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LA POPOLAZIONE DEL PIANETA
1- Il meccanismo della grande crescita demografica
Una lunga e difficile espansione
Nell'8000 avanti Cristo epoca in cui fu inventata l'agricoltura, si calcola che la terra fosse popolata da circa 5 milioni di esseri umani.
Alla nascita di Cristo si stima che la popolazione arrivasse a 300 milioni di persone e nel 1650 a circa 550 milioni.
Una crescita lentissima, solo a partire dal XVIII secolo la popolazione ha iniziato a espandersi con continuità:
tra ... ed il 1850 si è avuto il primo raddoppio e poi meno di 100 anni sono stati sufficienti per il secondo nel 1950 la popolazione mondiale ammontava a circa 2 miliardi e mezzo e dopo soli 37 anni ha raggiunto i 5 miliardi.
Anche se negli ultimi decenni del '900 si è registrata una riduzione davvero importante del tasso medio annuo di incremento demografico la popolazione mondiale continua a crescere velocemente per via della sua grande forza inerziale.
Il tasso di crescita continua ad essere inoltre molto differenziato territorialmente: meno di un quinto dell'umanità ha una crescita prossima allo 0, i restanti quattro quinti crescono ancora a ritmi piuttosto elevati.
La fortissima riduzione del tasso di incremento che da un paio di decenni si ha in Cina, frutto del controllo delle nascite e della politica del figlio unico, è alla base della riduzione del tasso di accrescimento della popolazione mondiale.
Demografia controllata e demografia naturale
La popolazione cresce quando si registrano livelli alti di natalità e/o bassi livelli di mortalità e al contrario rallenta la sua crescita o anche diminuisce quando le nascite sono poche e/o la mortalità è elevata; tende infine ad essere stazionaria se i livelli di natalità e di mortalità si equivalgono; perché ciò accada occorrono due figli per donna tali da sostituire, nel ciclo delle generazioni, i due genitori che li hanno generati.
La dinamica demografica è infatti il risultato complesso e collettivo dei comportamenti demografici individuali e di coppia.
Oggi l'uomo riesce a controllare efficacemente tanto la morte precoce quanto le nascite indesiderate, quella in cui ci troviamo dunque è una situazione di demografia controllata: in essa i processi del nascere del morire sono profondamente modificati sia per effetto di impulsi, di scelte che appartengono alla storia particolare dell'individuo e della coppia sia per effetto di motivazioni di natura collettiva: l'avere un figlio o un figlio in più costituisce una decisione profondamente diversa se si tratta di una famiglia istruita e benestante di una città industriale europea piuttosto che una povera famiglia rurale dell'Africa Subsahariana.
Prevalenti sono le determinanti biologiche e quelle ambientali intese in senso lato nel caso della fase di demografia naturale;
sono tanto più forti e influenti quanto più si rivolga l'attenzione verso società per le quali il processo di modernizzazione è iniziato da relativamente poco tempo.
La transizione demografica
La transizione demografica ha portato progressivamente le popolazioni da elevati verso ridotti livelli di fecondità e mortalità.
Si registra innanzi tutto una rapidissima crescita della popolazione per effetto dello sfasamento temporale tra l'anticipato calo della mortalità e il posticipato declino della natalità; la forte crescita della pressione demografica viene fronteggiata soprattutto attraverso la crescita delle risorse.
Nella lunga fase di transizione demografica il declino della natalità è ritardato, rispetto a quello della mortalità, è stato necessario che si creassero le condizioni, in primo luogo psicologiche e culturali -oltre che economiche, sociali e anche istituzionali- che permettessero l'accettazione del ricorso generalizzato a metodi contraccettivi. Le coppie e le donne si convincono ad avere meno figli solo quando si accorgono che ciò è per loro effettivamente conveniente.
La transizione è ormai compiuta in tutti paesi economicamente progrediti con tempi molto diversi quanto a periodo di inizio e durata; quasi sempre lenta e progressiva si accompagna generalmente allo sviluppo economico: quando la popolazione europea ha avuto, in particolare nella seconda metà del secolo XIX e nella prima del XX, un surplus di crescita demografica rispetto alla crescita economica i nuovi mondi da popolare e le colonie da sfruttare sono stati una opportunità.
La stessa gradualità dello stesso camminare mano nella mano di demografia ed economia non si sono avuti nei paesi in via di sviluppo in essi i paesi sviluppati hanno esportato molta più salute che sviluppo sicché la mortalità ha cominciato a declinare assai più precocemente e più intensamente di quanto declinasse la fecondità e di quanto progredissero le condizioni economiche.
Sanità tecnologia e modernizzazione
I metodi che attengono ad una efficiente organizzazione della sanità pubblica furono in qualche modo trasferiti dai paesi ricchi ai paesi poveri causando il fenomeno descritto in precedenza
in un solo caso il trasferimento di ricchezza e tecnologia sotto forma di rivoluzione verde ha consentito di alimentare milioni di persone è stato consistente. Ma il raddoppio che nella produzione agricola mondiale (Cina esclusa) si è avuto fra i primi anni 50 e il 1980 e non ha evitato che in media l'abitante di paesi più poveri abbia visto crescere la propria disponibilità alimentari di pochissimo o addirittura diminuire.
La fecondità non poteva calare parallelamente alla mortalità nei paesi poveri, ciò a causa del fatto che le tecnologie contraccettive affidabili sono arrivate molto dopo rispetto alle tecnologie della salute in secondo luogo per fattori economici perché nell'economia rurale un gran numero di figli consente ai genitori un migliore sfruttamento della terra e un'assicurazione contro la vecchiaia, inoltre per accettare di adoperare contraccettivi occorre un mutamento culturale che si attua con lentezza proprio com’ è stato possibile fare per i paesi sviluppati.
Dopo la seconda guerra mondiale si era messo in moto il meccanismo di crescita quasi incontrollata della popolazione che cominciò a essere pienamente percepito in alcuni circoli a livello tecnico scientifico e a livello politico soltanto durante gli anni 60.
2 - Il problema della Popolazione nel XX secolo
la sua percezione e le politiche
Il rapporto tra popolazione e risorse
Nel 1798 il pastore ed economista inglese Malthus pubblicò un saggio diventato molto famoso in cui attirava l'attenzione sul pericolo di un'eccessiva crescita demografica e affermava che la popolazione, quando non viene sottoposta ad alcun freno, cresce secondo la proporzione geometrica, mentre i mezzi di sussistenza aumentano in progressione aritmetica... in forza di quella legge di natura che rende il cibo necessario alla vita dell'uomo, gli effetti di queste due forze dovevano essere tenuti in equilibrio.
In particolare i poveri riproducendosi rapidamente e creando un surplus di manodopera, avrebbero anche causato una diminuzione dei salari e aumentato quindi la loro stessa povertà.
All'epoca le tecniche agricole erano molto primitive e l'autore non poteva certo prevedere che nell'arco di due secoli il progresso scientifico, grazie all'avvento dei fertilizzanti, delle sementi selezionate, e di una più efficace gestione del suolo, avrebbero consentito un incremento straordinario nelle produzioni alimentari. In ogni caso egli proponeva forme di controllo morale quali l'astensione dai rapporti sessuali, il ritardo dell'età al matrimonio e una maggiore frequenza del celibato definitivo per contrastare la crescita della popolazione.
Alle riflessioni di questo pastore si contrappone una visione ottimistica delle relazioni fra popolazione e risorse che trova le sue radici nella seconda metà del '700 negli scritti liberisti dell'economista e filosofo Adam Smith e nell'opera dell'illuminista Condorcet per i quali la razionalità dell'uomo garantirà anche un controllo spontaneo della crescita della popolazione.
Gli interventi dei governi dovevano essere finalizzati dunque, non a misure restrittive ma a politiche che mettessero le persone in grado di poter consapevolmente scegliere il numero dei figli da mettere al mondo.
Da una critica alle affermazioni malthusiane parte anche la teoria marxiana sul rapporto tra popolazione e accumulazione capitalistica, da cui deriva tutta quella corrente di pensiero di stampo socialista, che soprattutto nel '900 ha influenzato notevolmente il dibattito sulla popolazione, sostenendo che l'aumento demografico dei paesi meno sviluppati non fosse una causa, ma una conseguenza del sottosviluppo generale e della povertà individuale, individuando così la necessità di agire in primo luogo sul sistema economico.
Ad alimentare l'interesse sulla popolazione nella prima metà del '900 furono i problemi opposti: la denatalità per esempio; in Francia una preoccupazione fortissima per questo problema si ebbe già alla fine dell' '800 e si acuì dopo la prima guerra mondiale, dal momento che la sconfitta venne imputata alle proprie leve di soldati ridottissime per effetto delle poche nascite.
