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L'Albania agli occhi dei viaggiatori stranieri: un paese così vicino, così lontano.
di Klodeta Dibra* e Giovanni Sega**
Obiettivi didattici
* Decano della Facoltà di Lingue Straniere nell’Università di Tirana (nn. 1-5)
** Lettore di Italiano presso L’Università di Tirana (nn. 6-9)
Indice
1. Oltre il muro d’acqua
2. I Morlacchi, un popolo misterioso e selvaggio.
3. Albania! aspra, nutrice di uomini selvaggi. Lo sguardo di Byron.
4. I viaggi missionari in Albania nel secolo XVII
5. L’Albania agli occhi di un diplomatico della Sublime Porta
6. Le leggende più belle dell’Albania
7. La gente del nord
8. L’Albania ed Elbasan agli occhi di un viaggiatore in bicicletta
9. Le donne scoprono l’Albania
Bibliografia
Sitografia
L'Albania agli occhi dei viaggiatori stranieri: un paese così vicino, così lontano.
Intorno a noi c’era un mondo sconosciuto che brulicava, magmatico e corale. Vicino nello spazio eppure lontano nell’assetto culturale e politico.
(Raffaele Nigro)
1. Oltre il muro d’acqua
La frase posta a epigrafe di questo testo è estratta dal bel racconto-saggio di Raffaele Nigro, Oltre il muro d’acqua, inserito in una delle preziose raccolte nate all’interno dei progetti incentrati sul viaggio Adriatico . Lo scrittore lucano ricostruisce con rapidi ed efficaci tratti biografici gli anni difficili delle moderne migrazioni, con particolare attenzione al mare Adriatico, solcato da est a ovest da imbarcazioni di ogni tipo. Egli, uomo della collina , era approdato nel 1967 a Bari per seguire gli studi universitari e poté conoscere direttamente quel mare, dal quale secoli prima, al tempo di Skanderbeg, erano approdate in Italia, e anche nella sua Lucania, i primi migranti albanesi . Il mare Adriatico, in effetti, che divide l’Italia del vicino oriente, è stato un mare di comunicazione, ma ad un certo punto è diventato un confine insormontabile, per molte ragioni. Da lì erano venuti i primi Arbresh, gli Illiri e i Dauni che avevano popolato le colline del Salento, lasciando le loro tracce negli arredi tombali venuti alla luce negli scavi della “speculazione edilizia degli anni Sessanta” .
E l’Adriatico, con i suoi venti che si infilavano nella stretta di Otranto o che si catapultavano dalle Alpi e radevano i ponti e le isole di Venezia, i venti che infebbravano il mare lambendo le nevi dei Balcani portavano con sé le canzoni, i lamenti, le attese e i sogni di molti popoli, le tradizioni e le fiabe di quella gran confusione di culture che è sempre stato il bacino adriatico. Se l’Italia e la Grecia erano i luoghi della classicità e della filosofia, i luoghi della razionalità olimpica e del numero, i Balcani erano l’ombelico dell’inferno, il territorio sconfinato di una medievalità tumultuosa e migrante, le pianure percorse dagli invasori turchi e caucasici le montagne dello scontro tra cristianesimo e islamismo. Dopo la classicità, che aveva visto nascere persino una manciata di imperatori sull’Adriatico, dopo i diverbi tra impero d’Oriente e d’Occidente, gli unici a uniformare le culture erano stati oltre il Senato della Repubblica, forse i pittori, le botteghe venete dei Vivarini, del Mantegna, di Cima da Conegliano, dei vetrai di Murano, i pittori del Tre e Quattrocento, gli esempi diffusi dai giotteschi e dai rinascimentali tra i molti monasteri serbi e kossovari. […]
Ma sull’Adriatico si respirava allora un clima molto particolare. Tra le due sponde c’era un muro. Un integralismo politico che fomentava l’odio, il rancore e la crociata. Era come se il muro di Berlino che divideva l’Europa, da Trieste si sollevasse con mattoni di acqua e di schiuma. Era il muro d’acqua dell’Adriatico, una cortina calata dall’Impero Ottomano nella parte centro meridionale e dall’Impero austroungarico in quello settentrionale. Quando alla fine dell’Ottocento gli imperi erano crollati, ecco che si era sostituita da un lato la cultura sovietica e dall’altro il liberismo atlantico. Ma per la mia generazione era un accerchiamento insopportabile, una prigione che alla luce della storia diventava irreale e antistorica .
È un fatto che quel confine d’acqua ha rappresentato per tanto tempo, per certi versi ancora oggi, un elemento di separazione che ha reso insieme “vicine” e “lontane” le due sponde dell’Adriatico. Ripercorreremo alcune tappe nella scoperta e nella descrizione della distanza relativa tra l’Italia e, in particolare, l’Albania, attraverso i racconti di alcuni dei viaggiatori più significativi dei secoli recenti, dall’epoca moderna la Novecento. Questo modulo è una rilettura ragionata dei 4 volumi pubblicati nell’ambito delle ricerche interadriatiche e di alcuni dei materiali depositati nel Portale
del Centro interuniversitario internazionale sul viaggio adriatico (CISVA): http://www.viaggioadriatico.it/ViaggiADR
2. I Morlacchi, un popolo misterioso e selvaggio
L’opposizione vicino-lontano è centrale nel saggio di Pavle Sekerus, dedicato al viaggio dell’abate italiano Alberto Fortis (1748-1803), filologo e naturalista, bibliotecario a Bologne e segretario dell’Istituto Nazionale Italiano . Il suo viaggio in Dalmazia, pubblicato in due volumi nel 1774, Viaggio in Dalmatia, è divenuto celebre per
un breve capitolo, che si distacca dal resto del racconto, dedicato prevalentemente alle ricerche naturalistiche.
Questo capitolo, intitolato I costumi dei Morlacchi, rivela all’Europa l’esistenza dei Morlacchi, il popolo geograficamente così vicino ma culturalmente lontanissimo. La descrizione dei Morlacchi fatta dall’abate Fortis è tale che la vicinanza dell’altra sponda dell’Adriatico e la sua relativamente facile traversata diventa, in termini antropologici, così ricca di scoperte come la traversata dell’Oceano Pacifico. In questo senso Fortis è un nuovo capitano Cook, che proprio in quegli stessi anni, tra il 1768 e il 1769, allargò gli orizzonti delle scoperte e affascinò l’Europa dei lumi. Il viaggio nel paese dei Morlacchi, pur essendo più banale e meno pericoloso, sotto la penna di Fortis, diventa non meno pittoresco ed esotico .
Non si sa bene chi fossero i Morlacchi. Ci sono molte ipotesi sulla loro origine: sono definiti a volte Montenegrini, a volte Albanesi, discendenti dei Romani in Dalmazia, cioè Illiri romanizzati, per alcuni avrebbero legami con i Mongoli, tanto che il termine che li designa, Morlacchi, deriverebbe da Mor-Ulasi, il nome della principale tribù mongola. Il nome è probabilmente di origine bizantina e, nella forma Maurovlahos, designa i “pastori delle montagne”, gli abitanti delle zone interne della Dalmazia veneziana, le popolazioni indigene dei Balcani. Gli abitanti italianizzati della costa orientale dell’Adriatico usavano il termine Morlacchi per designare i popoli slavi del continente. Le regioni abitate dai Morlacchi slavi andavano dalla città di Zara a nord-ovest fino alla riva della Nertva a sud-est. Furono però ugualmente chiamati Morlacchi anche gli abitanti della Bosnia-Erzegovina e dell’Albania che sotto la pressione dei Turchi si rifugiarono in Istria. Dal secolo XVII essi però non sono più un popolo a parte, ma si confondono con gli Sloveni, gli Illiri, i Serbo-Croati.
L’originalità del capitolo sui Morlacchi consiste nel fatto di essere stato uno dei testi pionieri dell’antropologia moderna. I lettori europei, affascinati dalla poesia che emana da quella condizione selvaggia e primitiva, piena di nobilità, dei popoli barbari, trovano nel testo di Fortis le medesime atmosfere che ci sono in Rousseau e James Macpherson. Le azioni coraggiose e feroci degli Uscocchi e degli Haîdouks, le virtù semplici e primitive, i loro costumi, le loro danze, la loro musica e soprattutto la loro poesia suscitano la curiosità generale .
L’universo dei Morlacchi dopo il libro di Fortis si concentrò su alcuni elementi facilmente riconoscibili : gli Heiduques e gli Uscocchi, i vampiri e il malocchio, i barbari e i selvaggi, il vecchio bardo e il suo strumento musicale, la guzla , i fratelli di adozione, il rapimento delle ragazze, i piatti caratteristici, l’acquavite estratta dalle prugne o raki, alcuni capi di abbigliamento come l’opanka, armi come l’hanzar.
Come si vede, le scelte lessicali e tematiche privilegiavano la componente esotica dei luoghi, dei popoli e dei costumi. Una volta fissate dalle ripetizioni, queste parole costituirono il registro tipico degli Slavi del sud, il loro tratto specifico nella cultura europea e un punto di riferimento per le immagini future. Tra tutti gli elementi che componevano questo universo, la designazione di “barbaro e selvaggio” ha suscitato l’attenzione più grande. I barbari sono un soggetto eterno della letteratura e della filosofia. Dall’epoca dell’antica Grecia, dove rappresentavano i non Greci, quelli che non parlavano in modo comprensibile, designavano l’alterità assoluta .
L’Europa fu sorpresa di trovare al suo interno, al di là di un piccolo tratto di mare, elementi tipici di civiltà esotiche e lontane. Non c’era bisogno di andare nelle Americhe o nell’Africa nera, il “primitivo” è qui vicino noi. La mitologia dei Morlacchi, tocca tangenzialmente anche la regione albanese, dalla quale forse una parte di essi proveniva. Il messaggio semplice che “i primitivi sono qui vicino a noi” si è presto mutato in ideologia è ha creato spesso stereotipi sui popoli dell’area balcanica, che ancora pesa sulla cultura europea.
3. Albania! aspra, nutrice di uomini selvaggi. Lo sguardo di Byron.
George Gordon Noel Byron, secondo le abitudini dell’aristocrazia inglese intraprese un lungo viaggio verso il sud dell’Europa, insieme con l’amico John Cam Hobhouse e il servo Flechter: Portogallo, Spagna, Gibilterra, Malta.
E fu soltanto il caso che portò Byron e Hobhouse in Albania. Dopo tre settimane di soggiorno a Malta e molte esitazioni se procedere verso Smirne o verso la Turchia Europea, fu deciso per quest’ultima soluzione per la possibilità offerta dal governor di un passaggio su un brigantino diretto a Patrasso, porto sulla costa occidentale della Morea e a Prevesa, sulle coste dell’ Albania. Byron scriveva alla madre da Prevesa il 12 novembre 1809: «Mi trovo in Turchia da qualche tempo: questo luogo è sulla costa, ma ho attraversato l’interno della provincia di Albania andando in visita
dal Pasha, – Lasciai Malta con lo Spider, brigantino da guerra, il 21 settembre, e otto giorni dopo arrivai a Prevesa». Prevesa che diventerà la tappa d’inizio di questo viaggio, non certo identificabile con l’istituzione culturale ed ideologica del Grand Tour, che invece aveva contribuito acché l’Oriente diventasse materiale inerte di quell’ Orientalismo accademico denunciato da Edward Said , quella formazione discorsiva che attraverso rimandi, locuzioni e citazioni aveva creato il mito, per così dire, omogeneizzante dell’anonimato culturale. Il viaggio all’interno dell’ampia regione pressocché inesplorata era, invece, materia di osservazione di coloro che Byron stesso aveva denominato i «Levant Lunatics» (lettera a Hobhouse, 4 ottobre 1810).
L’Albania del 1809 era una provincia della Turchia Europea, senza confini precisi. Comprendeva il Montenegro, parte della Macedonia e della Tessaglia. La parte settentrionale di questa area era considerata Albania vera e propria, la parte meridionale, dove si trovava anche Prevesa, era abitata da popolazione di origine e usanze greche. Qui Byron si incontra con un personaggio chiave della storia albanese e che fece su di lui una grande impressione: Alì Pasha.
