’è stato, vista la sua attuale condizione avvilita, quali sono i motivi che l’hanno creato e così, indagare il senso della sua rivoluzione. Proprio perché rappresenta un “a parte”, un salto, il fuori dalle righe, credo convenga fermarsi su Bomarzo come in architettura su Gaudì o su Scarpa”.
Analizzando ora il percorso, che attraverso un susseguirsi di eventi, si snoda lungo i sentieri del Sacro Bosco, si può notare come ad ogni "tappa", lo spazio assume, alternatamente,  opposte conformazioni: se ad un tratto ci si ritrova avvolti da un umido boschetto cupo e tenebroso,  subito dopo ci si ritrova in un'ariosa e luminosa spianata.  Ogni particolare atmosfera  è sostenuta dalla presenza di una o più sculture o costruzioni: una vera e propria popolazione pietrificata che si rivela in ogni angolo del giardino, a volte in modo sommesso e mimetizzato, altrove in maniera invadente ed eclatante. Le gigantesche figure scolpite nella roccia vulcanica, appartengono al mondo immaginario della mitologia mediterranea; tra esse troviamo: sirene e ninfe, satiri, deità fluviali e marine, orsi araldici ed ancora: una balena, una gigantesca tartaruga, un drago dalle insolite fattezze orientali, un elefante guerriero, un gigante intento a squartare un'amazzone, nonché il famoso grottesco mascherone dalle fauci aperte attraverso le quali è possibile accedere ad una stanza interna. Particolarmente bizzarra è la "casa pendente": una folle invenzione dell'Orsini, che disorienta e stordisce la normale propriocezione dello spazio, inducendo nel visitatore una sorta di malessere fisiologico. Anche le scritte incise nella pietra, costituiscono una “tipologia scultorea” essenziale alla scansione degli episodi del percorso-racconto che si dipana nel parco. La seguente citazione, rappresenta forse il verso più famoso ed emblematico tra le diverse scritte presenti:

"Voi che pel mondo gite errando vaghi
di veder meraviglie alte et stupende venite qua,
dove son facce horrende,
elefanti ,leoni ,orchi et draghi"

La lavorazione della pietra è stata a volte mantenuta, dagli ignoti artefici, ad un livello di sbozzatura grossolana; questo insolito genere di tecnica scultorea, conferisce alle forme una particolare rozzezza che enfatizza il loro aspetto inquietante e che genera nell'osservatore un susseguirsi di stati d'animo contrastanti ed oscillanti tra la meraviglia, il dubbio, la serenità o lo sgomento.
L'intero percorso è scandito da una serie di postazioni, vere e proprie ambientazioni scenografiche il cui punto di vista è di natura variabile e molteplice. I numerosi sedili distribuiti lungo i sentieri, invitano l'osservatore ad un'attenta visione dell'ambientazione da un preciso e statico punto di vista. Al contrario, percorrendo il sentiero, è possibile compiere una completa circumnavigazione della scena.
Questa esplicita suddivisione delle modalità di fruizione nei due tipi: visione prospettica da fermo e visione prospettica in movimento, avvicina sorprendentemente il Bosco di Bomarzo, alla concezione formale dei giardini cinesi, come è stato evidenziato nell'interessante Tesi di Laurea "Codici di connessione con l'oriente", tenutasi presso il Politecnico di Milano. Attraverso un'analisi della struttura spaziale del Sacro Bosco, sono state identificate interessanti analogie con le regole formali dei giardini cinesi, quali: la conformazione zigzagante di alcuni sentieri, la presenza d’inscrizioni che arricchiscono il racconto del viaggio attraverso il giardino, l'alternanza di opposte conformazioni spaziali (buio/luce, grande/piccolo, interno/esterno, restringimento/ampliamento, sopra/sotto, ecc.) esplicito rimando alla fondamentale “legge” taoista che prevede un’armoniosa compresenza di aspetti yin e yang.
Innoltrandosi nelle ragioni  che spinsero Vicino Orsini ad investire così tanta energia in quest'opera, l'ipotesi  più avvalorata è quella della pura e semplice volontà di stupire e sorprendere, della necessità di dare vita ad una "materializzazione di un divertimento", di un luogo adatto a dilettevoli evasioni, ove si potesse: "Sfogare il core  (...)  viver allegramente et pigliar tempo come viene". Lo stesso Pirro Ligorio nel suo "Libro delle antichità" scrive a proposito dei mostri che popolano Bomarzo:" (...) non per fini fantastici, non per mostrare delle cose insolite e folli, non per usare la loro varietà come motivi decorativi, (...) Essi sono fatti per provocare lo stupore e la meraviglia nei miserabili mortali, per illustrare il meglio possibile la fecondità, la pienezza dell'intelligenza e le sue qualità immaginative (...) e per dimostrare come la vita si manifesta, per dare proliferazione ai temi nati dalle cose create".
Dopo molti secoli di totale abbandono, la consapevolezza dell’eccezionale valore artistico del Sacro Bosco, sta oggi emergendo all’attenzione di un pubblico più vasto.  Lo stimolo prodotto dal lavoro di alcuni artisti e studiosi, nonché da un folto numero di stranieri appassionati al “caso” Bomarzo, ha parzialmente innescato una lenta rinascita, di questa - secondo la definizione di Salvador Dalì: "Vera fantasmagoria proiettata nella realtà"

 

 

 

 

 

 

 



CHATSWORTH GARDEN

 

Data di costruzione:  

 

prima fase:        1687 – 1706
seconda fase:   1760 – 1780
terza fase:         1830 - 1850

Località:

Sheffield,  Derbyshire,  Inghilterra

Progettista:

prima fase:   George London, Henry Wise, Grillet
seconda fase:   Capability Brown
terza fase:   Joseph Paxton

Collaboratori:

 

Tipologia:

parco storico extraurbano

 

Lo spettacolare parco della residenza dei duca di Chatsworth, circondato dagli splendidi scenari pastorali del Derbyshire nei pressi di Sheffield, costituisce un esempio monumentale dei mutamenti stilistici attraversati nella storia, dall'architettura del paesaggio. L'originario impianto obbediente ai canoni del giardino rinascimentale e oggi completamente scomparso,  attraversando una fase intermedia influenzata dallo stile barocco francese, giunge nell'Ottocento al definitivo assetto formale,  divenendo un'espressione esemplare del parco paesistico all'inglese.  La grande abbondanza di acqua permise ai diversi e successivi progettisti di cimentarsi in arditi progetti di ingegneria idraulica, elaborando la virtuosistica forma del lungo percorso della Grande Cascata ed  il potentissimo getto della Fontana dell'Imperatore.

 

 

 

 

GIARDINO DELLA MINERVA

 

Data di costruzione:  

 

primo impianto: fine del XIII secolo e inizio del XIV secolo
fisionomia attuale: XVIII secolo

Località:

Salerno,  regione Campania,  Italia

Progettista:

primo impianto trecentesco: Matteo Silvatico (medico e botanico)
Interventi settecenteschi: autori sconosciuti

Collaboratori:

sconosciuti

Tipologia:

Orto botanico

 

Serrata dalle strette maglie della città antica, a ridosso del torrente Fusandola e delle antiche mura medioevali, sono state recentemente riscoperte le vestigia di un antico orto-giardino botanico.
Il primo impianto dell’orto risale presumibilmente al XIV secolo, quando un membro della famiglia Silvatico (già proprietaria di quel terreno dal XII secolo), si distinse per le sue qualità di medico ed esperto botanico.
Matteo Silvatico impiantò in quest’area, quello che poi si rivelò essere il primo orto botanico del mondo occidentale, una particolare tipologia di disegno e uso della vegetazione, che aprì le porte alle successive fondazioni degli orti botanici di Padova, Pisa, Firenze, Pavia e Bologna. In questo luogo per la prima volta,  in maniera organizzata ed istituzionalizzata, vennero coltivate a scopo “scientifico”, numerose specie di piante ed erbe, per classificarle e studiarne le proprietà terapeutiche e medicamentose. Del resto, il contesto culturale in cui questa iniziativa si inseriva, favoriva appieno il suo sviluppo ed il suo successo:  sotto la forte influenza della cultura araba, arricchita dai retaggi delle conoscenze degli autori antichi, si sviluppò in Salerno, in quel secolo, una rinomata Scuola Medica. Dall’oriente e dall’Africa settentrionale, furono importate numerose nuove specie vegetali dalle interessanti qualità terapeutiche. Fu proprio Matteo Silvatico a redigere il famoso “Liber cibalis et medicinalis Pandestarum”, una preziosa ed innovativa raccolta di informazioni sui cosiddetti “semplici” - le erbe officinali - il tutto corredato da eccezionali illustrazioni botaniche.
La conformazione spaziale del giardino e le importanti strutture architettoniche, risalgono, però, al XVIII secolo. Il Giardino della Minerva si sviluppa su sei livelli, in una successione di gradonate, sfalsate verticalmente di parecchi metri l’una dall’altra, a causa della forte pendenza del terreno. Il livello inferiore è costituito dal ripiano di più ampie dimensioni, scandito  da regolari aiuole quadrate, ricostruite oggi secondo il tracciato ritrovato dopo le ricerche archeologiche effettuate perlustrando gli strati più profondi del terreno. A contatto con il muraglione che sostiene l’imponente terrapieno che conduce al livello successivo, è collocata un’ampia vasca a forma di rettangolo allungato, detta anche “peschiera”, scandita nel suo lato esterno da quattro colonne.
Il medesimo appezzamento contiene, però, due diversi livelli: il secondo, leggermente sopraelevato rispetto al primo, è collocato più internamente e da esso si accede alla porta d’ingresso che fora il muro perimetrale che confina con lo stretto viottolo del centro storico. Il sentiero d’ingresso costeggia un edificio, anch’esso settecentesco, che era funzionalmente parte integrante dell’orto e per il quale, a tutt’oggi, non è stata  prevista una chiara destinazione.  Il lato più esterno del livello inferiore è delimitato da una semplice balaustra, che trasforma quest’area del giardino in un’ampia e lunga terrazza che si affaccia su un eccezionale panorama. A ridosso dell’edificio, protetta da un muro forato da un arco, è collocata una pregevole vasca con fontana, rifinita con decorazioni di “schiuma di mare”.
L’elemento architettonico più affascinante e rilevante, è probabilmente la lunga scalea scandita nel suo dipanarsi da numerosi pilastri a pianta quadrata, semplicemente decorati a stucco, che fanno da sostegno ad una lunga pergola lignea. La scalea, costruita sulle mura medioevali, ricollega a sé i restanti cinque  livelli del giardino ed è collocata nel versante più esterno dell’appezzamento. Essa si trova, dunque, a strapiombo rispetto al ben più basso terreno sottostante ed offre a chi la percorre un’eccezionale ed amplissima vista panoramica sull’intero golfo salernitano.
Ad ogni livello del giardino è presente una vasca per l’accumulo dell’acqua, dimensionata in relazione all’estensione del terreno da irrigare. Il complesso sistema irriguo parte ovviamente dal livello superiore dove l’acqua è captata ed attraverso una serie di strette canalette, a volte a cielo aperto e a volte murate, le numerose peschiere, fontane e pozze ai diversi livelli, vengono messe in comunicazione.
Il Giardino della Minerva è stato dimenticato dalle autorità locali per molti decenni; in questi ultimi quarant’anni fu affidato alle personali cure di un giardiniere salernitano.
Il progetto di restauro e di ricostruzione botanica del giardino, di cui è stata completata la prima e più importante fase, è stato impostato in modo da poter tollerare in corso d’opera le modifiche e gli adattamenti che si renderanno necessari. Attraverso le tecniche dell’archeologia dei giardini, dagli strati più profondi sono emerse sia la forma e la disposizione originarie delle aiuole, sia la complessa trama del sistema delle acque, oggi entrambe ripristinate.
Nel progetto di restauro si è scelto di inserire nelle aiuole così ricreate, quella selezione di erbe officinali contemplate nel Liber cibalis et medicinalis Pandectarum, di Matteo Silvatico.  La plantumazione delle specie arbustive ed arboree segue, invece, l’intento di rimarcare e valorizzare la struttura spaziale del giardino.
Il Giardino della Minerva è oggi finalmente aperto al pubblico e visitabile. La conformazione cinta e terrazzata e la sua collocazione in un sito privilegiato per il clima, l’esposizione e la vista panoramica, fanno del Giardino della Minerva un luogo di grande bellezza e un prezioso riferimento formale per il progetto del verde contemporaneo.

 

 

 

Giardini e Parchi Moderni


SHUTE GARDEN

 

Data di costruzione:  

 

Lavori principali: 1975-80, Revisione del  Progetto: 1993

Località:

Shute House,  Shaftesbury,  Wiltshire,  Inghilterra

Progettista:

Geoffrey  A.  Jellicoe

Collaboratori:

i due proprietari del giardino Michael e Anne Tree

Tipologia:

giardino privato di abitazione singola

 

Il disegno per il giardino di Shute, fu commissionato a G. Jellicoe dal pittore Michael Tree e da sua moglie Anne, nel 1970.  Casa Shute occupa un antico sito inglese, che si estende su di un crinale nel Wiltshire e gode, verso sud, della superba vista di un ondulato fondo valle. Il terreno attorno a Shute House, beneficia della presenza di numerose sorgenti naturali, una delle quali ha origine nel punto più alto del giardino e alimentava, un tempo, un vecchio canale. Nei seguenti 20 anni della sua realizzazione, Shute Garden si rivelò per Jellicoe  un prezioso laboratorio per l’evoluzione e la sperimentazione delle sue idee : il progetto fu per il paesaggista uno dei più gratificanti, non solo per la possibilità di sfruttare l’incredibile abbondanza di acqua presente nel sito; elemento che gioca da sempre un ruolo chiave nel linguaggio formale di Jellicoe, ma anche per il rapporto di armoniosa collaborazione che si venne ad instaurare con la coppia di proprietari.
Il corso d’acqua che emerge dalle profondità della terra nel terreno di Shute, fu guidato da Jellicoe attraverso una serie di eventi, facendogli così assumere molteplici conformazioni.
In una zona del giardino l’acqua prese l'aspetto di un lungo canale di forma curva, un largo ed informale corso d’acqua poco profonda. In direzione perpendicolare ad esso, un secondo corso d’acqua, alimentato da una vasca superiore,  discende lungo il lieve pendio della collina, disegnando una perfetta linea retta, scandita da otto piccoli dislivelli.
La struttura dell’intero progetto di Shute Garden, è sorretta da questa dualità di forma e di intenzione, ed emerge in ogni luogo del giardino.
L’esteso terreno venne scomposto da Jellicoe in una serie di “sotto-giardini”, vere e proprie ambientazioni con le quali il paesaggista cercò di creare particolari atmosfere, al fine di suscitare sensazioni ed emozioni differenti. Ne possiamo riconoscere all’incirca sei:

The Canal.  E’ costituito da un largo corso d’acqua poco profonda. Le sue due rive hanno diversa  conformazione: da un lato un alta e folta siepe serra il canale incupendolo; l’altra riva, grazie alla presenza di basse piante acquatiche risulta più leggera ed ariosa. Jellicoe, inoltre sfruttò il lungo percorso curvilineo del canale, per realizzare nella zona della curvatura, un cambiamento di atmosfera, che da “classica” si trasforma in “romantica”.

The Temple garden.  Jellicoe racchiude completamente questa zona del giardino utilizzando un’alta e fitta siepe (Prunus Laurocerasus), al fine di creare nella persona che penetra in esso, unsenso di sorpresa e di inatteso. Un oscuro tunnel vegetale rappresenta l’unico accesso al temple garden. All’interno di quest’area  si trovano: volumi reticolari di metallo per le piante rampicanti, un piccolo tempio-gazebo ed una grande roccia di quarzo iridescente.

The Box garden:   Si tratta di sei aree a forma di quadrato regolare, bordate da spesse siepi di bosso. Quattro di questi giardini-contenitore, prevedono la coltivazione di piante da fiore,  i due rimanenti la coltivazione di frutta e verdura.

The Bog garden:  In questa zona del giardino si trova una vasca d’acqua ferma, invasa da rigogliose piante acquatiche. La disposizione disordinata della vegetazione conferisce a quest’area un aspetto selvatico di acquitrino spontaneo.

The Spring:   E’ qui localizzata la sorgente che alimenta l’intero sistema di acque del giardino. Lo Spring Garden  con la sua ampia vasca di acqua placida, rappresenta il luogo dell’inizio e della fine di ogni ragione d’essere del giardino.

The Rill:  Il Rill garden è considerato la struttura centrale del progetto di Shute. Jellicoe disegnò accuratamente i diversi tratti del corso d’acqua.  L’acqua fluisce dal pendio in uno stretto ruscello e raggiunge, all’inizio del Rill, la prima delle otto cascate, in questo caso realizzata con elementi di rame a forma di V, affondati per metà nella malta. Il primo tratto del torrente attraversa un’area con folta vegetazione ed è scandito da tre nuove cascate in pietra, sormontate da passaggi percorribili. Jellicoe studiò attentamente le sonorità di queste prime quattro cascate, tanto da conferire ad ognuna di esse un particolare timbro musicale: baritono, acuto, basso e tenore. Nel secondo tratto, l’acqua fluisce più quietamente, solcando un semplice prato e formando tre piccole vasche con getto d’acqua centrale. Jellicoe stesso raccontò che durante la concezione di questo tratto del Rill, si ispirò al disegno dei giardini Moghul del Cashmir. Un altra fonte di ispirazione,  fu per Jellicoe, il disegno della lunga catena d’acqua di Villa Lante a Bagnaia , da lui, in passato, attentamente studiata.

Lo studioso Martin Brackembury ha evidenziato come questa lunga linea d’acqua funzioni a più livelli. Alla sua estremità superiore, il corso d’acqua produce un lungo corridoio prospettico che si focalizza nella presenza , al suo termine, di una statua. La  piccola dimensione di quest’ultima, accentua l’effetto di profondità del canale prospettico. Da questo punto di vista il ruscello appare placido e tranquillo, ma all’estremità inferiore, la vista è completamente differente: la visione dello sbalzo delle otto cascate, crea un senso di costante movimento, accentuato dalla riflessione della luce da parte dell’acqua. Inoltre la folta vegetazione ai due lati superiori, enfatizza la pendenza ed accresce la riverberazione del suono.

 

 

JARDINES DE PEDREGAL

 

Data di costruzione:  

 

1945 – 1952

Località:

Colonia San Angel,  Messico

Progettista:

Luis Barragàn

Collaboratori:

Mathias Goeritz (scultore) , Max Cetto (architetto)

Tipologia:

giardini pubblici moderni

 

Nella zona a sud-ovest di Città del Messico, si estendeva l’incontaminato territorio  oggetto dell’utopistico piano di urbanizzazione concepito dall’architetto-ingegnere messicano Luis Barragàn. La superficie vergine di circa quattro milioni di metri quadrati, era totalmente ricoperta dalla lava del vulcano Xitie, a causa di un’eruzione avvenuta nel II secolo d. C.  Questo autentico “oceano paralizzato ed imponente” di lava oscura, rimase immobile e integro per molte centinaia di anni, ignorato dalle azioni  umane.
Le ragioni che spinsero Luis Barragàn ad affrontare, nel 1945, il sogno della “colonizzazione” ex-novo di questo “mare di pietra”, sono molteplici e complesse.
Il fascino per questo selvatico paesaggio fu nutrito ed accresciuto in lui dalle discussioni con alcuni amici artisti, in particolare Clemente Orozco e Diego Rivera, due figure chiave dell’arte messicana e internazionale. Quest’ultimo, in particolare, elaborò un’attenta e dettagliata strategia di pianificazione del Pedregal, convinto che una guidata urbanizzazione di questo territorio, avrebbe potuto disciplinare la ormai straripante e confusionaria espansione di Città del Messico. In un discorso tenuto nel 1930, Diego Rivera espresse - nella generale descrizione delle sue proposte - l’assoluta necessità della conservazione delle caratteristiche geografiche del Pedregal nella sua auspicata futura urbanizzazione:  “Non si otterrebbe nulla di buono se le costruzioni distruggessero la bellezza naturale del sito”   ed arrivò a proporre l’istituzione di un “consiglio per l’estetica”.
Le proposte di Rivera e di altri intellettuali messicani, stimolarono l’immaginazione di Barragàn e si unirono al suo impulso interiore di ri-creare un proprio paradiso personale: un ideale “giardino-abitato”, in cui alla concezione innovativa ed “ecologica” del disegno paesaggistico - alternativo alla metropoli contemporanea - corrispondeva l’immagine di un’ipotetica futura società lì insediata, fondata e regolata da alti principi umani e spirituali.
Nel periodo precedente il progetto per il Pedregal, Barragàn aveva realizzato una serie di giardini privati, nei quali – grazie al precedente acquisto personale dei terreni – poté sperimentare liberamente e senza mediazioni: le qualità estetiche di molte specie locali,   le diverse possibili composizioni degli sfondi,  la variazione infinita delle partizioni create attraverso dislivelli e schermi ed approfondire il suo fondamentale interesse per il funzionamento della relazione: architetura-giardino-contesto. In quest’organico meccanismo, il giardino giocava, per Barragàn, la triplice centrale funzione:

  1. di manifestare all’esterno la presenza del verde, arricchendo lo spazio pubblico della strada, 
  2. di intrapporsi, filtrando lo spazio tra quest’ultimo e l’abitazione 
  3. di rafforzare il senso della domesticità all’interno della casa.