In Europa a cavallo tra le due guerre mondiali si registrò una forte diminuzione della fecondità che venne letta come un ulteriore sintomo del declino dell'Occidente. In questo momento i paesi si dotarono di istituti di statistica dando così un forte impulso allo sviluppo degli studi demografici.
Tutti i governi adottarono misure miranti a combattere la denatalità, e a contrastare la discesa delle nascite.
La politica popolazionista più sistematica fu adottata dall'Italia durante il fascismo: ammenda contro la propaganda dei metodi contraccettivi, legge contro l'aborto, tasse sul celibato, esenzione fiscale per le famiglie numerose, assistenza alla maternità e l'infanzia, colonizzazione demografica, scoraggiamento del fenomeno dell'urbanizzazione; furono le misure adottate dal fascismo allo scopo di creare una popolazione produttiva ed in espansione.
Il ruolo della comunità internazionale
Nell'ambito del problema demografico del XX secolo interessante osservare i passi compiuti dalla comunità internazionale:
dopo una prima conferenza organizzata dalla Società delle Nazioni nel '27 la comunità internazionale tornò a interessarsi alla popolazione solo dopo la fine della seconda guerra mondiale dotando la neonata organizzazione delle Nazioni Unite di due organismi permanenti: la Commissione sulla popolazione nel '46, formata da rappresentanti dei governi ed esperti e la Divisione per la popolazione incaricata di occuparsi dello studio dei problemi demografici ritenuti fondamentali per la programmazione economica nei diversi paesi. ( sia per quelli sviluppati che per quelli sottosviluppati )
Il New Deal, con le sue politiche di intervento dello Stato, aveva aperto la strada alle politiche di pianificazione in campo sociale ed economico per la progettazione delle quali si resero necessari studi demografici sistematici permettendo tra l'altro alla demografia di prendere le distanze dalle teorie eugenetiche dei gli anni 30.
Le politiche della comunità internazionale in campo demografico sono state fortemente volute da gli Stati Uniti convinti da sempre che la diffusione di istituzioni liberali democratiche avrebbe potuto garantire un processo di reale sviluppo economico.
Per raggiungere la prosperità necessaria per la stabilizzazione demografica si riteneva dunque indispensabile un processo di modernizzazione di lungo periodo.
Sembrava inoltre che il comunismo trovasse terreno fertile in quei paesi caratterizzati dalla predominanza di una popolazione contadina povera, insoddisfatta e rapidamente crescente: le liste dei paesi in queste condizioni (primo fra tutti il subcontinente indiano) era lunga.
Il progressivo aumento degli aiuti e dei prestiti votato dal Congresso Americano a favore dei paesi asiatici non prevedeva programmi di pianificazione delle nascite che continuavano ad essere guardati con sospetto in America.
Oltre che nel settore della ricerca, al fine di trovare metodi contraccettivi efficaci, gli sforzi si concentrano principalmente nella formazione di una piattaforma internazionale favorevole ad un approccio Neomalthusiano al problema demografico.
Nei primi anni '50 vi era anche un notevole dibattito sull'opportunità che l'ONU convocasse una conferenza internazionale sulla popolazione:
la prima conferenza mondiale sulla popolazione fu convocata delle Nazioni Unite a Roma nel 1954 come riunione scientifica cui parteciparono circa 600 studiosi che sottolinearono in particolare i fabbisogni in termini di statistiche demografiche con riferimento a quelle necessarie per i paesi in via di sviluppo.
Dieci anni dopo il clima politico all'interno delle Nazioni Unite era lo stesso, la seconda conferenza dell'ONU, tenuta a Belgrado nel '65, fu ancora una riunione scientifica ma con una larghissima partecipazione di non accademici che presero parte a sessioni tecniche anche in tema di fecondità, di pianificazione familiare; riconoscendo questi come fattori critici per lo sviluppo sociale ed economico.
Le politiche di controllo delle nascite
Il controllo delle nascite è iniziato in Olanda nel 1881 e negli Stati Uniti nel 1916 con l'insegnamento e la pratica anticoncezionale da parte di due attiviste, si cercò inoltre di legalizzare l'aborto per migliorarne l'applicazione come terapia eugenetica, termine che risale al 1883 e che indica un movimento che studia il patrimonio ereditario dell'uomo e i modi per migliorarlo. Questo termine assunse durante gli anni del nazismo, non sempre ragione, il significato di ideologia nazista; bisognerà aspettare circa un secolo per arrivare all'amniocentesi cioè a una forma di controllo delle condizioni del feto.
Già negli anni '50 nacquero posizioni diverse secondo le quali i complessi cambiamenti sociali, economici, istituzionali dello sviluppo causano denatalità;
in quest'ottica le teorie neo-malthusiane sono state accusate di mascherare le finalità di stati che guardavano ai propri interessi di fronte al timore di paesi che potevano diventare luogo incontrollato per la formazione di gruppi oppositori.
Il fatto, inoltre, che politiche di pianificazione familiare dei paesi sottosviluppati siano preferite a programmi di sviluppo rivelerebbe la volontà di mantenere certi dislivelli tra nord a sud del mondo.
In questo dibattito l'ONU assunse una posizione autonoma, perché l'organizzazione si trovò ad avere una composizione diversa da quell'originaria e il problema dello sviluppo del terzo mondo esplose in tutta sua drammaticità cosicché il mondo occidentale non poté più far finta di niente.
Alcuni governi di paesi dell'Africa, dell'America Latina e dell'Asia si resero conto delle conseguenze negative sullo sviluppo nazionale di una troppo rapida crescita della popolazione:
nel 1960 Barbados, Cina, India e Pakistan avevano già adottato politiche volte esplicitamente ridurre i tassi di crescita delle loro popolazioni.
Nel febbraio 1965 la Commissione sulla popolazione delle Nazioni Unite propose di dare assistenza anche nel campo della pianificazione familiare a tutti quei paesi che domandassero aiuto.
Risorse e limiti dello sviluppo
Con le tesi di uno storico ambientalista americano sull'esplosione demografica, nel 1968 nasce la corrente definita Neo-malthusiana che guarda con paura all'aumento della popolazione mondiale accusando questa tendenza di essere la causa di molti mali tra i quali la carenza energetica, di risorse alimentari(in questo ambito si parla più che altro di problemi di distribuzione) dell'inquinamento ambientale, di instabilità politica.
Sempre nel '68 nasce il Club di Roma con lo scopo di analizzare i possibili sviluppi della situazione corrente ipotizzando un futuro nato degli effettivi ritmi di crescita, questo lavoro è stato più volte criticato per le metodologie utilizzate ed anche per non aver tenuto conto delle creatività dell'uomo.
La riduzione del tasso d'incremento della popolazione è la condizione prima per lo sviluppo e può essere realizzata solo tramite una politica attiva diffusa ed efficace di controllo delle nascite.
L'amministrazione Bush accusata di essere la principale responsabile del ritardo nella diffusione del controllo delle nascite.
Altri autori nella seconda metà del XX secolo partono dal concetto di risorse naturali, fra le quali vanno incluse pure quelle usate per produrre beni e servizi e che dipendono anche della tecnologia utilizzata; in quest'ottica non è possibile parlare di ammontare fisso di risorse a meno che non si consideri la tecnologia esistente l'unica disponibile.
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Gli ottimisti credono dunque che nuove invenzioni possono far aumentare, anziché esaurire, le risorse e che la crescita della popolazione possa avere degli effetti positivi sul tasso di crescita economica attraverso l'effetto positivo sul tasso di progresso tecnico.
Questa visione è del tutto contraria a quella catastrofica di Malthus che non ritiene possibile per la conoscenza tecnica stare al passo con la sempre crescente domanda di nuove tecnologie, partì inoltre dal concetto per cui gli esseri umani sono la risorsa primaria e quindi la crescita anche indefinita della popolazione non deve preoccupare o peggio spaventare, perché l'uomo produrrà nuove soluzioni influenzando positivamente anche la distribuzione della ricchezza; certo la società deve pagare costi anche elevati per istruire nutrire molti bambini ma tutto ciò costituisce un investimento a lungo termine.
Bisogna distinguere gli effetti della crescita della popolazione in economie di libero mercato da quelli che si hanno in sistemi a economia pianificata, se si considera per esempio la storia delle nazioni che si divisero in due parti dopo la seconda guerra mondiale adottando sistemi politici ed economici opposti si può notare come l'economie di libero mercato abbiano ottenuto risultati economici migliori di quelle a pianificazione centralizzata pur avendo un andamento pressoché identico dei tassi di natalità.