Byron descrive Alì come uomo sulla settantina non alto, con un bel viso, occhi azzurri e barba bianca, dai modi gentili e al tempo stesso dotato di quella dignità che egli trova come tratto comune fra i Turchi. Sia Byron che Hobhouse furono sorpresi dalla cordialità dell’accoglienza anche se il poeta scriveva a sua madre «Il suo aspetto fa pensare a tutto meno che alla sua indole autentica, poiché è un tiranno inveterato,
reo delle più orribili crudeltà, molto valoroso, e così buon generale che lo chiamano il Bonaparte maomettano» .
Alì è un personaggio centrale nella costruzione di una mitologia tipica della tradizione albanese, dove la crudeltà si confonde con la fedeltà alla parola data, era già allora figura leggendaria. In una delle ballate diffuse per le valli e i monti si narrava della giovane e bella Phrosine, che pur innocente, era stata gettata viva nel lago insieme ad altre dodici donne, ciascuna racchiusa in un sacco, quando Alì Pasha scoprì che suo figlio Mouchtar si era allontanato da sua moglie. Byron ne fu molto turbato e ricorda questo incidente in una nota della sua opera The Giaour. Egli ne ebbe diretta testimonianza da una delle guardie presente alla cattura e incaricata di portare a termine il comando del crudele Vizier, e testimone del patto di silenzio che aveva accomunato le vittime.
L’estraneità dell’Albania viene puntualmente registrata da Byron in forma di visione in molti punti del suo poema Il pellegrinaggio del cavaliere Aroldo e soprattutto in una lunga lettera alla madre del 12 novembre 1809 .
Nel sud Byron ebbe modo di osservare il duro lavoro delle donne nell’aggiustare le strade dai torrenti, e quello degli uomini occupati in operazioni militari. Qui per la prima volta incontrarono gli albanesi nativi e videro i veri costumi albanesi, diversi da quelli dei greci.
Gli Albanesi disse Byron hanno i più bei costumi del mondo;
sono fatti di una lunga gonna bianca; di un mantello lavorato in oro; di una giacca e di un gilè di velluto cremisi con guarnizioni d’oro, pistole e pugnali montati su argento.
Le ragazze albanesi sono molto più belle di quelle greche e il loro costume è molto pittoresco. Raggiunsero Tepelena alle ore cinque del pomeriggio mentre il sole stava per tramontare dietro il monte Tomori13, rispecchiando la sua bellezza sul fiume Laos14.
Dietro al vasto Tomerit disceso
Era già il sole e prossimo s’udia
Venir muggendo il Laos disteso.
Mentre Byron era colpito dagli aspetti romantici del paesaggio, Hobhouse notava le strade sporche e mal costruite. Vengono ospitati nel palazzo di Alì Pascia e entrambi rimasero colpiti dalla sua strana maniera di giudicare le persone dalle orecchie, dai capelli e dalle mani per stabilire il ceto sociale, insomma una fisionomica al servizio del potere.
Circa a cinque miglia a nord-est di Tepelena visitarono delle vestigia antiche molto trascurate. Per la prima volta paesaggi di stupenda bellezza venivano rivelati al pubblico inglese europeo. Al ritorno ripercorre lo stesso itinerario, accompagnato da Fletcher, da un greco, due albanesi, un prete greco e dal compagno Hobhouse. “Mi piacciono molto gli Albanesi – scrisse alla madre, non tutti sono Turchi.”
La personalità di Byron colpì non soltanto gli studiosi stranieri ma anche gli studiosi albanesi, specie Asdreni, un grande poeta albanese, il quale dedicò una lirica a colui che apprezzava e valutava l’Albania con la gloria e il fascino di tutta la storia passata e presente .
4. I viaggi missionari in Albania nel secolo XVII
Molte informazioni si possono leggere nelle note scritte dai religiosi cattolici che hanno svolto viaggi di missione nella regione albanese per conto delle loro associazioni o delle autorità vaticane.
Artan Fida, nel suo saggio dedicato a questo argomento , ha preso in considerazione soprattutto i viaggi missionari svoltisi XVII secolo.
Questo viaggio particolare, viene ‘visto, ma anche consumato’ dall’esterno (i missionari partono dall’Italia verso la costa orientale adriatica o viceversa, anche se le notizie sul tratto di ritorno sono scarsissime), ma anche dall’interno, dentro cioè la destinazione stessa del viaggio: i missionari, per svolgere la propria attività evangelica si devono muovere sul territorio, spostarsi da una Villa (come si soleva dire) all’altra, da un posto all’altro, compiendo altri infiniti brevi o lunghi viaggi.
I missionari partono da Roma, s’imbarcano ad Ancona il più delle volte, ma anche a Venezia e raggiungono in nave la costa orientale dell’Adriatico attraccando a Ragusa (l’attuale Dubrovnik, Croazia), in quei tempi città sotto la protezione della Serenissima, e da qui, per mare ancora o per terra, via Budua, raggiungono Antivari (in Montenegro) – sede arcivescovile, proseguendo successivamente per i luoghi di missione a cui erano destinati in territorio albanese .
Le missioni religiose si erano rese necessarie per lo stato di abbandono in cui versavano sia il clero, sia i fedeli. Leggiamo qualcuno di questi rilievi, estratti dai documenti d’epoca:
Questi popoli sono quasi sempre rimasti senza Ministri sacerdoti et solo da 20 anni in qua incominciarono ad avere. Solo vi andava una o due volte all’anno qualche sacerdote de
Padri a battezzar li loro figliuoli [...] .
Essendovi al presente [a Castel di Lastua in Pastrovicchi] un tal fra Angelo da Catt[ar]o ignorant[issi]mo, [...], li popoli si lamentano di lui, per non essere stato la passata quadragesima mai alla residenza, con haverli lasciato il giorno della San[tissi]ma resuretione senza messa, [...] .
Ignoranza estrema, et incredibile. Leuati gl’alunni di questi Collegij gl’altri à pena sano legere. [...] Nel recitare l’ufficio e celebrare la Messa inghiottiscono talmente le parole che
non se l’intende cosa alcuna 5.
[...] se l’Albania e la Servia non riceverà qualche magior agiuto, in meno di 7 anni andrà a male quasi tutta quella Christianità per il puoco numero dei Vescovi, de sacerdoti di
qualche intelligenza, non mancando intanto quei puochi, che vi sono, sostentarla in quanto possono, massime coll’agiuto
dei frati osservati [...] .
I frati francescani si erano diffusi in Albania fin dalla fondazione dell’ordine ed erano gli unici religiosi cristiani rimasti dopo l’invasione turca. Ma col tempo il loro numero si era molto ridotto. Ed è proprio di uno dei padri francescani incaricati di queste missioni, fra Angelo da Bergamo, la descrizione seguente. Si tratta, certo, di osservazioni raccolte dal punto di vista di un cattolico, ma le notizie che forniscono sulla popolazione sono di grande interesse, proprio nell’ambito del tema generale di questa rassegna: l’Albania vicina e lontana.
I rapporti tra turchi e cristiani
Li turchi di Albania sono quasi tutti nativi del luogo e descendono la maggior parte da cristiani renegati e perciò si passa tra loro con molto famigliarità e tanto quasi per consuetudine: molti turchi prendono le loro mogli cristiane ma essi poi non fanno per loro moglie ai cristiani: poiché tengono essi di esser signori e i cristiani schiavi. Questi Turchi sono per natura e tratto superbissimi, ansi che si incontrano in un cristiano sia vescovo o prete o secolare, se sono a cavallo, bisogna smontare e fargli riverenza altrimenti ti pigliano il cavallo e dopo bastonano il povero cristiano disgraziato. Questi hanno le loro moschee, [...]. Le loro donne non escono mai di casa e portana velata e mascherata la faccia.
I cristiani delle montagne
Li monti sono tutti fertili e habitati. Li habitatori dei monti sono quasi tutti cristiani, i turchi habitano nelle pianure in genere. Questi cristiani dei monti sono chiamati dai turchi Haina, ladri, assassini, banditi perché essi non voglion essere soggetti ai turchi, e stanno coi turchi di continuo in guerra e li ammazzano. non cessano mai queste guerre, nelle quali vengono sopraffatti sempre i turchi. [...] Li monti sono per sé molto forti e non vi è strada che possa passar esercito, ed anco perché i cristiani ai monti sono più numerosi. Non furono mai soggiogati e se va qualche esercito colassù avendo i cristiani case di paglia i cristiani accendono le case loro e partono e si nascondono e i turchi quando sono stanchi di star la su devono ritornare ai loro paesi ed i montanari ritornano nel loro luogo e presto rifanno le loro abitazioni. [...]
Usi e costumi
Solo avanti 50 anni per combattere usavano solo lancia, spade e fulle, ma hora a poco a poco hanno fatto venire da Italia tanti archibugi pesanti e lunghi che al presente non vi è casa che non ne habbia almeno 2 o 3. Il loro vivere è molto licenzioso, tanto di estate quanto di inverno vanno quasi nudi, sono pellosi e perciò molto resistono ai patimenti e divengono molto valorosi soldati: dormono quasi tutti sulla terra o nuda o con un poco di paglia sotto herba o felci7. Hanno abbondanza di carni e di latticini. Non sono tanto amanti a lavorare la terra che perciò fanno poco formentone e poco uva, ma il loro havere consiste in latrocinii et saccheggiamenti: si accordano insieme 100 o 200 di essi e vanno in corpo a rubare e saccheggiare scorrendo infine sei giornate di cammino dentro il paese turchesco e di dominazione turca, robando a turchi specialmente. [...] Non temono né turchi né loro eserciti per esser quelli monti in tali positure che li tengono per fortezze e talmente si sono assuefatti al combatter con turchi che sono più ricchi, che essi si sono fatti ricchi in armi, di roba rubata e di altre cose militari
Sono molto diverse le condizioni della convivenza tra le due componenti della società albanese: i cosiddetti “turchi” e i cristiani.
Questi cristiani dei monti hanno le loro leggi e nelle questioni applicano tali leggi in consiglio. Ogni villa [paese] ha il suo capo e ogni volta che occorre qualche cosa questi congrega tutti quei della villa insieme e prende il parere di tutti circa la determinazione della giustizia .
I turchi hanno per somma grazia il stare in pace con loro, altrimenti non sono mai sicuri né essi né le loro case, né lasciano passar per le strade delle pianure le mercanzie coi cavalli
che le portano. Ogni volta che in questo paese viene qualche esercito o Potente Signore, il Sangiacco sempre manda chiamare li capi di quelli dei monti e li fa molti regali e presenti
a ciò che non li habbino a dar fastidio .
Gli albanesi che vivevano in pianura, all’arrivo dei Turchi furono assoggettati e accettarono, in parte, la religione musulmana, ma quelli che non si convertirono:
sono totalmente come schiavi soggetti ai turchi: quasi ogni festa li fan lavorare per servizio di essi turchi [...] li maltrattano e villaneggiano dicendogli sempre che il Gran Turco
glieli ha donati per suoi schiavi perpetui [...]. Li poveri Christiani non conoscono giorni festivi, mentre la dom[eni]ca, et altri festivi sono violentati di lavorare con propri animali li
terreni d’infedeli, senza che gli sij somministrato un bichiero d’acqua
Dalle relazione di padre Bonaventura di Palazzolo e di padre Cherubino di Valla Bona, che furono incaricati di una missione nell’agosto del 1631, si ricavano notizie e dati sulla popolazione di estremo interesse culturale e antropologico. Queste relazioni, nate da intenti non scientifici, come accadrà ai viaggiatori- scienziati dell’Ottocento e del Novecento, contengono però elementi che le rendono un utile strumento per gli studiosi delle tradizioni popolari e del folklore:
Si dorme per le case su la terra hora con un poco di paglia
hora con un pezzo di schiauina e fra li animali [...] 19.