Nel discorso pronunciato in occasione della consegna del premio Priztker per l’architettura, nel 1980, Barragan descrisse il primo impulso che lo indusse ad affrontare la progettazione del Pedregal:
“…Nella vasta estensione di lava, a sud di Città del Messico, mi proposi, estasiato dalla bellezza di questo antico paesaggio vulcanico, di creare alcuni giardini che rendessero umano, senza distruggerlo, questo spettacolo così meraviglioso. Passeggiando tra le fessure di lava (…) scoprii all’improvviso delle vallette verdi nascoste. (…) Il ritrovamento così inaspettato di queste valli causò in me una sensazione simile a quella che provai allorché, passeggiando per l’Alhambra, si prospettò ai miei occhi il sereno e silenzioso “Patio de los Mirtos”.
Alla “grande avventura” del Pedregal, Barragàn dedicò sette anni della sua vita. Egli si comportò come un vero colonizzatore di una terra vergine: tracciò strade, vie, giardini, piazze, fontane e stagni, ingressi e uscite alle quali lui stesso diede i nomi e decise altresì delle regole edilizie e urbanistiche.
I primi lavori realizzati – e gli unici ancora oggi visibili – furono: l’area d’accesso al parco, costituita da una grande piazza circoscritta da un lato da un grande muro bianco e dall’altro da pareti di lava di diversa altezza, da cui scaturiva una colonna d’acqua, inoltre  progettò una serie di aree verdi  con fontane, quali: la “Fontana delle Anatre” e la “Piazza del Sigaro”. Fu proprio la tipologia del “giardino” quella scelta come prima realizzazione campione, per mostrare il carattere espressivo e poetico che il luogo offriva, allo scopo di attrarre i futuri auspicati acquirenti degli appezzamenti.
L’idea di “giardino” domina l’intera opera di Barragàn ed in particolare l’utopistico progetto del suo paradiso terreno. Esso divenne lo strumento formale di una più ampia strategia che aveva lo scopo di rivelare la mediocrità dei principi che sostenevano la società di massa , società che pareva aver dimenticato il significato e la capacità di creare giardini. In essi Barragàn non vedeva solamente degli spazi alternativi ai luoghi della quotidianità alienata, ma anche degli ambiti privilegiati per l’apprendimento estetico, per l’educazione alla bellezza, veri rifugi di serenità e  rigenerazione.
Durante la conferenza tenutasi in California nel 1951, invitato dal locale Collegio degli Architetti, Barragàn incentrò l’intera esposizione sul tema del giardino e sul progetto del Pedregal, a proposito di quest’ultimo espresse l’intenzione di:
“…sviluppare e creare dei giardini privati, uno per ogni casa, delimitati e circondati da muri, alberi e verde, tali da impedire di vedere l’esterno e le case vicine. (…) Mi sforzerò di individuare le differenze che caratterizzano i due tipi di giardini: quello aperto e quello chiuso. Una delle caratteristiche dell’uomo moderno (…) è il fatto di vivere in pubblico (…) per questa ragione, crea giardini aperti che non possono essere dotati del fascino e dei vantaggi dei giardini privati (…) ritengo che i giardini aperti non favoriscono il riposo quotidiano, né del corpo, né dello spirito. (…) Vorrei potervi trasmettere chiaramente il riposo psichico e spirituale di cui possiamo godere grazie all’abitudine di trascorrere alcune ore al giorno in un giardino.(…) Questo tipo di giardino fa sì che l’uomo si serva abitualmente della bellezza, che la bellezza diventi il nostro pane quotidiano. (…) Mi chiedo se, assieme ai giardini destinati a case private, saremo in grado di creare giardini di natura privata per un gruppo di case in comunità”.
Barragàn era ben consapevole del periodo di decadenza che la figura del giardino stava attraversando:  “Si vive in un’epoca in cui il valore supremo è il denaro. In questo contesto i valori dell’architettura e ancor più dell’architettura del  paesaggio sono fragili e penosamente effimeri”.
In opposizione alla crisi del significato storico del giardino – divenuto semplice spazio verde con valenze di pubblica igiene – egli oppose quella di un giardino come puro piacere, luogo di riposo e serenità, materializzazione dell’ociosidad - l’ozio perfetto - da lui intesa nel senso di letizia e pace.
I rari reperti rimasti dell’originale concezione per il Pedregal, ci danno forse scarsi spunti ed informazioni progettuali.  Assai più potente e prezioso è, invece, il messaggio che sostiene questo progetto di luogo ideale: in esso, infatti, Barragàn eleva la figura del giardino a tipologia di importanza fondamentale dell’architettura e dell’urbanistica, affidandogli nientemeno che il ruolo di strumento redentore e purificatore della società, le cui metropoli sono le manifestazioni materializzate. 
La felice conformazione delle prime realizzazioni – che nell’adattarsi alle forme del territorio lo valorizzavano e ne  potenziavano la bellezza – ottenne successo presso la schiera degli aspiranti acquirenti borghesi, fatto che innescò una rete di interessi più vasti attorno al progetto.  Le esigenze finanziarie sempre più impellenti, allentarono il rigore dell’iniziale regolamento, fino a quando, nel 1952, Barragàn si rese conto di avere perso completamente il controllo dell’impresa ed abbandonò il progetto cosciente della sconfitta subita.


LAS ARBOLEDAS

 

Data di costruzione:  

 

1958 – 1961

Località:

Altizapàn de Zaragoza,     Stato del Messico

Progettista:

Luis Barragàn

Collaboratori:

 

Tipologia:

giardini pubblici moderni

 

A circa sei anni di distanza dal fallimento del progetto dei “Jardines de Pedregal”, Luis Barragàn affrontò nuovamente il tema dell’urbanizzazione residenziale.  La delusione legata alla precedente esperienza lo aveva profondamente segnato e lo spinse ad assumere un atteggiamento meno ingenuo ed utopistico nei confronti del nuovo piano, che riguardava una vasta area situata a circa venti chilometri da Città del Messico.
Anche in questo lavoro, è riconoscibile la consueta volontà di Barragàn di raggiungere un alto livello qualitativo nella conformazione degli spazi. Il mantenimento di un alto rapporto tra spazi a verde e abitazioni e la ricerca di una rigorosa omogeneità stilistica nel disegno degli edifici, venne perseguita da Barragàn attraverso il preventivo acquisto personale dei terreni;  un metodo operativo che l’architetto aveva in passato più volte sperimentato.
Riferendosi al piano di urbanizzazione di “Las Arboledas”, egli stesso lo definì:  “(…)quello che meglio rappresenta la mia attività di pianificazione, opere di completamento e di sistemazione del verde”.
Se la concezione dei “Jardines de Pedregal” era fondata sulla necessità interiore di creare una sorta di nuovo eden abitato,  in “Las Arboledas” riconosciamo piuttosto una marcata propensione alla realizzazione di un luogo di vita privilegiato ed elitario.  Il piano, infatti, prevedeva che i futuri abitanti della nuova area urbanizzata, dovessero appartenere alla categoria degli appassionati di equitazione e dei proprietari di cavalli. Questo fondamentale elemento generatore del progetto, diede vita ad un piano i cui spazi e le cui dimensioni, erano adeguati alla percorrenza a cavallo.  Le aree comuni, i giardini e le piazze, furono conformate per adattarsi alle esigenze di cavalli e cavalieri;  così anche le ben note fontane e gli specchi d’acqua disegnati da Barragàn, furono concepiti unicamente per l’abbeveraggio e l’immersione dei cavalli, le sole creature a cui era permesso di infrangere il sacro limite della superficie liquida.
La natura elitaria del progetto oltrepassa, dunque, l’intero genere umano e conferisce ogni privilegio al cavallo, l’animale prediletto da Barragàn e da lui considerato di superiore levature spirituale.
In un’analisi del progetto complessivo di “Las Arboledas”, emergono tra i diversi spazi pubblici previsti,  tre luoghi-chiave fortemente caratterizzati:

Il Muro Rosso:  Nella piazza situata all’ingresso di Las Arboledas, un lungo muro rifinito a stucco rosso, si delinea parallelamente ad un filare di frassini, limitando il perimetro della strada. Seguendo la naturale inclinazione del terreno, la pura prospettiva creata dal setto, s’inclina e scompare.  In questo paesaggio essenziale fatto di pavimentazione, muro e cielo, lo spazio vuoto e desertico della piazza è bilanciato dalla potente pienezza cromatica del rosso delle superfici.

Piazza e Fontana del Campanile:  Collocati al termine del viale marcato dal Muro Rosso, Barragàn prevede questo spazio non come oggetto isolato, ma come elemento organicamente integrato nella successione degli spazi previsti dal piano. Particolarmente evidente è il rapporto di tensione con la vicina Fontana dell’Abbeveratoio, collocata all’estremo limite del medesimo asse di collegamento, quasi ne rappresentasse l’opposta polarità. Un basso muro di colore ocra forma un’ampia vasca nella quale si riversa rumorosamente il getto d’acqua della fontana,  la quale è posta in modo tangenziale al percorso. La piazza contenuta da uno sfondo di tronchi d’albero eretti a palizzata, è popolata dalla presenza di antichi esemplari monumentali di eucalipti.

Piazza e Fontana dell’Abbeveratoio:   Quest’area particolarmente suggestiva, è caratterizzata dalla presenza di un lungo monolitico parallelepipedo di pietra nera, disteso lungo l’asse di collegamento con l’opposta piazza. L’acqua in continua tracimazione, riveste l’abbeveratoio di una liquida pellicola in movimento. Un imponente muro bianco contiene uno dei lati della piazza e diviene simile ad uno schermo sopra quale si proiettano le ombre del fogliame dei giganteschi eucalipti.

In quest’opera matura di Luis Barragàn, è possibile riconoscere alcuni elementi caratteristici della sua grammatica compositiva:  alle forme minimaliste delle pure geometrie dei setti murari elevati al rango di sculture, è contrapposta la potenza espressionista del colore e degli elementi naturali. Questa dialettica combinazione dà vita ad uno spazio in cui: acqua, cielo e vegetazione ne rappresentano i materiali costitutivi. Anche il suono ed il non-suono - cioè il silenzio - costituisce uno dei “materiali da costruzione” prediletti da Barragàn; attorno ad esso le forme solide dell’architettura si conformano e si plasmano per poterlo sorreggere e proteggere. A questo proposito, Barragàn sostenne:
“ L’architettura oltre ad essere spaziale, è anche musicale. Questa musica è suonata dall’acqua. L’importanza dei muri è legata al fatto che ci isolano dallo spazio esterno della strada. La strada è aggressiva a volte ostile: i muri creano il silenzio. Da questo silenzio, allora, si può giocare con l’acqua, come fosse musica”.

 


WATER GARDENS

 

Data di costruzione:  

 

1957-59

Località:

Hemel Hempstead ,  Hertfordshire,  Inghilterra

Progettista:

Geoffrey  A.  Jellicoe  -  Architetto del paesaggio

Collaboratori:

 

Tipologia:

Parco urbano moderno

 

Nel 1947 Geoffrey Jellicoe ricevette l’incarico per la redazione del piano dell’intera New Town di Hemel Hempstead, nella contea dello Hertfordshire, a nord di Londra.
Del progetto complessivo previsto da Jellicoe, fu realizzata solo la trasformazione del corso d’acqua e del territorio ad esso adiacente, in parco pubblico.
Il sito originario dell’attuale area dei “Water Gardens”,  consisteva in una stretta striscia di vegetazione attraverso la quale meandreggiava quel che rimaneva del fiume Gade.
Ai suoi lati si trovavano: una strada di servizio  di un centro commerciale, fiancheggiata dalla superstrada della città di Hemel; dall’altro erano collocate una serie di aree parcheggio  interrotte da un giardino di fiori.
La forma stretta ed allungata dell’area del futuro parco, imprimeva all’intero ambiente circostante un segno di forte linearità. A questo proposito Jellicoe, nel suo libro “Studies on landscape design” Vol. II , sostenne:
“ Era evidente che l’area rimanente, rispetto a quella riservata al parcheggio delle auto e alle strade, era così poca, che solo un drastico cambiamento di scena, avrebbe potuto rendere i Water Gardens predominanti rispetto al contesto che li circondava”.
Il fiume Gade fu cancellato e trasformato nell’attuale canale di più ampie dimensioni e fu creato al suo estremo un piccolo lago artificiale ;  in questo modo il movimento più turbolento dell’acqua del fiume si trasformò in un moto più lento, scandito da una serie di sbarramenti.
Il suolo ricavato dallo scavo  fu utilizzato, sia per creare un terrapieno sul lato ovest, che servì a nascondere le aree parcheggio, sia per creare all’estremità nord del parco una collina a prato; espediente formale, che, oltre a movimentare il terreno, produce una sorta di falsa prospettiva, che aumenta in apparenza la lunghezza del canale e crea l’illusione della scomparsa indefinita del corso d’acqua oltre l’orizzonte.
Tra il terrapieno ed il canale si dispiega uno stretto paesaggio ombreggiato da una ricca vegetazione e attraversato da un sentiero serpeggiante. Una serie di balconate si proiettano a sbalzo sull’acqua del canale e quattro leggeri ponti pedonali e un ponte per la percorrenza delle auto, collegano le aree parcheggio al centro commerciale sulla riva opposta. Molti degli alberi già presenti nel sito, furono conservati ed attualmente si trovano su piccoli isolotti circondati dalle acque del canale.
La concezione fondante del progetto dei “Water gardens”  è descritta da Jellicoe  nell’appendice degli “Studies” :
“Uno dei principali obbiettivi del progetto, fu quello che, mentre da un lato esso appariva agitato e movimentato attraverso l’uso di vari elementi quali: la successione di sbarramenti, la presenza di fontane, di ponti, sculture, vegetazione, ecc. ; contemporaneamente esso doveva infondere un senso generale di tranquillità. A questo scopo fu essenziale la realizzazione di una forma semplice del corso d’acqua ed il lavorare ad una scala adeguata;  provvedimenti che avrebbero così calmato la sequenza di edifici sul lato est. Oltre a ciò, fu necessario usare tutte le arti dell’illusione al fine di estendere l’ambiente verso l’immaginazione ”.
“ Water Gardens” fu uno dei primi progetti di Jellicoe ad essere influenzato dalla conoscenza del lavoro e degli scritti di Paul Klee, oltre che dalla visione che Jellicoe aveva del ruolo dell’inconscio nel disegno del paesaggio, derivatogli dalla conoscenza della  psicologia Junghiana. A questo proposito è interessante ciò che Jellicoe scrive nel saggio “ Jung and the art of landscape” :
“Il disegno del parco risultava tecnicamente ortodosso ma privo di vita. Come portare in esso lo spirito vitale? E come far sì che la popolazione vi ci si affezionasse? Fu così che, con Paul Klee come fonte di ispirazione, ebbi l’idea di conciliare l’invisibile con il visibile. Se visto da una certa distanza, il disegno suggerisce la forma di un astratto serpente. In seguito tutti i dettagli del progetto furono subordinati a questa singola idea: la coda girava attorno alla collina artificiale, il suo ventre serpeggiava con lievi curve lungo i sentieri, i ponti che collegavano il parco al giardino dei fiori, apparivano come cinghie che sostenevano una portantina allacciata al suo dorso, infine l’enorme testa d’acqua con un unico occhio: la fontana. La città amò il giardino fin dall’inizio,  inconsapevole dell’animale nascosto in esso “.

 



PARK GÜELL

 

Data di costruzione:  

 

1900 - 1914

Località:

Barcellona,   Spagna

Progettista:

Antoni  Gaudì

Collaboratori:

Eusebio  Güell, per l'ideazione del progetto
Joseph Maria Jujol, per i rivestimenti a ceramica

Tipologia:

parco urbano moderno

 

L'industriale e mecenate Eusebio Güell, affidò nel 1900, all'amico architetto Antoni Gaudì,  il compito di progettare un complesso residenziale costituito da abitazioni, giardini, luoghi religiosi, spazi pubblici ed un sistema viario interno, collocato sulle pendici del monte Pelat, che limita il versante settentrionale della Città di Barcellona.  Il sito accidentato fu esemplarmente manipolato da Gaudì, che realizzò alcuni ingegnosi viadotti di sostegno, una vasta piazza sostenuta dalla "Sala delle Cento Colonne" e contornata dalla famosa balaustra  curviforme e vivacemente decorata con frantumi di ceramiche policrome, nonché il muro perimetrale ed alcuni edifici di sevizio e per abitazioni.  L'insuccesso economico del progetto per l'innovativa "città-giardino", fece sospendere i lavori di completamento del parco.  L'area venne acquistata nel 1914 dal Municipio di Barcellona ed in seguito trasformata in parco urbano per la città.

 


 

Giardini e Parchi Contemporanei
Privati

DAYTON GARDEN

 

Data di costruzione:  

 

1994  -  1997

Località:

Minneapolis,  Minnesota,  U.S.A.

Progettista:

George  Hargreaves

Collaboratori:

I proprietari di casa:  Kenneth e Judy Dayton

Tipologia:

giardino privato contemporaneo di abitazione singola

 

La realizzazione del giardino privato della Famiglia Dayton, costituisce uno tra i due isolati progetti di giardini privati, realizzati dal paesaggista americano George Hargreaves, conosciuto in tutto il mondo per gli esemplari macro-interventi di recupero e riconversione in parchi pubblici di vasti terreni mortificati e snaturati dalla presenza di impianti di depurazione, discariche cittadine e industriali. La tematica del waterfront regeneration, cioè del recupero paesaggistico ed ecologico di litorali marini, aree portuali, estuari di fiumi e sponde fluviali, deteriorati da precedenti usi distruttivi, rappresenta l'area d'intervento abitualmente affrontata dallo studio Hargreaves & Associates di San Francisco.   Lavorare ad una scale molto più ridotta, conoscere ed avere sotto controllo tutti i fattori generatori del progetto, costituì per George Hargreaves, una piacevole novità da affrontare.
"(...) il più delle volte ci viene chiesto di creare parchi pubblici sopra colline che celano diciotto metri di rifiuti o su siti post-industriali, e non giardini per la sede di una grande società nell'idillio di verdi vallate. (...) (quella di casa Dayton) era una scala che si poteva toccare e sentire, non si trattava di 50, 100, 200 acri. Non era un progetto di dieci anni, bensì un progetto da realizzarsi tutto in una volta, e sapevo che sarebbe stato fatto bene. Una scala che consentiva di tenere le cose sotto controllo".
Casa Dayton, un edificio in tipico stile internazionale, sorge a Minneapolis, nel Minnesota ed è situata in prossimità di uno dei numerosi laghi che contornano la città. La vista del lago, la sua dominante presenza, costituì il principale elemento-giuda e riferimento per intero progetto.
Il trasloco dalla precedente residenza fuori città alla nuova casa, comportò il trasferimento di una parte dell'importante collezione di sculture realizzate da artisti contemporanei di proprietà della famiglia Dayton.  Alcuni lavori di Ellsworth Kelly, Richard Long, David Nash, Richard Serra, Joel Shapiro ed altri ancora, richiesero uno studio specifico finalizzato alla ricerca della loro ottimale collocazione.  Il progetto del giardino esprime, attraverso la semplicità e regolarità del tracciato e delle aree da esso definite, la totale coerenza con lo stile della casa e con lo spirito modernista dei suoi abitanti.  All'interno di questa griglia essenziale, Hargreaves ha tracciato delle variazioni minimali, delle lievi sfasature rintracciabili nelle "pieghe" del declivio d'erba, o nella curvatura della linea di confine con il lago; questi scarti formali alterano la rigida impostazione modernista della griglia di base, contaminandola con formazioni sconnesse e deformanti recuperate da un'intenzione post-moderna.   L'unità casa-giardino, già assicurata dalla presenza delle ampie vetrate della casa, è rafforzata dal disegno delle aree esterne, composto da una successione di aree quadrangolari, che attuano una sorta di proiezione all'esterno delle sagome delle stanze interne.   A fianco della rampa d'ingresso della casa, un lieve declivio è stato scolpito e foggiato a forma di: "piramidi a base rettangolare con costruzione isoscele", secondo la definizione di Hargreaves.  Sulla superficie modellata e ricoperta d'erba svettano due sculture di David Nash; i due lati più esterni di questo spazio sono piantumati regolarmente con alberi di Tiglio.
In direzione diametralmente opposta all'area appena descritta,  si trova un'altra "stanza" importante del giardino: un'area di forma rettangolare, racchiusa su tre lati da un muro di pietra e scandita all'interno da un doppio filare di alberi di Giuda, che - con le loro chiome - invadono e definiscono completamente lo spazio. Sul suolo, ricoperto da ghiaia, sono posizionate tre sculture di Ellsworth Kelly (Trittico). Al centro della visuale prospettica realizzata dal doppio filare, una scultura di Peter Sheldon si staglia sullo sfondo del muro di cinta. 
L'area prospiciente il soggiorno è intercettata dall'asse visuale fondamentale: casa-lago. Questo spazio è trattenuto da un invisibile muraglione di forma curva, che oltre a contenerlo, ne definisce al contempo la geometria di confine.  La strada di accesso sottostante e ancora oltre, la scarpata verso il lago, sono celati al di sotto della linea curva disegnata dal prato.  L'integrità della continuità visuale tra casa, giardino e lago, viene in questo modo preservata.
Ad una delle due estremità della linea curva, corrisponde, risuonando con essa, la sagoma anch'essa curva di "Arco da giardino" di Richard Serra: una massiccia lastra d'acciaio che si erge silenziosa dal manto d'erba.

 


IN PRAISE OF AMBIGUITY

 

Data di costruzione:  

 

1995

Località:

Bayern,  Baviera,  Germania

Progettista:

Dieter Kienast

Collaboratori:

G. Vogt, P. Hüsler, per l'architettura del paesaggio
K.J. Shattner, W Huber, per l'architettura

Tipologia:

giardino privato contemporaneo di abitazione singola


 

NUOVO VIALE URBANO E SVILUPPO DI CITTÀ-GIARDINO IN SAINT JACQUES-DE-LA-LANDE

 

Data di costruzione:  

 

1995  -  1997

Località:

Saint Jacques-de-la-Lande,  Rennes,  Francia

Progettista:

Anne-Sylvie Bruel e Christophe Delmar, paesaggisti

Collaboratori:

Jean-Pierre Pranlas-Descourt, per la pianificazione urbana

Tipologia:

giardini privati di tipi condominiale

 

La difficile questione della pianificazione congiunta e della collaborazione tra amministrazioni locali, urbanisti e - eccezionalmente - paesaggisti, è stata affrontata con coraggio, negli anni '90 del XX secolo, dall'amministrazione locale del comune di Saint Jacques-de-la-Lande,  una piccola cittadina nei pressi di Rennes, dalla fisionomia indefinita e caotica,  tipica dei sobborghi e delle periferie delle grandi città.
Un iniziale segnale di rinnovamento si manifestò agli inizi degli anni '90, quando l'amministrazione locale decise di ridisegnare la strada principale di accesso al paese.  Gli architetti paesaggisti parigini Anne-Sylvie Bruel e Christophe Delmar, furono incaricati di ideare la nuova configurazione della via principale.  Gli interventi semplici, ma determinanti, consistettero nel sostituire le barriere dei guard-rails con un doppio filare di querce e trasformare le rotatorie del traffico in incroci regolati da semafori; questa trasformazione produsse l'effetto di "ravvicinare" gli isolati adiacenti all'incrocio rendendoli più accessibili e permettere ai pedoni di attraversare l'incrocio più facilmente.
La strada originaria fu notevolmente allargata e raggiunse un'ampiezza di circa 30 metri. L'amministrazione locale decise di preservare una fascia di terreno adiacente il nuovo boulevard per garantirsi la possibilità di future espansioni e giustapposizioni di nuove linee tranviarie, piste ciclabili e aree parcheggio.
L'evidente miglioramento apportato da questo intervento essenziale di ri-disegno urbano, funzionò da stimolo per una successiva iniziativa di riqualificazione del territorio di Saint Jacques-de-la-Lande.  Nel 1994 venne indetto un concorso per la pianificazione di un nuovo quartiere, dell'estensione di 35 ettari, adiacente al nuovo viale cittadino.  Il concorso determinò la selezione dell'architetto Pierre Pranlas-Descourt che progettò - in concomitanza con i due paesaggisti -  l'assetto complessivo della nuovo "quartiere-giardino", costituito da un grosso centro commerciale, edifici per abitazioni  e per servizi.
L'intervento di architettura del paesaggio, relativo al disegno delle aree verdi - a destinazione privata, condominiale e pubblica - fu condotto da Bruel e Delmar in modo da ottenere: da un lato la fusione dei diversi assetti formali "paesaggistici" delle abitazioni private e del centro commerciale e, dall'altro, di mantenere logisticamente separate le funzioni di accesso e fruibilità delle due diverse tipologie di edificio.
Il desiderio e l'ambizione espresse dalla comunità locale stessa, di vedere realizzato e poter godere di un ambiente di vita armoniosamente conformato ed esteticamente appagante, oltre che funzionale,  convinse i due paesaggisti ad affrontare un disegno innovativo, decisamente originale per un'area a verde di un quartiere popolare.
L'oggetto d'orgoglio del nuovo quartiere di "La Morinais", è costituito dal "Giardino dei ciliegi";  l'intera copertura del centro commerciale è stato trasformato in un elegante giardino di forma rettangolare, scandito regolarmente da filari di ciliegi disposti simmetricamente ai due lati di un canale d'acqua che disegna in modo netto la linea di mezzeria del rettangolo. L'acqua che scorre in esso, è costituita in buona parte dalle piogge meteoriche raccolte dalle superfici degli edifici.
La scansione verticale delle aree a verde - che risultano quindi poste a diversi livelli di altezza - evidenziano spazialmente la differente destinazione-funzione di ciascuna area.  Il "Giardino dei ciliegi", collocato sulla copertura del centro commerciale, è posto al livello più alto;  la sua funzione è quella di ospitare gli abitanti dei diversi alloggi: esso svolge dunque un ruolo ibrido, definibile come "semi-privato".  A livello del terreno - alla base delle mura del centro commerciale - si trovano i diversi appezzamenti dei giardini privati, coltivati singolarmente e personalmente dagli abitanti del quartiere, assemblati anch'essi, secondo una griglia regolare e plantumati preventivamente con alberi da frutto.   La manutenzione delle diverse aree a verde di "La Morinais", spetta per un terzo, ai residenti del quartiere,  per gli altri due terzi è di competenza degli organi pubblici.
Oltre la fascia dei giardini privati, lo spazio pubblico della strada è protetto internamente da una doppia fila di castagni che accompagnano il percorso della promenade riservata ai pedoni.
Il lavoro coordinato e la collaborazione tra i diversi settori della pubblica amministrazione e professionisti di diversa formazione, costituisce l'origine del successo di questa impresa.  Il progetto di architettura del paesaggio per il nuovo quartiere di Saint Jacques-de-la-Lande, è stato menzionato dalla giuria della prima Biennale del paesaggio di Barcellona, come caso esemplare di progettazione di giardini di un complesso residenziale.
La riuscita sintesi delle diverse istanze: funzionali, estetiche ed ambientali, ha contribuito a conferire l'identità di "luogo" ad uno spazio prima indefinito e caotico e - attraverso ciò - a sostanziare la qualità di vita dei suoi abitanti.