Il Consiglio Nazionale delle Ricerche e l'Accademia nazionale delle Scienze degli Stati Uniti arrivarono alla conclusione che mancando precisi riscontri storici statistici, non si poteva affermare che la veloce crescita demografica rallentasse necessariamente la crescita economica di un paese.
Bisogna comunque tenere presente la capacità di carico del territorio: esiste una popolazione massima sostenibile e nulla prova che il ritmo del progresso tecnologico riesca a controbilanciare le conseguenze dannose determinate sulla produttività del suolo dalla crescita della popolazione e dalle stesse innovazioni scientifiche.
Il rischio è quello di una catastrofe ambientale causata da scienze e tecnologia che, oltre ad essere strumento di superamento di situazioni di crisi, si trovano talvolta ad'esserne la causa.
In questo dibattito la Chiesa non abbandona le sue posizioni negative nei confronti del controllo delle nascite, e della contraccezione artificiale.
Le prime conferenze mondiali dell'ONU
1954: conferenza di Roma
1964: conferenza di Belgrado
1974: conferenza di Bucarest: per la prima volta aperta alle sole delegazioni dei governi: quadro demografico allarmante: nel 2095 prevista una popolazione di 32 miliardi di persone, inoltre sul panorama economico politico si era da poco verificato il primo shock petrolifero, il nuovo ordine economico internazionale reclamava un'ampia redistribuzione delle risorse.
Tema della conferenza, dunque, lo sviluppo e gli squilibri nord - sud, e dunque il tema dell'eccessiva fecondità dei paesi del sud, un tempo ritenuto il maggiore ostacolo allo sviluppo economico, è in questa sede che si chiede di condizionare gli aiuti per lo sviluppo a politiche di controllo delle nascite (Ciò è visto dai pvs quantomeno con sospetto considerando che nelle economie arretrate un gran numero di figli corrisponde ad assistenza in vecchiaia e a braccia per il lavoro agricolo). Questa concezione verrà soppiantata dalla tesi per la quale il miglior contraccettivo è lo sviluppo
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1984: città del Messico: posizioni invertite rispetto a Bucarest: ora gli Stati Uniti insistevano sulla necessità di un cambiamento di sistema economico, sostenendo che lo strumento regolatore della crescita demografica, era l'economia di mercato (non più il controllo delle nascite).
La conferenza vide dunque i pvs ancora terreno di scontro ideologico tra due sistemi politici ed economici opposti. Con l'affermazione che lo statalismo sovietico inibisse l'iniziativa individuale e interrompesse dunque il meccanismo naturale che nei paesi capitalistici rallenta la crescita della popolazione, si attaccavano chiaramente i sistemi economia pianificata.
Il punto di svolta si ebbe nel 1987 quando la commissione mondiale sull'ambiente e lo sviluppo pubblicò il rapporto "il nostro comune futuro" legando indissolubilmente i temi di popolazione ambiente e sviluppo e affrontando il tema dello sviluppo sostenibile.
Ogni politica della popolazione non poteva più prescindere da due punti:
1 Il ruolo della donna nello sviluppo e
2 l'integrazione dei servizi di pianificazione familiare in programmi sanitari ed educativi più ampi.
1992: Rio de Janeiro: grande conferenza ONU sulle questioni ambientali e lo sviluppo sostenibile la questione demografica era ormai sfumata.
La conferenza del Cairo: verso un approccio globale
Quella del 1994 vista come l'ultima possibilità d'intervento, considerata la durata ventennale del nuovo piano mondiale di azione, per l'adozione a livello politico dell'obiettivo della stabilizzazione demografica che era stato ideato ad Amsterdam, secondo tale obiettivo si doveva raggiungere il tasso di fecondità pari al livello di sostituzione in modo tale da assicurare la crescita zero.
Il clima rispetto a Bucarest e a Città del Messico è decisamente cambiato: con la caduta del muro il sistema comunista non era più una minaccia agli occhi degli Stati Uniti, ma la questione popolazione non aveva smesso di colorarsi di tinte ideologiche e politiche: ad esempio le posizioni del Vaticano e quelle della religione Islamica, ciò che apparve fu proprio questo nuovo approccio globale.
Il timore dei paesi del sud di essere abbandonati a sé stessi non essendo più un interessante territorio di conquista fecero sì che fosse ritenuto essenziale un richiamo al principio di responsabilità come criterio politico da seguire.
Da un lato quindi, l'approccio globale significava che le diffusione di efficaci strumenti di pianificazione familiare doveva procedere di pari passo con la promozione dello sviluppo inteso come sviluppo sostenibile, sviluppo della condizione della donna, sviluppo dei diritti umani, della cooperazione internazionale.. E' vero anche che sembrava che questi temi stemperassero in un più ampio contesto di sviluppo i temi demografici e che questi non fossero ancora il vero fine della conferenza.
3 - Cina e in India, i paesi miliardari
Nel caso dell'India per la metà del nostro secolo e prevista una popolazione di 1.000.000.005131 milioni di persone se queste proiezioni troveranno conferma per quell'epoca di ingrassare paesi più popoloso al secondo posto Cina con gli Stati Uniti con il Pakistan poi l'Indonesia.
Anche in una prospettiva di lungo periodo però i soli paesi miliardari sarebbero Cina e di India
Tra libertà individuale ed esigenze collettive
Nel '91 c'erano almeno cinque buoni motivi per attuare il controllo delle nascite in India secondo il primo ministro Rao; il principale era che un tasso medio annuo di incremento della popolazione, all'epoca pari a poco meno del 2 % avrebbe richiesto una crescita del prodotto interno lordo importante per far fronte alle necessità della popolazione che ogni anno si aggiungeva e alle necessità di quella già presente.
Poi aggiunse che una comunità rurale dell'interno dell'India non sarebbe stata convinta da nessuna di quelle buone ragioni dato che:
a) quando l'economia è rurale, nuove braccia assicurano un migliore sfruttamento della terra e già dai 4 o 5 anni il bambino contribuisce all'economia familiare.
b) quando la mortalità infantile è elevatissima e le pensioni inesistenti, un gran numero di figli è necessario per averne un numero sufficiente da mantenere i genitori in vecchiaia.
c) quando l'istruzione é praticamente nulla e la cultura e i valori si trasmettono oralmente, è difficile sradicare il concetto che la fecondità alta sia un valore positivo dato che in India è anche oggetto di culto religioso.
Difficile e lungo dunque il processo del calo della fecondità se legato soltanto a politiche demografiche senza quindi coercizione o politiche economiche, sanitarie, educative di sostegno.
Dall'inizio del secolo XX e fino a tutti gli anni '60 la fecondità indiana è rimasta praticamente immutata intorno ai 6 figli per donna mentre la mortalità diminuiva, l'accelerazione della crescita demografica fino all'inizio degli anni '70 è il risultato di una diminuzione della mortalità più rapida: ciò corrisponde allo schema classico della transizione demografica. Poi lentamente anche la fecondità ha cominciato a declinare fino ai 3,4 figli per donna accertati nel '91, ma a causa del meccanismo dell'inerzia demografica, ancora per molti anni a venire avremo un numero di nascite superiore ai 23 milioni all'anno.
All'interno dell'India e i regimi di fecondità variano assai sensibilmente passando dal numero medio di figli per donna pari a 2 degli Stati di Goa e di Kerala, valori questi del tutto occidentali, a quello di 4,8 dello Stato di Uttar Pradesh, oltretutto molto più popoloso dei primi due, che provoca una crescita intensa.
Nel '52 l'India aveva istituito il primo programma ufficiale di pianificazione familiare in un paese sottosviluppato applicando inizialmente i metodi tradizionali come lunghi periodi di allattamento e il metodo Ogino Knaus, e poi metodi più "aggressivi" come un'ampia distribuzione di mezzi contraccettivi moderni, la soppressione dei permessi di maternità per madri lavoratrici con troppi figli, l'innalzamento dell'età legale al matrimonio, premi per i medici e gli operatori sanitari che praticavano la sterilizzazione.
Il programma non ha avuto grandi risultati: dalle 50-55 al 70-75 il tasso medio annuo di crescita è addirittura aumentato dal 2 al 2,24% a causa della sempre più intensa riduzione della mortalità.
Nel '76 il governo di Indira Gandhi decise una accelerazione dei programmi e si ebbero campagne coercitive di sterilizzazione all'insaputa delle donne, questo attentato alla democrazia contribuì alla caduta del primo ministro ma, con il suo ritorno nel '80 e con la fortissima crescita demografica che si stava avendo la politica demografica subì una accelerazione è un rafforzamento.