Ci fanno Carezze questi poueri christiani Conforme lore forze. [...] Il pane le genti nelle feste ce lo portano a Casa cioe alli oratorii Vino di raro ci è portato onde da mezza quaresima sin ad agosto beueremo quasi sempre aqua ottima... solo portan a frati pane legumi pochissimo d altre cose [...] .
la maggior parte di essi caminnano e corrono coi piedi scalzi tanto sopra sassi, quanto sopra il terreno, e se pur alcuni portano le scarpe, se le fanno di cuoio crudo, tenendosi rivoltate le braghesse, aciò li restino le cosce ignude per esser più spediti e veloci al corso, portando così nell’estate, come nell’inverno puoco più in dosso, che le dette braghesse, e la sola camicia. Vanno armati di targhe, giavarine, frezze e scimitarre, con le quali armi infestano, e si sono fatti formidabili a tutti i paesi circonvicini. Puoco meglio veste la maggior parte delle donne, che si cingono solo sopra una cimarra aperta, ma incrociata inanci con le brazza ignude, puoche portando la camicia, onde aviene, che nel caminare sventillando il moto, il vento i lampi, li si scopre il nudo in ogni parte. [...] Et invidandoli a corregger questo abuso ‘per levar l’occasione al demonio di solecitar la gioventù alla libidine, tutti
rispondevano, che “in quei paesi non vi era alcuno, che ne pigliasse scandalo, essendo così l’uso del paese già antico” .
Questi fedeli sono tanto ignoranti, e legieri, che ad ogni cosa si reoltano, e in alcune sue consuetudini sono talmente ostinati, che piu tosto si lasciorebbano amazzar, che lasciarle.
Nei Monti molti stanno ostinati di far le feste alla vechia [come dicono loro] e difficilmente si possano ridur, e fan cossi, sempre [...] .
Quando morano poi hanno questo di far un banchetto nel qual inuitano assai gente. Nei monti tutta la villa, e tre uolte all anno, e benche quello che morse sia un pouero, ché
ha lasciato la sua familia pouera, se altro non havesse, che un par di boui, uuogliano far il banchetto e li mangiano ogni cosa, di modo che dopoi a quella casa lo fà dapoi bisogna, andar medicando, o robbare [...] .
Un secolo più tardi, un padre gesuita, ci ha lasciato questa ulteriore testimonianza:
Quanto poi all’ospitalità, non ebbi che ad ammirare il loro
cuore generoso. Quei montanari dai visi rugosi come cortecce, ispidi ed ossuti, lavorati dalle intemperie e dalle fatiche, gareggiavano nel trattarci con le migliori maniere e facevano alle volte una giornata di viaggio per comperare quello che pensavano tornarci di maggior gradimento .
Ancora più interessante un documento conservato nell’Archivio della S.C. de Propaganda Fide.
È un ordine con cui prescriveva ai missionari di raccogliere le notizie più varie e complete intorno al paese: la sua posizione geografica, l’orografia, le vie di comunicazione, la fauna, la flora, le ricchezze minerarie, le malattie più frequenti e i rimedi usati per curarle, lo stato dell’industria e dell’agricoltura.
1^ V.S. si contenti dare con ogni esattezza una relazione geografica esattissima di tutto il distretto dove lei esercita la sua missione la nota quì annessa che gli si manda aposta per questo effetto e non manchi di usare ogni diligenza imaginabile per haverla esattissima, e veridica. Imprimis ponga il nome del regno, e provincia nella quale sta con dare il nome anche antico ch’aveva;
6^ Se la provincia è montuosa, o piana, selvosa o aperta. E se ha strade publiche commode, o incommode a caminare: massime a piedi, cavallo, carozze, carri ecc.e se vi è qualche
modo particolare di viaggiare con sicurezza.
18^ Descriva le persone, e le qualità loro, come l’ingegno, l’inclinatione, e cose simili: statura, grandezza, complessione ecc.
19^ Descriva le case, e modi di habitare, massime se sono differenti da quelli di Italia.
20^ (minerali, e metalli),
21^ (le arti, e manifatture),
22^ (le barche, et i vascelli),
23^ (le caccie, e le pesche),
24^ (l’agricoltura).
25^ Metta tutti i nomi de luoghi, e la distanza di ogniuno dal luogo principale, cioè centrale della provincia, cioè cominciando dall’oriente, poi dall’occidente, indi dal mezzodì, e finalmente dal settentrione. Con dire per esempio dal luogo N che è in mezzo la provincia verso l’oriente si trova il luogo N distante dal detto luogo miglia ... poi il luogo N distante dal-’istesso miglia ... e così delli altri intorno: con descrivere tutto il territorio di ogni luogo geograficamente .
Attraverso queste relazioni-documento si viene a conoscere e a documentare pezzi di storia del paese, frammenti di vita, cerimonie, festività, riti, usanze, delle popolazioni non solo cattoliche di queste regioni settentrionali della Schiperia.
Per quanto la loro prosa sia tutt’altro che aurea, questi religiosi non sono davvero dei religiosi qualunque. Lo si sente al tono generale delle opere: una composta e tranquilla dignità, uno
zelo religioso, una familiarità coi buoni studi e un interesse per le memorie e le reliquie storiche che li staccano di netto tra i comuni religiosi .
5. L’Albania agli occhi di un diplomatico della Sublime Porta
Uno dei resoconti di viaggio più interessanti per l’Albania è il racconto del geografo e diplomatico turco Evliya Celebi, che nel secolo XVII, lo percorse più volte su incarico del governo dell’impero ottomano (la Sublime Porta) allo scopo di riferire sulle condizioni ambientali e sociali di un territorio ancora non ben definito nella cancelleria imperiale. I suoi resoconti di viaggio sono stati studiati nel saggio di Melisa e Suela Nexhipi .
Evliya Celebi (1611-1684), pseudonimo di Dervish Mehmed Zilli, era figlio dell’orafo di corte, che ebbe l’incarico di decorare la Moschea di Sultan Ahmet I ad Istanbul. Entrò presto in amicizia con importanti esponenti dell’aristocrazia turca e nel 1661, durante la campagna austriaca, seguì il
Sultano Mehemt IV. Ebbe vari incarichi diplomatici e, tra questi, quelli che lo portarono tre volte ad attraversare il territorio albanese.
Evliya Celebi ricevette un’educazione islamica. La sua passione per i viaggi lo faceva sognare fin da piccolo, quando il padre gli raccontava storie dei paesi lontani che aveva visitato. Nell’introduzione del suo libro Seyahatname Evliya Celebi racconta di un sogno propiziatorio che aveva fatto da ragazzino e che avrebbe legato il suo nome per sempre ai viaggi. Nel sogno gli era apparso il profeta Maometto. Celebi fu tanto contento di vederlo che per il troppo eccitamento invece di chiedergli la buona salute (in turco seƒā’at) gli chiese una vita di viaggi (in turco seyāhat). Il profeta Maometto promise di esaudire il suo desiderio, ma gli chiese di trascrivere tutto ciò che vedeva. E così quell’infaticabile viaggiatore per circa 36 anni dal 1640 al 1676 viaggerà lungo i territori dell’impero ottomano. Ma gli interessi di Evliya Çelebi non riguardano solo il viaggio e le descrizioni dei paesi da lui visitati. Era molto attratto da tutto ciò che riguardava l’arte in genere. Celebi era anche un decoratore, musicista, poeta. Tutte queste qualità si ritrovano nell’arte descrittiva e narrativa di Celebi, soccorso da una tastiera espressiva completa .
I suoi tre viaggi in Albania (dicembre 1660, febbraio 1662, estate 1670) costituiscono una miniera di informazioni sulle città, i mercati, le fortezze, le moschee e le madrasse, sugli usi e i costumi albanesi dell’epoca. Vi si ricava un’immagine dell’Albania in cui l’Islam è ovunque affermato, sebbene ci siano ancora zone e anche interi villaggi di “infedeli”.
La lingua
Gli albanesi sono pescatori, soldati, commercianti di terra e di mare. Questo posto è la casa di coraggiosi e diligenti albanesi che si guadagnano da vivere con duro lavoro. Non ci sono persone di altra nazionalità in questa città. Parlano tutti albanese, che è una lingua molto diversa dalle altre. In origine gli Albanesi erano una delle tribù di Quraysh a Mecca. Questo spiega il perché di certe parole arabe ancora in uso .
La lingua degli albanesi si chiama la lingua degli Arvanud. È una lingua deliziosa e gentile specie quando si rivolgono molto rispettosamente l’uno all’altro .
La religione
Celebi nota, e ne dà testimonianza, una pacifica e armonica convivenza tra fedeli dell’Islam e
fedeli cristiani. La condizione è particolarmente stupefacente, per lui, in una zona ad alta densità cristiana, come quella di Scutari. Quel musulmano osservante si stupisce di scoprire di trovared gli albanesi poco sensibili alle problematiche e alle pratiche della religione:
Tra gli albanesi di Scutari c’è una minoranza di cristiani dovuta alla influenza Veneziana. Se non fosse per la loro pre senza gli abitanti di Scutari si potrebbero definire benissimo come un popolo che come i Zoroastriani non sanno nulla del Libro Sacro o del Giorno del Giudizio .
La vita nella città di Delvina
La fortezza di Delvina è stata fondata dagli spagnoli, dopo passò al dominio Veneziano e poi a quello turco. La città è composta da 100 case con i tetti di tegola. Per difendersi dai banditi tutte le case hanno una torre alta con la porta di ferro e muri molto spessi. Ci sono 3 madrasse, 3 scuole elementari, 3 teqe7, 1 bagno e 3 locande, di cui la più importante è quella di Memo Pasha. Ci sono 10 fontane. Tutti gli abitanti parlano albanese [...]
La gente fa commercio di olio di oliva. Giovani e vecchi, grandi e piccini, ricchi e poveri, soldati e non, tutti adorano il vino e le bevande in genere. I giovanotti e pure gli studenti di teologia sono dei veri banditi: vanno in giro con un turbante in testa che assomiglia al nido di qualche animale. Chiunque veda questi giovani non può che mettersi a ridere .
La paura delle malattie
Tutti gli abitanti sono giovani e molto coraggiosi ma temono tantissimo la peste. Se il membro di una famiglia si ammala lo portano sul colle e lo lasciano morire di fame anche qualora il poveretto non abbia affatto la peste .
La paura dei degli agguati
Partiti da Delvina dopo un viaggio di 7 ore siamo arrivati nella fortezza di Kalassa nel distretto di Kurvelesh. Vicino alla fortezza scorre un fiume che poi sfocia nel mare di Valona. Ed è verso Valona che ora ci dirigiamo. La strada è particolarmente difficile in questo segmento non solo per il terreno roccioso, ma anche perché intorno vivono solo briganti. Ci sono nei dintorni circa 70 villaggi abitati da 20000 albanesi, tutti armati. Che dio ci guardi dal male! Loro pretendono di essere musulmani, ma non sanno nulla della religione e del giudizio finale
Le leggende
Così Celebi ricostruisce la tradizione popolare che a popolare alcune regioni dell’Albania, in particolare la zona di Delvina, erano stati discendenti di tribù arabe che “Derivano dai Quraysh, la tribù araba che abitava in Mecca”.
Uno sceicco arabo chiamato Jabal-i Alhama accidentalmente aveva cavato un occhio ad un bej arabo e quest’ultimo aveva chiesto al califfo Omar lo stesso risarcimento (occhio per occhio). Il califfo accoglie la richiesta, ma Jabal terrorizzato fugge, e in esilio combatte finché ottiene i monti disabitati di Delvina, e vi fonda la città di Quryelesh (Kurvelesh). In modo che nessuno potesse vendicarsi cavandogli un occhio la nuova tribù prese il nome di Arnabud che in arabo significa “che non ci sia vergogna”12. E quindi gli Albanesi “pretendono di essere musulmani come il loro predecessore Jabal-i Alhama” .