 


KÜPPERSBUSCH-SIEDLUMG

 

Data di costruzione:  

 

1995  -  1997

Località:

Küppersbusch, Gelsenkirchen, Nord-Westfalia, Germania

Progettista:

Brandenfels Office

Collaboratori:

Szyszkowitz & Kovalsky, per il progetto di architettura

Tipologia:

giardini privati di tipo condominiale

 

Tra i più di cento progetti realizzati dall'IBA Emscher Park durante la gigantesca operazione di ricupero e trasformazione dell'ex bacino industriale della Ruhr, la costruzione del nuovo villaggio di Küppersbusch, nei pressi di Gelsenkirchen, costituisce uno degli interventi di architettura e architettura del paesaggio, più riusciti e di maggiore qualità architettonica, ecologica e paesaggistica.
Il nuovo blocco residenziale è costituito da 265 unità abitative, da alcuni negozi, un centro commerciale, un piccolo parco pubblico ed un asilo specializzato nella cura dei bambini disabili. 
Esso sorge sui terreni dell'ex manifattura Küppersbursch, la quale sospese la produzione e abbandonò i terreni occupati dagli stabilimenti, intorno agli anni '80.
La stretta cooperazione tra lo studio di architettura di Graz, che si è occupato della progettazione degli edifici e lo studio di architettura del paesaggio Brandenfel di Münster, ha mantenuto salda la coerenza formale e funzionale di ogni parte della nuova città-giardino, rispetto al disegno ed alla concezione complessivi.
La piazza-giardino ogivale, progettata dallo studio Brandenfels, con-forma attorno a sé i diversi edifici e ne filtra la relazione con il paesaggio circostante.  Al suo centro, all'interno di una vasca, confluiscono le acque meteoriche raccolte dalle abitazioni circostanti, fornendo l'80% dell'acqua in esso contenuta. La sua funzione di spazio pubblico si esplicita attraverso il ruolo di fulcro e simbolo formale della nuova cittadina. Essa stabilisce un raccordo con i giardini privati condominiali, con i quali quasi si confonde, dissolvendo percettivamente, il limite tra spazio pubblico, semi privato e privato.

 


WEYERHAEUSER  INTERNATIONAL  HEADQUARTERS

 

Data di costruzione:  

 

1967 - 1971

Località:

Tacoma,  Washington,  U.S.A.

Progettista:

Peter Walker, della Sasaki, Walker and Associates

Collaboratori:

Richard A. Vignolo,  (Roof Garden)
William Callaway,  (Shethar Memorial Garden)
Thomas L. Berger Associates,  (Bonsai Collection)

Tipologia:

Giardino privato di azienda

 

Il centro direzionale dell'impresa Weyerhaeuser, venne trasferito, alla fine degli anni '60, dal centro della città di Tacoma, nello stato del Washington, verso una zona periferica, nelle vicinanze delle due principali autostrade che raggiungono la metropoli americana. Il terreno prescelto per la nuova sede presentava un'assetto idrogeologico alterato ed impoverito da disboscamenti e dall'attività di alcuni piccoli stabilimenti industriali. L'intervento di architettura del paesaggio avviò il processo di recupero paesaggistico ed ecologico del sito: migliaia di nuovi alberi, soprattutto ontani e betulle, furono piantati in massa, formando un denso e luminoso primo piano giustapposto allo scuro fondale della preesistente foresta di abeti. Le acque di un ruscello - canalizzate e raccolte nell'avvallamento situato di fronte alla lunga facciata dell'edificio del quartiere generale - formarono nel tempo un ampio lago. Le sue sponde, coltivate con erbacee perenni mantenute allo stato spontaneo, creano uno scenario di natura rigogliosa che risuona con le lunghe bande di cascate di edera che rivestono i terrazzi dei diversi piani dell'edificio. Lo schema generale d'impianto del parco di Weyerhaeuser, è arricchito dalla presenza di alcuni giardini tematici: il giardino della Collezione di Rododendri, il "Shethar Memorial Garden", racchiuso dal bosco sulla riva del lago ed il giardino della Collezione di Bonsai.  Il parco e le collezioni botaniche sono visitabili, su richiesta, anche dal pubblico esterno.

 


INTERPOLIS GARDEN

 

Data di costruzione:  

 

1997 - 1998

Località:

Tilburg,  Olanda

Progettista:

Adriaan Geuze

Collaboratori:

Studio West 8

Tipologia:

giardino privato di azienda

 

Il giardino privato della compagnia d'assicurazione Interpolis di Tilburg, si estende ai piedi dell'imponente edificio per uffici progettato dall'architetto Bonnema. Il giardino - dell'estensione di circa tre ettari - è allineato sull'importante asse cittadino che collega la stazione ferroviaria al centro storico. La sua superficie triangolare è stata geometricamente spezzettata: in esso gli elementi della composizione esplodono, producendo un disordine privo di gerarchia e di percorsi privilegiati. I canoni della tradizione dell'arte dei giardini vengono annullati e sostituiti da un amalgama di schegge definite da texture e colori contrastanti. Vasche d'acqua popolate da rane e puntinate da ninfee, sono bordate da sedili lignei, i percorsi zigzaganti realizzati in legno rossastro, si contrappongono alle verdi superfici a prato. Sul versante nord - nella parte più adiacente all'edificio - alcuni alberi di magnolia spuntano dalle fessure di un mare di lastre di ardesia, producendo un'ambigua sensazione di forza e delicatezza. Il giardino privato del gruppo Interpolis, è aperto al pubblico che ne può usufruire liberamente . Alcune aree attrezzate con sedili, prese elettriche e collegamenti a internet, permettono ai dipendenti di vivere il giardino anche come luogo di lavoro.

 



GIARDINO DELLA FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA

 

Data di costruzione:  

 

1961  -  1963

Località:

Castello 5252,  Santa Maria Formosa,  Venezia,  Italia

Progettista:

Carlo Scarpa

Collaboratori:

C. Maschietto e M. De Luigi per i mosaici

Tipologia:

giardino privato per edificio di uso pubblico

 

La sistemazione a giardino del piccolissimo cortile racchiuso fra le mura del Palazzo Cinquecentesco dell'attuale Fondazione Querini Stampalia di Venezia, fa parte del più ampio progetto di ripristino dell'antico stabile,  per adattarlo alla nuova funzione di biblioteca e di luogo per lo studio, la ricerca e le attività espositive. Le piccole dimensioni del cortile ed il suo perfetto isolamento, condussero Carlo Scarpa ad elaborare un progetto dettagliatissimo, che trasformò questo angolo ombroso in un microcosmo sofisticato e prezioso. L'acqua, l'elemento fondamentale del giardino, lega a sé e collega reciprocamente l'assembramento di poche specie attentamente prescelte per fioritura e dimensioni e di alcuni preziosi reperti lapidei di epoche passate;   strette canaline, fontane spiraliche, vasche mosaicate e getti sottili e sonori, rappresentano le diverse conformazioni alle quali  l'acqua si adatta nel disegnare il complesso percorso che  si dipana all'interno del giardino. 

 


 

JARDIN DE LA BIBLIOTHÈQUE NATIONALE DE FRANCE FRANÇOIS MITTERAND

 

Data di costruzione:  

 

1995

Località:

Parigi, Francia

Progettista:

Dominique Perrault, Gaëlle Lauriot-Provost

Collaboratori:

 

Tipologia:

Giardino privato di istituzione culturale

 

Sul sedime del Palais Royal, nel cuore di Parigi, è stata completata nel 1995, la costruzione della nuova Biblioteca Nazionale di Francia.  Gli altissimi edifici della biblioteca, aderiscono - con la loro forma ad elle - ai quattro angoli del vasto lotto rettangolare, rafforzandone la rigida geometria e serrando al proprio interno lo spazio, anch'esso rettangolare, del giardino. Le maniche che collegano le quattro torri racchiudono completamente il giardino e lo celano dallo sguardo e dal contatto con l'esterno. L'infossamento del terreno al di sotto del livello stradale, aumenta l'isolamento e l'estraneità di questa "porzione di foresta", dalla città che la contiene.  Il tentativo di ri-creare un tassello di natura "inviolata" nel centro di Parigi,  ha dato vita alla rappresentazione di un luogo improbabile, una sorta di ricostruzione in vitro di un'idea di natura, slegata dal suo presupposto biologico e della quale non rimane che l'immagine esteriore.  Numerosi esemplari adulti di pino silvestre, prelevati dalla foresta di Bord in Normandia,  sono stati trasportati e trapiantati in questo recinto e disposti secondo un'assetto "casuale e spontaneo" enfatizzato dalla presenza di rocce e tronchi distesi sul terreno, collocati in modo da riprodurre fedelmente lo scenario delle tipiche foreste dell'Île de France. Il giardino, inaccessibile agli utenti della biblioteca ed ai visitatori, può essere solo guardato dall'esterno e mai penetrato; la sua crescita e trasformazione nel tempo, non è contemplata dal progetto, che della foresta ha prelevato solo l'apparenza, riproducendone l'immagine cristallizzata estranea ai ritmi ed ai cicli di trasformazione che l'hanno prodotta.

 


Giardini e Parchi Contemporanei
Pubblici

WAVE  FIELD

 

Data di costruzione:  

 

1995

Località:

University of Michigan,  Ann Arbor,  U.S.A.

Progettista:

Maya Lin

Collaboratori:

Maya Lin Studio

Tipologia:

Giardino di edificio pubblico

 

Una porzione del parco che circonda l'edificio di Ingegneria Spaziale, presso l'Università del Michigan, è stata trasformata dall'artista e architetto Maya Lin, in una superficie erbosa "increspata" da una successione di onde di terra.  La manipolazione del terreno riproduce fedelmente il modello tridimensionale realizzato in creta, che è a sua volta conformato in obbedienza alle leggi di forma e proporzione dettate dalla teoria dell'aereo e fluido dinamica.  Il supporto del manto d'erba consiste in una miscela di terra sabbiosa in grado di mantenere la forma ad essa conferita e capace di drenare rapidamente l'acqua dalla superficie.  La rigida griglia dell'increspatura d'erba si deforma ad una delle sue estremità, producendo un effetto di maggior movimento e illusione di spostamento.  Le onde si trasformano, occasionalmente, in "sedili sperimentali" per i visitatori di passaggio.

 


TANNER FOUNTAIN

 

Data di costruzione:  

 

1985

Località:

Harvard University, Cambridge, Massachusetts, U.S.A.

Progettista:

Peter Walker e il SWA Group (Duncan Alford, Ian King, Lisa Roth)

Collaboratori:

Joan Brigham

Tipologia:

Giardino di edificio pubblico

 


 

JARDIN ATLANTIQUE

 

Data di costruzione:  

 

1992 – 1994

Località:

Gare de Montparnasse,  Boulevard de Vaugirard,  Parigi,  Francia

Progettista:

François Brun e Michel Péna

Collaboratori:

Christine  Schnitzler

Tipologia:

giardino urbano contemporaneo

 

Il Jardin Atlantique - progettato dai due architetti paesaggisti francesi: François Brun e Michel Péna, selezionati al concorso indetto dalla città di Parigi nel 1991 –  è un esempio contemporaneo di giardino pensile, sospeso a diciotto metri di altezza dal suolo, collocato sulla copertura piana che sormonta la stazione ferroviaria di Montparnasse e Pasteur.
L’area di forma rettangolare, che raggiunge un’estensione di circa 34.200 metri quadrati, è racchiusa da tutti i lati da alti ed imponenti edifici (il museo Jean Moulin, il monumento commemorativo a Marshal Leclerc de Hautecloque, ecc.) ed è sostenuta  da dodici grandi arcate in cemento armato.
Il giardino risulta separato dalla città su cui fluttua come una zattera galleggiante ed è ad essa “ancorato” tramite ampi scaloni collocati su tre dei quattro lati del perimetro esterno.
La denominazione “Atlantique” deriva dal tema ispiratore suggerito dal concorso: “l’Oceano Atlantico”, a sua volta motivato dalla direzione privilegiata dei percorsi ferroviari che dalla stazione di Montparnasse conducono verso la costa sulla Manica. Attraverso numerosi rimandi formali e funzionali (la piattaforma lignea per prendere il sole, i percorsi pedonali simili ai moli dei porti o ai  pontili delle navi, la forma ondulata utilizzata più volte negli arredi e negli elementi decorativi), il giardino attiva in continuazione il ricordo dell’Oceano Atlantico, verso il quale si direziona e si rivolge.
Gli obbiettivi che hanno guidato la progettazione del Jardin Atlantique, sono essenzialmente fondati sulla necessità di creare un luogo per la ricreazione ed il divertimento. Al fine di realizzare uno spazio a verde che esprimesse queste caratteristiche, i due progettisti hanno usato tutti i mezzi formali, strutturali e vegetali possibili. Così essi descrivono l’immagine mentale che hanno cercato di materializzare:
“Una curiosa stazione balneare ricca di sabbia, ciottoli, rocce, sentieri, passerelle, essenze vegetali della costa, prati ondeggianti, gorgoglii d’acqua ribollenti come onde. (…) Un universo complesso e a volte contraddittorio, essenzialmente sensuale”.
La ricerca estetica, ma soprattutto estesica che informa il giardino, avviene attraverso la fascinazione della vista, dell’udito, del tatto e dell’olfatto, come è evidenziato nell’elenco degli aggettivi  da loro utilizzati come riferimento-ispirazione:
“Roccioso, erboso, metallico, morbido, inclinato, rugoso, ribollente, rumoreggiante”.
La natura strutturale di “piattaforma sospesa” di questo giardino pensile, ha ovviamente comportato numerose limitazioni durante la progettazione. Fu possibile collocare carichi rilevanti, solamente lungo una fascia di circa cinque metri di profondità adiacente agli edifici perimetrali, altrove ci si dovette limitare a sottili coltri di terreno ricoperte da piante erbacee.
La limitazione rappresentata dall’impossibilità della copertura di sostenere carichi notevoli, è stata  valorizzata dai due paesaggisti, che hanno sfruttato l’esistenza delle diverse zone con possibilità di carico differente, in modo da creare ambientazioni di vario genere, dedicate ad attività e funzioni specifiche. Laddove la capacità di carico è bassissima, è stato steso un sottile strato di terra, che ospita erbe graminacee e coprisuolo come accade, ad esempio, nella “Salle des plantes ondoyantes” o nella “Salle des Humidités”. Nelle zone che sopportano carichi più rilevanti, si trovano arbusti e piante rampicanti che creano cortine verdi. Infine, nelle aree prossime agli alti immobili, si trovano gli alberi ad alto fusto i quali creeranno nel tempo una barriera visuale verso l’esterno. La specie prescelta è stata quella dei “Pinus Parasol”, poiché molto resistente all’inquinamento atmosferico.
La struttura spaziale del parco si organizza attorno ad una vasta piazza centrale circondata da una passeggiata che la separa dalle altre aree: da un lato troviamo una serie di sotto-giardini dedicati a tematiche diverse e fittamente piantumati, dall’altro lato della piazza centrale si trovano gli impianti per la pratica del tennis e del ping-pong. Al centro della piazza è stata realizzata un’ampia vasca con giochi d’acqua, al cui interno si trova “l’Isola delle Esperidi”: un gruppo di elementi in metallo riflettente, dall’aspetto di sculture fantasmagoriche, in realtà strumenti per la misurazione degli eventi meteorologici.
Una grande varietà di strutture, materiali e funzioni, sono abbondantemente distribuite nelle restanti zone del giardino. In un angolo appartato è stata predisposta un’area adatta a chi vuole suonare strumenti  musicali, costituita da un vano circondato da un muro il cui spessore e la cui texture sono stati progettati per attenuare i suoni.  Altrove è collocata l’area per il gioco dei bambini circondata da alti muraglioni rivestiti da vivaci tasselli di ceramica e nella quale si trovano alcune pozze d’acqua per il bagno e i giochi. Una lunga struttura-solarium costituita da una sinuosa pergola metallica, è fissata su una pavimentazione di listoni di legno, sulla quale i visitatori possono sdraiarsi e riposare. Leggere passerelle sospese, presenti in alcuni punti del giardino, sono state realizzate per collegare le  diverse aree: simili ai pontili lignei delle navi e dei porti esse “sorvolano” parti del giardino, per poi sprofondare e attraversare la folta vegetazione perimetrale.
Come un tappeto volante sospeso tra gli imponenti edifici di una delle più grandi megalopoli del mondo, il Jardin Atlantique  può ben assurgere a prototipo contemporaneo dei mitici giardini pensili babilonesi. Questo stimolante paragone è stato sensibilmente descritto da John Dixton Hunt nel suo recente libro “Greater perfections. The practise of garden theory” :
“Gli studi più recenti sui Giardini Babilonesi, sottolineano come essi siano stati inventati per richiamare un particolare fenomeno geomorfologico, le montagne a nord dell’antica città. Giù nelle pianure, una catena montuosa ben distante, fu rappresentata attraverso una serie di terrazze gradonate ricoperte di vegetazione. Questi “giardini appesi” alimentavano la memoria delle lontane montagne e al contempo suscitavano la curiosità per via della loro particolare tecnica di costruzione.
I giardini Babilonesi sono molto “quotati” dai designers contemporanei. (…)  come per il fantasmagorico Jardin Atlantique, creato al di sopra della piattaforma per le partenze e gli arrivi della stazione ferroviaria di Montparnasse a Parigi. Esso, letteralmente, ripete e richiama l’impresa babilonese, appeso com’è al di sopra della linea ferroviaria e sospeso nel vuoto;  una parte del suo effetto e significato consiste nel rappresentare la nostra idea mentale o mitica del giardino. Esso realizza questo e al contempo partecipa ad un più specifico esercizio di rappresentazione, simile a quello dei giardini Babilonesi originali, cioè di rappresentare un paesaggio lontano, in questo caso la costa atlantica con le sue onde, le sue scogliere, la sua meteorologia,  i suoi divertimenti e giochi da spiaggia, i suoi camminamenti”.
Il progetto del Jardin Atlantique è stato da alcuni autori giudicato eccessivamente ricco di elementi decorativi, di attrezzature, di varietà di piantagioni, in definitiva troppo “pieno” di oggetti e troppo stimolante; un troppo che va a discapito della personale capacità del visitatore di completare con l’immaginazione il luogo, di conseguenza inibendo  la possibilità di sognare e di inventare.
Nonostante questa probabilmente eccessiva “ridondanza espressiva”, l’abbondante afflusso di popolazione ha confermato le aspettative degli enti locali e dei progettisti e in definitiva il successo del parco. Probabilmente, quando la vegetazione piantumata raggiungerà dimensioni ragguardevoli, le numerose e scintillanti strutture e attrezzature verranno  mitigate e risulteranno maggiormente integrate l’una all’altra, disegnando in maniera più armoniosa le forme di questo moderno giardino pensile .

JARDINES DE ANGEL GUIMERÀ

 

Data di costruzione:  

 

1998-1999

Località:

El Prat del Llobregat,   Barcellona,  Spagna

Progettista:

Imma Jansana

Collaboratori:

F. Benedicto, J.M. Arenales, J. Selga, P. Esteban,
R. de Paauw

Tipologia:

giardino urbano contemporaneo

 

Questo piccolo spazio a verde, dell’estensione di circa tremila metri quadrati, è collocato nel cuore del centro storico di Barcellona, nell’antico quartiere di El Prat de Llobregat, inserito e nascosto in una fitta maglia di edifici.
Il suo attuale assetto – caratterizzato dall’accostamento di due spazi contigui, ma nettamente differenziati sia nella conformazione spaziale che nelle intenzioni funzionali – è spiegato dalle diverse origini che hanno segnato la storia di questi due siti, oggi ricongiunti in un unico giardino.
L’area di minor superficie era un tempo costituita da un isolato urbano  non edificato di forma rettangolare: un cortile abbandonato privo di qualsiasi tipo di vegetazione e totalmente esposto all’irraggiamento solare.
L’area più vasta era occupata invece, da un antico giardino privato, caratterizzato dalla presenza di un boschetto denso e ben sviluppato composto da numerose piante di fichi, pruni, allori, oleandri e acace e punteggiato da prosperosi esemplari di Palme delle Canarie (Phoenix canariensis). La presenza di questa folta vegetazione, della densa ombra da essa creata e dalla barriera perimetrale costituita dagli edifici circostanti, hanno permesso al particolare ecosistema creatosi, di stabilizzarsi e innescare un ciclo vegetativo autonomo. La presenza costante di un discreto tasso di umidità, ha favorito lo sviluppo di particolari essenze coprisuolo, quali l’Acanto (Acanthus mollis) e l’Edera (Hedera helix), che hanno formato un compatto letto di vegetazione, che oltre a produrre un gradevole effetto estetico, ha ulteriormente stabilizzato il microclima del piccolo bosco, permettendo il rigoglioso e autonomo accrescimento della vegetazione, nei lunghi venti anni di abbandono precedenti l’intervento.
La paesaggista spagnola Imma Jansana – responsabile dell’Ufficio di Progettazione Urbana del comune di Barcellona – di fronte a questo spazio che si presentava già come un’opera perfetta e compiuta, ha scelto di attuare un intervento minimale, che rendesse semplicemente fruibile e accessibile il luogo.
In questa parte dei giardini Guimerà, è stata disposta una sorta di passerella lignea, leggermente sopraelevata rispetto al tappeto di Acanthus. Al momento del progetto questa sinuosa passerella era stata concepita come un curvilineo sentiero dai margini ben definiti e rifilati, ma in sede di cantiere la paesaggista preferì mantenere il bordo casualmente sfrangiato del tavolato di legno. La pedana sopraelevata di listelli di legno, si snoda disegnando un percorso curvilineo che si adatta alla disposizione della vegetazione esistente e genera forme dall’aspetto organico, che a volte si allargano in piccoli ripiani, mentre altrove si restringono in sottili sentieri. Un’essenziale illuminazione inserita nel tavolato della pedana, una limitata pulizia del suolo ed una leggera potatura selettiva, sono stati gli unici ulteriori interventi effettuati in questa parte del giardino.
Un disegno ed una natura molto diverse contraddistinguono, invece, l’adiacente “giardino della aromatiche”. Lo spazio completamente vuoto e spoglio del cortile – prospiciente la Calle Centro, sulla quale si trova l’unico accesso al giardino – è stato occupato da sei grandi vasconi di ferro corten, riempiti di terreno e nei quali sono coltivate numerose specie di erbe aromatiche e officinali. La forma regolare dei sei rettangoli in metallo - accostati parallelamente, separati da regolari sentieri e coltivati con piante aromatiche delle quali compaiono i nomi in diverse lingue – conferisce a questo austero giardino l’aspetto di un piccolo orto botanico. La scelta di sopraelevare il livello di piantagione delle erbe, ad un’altezza di settanta centimetri, è stata effettuata al fine di “avvicinare fisicamente” le piante officinali, ai sensi della vista dell’olfatto e del tatto dei visitatori. L’orditura ortogonale delle aiuole, delimitate nel loro perimetro da canaletti realizzati in mattoni, rappresenta una cosciente reinterpretazione della tradizione locale degli orti del Delta de Llobregat.
Il “giardino delle  aromatiche” è stato completamente circondato da un’alta siepe di cipressi, che isola e protegge quest’orto di erbe sia dalla vista esterna che dall’attiguo boschetto, aumentando l’effetto di chiostro cintato che quest’area emana.
A causa della preziosa composizione e orditura (che lo rende simile ad un giardino privato) sia del bosco che dell’orto di aromatiche, questo spazio pubblico è stato interamente recintato, circondandolo con una lunga e “classica” staccionata di legno e sottoponendo i visitatori ad un orario di visita.