Per ridurre il tasso di fecondità bisogna attuare programmi che mirino a trasformare le condizioni sociali ed economiche del paese, a questo proposito Susan George sostiene che è inutile una rivoluzione che non supponga alle forze interessate al mantenimento dello status quo tra cui il regime fondiario: le disparità nei comportamenti demografici riflettono infatti le forti differenze socio economiche e culturali nello stato di Kerala con bassa fecondità, altro ricorso alla contraccezione, mortalità infantile pari al 24%o e 18% di donne analfabete e lo Stato di Uttar Pradesh con alta fecondità, basso ricorso alla contraccezione, mortalità infantile del 10%, e donne analfabete in gran quantità (68%).
Negli ultimi anni passi tutt'altro che trascurabili sono stati compiuti per un diffuso e accettato controllo delle nascite: il numero medio di figli per donna è sceso dal valore di 6 del 50-55 a quello stimato di 3 per il periodo del 2000-5.
Nel nono piano quinquennale, approvato nel '99, tra gli obiettivi prioritari la riduzione dell'attuale tasso di accrescimento demografico pari al 1,51% l'anno ritenuto troppo elevato; le preoccupazioni maggiori derivano da una straordinaria proporzione di giovani che richiede immensi investimenti in istruzione e nella creazione di posti di lavoro e da una intensissima e nuova crescita degli ultrasessantenni che richiederà profonde trasformazioni delle reti di supporto familiare e nel, ancora primitivo, sistema di Welfare.
L'India vuole muoversi verso uno sviluppo sociale ed economico sostenuto e, da poco, anche sostenibile, verso una maggiore possibilità di emigrare, verso un più diffuso controllo dei concepimenti che però dev'essere frutto di una libera decisione individuale e non di politiche coercitive.
Nel nuovo millennio, lo sforzo principale è però diretto allo sradicamento della povertà, ancora assai diffusa nonostante i recenti progressi economici.
La politica di contenimento della crescita demografica richiede tempi lunghi ed i possibili risultati sono molto differiti nel tempo.
In India sembra che si stia tornando a una concezione meno classicamente malthusiana: la crescita dell'istruzione e del lavoro, la riduzione della povertà daranno un contributo decisivo a una diffusione più rapida e convinta della contraccezione (oggi molto meno diffusa in India che in Cina).
Le <<modernizzazioni>> cinesi
Un misto di riforme sociali e misure coercitive si ritrova in Cina, ma quanta parte della ridotta fecondità cinese - stimata per il 2000 in 1,8 figli per donna - sia frutto delle misure coercitive e quanta sia invece il frutto delle migliori condizioni economiche delle donne e delle coppie cinesi è di fatto un mistero.
Statistiche internazionali di varia fonte segnalano che le donne cinesi hanno un tasso di analfabetismo ridotto, una lunga durata media della vita, un consistente coinvolgimento nelle forze di lavoro, inoltre sul discreto reddito pro-capite della Cina e sulla elevatissima proporzione di donne cinesi che fanno uso di contraccettivi si è già parlato nel paragrafo precedente.
Nel 1949 il regime comunista prese il potere in Cina ed iniziò un'opera di smantellamento delle istituzioni tradizionali e di eliminazione fisica dei controrivoluzionari. La popolazione fu ripartita in unità di lavoro, comitati di quartiere nelle città e comitati di contadini nelle campagne, questa organizzazione è stata lo strumento decisivo per la riuscita della politica demografica cinese iniziata nel '56.
Le prime esperienze di politica demografica furono paralizzate nel biennio ' 58-'59 (periodo dell'ambizioso e tragico programma del grande balzo in avanti) dopodichè fino al 1961 e ai "tre anni neri" delle gravissime carestie ed epidemie e nei primi anni della rivoluzione culturale lanciata nel '66.
Soltanto con il ritorno alla normalità nel 71 ha avuto inizio una vera campagna di contenimento della crescita demografica:
Il governo fissava:
- quote di nascita un numero massimo di nascite consentite nell'anno successivo ripartita cascata.
- norme di procreazione: il matrimonio non era autorizzato nelle città fina ai 25 anni per le donne e ai 27 per gli uomini e nelle campagne fino ai 23 e 25 rispettivamente; il numero di figli era limitato a 2 nelle città e 3 nelle campagne (pena l'aborto obbligatorio), inoltre un intervallo di tre anni era necessario tra una nascita e l'altra nelle città e di quattro anni nelle campagne.
- la pianificazione delle nascite diventava un vero e proprio compito politico.
Nel '78 il governo si avviò sulla strada delle "quattro modernizzazioni" per arrivare alle quali si rivedono al ribasso gli obiettivi demografici:
nel 2000 la popolazione non dovrà superare 1,2 miliardi e dovrà arrivare a 0 il tasso d'incremento naturale.
Per far ciò le nascite di un terzo figlio dovranno essere eliminate e la maggior parte delle coppie dovrà averne uno solo.
Si attua la Politica del Figlio Unico con vantaggi per le coppie che la seguono e sanzioni economiche (fino al licenziamento per le dipendenti dello Stato o all'aborto o alla sterilizzazione obbligatori) per quelle che la violano.
Le proteste e lo scontento portano ad un alleggerimento delle sanzioni tra l''84 e l '86, anche perchè l'accresciuta capacità economica delle persone delle campagne consente alle coppie rurali di pagare multe per avere anche un secondo o un terzo figlio.
La bassa fecondità è il risultato di tutto il complesso della politica demografica, di quella sociale, e dell'intero processo di modernizzazione.
La politica del figlio unico ha prodotto effetti gravi e perversi:
Tutte queste ragioni hanno spinto l'autorità cinese ad approvare una legge nel settembre 2002 sulla popolazione e la pianificazione familiare che dice: i cittadini hanno il diritto alla riproduzione così come hanno l'obbligo di praticare la pianificazione familiare in accordo alla legge, lo Stato mantenga la sua politica corrente anche perché seguendo la legge ed i regolamenti possono essere predisposti piani per consentire un secondo figlio se richiesto, la legge ribadisce, a protezione del feto, la proibizione a indagini prenatali.
In pratica si è inserita la pianificazione familiare nel più ampio contesto della "salute riproduttiva" (uno dei punti cardine della conferenza dell'ONU tenutasi nel '94 al Cairo).
La politica del figlio unico resta tutta intera ma si sono allentati un po' i freni e si sono tenuti maggiormente in conto i diritti delle coppie.
Caratteristiche della Cina sono le grandi ondate nei flussi di popolazione avute nel periodo ad alta natalità del "grande balzo in avanti" e alle forti contrazioni degli anni seguenti, tali flussi richiedono che i servizi sanitari per l'infanzia e il sistema scolastico si allarghino e si restringano a fisarmonica al variare dei flussi.
È, inoltre, straordinariamente complesso gestire, dal punto di vista ideologico che da quello operativo, il problema della popolazione in un paese che ha il 21% della popolazione mondiale e solo il 7% della terra arabile.
Un paese che non vuole superare il miliardo e mezzo di abitanti e che deve conciliare gli interessi della collettività con le libertà individuali specie quando sono così forti, come nel caso della Cina, sia gli obiettivi collettivi sia le tradizioni e le aspettative delle coppie e delle famiglie.
Una proposta interessante per risolvere il problema poteva essere quella di Kenneth Ewert Boulding, un economista britannico di grande sensibilità che nel 1964 propose di dare a tutte le donne alla nascita una tessera con dei bollini che le autorizzavano, raggiunta l'età riproduttiva, ad avere un certo numero di figli anche variabile: all'epoca si immaginava che la tessera potesse dare alla donna e quindi alla coppia la possibilità di procreare in media 2,2 figli, numero che consentiva alla popolazione la crescita zero, l'unità del bollino era un decimo di bambino, il decibimbo, le donne che non potevano o non volevano avere figli o non più di uno, avrebbero potuto cedere i propri decibimbo a chi ne voleva più di due, in questo modo si sarebbero ottenuti flessibilità individuale e perseguimento di obiettivi collettivi, certo però, forte era il rischio di un mercato nero dei decibimbi ma sempre meno grave della pratica dell'infanticidio delle bambine e dell'aborto selettivo.
4 - Una implosione demografica per l'Europa?
Intorno all'anno 1000 e rispetto alla nascita di Cristo la popolazione europea aveva mantenuto una sostanziale crescita zero, e costituiva il 17% della popolazione mondiale (circa 43 milioni di persone).
Nei secondi 1000 anni la crescita è stata invece intensa (anche se non comparabile alla crescita odierna dei paesi miliardari).
Nel 2000 la popolazione europea ammontava a 728 milioni, il 12% della popolazione della terra.
Per il futuro si profila un declino quasi certo, la cui velocità ed intensità sono difficilmente prevedibili, che potrebbe portare la popolazione europea intorno al 7 % della pop. mondiale nel 2050.