Gli assalti dei briganti
Siamo partiti da Argirocastro assieme a tutto il corteo matrimoniale, abbiamo viaggiato al sud lungo il fiume Dropull. Il nostro viaggio a casa della sposa includeva anche il passaggio
da Progonat una regione di ribelli. Che dio ci protegga! Proprio mentre passavamo questa regione ostile siamo stati assaliti 2 volte dai fuori legge. La nostra scorta era composta da mille cavalieri armati e mille soldati della fanteria mobile. Il mio compagno di viaggio Dervish Rahi è stato ucciso nel secondo assalto che abbiamo subito, il mio cavallo Hamis e uno dei miei servi sono rimasti feriti. Noi riuscimmo ad uccidere due fuorilegge le cui teste furono tagliate. Ringraziando dio per la nostra salvezza abbiamo seppellito durante il viaggio e abbiamo continuato trionfanti la strada verso Tepelene portandoci le due teste tagliate. Ci sono volute due ore per attraversare la regione ribelle
Gli abitanti di Berat
Berat essendo un paese di montagna, con un clima salubre, aria pura e acqua fredda, ha donne e uomini belli e appariscenti. Sono focosi amanti, ma sempre rispettando ciò che la morale impone loro. I giovani della città vanno in giro armati. Sono vivaci e sensibili, si arrabbiano in fretta, mettono la mano sulla spada, giurano “Per la spada!” e si lanciano con coraggio (“Dio ci protegga”)
Le note di Çelebi, scritte in una prosa viva e brillante, meritano un’attenzione particolare perché sono tra le prime a descrivere un’Albania dai forti contrasti che sarà uno dei motivi ricorrenti di tanti resoconti successivi.
6. Le leggende più belle dell’Albania
Il reverendo Lovro Mihaceviq (Kreshevo, Bosnia 1856 – 1920). Per molti anni svolse il suo ministero in Albania, insegnando italiano e latino a Scutari. Ha scritto molti saggi sull’Albania in croato, tedesco e in latino. Fece anche due documentati viaggi attraverso l’Albania. I suoi resoconti sono ricchi di informazioni di ogni genere, non solo sullo stato della religione, ma anche su usi, costumi, temperamento degli abitanti. La sua opera è stata presentata, all’interno degli studi sul Viaggio Adriatico, nel saggio di Irena Ndoci Il viaggio di Lovro Mihaceviq: un ecclesiastico bosniaco in AlbaniaQuestioni odeporiche. Modelli e momenti del viaggio adriatico .
Durante i due viaggi, una cosa che ha suscitato la sua meraviglia e la sua ammirazione: la convivenza tra i cattolici e i mussulmani delle zone visitate. Nella città di Lura erano normali i matrimoni tra le due religioni; in altri paesi i mussulmani festeggiavano assieme ai cattolici. Andavano in chiesa per la messa con loro e si offendevano se i preti non andavano anche a casa loro con l’acqua santa per benedire le loro case. Loro facevano le stesse offerte dei cattolici .
Soprattutto, nei suoi libri raccoglie “storie”, o storie che hanno il sapore della legenda, della ricchissima mitologia albanese. Ne riferisce tre, molto note in Albania, tanto da essere inserite nel “canone” delle leggende che tutti conoscono.
La prima storia che narra riguarda la parrocchia di Vukël, che gli fu a sua volta raccontata dal parroco di Vukël il quale da trentotto anni non si era mai allontanato da Vukël.
Cinquant’anni fa – racconta il reverendo –, anche se il villaggio era popolato da cattolici, non esisteva una parrocchia. Di tanto in tanto arrivavano i frati dalla parrocchia di Gruda, che dista
10-12 ore da Vukël, per celebrare la santa messa. Una volta vennero due frati a celebrarla e al termine della liturgia si fermarono a dormire a casa di un cattolico. Qualcuno, tra i commensali, spifferò ai due monaci che il padrone di casa aveva due mogli: una sposata secondo i riti cristiani, l’altra illecita. Allora essi decisero di non toccar cibo. Per gli albanesi non esiste offesa maggiore di un gesto simile. Tutti li esortarono a mangiare, ma essi continuarono a rifiutarsi. Alla fine il padrone di casa promise loro di fare tutto quello che avrebbero voluto a patto che cenassero. Allora i due monaci parlarono chiaramente dicendogli che sarebbero stati disposti a mangiare solo se lui avesse ripudiato la seconda moglie, altrimenti avrebbero immediatamente lasciato quella casa.
Il padrone di casa garantì che avrebbe ripudiato la seconda moglie. Solo allora i due frati mangiarono insieme agli altri. E l’uomo, che si chiamava Ukë, ripudiò la seconda moglie.
La donna ritornò dai suoi genitori, a Kastrat. Una volta arrivata a casa, la sventurata donna raccontò tutto ai fratelli e questi decisero di vendicarsi uccidendo i frati.
Gli abitanti di Vukël mandarono due uomini per accompagnare i frati fino a Grudë, ma i frati, dissero ai contadini di tor nare indietro perché volevano proseguire da soli il viaggio del ritorno.
I fratelli della donna ripudiata li stavano aspettando a Grabon. Appena videro i frati, li uccisero. Gettarono poi i loro corpi nel fiume e portarono a casa le cose dei frati.
Quelli della parrocchia di Grudë, non vedendo i frati tornare, mandarono qualcuno a Vukël per cercarli. Gli abitanti di Vukël capirono subito che i parenti della donna ripudiata si erano vendicati. Però prima vollero fare le dovute verifiche. Mandarono un uomo a Kastrat, a casa della donna ripudiata. L’uomo si presentò chiedendo ospitalità per una notte e l’indomani, disse, sarebbe ripartito per Shkodër. Fu accolto con benevolenza. L’uomo furbo, mentre i familiari erano affaccendati nei lavori di casa, colse l’occasione per compiere una indagine su e giù per la
casa. Ed ecco che scoprì le prove del delitto: le bisacce dei frati e gli oggetti della messa. L’indomani fece ritorno a Vukël e raccontò tutto. Dopo essersi consigliati, mandarono venti uomini armati i quali circondarono la casa, uccisero i due fratelli e tornarono in paese. Allora, Ukë, dopo aver saputo che a causa sua quattro persone erano morte, regalò una tenuta per la costruzione della chiesa e della casa del parroco dove alloggia il parroco che ha raccontato la storia .
Parlando di Tirana il reverendo Mihaceviq introduce riferisce la storia delle origini della città come gliel’hanno raccontata:
Quattro cento anni fa, c’era una volta un Bey povero che non aveva nessuno al mondo oltre al suo servo savio e fedele. Siccome il padrone era povero e non poteva neanche pagare il suo servo lo lasciò libero. Un giorno lui ricevette un invito dal Grande Visir di Costantinopoli. Una volta arrivato lì, rimase stupito quando vide che il grande Vizir non fu altro che il suo ex servo. Per renderlo felice, il Grande Visir lo nominò Visir a Ohër. Dopo qualche tempo il bey ritornò al paese natio con soltanto 15 case e costruì ivi palazzi, scuole, altri edifici trasformandolo in città .
L’ultima storia che Mihaçeviq racconta è la leggenda delle origini della fortezza di Rosafa.
Non sempre i viaggiatori dicono la verità. È giusto che loro parlino soltanto di cose che hanno visto. Il reverendo, racconta una leggenda che gli è stata raccontata oppure l’ha letta da qualche parte, ma che è un po’ diversa da quella che gli albanesi ritengono come la più autentica:
C’era una volta una famiglia famosa e ricca con un figlio chiamato Rosa e una figlia chiamata Fa. Rosa iniziò a costruire la fortezza. Si lavorava di giorno, ma di notte tutto crollava. Allora Rosa decise di interrompere i lavori. Cercando i motivi di questo fatto strano lui incontrò un vecchio il quale gli disse che c’era bisogno di murare una donna viva, altrimenti lui non avrebbe mai potuto costruire la fortezza. Un giorno venne a far visita al fratello la sorella Fa la quale sorpresa della sospensione dei lavori chiese al fratello il motivo. Quando seppe dal fratello come stavano le cose lei accettò di essere murata e chiese soltanto di lasciarle fuori una mammella in modo che suo figlio potesse continuare ad allattarsi finché lei fosse viva .
La versione fornita da Irena Ndoci è sostanzialmente uguale a quella raccolta da Vico Mantegazza nel primo Novecento e riportata nel saggio di M. Longo, Il Nord dell’Albania descritto da viaggiatori illustri tra fine Ottocento e inizio Novecento: Baldacci, Mantegazza, Roth, Morpurgo .
Su una di queste alture spiccano le rovine dell’antico castello di Scutari, la cui fondazione risale probabilmente all’epoca dì Stefano Duchan e sul quale serbi ed albanesi raccontano le più strane leggende. L’architetto Rosa, dice una di tali
leggende, non sapeva più che fare avendo veduto crollare a più riprese l’opera incominciata. Corse allora insistente la voce fossero le fate a far crollare le mura. Per placarle, e rendere la rocca incrollabile e inespugnabile, era necessario sacrificare loro una giovine donna, murandola. L’architetto scelse per tale sacrificio sua sorella, che si chiamava Pha. Di qui il nome di Rosafà dato al castello, veramente inespugnabile, e intorno al quale fu concentrata la difesa della città da parte dei veneziani contro le orde musulmane, in due memorabili assedi. Il primo fu quello del 1474 immortalato dal gran quadro del Veronese che adorna la sala del Gran Consiglio a Venezia .
Il libro di Mihaceviq si chiude con una rassegna della letteratura popolare albanese e un lungo elenco di locuzioni popolari albanesi. “Dai viaggi imparano tutti. Da questo libro di viaggio, che dà un’idea generale sull’Albania di un secolo fa, imparano non soltanto gli stranieri, ma persino gli stessi albanesi .
7. La gente del nord
Nel saggio di M. Longo, Il Nord dell’Albania descritto da viaggiatori illustri tra fine Ottocento e inizio Novecento si prendono in esame le opere di 4 viaggiatori:
Ma è soprattutto il saggio-racconto di Joseph Roth che esprime le note più sofferenti nel cogliere gli elementi di arcaicità e di “distanza” della realtà albanese.
Nei suoi occhi di ex-suddito dello smembrato impero austro-ungarico, quell’ex-provincia dello smembrato impero ottomano che rappresentava l’Albania nel 1927, all’epoca del suo viaggio, non poteva sembrare che il relitto di un grande naufragio, un paese ancora molto turco e poco europeo. L’interesse di questo brano che andremo a leggere rientra nella descrizione antropologica. Non parliamo di paesaggi, ma di azioni umane e per capirlo ci dobbiamo rifare al Kanun, cioè a quel codice di leggi praticate soprattutto nel nord del paese dal Medioevo a tempi recenti, che regola gran parte delle attività umane. La cosa che colpisce lo scrittore austriaco è il fatto che
l’omicidio è da punire con la vendetta.
Il paese è così pacifico che si stenta a credere alle sue tradizioni pericolose, sanguinarie. Eppure ho conosciuto un uomo che una volta voleva vendicare un suo amico e per sbaglio uccise un innocente. Fu proprio sfortunato. Infatti questo innocente ha sette fratelli, niente meno, e adesso tutti
danno la caccia al mio uomo. Ha già mandato diversi emissari, ma ci vorrà tempo prima di giungere a un accordo. Da tre mesi attende la morte ogni ora. Non è mica un albanese primitivo. È un uomo che ha vissuto a Parigi come artificiere ed è tornato espressamente per prendersi la sua vendetta
di sangue. Sebbene sia braccato lui stesso, continua a cercare il vero assassino del suo amico.
Quando si arriva poi in città per tre quarti europee come Scutari, Valona, Corizza, in città con colletti alti, cravatte, cartoline illustrate, lame da barba, piombature in oro, automobili Ford e avvocati – allora si crede ancor meno alla possibilità di una vicinanza tanto stretta con l’epica eroica e la semicultura. E invece il fratello del barbiere è un capobandito autentico e di successo. Se viene in città, va a farsi radere, beve un caffè e parla come te e come me. Siamo tutti esseri umani .
Sempre nell’ambito delle ricerche ti tipo etnografico, il saggio di di Markeliana Mustaka Anastasi, La missione volante dei gesuiti , riferisce di altre usanze diffuse nelle regioni del nord dell’Albania.
Padre Domenico Pasi […] racconta il buon lavoro che ha fatto la Missione in un caso molto particolare dei cristiani che avevano perdonato i Turchi di Kraja (una località a nord di Scutari).