 


JARDIN DE L'IMAGINAIRE O FRAMMENTI DI STORIA DEL GIARDINO

 

Data di costruzione:  

 

1992  -  1995

Località:

Terrasson-La-Villedieu,  Dordogne,  Francia

Progettista:

Atelier Paysage-Land: Kathryn Gustafson, Anton James, Philippe Marchand,  Sylvie Farges

Collaboratori:

Ian  Ritchie, per l'architettura

Tipologia:

giardino pubblico urbano contemporaneo

 

Al concorso indetto dal Comune di Terrasson-La-Villedieu nel 1992, denominato: "Frammenti di storia del giardino",  venne selezionato il progetto redatto dall'équipe: "Paysage-Land", diretta dalla famosa paesaggista Kathryn Gustafson. Le indicazioni poste dal bando, chiedevano di realizzare una sorta di excursus tra gli "stili" di giardini di ogni epoca e di ogni nazione, per giungere ad un nuovo disegno formale in grado di sintetizzarli e contenerli. Questa "pericolosa" impostazione proposta dal bando, è stata intelligentemente interpretata dalla Gustafson, che ha condotto - attraverso il suo progetto - una ri-lettura di alcuni schemi tipologici di giardini di epoche passate, attualizzandoli in modo coerente all'epoca contemporanea. Il sito, dell'estensione otto ettari, si dilata su di un declivio molto scosceso che si affaccia sul paesaggio dell'antica cittadina. Il patrimonio vegetale già presente, costituito da boschi di querce, radure fiorite e alcune sorgenti d'acqua, è stato in gran parte mantenuto e coinvolto dal nuovo progetto. Il "Jardin de l'imaginaire" è sorretto da una struttura logica e planimetrica frammentaria e discontinua:  una composizione di pezzi di storia la cui lettura non è immediata e scontata e quindi non invasiva.  Il percorso attraversa:  - la "Via del Vento", scandita da banderuole segnavento e campanelli tintinnanti - un'area boscata fra le cui cime viaggia sinuosa una fascia di metallo dorato sospesa attraverso dei cavi alle cime degli alberi - una lunga pergola metallica ricoperta di rose rampicanti - un giardino d'inverno che accoglie il book-shop, il bar ed uno spazio espositivo - un anfiteatro erboso, aperto sul paesaggio, striato da panche ricurve in acciaio, un'area con acqua variamente foggiata, che assume a volte la forma di placidi e stretti canali, altrove di cascate d'acqua su scivoli di pietra ed infine di giocosi getti d'acqua che sprizzano da casuali fori sulla pavimentazione.

 



PARC ANDRÉ CITROËN

 

Data di costruzione:  

 

1986 – 1992

Località:

Parigi,  Francia

Progettista:

Alain Provost e Jean Paul Viguier (1a  équipe)  e Gilles Clément e Patrick Berger  (2a  équipe)

Collaboratori:

Jean François Jodry

Tipologia:

parco urbano contemporaneo

 

Nel cuore di un nuovo quartiere della città di Parigi, sui terreni precedentemente occupati dagli stabilimenti della società Citroën, è stato realizzato negli anni tra il 1986 e il 1992, uno dei più estesi parchi pubblici cittadini contemporanei. Con i suoi tredici ettari, infatti, il Parco André Citroën rappresenta lo spazio verde pubblico più grande di Parigi, realizzato dopo il Secondo Impero.
L’azienda automobilistica Citroën, che costruì le sue prime officine in quell’area nel 1915, trasferì ogni attività fuori la città di Parigi nel 1972. L’intera area, dell’estensione di circa 23 ettari,  venne acquistata dal comune di Parigi che diede inizio allo sviluppo di un piano ZAC ( Zone d’Aménagement Concentré), il quale prevedeva oltre ad un vasto parco centrale (ed accentratore), anche un’area residenziale con tremila abitazioni, un ospedale e alcuni edifici per uffici e attività commerciali. Per alcuni anni la destinazione dell’area rimase indefinita; solo nel 1984 venne indetto un concorso internazionale per la progettazione di un grande parco pubblico.  Gli impianti, le officine e le strutture - fisiche testimonianze di sessant’anni di attività produttiva industriale - furono smantellate ed il nuovo progetto s’impiantò sul terreno completamente sgombro.
L’impostazione del concorso imponeva, in modo inderogabile, che i teams di progettisti concorrenti fossero composti oltre che da architetti, anche da paesaggisti. Con questa scelta tattica, il comune di Parigi cercò di deviare e di opporsi a quella tendenza – che aveva così fortemente segnato il progetto del Parco della Villette – ad impostare il disegno di uno spazio a verde, su elementi prevalentemente architettonici piuttosto che paesaggistici e naturalistici.  L’estesissimo Parc de la Villette, progettato da Bernard Tschumi e realizzato nel 1983, su commissione dello stato francese, determinò una svolta radicale nella concezione del parco contemporaneo, la cui ri-definizione vagava da tempo imbrigliata da indefinite tendenze paesaggistiche. Al contempo, però, la logica sottostante il suo progetto, affermava con forza la totale predominanza del disegno architettonico e tecnologico, nel quale: “(…) il minerale trionfava sulla botanica”  e, per conseguenza,  il “giardino delle delizie” soccombeva sotto l’opulenta “celebrazione dell’universo urbano moderno.” (M. Bédarida, 1995)
In “Paris Projet”, a questo proposito J.C. Garcias scrive: “Il Parco Citroën doveva sbarazzarsi sia della Villette che della tradizione, esso non poteva trovare legittimazione nel neocostruttivismo, né nel giardino all’inglese né in quello alla francese, ma il nuovo parco doveva trovare legittimazioni liriche”. Furono due le équipes di professionisti associati selezionate al concorso internazionale dall’Atelier parigino di urbanistica: la prima costituita dall’architetto Jean Paul Viguier e dal paesaggista Alain Provost, la seconda dall’architetto Patrick Berger e dal paesaggista e agronomo Gilles Clément.
Le due proposte presentavano distribuzioni planimetriche abbastanza simili (entrambe prevedevano un’ampia spianata centrale e la presenza di canali), ma l’intenzione che le sottendeva, rivelava due visioni progettuali pressoché opposte. Nella proposta di Alain Provost: “La natura serve (…) ad articolare il paesaggio;  la vegetazione, ridotta ai minimi termini, serve di guarnizione alle superfici delimitate da un gioco di linee geometriche” (M. Bédarida, 1995).  Assolutamente opposto a questa visione “tradizionale” è l’innovativo progetto di Gilles Clément, nel quale, per la prima volta (in un grande parco pubblico urbano), la natura ed i suoi meccanismi di riproduzione e di espansione, giocano un ruolo protagonista e determinano il carattere del progetto.
Al fine di far confluire le due diverse proposte in un unico progetto realizzabile, fu richiesta la redazione di un terzo elaborato.
Nella formulazione finale, il parco si organizza attorno ad un vasto spazio centrale, un rettangolo coltivato a semplice prato, di 320 per 130 metri. Esso è posizionato in modo perpendicolare alla Senna a cui è adiacente lungo uno dei suoi lati minori.
Questa scelta progettuale di regolarità e perpendicolarità, colloca il parco Citroën all’interno della linea che caratterizza i diversi parchi della Rive Gauche, quali: il “Jardin des Plantes”, il “Jardin du Luxemburg”, i “Champs-de-Mars” e “Les Invalides”.
Grazie alla realizzazione di un tunnel per il passaggio della linea RER che segue il profilo dell’argine, dal grande prato centrale è possibile raggiungere la riva della Senna senza incontrare ostacoli, una disposizione spaziale – quest’ultima – unica in Parigi.
All’estremità opposta del grande prato, un sagrato inclinato funge da basamento per due grandi serre alte quindici metri e lunghe quarantacinque metri. Una delle due serre ospita un giardino mediterraneo, l’altra un agrumeto. Tra di esse  si trova un area piana puntinata regolarmente di fontane e giochi d’acqua, che costituisce la scenografia di fondo della prospettiva verso la “rue Balard”, collocata all’estremo opposto dell’area del parco rispetto al corso del fiume.
La struttura del parco è definita da alcuni assi privilegiati legati tra loro da relazioni gerarchiche:

  1. il Grande Canale che delimita il lato sud ovest del parco, scandito in modo  regolare da una serie di ninfei di forma di semplice parallelepipedo;
  2. la diagonale pedonale che da nord (accanto alla Senna), raggiunge a sud il “Jardin Noir” e che attraversa completamente la grande prairie centrale;
  3. l’assembramento regolare dei “Giardini Seriali” alla sinistra del parterre centrale in opposizione al Grande Canale, formati da sei piccole serre e sei canalette che racchiudono altrettanti giardini tematici costituiti da aree rettangolari, numerate e racchiuse da rampe, legate simbolicamente l’una all’altra da rapporti analogici espressi attraverso i colori, i materiali, i sensi, i metalli ed i pianeti.

La struttura piuttosto compatta della planimetria del parco, si sfrangia verso sud est, in direzione opposta alla Senna, dove, due forme quadrangolari separate ed opposte, s’infiltrano nel tessuto urbano. Si tratta del “Jardin Noir”, una sorta di labirinto chiuso e infossato, molto ombroso e fittamente plantumato con alberi ed arbusti dal fogliame di colore verde scuro e del “Jardin Blanc”, aperto sul vicino quartiere, nel cui centro si trova una grande aiuola composta da svariati cespugli dalla fioritura bianca. Il disegno del primo fu affidato all’équipe  Viguier – Provost, che si occupò inoltre della progettazione dettagliata del parterre centrale e relativa cornice d’acqua, dei ninfei della vasca principale e del Giardino della Metamorfosi. Il disegno del “Jardin Blanc” fu invece affidato all’équipe Clément – Berger, che ha inoltre ideato il progetto delle due grandi serre, dei giardini seriali e del “Jardin en Mouvement” oltre che dell’arredo e dell’illuminazione.
Nonostante la struttura del parco sia fortemente definita da un disegno geometrico che ne esplicita l’assoluta artificiosità – rappresentato dagli assi rettilinei e regolari, dalle geometriche griglie dei ninfei e dei giardini seriali, e dai perfetti parallelepipedi in vetro delle serre – all’interno di esso la natura ed i suoi elementi costitutivi, quali la vegetazione e l’acqua, giocano un ruolo protagonista e fondamentale. In particolare modo il lavoro di Gilles Clément, ingegnere agronomo e paesaggista, ha fortemente contrassegnato con un’intenzione “naturalistica” ed ecologica, il carattere del parco.  Nei suoi “Jardin Seriels” e nel “Jardin en Mouvement”, il suo pensiero teorico – precedentemente sperimentato nella propria tenuta e in alcuni progetti di giardini privati – ha trovato una pratica ed estesa applicazione, in questo grande parco urbano pubblico.
Con la definizione di “Jardin en mouvement”, Gilles Clément offre un nuovo contributo alla teoria e alla pratica dell’architettura del paesaggio. Nei numerosi libri da lui scritti egli raccomanda un intervento minimale, da non confondere, però, con un totale laissez faire. E’ indispensabile mantenere un certo controllo, una sorta di addomesticamento dell’incolto, ma da attuarsi in maniera dolce e secondo un principio di economia:
“Assecondare il più possibile e ostacolare il meno possibile le energie in gioco. Così ho progettato il mio giardino e su tale principio è stato realizzato il parco André-Citroën. (…) L’ideale sarebbe ottenere una siepe dell’altezza voluta senza alcun ricorso a macchine pesanti e rumorose. Semplicemente correggendo l’energia vitale preesistente. Sforzandoci di comprenderla per convertirla ai nostri scopi. Ma rispettandone altresì le tensioni”.
Nel suo libro “Le Jardin en Mouvement”, Clément descrive il pensiero che ha guidato il suo lavoro al Parco Citroën:
“Il giardino in movimento del parco André-Citroën, non aveva il vantaggio di una natura rigogliosa, ma ha dovuto essere creato ex-novo. Per costituire uno stato “chiaro” dell’incolto, si è dunque provveduto a inserire qua e là delle essenze legnose, delle piante spinose, in particolare dei roseti, e delle cortine di bambù, allo scopo di evidenziare un piano di assetto leggibile in ogni stagione. Un altro dato imperativo era la creazione di spazi a scala ridotta che assicurassero la transizione tra il grande vuoto centrale e i giardini seriali (essendo la superficie disponibile di circa 1.5 ettari). L’elenco delle specie previste nel giardino in movimento è eterogeneo, con una rilevante presenza di flora esotica. Questo giardino è rappresentativo di un bioma planetario boreale dei nostri climi. Sia per il giardino in movimento, sia per quelli seriali, il movimento è per tanto atomico, secondo il processo di trasmutazione dei corpi elementari descritti dall’alchimia. Quanto ai giardini seriali, essi non derivano dalla teoria del giardino in movimento, ma vi si richiamano in continuazione. La loro particolarità consiste nel modo analogico della lettura, basato su corrispondenze semplici.  Tale lettura consente di declinare per ognuno di essi una dominante coloristica, una selezione di materiali e uno specifico rapporto con i cinque sensi”.
Con la parola “movimento” Gilles Clément non intende il susseguirsi di visuali e scenari lungo un percorso, causato dallo spostamento fisico del visitatore; in questo caso il “movimento” è legato alla vita stessa dei vegetali, al loro spontaneo espandersi e disseminarsi;  tutto questo sotto l’attento controllo del paesaggista-giardiniere, che di quell’ ”incolto” deve poter offrire una lettura, costruita attraverso un impercettibile ordine cosciente e motivato.
“Ciò che l’incolto ci dice, riassume tutte le problematiche del giardino e del paesaggio: il movimento. Ignorare questo movimento, significa non solo considerare la pianta come un oggetto finito, ma anche isolarla storicamente e biologicamente dal contesto che la fa esistere. A me piace l’incolto perché esso non si riferisce a niente che possa perire”.
Questi giardini e paesaggi dall’aspetto selvatico, ma in realtà attentamente costruiti, affermano il protagonismo della dinamica biologica vegetale, correlata al principio della biodiversità e della preservazione delle specie, ma senza mai sconfinare in quella sorta di “fondamentalismo ecologico”, che professa  il rigido utilizzo di specie e varietà endemiche originarie (ma da quale periodo storico?) di una determinata regione. L’opera di Gilles Clément difende ed asseconda quel meccanismo naturale oltre che storico di continua mescolanza delle specie, che caratterizza quelle spontanee “migrazioni vegetali”  impossibili da arrestare  e ostacolare.

“Se chiediamo agli abitanti chi abbia piantato quei fiori, non lo sanno. Sono lì da sempre. Da sempre? Ma cosa centrano con la Nuova Zelanda le capuccine originarie del Messico? (…) Gli uomini hanno viaggiato e con loro le piante. Da questa immensa mescolanza, che fa incontrare i fiori di continenti ormai divisi da tempo, nascono nuovi paesaggi”. (G. Clément, 1999)

In opposizione alla corrente architettonica-plastica che caratterizza l’operato di numerosi paesaggisti contemporanei, strenui difensori della manipolazione scultorea del territorio, Gilles Clément propone la figura del paesaggista-giardiniere, che sorveglia e accompagna l’operato della natura, ma che  è altresì in grado di tracciare un’invisibile trama nella composizione del giardino ed è capace di  innescare nel visitatore un’esperienza emotiva ed estetica, coinvolgendolo nella percezione di un processo sia ciclico che evolutivo, tutto da scoprire. A questo proposito Isotta Cortesi, nel suo libro Il parco pubblico, sostiene:

“Il reale successo del Parc Citroën risiede nella costruzione di un percorso solo parzialmente fisico, ma che appare principalmente come la rappresentazione di un processo narrativo. Questa concezione del parco promuove l’intenzione del fruitore, rispondendo al suo desiderio di apprendimento”.
Lo stesso Clément non nasconde, anzi dichiara esplicitamente, come l’attenta costruzione di un racconto, stia alla base del processo di ideazione del giardino:
“(…) dal ragionamento tradizionale, cartesiano, si passa improvvisamente a un ordinamento analogico, che chiama in causa il simbolismo. Il giardino è una scrittura. E quando la scrittura si fonda sull’analogia, si esprime per simboli”.
La ricerca pratico-teorica di Gilles Clément,   intende ridisegnare il carattere ed i fondamenti del progetto del giardino e del parco contemporaneo. Essa si attua attraverso un’interessante sintesi che trova il suo riferimento centrale nel “paradigma ecologico”. Attraverso esso, le componenti etiche del progetto (rispetto della biodiversità e del carattere del luogo),  quelle estetiche (la bellezza della varietà e della profusione)  e quelle scientifiche (ecologia ed ecologia del paesaggio), convergono in un unico manufatto, che le esprime e le valorizza contemporaneamente. 

 


PARC DE ISSOUDUN

 

Data di costruzione:  

 

1992  -  1994

Località:

Issoudun,  Indre,  Francia

Progettista:

Michel Desvigne, Christine Dalnoky

Collaboratori:

 

Tipologia:

parco pubblico urbano contemporaneo

 

Il comune di Issoudun, una piccola città di origine medioevale collocata nella regione delle Indre, nella fascia meridionale del Massiccio Centrale, ha incaricato i paesaggisti parigini Michel Desvigne e Christine Dalnoky, della trasformazione in parco pubblico di un terreno situato ai margini della cittadina e precedentemente occupato da piccoli appezzamenti di orti urbani e giardini unifamiliari. L'area, dell'estensione di tre ettari, è attraversata dal fiume Théols, le cui sponde naturali sono bordate da salici e pioppi.  Alla fisionomia informale e rivierasca dell'area, è stata sovrapposta una griglia geometrica "leggera", che stabilisce, attraverso l'orientamento dei suoi assi, il rapporto con gli edifici rappresentativi della città.  Se la suddivisione  quadripartita della griglia, è un esplicito riferimento formale all'architettura "colta" dei giardini francesi del '700, gli appezzamenti interni a tale suddivisione  - rigati da lunghe file parallele di piantagioni di iris e arbusti bassi - rievocano, piuttosto, le tecniche agricole di epoca medioevale. I percorsi semplici ed eleganti che attraversano il parco sono realizzati con assi di legno grezzo; in due occasioni i camminamenti si trasformano in ponti che arcuandosi attraversano il fiume, più spesso si affacciano su di esso, protendendosi come passerelle sospese.  

 


Giardini e Parchi Contemporanei: Tematiche Specifiche
Grandi Parchi Extraurbani

EMSCHER PARK

 

Data di costruzione:   

 

fase di avvio:   1991 - 1999

Località:

Distretto della Ruhr,  Regione dell'Emscher,  Nord Westfalia, Germania

Progettista:

numerosi professionisti coordinati dall'IBA Emscher Park S.r.l.

Collaboratori:

 

Tipologia:

parco regionale

 

La realizzazione del Parco Regionale dell'Emscher, impostata nei suoi lineamenti principali tra il 1991 ed il 1999, costituisce il più importante intervento, a livello mondiale, di riqualificazione complessiva di una vasta regione industrializzata, il cui equilibrio si presentava profondamente alterato ed avviato verso un'accellerata decadenza.  L'immensa problematica del bacino industriale della Ruhr - di natura: urbanistica, territoriale, ecologico-naturalistica e socio-politico-culturale - è stata affrontata in blocco dal governo regionale del Land-Renania-Westfalia, che ha istituito per l'occasione un organo di intervento eccezionale: l'IBA Emscher Park S.r.l. (Internationale Bauausstellung E.P.- International Building Exhibition E.P.). La società, discioltasi nel 1999, ha giocato il ruolo fondamentale di coordinamento delle numerosissime parti sociali interessate dal progetto di recupero. La rinascita del fiume Emscher, ha rappresentato l'elemento di unione, fisico e simbolico, che ha legato a sé ogni tassello del vasto progetto.