Il massimo peso demografico dell'Europa si è avuto nel 1900 (allora era Europeo un abitante su 4), mentre dopo appena 150 anni potrebbe essere europea solo più una persona su 14.
Ciò dovrà certamente modificare radicalmente le relazioni di varia natura intrecciate con il resto del mondo.
Una crescita durata mille anni
La crescita cominciata con l'anno mille durerà all'incirca tre secoli e sarà possibile grazie all'ampliamento delle terre coltivate, alla creazione di nuove città e al ripopolamento di aree abbandonate.
In questi 300 anni si verificarono diverse piccole crisi di mortalità che non alterarono però la tendenza alla crescita.
Intorno alla metà del XIV secolo arriva la peste, che tocca per prima la Sicilia nel 1347 ed arriva in Norvegia due anni dopo, e poi fino in Russia negli anni successivi.
Inutili le misure sanitarie prese (non si sapeva che il vettore fosse la pulce che ospite di qualche topo poteva viaggiare sulle navi per tutto il mondo).
Il numero di decessi in Europa porta in 50 – 60 anni la popolazione ad un calo di 25 milioni.
I due secoli successivi sono ancora devastati dalla peste che decima la popolazione, a cui si affianca il tifo.
Con l'epidemia del 1663-70 la peste esaurisce il suo ruolo di freno alla crescita demografica.
La popolazione Europea cresce fino a toccare i 160 milioni alla metà del XVIII secolo (1/5 della pop mondiale).
Con la rivoluzione industriale, nel XIX secolo, inizia il calo della mortalità (fase di transizione).
Alla metà dell'800 la popolazione ancora sale e l'offerta di lavoro eccede la domanda... occasione per l'Europa di popolare i nuovi mondi--> emigrazione massiccia e sfruttamento delle risorse delle colonie.
Metà del XVIII secolo, America del Nord---> già 125000 coloni dalla Germania e più di 700000 dalla GB..
Nel corso del XIX e del XX secolo il boom di emigrazione: 52 milioni di persone lasciarono l'Europa (34 milioni verso gli Stati Uniti).
Le ragioni di questo massiccio spostamento stanno negli sfasamenti temporali della transizione, contemporanea al disequilibrio nell'offerta - domanda di lavoro, dello spopolamento delle campagne in favore delle città, dello sviluppo economico.
Gli sfasamenti temporali portarono al disequilibrio demografico economico e quindi ad una pressione migratoria diversificata geograficamente a seconda del momento: Il flusso migratorio fu inizialmente britannico e tedesco, poi fu alimentato in varia misura dalle genti delle aree meno sviluppate d'Europa: meridionali (ITALIA) e orientali.
Il declino annunciato
Nonostante la massiccia emigrazione, proprio nel '900 si è avuto il picco di un europeo su quattro nel mondo.
In quel periodo iniziò anche un rudimentale controllo delle nascite che portò ad una forte riduzione del tasso di fecondità tra le due guerre, fenomeno cui venne imputata la responsabilità delle sorti del conflitto soprattutto dai francesi che iniziarono ad adottare politiche contro la denatalità, ciò fu perseguito anche da altri paesi anche se con motivazioni e metodi diversi, caso interessante è quello dell'Italia Fascista che promosse il ruolo della donna madre e fulcro del focolaio e incentivò le nascite favorendo le famiglie numerose. I progetti del fascio furono incentivati anche dal ruolo della chiesa favorevole alle politiche demografiche sebbene contraria a quelle relative all'eugenetica (condannata con una bolla papale).
Con la diffusione della pillola anticoncezionale dagli anni '50 riprende a scendere la natalità Europea che tocca i 2 figli per donna nel '70 e ancor meno (1,34) nel XXI secolo.
Quest'ultimo è un dato medio: a seconda della parte d'Europa il TFT è più o meno basso di questa cifra..stranamente proprio nell'Europa Meridionale si registrano i TFT più bassi (in Italia 1,1 il valore più basso mai registrato).
A meno che gli immigrati non arrivino a milioni il declino è assicurato da questo bassissimo TFT che produce l'inevitabile invecchiamento della popolazione.
La denatalità è stata definita la peste bianca.
Per dare un'idea della possibile implosione della popolazione EU si può fare riferimento alle più recenti proiezioni ONU secondo le quali la popolazione che nel 2000 si attestava a 728 milioni potrebbe scendere nel 2050 del 15% a 632 milioni (ciò se in futuro si seguisse il percorso della fecondità media), diverso il risultato se la fecondità europea dovesse ancora abbassarsi: il calo sarebbe del 24%.
Nel frattempo la popolazione africana potrebbe crescere enormemente nonostante l'epidemia di AIDS.
Quattro grandi sfide politiche e sociali
1 Si riuscirà ad avere almeno un parziale ricambio delle generazioni?
2 Lo stato sociale ed il benessere potranno essere assicurati?
3 Si saprà gestire la necessaria immigrazione straniera senza perdere la coesione all'interno di ogni paese?
4 Si sapranno mantenere adeguati rapporti con i PVS?
La prima sfida
Non se il TFT continua a scendere o non aumenta in paesi come il nostro e la Spagna.
Per far qualcosa si possono elaborare politiche contro la denatalità e per la famiglia, anche perché più veloce sarà il calo della natalità più veloce sarà l'invecchiamento della popolazione.
Siccome le società devono affrontare gradualmente i cambiamenti demografici, altrimenti rischiano la crisi, è necessario fare qualcosa.
Fintanto che c'è stata una piramide per età favorevole si è riusciti ad alimentare un sistema pensionistico efficace, che ha potuto assicurare una pensione di anzianità anche a coloro che nella vita non hanno potuto lavorare a sufficienza, e la possibilità di tenere bassa l'età pensionabile.
Con la piramide per età sfavorevole come quella odierna sarà ancora possibile garantire tali livelli di welfare?--> questa domanda ci porta alla seconda sfida.
La seconda sfida
Si può immaginare che con un forte aumento della produttività e dell'accumulazione capitalistica sarà possibile far fronte all'incidenza ormai decisiva delle tendenze demografiche attuali, anche se non è noto l'effetto che l'invecchiamento potrebbe avere su tali fattori, ipoteticamente potrebbe essere assai negativo scoraggiando la creatività e l'imprenditorialità tipica delle giovani età.
Si deve immaginare che i forti squilibri tra classi d'età porteranno alla fine della solidarietà intergenerazionale profilando per il futuro una nuova lotta di classe -d'età-.
Considerando poi che i politici per calmare i toni potrebbero essere tentati di privilegiare gli anziani perché più numerosi e dunque più potenti politicamente (già adesso gran parte dei fondi pubblici sono destinati alle famiglie anziane sebbene solo il 15% della popolazione risieda in esse), si prospetta una forte conflittualità tra giovani ed anziani.
E ancora: le differenze territoriali nella distribuzione degli anziani unite alle tendenze separatiste possono causare la fine della solidarietà interregionale (che insieme a quella intergenerazionale e a quella familiare è pilastro del sistema pensionistico) portando alla crisi quelle regioni più vecchie che non potrebbero gestire un sistema pensionistico autonomo.
La terza sfida
Sarà trattata nel capitolo relativo alle migrazioni
La quarta sfida
E' necessario che ciò avvenga considerando che lo sviluppo economico e sociale dei PVS (sopratutto l'Africa e i paesi che la circondano) non possono che essere un bene per l'Europa:
meno conflitti sociali, politici, e dunque militari, apertura di nuovi mercati...ecco perché è necessario che l'Europa elabori un efficiente sistema di cooperazione allo sviluppo.
Gli squilibri demografici e sociali tra Europa e Africa (in particolare) possono causare fortissimi flussi migratori difficili da gestire. Ecco perché è necessario tenere sotto controllo tali squilibri.
5 – L'invecchiamento della popolazione
Un processo generalizzato, articolato ed inevitabile
Il processo della transizione demografica è legato in maniera solidale a quello dell’invecchiamento della popolazione che consiste a sua volta nella riduzione del numero delle persone giovani e nel conseguente aumento di quelle anziane e vecchie.
Dati:
fra il 1950 ed il 2000 la popolazione mondiale è cresciuta del 141% e quella anziana all’interno di essa del 220% (da 131 milioni a 419 milioni), mentre quella vecchia del 401%.
Previsioni:
secondo la variante intermedia dell’ONU tra il 2000 ed il 2050 l’aumento potrebbe essere
del 47% della popolazione mondiale
al suo interno del 238% delle persone anziane
e del 446% di quelle vecchie.
Perché ciò avvenga è necessario che il calo della fecondità si trascini dietro quello delle nascite perché sono queste in valore assoluto che fanno sì che la base della piramide demografica resti larga.