Partita la Missione, però, un esponente della famiglia che aveva perdonato, un testa leggera e strana, andò ad uccidere un turco di Kraja, giustificandosi col fatto che mentre i suoi parenti avevano perdonato e baciato il Crocefisso, lui se ne era astenuto. I turchi di Kraja rimasero molto offesi, ed eseguirono una vendetta terribile e barbara e invece di essere puniti dell’autorità pubblica per quel misfatto, non ebbero nessun disturbo ma piuttosto protezione .
Dai documenti di un altro esponente della comunità dei Gesuiti, padre Angelo Sereggi, provengono notizie interessanti sui costumi del nord (località di Merturi):
Cerano in paese due bottegai. Secondo una convenzione fatta da una contrada di trenta famiglie, i bottegai non potevano vendere il frumento né grano turco se non a un prezzo determinato dalle trenta famiglie. Uno dei bottegai non accettò la legge. Le trenta famiglie si obbligarono di non comprare nulla da lui finché lui cedesse o l’accettasse. Ma tre famiglie agirono contro la conversione. Tutta la contrada si sollevò contro le tre famiglie. Finalmente si gettò l’allarme alla tribù di Merturi, e messisi come mezzani fecero cessare il fuoco e aggiustarono essi le due parti .
Un altro documento interessante viene da Salza (altra regione a nord di Scutari) e racconta della Missione che da Salza si doveva passare per Thethi, “che è una parrocchia di quasi cento famiglie appartenenti alla tribù di Sciala” (dal nome del fiume omonimo). Era difficile trovare degli accompagnatori per i missionari, per il timore di essere ucciso da quelli di Sciala con i quali gli abitanti di Merturi avevano questioni di sangue.
Alla fine alcuni accettarono, usando la precauzione di tenersi sempre nella strada, che in forza della convenzione fatta dalle due tribù è sicura perché sotto la legge della fedeltà comune. Così è, dalla strada che da Sciala va a Nikai. Se uno volesse uscire di strada dovrebbe chiamare ad alta voce una persona delle principali del luogo, la quale deve rispondere e domandare ‘Che cosa avete?’ Si risponde: ‘Uscite incontro alcuni amici’. Con questo il viaggiatore è sotto la protezione di quelle persone e nessuno può fargli offesa senza insieme offendere chi l’aveva preso in fedeltà, il quale deve difenderlo sino alla morte, e se gli venisse ucciso tocca a lui il vendicarlo; anzi questo è uno dei casi di uccisione più difficili non solo a far perdonare ma e persuadere che sia illecito, perché si tratta di una convenzione nota e accettata da tutta l’Albania, affatto necessaria per poter viaggiare con sicurezza della vita, che altrimenti nessuno potrebbe ardire di mettersi in via o girare per il paese per i suoi bisogni .
8. L’Albania ed Elbasan agli occhi di un viaggiatore in bicicletta
Bernard Newman (1897-1968) è stato un singolare viaggiatore che ha attraversato tutti i paesi balcanici, portandosi dietro una bicicletta (la chiamava con il nomignolo affettuoso di George), che però non ha potuto quasi mai usare a causa del cattivo stato delle strade. Ha raccontato le sue peregrinazioni in due libri: Albania Back-Door, del 1936 e Albanian Journey, del 1938 .
I suoi resoconti sono stati presentati nel Convegno Montecilfone da Matilda Harja .
La porta posteriore dell’Albania
Per i viaggiatori europei, che provenivano tutti da nord, via-terra, o dall’Italia, via-mare, Durazzo è stata sempre considerata come la porta principale dell’Albania. Un altro ingresso frequentato, soprattutto dai mercanti greci, era quello da sud.
Newman pensa, però, che la porta di ingresso più interessante sia quella che egli definisce la porta posteriore: l’ingresso via-terra da oriente, sulle coste del lago di Ohrid, al confine con la Macedonia. Entrare via-terra dalla Macedonia sarebbe stato come prendere l’Albania alle spalle, intesa quindi come un paese naturalmente rivolto verso il mare, verso occidente. Egli ha visitato l’Albania nella sua parte centro settentrionale, prima di uscirne per il Montenegro.
Il suo libro non è una guida turistica. Egli intraprese questo viaggio, con l’intenzione, non sempre realizzata, di condurlo in bicicletta. Preferì evitare lettere ufficiali di presentazione, che potevano essere utili per risolvere problemi pratici, ma sarebbero state, egli pensava, assolutamente dannose per una persona che desiderava vedere un paese senza influenze altrui.
Bernard e George
L`unica lettera che aveva con sé quando attraversava i confini era un verbale delle autorità con il quale gli era concesso il passaggio del confine insieme a George (la sua bicicletta, come affettuosamente la chiamava) senza difficoltà .
Io ho passato più tempo nelle locande, nelle strade, nei villaggi, nelle capanne dei contadini che in grandi alberghi. Io ero più interessato alla gente che agli edifici. Ho vissuto semplicemente e senza molte spese, in mezzo a questa gente semplice e generosa. Non avevo con me lettere di presentazione, e non mi era facile fare conoscenza con qualcuno durante il mio viaggio. Le compagnie o gli incontri erano casuali, con gente semplice che incontravo casualmente. Ed il destino è stato dalla mia parte.
La maggior parte del viaggio avrei potuto farlo con la macchina. Ma le mie impressioni non sarebbero state così forti come quelle che ho potuto provare andando in bicicletta o a piedi. Una persona in macchina è un Creso dei Balcani. Viaggiando in macchina gli incontri diretti con i contadini sarebbero stati difficili o addirittura impossibili .
La terra attraversata dall’autore era a volte aspra, non sfruttata, incolta, vergine; anche la gente gli fece impressione di una durezza e di una primitività, uniche in Europa.
Al confine tra Macedonia e Albania gli fece impressione come le bevande costituivano la maggior parte delle formalità. Il bar era (ed è ancora oggi) un elemento centrale nelle abitudini cittadine albanesi! Al momento di ripartire Newman notò che l`ufficale, che parlava bene inglese, si stava preparando ad accompagnarlo: in effetti aveva intenzione di scortarlo almeno fino a Pogradec. Newman lo ringraziò sinceramente, ma lo pregò di lasciarlo partire da solo nel suo viaggio attraverso l`Albania; non l’avrebbe visitata se non gli si dava dava l`opportunità di vederla da solo.
A Pogradec entrò in una trattoria per mangiare. Quando il padrone della locanda lo vide in difficoltà perché Newman non conosceva la lingua, lo prese per il braccio e la portò in cucina in modo che potesse scegliere a vista quel che voleva. Ma sarebbe stato meglio non entrare in quella cucina! Al primo sguardo gli passò completamente l’appetito. Evidentemente quella cucina non era un modello di igiene e di ordine. Ma per non offendere l’ospite si fece preparare un po’ di pesce dal lago, pensando che almeno il pesce sarebbe stato tanto fresco da non danneggiare il suo stomaco delicato .
I rapporti con la popolazione rurale
Gli abitatori più frequenti delle strade albanesi erano, secondo il racconto di Newman, le tartarughe. Ne ha incontrate centinaia, di tutte le dimensioni. Vagavano per le strade senza paura, non dovevano temere il traffico che allora, a differenza di oggi, non esisteva. Vide due lupi, anche a breve distanza.
Per strada ci furono molti episodi che gli confermarono l’affetto e la cordialità degli abitanti.
Molti contadini che lavoravano nei campi, al suo passaggio, lasciavano le falci e venivano sul bordo della strada per stringergli la mano. Alcuni di loro, anzi, lo accompagnavano per uno o due km fin quando non incontravano un altro gruppo di contadini ai quali lo affidavano. Questo “rito” di scòrta si ripeté più volte. Venne a sapere poi che l’accompagnamento era un residuo dell’antica ospitalità albanese. Risaliva all’epoca nella quale viaggiare non era sicuro. Così gli Albanesi delle campagne erano soliti accompagnare i loro ospiti stranieri fino al confine delle loro terre per assicurarsi che non accadesse loro nulla di spiacevole […].
Elbasan
Newman descrive Elbasan come una delle città più interessanti dell’Albania e forse di tutti i Balcani. Non ebbe mai serie difficoltà nella comunicazione linguistica perché a Elbasan viveva un giovane che parlava perfettamente l’inglese. Aveva studiato al Collegio Americano di Durazzo ed era uno specialista di orticultura. Si mise subito a sua disposizione e gli fece da guida nella visita di Elbasan: una città dove era più evidente che altrove la presenza musulmana.
Le strade erano chiuse da alti muri, costruiti con grandi blocchi di pietra che nascondevano giardini di aranci ed era impossibile per i passanti vedere cosa si nascondeva all’interno. Questo sistema abitativo, tipico dell’architettura abitativa turca, serviva a proteggere dalla vista degli estranei l’interno, soprattutto le donne non velate .
Margaret Hasluck
Nel periodo nel quale Newman stava visitando Elbasan, Margaret Hasluck una delle personalità di fama mondiale per la conoscenza della lingua e del folklore albanese si trovava in Albania. Si era stabilita a Elbasan e per alcuni anni lavorò al completamento della sua collezione di racconti.
E’ un po’ strano che due personalità inglesi di grande successo in Albania, siano state donne. Trenta anni fa Edit Durham fu quasi la prima straniera che parlò e scrisse in modo originale dell’Albania e del suo popolo. Ora il suo mantelo è sulle spalle di Margaret Hasluck,. Tutte e due queste donne hanno una forte personalità ed un grande cultura, e nessuna ha deluso i lettori inglesi .
La vita quotidiana a Elbasan
Nella visita a Elbasan alcuni altri particolari sorpresero Newman:
le ragazze sapevano fare a mano dei bellissimi ricami e merletti; esistevano pubblici “lettori” e “scrittori” di lettere a mano, perché solo l’1% della popolazione sapeva leggere e scrivere; c’era chi faceva come professione il “fornitore di ghiaccio”: ogni mattina saliva a piedi sulle montagne intorno alla città e riportava in basso un blocco di neve su un sacco sgocciolante. Elbasan è una città molto calda e c’era bisogno di ghiaccio per raffreddare e conservare cibi e bevande; i contadini scendevano a gruppi dai villaggi circostanti con animali e cose da vendere, facendo ogni giorni decine di km a piedi: era un’ottima ginnastica per rafforzare i muscoli
Per questo non mi stupivo che i Turchi usavano gli Albanesi come materia prima, come soldati di prima classe nel loro esercito, perché il fisico della popolazione gegë (al centro nord, n. d. t.) è unico in Europa. I contadini sono alti un metro e ottanta, spalle larghe e corpi da atleti. Ma anche loro hanno un punto debole, il loro tallone d’Achille... come molti popoli balcanici sono molto superstiziosi e hanno paura del buio. Questo fin dai primi giorni notai a Elbasan .
Un viaggio stravagante, unico nel suo genere, simile a quelli condotti attraverso l’Europa anche oggi, da estenuati ciclisti, carichi di bagagli sulle due ruote. La singolarità del mezzo di trasporto, però, gli ha offerto una penetrazione particolare anche nell’animo delle persone che ha incontrato.
9. Le donne scoprono l’Albania
Tra i viaggiatori attraverso il territorio impervio e difficile dell’Albania hanno avuto un ruolo fondamentale quattro donne, due nei primi anni, due nella seconda parte del Novecento, che hanno visitato questo paese a vario titolo e per vario tempo, ma tutte ne hanno lasciato un ritratto appassionato, cogliendo la natura profonda del territorio e delle persone. Alle loro biografie e alle looro opere hanno dedicato un saggio Klodeta Dibra ed Elda Katorri: Le donne scoprono l’Albania.
Edith Durham parte da Trieste e percorrendo la costa dalmata arriva a Cattaro e infine giunge a Çetinje, l’esotica capitale del Montenegro per poi passare in Albania dove visita Tepelene,
Korça, Elbasan, Tirana, Lezhe, Scutari, Mirdita. Di tutta l’Albania, è il nord ad impressionarla di più.