 


PARC AGRICOLA DEL BAIX LLOBREGAT

 

Data di costruzione:  

 

2000 - 2002

Località:

Baix Llobregat,  Barcellona,  Spagna

Progettista:

Joaquim Sabaté (coordinamento generale),
Isabel Castiñeira, Miquel Corominas, Xavier Eizaguirre,
Juliàn Galindo, Annalisa Giocoli, Eduard Rosés, Pere Vali

Collaboratori:

M. Ruiz, E. Aragay, A. Calvo, O. Carracedo, J. Garrido,
D. Martinez, A. Meroño, M. Pullés

Tipologia:

parco agricolo


 

 

 

Data di costruzione:  

 

Località:

 

Progettista:

 

Collaboratori:

 

Tipologia:

 

 


PARCO DELL'APPIA ANTICA

 

Data di costruzione:  

 

Località:

Roma, Italia

Progettista:

 

Collaboratori:

 

Tipologia:

Parco archeologico


 

 

Giardini e Parchi Contemporanei: Tematiche Specifiche
Recuperi e Bonifiche Di Aree Degradate


ANTICHE CAVE DI DIONYSSOS

 

Data di costruzione:  

 

1994 - 1997

Località:

Cave di Dionyssos,  Monte Penteli,  Attica,  Grecia

Progettista:

Aspassia Kouzoupi, architetto e Nella Golanda, scultrice

Collaboratori:

alcuni ex lavoratori della cava

Tipologia:

recupero di cava

 

Lo spettacolo che si presentò agli occhi dell'architetto Aspassia Kouzoupi e della scultrice Nella Golanda, durante il primo sopralluogo alle antiche cave di Dionyssos - scavate sul versante orientale del Monte Penteli, in Grecia - impresse nella loro mente un'immagine di grande forza e bellezza, scaturita dall'unione del crudo paesaggio dell'Attica e degli imponenti resti, molto bene conservati, dell'antica cava di fine marmo bianco, la cui attività di estrazione venne sospesa verso il 1975.
"Il paesaggio naturale e quello realizzato dall'uomo, formavano un tutto armonioso che si esprimeva attraverso un codice che volevamo leggere e fortificare" (Kouzopi, Golanda, 2001).
L'ostacolo maggiore che si infrappose alla realizzazione del progetto di recupero e trasformazione  in museo dell'antica cava, era costituito dall'impossibilità di utilizzare, sul luogo, macchinari per il trasporto dei massi e dei cumuli di frammenti; un impedimento causato dall'assoluta inaccessibilità al sito con qualsiasi tipo di mezzo meccanico.  I lavori di trasporto, sistemazione e realizzazione dei nuovi interventi, furono svolti interamente a mano:  cinque ex operai che avevano lavorato alla cava prima della sua chiusura,  coordinarono le operazioni di trasporto manuale, riportando in vita - per l'occasione - le antiche ingegnose tecniche di lavorazione precedenti l'avvento dei nuovi mezzi e delle nuove tecnologie.  A questo proposito le due progettiste raccontano:
"(...) questi uomini possedevano una relazione così intima con la montagna, che il lavorare con loro divenne un momento di ispirazione per tutti noi. La loro abilità nel spostare grandi blocchi di marmo con mezzi tradizionali, fu di per sé un fatto straordinario e ci permise di utilizzare massi di varie dimensioni in accordo con gli effetti scultorei che desideravamo raggiungere".
Il paesaggio della cava era costituito da un unico materiale: il marmo. Nonostante l'assoluta unicità e onnipresenza di questo elemento, il sito si presentava ricco di variazioni e di sorprese, cosparso di eventi formali foggiati inintenzionalmente dalle antiche tecniche di estrazione e sbozzatura del materiale lapideo.  Le conformazioni più impressionanti erano costituite da grandi blocchi monolitici, foggiati regolarmente verso il lato esterno, ma internamente ancora fusi per metà con la montagna sottostante.  Questa composizione di parallelepipedi affioranti, non poté che essere re-interpretata attraverso interventi periferici che ne garantissero la maggiore fruibilità e visibilità, potenziando così l'eccezionale effetto scultoreo-monumentale intrinseco.  Ai piedi dei grandi blocchi dalle facce più o meno irregolari e di diverse dimensioni, si addossavano mucchi conici di  piccoli pezzi di marmo: il segno depositato dal lavoro di sbozzatura dei grandi massi.  Una magnifica struttura a scivolo realizzata in pietra e perfettamente conservata, fu mantenuta tale e quale, al fine di preservarne sia il valore di reperto storico e sia l'eccellente qualità estetica.
La nuova struttura spaziale del grande museo all'aperto si adattò alla preesistente conformazione della cava.  Il lavoro di estrazione del marmo aveva prodotto una scansione del pendio in fasce, producendo una successione di ripiani ai quali corrispondevano diverse fasi di estrazione del marmo e - di conseguenza - diverse conformazioni fisiche dei resti di lavorazione.
La spianata alla base della cava è stata trasformata, dal nuovo intervento, in una sorta di entrata: gli ammassi irregolari di frantumi di marmo che invadevano l'intera area, sono stati radunati e contenuti - per motivi di sicurezza e per ragioni estetiche e funzionali - da un basso muraglione costruito con grossi pietroni grossolanamente sbozzati e posizionati in fasce successive sfalsate, realizzando così dei massici gradoni sui quali è possibile sedersi e riposare.
Al fine di rendere accessibile ai futuri visitatori questa impervia montagna scavata, si rese necessario predisporre, innanzitutto, dei sentieri praticabili e sicuri. Il tracciato dei nuovi percorsi riprese la linea dei solchi segnati nel tempo dal passaggio continuo dei cavatori.  Queste stradine assumevano spesso la forma di tortuose circonvallazioni che girovagavano attorno ai mucchi conici dei detriti,  altrove si inerpicavano sui pendii per raggiungere i ripiani superiori. Attraverso la realizzazione di selciati, muretti e scalinate, i nuovi percorsi resero evidente e facilmente praticabili le scie involontarie dello spostamento dei cavatori. Le falde scoscese ed instabili vennero stabilizzate mediante la sovrapposizione di uno strato massiccio di pietroni dalla superficie piuttosto piatta che furono attentamente accostati manualmente l'uno all'altro, per farli combaciare il più possibile.  Quest'operazione tecnica ha prodotto sorprendenti risultati estetici: la plasticità delle informi pareti scoscese è stata messa in forte evidenza ed ha determinato un senso di coerenza tra la scarpata ed i blocchi di roccia affioranti. 
L'intero sito risultava cosparso di uno spesso strato di pietrisco di marmo sbriciolato; dopo aver liberato le rocce sottostanti da questa massa di scorie, sono tornati alla luce numerosi massi di forma cubica che - fusi come sono l'uno all'altro - danno l'impressione di formare una scala gigantesca che risale la montagna. 
Al livello più alto, raggiungibile attraverso uno scalone realizzato dal nuovo intervento, è situato un ampio ripiano che costituisce la fascia di transito tra il paesaggio artificiale trasformato dall'uomo e il paesaggio naturale  ancora integro ed in parte boscato.  In questa zona della cava, ma ad un livello lievemente superiore, sono stati ritrovati i resti diroccati di piccoli edifici: si tratta delle abitazioni che ospitavano, per circa nove mesi all'anno, da otto a quindici cavatori. In alcuni punti, da quest'area, è possibile intravvedere la linea del mare.
L'esemplare recupero delle antiche cave di Dionyssos, testimonia come un attento lavoro di ri-lettura dei segni lasciati dal faticoso lavoro delle attività di scavo, possano sprigionare un immenso potenziale estetico. Le esigenze di produzione di materiale lapideo e la lavorazione della montagna funzionale a questo unico scopo, hanno lasciato dietro di sé una conformazione che possiede  un valore paesaggistico di forte monumentalità; la pura materia messa a nudo, manifesta la potenza inquietante - raramente percepibile - di una montagna ferita, ma rivelata.
"L'approccio base di questo nostro progetto è stato di fare in modo che la cava fosse percepita come un paesaggio compiuto, assorbito dal più ampio ambiente naturale. Contemporaneamente abbiamo voluto evidenziare le tracce evidenti dei più recenti processi di scavo, per consentire ai visitatori di percepire sia l'ambiente storico e sia l'ambiente naturale".

 


 

PARCO PUBBLICO CAVA NORD

 

Data di costruzione:  

 

1984  -  termine previsto: 2005

Località:

Paderno Lugano,  Milano,  Lombardia,  Italia

Progettista:

Maurizio Münir Cerasi

Collaboratori:

 

Tipologia:

bonifica di cava

 

Il Parco Pubblico Cava Nord, è situato nel territorio del comune di Paderno Lugano, nei pressi di Milano e di alcuni grandi parchi periferici, quali il Parco di Lambro, della Martesana e di quelli dei comuni di Garbagnate e Muggià. Il progetto di recupero e trasformazione della grande cava in parco pubblico, è stato adattato alla funzione ambivalente del sito, che ne determina sia i tempi di attuazione che la disposizione spaziale. Una parte dei terreni - infatti - sono ancora utilizzati come cava per l'estrazione di ghiaia e sabbia; il completamento del progetto - previsto per il 2005 - coinciderà con la sospensione definitiva delle attività estrattive.  La superficie complessiva di Cava Nord raggiunge i 35 ettari: un terzo dell'area è stata destinata a bosco "naturale", un'altra porzione di terreno della medesima estensione è stata invece trasformata in parco pubblico.  La restante superficie verrà gradualmente occupata da un sistema di laghi: uno di essi - il più piccolo e più profondo - sarà utilizzato per la pesca, il secondo per attività ricreative, tra cui il nuoto ed i giochi per l'infanzia. La vasta estensione del sito, le caratteristiche del suolo ed i segni unificanti lasciati dalla precedente attività estrattiva, hanno condotto l'architetto Cerasi ad ideare un progetto scarsamente definito nella forma e nella geometria, ma "lavorato", piuttosto,   come un'ampia vallata scandita dalle emergenze dei crinali e delle strutture realizzate dal nuovo progetto.

 


PARQUE DO TEJO E TRANCÃO

 

Data di costruzione:  

 

1997 – 2000

Località:

Lisbona,  Portogallo

Progettista:

George Hargreaves  e  João Nunes

Collaboratori:

Mary Margaret Jones e Glenn Allen  (Hargreaves Associates)
C. Ribas, E. Calhau, C. Vasconcelos, S. Ferreira, A. Couto,
C. Zurlo, A. Barocco, E. Correira, V. Jesus, L. Moreira,
C. Monteiro (studio PROAP di J. Nunes)

Tipologia:

Bonifica di discarica

 

Il parco fluviale di Tejo e Trancão, realizzato in occasione dell’Esposizione Universale del 1998 nella città di Lisbona, si estende ai limiti della città, su di un territorio di circa ottanta ettari, in prossimità dalla confluenza nell’estuario del Tejo, del fiume Trancão.
Prima della sua trasformazione in parco, questo vasto territorio era da diversi decenni utilizzato come sede di attività produttive industriali, disseminato di numerose discariche e impianti di depurazione. Un’area fluviale snaturata e smembrata, con un assetto idrogeologico altamente alterato e contaminato, era ciò che restava di questo luogo segnato da un passato caratterizzato da un intenso sfruttamento delle sue risorse naturali.
Dopo la selezione al concorso internazionale nel 1994, il team di George Hargreaves, si trova ad affrontare la complessa questione di ridare una “vita” ed una funzione a quest’ambiente così abusato. Lo studio Hargreaves di San Francisco, redasse – tra il 1995 e il 1996 – il  masterplan, definendo le caratteristiche fondamentali del nuovo parco. Il progetto venne successivamente ridefinito attraverso i progetti: preliminare, di massima ed esecutivo, elaborati dallo studio PROAP di João Nunes. 
Le richieste elencate nel bando di concorso, alle quali il nuovo parco avrebbe dovuto trovare una risposta, erano assai numerose e di diversa natura: oltre alla necessaria bonifica dei terreni e delle acque inquinate, era richiesta l’integrazione, nell’area del parco, di una serie di infrastrutture per il riciclo di rifiuti liquidi e solidi, di alcuni impianti per la pratica di vari tipi di sport e la realizzazione di un edificio adatto ad ospitare un centro per l’educazione ambientale. Come un’ondata rigeneratrice, il progetto doveva inoltre inglobare in sé il recupero dell’area esterna al parco e necessaria per l’Expò ’98 ed attivare una progressiva integrazione dei suoi territori con la città di Lisbona, rendendo altresì appetibile un vasto territorio di circa 160 ettari, collocato sul confine sud ovest del sito e per il quale le autorità comunali speravano in un incremento di valore.
Lo studio Hargreaves Associates diede vita ad un progetto nel quale, il nitido disegno geometrico del terreno - che manifesta apertamente l’artificiosità dell’intervento e l’intento artistico che lo sostanzia - si fonde con la necessità di promuovere il progressivo recupero dell’ambiente degradato, attraverso la ri-vitalizzazione dei due elementi primari presenti: l’acqua e la terra.  Il progetto non perseguì il faticoso obbiettivo di “ripristinare” l’antica conformazione fisica ed ecologica del sito attraverso la costosa rappresentazione simulata di un luogo ormai improbabile;  i fattori degeneranti e inquinanti, che avevano provocato la profonda alterazione del luogo, furono identificati e, attraverso il nuovo “progetto-processo”, rimessi in circolo, in modo da innescare la progressiva trasformazione delle scorie e delle immissioni tossiche, convogliandole verso un: “(…) processo di feedback, grazie al quale i rifiuti vengono riciclati nell’ambiente come materia prima per nuove biomasse”. (R. Vaccarino, 1995).   Una volta attivati i meccanismi di auto-rigenerazione degli elementi terra e acqua, i fenomeni ecologici e gli assetti paesaggistici iniziarono a “prendere forma”, permettendo all’originario e prezioso biotopo delle terre umide di rianimarsi ed estendersi.   L’evidente modellazione scultorea del suolo e la presenza di strutture tecnologiche dall’aspetto “astratto” – che avvicinano questo progetto di architettura del paesaggio ad un intervento di Land Art – si fonde con un attento studio: dei ritmi e dei cicli degli elementi trattati,  della relazione sinergica che intercorre tra essi e della loro più ampia connessione con l’ambiente che li contiene e li lavora.
Sopra gli ottanta ettari della superficie dell’attuale parco, è stato steso uno strato dello spessore di oltre tre metri costituito da pietrisco e argilla, recuperata dal dragaggio del fondale del corso d’acqua principale, nell’area del porto della capitale portoghese. L’aggiunta necessaria di circa 500.000 metri cubi di nuovo terreno, ha offerto al team di progettisti, la possibilità  di modellarne la forma in maniera più movimentata e variata rispetto al precedente assetto alquanto piatto e monotono. Dalla superficie del terreno, “scolpito” e modellato, sono emersi aerodinamici crinali, simili a dune foggiate dal vento, riprodotti e ripetuti in gran numero su tutta la superficie del parco. Queste “forme” assolvono l’importante funzione di conferire una qualità estetica e simbolica ben riconoscibile al nuovo parco, dando  la possibilità ai percorsi che in esso si snodano, di variare di altitudine, creando a volte luoghi riparati per sedili e panchine e altrove punti panoramici per l’osservazione. Esse rispondono, inoltre, all’esigenza tecnica di drenare l’acqua dalla vasta superficie del parco: dalle creste dei crinali, da viottoli e sentieri, le acque confluiscono in piccoli canali aperti, a loro volta ricondotti al fiume. La successione delle dune – orientate tenendo conto dell’esposizione al sole e ai venti, manifesta, attraverso la progressiva trasformazione della loro forma, una precisa distribuzione logica: verso l'entroterra le dune assumono una fisionomia maggiormente astratta ed artificiosa, al contrario, avvicinandosi alla riva del fiume, esse si fanno più morbide e dall’aspetto “naturale”.
In numerosi punti del parco affiorano dal suolo insolite strutture di forma conica: si tratta degli sfiatatoi del gas metano, originato dalla decomposizione dei cumuli di detriti presenti nel sottosuolo. Queste torri-sculture per la fuoriuscita del gas - oltre a far rammentare ai visitatori la precedente condizione in cui il sito si trovava – si sono rivelate molto adatte come punti di riferimento per le persone che usufruiscono del locale impianto di golf. E’ prevista, in un prossimo futuro, la conversione in energia della massa di metano che va ora disperso. Essa sarà utilizzata per il mantenimento dell’impianto d’illuminazione del parco e per altri servizi legati agli impianti sportivi.  
Una delle funzioni fondamentali del parco, è rappresentata dal complesso sistema di depurazione dei liquami. Quest’area ospita il più grande dei tre impianti di trattamento dei liquami che servono Lisbona, il quale è suddiviso in tre diverse tipologie pertinenti a tre diverse funzioni: il sistema primario e secondario di trattamento dei rifiuti liquidi, si occupa delle fasi iniziali del processo di depurazione. A causa della difficile compatibilità di queste due funzioni con le attività di godimento del parco, nell’area da esse occupata, è stata realizzata un’aerodinamica tensiostruttura, simile ad un leggero ponte sospeso, che oltre ad attirare a sé l’attenzione delle persone caratterizzando con la sua “tecnologica presenza” il luogo, nasconde alla vista dei visitatori i sottostanti impianti di depurazione e al contempo è in grado di mitigare gli effluvi generati dal processo di depurazione.
I sistemi primario e secondario di depurazione sono stati integrati nel nuovo progetto di Hargreaves, da un ulteriore sistema terziario, basato su processi biologici di trasformazione dei liquami che utilizzano sia il prosciugamento solare (solar de-watering) sia filtraggi con piante acquatiche (wetland filtration). Le acque depurate sono infine raccolte in una laguna stagna collocata nella fascia umida in prossimità della sponda. La ricca vegetazione che ricopre quest’area paludosa, dà vita ad un ulteriore processo biologico: la fitodepurazione. Le piante acquatiche che rendono possibile questo processo sono in grado di assimilare metalli, sali ed azoto in sospensione e sospingere i gas  nell’area delle radici, innescando un processo di decomposizione aerobica. Una notevole quantità d’acqua depurata risulta così disponibile sia per il rifornimento della falda idrica, sia per l’irrigazione del parco e dei terreni a prato degli impianti sportivi.
Le forme ricurve e leggere di lunghi moli, si proiettano come bracci sopra le acque paludose del Tejo, oltre il profilo tagliuzzato del parco. La loro forma devia e sospinge i sedimenti oltre le insenature dell’estuario e, al contempo, le pedane lignee che le disegnano, permettono ai visitatori di percorrerle e godere di un contatto intenso e ravvicinato con questo ambiente fatto di acqua, terra e vento.
L’edificio adibito a centro per l’educazione ambientale, accoglie i visitatori fornendo loro una più approfondita conoscenza dei diversi processi di riciclaggio che hanno permesso il recupero di un ambiente molto degradato e rendendo manifesta la possibilità della convivenza di numerose e diverse esigenze quali quelle: ricreative, sportive, ecologiche, con quella più prettamente artistica del disegno del paesaggio.
Il parco di Tejo e Trancão, incarna appieno le qualità dei nuovi parchi pubblici contemporanei, perseguendo contemporaneamente sia obiettivi economici sia ecologici. Esso manifesta la possibilità di trasformare i  limiti iniziali - che un ambiente degradato  prospetta  in chi si accinge ad affrontarne il recupero -  in stimoli e spunti per una ricerca formale ed una pratica artistica del disegno del paesaggio, plasmate unitamente all’esigenza di realizzare un progetto ecologicamente ed economicamente auto-sostenibile.  L’intenzione che lo anima contiene numerosi aspetti  rivoluzionari: le esigenze e le priorità che lo in-formano  delineano, precocemente, le fattezze dei parchi del futuro.  In “Paesaggi rifatti” (Lotus 87), Rossana Vaccarino analizza con attenzione  la fisionomia nascente del parco del XXI secolo: “(…) il progetto non si preoccupa di trovare regole di composizione (campo chiuso), ma regole di catalisi (campo aperto) allo scopo di promuovere e ordinare complesse iterazioni, (esso pone) l’ambiente come “soggetto”, come forza vivente che “agisce” nel luogo (…) è un paesaggio organico messo in movimento, mai concluso, per quanto apparentemente completo, nei dettagli del progetto.(…) E’ un’organizzazione “morbida”, ma anche frammentaria, qualcosa di instabile tra continuità e discontinuità. Nella sua eterogeneità esso traccia la consapevolezza ecologica di un paesaggio che non è costituito da dualità, ma da un groviglio di reti spaziali, biologiche e sociali".

PROMENADE PLANTÉE

 

Data di costruzione:  

 

1988 - 1998

Località:

12° Arrondissement,  Parigi,  Francia

Progettista:

progetto complessivo: Philippe Mathieux,  architetto  e
Jacques Vergely,  paesaggista

Collaboratori:

giardino di Reuilly: Pierre Colboc, architetto e Gruppo Paysage
giardino Charles-Pégury: Alasin Gilot e Liliane Grunig-Tribel

Tipologia:

recupero di ex linea ferroviaria

 

L'antico tracciato della ferrovia, inaugurata nel 1859 ed utilizzata dai parigini per raggiungere la vicina La Varenne-Saint-Maur, nonché per recarsi nei giorni festivi al periferico Bois de Vincennes, rimase per diversi anni - dopo la sua disattivazione nel 1969 - in uno stato di semi abbandono.  Una rigogliosa vegetazione spontanea s'impossessò della striscia di terreno solcata dalle traversine ferroviarie, tramutando questa porzione di città in un'area dall'aspetto selvatico e campagnolo.  La città di Parigi, a cui la SNCF aveva ceduto i terreni interessati dal percorso, decise di trasformarli in una lunga passeggiata-giardino: un autentico "canale verde" di forma stretta e allungata, il quale nell'attraversare completamente il 12° arrondissement, avrebbe permesso ai pedoni ed ai ciclisti di spostarsi rapidamente attraverso la città, evitando così di invischiarsi nei grovigli del traffico e di respirare l'aria inquinata dei gas di scarico. 
Il 1988 segna l'inizio dei lavori, che attraverso tappe e fasi intermedie, si protrassero per all'incirca un decennio.
Lo struttura planimetrica di questo ben riuscito "Parco Lineare", ha permesso di ricucire diversi brandelli di città; alcune aree vacanti male utilizzate, sono state tramutate in quattro giardini che costituiscono le tappe intermedie della lunga passeggiata.
Massicciate, viadotti, tunnel, trincee, scarpate, ritagli di spazi più ampi ad essi adiacenti, sono stati saldati e connessi l'uno all'altro e trasformati in un unico organico percorso vario e gradevole che, nell'adattarsi all'originaria conformazione dell'infrastruttura lineare, permette inusuali punti di vista sulla città, a volte sopraelevati e panoramici, altre volte totalmente inabissati al di sotto del livello stradale. Questo tragitto verdeggiante, realizza nei confronti della città - che a volte sorvola ed altrove fora nel suo passaggio - un rapporto ambivalente di distacco e contatto:  chiunque si trovi a passeggiare sull'alto camminamento pensile, o a solcare i tunnel sotterranei, ha la sensazione di trovarsi in un giardino appartato, lontano dal trambusto della civiltà.  Basta però affacciarsi oltre i parapetti del viadotto o risalire gli ampi scaloni, per rammentarsi di trovarsi, in realtà, nel bel mezzo di una grande metropoli.
La promenade è composta da due principali scansioni spaziali, ben distinte l'una dall'altra sia per collocazione che per disegno formale. Il primo tratto, inserito nel cuore di Parigi, è denominato "Viaduc des Art"; la denominazione è motivata dalla presenza dell'originario viadotto ferroviario, oggi tramutato in passeggiata verde sopraelevata e costituisce un autentico camminamento pensile fiorito, che si snoda a livello dei tetti della città.  Il tratto più periferico, che conduce al Bois de Vincennes, è denominato "Promenade Verte" e - al contrario del primo tratto - si svolge quasi completamente al di sotto del piano stradale.
Il "Viaduc des Art", situato presso Piazza de L'Opéra-Bastille, ha inizio a livello della strada: le 60 grandi arcate che sostengono l'ex viadotto ferroviario, sono diventate oggi - dopo un lavoro di attenta ristrutturazione - altrettanti spaziosi locali sigillati da grandi vetrate arcuate che ospitano numerosi laboratori artigianali ed artistici.  Lasciandosi il trambusto alle spalle, risalendo una delle scalinate, ci si ritrova nel primo tratto della passeggiata: un nastro largo nove metri, segnato da un percorso pedonale rettilineo e bordato da rigogliose aiuole ricolme di cespugli di rose, lavanda ed altre erbacee perenni.  Alberi a crescita moderata, come i Prunus decorativi,  sono accostati ad alcuni tigli: essi costituiscono le specie più utilizzate in questo tratto, ma la varietà delle piantagioni è assai più ampia e forma un patrimonio vegetale costituito da 175 essenze legnose.  
Proseguendo si raggiunge il primo dei giardini che "accostano" la Promenade Plantée: il "Jardin Hector-Mallot". La superficie di questo giardino-terrazza, è ritmata da semplici percorsi rettilinei tra essi incrociati perpendicolarmente e costituiti, a volte, da viottoli pedonali e volte da canalette d'acqua poco profonda bordate da densi cuscini di piante cespugliose perenni. Alcune aree di sosta, numerosi passaggi arcuati reticolari per rampicanti e ventiquattro aceri canadesi, rappresentano gli episodi che punteggiano il giardino.  Due terrazze sfalsate a diversi livelli di altezza, permettono di raggiungere - in maniera filtrata e graduale - la città sottostante.  
Oltrepassando un nuovo tratto di passeggiata di sfocia nel più ampio dei giardini collegati al percorso: il "Jardin de Reuilly".  Esso è caratterizzato da un vasto prato centrale circolare, il cui perimetro è scandito da numerosi e diversificati eventi; fra essi troviamo: alcuni giardini tematici (acquatico, delle Euforbie, dei Sedum, dei Bambù, delle felci, delle eriche, ecc.), collezioni di rose e di rampicanti, una grotta, un'area per il gioco dei bambini, vasche e fontane e altro ancora.   L'ampio ripiano è sorvolato da una passerella lignea arcuata sospesa a cavalletti: essa è il segno che evidenzia la linea del tragitto ed è il mezzo fisico che permette di proseguire il cammino.
Attraversato il ponte, si sfocia in un'area posta a livello della strada; da qui ha inizio il nuovo tratto del percorso, la cosiddetta "Promenade Verte". Il secondo spezzone della Promenade si sdoppia - da questo punto in poi - in due diversi percorsi ben distinti tra loro,: da un lato la stradina pedonale prosegue rettilinea, al suo fianco, parallelamente, ha inizio il percorso ciclabile e per pattini a rotelle, che conduce al Bois de Vincennes. 
L'inizio della "Promenade Verte", è caratterizzato dalla presenza del terzo giardino: il "Jardin de la Gare de Reuilly"; in esso numerosi alberi di specie comuni quali: aceri campestri, querce, faggi, noccioli, meli, ecc., sono disposti secondo un assetto informale, meno geometrico e definito rispetto ai giardini del primo tratto. 
Un disegno ancor più rarefatto informa il restante tracciato della Promenade.  Esso è fisicamente collocato sette metri più in basso rispetto al piano del traffico.  Qui, un ex tunnel ferroviario, è stato tramutato in un'autentica grotta umida e muschiosa. Il  tunnel oscuro - come un passaggio fatato - trasforma la natura del percorso e muta le caratteristiche del suo paesaggio. Abbondanti porzioni di vegetazione selvatica sviluppatasi negli anni di abbandono della ferrovia, sono state mantenute e integrate con nuove piantagioni: alberi non potati, arbusti da sottobosco e fiori selvatici, conferiscono a questa nuova porzione di percorso, un aspetto selvatico ed incolto, spezzato a tratti da invenzioni formali più definite, come un labirinto ed un chiosco belvedere.  L'atmosfera campestre è interrotta un chilometro oltre dal quarto giardino: il "Jardin Charles Pégury". La superficie del giardino, dell'estensione di circa 1.3 ettari, è solcata da vasche d'acqua e da cascatelle ed è plantumata con querce e conifere.
Subito dopo la Promenade riprende il cammino ed il suo aspetto informale e raggiunge infine il vasto Bois de Vincennes. La Promenade Plantée termina qui il suo tragitto, ma con essa non si concludono i tracciati  dei percorsi pedonale e ciclabile, che si ricollegano direttamente e si fondono con il complesso sistema  viario del grande parco parigino.