Nella popolazioni della fine del XX secolo si possono riscontrare notevoli differenze di struttura per età e di invecchiamento tra territorio e territorio:
l’Etiopia per esempio è un paese fra i più giovani del mondo mentre l’Italia (e in essa l’Emilia Romagna) e il paese più vecchio del mondo.
La differenza tra la struttura per età dei due paesi giocherà un ruolo importante nella struttura futura degli stessi che dovranno affrontare sfide diverse:
la giovane popolazione dell’Etiopia continuerà a crescere nonostante l’auspicabile calo di fecondità (meccanismo di inerzia demografica)
la popolazione Italiana invece continuerà a diminuire di numero e ad invecchiare nonostante un auspicabile incremento del tasso di fecondità (queste considerazioni valgono in assenza di consistenti fenomeni migratori).
Il processo di invecchiamento può riguardare:
L’invecchiamento degli individui
Nei paesi economicamente progrediti (Giappone in testa) la durata della vita media è arrivata a 75 anni per gli uomini e 86 per le donne, valori che soltanto fino a pochi anni fa erano considerati biologicamente impossibili.
Questo aumento dell’aspettativa di vita non ha dato una risposta a quale possa essere il limite massimo della vita.
L’invecchiamento delle persone non è solo in funzione dell’età cronologica ma anche delle condizioni di salute. Il problema diventa quindi quello di sconfiggere le malattie cronico-degenerative (tra le quali soprattutto quelle mentali) attraverso adeguati sistemi socio-sanitari.
Su questo argomento si contrappongono studiosi “Ottimisti” e studiosi “Pessimisti”, i primi ritengono che la durata della vita media possa arrivare ai 150 anni se non oltre, i secondi valutano in circa 85 anni la durata massima della vita media dati i limiti prestabiliti dal nostro patrimonio genetico, inoltre ritengono che non risieda nessun vantaggio in un’estensione della durata della vita così al di la del periodo riproduttivo.
Poco sappiamo inoltre sugli effetti degli inquinanti nelle regioni urbane, ne tantomeno conosciamo quali possano essere gli effetti iatrogeni dei farmaci…questi fattori potrebbero causare in futuro crolli nella durata media della vita (come pare essere accaduto ai maschi Russi); per non parlare poi della possibilità della comparsa di una nuova infezione virale come quella che porta all’AIDS (se la stessa non viene debellata).
Non si sa se le società riusciranno a reggere il futuro incremento di anziani e vecchi, forse quelle sviluppate avranno più possibilità di evitare la crisi (con i sistemi di Welfare se non altro già impostati).
Per i paesi poveri il futuro prospetta notevoli difficoltà (in prevalenza le malattie infettive).
Dopo l’ultima grande epidemia: l’influenza spagnola nel 1918 che ha mietuto più vittime della guerra uccidendo circa 40 milioni di persone; durante il XX secolo, il processo di modernizzazione si era sempre accompagnato con un incremento della durata della vita media e ciò aveva convinto i più che questo sarebbe stato un processo “senza fine”, ma come abbiamo visto, con la crisi socio economica Russa e quella socio sanitaria dell’Africa, ciò non è accaduto.
L’invecchiamento delle famiglie
Le aspettative degli individui nei confronti della famiglia stanno mutando al punto da cambiare il volto della stessa.
Nei paesi a bassissima mortalità vanno aumentando per i bambini le possibilità di avere un estesa parentela di nonni e bisnonni.
Si estende quindi la famiglia multigenerazionale e cresce non soltanto il numero di nonni ecc ma in generale la percentuale di parenti anziani e vecchi.
Inoltre la probabilità di ritrovarsi orfani nei paesi sviluppati è ridotta praticamente a zero , mentre questa possibilità è una piaga dei paesi poveri (in particolare di quelli colpiti dall’epidemia di aids) questi orfani potrebbero raggiungere i 40 milioni nel 2010. Questa massa di orfani viene sostenuta da nonni e parenti anziani (che hanno a loro volta perso il sostegno dei figli e dunque spesso esistono in condizioni di indigenza e povertà estrema).
L’invecchiamento della famiglia è accentuato dalla forte diminuzione della fecondità e dalla pratica di mettere al mondo figli unici.
La famiglia diventa così sempre più verticale per il ridottissimo numero non solo di fratelli ma anche di zii e cugini.
Si hanno reti familiari sempre più piccole e complesse dato il numero di generazioni che coesistono, delle separazioni, dei divorzi, delle convivenze, dei secondi matrimoni.
Sempre più grandi le preoccupazioni relative alla famiglia come meccanismo di supporto socio- assistenziale per sé stessa.
Anche per questo le cure per l’età avanzata stanno diventando oggetto di forme assicurative (anche obbligatorie).
I figli unici ricevono dai genitori una maggiore attenzione che può avere una doppia valenza: se data in modo adeguato può avere effetti estremamente positivi, ma se somministrata in modo eccessivo può causare turbe psicologiche, insicurezze, finanche rifiuto da parte dei figli.
Rispetto al passato i matrimoni durano molto di più (data la maggiore durata della vita)
La durata della vita in vedovanza è pari ad una media di 17 anni per le donne (molte di più degli uomini) e di 11 anni per gli uomini.
Spesso la vedovanza comporta lo stato di povertà (specialmente per le donne, le quali di solito non hanno lavorato e non hanno una pensione adeguata).
In Italia oltre il 56% delle unità unifamiliari è composta da una persona anziana o vecchia.
Nei paesi in via di sviluppo una donna che sopravviva al marito e non abbia figli sposati potrebbe vedersi spogliata di gran parte dei beni (che non sono mai stati suoi ma del marito) e dello status sociale.
L’invecchiamento della popolazione
Frutto del controllo delle nascite e del controllo della morte precoce sta a dimostrare la fine della crescita del XX secolo (una crescita insostenibile sul lungo periodo).
Nel giro di 3 generazioni dopo millenni di stabilità della struttura per età, in Italia si è avuto il sorpasso dei vecchi sui giovani avvenuto nell’’87 (assai precocemente.).
Nei paesi meno sviluppati tale sorpasso è atteso per il 2050.
Europa
Presenta andamenti e strutture tipici dei paesi economicamente progrediti, ha avuto per lunghi tempi un indice di dipendenza molto basso per cui ha potuto accumulare risorse convogliandole in sistemi di previdenza e assicurativi che forse le permetteranno di sopportare l’enorme carico di anziani previsto per il 2015.
Per far ciò sarà necessario far gradualmente defluire risorse destinate ad un’area in cui cala la domanda (istruzione dei giovani) ad una in cui aumenta (assistenza agli anziani)
Africa e Asia
In Africa il calo ritardato della fecondità produrrà ancora per molto tempo un forte incremento della popolazione ed una struttura per età estremamente giovane e dunque un rapporto di dipendenza dei giovani (e quindi anche totale) gravissimo. Bisognerà aspettare il 2050 per avere un rapporto di carico come quello attuale europeo.
Per contro in Asia il calo anticipato e veloce della fecondità causerà il problema opposto: dapprima un aumento forte della popolazione in età lavorativa assai grave data l’incognita nella creazione di posti di lavoro.
Stati Uniti
Si troverebbero ad avere una struttura per età assai più equilibrata rispetto a quella della Russia e dell’UE, potendo contare su una struttura per età più favorevole: minore invecchiamento della popolazione, basso rapporto di carico generale, miglior rapporto tra anziani e popolazione in età lavorativa, migliore rapporto tra nascite e morti.
L’invecchiamento delle sub-popolazioni
Gli anziani: aumenta in essi la quota di vecchi, infatti la riduzione di mortalità tra i 60 e gli 80 anni è stata particolarmente accentuata permettendo di vivere più a lungo all’interno di questa fascia causando in questo modo un accumulo nelle fasce vecchie.
Ci si può quindi aspettare che nelle popolazioni reali molto invecchiate la proporzione di anziani superi il 40 % del totale e quella di vecchi il 14% circa: in altri termini circa 1 ultrasessantenne su 3 avrebbe più di ottant’anni e una persona vecchia graverebbe da molti punti di vista (a partire da quello psicologico) su una persona che sta diventando anziana.
La popolazione in età lavorativa: anche questo segmento di persone invecchia al suo interno, infatti la proporzione di persone anziane all’interno di questa fascia aumenta ed in parallelo c’è la diminuzione della fascia giovane. La tendenza potrebbe non comportare problemi se non fosse per questioni di competitività internazionale e di pressioni migratorie: ad esempio nei prossimi anni la popolazione giovane ed in età lavorativa etiope dovrebbe aumentare enormemente, al contempo per l’Italia, è prevista una forte diminuzione di questa stessa fascia. L’emigrazione in Italia sembra uno sbocco naturale per la forza lavoro etiope data la naturale ricettività Italiana (causata dalla carenza di giovani) ed i legami storici con l’Etiopia.