Rose Wilder Lane , nel 1922, invece, intendeva usufruire del territorio albanese solo come luogo di transito per passare da Podgorica a Costantinopoli attraverso Scutari. Il caso volle poi che Francesca Hardi, sua compagna di viaggio, e grande ammiratrice dell’Albania, le suggerisse:
Costantinopoli non è niente di niente. Chiunque va a Costantinopoli. Ma se non visiti l’Albania hai perduto un’occasione unica, vitale. Lì su quelle montagne, a un giorno di distanza da qui, la gente vive come ha vissuto venti secoli fa, prima che qualcuno venisse a sapere qualcosa dei greci, dei romani e degli slavi. Lassù ci sono delle città preistoriche, pullulano leggende, canzoni, usi e costumi di cui nessuno ha mai sentito. Cose che l’occhio di uno straniero non ha mai nemmeno scorto. Per Dio donna! E tu stai qui a parlarmi di Costantinopoli!
Clarissa de Waal , dopo aver girato in lungo e in largo tutta l’Albania, approda anche lei nelle regioni montane del nord e ne subisce il fascino: a Kruja, a Mirdita, a Mati, a Scutari. Resta peraltro colpita dal Kanun, un insieme di leggi non scritte che governano in modo prescrittivo le società del nord e su cui fornisce molte e dettagliate informazioni.
Marianne Graf , austriaca, nell’Albania del nord si sente a casa sua per altri motivi, condivisi da molti alpini italiani che combatterono in Albania: il suo rilievo montano le ricorda quello del proprio paese nativo certo da lei amato. Oltre alle sue descrizioni verbali la Graf, affianca alle note del libro bellissime e particolarissime foto che immortalano in primo luogo le bellezze naturali dei paesaggi, delle città quali Kruje, Rubik, Mat, Puke, Scutari, e poi delle suggestive figure di anziani colonna portante della società albanese, graziosi ritratti di bambini, nuova forza vitale di questa società. Entro questo ricco repertorio non mancano i vestiti, gli usi e i costumi delle popolazioni incontrate e apprezzate.
Le montagne e le città del nord
Quali sono le ragioni dell’interesse e del vero e proprio fascino che l’Albania ha esercitato nel loro confronti? La risposta la si può ricavare dalle loro descrizioni.
Così la Durham presenta Kruja:
Kruje moderna è costituita da 700 case, sparse su e giù in un territorio scosceso in mezzo agli orti e agli ulivi, in mezzo alla quale si ergono le torri del famoso castello di Skanderbeg, che si innalzava sul versante di un monte in una roccia solitaria. Invece scendendo giù d’impeto si arriva in una valle rocciosa oltre la quale le montagne stanno ritte come delle torri allineate formando un muro impenetrabile. Dal lato del mare invece, Kruja scende giù nella valle ed oltre si vede l’Adriatico .
A cento anni di distanza la Graf sostiene che tale è rimasta:
Venendo da Tirana, giri a destra per arrivare a Milot e dopo aver attraversato il fiume Fan, tutt’ora serpeggiante come nella preistoria, dopo alcuni chilometri giungi a Mirdita. Prosegui
ancora per poco e subito vieni catturato dalla magia dei colori e del paesaggio. All’inizio domina un colore trasparente giallastro, che scintilla oltre ai versanti scoscesi sottostanti e subito si congiunge al colore delle piante color latteo, mentre in seguito a partire da Fierza, i visitatori, in primavera, dopo che i ghiacci si sciolgono, rimangono folgorati dalla bellezza dei fiori di mandorlo, albicocco e ciliegio .
Il paesaggio delle montagne del nord fece un’enorme impressione alla Graf. Ma furono soprattutto il castello di Scutari e la tragica leggenda di Rosafa che la colpirono. È una storia più volte citata, ma vale la pena di riascoltarla dalle parole della Graf:
Secondo la leggenda i muri del castello che i tre fratelli costruivano di giorno, crollavano di notte. Secondo un saggio anziano, il rimedio sarebbe stato quello di sacrificare qualcuno all’interno delle fondamenta del castello. I fratelli promisero di sacrificare la moglie di colui che l’indomani avrebbe portato il pranzo ai fratelli. La donna fu Rozafa. Ella accettò il sacrificio raccomandandosi come ultimo desiderio prima di morire quello di lasciarle fuori un seno per allattare il proprio bambino ed un braccio per abbracciarlo. Le mura del castello poi non cederono più e fu chiamato ‘Rozafa’ e viene considerato vivo monumento del sacrificio d’amore di una donna compiuto affinché suo marito non mancasse alla parola data ai fratelli. Il castello di Rozafa e la città segnata dal dramma che è situata ai suoi piedi così come il lago col suo argenteo splendore si imprimono nella memoria con tanta dolcezza fino a quando vieni colto dall’irresistibile voglia e nostalgia di ritornarci di nuovo .
La passione per la ricerca antropologica
Tutte e quattro le viaggiatrici non si limitano alle descrizioni dei luoghi, ma registrano e illustrano con abbondanza di particolari le strutture della società, le abitudini alimentari, le tradizioni lavorative, la condizione della donna, le coltivazioni e le tecniche di costruzione. Questo mondo elementare e semplice spesso appare loro “strano”, di una stranezza mai respingente, ma sempre suggestiva nella sua primitiva autenticità.
E così fa da contrasto alla povertà degli alimenti e alla loro scarsa varietà, il rito solenne che implicava la consumazione del pasto nei paesi dove le due signore occidentali furono ospiti, un vero e proprio rito, una vera cerimonia. La gente sia a Mirdita, sia in altre città dell’Albania del nord, mangiava allora seduta alla turca, su tappeti intorno ad uno specie di tavolo rotondo e basso chiamato sofër.
La colonna portante della famiglia – balza subito agli occhi della de Waal – erano le donne perché dal loro lavoro dipendeva il buon andamento della casa. L’itinerario della giornata lavorativa di una donna era denso e molto faticoso. Una buona donna di casa si alzava all’alba, riempiva l’acqua al pozzo, cuoceva il pane, faceva il bucato, mungeva le vacche, si occupava dei bambini, lavorava nei campi e alla sera quando le forze non erano più “giovani”, si dedicava al ricamo, al rammendo, al lavoro a maglia, a quello artigianale come la tessitura e ... di tutto e di più. Le donne erano apprezzate ed rispettate soprattutto da anziane poiché venivano considerate fonte di inesauribile saggezza.
A proposito di saggezza, la Graf annota colpita le parole che le aveva rivolto un’anziana albanese: “Accetta il tuo viso che invecchia, accetta ogni sua ruga. Nei visi piani non si legge niente, quelli sono lisci. In un suolo liscio puoi scivolare” .
Un tratto distintivo della cultura alimentare albanese è costituito dalla produzione del raki, la bevanda alcolica tradizionale. Così come il pane, anche il raki è uno degli elementi principali richiesti sia dal modo di vivere sia dall’ospitalità, per creare, conservare e a volte restaurare di nuovo relazioni con le persone che vengono a far visita. Ad un ospite appena arrivato, gli si offre una tazza di caffè turco e un bicchiere di raki. Una bottiglia di raki, può essere data in regalo o in cambio di un favore ricevuto; il raki è usato come ottimo disinfettante per le ferite e le punture, in
realtà l’unico che c’è. In altre parole, il raki è un prodotto casalingo indispensabile. Per la produzione del raki a seconda della preferenza possono essere usati le more bianche, le prugne, l’uva, le corniole ecc. Parlando di raki afferma la Graf che se in Europa si può parlare di enoteca in Albania si può parlare di rakiteca. Ecco una tipica lavorazione del raki come ci viene riferita
dalla de Waal:
I Gjokaj di solito bollivano il raki due volte dandogli un tasso alcolico maggiore e rendendolo più forte. Era un lavoro abbastanza fastidioso che richiedeva del tempo. Occorreva mantenere costante il fuoco sotto il secchio in cui bolliva e allo stesso tempo bisognava assicurarsi che l’acqua non evaporasse. Il raki doveva essere assaggiato varie volte e nel caso in cui la donna di casa aveva da fare la maggior parte dei lavori, siccome i maschi erano assenti, io mi sono meravigliata che lei, anche se stanca morta, alla fine della giornata, dopo vari assagi e innumerevoli lavori, era completamente “sobria” .
La convivenza tra le religioni
A proposito di religione le viaggiatrici, che vengono da un mondo in cui i conflitti religiosi si intrecciano con quelli etnici e hanno autorizzato vere e proprie guerre, scoprono che tra appartenenti a diverse confessioni non corre una vera e propria differenza di mentalità, di riti e cerimonie. Ogni pretesto è sempre stato buono per festeggiare e un musulmano poteva benissimo andare in chiesa a festeggiare la Pasqua così come un cristiano poteva andare in moschea a festeggiare il Bajram.
Abbastanza divertita la Durham registra che “Tutti avevano due nomi da poter usare secondo l’occorrenza” e riferisce qualche battuta di un dialogo che altrove suonerebbe scandalosamente blasfemo: “Per i turchi mi chiamo Sulejman” – ha risposto lui, – “ma sono anche battezzato col nome di Costantino”. La spiegazione di tanta leggera indifferenza può discendere dal fatto che gli albanesi hanno sempre associato la religione agli invasori, e quindi non abbracciavano la confessione come una scelta libera. La de Waal rifersice in proposito l’opinione di uno studioso:
gli albanesi, per via delle precarie condizioni storiche non sono mai stati un popolo credente. Durante il tardo Medioevo, il loro paese è stato trasformato in un campo di battaglia tra l’Occidente cattolico e l’Oriente ortodosso. Ogni qual volta avanzava l’Occidente, i nobili albanesi assieme al popolo abbracciavano il cattolicesimo e ogni qual volta avanzava l’impero Bizantino, mentre l’Occidente si ritirava, loro abbracciavano la religione ortodossa. Si può dire che dal punto di vista religioso loro conducessero una vita da anfibi .
La religione del fucile
Ma una “religione”, o meglio un culto, gli Albanesi lo hanno: eterno compagno di vita, il fucile.
Nonostante gli Albanesi, uno dei popoli più antichi d’Europa, abbia conquistato l’indipendenza solo nel 1912, non ci si deve illudere che si tratti di un popolo pacifico. Tutt’altro: il fucile è l’unico mezzo a portata di tutti per difendere la propria patria. Anche nella società civile, in casi di disaccordi e liti che non si riescono a placare verbalmente, secondo il potere conferitogli dal Kanun, è il fucile che ha l’ultima parola e fa le veci del giudice.
L’onore e la sua difesa, l’uomo ed il suo fucile sono una cosa sola. Anche nell’uso linguistico, semanticamente parlando, l’uomo è sinonimo di fucile. Tanto è vero che quando nasce un maschio si dice “è nato un fucile” (lindi një pushkë), ma ha valore metonimico, nel senso che è nato qualcuno che sarà in grado di usarlo .
Osservazioni conclusive
E, a conclusione, confrontiamo alcuni testi delle quattro donne viaggiatrici sullo loro stato d’animo al termine del viaggio.
Per la Durham si è trattato di un’esperienza formativa, una scelta di vita:
la permanenza in Albania mi aveva giovato; in realtà, in questo periodo erano gli usi europei a sembrarmi estranei tanto che, quando lui mi ha offerto il tè pomeridiano insieme ai biscotti sono rimasta sorpresa. [...]
Per una decina di minuti ho pensato di comprarmi dei vestiti di quelli del paese e ritornarmene di nuovo tra le montagne e in fine chiedere un prestito al console brittanico che mi sarebbe servitor poi per ritornarmene in Inghilterra. Ma la strada mi si apriva verso la valle di Scutari e da lì a Çetinje per giungere in Inghilterra .
La de Waal invece, a distanza di anni, resta colpita dal tocco cromatico intatto del mondo albanese: “... era rimasta proprio alla Edith Durham, tutto così immutabile e con una varietà di colori vivi che a me affascinavano”
Per tutte come per la Wilder Lane il viaggio coincide con l’adesione alla causa albanese:
io sono diventata un’assidua sostenitrice dell’Albania. Ma io conosco il paese, ho viaggiato lungo il confine nord-ovest di Scutari fino a Dibra, ho trascorso mesi interi in mezzo alla gente dei ‘bajrak’13 (si tratta di una unità amministrativa n.d.r.) dove nessuno straniero era mai andato.