 


NATUR-PARK  SÜDGELÄNDE

 

Data di costruzione:  

 

1996 - 2000

Località:

Berlin – Schönenberg, Germania

Progettista:

Okoncon and Planland: Ingo Kowarik, Andreas Langer,
Ludger Schumacher, Helmuth Knoll

Collaboratori:

Odious

Tipologia:

recupero di ex linea ferroviaria

 



LANDSCHAFTSPARK DUISBURG NORD

 

Data di costruzione:  

 

1991 – 1999

Località:

Antica fornace di Tyssen, Duisburg, Distretto della Ruhr, Regione dell’Emscher, Nord-Westfalia, Germania

Progettista:

Peter Latz

Collaboratori:

Latz & Partner, Anneliese Latz della Latz-Riehl, G. Lipkowky per l’architettura,  J. Dettmar per lo studio della vegetazione

Tipologia:

parco industriale

 

Nell’area industrializzata del bacino della Ruhr, la Società per lo sviluppo del Nordrhein, in collaborazione con l’IBA Emscher Park (Internationale Bauausstellung Emscher Park – International Building Exhibition E.P.), diedero inizio, dieci anni or sono, ad un’estesa strategia di recupero sociale, economico e ambientale dell’intera regione.
Sono circa centoventi i nuovi progetti che l’IBA ha varato al fine di promuovere il rinnovamento integrale di questa antica regione industrializzata.
Intorno al 1989 il governo regionale del Land-Renania-Westfalia, ha voluto affrontare l’immensa problematica del bacino industriale della Ruhr in modo assolutamente straordinario: esso si è affidato a uno strumento consolidato nella cultura pianificatoria tedesca, la “Internationale Bauausstellung” (esposizione internazionale dell’edilizia) ed ha istituito una società denominata IBA Emscher Park s.r.l., che ha curato la riqualificazione dell’intera area ed ha riunito sotto di sé e coordinato il lavoro di oltre duecento esperti tra architetti, urbanisti, paesaggisti ed artisti, oltre che di 17 comuni, centinaia di associazioni di cittadini e migliaia di singoli cittadini. L’IBA ha concentrato il proprio intervento sulle problematiche di tipo urbanistico, territoriale, ecologico-naturalistico e su quelle socio-politico-culturali che opprimevano da anni questo vasto territorio industrializzato della Germania, cercando di avviarne il processo di trasformazione e condurlo verso una nuova forma di sviluppo economico. L’IBA, che è interamente proprietà del governo regionale, si è occupata di promuovere la raccolta di informazioni, spunti e idee, scegliendo tra essi i più significativi e di bandire i concorsi internazionali, occupandosi della loro selezione e successiva realizzazione.
Il parco di Duisburg-Nord, rappresenta uno di questi interventi realizzati;  un importante tassello inserito nel più ampio disegno che parte dalla riqualificazione ecologica del fiume Emscher, per arrivare alla realizzazione del grande Parco Paesistico esteso all’intero bacino fluviale.
Collocato nella regione dell’Emscher, nelle terre del Nord-Westfalia, tra le città di Meiderich e Hamborn, il parco occupa i terreni delle antiche fabbriche siderurgiche Meiderich della società Tyssen e si estende su di un territorio di circa 230 ettari.
In questo stabilimento, tra il 1900 e il 1985, furono prodotte circa 37 milioni di tonnellate di ghisa grezza. Il successivo periodo di abbandono innescò una rapida decadenza dei numerosissimi vecchi edifici e strutture industriali, che vennero rapidamente sommersi da una ricca e selvaggia vegetazione.
Nel 1991 venne approvato dall’IBA E. P., dal consiglio comunale e dai rappresentanti dei diversi enti pubblici locali,  il progetto del paesaggista tedesco Peter Latz e del suo team, i quali diedero inizio ai lavori del parco nello stesso anno.
La questione cruciale che dovette essere inizialmente affrontata, fu quella relativa al possibile riutilizzo dei resti delle numerosissime strutture degli impianti industriali, quali: edifici ed officine, giganteschi depositi per i minerali grezzi, ciminiere, fornaci, ponti, gru, rotaie, scali ferroviari e altro ancora.
L’atteggiamento progettuale che la Latz & Partner adottò per il disegno del parco, non fu quello di tentare una fusione degli elementi presenti combinandoli in un unico assetto paesaggistico omogeneo e uniforme;  il team di Peter Latz, cosciente della forte frammentazione e discontinuità spaziale che caratterizzava il sito, ricercò piuttosto, nuove interpretazioni delle esistenti strutture,  mutando la loro funzione ed il contesto, attraverso la sovrapposizione e la coesistenza di una serie di livelli caratterizzati da differenti conformazioni spaziali e funzionali.
Le tracce non nascoste  ma esaltate, ci narrano di come l’artificio può essere ritrasformato in natura attraverso i nuovi significati che a queste grandi strutture sono attribuiti dalle scelte progettuali, significati che si mantengono elastici e permeabili a differenti interpretazioni. Da oggetti isolati ed inquietanti simili a grandiosi interventi di Land Art, questi massicci impianti industriali, ci svelano anche una natura giocosa ed accattivante invitandoci ad  esplorarli ed a scoprirli come in una caccia al tesoro. Le grandi spianate che accoglievano lo smistamento dei minerali, manifestano ora, nella nuova interpretazione, tutto il loro potenziale monumentale. Esse si sono rivelate adatte ad ospitare i moderni eventi e rituali sociali, circondandoli con stranianti ed avveniristiche scenografie; studi televisivi hanno trovato nelle strutture del parco ottimi scenari, gruppi musicali e teatrali le utilizzano oggi come palcoscenici d’avanguardia.
I diversi livelli che compongono il parco di Duisburg-Nord, pur mantenendo fra loro una forte indipendenza ed autonoma personalità, sono saldamente connessi l’uno all’altro da numerosi elementi di natura a volte più “fisica” e materiale, come ad esempio: rampe, scale,  terrazze,  passaggi sopraelevati, ponti, ecc. ; altre volte il legame è di tipo funzionale e, altre volte ancora, puramente simbolico, sostenuto da legami visuali prospettici.
Da una recente intervista a Peter Latz di Udo Weilacher leggiamo a questo proposito:
“Quando inizio, l’unica cosa che mi importa è conoscere quanti elementi e oggetti ho a mia disposizione e quali possibilità di collegamento fra essi esistono. Sono interessato alla sintassi dei livelli: il grado di regolarità con cui uno o un numero di oggetti si ripetono. (…) Un requisito essenziale è conoscere quanta forza è già insita negli oggetti, quale densità di informazioni già possiedono e quanta densità di informazioni può essere inizialmente introdotta nel progetto. Probabilmente sono molti i modi di condurre il processo della progettazione. (…) Io creo diversi livelli di informazioni e poi li combino fra di loro.(…) Durante il periodo in cui il progetto prende forma, certi aspetti dello sviluppo dei diversi livelli di significato, non sono ancora visibili. Questo può significare che questi livelli di informazione devono prima essere resi visibili attraverso installazioni temporanee”.
Attraverso un’analisi “sintattica” - per usare la locuzione impiegata da P. Latz – del parco di Duisburg-Nord, possiamo identificare una serie di piani parziali o livelli componenti:

Il Parco Ferroviario (Bahnpark): La preesistente fitta rete ferroviaria, è stata mantenuta ed è ora parte integrante del suolo e della vegetazione del nuovo parco. Qui si dispiegano numerose passeggiate e percorsi che in certi tratti mutano di livello e si collegano a ponti e passerelle pedonali sopraelevati, che offrono ai visitatori dei punti privilegiati per l’osservazione panoramica del parco. Tra gli obiettivi futuri, vi è quello di ripristinare parte della rete ferroviaria, per poterla riutilizzare per lo spostamento di locali mobili di ristoro e di ritrovo.
Il Parco Acquatico:  La ricostruzione del sistema idrico, si rivelò l’impresa più difficile da risolvere. Grazie all’aiuto dell’autorità locale di governo del fiume, fu possibile separare il corso originario dell’Emscher dal flusso delle acque fognarie, che scorrono oggi all’interno di una canalizzazione sotterranea.  Il “Wasserpark” è fisicamente collocato nel livello più basso del parco. L’antico corso del fiume Emscher, un tempo recintato a causa dell’alta tossicità delle sue acque, è stato  “liberato” e “riportato in vita”. Oggi, nel suo nuovo letto – che ha mantenuto la forma canalizzata - confluiscono le abbondanti acque meteoriche capillarmente raccolte in tutto il parco. Le acque così diluite, sono poi convogliate lungo dei percorsi in cui: filtri di sabbia e ghiaia e sponde ricche di vegetazione, contribuiscono alla loro progressiva depurazione e ossigenazione. Dopo avere attraversato i “giardini simbolici” racchiusi fra le mura dei vecchi depositi, il flusso d’acqua raggiunge infine, alcune ampie vasche. Nell’ideare il sistema del “Wasserpark”, i progettisti non hanno cercato di dissimulare il problema delle acque inquinate; essi, piuttosto, hanno teso a manifestare e rendere visibile ai visitatori, il processo sia tecnologico che biologico di trasformazione delle acque e delle sponde degradate in un nuovo corso ri-vivificato e ri-generato.

I Giardini Simbolici:   L’area degli antichi depositi realizzati per lo stoccaggio del minerale grezzo, è costituita da un susseguirsi di vani separati da spessi muraglioni in calcestruzzo. I massicci muri sono stati forati e le “stanze” messe in comunicazione. In questi luoghi recintati si riproduce l’antico rituale del “giardino segreto”. E’ la popolazione stessa che – coinvolta nelle attività del parco – si occupa sia della coltivazione delle piante, sia della sperimentazione formale e artistica di questi hortus conclusus post-industriali. Nella profondità del suolo fra i bunker, sono stati seppelliti gli strati di terra più inquinati e ricoperti da una spessa coltre di argilla e infine da un substrato di cumuli di macerie macinate. Le piante qui coltivate sono state importate dalla Norvegia, Sud-Africa, Brasile e Australia e possiedono la speciale caratteristica di essere in grado di sopravvivere in questo tipo di terreno.

L’Area Ricreativa:  Nella zona dell’antico stabilimento della fornace, le imponenti strutture industriali, sono state re-inventate per nuovi usi e funzioni. Le ampie ciminiere sono ora utilizzate da gruppi di appassionati di arrampicata e free-climbing. Le passerelle e le piattaforme sospese sono utilizzate come giocosi percorsi panoramici. Le ampie spianate – trasformate e arredate riutilizzando materiali e strutture smantellati - accolgono oggi  le manifestazioni ed i festival più importanti della zona. Tra esse distinguiamo:

  1. la “Cowper Place” o “Cowperplatz”, costituita da un’ampia piazza piantumata secondo una griglia regolare, con giovani alberi sostenuti da strutture metalliche;
  2. la “Piazza Metallica” . Essa è il luogo-simbolo dell’intero parco. Per la sua realizzazione sono state riciclate numerose imponenti lastre metalliche di 2,20 per 2,20 metri e del peso di otto tonnellate ciascuna, un tempo utilizzate come chiusure di grandissimi stampi per opere di fusione. Modularmente accostate sopra un letto di sabbia, esse appaiono come cimeli misteriosi di un’antica civiltà. La “Piazza Metallica” è una delle realizzazioni più amate da Peter Latz, che a tal proposito racconta:

“Questa piazza realizzata con massicce lastre di ferro, risulta particolarmente interessante a causa di due processi fisici diversi. Uno è la formazione di questo metallo temprato un tempo ricoperto da uno strato di scorie e difficilmente utilizzabile. L’altro è il processo di erosione (…) Quale simbolo della natura io trovo tutto questo infinitamente più interessante di poche misere betulle”.
Il Sinterpark:  In quest’area, la grande pala metallica del vecchio mulino è stata “decontestualizzata” e svetta oggi sulla cima di uno degli edifici del parco, manifestando la sua  nuova funzione simbolica di scultura-mobile. Qui si trova inoltre il cosiddetto “Teatro Romano”, un anfiteatro realizzato con mattoni formati con le macerie macinate delle strutture demolite.

Questi molteplici ambiti, caratterizzati da “personalità” così diverse tra loro, sono ricongiunti e allacciati da luoghi interstiziali più indefiniti, quali: gli spazi ricchi di vegetazione compresi fra i binari ed il canale, i percorsi che collegano il parco alla città e l’area incolta lasciata in spontanea trasformazione, o utilizzata per orti urbani e attività sportive, accanto alla limitrofa area residenziale.

L’efficiente e rapida realizzazione del parco, ma soprattutto l’entusiastico riscontro presso la popolazione, ha reso rapidamente famoso questo progetto, definito da alcuni come “ Il Parco del XXI secolo”.
Alla prima biennale dell’architettura del paesaggio di Barcellona “Refer Paisatge” (“Paesaggi ricostruiti”) del 1999, è stato assegnato al team di Peter Latz, per il parco di Duisburg-Nord, il primo premio quale migliore realizzazione paesaggistica europea.  Numerose e rilevanti sono le motivazioni con cui la giuria della Biennale barcellonese, ha giustificato la scelta del progetto premiato:
“Il progetto risponde all’urgenza di occuparsi di aree industriali fortemente degradate, che è un problema comune all’intera Europa. Esso arricchisce il significato di spazio pubblico e sostiene le potenzialità del riciclaggio in una maniera da considerarsi pionieristica ed esemplare in Europa. (…) Il lavoro affronta contemporaneamente diversi problemi significativi: esso paradossalmente, fa convergere il lavoro di trattamento dei suoli contaminati con un attivo contatto della popolazione con la natura. Inoltre promuove una nuova attitudine verso la tecnologia, proponendo la sua forte compatibilità con il paesaggio. (...) Esso mette realisticamente a confronto i limiti del budget a disposizione con le ipotesi di cambiamento e di evoluzione ecologica. (…) Introduce attività sociali alternative (…) combinandole con altri eventi culturali (…) raggiungendo così l’integrazione di differenti gruppi sociali…”.
La rinascita ecologica che la realizzazione del parco ha innescato, ha in poco tempo fatto sentire i suoi positivi effetti: diversi tipi di piante e animali da tempo segnalati come specie minacciate ed in via di estinzione nella Westfalia del nord, hanno fatto la loro ricomparsa nella zona. Trecento tipi diversi di piante e felci selvatiche, sessanta tipi di uccelli e tredici tipi di rettili e anfibi hanno riconquistato la loro nicchia ecologica.
L’intensità e i modi d’uso con cui il pubblico usufruisce del parco, superano i limiti del puro godimento estetico,  per divenire collaborazione e co-costruzione. Questa forte impronta sociale rafforza, in apparenza, il significato e la funzione tradizionali del parco pubblico tedesco: il “Volkspark”; un’ipotesi – quest’ultima - che Peter Latz   sostiene di non approvare, in quanto non coerente con i modi e le intenzioni del pubblico contemporaneo:  “Il Volkspark fa parte della storia. Esso possedeva un chiaro programma che ebbe origine, negli anni venti, da particolari condizioni sociali. A quel tempo chi usufruiva del parco costituiva una collettività, a quel tempo le persone andavano al parco assieme” (…) prosegue Lisa Diedrich nel suo articolo: “Oggi ognuno al parco ci va da solo: il padrone del cane, il ciclista, il corridore. Non esiste qualcosa che possa essere un parco per tutti, per questo Latz preferisce parlare di molti parchi diversi che il terreno di Duisburg offre a molte persone diverse”.   
In questo paesaggio re-interpretato ,  che ha suscitato non solo l’ammirazione, ma anche numerose critiche a causa delle sue ardite sperimentazioni pionieristiche, ritroviamo – in una maniera del tutto rinnovata – l’antico mito romantico dell’attrazione per la rovina, così come lo stesso Peter Latz evidenzia nell’intervista di Udo Weilacher:
“ (…) l’immaginazione, quand’è maggiormente stimolata? In uno stato di armonia o in uno stato di disarmonia? La disarmonia, forse, produce un diverso equilibrio, una diversa armonia, una diversa riconciliazione. (…) Questi luoghi devastati offrono molte più possibilità di azione, non solo agli architetti del paesaggio, ma anche ai visitatori. (…) Ecco perché molte persone si sentono attratte da questi luoghi (…) E’ possibile restare affascinati da un paesaggio tecnologico e riconoscerlo come un tipico segmento di paesaggio. Questo poteva essere assolutamente non interessante venti anni fa, ma oggi è molto eccitante. Ci sono aree affascinanti e accessibili da scoprire giusto nel centro delle nostre città. Dobbiamo solo guardarle un po’ più da vicino”.
La carta vincente che ha condotto questo intervento al successo, si fonda sull’approccio semplice e pragmatico con il quale Latz impostò l’intero progetto fin dall’inizio: trasformare e smantellare il meno possibile e mantenere e valorizzare il più possibile. Le qualità formali di Duisburg-Nord, possono disorientare e disattendere il comune senso estetico e indurre i visitatori a considerare questo luogo qualcosa di diverso da un parco pubblico. Oltre l’apparente diversità delle sue avveniristiche sembianze, l’analisi approfondita del processo di ideazione di Duisburg-Nord, rivela un’incredibile aderenza ai temi “tradizionali”  dell’arte del giardino, quali:  l’identificazione dello “spirito del luogo”, la valorizzazione della sua specificità, la ricerca della giusta combinazione “sintattica” di elementi naturali ed artificiali per arrivare al dispiegamento del racconto, potenzialmente presente e in attesa di essere manifestato:
“Per Duisburg Nord cominciai scrivendo dei racconti. Racconti che parlavano di un falco che volava in cerchio attorno ad una montagna e mi divenne gradualmente chiaro cosa avrei fatto con l’edificio della fornace. L’impressione degli oggetti, il loro significato figurativo è per me ben poco importante. Per dirla in altre parole, l’aspetto semantico non è così importante. (…) Duisburg fu una cosciente e diversa applicazione delle convenzioni (della percezione). In pratica, quello che stavo ricercando era il “genius loci”. Questo non è certo un fatto nuovo. Forse ho cercato di dare una chiara impressione ad una nuova astratta idea”.

 


GAS WORKS PARK

 

Data di costruzione:  

 

1975

Località:

Seattle,  Washington,  U.S.A.