6 – Le migrazioni internazionali
Spostamenti territoriali di popolazione
Grandi movimenti di popoli caratterizzano da sempre la storia dell’umanità e forse anche la sua odierna costituzione: se i primi umani non si fossero spostati e mescolati fra di loro probabilmente si sarebbero evoluti in specie diverse.
Fin dall’antichità, come ai giorni nostri a fianco alle migrazioni ci sono i flussi di rifugiati, la frequente conseguenza di guerre, scontri etnici, fughe da regimi non democratici, oltre che di carestie e gravi disastri naturali. Spesso questi enormi flussi si dirigono verso paesi altrettanto poveri o disastrati aggravandone le condizioni. (questo è il caso del Ruanda e del Kosovo).
Solo in casi circoscritti i flussi di rifugiati si dirigono verso i paesi ricchi del Nord del mondo, questo è il caso della ex Germania occidentale che per decenni ha accolto come rifugiati persone dall’est Europa di lingua tedesca.
All’epoca nostra il problema è regolato dalla convenzione di Ginevra del 1951, da allora il numero di rifugiati è aumentato molto fino al ’95 per poi attestarsi nel 2000 ad un livello intermedio di 16 milioni di persone.
Tale convenzione era stata pensata per regolare gli spostamenti di singole persone descrivendo come rifugiato: colui/colei che ha fondate paure di essere perseguitato/a per ragioni di razza, religione, nazionalità, opinioni politiche, appartenenza ad un particolare gruppo sociale.
A livello individuale ben si intende come questa definizione si intrecci con quella di persona che intende spostarsi per migliorare la propria condizione economica e le proprie opportunità professionali che è quella che caratterizza il migrante per ragioni economiche.
Migrante è tanto colui che si sposta all’estero quanto colui che si muove all’interno del proprio paese, spostamenti di questa seconda natura non sono affatto rari, in proposito sono interessanti quelli avvenuti in Cina e in Italia, nel primo caso negli ultimi due decenni si sono spostate ben 100 milioni di persone verso le zone costiere, nel secondo circa 2 milioni di persone del sud Italia verso il nord in cerca di lavoro (tra il ’51 ed il ’71).
In questo capitolo verranno in ogni caso trattate solo le migrazioni internazionali.
Le migrazioni internazionali moderne e contemporanee
Circa 175 milioni di persone (circa il 3% del totale della popolazione) vivono oggi in un paese diverso da quello di nascita (valore più che raddoppiato rispetto al ’75).
Non sono piccole le migrazioni Sud-Sud: sono circa il 40% del totale.
La maggior parte dei migranti vive in Europa, seguono l’Asia e il Nord America; a formare queste popolazioni sono i consistenti flussi che provengono da quasi tutti i paesi del mondo.
Già nella metà dell’ ‘800 grandi scambi avvenivano ad esempio tra le regioni del Nord Italia, della Francia e della Germania.
Nel frattempo erano cominciate le grandi migrazioni dall’Europa verso le Americhe (soprattutto quella del Nord) causate dalla scarsità dei raccolti dell’Irlanda e dalla povertà diffusa in altre parti d’Europa, tra il 1840 ed il 1910 si spostarono attraverso l’Atlantico 17 milioni di Europei.
Solo nel 1907 si riversò negli Stati Uniti un fiume di 1 milione 280mila persone cifra alla quale bisognerebbe aggiungere quella diretta verso l’America Latina.
Fra la metà dell’ 800 e l’inizio del ‘900 si era venuto a creare un forte squilibrio causato dall’eccesso di crescita demografica e sviluppo economico insufficiente soprattutto dal punto di vista occupazionale.
Tale squilibrio si è in parte recuperato grazie alle migrazioni che riuscivano a scaricare dall’Europa circa il 20% del surplus demografico.
Negli anni recenti invece l’effetto di riequilibrio è estremamente più modesto e i PVS non riescono assolutamente a beneficiarne a causa delle misere quote accettate dai PS, ecco che si può senza dubbio affermare che le migrazioni non risolvono più i problemi del economici del mondo.
A suo tempo l’Europa ha trovato o si è presa due grandi opportunità: i nuovi mondi da popolare e le colonie, oggi i PVS non hanno nessuna di queste due opzioni.
Nel frattempo le faglie che dividono PS e PVS si allargano e si spostano:
Caso del Rio Grande sul confine messicano, del muro di Berlino e della cortina di ferro e dell’odierno nuovo muro costituito dal Mediterraneo che miete centinaia di vittime nel tentativo di scavalcarlo.
Visto che gli immigrati ammessi sono pochi ma che la volontà di migrare anche se illegalmente è forte, esiste l’esteso fenomeno dell’ immigrazione clandestina, che nemmeno i super tecnologici americani riescono a contrastare vedendo ogni notte attraversato il Rio Grande da moltitudini di desperados.
Nemmeno il Giappone con le sue coste lontane da tutto e la sua guardia costale severa ha grande successo nel bloccare tale fenomeno, non ci riuscì la Germania quando cadde il Muro, non ci riesce l’Italia che dopo Shengen è insieme alla Spagna e alla Grecia frontiera esterna (e quantomai esposta) del grande territorio EU di libera circolazione delle persone.
E’ un vantaggio l’emigrazione?
Considerando l’enorme gap tra paesi c’è da chiedersi come mai si emigri così poco.
Quando si è troppo poveri o poco attrezzati dal punto di vista culturale, economico, sanitario non si parte; per farlo si deve racimolare spesso grandi quantità di denaro e occorre avere energie psicofisiche in quantità per affrontare le fatiche di un trasferimento e dell’eventuale inserimento in una comunità nuova spesso diversa e talvolta ostile.
La spinta ad emigrare permane per due fattori concomitanti:
Se per via degli squilibri quantitativi e/o qualitativi (e anche territoriali) una parte della domanda resta insoddisfatta allora settori economici più o meno ampi languiscono se non coperti dall’immigrazione.
La convenienza economica degli immigrati si nota già sul medio periodo e la popolazione tende a riconoscerla (anche la xenofoba Svizzera dovette riconoscerla).
L’immigrazione ha risolto in Italia il problema dell’assistenza agli anziani (che si è già manifestano in modo piuttosto forte) riducendo i ricoveri ospedalieri e permettendo alla donna Italiana l’inserimento nel mondo produttivo, ed ha addirittura stimolato l’occupazione di Italiani nei settori a monte e a valle dei settori che ha rivitalizzato (pesca, agricoltura, pastorizia, costruzioni, settore manifatturiero).
Se si sommassero tutte le rimesse degli emigrati nei paesi d’origine si otterrebbe uno dei trasferimenti monetari più ingenti al mondo.
Le rimesse degli anni ’90 nelle Filippine sono pari a 8 miliardi di dollari (molto più degli aiuti allo sviluppo che queste ricevono dall’estero.
Le migrazioni come fattore strutturale dei prossimi decenni
Almeno nei primi decenni del XXI secolo le migrazioni non si arresteranno (troppo convenienti per i paesi d’origine e non meno convenienti per il mercato del lavoro di molti paesi destinatari).
I differenziali di variazione demografica saranno tra i più alti mai registrati, se poi si tiene conto dei differenziali socio-economici si può prevedere la crescita della pressione migratoria.
E’ in queste condizioni che si inserisce il traffico illegale di persone che sfrutta la volontà di spostarsi a tutti i costi e quella dei datori di lavoro di avere la quantità di manodopera nelle quantità giuste e al momento giusto (al di la della burocrazia e della legge) imponendo prezzi esorbitanti e condizioni di estremo pericolo.
Soltanto la riduzione dei differenziali socio-economici può garantire un rallentamento dei flussi migratori di massa.
In paesi come l’Etiopia dove si calcola che la popolazione viva in media con 1 dollaro al giorno il settore primario produce circa il 52% del pil con l’80% di occupati nel settore.
L’ammodernamento di tale settore (pur necessario per incrementare i profitti) potrebbe causare un surplus di manodopera e quindi incrementare i differenziali.
I flussi Nord Sud continueranno, a informarci di ciò quattro considerazioni:
Integrazione sociale e gestione dei flussi
Più opportuno con queste premesse cercare di gestire il fenomeno migratorio piuttosto che subirlo.
Elemento cardine della gestione è il procedimento di integrazione.
Si parla dunque di accettazione dell’immigrato da parte della popolazione del paese di destinazione, superamento della xenofobia e dei pregiudizi ecc. ciò può avvenire se l’immigrazione rimane entro certe soglie (che sono quelle di tolleranza dei cittadini).