Parole più semplici ma altrettanto intense proferisce la Graf:
“Per me l’Albania è diventata la seconda patria. E per questo che dico ogni volta che viaggio e dovunque io giunga – in Austria o in Albania – io ritorno a casa”
E alla conclusione di queste note, deve andare il pensiero e il progetto di una nuova ricerca alla figura di un’altra donna illustre, una che è stata in Albania di casa, la principessa ungherese Dora d’Istria Koltzoff Massalsky. Intrepida viaggiatrice del XIX secolo ed amantissima della libertà di ciascun popolo, si è resa benemerita di tutte le nazioni dell’Oriente europeo che illustrò colle sue opere letterarie. Gli albanesi ne hanno ancora un vero e proprio culto, perché in mezzo ad un silenzio universale, fu la prima e la più seria che si applicasse con coraggio e costanza a far nota la storia e i costumi degli albanesi presso i popoli europei e gli intellettuali più illuminati .
Bibliografia
Viaggiatori dell’Adriatico. Percorsi di viaggio e scrittura, a cura di Vitilio Masiello, Bari, Palomar, 2006.
Questioni odeporiche. Modelli e momenti del viaggio adriatico, a cura di G. Scianatico e R. Ruggiero, Bari, Palomar, 2007.
Scrittura di viaggio. Le terre dell’Adriatico, a cura di Giovanna Scianatico, Palomar, 2007.
Lo sguardo del viaggiatire tra le due sponde dell’Adriatico. Voci, percorsi, incontri tra Molise e Albania, a cura di G. Patrizi, Arti Grafiche "La regione" , 2008. Atti del convegno "I viaggiatori tra le due sponde dell'Adriatico" (20 giugno 2007, Montecilfone).
E, in particolare, in ordine di presentazione:
Raffaele Nigro, Oltre il muro d’acqua, in Viaggiatori dell’Adriatico. Percorsi di viaggio e scrittura, a cura di Vitilio Masiello, Bari, Palomar, 2006; pag. 218.
Pavle Sekerus, La découverte de l’autre rive de l’Adriatique.
Les sauvages Morlaques, in Viaggiatori dell’Adriatico. Percorsi di viaggio e scrittura, a cura di Vitilio Masiello, Bari, Palomar, 2006; pagg. 345-355.
Annamaria Sportelli, Sulle tracce dell’infedele. Percorsi e derive byroniane, Viaggiatori dell’Adriatico. Percorsi di viaggio e scrittura, a cura di Vitilio Masiello, Bari, Palomar, 2006; pagg. 278-298.
Xhuljeta Kanani e Menita Ljarja, Il mito dell’Albania attraverso i diari di viaggio di
Byron e Hobnouse, in Questioni odeporiche. Modelli e momenti del viaggio adriatico, a cura di G. Scianatico e R. Ruggiero, Bari, Palomar, 2007; pagg. 481-493
Artan Fida, Il viaggio missionario in Albania nel secolo XVII, in Questioni odeporiche. Modelli e momenti del viaggio adriatico, a cura di G. Scianatico e R. Ruggiero, Bari, Palomar, 2007; pagg. 333-349
Melisa Nexhipi e Suela Nexhipi, Un viaggio di lavoro per conto della Sublime Porta
(la relazione precisa e attendibile di Evliya Celebi nel XVII secolo), in Questioni odeporiche. Modelli e momenti del viaggio adriatico, a cura di G. Scianatico e R. Ruggiero, Bari, Palomar, 2007; pagg. 423-433
Irena Ndoci, Il viaggio di Lovro Mihaceviq:un ecclesiastico bosniaco in Albania
Questioni odeporiche. Modelli e momenti del viaggio adriatico, a cura di G. Scianatico e R. Ruggiero, Bari, Palomar, 2007; pagg. 525-533.
Maurizio Longo, Il Nord dell’Albania descritto da viaggiatori illustri tra fine Ottocento
e inizio Novecento: Baldacci, Mantegazza,Roth, Morpurgo, in Questioni odeporiche. Modelli e momenti del viaggio adriatico, a cura di G. Scianatico e R. Ruggiero, Bari, Palomar, 2007; pagg. 577-583.
Markeliana Mustaka Anastasi, La missione volante dei gesuiti, in Questioni odeporiche. Modelli e momenti del viaggio adriatico, a cura di G. Scianatico e R. Ruggiero, Bari, Palomar, 2007; pagg. 625-636.
Matilda Harja, L'Albania ed Elbasan agli occhi di un viaggiatore in bicicletta, in Lo sguardo del viaggiatire tra le due sponde dell’Adriatico. Voci, percorsi, incontri tra Molise e Albania, a cura di G. Patrizi, Arti Grafiche "La regione" , 2008. Atti del convegno "I viaggiatori tra le due sponde dell'Adriatico" (20 giugno 2007, Montecilfone); pagg. 75-83.
Klodeta Dibra ed Elda Katorri, Le donne scoprono l’Albania, in Questioni odeporiche. Modelli e momenti del viaggio adriatico, a cura di G. Scianatico e R. Ruggiero, Bari, Palomar, 2007; pagg. 637-649.
Sitografia
Tutti i saggi citati sono consultabili integralmente nel sito dedicato al Viaggio Adriatico:
http://www.viaggioadriatico.it/ViaggiADR
Io che ero un animale di collina immaginavo allora l’Adriatico grande come un oceano. Un oceano pericoloso, percorso dai venti e soprattutto da gente in cammino.
Approdavano in quel porto macedoni, slavi, greci e turchi. Le stesse corali migrazioni che si raccontano nei romanzi di Ivo Andrich e di Ismail Kadarè, le stesse commistioni culturali e musicali che trovi in Moni Ovadia e Miran Bregovich. Ibidem, pag. 216.
Al mio paese c’era un quartiere, Chiuchiari, che si sapeva fondato tra Cinque e Seicento da un capitan Zuzara proveniente da Scutari. A capo di un gruppo di albanesi in fuga davanti ai turchi, Zuzara si era insediato a Melfi, aveva avuto delle controversie legali per l’assegnazione di territori ed era andato poi a popolare con i suoi compagni alcuni piccoli centri del Vulture. Ecco, così cominciò il mio rapporto con l’Adriatico, con un popolo in fuga che aveva trovato asilo nell’alta Basilicata e che dialogava con me attraverso i suoi discendenti. Ibidem, pag. 215.
Ibidem, pag. 216.
Ibidem, pagg. 217-218.
Viaggiatori dell’Adriatico. Percorsi di viaggio e scrittura, a cura di Vitilio Masiello, Bari, Palomar, 2006.
Questioni odeporiche. Modelli e momenti del viaggio adriatico, a cura di G. Scianatico e R. Ruggiero, Bari, Palomar, 2007.
Scrittura di viaggio. Le terre dell’Adriatico, a cura di Giovanna Scianatico, Palomar, 2007.
Lo sguardo del viaggiatire tra le due sponde dell’Adriatico. Voci, percorsi, incontri tra Molise e Albania, a cura di G. Patrizi, Arti Grafiche "La regione" , 2008. Atti del convegno "I viaggiatori tra le due sponde dell'Adriatico" (20 giugno 2007, Montecilfone).
Pavle Sekerus, La découverte de l’autre rive de l’Adriatique.
Les sauvages Morlaques, in Viaggiatori dell’Adriatico. Percorsi di viaggio e scrittura, a cura di Vitilio Masiello, Bari, Palomar, 2006; pagg. 345-355.
Ibidem, pagg. 345-346.
Ibidem, pag. 347
Strumento musicale dei popoli serbi e croati, simile a un violino, con cassa armonica curva e una sola corda di crini di cavallo che si fa vibrare con un archetto
Ibidem, pag. 349.
Said E. W., Orientalismo (1978), Bollati Boringhieri, Torino, 1991.
Annamaria Sportelli, Sulle tracce dell’infedele. Percorsi e derive byroniane, Viaggiatori dell’Adriatico. Percorsi di viaggio e scrittura, a cura di Vitilio Masiello, Bari, Palomar, 2006; pagg. 283-284.
Ibidem, pag, 288.
Ibidem, pagg. 289-290.
Così inizia la lunga lettera:
Cara mamma, sono da un po’ di tempo in Turchia: questo posto si trova sulla costa ma io ho attraversato la parte interna della provincia facendo visita al Pascià. Ho lasciato Malta sulla Spider, un brigantino da guerra, il 21 settembre e in otto giorni sono arrivato a Prevesa. Da lì allontanandomi per circa 150 miglia sono stato a Tepelena, nel palazzo di campagna di sua Altezza, dove mi sono fermato tre giorni. Il nome del Pascià è Ali ed
è considerato un uomo estremamente abile; governa tutta l’Albania (l’Antica Illiria), l’Epiro e parte della Macedonia; suo figlio Vely Pascià per il quale mi ha consegnato delle lettere, governa la Morea e ha molta influenza in Egitto: in breve, è uno degli uomini più potenti dell’impero ottomano.
Xhuljeta Kanani e Menita Ljarja, Il mito dell’Albania attraverso i diari di viaggio di
Byron e Hobnouse, in Questioni odeporiche. Modelli e momenti del viaggio adriatico, a cura di G. Scianatico e R. Ruggiero, Bari, Palomar, 2007; pagg. 486-487.
Artan Fida, Il viaggio missionario in Albania nel secolo XVII, in Questioni odeporiche. Modelli e momenti del viaggio adriatico, a cura di G. Scianatico e R. Ruggiero, Bari, Palomar, 2007; pagg. 333-349
Ibidem, pag, 334
Sylva documentorum et Albaniam pertinentium, documenti raccolti da padre Camillo Libaldi da Levico, manoscritto, vol. II, pp. 12-15.
M. Jaov, Le missioni cattoliche nei Balcani durante la Guerra di Candia (16451669), Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 1992, vol. I, p. 497.
Ibidem, pag. 173.
I. Zamputi, Relacione mbi gjendjen e Shqipërisë Veriore dhe të Mesme në shekullin XVII, Tirana 1963, vol. I, p. 248.
L’attributo ‘turco’ è usato per identificare sia gli ottomani che i sudditi islamizzati dell’Impero Ottomano. Infatti, come risulta dalle fonti, sin dal Seicento è diventata una consuetudine chiamare ‘turchi’ gli albanesi islamizzati. Tale consuetudine sarà anche una fonte di valutazione politica e storica errata in conseguenza della quale le grandi potenze, nell’Ottocento, dovevano disinteressarsi dell’Albania. Vedasi l’articolo di K. Merlika Mustafa, Nascita della Grande Albania, in «Rivista d’Albania», Roma 1941.
Sylva documentorum et Albaniam pertinentium, documenti raccolti da padre Camillo Libaldi da Levico, manoscritto, vol. II, pp. 12-15.
Dalla relazione di Fra’ Angelo di Bergamo in M. Jaov, Le missioni cattoliche nei Balcani durante la Guerra di Candia (16451669), Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 1992, vol. I, p. 308.
M. Jaov, Le missioni cattoliche nei Balcani durante la Guerra di Candia (16451669), Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 1992, vol. I, p. 434.
M. Jaov, Le missioni cattoliche nei Balcani durante la Guerra di Candia (16451669), Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 1992, vol. I, p. 434.
I. Zamputi, Relacione mbi gjendjen e Shqipërisë Veriore dhe të Mesme në shekullin XVII, Tirana 1963, vol. II, p. 124.
I. Zamputi, Relacione mbi gjendjen e Shqipërisë Veriore dhe të Mesme në shekullin XVII, Tirana 1963, vol. II, p. 124.
I. Zamputi, Relacione mbi gjendjen e Shqipërisë Veriore dhe të Mesme në shekullin XVII, Tirana 1963, vol. I, p. 115.
I. Zamputi, Relacione mbi gjendjen e Shqipërisë Veriore dhe të Mesme në shekullin XVII, Tirana 1963 vol. II, p. 112.
I. Zamputi, Relacione mbi gjendjen e Shqipërisë Veriore dhe të Mesme në shekullin XVII, Tirana 1963,vol. I, p. 113.
U. Chiocchini, Le mie avventure missionarie in Albania, Tip. ‘Immacolata Concezione’, Scutari 1933, p. 18.
E. Schmourlo, L’Archivio di Propaganda, in «Roma e l’Oriente», I (191011), 2, pp. 108-110.
Artan Fida, Il viaggio missionario in Albania nel secolo XVII, in Questioni odeporiche. Modelli e momenti del viaggio adriatico, a cura di G. Scianatico e R. Ruggiero, Bari, Palomar, 2007; pag.. 348.