Progettista:

Richard Haag

Collaboratori:

Charles Greening, Kim Lazare (artisti)
Michael G. Ainsley  e Olsen/Walker & Associates
(per l'architettura)
Arnold & Associates (ingegneria strutturale)
Miskimen Associates (Ingegneria meccanica)
Beverly A. Travis & Associates (ingegneria elettrica)

Tipologia:

parco industriale

 


ORDENACIÒ DEL FRONT LITORAL DE L'ALBUFERA

 

Data di costruzione:  

 

1997 - non terminata

Località:

La Albufera,  La Dehesa del Saler,  Valenza,  Spagna

Progettista:

Alfred Fernàndez de la Reguera,  Ignacio Salvans,  Jordi Solé

Collaboratori:

I. Gil,  A. Muñoz,  F. Solves,  A. Vizcaino,  J. Yuste

Tipologia:

recupero di litorale marino

 


Giardini e Parchi Contemporanei: Tematiche Specifiche
Percorsi e Margini

COPERTURA DELL'AUTOSTRADA A-1  IN  SAINT-DENIS

 

Data di costruzione:  

 

1997 - 1998

Località:

Saint-Denis,  Parigi,  Francia

Progettista:

Michel Corajoud

Collaboratori:

C. Delouche,  T. Martusciello,  G. Marione, Y. Salliot, B. Scribe, (Gruppo Lea)
L. Fachard, per l'impianto di illuminazione (Gruppo JFL Concept)
J.F. Leblond, per l'impianto di irrigazione

Tipologia:

 


 

DALLE CENTRALE

 

Data di costruzione:  

 

1978

Località:

La Defense, Parigi, Francia

Progettista:

Dan Kiley

Collaboratori:

P. Walker, J. Tyndall

Tipologia:

percorso urbano

 


 

INTERVENTO DI RIQUALIFICAZIONE DEL CENTRO STORICO DI PALLEJÀ

 

Data di costruzione:  

 

1997   

Località:

Pallejà,  Barcellona,  Spagna

Progettista:

Josep A. Llinàs

Collaboratori:

J. Bayo

Tipologia:

spazio urbano di margine


INTERVENTO DI RIQUALIFICAZIONE NELLA CITTADINA DI VESPELLA

 

Data di costruzione:  

 

1996

Località:

Vespella,  Tarragona,  Spagna

Progettista:

Jordi Sardà,  Jordi Begardà

Collaboratori:

 

Tipologia:

spazio urbano di margine


 

RIAPERTURA DEL FIUME NEL CENTRO DI AARHUS

 

Data di costruzione:  

 

1995 - 1998

Località:

Aarhus,  Danimarca

Progettista:

Birk Nielsens Tegnestue Landscape Architecs

Collaboratori:

Stadsarkitektens  Kontor, Rambol Als & Vejkontoret

Tipologia:

spazio urbano fluviale

 


 

PASSEIG MARITIM D'EMPÙRIES

 

Data di costruzione:  

 

1990

Località:

Empùries,  Sant Martì,  Costa Brava,  Spagna

Progettista:

Alfredo Fernàndez de la Reguera, Josep Muntañola  e
Magda Saura

Collaboratori:

 

Tipologia:

spazio lungomare

 

Le lunghe spiaggie di sabbia bianca di Empùries - miracolosamente preservate dalla speculazione edilizia innescata dal massiccio flusso turistico della Costa Brava - furono la sede, intorno al VI secolo a. C., di una delle più grandi colonie greche della Penisola Iberica, denominata Emporion.  L'intervento di riqualificazione del sito, condotto dagli architetti spagnoli: Reguera, Muntañola e Saura, selezionati al concorso indetto nel 1988 dalla soprintendenza ai beni storici locali, si basò su una duplice intenzione progettuale, sviluppata in due fasi temporali successive. La prima parte dell'intervento consistette nel rimuovere le infrastrutture realizzate per accogliere il flusso di visitatori. La strada costiera per il traffico motorizzato, sovente trasformata dai turisti in una lunga e caotica area parcheggio, venne completamente smantellata e sostituita con un nuovo percorso meno ampio e riservato unicamente ai pedoni. La "leggerezza" del nuovo tragitto ha permesso alla fascia delle dune ed alla zona della pineta retrostante, di riavvicinarsi e riconnettersi, recuperando, in parte, l'originaria continuità paesaggistica ed ecologica di questo tratto di costa.  La seconda fase del progetto riguardò la collocazione di un secondo percorso, posto a ridosso della fascia costiera.  Una lunga e sottile passerella lignea si snoda, a partire dalla zona del sito archeologico, fino all'ampia spiaggia nei pressi del villaggio medioevale di Sant Martì. Esso attraversa la pineta, sorvola le dune, accosta i resti dell'antico porto greco e si cala, in alcuni punti, fin sulla spiaggia, allargandosi in ampie piattaforme di legno sfalsate in diversi livelli e aperte sull'ampio panorama della Costa Brava.  I nuovi interventi minimali sono stati formalmente concepiti per integrarsi il più possibile con il paesaggio circostante. La forma, la texture e il cromatismo prescelti per gli elementi introdotti dal nuovo progetto, rivelano la scelta di rinunciare a qualsiasi competizione visiva con il paesaggio ed affermano piuttosto la ricerca della massima e reciproca compenetrazione tra le nuove strutture artificiali ed il rinnovato ambiente naturale in cui si inseriscono.

 


STRADA SANTPEDOR

(Primo tratto)

 

Data di costruzione:  

 

1997 - 1999

Località:

Manresa,  Catalonia,  Spagna

Progettista:

David Close

Collaboratori:

Pere Foranda, ingegnere  e  Maria Villaseca, grafica

Tipologia:

itinerario naturale e strada verde

 

Il progetto di Strada Santpedor, ha dato inizio ai lavori di ampliamento e rinnovo del vecchio percorso che collega la cittadina spagnola di Santpedor ad uno dei più famosi parchi di Spagna: il "Parc de l'Agulla". La vecchia strada, larga solamente tre metri e riservata al traffico motorizzato, è stata affiancata nei suoi primi 200 metri, da un nuovo tragitto che accoglie la via pedonale ed una pista ciclabile.  Il lavoro dell'architetto David Close, ha conferito all'intervento un carattere ed una forma distintiva; l'uso di diversi tipi di materiali: asfalto, ghiaia, porzioni di prato e fasce d'acciaio corten, si alternano e formano superfici caratterizzate da texture variabili, abbinate a destinazioni e funzioni diverse.  La nuova strada Santpedor è affiancata da un piccolo canale in cemento che raccoglie  le acque meteoriche e convogliandole le ridistribuisce ai terreni circostanti ed alle aree con le nuove piantagioni, evitando - al contempo - di intasare la rete fognaria locale. Alcuni slarghi accolgono le aree per il riposo ed il picnic. Poche essenze legnose selezionate, circondate singolarmente da un letto circolare di ghiaia, ombreggiano i sedili d'acciaio sagomati come sculture astratte.

 


 

PAESAGGI D’ACQUA

 

Data di costruzione:  

 

1997 - 1998

Località:

Penna San Giovanni, Gualdo, Sant’Angelo in Pontano, Italia

Progettista:

Maria Cristina Tullio, Sandro Polci, Daniele Dallari

Collaboratori:

G. Dupeyron,  F. Cefalo,  M.T. Rinaldi

Tipologia:

itinerario naturale e strada verde


 

AREA DI SERVIZIO DI CAISSARGUES

 

Data di costruzione:  

 

1992

Località:

Autostrada Nîmes - Caissargues,  Nîmes,  Francia

Progettista:

Bernard Lassus

Collaboratori:

 

Tipologia:

area adiacente ad infrastruttura lineare di trasporto

 



PROGETTO DI RIQUALIFICAZIONE DI AREE RESIDUALI NEI PRESSI

DEI PONTI VLAKE

 

Data di costruzione:  

 

1994

Località:

Vlakebruggen, Olanda

Progettista:

Henk Volkers

Collaboratori:

dipendenti del Ministero per l’Agricoltura

Tipologia:

fasce ed aree adiacenti ad infrastrutture lineari di trasporto


 

Giardini e Parchi Contemporanei: Tematiche Specifiche
Giardini e Arte Contemporanea

IL GIARDINO DEI TAROCCHI

 

Data di costruzione:  

 

1979 – 1986

Località:

Garavicchio, comune di Capalbio, provincia di Grosseto, Italia

Progettista:

Niki de Saint Phalle

Collaboratori:

Jean Tinguely e vari altri artisti

Tipologia:

giardino realizzato da artista contemporaneo

 

A 25 chilometri a sud di Orbetello, nell’area più periferica e selvatica dell’antica Toscana etrusca, appare - oltre il verde degli ulivi della macchia mediterranea – la coloratissima e rilucente sagoma del fantasmagorico Giardino dei Tarocchi, scaturito dall’immaginazione dell’artista franco-americana Niki de Saint Phalle.
Nel 1955 la Saint Phalle visitò il Parque Güell di Barcellona - progettato da Antoni Gaudì e realizzato tra il 1900 e il 1914 – da allora nacque nell’artista la necessità di realizzare un proprio giardino: “Un piccolo angolo di paradiso. Un luogo di incontro tra uomo e natura”.  Dopo aver lungamente ricercato – anche in continenti quali l’Africa e il America meridionale - il sito ideale per il suo giardino fantastico, le fu offerta la possibilità di utilizzare una parte di una vasta tenuta maremmana di proprietà dei fratelli Caracciolo. 
Si trattava di una vecchia cava di pietre che presentava ancora i dislivelli dell’escavazione: un’area al margine più meridionale dell’ultima collina della Toscana, affacciata sul Lazio,  che gode di un’ampia apertura su di un panorama di dolci colline che degradano verso la breve pianura limitata dal mare. Il terreno scosceso e molto roccioso rese particolarmente ardua la fondazione e la costruzione delle imponenti sculture-architetture.
Il Giardino consiste nella vivacissima rappresentazione dei 22 Arcani Maggiori dei Tarocchi, qui raffigurati in grandi sculture-abitacolo, il cui scheletro è costituito da strutture saldate in acciaio e ricoperte da spesse gettate di cemento; in altri casi la tecnica costruttiva utilizzata è stata quella della termoformatura in poliestere.
Nella fase iniziale di realizzazione delle armature ed anche successivamente, fu fondamentale il contributo di conoscenze tecniche dello scultore svizzero Jean Tinguely, le cui famose sculture cinetiche animano – con i loro movimenti ed i loro suoni metallici – alcune figure degli Arcani Maggiori.
La superficie di queste plastiche e sinuose costruzioni, è stata infine rivestita con vari tipi di materiali pregiati, quali: tessere di vetro e murrine, miriadi di porzioni di specchio, piccoli pannelli di ceramica formata ad hoc, attentamente segmentata e ricomposta ed applicata sulla superficie della scultura.
L’aspetto e la sensazione che derivano da questa ricca decorazione neo-barocca, sono di potente policromaticità, alimentata ulteriormente dalla forte percezione  tattile e materica emanata delle forme sinuose, sempre ubbidienti alla legge delle linea curva: regola inderogabile del linguaggio formale della Saint Phalle.
La vegetazione originaria del sito – costituita da ulivi, vecchie querce, oltre che dagli arbusti tipici della macchia mediterranea – venne mantenuta e protetta durante la realizzazione delle strutture, per poter essere ri-utilizzata anch’essa come materiale scultoreo: a volte essa si ritrova  inglobata nelle sculture con cui si fonde organicamente, altrove interrompe e distanzia le sinuose figure antropomorfe. La composizione e la varietà della vegetazione venne arricchita dall’artista attraverso nuove plantumazioni di bosso, lentisco, rosmarino e varie altre essenze caratterizzate da forti aromi.
Al fine di realizzare una buona integrazione nel paesaggio circostante, delle due più imponenti figure ( il Mago e la Torre di Babele ), la Saint Phalle concepì per esse un rivestimento costituito da un mosaico di tasselli di specchio. In  essi la vegetazione si riflette e si rompe in mille angolature, creando così un effetto spaesante di smaterializzazione delle sculture nella natura circostante. Jean Tinguely notò, a questo proposito, come le superfici degli Arcani :” Attraverso il gioco degli specchi, captano le forme ed i colori e li rinviano”.  Questa invenzione formale produce una mobilità infinita del punto di vista, una sorta di moltiplicazione caleidoscopica del mondo circostante.
Se l’opera di Gaudì costituisce il principale legame e la più intensa fonte di ispirazione del Giardino dei Tarocchi, era anche ben noto all’artista il non lontano Sacro Bosco, fatto costruire lungo la seconda metà del XVI secolo da Vicini Orsini a Bomarzo.  Due giardini realizzati a quattro secoli di distanza, ma accomunati dalla stessa intenzione di stupire, incantare e catturare il visitatore, ammaliandolo completamente nell’atmosfera magico-misterica del giardino.
I rimandi alla storia dell’architettura e a quella dei giardini sono ancora numerosi: essi vanno dai giochi delle acque di Villa d’Este a Tivoli, agli edifici fantastici viennesi di Hundertwasser, o dal gigantesco “Appennino” del Giambologna a Pratolino – scultura anch’essa penetrabile e percorribile al suo interno – al famoso Palais Idéal costruito da Facteur Ferdinand Cheval a Hauterives, nella Dròme, fra 1879 e 1912.
Il Giardino è paragonabile ad una piccola città sulle cui strade si affacciano strani edifici,   il cui aspetto informe e sgargiante, crea l’allucinatoria sensazione di ritrovarsi in un luogo appartenente ad un’altra dimensione.
Cosciente della natura di isola incantata del suo Giardino, Niki de Saint Phalle  si astenne dall’ideare il luogo d’ingresso e la cinta perimetrale: questi manufatti, vere e proprie soglie tra due dimensioni, non le appartenevano più e delegò il loro progetto all’amico Mario Botta, che così descrive l’idea che lo ha guidato:
Ho cercato di separare il Giardino dalla quotidianità rappresentata dallo spazio esterno, in modo da dividere le due realtà. E’ nato così un muro di recinzione che via via nel progetto ha preso sempre più spessore per conservare al proprio interno quei servizi richiesti da un’attività di transito; e una sola grande apertura circolare introduce il visitatore nel mondo magico del giardino”.
Dal 1983 il Giardino dei Tarocchi è stato aperto al pubblico. Per espressa richiesta dell’artista, non è stata previsto alcun tipo di visita guidata, una scelta che vuole invitare il visitatore a comporre e ri-comporre personalmente il viaggio attraverso questo microcosmo incantato.

 


LITTLE SPARTA

 

Data di costruzione:  

 

1966  - realizzazione non conclusa

Località:

Dunsyre,  Ross-Shire,  regione del Pentland Hills,  Scozia, Gran Bretagna

Progettista:

Ian  Hamilton Finlay

Collaboratori:

Sue Finlay e numerosi  scultori e artisti

Tipologia:

giardino contemporaneo realizzato da artista

 

Il giardino "poetico-filosofico" di Little Sparta, realizzato dal  poeta scozzese Ian Hamilton Finlay, a partire dalla fine degli anni sessanta, nelle terre selvagge del Dunsyre a sud di Edimburgo,  rappresenta la prima applicazione della sua opera di poeta all'arte del giardino. Il lavoro di Finlay si colloca all'interno della cosiddetta "poesia concreta", nella quale il significante di una parola e l'aspetto grafico-iconico dei caratteri, si uniscono al significato del testo, dando vita a svariate elaborazioni nelle quali poesia e supporto si fondono in un unico manufatto. Una numerosa serie di oggetti-poemi, quali: frammenti di pietra incisa, sedili, epigrafi, piccole sculture, fontane e meridiane,  sono stati realizzati negli anni successivi e collocati nel giardino che ha ampliato  nel tempo la sua estensione.  La fisionomia neoclassica e pittoresca di questi reperti e delle sistemazioni scenografiche in cui essi sono inseriti, è animata  da un'intenzione artistica critica e ironica, rivolta all'analisi attenta e impietosa degli aspetti contraddittori della realtà contemporanea.

 


IL GIARDINO DELLA CASA DA TÈ

 

Data di costruzione:  

 

1999 - 2001

Località:

Certaldo,  Firenze,  Toscana,  Italia

Progettista:

Hidetoshi Nagasawa

Collaboratori:

Associazione Dopopaesaggio,  Servizio tecnico del comune di Certaldo

Tipologia:

Giardino realizzato da artista contemporaneo


 

COLLEZIONE GORI DI VILLA CELLE

 

Data di costruzione:  

 

1982 - collezione in continua espansione

Località:

Fattoria di Celle,  Santomato di Pistoia,  Pistoia,  Toscana,  Italia

Progettista:

Giuliano Gori

Collaboratori:

numerosi artisti contemporanei

Tipologia:

giardino per l'arte contemporanea

 


 

ERD-ENERGIE-SPUREN
(Tracciando le energie della terra, sopra e sotto il suolo)

 

Data di costruzione:  

 

1997  - 1998

Località:

Mechtemberg, tra le città di Bochum, Essen e Gelsenkirchen, Nord-Westfalia, Germania

Progettista:

Peter Strauss

Collaboratori:

Hartmut Solmsdorf, paesaggista e Bernhard Stricker, agricoltore

Tipologia:

installazione temporanea

 

 All'interno di un ampio triangolo di terreno di circa 290 ettari, tra le città di Bochum, Essen e Gelsenkirchen, è situato un raro reperto delle terre della Nord-Westfalia: la collina di Mechtemberg, l'unico promontorio naturale della parte più settentrionale della Ruhr. L'ex bacino industriale è infatti disseminato di montagnole artificiali, che costituiscono i residui della lavorazione del carbone. Il governo regionale, in concomitanza con l'IBA Emscher Park ed il progetto di recupero della regione da essa sostenuto, decisero di valorizzare questa preziosa conformazione naturale, conferendole il ruolo di "sede" e "supporto" di interventi temporanei di Landscape Art.   Dopo un primo esperimento inaugurato dall'IBA nel 1994, al successivo concorso del 1997, fu selezionato l'artista tedesco Peter Strauss, il quale, in collaborazione con l'architetto del paesaggio Hartmut Solmsdorf ed un agricoltore locale, realizzò un imponente lavoro di manipolazione "pittorica" del paesaggio.  Attraverso la semina e la coltivazione di erbe da campo e piante leguminose con fioriture di diversi colori, Peter Strauss ha eseguito un vastissimo dipinto vivente, definito da linee nette e da campiture piatte e monocrome.  Dopo aver effettuato una ricerca storica sull'antica collina -  ricca di reperti archeologici, sede di saghe mitiche e attraversata da lunghe gallerie minerarie - P. Strauss ha condotto un ulteriore indagine utilizzando la rabdomanzia e giungendo a definire una griglia geometrica di linee e punti.  Le fioriture di diversi colori, le direzioni dei tracciati lineari,  i loro incroci evidenziati, l'ampiezza delle campiture vegetali, manifestano e svelano le tracce di correnti sotterranee e rendono evidenti - attraverso l'arte - un'ipotetica struttura nascosta del paesaggio, un' espressione formalizzata e "portata in superficie" di invisibili flussi di energia.

 


"ICHNUSA È UN VULCANO"

 

Data di costruzione:  

 

giugno - luglio  2001

Località:

Cava di pietra pomice di  Ittireddu,  Sassari,  Sardegna,  Italia

Progettista:

Enzo Orti,  artista

Collaboratori:

Mario Meloni del Conservatorio di Musica di Sassari,
Giacomo Oggiano, dell'Istituto di Scienze Geologiche dell'Università di Sassari,
Alessandro Zicoski, Gianni Gosdan, Fabrizio Sibona, docenti dell'Accademia di Belle Arti di Sassari,
Allievi dell'Accademia di Belle Arti di Sassari,
Associazione Atlante: Istituto Città del Mediterraneo

Tipologia:

Installazione temporanea


 

WASTELANDS  MAP AMSTERDAM:
A GUIDE TO THE EMPTY SITES OF THE CITY

 

Data di costruzione:  

 

1999

Località:

Amsterdam, Olanda

Progettista:

Lara Almarcegui,  artista

Collaboratori:

 

Tipologia:

Installazione temporanea

 


 

 

Giardini e Parchi Contemporanei: Tematiche Specifiche
Giardini e Parchi Tematici


JARDÌ BOTANIC DE BARCELONA

 

Data di costruzione:  

 

1998 - 1999

Località:

Montagna di Montjuïc,  Barcellona,  Spagna

Progettista:

Bet Figueras,  Carlos Ferrater,  Josep Llìs Canosa

Collaboratori:

J. Pedrola,  Andrew Savage

Tipologia:

orto botanico contemporaneo

 


 

THERAPEUTIC GARDEN FOR CHILDREN

 

Data di costruzione:  

 

1993  -  1996

Località:

Wellesley, Boston,  Massachusetts,  U.S.A.

Progettista:

Douglas Reed e Dott. Sebastiano Santostefano

Collaboratori:

Douglas Reed Landscape Architecture Inc.

Tipologia:

Giardino terapeutico

 

Il "Therapeutic Garden for Children", situato nella cittadina di Wellesley, nei pressi di Boston, è la realizzazione del desiderio da anni perseguito dal Dott. Sebastiano Santostefano: trasformare i terreni adiacenti alla sede dell"'Institute for Child and Adolescent Developpment" - da lui diretto -  in un grande giardino,  il cui disegno rispondesse a particolari esigenze didattiche e terapeutiche, finalizzate a coadiuvare le attività di cura e assistenza praticate dal centro medico.   L'Istituto di Wellesley già da alcuni anni si occupava della cura di bambini afflitti da disturbi psicosomatici provocati da traumi vissuti e segnati da violenze o da gravi malattie.  Durante la lunga esperienza accumulata come psicologo e terapeuta, il Dott. Santostefano aveva posto particolare attenzione al tipo di sinergia che si veniva a creare tra i suoi giovani pazienti e l'ambiente naturale in cui essi giocavano o riposavano.  La reazione al contatto con gli elementi della natura, la percezione delle diverse conformazioni del paesaggio, furono i soggetti da lui indagati, nel tentativo di definire alcuni parametri utili alla realizzazione di spazi aperti in grado di coniugare: natura e terapia.
Le virtù terapeutiche degli ambienti naturali, di parchi e giardini o, più in generale, del contatto con la natura,  non rappresentano certo una novità e una scoperta recente della medicina contemporanea.  Il giardino inteso come luogo per la rigenerazione fisica e mentale dell'essere umano, fa parte - da molti secoli -  della storia delle arti mediche e della cura della salute.  Tuttavia, l'attuale scienza medica ha a lungo trascurato e sottovalutato le potenzialità benefiche dell'ambiente naturale nella cura delle malattie.  La riscoperta dell'utilità di questa preziosa relazione si è attivata - in questi ultimi decenni - all'interno di discipline come: la medicina, la psicologia, l'orticoltura e l'architettura del paesaggio e ha dato luogo a ricerche scientifiche "incrociate", nonché alla realizzazione di progetti di alcuni giardini "terapeutici". I casi realizzati di orti e giardini terapeutici sono, tuttavia, ancora poco numerosi e lo studio sistematico dei benefici di questi spazi in relazione alle diverse patologie, si presenta ad uno stadio iniziale.
Le deduzioni scaturite dalle osservazioni fatte in diversi anni dallo psicoterapeuta americano, fornirono all'architetto del paesaggio Douglas Reed i dati essenziali e le linee guida ai quali sottomettere il progetto del giardino. La stretta collaborazione fra i due professionisti, fu essenziale alla definizione delle soluzioni formali che compongono la sua fisionomia. 
Il terreno annesso all'istituto consisteva, originariamente, in un'area semiselvaggia dell'estensione di quasi mezzo ettaro, la cui superficie ondulata era cosparsa da esemplari adulti di querce e betulle oltre che da numerosi arbusti e piante da sottobosco.  Questa massa di vegetazione fu completamente salvaguardata e costituì il riferimento spaziale per i successivi interventi.  Le ricerche effettuate sulla storia del sito, rivelarono l'antica presenza di un corso d'acqua: esso solcava, un tempo, una stretta vallata affiancata da basse colline. La successiva deviazione del flusso d'acqua trasformò la piccola valle in un ripiano erboso riparato da montagnole boscate.   La conformazione originaria del luogo ispirò in Douglas Reed il desiderio di ri-creare il percorso d'acqua e realizzare una sorta di torrentello meandreggiante alimentato da una sorgente.  La costruzione del canale d'acqua costituisce l'intervento principale e centrale dell'intero giardino. Il ruscello disegna sul manto d'erba una linea sottile e sinuosa, che percorre nel suo lungo tragitto, l'intera ampiezza del giardino, riconducendo a sé ogni tappa intermedia. La successione delle diverse ambientazioni e invenzioni formali, rappresenta - simbolicamente -  l'intreccio degli episodi di un racconto: esse costituiscono le vicende spazialmente localizzate di una "storia" e sono scandite secondo una trama precisa e finalizzata.
"Il progetto esprime il racconto di un corso d'acqua che s'inoltra nel sito, collegando una sequenza di spazi corrispondente agli stadi della guarigione di un bambino". (D. Reed,  da un'intervista)
Il racconto ha inizio nell'area adiacente all'istituto: sulla vasta terrazza rivestita in pietra è stata collocata una bassa vasca circolare in granito grigioverde, una sorta di sorgente specchiante, silenziosa e dall'aspetto misterioso.  L'acqua che sgorga alla sua base, ne supera il bordo superiore e tracimando alimenta il ruscello che attraversa il giardino. Il passaggio dell'acqua dal terrazzo al prato sottostante, è evidenziato da una cascatella realizzata con cinque tubi di acciaio inossidabile affondati nel muro di sostegno del terrazzo.  Da questo punto ha inizio il percorso serpeggiante del piccolo ruscello, per la cui struttura è stata utilizzata una canaletta d'acciaio larga venti centimetri il cui fondo è ricoperto da piccoli ciotoli.  Il rigagnolo disegna sulla superficie del semplice prato numerose curvature e anse e trasmette - in chi lo osserva - un'immagine di gioiosa serenità, che stimola ed invita a seguirne il tragitto e dunque ad affrontare l'esplorazione del giardino.  Le diverse vicende spaziali che ne compongono il racconto-percorso, ricreano altrettante situazioni e atmosfere che attivano nel bambino intento ad esplorarle il desiderio di affrontarle e sfidarle.  Attraverso interventi minimi e mimetizzati che assumono le sembianze di accidenti naturali, il progettista - ispirandosi ai giochi nella natura da sempre praticati dai bambini - ha realizzato alcune divertenti situazioni; tra esse troviamo ad esempio: un breve ponticello sull'acqua costruito con pietre affioranti, una piccola grotta vegetale nella quale è possibile nascondersi, un vasto e luminoso prato per i giochi di gruppo, un'area boscosa da penetrare ed esplorare, pendii brevi ma scoscesi da scalare e conquistare, nonché un'ampia vasca d'acqua - tappa terminale del ruscello - ricca di vegetazione e animaletti da osservare.  La disposizione dei singoli eventi segue una precisa logica, che prevede l'alternanza di conformazioni "introverse" o concave, ad altre "estroverse", cioè convesse e più aperte. La struttura planimetrica del giardino non è percepibile o intuibile dall'inizio del percorso-racconto; dall'ampia terrazza, infatti, non è possibile capire cosa si cela oltre le basse colline: in questo modo il racconto preserva il suo mistero e la possibilità di essere continuamente re-immaginato. 
La vegetazione utilizzata è costituita - per la maggior parte - da specie originarie della regione; le essenze legnose: querce, betulle, viburni, faggi americani, aceri, pini e cedri, coabitano con numerose piante cespugliose, quali: bosso, agrifoglio, lillà, ortensie, rododendri e felci, queste ultime mantenute nel loro portamento naturale.  Nel giardino sono state distribuite  - in modo informale e apparentemente casuale - anche numerose piante da fiore, tra esse compaiono alcune bulbose selvatiche come gli iris gialli, le scille azzurre ed i mughetti.
In questi primi anni di sperimentazione, sono stati riscontrati nei giovani pazienti risultati positivi e incoraggianti che hanno ampiamente gratificato le aspettative del Dott. Santostefano e quelle dei membri dello staff del centro medico, tanto da aver stimolato l'istituzione di un corso di formazione nel quale il giardino diviene la "sede" ed il "soggetto" per la formazione di nuovo personale paramedico e medico, destinato ad altri istituti analoghi del Massachusetts. 
Il "Therapeutic Garden for Children", costituisce il primo progetto di "giardino terapeutico" affrontato dallo studio Douglas Reed Landscape Architecture Inc.  L'alta qualità estetica del disegno del giardino, supportata dall'adempimento degli obbiettivi terapeutici ricercati, hanno valso a questo progetto il premio "President's Award of Excellence" del 1997, conferito dall'American Society of Landscape Architects (A.S.L.A.).  Per Douglas Reed ed i collaboratori del suo studio, la progettazione di questo giardino terapeutico, ha costituito un momento di arricchimento della pratica professionale dell'architettura del paesaggio e di ampliamento del significato dell'arte del giardino.
"Il Therapeutic Garden for Children, dimostra che l'interazione di uomo e paesaggio è un'esperienza dinamica e vitale che offre una promessa di consapevolezza, guarigione e trasformazione". (Douglas Reed)