Normalmente l’integrazione economica è molto rapida, quasi mai si trovano ragioni economiche alla base della mancata accettazione dell’emigrato.
L’integrazione logistico -territoriale richiede invece molti anni (almeno 10 o 20) perché predisporre case, scuole e anche se in minor misura ospedali richiede comunque molto tempo; questa integrazione di solito si scontra con parte della popolazione indigena deprivata e povera: conflitti tra diseredati per l’usufrutto di infrastrutture quasi mai sufficienti per tutti.
Difficoltà ulteriori (anche sul piano dell’integrazione economica) si hanno quando iniziano i ricongiungimenti familiari perché arrivano individui non selezionati dal mercato.
L’integrazione socio – culturale e quella politica richiede ancora più tempo perché presuppone il riconoscimento della condizione di cittadino all’immigrato.
In Europa esiste una già variegata e stratificata diversità etnico – culturale: esistono antiche e radicate minoranze etniche conflittuali con i migranti.
Alla base dell’etnocentrismo alcuni atteggiamenti che possono essere ritenuti accettabili o giustificabili ed altri inaccettabili.
Vi è la convinzione da parte di un gruppo di possedere una cultura superiore a quella di ogni altro gruppo, questo sentimento di superiorità porta quindi alla xenofobia e al razzismo.
Spesso le nuove minoranze innescano a causa di ciò atteggiamenti difensivi, di chiusura che portano alla crisi dei modelli d’integrazione sin ora sperimentati:
Pare scomparire l’idea di una piena integrazione e affacciarsi il concetto di coesistenza: che non prevede una cultura egemone. Questo progetto pone diverse difficoltà (caso del Chador nelle scuole Francesi).
Il modello della coesistenza parrebbe in prospettiva il più giusto e praticabile anche se prevede l’istituzione di nuove regole del gioco che garantiscano il rispetto reciproco.
La conclusione cui si è giunti sull’interminabile dibattito a proposito di popolazione e lo sviluppo economico è che:
l’impatto di una forte crescita della popolazione è variabile da situazione a situazione (storica e geografica) ma in generale è considerato fortemente ridotto rispetto ad altri fattori che determinano la prosperità economica. La rapida crescita demografica di molti pvs ostacola sensibili miglioramenti nello stile di vita.
Si può ritenere che la società nella sua interezza e le sue istituzioni (scuola, lavoro, ospedali, casa, sistema previdenziale ecc.) entrino in crisi se sovraccaricate per un periodo lungo 20 - 40 anni. Già un tasso di incremento o decremento del 2% crea non pochi problemi, figuriamoci se ci si spingesse oltre.
Inoltre nei paesi democratici le modificazioni istituzionali sono molto lente e difficili (trovano resistenza in una o nell’altra fascia di elettori e da parte di questa o quella lobby).
Negli ultimi anni vanno compiendosi ricerche volte a superare la banale dicotomia crescita – sviluppo addentrandosi nei vari meccanismi che interessano questi due aspetti; oggetto principale di queste nuove ricerche i mutamenti della distribuzione per età della popolazione, i mutamenti nelle componenti (nascite, morti, immigrazione, emigrazione).
Vi sono evidenze che dimostrano che quando la fecondità cala e sale quindi la quantità di persone in età lavorativa le risorse liberate dai settori di cura dei bambini ed educazione possono essere convogliate nel settore del lavoro, in particolare femminile e perciò ad accelerare lo sviluppo economico.
Però le iniziali strutture economiche e politiche condizionano l’entità dell’effetto che i cambiamenti di popolazione possono avere sul sistema economico: se si parte svantaggiati la popolazione (con una minore fecondità) può far poco o nulla.
Le condizioni alimentari giocano poi un ruolo importante sulla condizione psico-fisica delle popolazioni: i paesi sviluppati usufruiscono di un surplus di nutrienti, i pvs invece ne soffrono la carenza.
E pur tuttavia nonostante l’aumento certo e non trascurabile della pressione demografica in futuro in prospettiva il problema della distribuzione delle risorse alimentari potrebbe risolversi grazie ai miglioramenti nel settore agricolo (a patto che se ne faccia una gestione attenta ed equilibrata).
A queste tendenze di medio lungo periodo si possono sovrapporre crisi congiunturali che possono far vacillare l’intera struttura agro-alimentare.
Sviluppo sostenuto e sviluppo sostenibile
Necessario a questo punto valutare il costo ambientale dell’approvvigionamento di cibo, è stato registrato che l’aumento della popolazione si accompagna all’aumento della deforestazione (uno degli esempi più significativi dei mutamenti ambientali legati all’agricoltura).
A parte la preoccupazione che deriva da altri fattori come l’emissione di gas nocivi, diversi governi ritengono la crescita o la distribuzione territoriale della popolazione come fonti di preoccupazione per la situazione ambientale e chiedono che si attui una politica di sviluppo sostenibile (che lasci ai nostri figli il globo in condizioni almeno recuperabili).
Le forze che producono cambiamenti ambientali sono:
Alcuni meccanismi di mercato sembrano essere gli elementi maggiormente responsabili (mercato dell’auto in Italia), tanto che appare difficile evitare l’ulteriore deterioramento dello stato ambientale.
Da tutto questo deriva un forte contrasto tra PS e PVS:
i primi vogliono che i secondi perseguano il rallentamento della crescita demografica e politiche di sviluppo sostenibile, mentre i secondi vogliono perseguire uno sviluppo sostenuto, che alzi al più presto il tenore di vita delle loro popolazioni, a ridurre la pressione sull’ambiente dovrebbero provvedere coloro che l’hanno causata i PS ed in primis gli Stati Uniti (un bambino nato nel nord del mondo consuma e inquina come 30 – 50 bambini nati nel sud del mondo).
Questa contrapposizione ha portato al fallimento il Vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile indetto a Johannesburg nel 2002.
La grande crescita urbana e metropolitana
Se esplosione demografica è il termine che è stato usato per descrivere la grande crescita demografica allora si può parlare di una esplosione nell’esplosione facendo riferimento all’avvento della grande città, o in altri termini la crescita della popolazione urbana nel mondo contemporaneo.
Partendo dalla poche aree della rivoluzione industriale la città si è estesa in tutto il mondo (anche nelle aree meno industrializzate). Ora la popolazione inurbata supera quella rurale.
Anche per le zone urbane la situazione è assai differenziata tra nord e sud:
L’elemento della grande città centrale sta andando in crisi perché questa si è dimostrata difficile da gestire ed antieconomica, così la grande industria ha cominciato a decentrare la produzione, ed ha cominciato a fiorire sul territorio la media e piccola industria, poi è iniziato il decentramento commerciale e residenziale.
La disseminazione della popolazione su tutto il territorio ha creato grandi aree metropolitane o un più stretto sistema di relazioni tra io centri medio piccoli e l’area centrale ad essi legata.
Nel primo caso l’area metropolitana continua a crescere, mentre nel secondo caso l’area centrale e quelle limitrofe decrescono; solo negli ultimi tempi si è avuta una riurbanizzazione delle grandi città centrali.
Nei paesi a sviluppo avanzato comincia a diventare dubbia la distinzione tra aree urbane ed aree rurali con un avanzato stadio definibile urbanizzazione senza città. In paesi come l’Italia va spopolandosi l’area montana e stanno scomparendo intere comunità.
Non vi è dubbio che nei paesi meno sviluppati ci sia un’ eccesso di urbanizzazione relativo ai tempi di sviluppo del fenomeno e al livello di sviluppo economico e quindi un forte squilibrio in tutti i rapporti demografico – economici.
Ad esempio Città del Messico è aumentata di 305 mila persone ogni anno lungo cinquant’anni. Risultato di un fenomeno di tali proporzioni è spesso la bidonville.
Anche le prospettive future rappresentano una sfida storica per l’intera umanità.
Entro il 2015 le megacittà (con più di 10 milioni di abitanti) saranno 17 nel Sud del mondo e 4 nel Nord del mondo.
Una soluzione accettabile e praticabile pare quella di dirottare gli aiuti sull’agricoltura in modo da frenare l’esodo dalle campagne, anche se la modernizzazione dell’agricoltura ha spesso causato l’evento opposto a quello desiderato rendendo inutile molta parte della manodopera (che di conseguenza si è spinta in città).
Soltanto un complesso approccio multiplo e graduale potrà risolvere o almeno fronteggiare il problema.
Fonte: http://lab.artmediastudio.it/www-storage/appunti/197042/31359/La%20popolazione%20del%20pianeta.doc
Sito web da visitare: http://lab.artmediastudio.it
Autore del testo: Antonio Golini
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