Melisa Nexhipi e Suela Nexhipi, Un viaggio di lavoro per conto della Sublime Porta
(la relazione precisa e attendibile di Evliya Celebi nel XVII secolo), in Questioni odeporiche. Modelli e momenti del viaggio adriatico, a cura di G. Scianatico e R. Ruggiero, Bari, Palomar, 2007; pagg. 423-433.
Melisa Nexhipi e Suela Nexhipi, Un viaggio di lavoro per conto della Sublime Porta
(la relazione precisa e attendibile di Evliya Celebi nel XVII secolo), in Questioni odeporiche. Modelli e momenti del viaggio adriatico, a cura di G. Scianatico e R. Ruggiero, Bari, Palomar, 2007; pag. 424.
R. Dankoff, R. Elsie, Evliya Celebi in Albania and adjacent Regions
(Kosovo, Montenegro, Ohrid), Brill Leiden, Boston Köln 2000, p. 41.
R. Dankoff, R. Elsie, Evliya Celebi in Albania and adjacent Regions
(Kosovo, Montenegro, Ohrid), Brill Leiden, Boston Köln 2000, p. 45.
R. Dankoff, R. Elsie, Evliya Celebi in Albania and adjacent Regions Kosovo, Montenegro, Ohrid), Brill Leiden, Boston Köln 2000, p. 41.
R. Dankoff, R. Elsie, Evliya Celebi in Albania and adjacent Regions (Kosovo, Montenegro, Ohrid), Brill Leiden, Boston Köln 2000, p. 61.
R. Dankoff, R. Elsie, Evliya Celebi in Albania and adjacent Regions (Kosovo, Montenegro, Ohrid), Brill Leiden, Boston Köln 2000, p. 61.
R. Dankoff, R. Elsie, Evliya Celebi in Albania and adjacent Regions (Kosovo, Montenegro, Ohrid), Brill Leiden, Boston Köln 2000, p. 63.
R. Dankoff, R. Elsie, Evliya Celebi in Albania and adjacent Regions (Kosovo, Montenegro, Ohrid), Brill Leiden, Boston Köln 2000, p. 65-67.
R. Dankoff, R. Elsie, Evliya Celebi in Albania and adjacent Regions (Kosovo, Montenegro, Ohrid), Brill Leiden, Boston Köln 2000, p. 93-95.
Evlija Çelebi, Seyahatname, voll. VI e VIII, in Shqiperia para dy shekujve (Sipas pershkrimeve me 1670 te udhetarit dhe gjeografit turk Muhammed Ibni Dervishi (Evlija Çelebi)
[L’Albania due secoli fa (secondo le descrizioni del 1670 del viaggiatore e geografo turco Muhammed Ibni Dervishi (Evlija Çelebi)], tradotto da Salih Vuçiterni, ed. Shkodra, Tirana 1930, p. 10.
Irena Ndoci, Il viaggio di Lovro Mihaceviq: un ecclesiastico bosniaco in Albania
Questioni odeporiche. Modelli e momenti del viaggio adriatico, a cura di G. Scianatico e R. Ruggiero, Bari, Palomar, 2007; pagg. 525-533.
Ibidem, pag. 529
Ibidem, pagg. 527-528..
L. Mihaçeviq, Nëpër Shqipëri 1883-1907. Mbresa Udhëtimi & Etnografi, Enti Botues “Gjergj Fishta”, 2006, p. 36.
Irena Ndoci, cit., pag. 532.
V. Mantegazza, L’Albania, Bontempelli & Invernizzi, Roma 1912.
In Questioni odeporiche. Modelli e momenti del viaggio adriatico, a cura di G. Scianatico e R. Ruggiero, Bari, Palomar, 2007; pagg. 577-583
M. Longo, cit, pagg. 579-80.
Ibidem, pag. 533.
A. Baldacci, Itinerari albanesi, Società Geografica Italiana, Roma 1917.
V. Mantegazza, L’Albania, Bontempelli & Invernizzi, Roma 1912.
J. Roth, Albania in Albania. Viaggi d’autore, Touring, Milano 1997.
L. Morpurgo, In Albania. Note di Viaggio, in C. Bornate, Corso di geografia ad uso dei ginnasi e degli Istituti magistrali inferiori, vol. II: L’Italia, Albrighi, Segati e C., Roma 1934.
Maurizio Longo, Il Nord dell’Albania descritto da viaggiatori illustri tra fine Ottocento
e inizio Novecento: Baldacci, Mantegazza, Roth, Morpurgo, in Questioni odeporiche. Modelli e momenti del viaggio adriatico, a cura di G. Scianatico e R. Ruggiero, Bari, Palomar, 2007; pagg. 581-582.
Markeliana Mustaka Anastasi, La missione volante dei gesuiti, in Questioni odeporiche. Modelli e momenti del viaggio adriatico, a cura di G. Scianatico e R. Ruggiero, Bari, Palomar, 2007; pagg. 625-636.
Padre Domenico Pasi S.J. in Lettere edificanti della Provincia veneta della Compagnia di Gesù; serie XIV, pp. 44-46.
Padre Angelo Sereggi S.J. in Lettere edificanti della Provincia veneta della Compagnia di Gesù; serie XV, pp. 58-59.
Padre Angelo Sereggi S.J. in Lettere edificanti della Provincia veneta della Compagnia di Gesù; serie XV, pp. 70-71.
Vilma Tafani, Shqipëria dhe Elbasani në syrin e udhëtarëve të huaj (L’Albania ed Elbasan agli occhi dei viaggiatori stranieri) Sejko, Elbasan, 2003; pagg. 52-55; 73-76; 191-218; 221-228.
Matilda Harja, L'Albania ed Elbasan agli occhi di un viaggiatore in bicicletta, in Lo sguardo del viaggiatire tra le due sponde dell’Adriatico. Voci, percorsi, incontri tra Molise e Albania, a cura di G. Patrizi, Arti Grafiche "La regione" , 2008. Atti del convegno "I viaggiatori tra le due sponde dell'Adriatico" (20 giugno 2007, Montecilfone); pagg. 75-83.
Vilma Tafani, op. cit,. pag. 53.
Matilda Harja, op. cit., pag. 79.
Matilda Harja, op. cit., pag. 80.
Matilda Harja, op. cit., pag. 80.
Margaret Masson Hardie Hasluck (1885-1948), epigrafista, geografa, archeologa, esperta di lingue classiche e di folklore, di origine scozzese, ha studiato nelle Università di Aberdeen (sulla costa nord orientale della Scozia) e di Cambridge. Nel 1913 si è sposata con l’archeologo inglese Frederick William Hasluck. Ha viaggiato e studiato in vari paesi del vicino oriente: Grecia, Turchia, Albania, Macedonia, Egitto, Cipro. Dopo la morte del marito per tubercolosi, nel 1920, ha passato un po’ di tempo in patria per curare la pubblicazione delle opere di Frederick William Hasluck. Margaret Hasluck ha passato in Albania 13 anni, abitando a Elbasan, dove aveva preso casa, raccogliendo leggende folkloriche e studiando la lingua albanese. Tra le sue opere sull’Albania, si segnalano: The Nonconformist Moslems of Albania, The Contemporary Review, 127, 599-606; 1925.
Këndime Englisht-Shqip or Albanian-English Reader: Sixteen Albanian
Folk-Stories Collected and Translated, with Two Grammars and Vocabularies, Cambridge, 1932.
Physiological Paternity and Belated Birth in Albania, MAN: A Monthly Record of Anthropological Science 32, 53-54; 1933.
Bride-Price in Albania: A Homeric Parallel, MAN: A Monthly Record of Anthropological Science 33, 191-195
Vilma Tafani, Shqipëria dhe Elbasani në syrin e udhëtarëve të huaj, cit. pag. 206.
Matilda Haria, op. cit., pag. 82.
Vilma Tafani, op. cit., pag. 212.
Edith Durham è molto nota per i suoi viaggi nei Balcani, che ha poi dettagliatamente descritto nei suoi libri: uno dal titolo The burden of the Balkans (1905) e l’altro dal titolo High Albania (1909). Il suo primo vero e proprio viaggio esteso in tutta l’Albania, la Durham lo intraprende nel 1904 durante il quale, catturando in acquarelli scene della vita nei villaggi e collezionando oggetti del folklore e dell’arte locale, se ne innamora a tal punto da divenire un’ardente sostenitrice nel quadro balcanico dell’indipendenza e dell’identità dell’Albania.
Nel 922, per motivi di lavoro (era una giornalista) intraprende un viaggio nell’Albania del nord, di cui riferirà nel libro: R.W. Lane, The peaks of Shala, Harper and Brothers Publishers, New York e Londra 1923. Il libro è stato tradotto in albanese nel 2004 da Avni Spahiu col titolo Majat e Shalës, Argeta-LMG, Tirana 2004.
Tutte le citazioni dalle opere originali sono state tradotte dalle curatrici del saggio.
Antropologa inglese, autrice del libro Albania Today: A Portrait of Post Communist Turbulence, London ; New York : I.B. Tauris, 2005. Il libro è stato tradotto in albanese da Jorgji Qirjako, Argeta-LMG, Tirana 2005.
Austriaca, membro di un’organizzazione umanitaria per i paesi in via di sviluppo, autrice del libro ALBANIEN – nördlich des Shkumbin, Ein Stück vergessenes Südeuropa, Weishaupt, 2003. Il testo è stato tradotto in albanese da Simo Vogli col titolo Shqipëria Veriore nga Petrela në Jezercë. Një copë Europë Jugore e harruar (L’Albania del nord, da Petrela a Jeserca. Un pezzo dell’Europa del Sud dimenticato), Mirgeeralb, Tirana 2006.
E. Durham, The burden of the Balkans, E. Arnold, London 1905 (Brenga e Ballkanit, titolo del libro tradotto in albanese da H. Thanasi, Argeta-LMG, Tirana 2000).
M. Graf, Shqipëria Veriore, nga Petrela ne Jezerrcë. Nje pjesë e Europës së Jugut e harruar, Mirgeeralb, Tirana 2006.
M. Graf, op. cit.
Klodeta Dibra ed Elda Katorri, Le donne scoprono l’Albania, in Questioni odeporiche. Modelli e momenti del viaggio adriatico, a cura di G. Scianatico e R. Ruggiero, Bari, Palomar, 2007; pagg. 642-643.
Klodeta Dibra ed Elda Katorri, op.cit., pag, 644.
Klodeta Dibra ed Elda Katorri, op. cit, pagg. 645.
Klodeta Dibra ed Elda Katorri, op. cit, pag. 646.
Klodeta Dibra ed Elda Katorri, op. cit, pag. 647.
C. de Waal, Albania Today: A Portrait of Post Communist Turbulence, I.B. Tauris, London-New York 2005 (Mbijetesa. Shqipëria ne postkomunizem, traduzione albanese di J. Qirjako, Argeta-LMG, Tirana 2005).
M. Graf, Shqipëria Veriore, nga Petrela ne Jezerrcë. Nje pjesë e Europës së Jugut e harruar, Mirgeeralb, Tirana 2006.
Klodeta Dibra ed Elda Katorri, op. cit, pag. 648.
Fonte: http://www.viaggioadriatico.it/ViaggiADR/corsi/l-albania-agli-occhi-dei-viaggiatori-stranieri-un-paese-cosi-vicino-cosi-lontano/modulo-dibra-sega.doc
Sito web da visitare: http://www.viaggioadriatico.it
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