 


EDEN PROJECT

 

Data di costruzione:  

 

1998  -  2001

Località:

St. Austell,  Cornovaglia,  Inghilterra

Progettista:

Tim Smit, ideatore del progetto
Land Use Consultants, per l'architettura del paesaggio
Nicholas Grimshaw & Partners, per l'architettura

Collaboratori:

Antony Hunt Associates, per l'ingegneria strutturale
Ove Arup & Partners, consulenza ingegneristica

Tipologia:

giardino  sperimentale

 

Nella regione della Cornovaglia, nel sud dell'Inghilterra, è stata realizzata, negli ultimi anni del XX secolo, la più grande serra mai costruita al mondo. 
Nella primavera del 1994, Tim Smit - l'ideatore di questa ambiziosa impresa - si trovava a vagare sui terreni di una grande cava di caolino dismessa, nei pressi di St. Austell. Fu allora che concepì l'idea di costruire in quel luogo, una gigantesca serra adatta ad ospitare la più ampia gamma possibile di specie vegetali provenienti da tutto il mondo, al fine di mostrare in modo evidente e spettacolare agli ipotetici futuri visitatori, l'importanza e la ricchezza del regno vegetale e la sua relazione fondamentale con la vita degli esseri umani.
Nello stesso anno Tim Smit ed il team di architetti a lui affiancatosi, diedero inizio al lavoro di ricerca dei finanziamenti e degli aiuti professionali necessari a dare vita a questo grande sogno.  L'anno seguente venne presentata l'idea dell'utopica serra-paesaggio, all'architetto inglese Nicholas Grimshaw, già progettista della monumentale copertura della stazione londinese di Waterloo. Il famoso architetto decise di affrontare l'impresa e, con il suo studio,  elaborò nell'anno seguente  il modello e l'impostazione generale del progetto.
Una fortunata coincidenza permise a Tim Smit di accedere agli ingenti fondi che il "Millenium Found" metteva - proprio in quegli anni - a disposizione di un numero ristretto e selezionato di progetti inglesi, che esprimessero un'intenzione di raccordo ed evoluzione tra il vecchio millennio ed il XXI secolo.  Questa organizzazione istituita negli anni '90 dal governo della Gran Bretagna, aveva lo scopo di finanziare, attraverso i fondi accumulati dalla lotteria nazionale, alcuni esemplari progetti, caratterizzati da una visione etica, ecologica e di utilità sociale.   Dopo alcuni tentativi fallimentari, Tim Smit ed il suo gruppo di professionisti, ottennero finalmente nel 1997, l'approvazione del progetto da parte del "Millenium Commission" ed un primo finanziamento di 37 milioni di sterline.
L'ostacolo che dovette essere successivamente affrontato, era costituito dalla natura instabile ed insidiosa dei terreni sui quali la grande serra avrebbe dovuto sorgere. Il suolo dell'amplissima cava a forma di cono rovesciato, tendevano facilmente a franare e le abbondanti piogge ne allagavano di frequente il fondo.  La difficoltà maggiore era rappresentata, però, dalla completa assenza di suolo fertile, necessario ad alimentare l'abbondante vegetazione che avrebbe dovuto radicare in quel terreno.   Un gruppo di specialisti elaborò una miscela formata dagli scarti della cava di caolino e da un terriccio prodotto dal compostaggio di rifiuti organici.  1.8 milioni di tonnellate di nuovo suolo fu trasportato sul sito, per creare con esso lo strato-base del terreno, e rivestire  le pareti dell'intera cava.  Diversi strati di stuoie e una rete di canali sotterranei, furono predisposti sul fondo per consentire il drenaggio dell'acqua dal terreno.
L'inizio dei lavori di costruzione delle serre, venne finalmente varato nell'ottobre del 1998.
La struttura dell'Eden Project, si estende sui terreni ricostituiti della cava per quasi 15 ettari ed è composta da cinque cupole geodesiche di gigantesche dimensioni, affiancate da altre di minore ampiezza.  Il modulo base delle grandi serre semisferiche è costituito da pannelli esagonali e pentagonali. Il progetto è stato elaborato utilizzando un complesso programma computerizzato per modelli in 3D. La produzione industriale delle strutture modulari è avvenuta tramite il passaggio diretto dei dati del progetto, alla linea, anch'essa computerizzata di produzione dei profilati e dei pannelli. 
L'immenso esoscheletro in acciaio galvanizzato tubolare delle cupole, è stato "riempito", pezzo dopo pezzo - come se si trattasse di un grande gioco di meccano - dai pannelli poligonali prodotti,  numerati e posizionati nello spazio assegnato ad ognuno di essi. Ventidue operai specializzati, abbardati con imbacature e sostenuti da funi, lavorarono per diversi mesi all'assemblaggio delle grandi cupole.   Il materiale della copertura fu selezionato dopo accurati studi ed esperimenti di laboratorio. L'uso del vetro fu subito scartato, perché troppo pesante, inflessibile e pericoloso. I pentagoni e gli esagoni vennero realizzati in EFTE (ethyl tetra fluoro ethylene)  , un materiale disponibile in fogli modellabili, che risulta: resistente, leggero, antistatico, molto trasparente ai raggi UVA, non deteriorabile dalla luce solare e con ottime proprietà isolanti.  Ogni singolo pannello - composto da tre strati di EFTE -  è collegato, tramite sensori, ad un sistema generale di controllo  che  ne regola la capacità di compensare la variazione dei carichi causata dal vento e dalla neve.
I giganteschi volumi geodesici, contengono e mantengono in vita le comunità vegetali specifiche di alcuni biomi planetari, riproducendone in modo artificiale le caratteristiche climatiche.  La cupola contenente il Bioma Tropicale, è tra tutte la più vasta: la  sua superficie è di 36.000 mq e raggiunge i 60 metri nel punto di massima altezza.  Essa è stata collocata sul versante sud della cava ed ospita centinaia di specie di piante provenienti dall'Amazzonia, dall'Africa Occidentale, dalla Malesia e dall'Oceania. I percorsi sono stati realizzati in modo da permettere ai visitatori di sperimentare una sorta di viaggio tra le cime degli alberi, tramite passerelle che raggiungono i punti più elevati della cupola. Una cascata ed intermittenti "piogge tropicali" sono alimentate con acqua piovana raccolta o riciclata nel sito.
Il Bioma Caldo Temperato,   ospita la vegetazione che caratterizza tre differenti zone del pianeta Terra: il Sud Africa, il Mediterraneo e la California. Tra le varie comunità vegetali lì presenti vi sono "riprodotte" piantagioni di ulivi e filari di vigneti.
Un altro geode, dell'estensione di 12 ettari, ospita la vegetazione del tipico clima temperato del sud Inghilterra, abbinandola ad altre specie provenienti dal Cile, dall'Himalaya e dall'Australia.
La concezione di fondo, alla base dell'ambizioso progetto, invita alla cooperazione tra le diverse discipline, al fine di attuare una sintesi proficua dei specifici contributi per direzionarla verso un unico scopo:  avviare un percorso di conoscenza approfondita e di collaborazione equilibrata e sostenibile, tra regno vegetale ed esseri umani.  Oltre al lavoro degli architetti, ingegneri, botanici e biologi, anche i prodotti dell'arte hanno ampiamente contribuito alla realizzazione di quest'opera.
La struttura è completata dalla presenza di un ristorante, di un anfiteatro all'aperto, di numerosi edifici di servizio e di un vivaio acquistato dall'istituzione e predisposto alla produzione di nuove piante destinate a popolare i biomi.
E' inevitabile ricollegare l'ideazione di questo progetto, agli episodi passati della storia dell'architettura inglese, legati alla costruzione di grandi serre e alla composizione di vaste collezioni botaniche;  il rimando alla grande serra di Joseph Paxton è d'obbligo, come pure quello per le "Case per palme" di Decimus Burton e Richard Turner.
Se il carattere eccessivamente "espressionista" della sua conformazione e lo spirito un po' esibizionista che lo anima, lo rendono simile ad un grande parco di divertimenti, indebolendone in parte il messaggio,  "the Eden Project" mantiene - nonostante ciò - la freschezza dell'idea che lo ha generato, espressa dallo spirito di gratitudine per il regno vegetale e dalla percezione di una necessaria "sostenibilità" di ogni azione futura dell'uomo.
Le numerose iniziative didattiche rivolte a bambini ed adulti, la collaborazione con partner industriali, con istituti di ricerca, università ed associazioni ecologiche, sono tutte rivolte a mantenere fede all'obbiettivo enunciato dallo statuto dell'istituzione:
"La missione dell'Eden Project è di mostrare come noi esseri umani condividiamo il nostro mondo con le piante e di come - attraverso la storia  e ancora prima - siamo stati dipendenti da esse per l'aria che respiriamo, gli indumenti che indossiamo, il cibo che mangiamo e il rifugio di cui abbiamo bisogno per ripararci. Oltre a ciò l'Eden Project, spera di condividere con tutti noi l'importanza di conoscere come usare adeguatamente queste preziose risorse, in modo da stimolare in ognuno,  il senso di responsabilità per il futuro del nostro pianeta.
Una parte dei profitti prodotti dall'Eden Project, saranno utilizzati per finanziare i programmi di ricerca patronati da AGENDA 21: il programma d'azione delle Nazioni Unite, adottato nel 1992 durante la conferenza sull'ambiente di Rio de Janeiro, per i programmi a lungo termine sugli habitat umani.

 


 


CARTUJA 93

 

Data di costruzione:  

 

1993 (prosecuzione delle iniziative dell'EXPO' 92)

Località:

Siviglia,  Spagna

Progettista:

José Antonio Fernàndez Ordòñez  e  Emilio Ambasz

Collaboratori:

dello studio associato di ingegneria F. Ordòñez e
dello studio associato di architettura E. Ambasz

Tipologia:

parco di fiera

 

Il fervore innescato dall'esposizione universale di Siviglia del 1992 ed i numerosi miglioramenti da essa apportati alla struttura economica e territoriale della città, sono stati raccolti ed amplificati dal progetto successivamente adottato dal comune di Siviglia, denominato: Cartuja 93. L'Isola di "La Cartuja" - la sede prescelta per l'EXPO' 92 - è una delle conformazioni naturali che più caratterizzano il territorio della città.  Dei 450 ettari a disposizione, 250 vennero occupati dalle strutture della grande fiera del '92.  Il progetto di Cartuja 93 ebbe come principale obbiettivo la messa a frutto degli ingenti investimenti messi in moto dalla precedente iniziativa, per realizzare grazie ad essi nuove infrastrutture e spazi pubblici per la città di Siviglia, dirigendoli verso due principali campi tematici: da un lato quello di natura scientifica e tecnologica, dall'altro quello di natura culturale. Un parco scientifico e tecnologico, la sede di un campus universitario, due parchi urbani e infrastrutture per lo sport, rappresentano i principali contributi apportati dal progetto di Cartuja 93.

 


FESTIVAL INTERNATIONAL DES JARDINS

 

Data di costruzione:  

 

inaugurato nel 1992;   si ripete ogni anno

Località:

Chaumont-sur-Loire, Francia

Progettista:

Jean-Paul Pigeat, ideatore della manifestazione

Collaboratori:

Jacques Wirtz, progettista del parco che ospita il Festival

Tipologia:

festival dei giardini

 


 

VOLKSTUINEN IN ROTTERDAM

 

Data di costruzione:  

 

dalla seconda metà del XX secolo (data non precisabile)

Località:

Rotterdam, Olanda

Progettista:

i singoli "proprietari" dei più di 5000 orti urbani di Rotterdam

Collaboratori:

 

Tipologia:

orto urbano

 


Giardini e Parchi Contemporanei: Tematiche Specifiche
Giardini e Parchi  Commemorativi


TOMBA BRION

 

Data di costruzione:  

 

1969 - 1978

Località:

San Vito d'Altivole,  provincia di Treviso, regione Veneto,  Italia

Progettista:

Carlo Scarpa

Collaboratori:

G. Pietropoli,  C. Maschietto

Tipologia:

cimitero

 

Nell'alta provincia trevigiana, a pochi chilometri da Asolo, si delinea - circondata da campi coltivati a mais - la sagoma della tomba monumentale della famiglia Brion e del contiguo cimitero di San Vito d'Altivole, che, con il suo muraglione continuo ed inclinato, la circonda completamente, donandole l'aspetto di una moderna cittadella murata.
Questa complessa struttura paesistico-architettonica, è considerata da molti studiosi il lavoro più complesso ed approfondito dell'architetto veneto Carlo Scarpa, una sorta di "trattato che raccoglie in termini architettonici, il suo pensiero teorico". Lo stesso Scarpa dimostrò uno speciale attaccamento a quest'opera, manifestato dagli oltre mille disegni preparatori di progetto, che evidenziano un attentissimo studio di ogni minimo dettaglio ed una cosciente ricerca dei significati correlati al disegno delle diverse strutture architettoniche e delle relazioni spaziali tra esse. In una conferenza tenutasi a Madrid nel 1978, Scarpa si espresse a questo proposito: "Questo è l'unico lavoro che vado a vedere volentieri, perché mi sembra di aver conquistato il senso della campagna, come volevano i Brion. Tutti ci vanno con molto affetto, i bambini giocano i cani corrono: bisognerebbe fare tutti i cimiteri così".
Il terreno di proprietà della famiglia Brion, nella sua estensione originaria di circa 68 mq., consisteva in un lotto rettangolare, comprendente una piccola cappella neoclassica.  Dopo gli iniziali abbozzi di progetto, l'area si rivelò troppo angusta.   La famiglia Brion procedette, allora, all'acquisto di un più vasto terreno:  l'area arrivò ad un'estensione di più di duemila metriquadrati, assumendo una forma ad "L", distesa accanto ai due lati est e nord del vecchio cimitero di San Vito.  Questo grande salto di scala fece mutare radicalmente la natura iniziale del progetto - il quale, oltre ad estendere la propria funzione di tomba privata a quella di luogo a servizio dell'intero cimitero di San Vito - disciolse quella concezione di puro oggetto architettonico isolato, sostituendola con l'ideazione di un paesaggio complesso, in cui i singoli manufatti architettonici funzionavano da episodi di un percorso all'interno del quale il visitatore poteva godere di un'ampia libertà di movimento. Sulla natura della conformazione finale del progetto, Scarpa si espresse chiaramente:
"Il luogo dei morti ha il senso di un giardino: del resto i grandi cimiteri americani del XIX secolo a Chicago sono dei grandi parchi. (...) Adesso i cimiteri sono pile di scatole da scarpe sovrapposte meccanicamente. Allora bisogna dimostrare alla società, (...) far capire alla gente, quale potrebbe essere il senso della morte, dell'eternità e del transitorio e non queste gabbie per conigli". (Intervista  di Philippe Duboy)
Arrivando dalla campagna circostante e procedendo  verso il cimitero, incappiamo nel lungo setto che lo circonda: un muro di cemento armato inclinato di 60 gradi verso l'interno e scandito in modo regolare da una serie di contrafforti verticali. L'area così "recintata", venne sopraelevata con un riporto di terra, realizzando in tal modo un dislivello di ben 75 centimetri. Questa scelta progettuale permette al visitatore di inglobare nella propria visuale il paesaggio delle colline asolane, che diventa così parte integrante della struttura scenografica dell'area. Al contrario, per chi si trova all'esterno, la vista non può oltrepassare il muro di cinta e viene  così  mantenuta la natura di luogo conchiuso di questa tomba-giardino.
L'accesso al cimitero Brion è permesso attraverso due varchi: uno lo collega direttamente con l'esterno, l'altro conduce allo sbocco finale del viale centrale del cimitero di San Vito.
Questa tradizionale via d'accesso divenne - per il progetto - l'asse di simmetria che infuse in ogni manufatto interno al recinto, il proprio segno,  in modo analogo o contrapposto.
Il vasto spazio delimitato è contrassegnato da tre luoghi importanti:
- lo stagno con il padiglione sull'acqua, nell'estremità sud dell'area ad "L",
- il cosiddetto "Arcosolio", collocato nell'angolo: punto baricentrico dell'intera area,
- la cappella, all'opposta estremità della "L", verso ovest.
In molte delle tappe del percorso interno al cimitero, ritroviamo l'espressione formalizzata del concetto di "passaggio". Così il luogo dei sarcofagi dei coniugi Brion, "l'arcosolio", assume l'aspetto di un arco ribassato:  un ponte attraversabile, che collega due diverse zone del cimitero e al di sotto del quale - guardate dalla volta ricoperta di tessere di mosaico - si trovano le tombe dei due proprietari.
Anche la cubica cappella-chiesetta, all'estremità ovest dell'area - che sorge al centro di una vasca d'acqua, sotto la cui superficie appaiono le forme sfocate di gradonate in calcestruzzo - presenta su di un lato una seconda uscita che, dopo aver solcato il pelo dell'acqua calpestando le rettangolari zolle affioranti, ci conduce verso un piccolo giardino racchiuso: l'hortus cupressus.  Esso è plantumato con dodici cipressi attentamente disposti: si tratta di un cimitero destinato ai religiosi, un luogo che realizza una barriera visiva rispetto all'esterno e che si pone, quindi, quale ambito privilegiato per la contemplazione. I ristretti ruscelli incanalati che convogliano l'acqua mossa da un lento movimento attraverso le diverse zone del sito,   rimandano inevitabilmente alle lunghe linee d'acqua dei giardini islamici; da una polla in prossimità dell'arcosolio, origina un ruscello d'acqua sorgiva  che si riversa nella grande vasca all'estremità sud dell'area.  Una passerella collega il cimitero all'isola galleggiante del piccolo padiglione per la meditazione, l'unico luogo privato dell'intero sito reso inaccessibile ai visitatori. Nella vasca, tra le piante di ninfea affiora una forma simbolica: una croce-labirinto.
Le aree identificate sono distanziate ed intervallate da ampi prati di forma regolare.
Nell'intervista rilasciata a Philippe Duboy, Scarpa esprime l'intenzione profonda che ha guidato il progetto:
"(...)in questo piccolo lavoro...che trovo abbastanza buono,...ho cercato di mettere... della fantasia poetica, ...per fare un certo tipo di architettura da dove emani un senso di poesia per ragioni di carattere formale, cioè, la forma espressa possa diventare poesia... La società non domanda sempre la poesia. La poesia non è che sia cosa di tutti i giorni... Ho voluto, però, rendere il senso del concetto di acqua e prato, di acqua e terra: l'acqua è sorgente di vita".

 


 

CIMITERO DI SKOVLUNDE

 

Data di costruzione:  

 

1993 - 1994

Località:

Skovlunde,  Danimarca

Progettista:

Malene Hauxner

Collaboratori:

 

Tipologia:

cimitero


VIETNAM VETERANS MEMORIAL

 

Data di costruzione:  

 

1982

Località:

Washington, D.C.,  U.S.A.

Progettista:

Maya Ying Lin

Collaboratori:

W. Kent Cooper (per l'architettura)
Henry Arnold Associates and Edaw (per l'architettura del paesaggio)
James Madison Cutts (ingegneria strutturale)
Bernard F. Locraft (ingegneria civile)

Tipologia:

parco commemorativo

 

Fonte: http://www.ocs.polito.it/biblioteca/giardini/doc/schede/schede.doc

Sito web da visitare: http://www.ocs.polito.it

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.

 

Giardini e parchi pubblici - privati

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

Giardini e parchi pubblici - privati

 

"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco

www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve

 

Argomenti

Termini d' uso, cookies e privacy

Contatti

Cerca nel sito

 

 

Giardini e parchi pubblici - privati